Il testo del mio intervento al convegno "La politica estera dell'UE e dell'Italia", evento di presentazione della Young Professionals in Foreign Policy –Rome, giovedì 30/01, “European Public Space” Via IV Novembre, Roma.
1. CONVEGNO 30/01/14 - ROMA
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Traccia dell’intervento di S.E. l’Ambasciatore Giulio
Terzi di Sant’Agata
2. Sono molto grato al dott. Carmine Finelli, e a tutti Voi per l'opportunità di
avviare un dibattito su un aspetto a mio avviso assolutamente centrale
nell'agenda politica europea e italiana di quest'anno, e degli anni a venire.
Mi congratulo per la vostra sensibilità che state dimostrando per la politica
internazionale, e sono certo che la caratterizzazione che state così
imprimendo al lavoro e all'"advocacy"di Young Professionals in Foreign
Policy continuerà ad esserne elemento qualificante e distintivo.
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3. C'è un enorme bisogno, in Italia forse più che altrove,di rendere il discorso
sul ruolo internazionale dell'Europa, sulla sicurezza internazionale, sulle
sfide regionali e globali, una costante del quotidiano dibattito e
approfondimento politico. Il deficit di attenzione in questo campo è
sconcertante. Lo è nella politica, nell'informazione, nella scuola. Non è
necessario ricordare le analisi sulla quantità e qualità dell'informazione di
politica estera, in raffronto a quanto avviene negli altri grandi Paesi
europei, per non parlare degli Stati Uniti. La Vostra iniziativa, rivolta
soprattutto ai giovani, e al futuro, non solo deve colmare un vuoto, ma
deve, come si dice, "fare tendenza".
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4. Entrando in medias res, vorrei proporre per il dibattito odierno tre ordini di
considerazioni:
1. L'Europa come la conosciamo e viviamo oggi è una realtà costruita con
immensi sforzi che devono essere consolidati con urgenza. L'Unione
ha una responsabilità e un interesse primario nel contribuire alla pace e
alla sicurezza internazionale. È possibile dare "prospettiva storica"a questa
ineludibile esigenza?
2.La politica estera europea sta formandosi,nei contenuti e negli
strumenti, a ritmi "rallentati". Non solo rispetto ai processi di
globalizzazione e ai nuovi equilibri mondiali; ma rallentati anche rispetto
all'integrazione economica e monetaria dell'Unione.
3.Un salto di qualità non richiede macchinose,forse impossibili riforme dei
Trattati. Sono realizzabili progressi concreti e significativi già nell'attuale
quadro giuridico .
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5. I) La prospettiva storica.
Il 2014 è centenario dello scoppio della prima guerra mondiale: "The war
that ended peace", secondo il titolo di un libro importante della britannica
Margaret McMillan; la Guerra europea per alcuni storici non è durata
quattro ma trent'anni,avendo determinato la dissoluzione di tre Imperi
(Germania, Austria-Ungheria, Russia), la nascita di tre dittature
(nazista, fascista e comunista), e seminato la sconvolgente tempesta del
39/45. Cosa ricorda e cosa insegna oggi all'Europa quel 4 agosto
1914, quando il corpo di spedizione tedesco si abbattè su un Belgio
neutrale, mettendo a ferro e fuoco Lovanio, massacrando i suoi inermi
abitanti, distruggendo volutamente inestimabili tesori di cultura? La
deflagrazione fu improvvisa, ma non venne dal nulla. Molti in Europa
erano da due decenni consapevoli delle nubi che si addensavano.
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6. L'emergere di una grande Germania nel cuore dell'Europa, con una
capacità militare e una flotta minacciosa agli occhi di Londra. La rete di
alleanze contrapposte, con clausole di reciproco sostegno. L'influenza
crescente sugli stessi Governi di enormi apparati militari e di piani
strategici privi di flessibilità. E ancora,l'enorme progresso tecnologico, gli
squilibri demografici che penalizzavano i francesi rispetto ai tedeschi e
inducevano Parigi ad allearsi con Mosca; la conseguente sensazione
tedesca di accerchiamento, alla base dell'alleanza con Vienna, che
trascinava però Berlino nella contesa russo austriaca per i Balcani.
Eppure, la guerra avrebbe potuto essere evitata sino all'ultimo giorno. Vi
era una fiducia diffusa nei Governi e nelle opinioni pubbliche che le
minacce di un conflitto generalizzato potessero "essere
gestite"pacificamente; che rafforzate istituzioni internazionali avessero
reso la guerra uno strumento superato e obsoleto.
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7. La globalizzazione delle comunicazioni, le corti di arbitrato per la soluzione
pacifica delle controversie, l'adozione di norme e Trattati vincolanti erano
realtà in essere, dimostravano il progresso realizzato soprattutto in Europa
nelle relazioni internazionali. In ultima analisi, conclude la McMillan, non
deve però essere sottostimata una verità valida anche ai nostri giorni.
L'influenza drammaticamente negativa avuta da errori, iniziative
pasticciate o intempestive. Nè si deve sottostimare la natura complessa e
inefficiente di alcuni sistemi intrinsecamente "deboli"di Governo, in
particolare quelli tedesco e russo, non adeguatamente informati delle
pianificazioni militari e delle loro conseguenze politiche. Nel momento
decisivo per fermare la crisi - luglio 1914 - il Foreign Secretary britannico
era impegnato in una campagna di..."bird watching"; il Presidente e il
Primo ministro francese, in un lungo viaggio nel Baltico.
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8. Sarebbe fuori luogo trovare nel modello di relazioni internazionali di quegli
anni eccessive analogie con il contesto attuale . Eppure, diversi
interrogativi si ripropongono, a protagonisti mutati,anche oggi. Ad
esempio: la crescita delle potenzialità economiche e militari della Cina,
partner e concorrente sia dell'Ue che degli Usa, in una regione con
sovranità e territori contestati; i contrastanti interessi occidentali e russi
nella "politica di vicinato" a Est e nel Mediterraneo; la corsa agli
armamenti, soprattutto nucleari, in diverse zone del pianeta; i "Governi
deboli" nella gestione delle crisi, nei confronti dei propri apparati di
intelligence e di pianificazione militare; la insufficiente - è il meno che si
possa dire - capacità delle istituzioni internazionali di far rispettare il diritto
internazionale,a cominciare da aspetti fondamentali come quelli dei diritti
umani, delle libertà, e della giustizia.
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9. 2. La politica estera Europea.
Anche per tutte queste inquietanti analogie, io credo che l'attuazione di
una politica estera dell'Unione Europea debba trovare una priorità
massima nelle preoccupazioni dei nostri Governi. Negli ultimi tre anni è
stata soprattutto l'Europa nel suo insieme, e alcuni Paesi europei
individualmente, a dover far fronte allo tsunami delle Primavere
Arabe, agli effetti che esso ha provocato nell'intero Mediterraneo, in
Medio Oriente e oltre, sino all'Africa Sahariana.
Immigrazioni, asilo, controllo delle frontiere, programmi di accoglienza
sono tutti ambiti nei quali invochiamo da tempo una "comunitarizzazione"
delle responsabilità e delle politiche europee. Se tardiamo ancora a
farlo , il costo delle crisi per l'Unione aumenterà esponenzialmente.
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10. Nessuna delle sfide che abbiamo dinanzi a noi può essere affrontata senza
una chiara strategia di politica estera, di Difesa e di Sicurezza. Lo stesso
vale per altre questioni. Pensiamo all'energia: nei cinque anni della crisi
economica i costi del gas per le aziende sono diminuiti negli Usa del 38%;
in Europa sono aumentati del 66%. Un handicap del 100% per la nostra
economia. Gioca a sfavore la frammentazione degli
approvvigionamenti, della distribuzione e del mercato dell'energia; essi
dovrebbero invece rientrare nell'agenda di politica estera e di sicurezza.
Per temi altrettanto cruciali, come quelli del terrorismo, del sostegno ai
diritti e alle libertà fondamentali, vale lo stesso senso di urgenza. Resta un
gap impressionante tra le potenzialità dell'Unione e la sua effettiva
performance, soprattutto in termini di hard power.
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11. Le sue dotazioni complessive di uomini e di mezzi militari sono tra le più
importanti dopo quelle degli Stati Uniti; eppure non è l'Unione a
essere protagonista primario nella sicurezza e nella Difesa.
Sottodimensionata in hard power, l'Unione e però una superpotenza in
termini di soft power: grazie alla sua economia, ai suoi investimenti diretti
e alla sua assistenza allo sviluppo. La politica estera e di sicurezza comune
dispone quindi di ampie risorse su cui far leva per contare nel mondo.
Tuttavia, sono molte le situazioni in cui l'Unione "is punching below its
weight".
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12. Le carenze e i ritardi che lamentiamo nel processo di integrazione della
politica estera europea non sono tanto legate,io credo,al fatto che negli
ultimi cinque anni di crisi sono state le priorità, economiche a
monopolizzare l'attenzione dei Governi e delle Istituzioni europee. La
radice del problema risiede in un'asimmetria almeno ventennale tra
integrazione economica e integrazione politica. Dal Trattato di Maastricht
in poi si è avuta un'accelerazione, inconsueta nella storia dell'Unione, nella
realizzazione dell'Unione Economica e Monetaria. Un successo anche per il
nostro Paese che l'ha fortemente voluta. E l'Unione Politica?
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13. Se con l'Atto Unico dell'87, con l'apporto italiano, diventava "cogente" la
consultazione sui principali temi di politica estera,il Trattato di Maastricht
precisava strumenti, obiettivi, meccanismi, potenziati poi dal Trattato di
Lisbona con importanti innovazioni strutturali (Alto
Rappresentante, SEAE, raccordo con la Commissione).Sono però sempre gli
Stati membri ad avere esclusivo potere di iniziativa; e per le decisioni vale
la regola del consenso, a meno di diversa delibera del Consiglio Europeo.
Ne risulta che disponiamo di istituzioni economico-finanziarie, come la
BCE, che hanno nettamente superato la fase intergovernativa; mentre
sono ancora tutti da costruire due pilastri sui quali deve poggiare
un'Unione politica:
A)una politica estera guidata da un Ministro che la guidi senza essere
limitato dalla regola del consenso nei Consigli Europei e Affari
Esteri,organismi tipicamente intergovernativi;
B)una Difesa con Forze Armate comuni e integrate,sotto la responsabilità
di un Ministro e organizzate in un'unica catena di comando. La tendenza a
limitare ulteriori trasferimenti di sovranità continua a rivelarsi più netta di
quanto non sia avvenuto in ambito economico e monetario.
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14. 3.E vengo alla mia terza e conclusiva considerazione.
Un salto di qualità nella politica estera dell'Unione deve aver luogo con gli
strumenti di cui disponiamo,all'interno di alcuni precisi confini. Assistiamo
a una costante diminuzione di consensi verso le Istituzioni europee. Il
prossimo Parlamento sarà certamente, se non più euroscettico,
certamente più eurocritico dell'attuale. La stessa dinamica vale per i
Parlamenti nazionali. Neppure in un libro dei sogni gli elettori francesi e
inglesi sosterrebbero trasferimenti di sovranità che intaccassero due
prerogative da loro ritenute essenziali alla politica estera e di Difesa di
Francia e Gran Bretagna: lo status di membro permanente del Consiglio di
Sicurezza dell'Onu; lo status di potenza nucleare riconosciuto dal Trattato
di non Proliferazione. Quando mai i Commons o l'Assemblee Nationale
ratificherebbero un ipotetica modifica di Lisbona che trasferisse all'Unione
uno, o entrambi gli "status"?
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15. È d'altra parte proprio nell'istituzione globale più autorevole, le Nazioni
Unite, che la politica estera europea appare spesso alla ricerca di sè stessa.
Per restare alla storia recente, molti hanno manifestato disappunto per
l'"eccesso di protagonismo" franco britannico nell'avviare la "no fly zone"
contro Gheddafi, quando si sarebbe dovuto constatare che la Risoluzione
1973 del Cds era stata proposta e negoziata da quei due membri
permanenti europei, e non da altri. Lo stesso è avvenuto per l'avvio della
missione in Mali, con la Risoluzione 2100. E ancora, è su iniziativa franco
britannica, sostenuta questa volta anche da Berlino, che nell'ottobre 2011
il Cds discute una risoluzione di condanna di Assad, bloccata dal veto russo
e cinese.
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16. Nell'organo più influente e decisivo per dare peso politico e legittimità alle
iniziative anche militari che riguardano la pace e la sicurezza
internazionale, due grandi Stati dell'Unione continuano ad affermare una
loro politica estera eminentemente nazionale, sia pure con migliorati
raccordi e una consultazione, non sempre strettissima, con gli altri Europei.
L'Italia conduce da anni una battaglia a New York e a Bruxelles affinchè
l'Unione parli sempre di più con una sola voce, e agisca con una sola
agenda, in Consiglio di sicurezza, così come in tutte le altre istanze
multilaterali. Con il Trattato di Lisbona, e successivamente a Lisbona, vi
sono stati progressi concreti, nella procedure e nella sostanza. Tuttavia per
Parigi e Londra, la Carta delle Nazioni Unite continua a pesare, non
nascondiamocelo, sempre di più del Trattato di Lisbona. Basti questo per
comprendere come nuovi seggi permanenti per altri Paesi Europei
rappresenterebbero un'involuzione, anzichè un progresso verso una
efficace politica estera dell'intera Unione.
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17. Collegialità e solidarietà devono invece ispirare il quotidiano "work in
progress" nella Pesc e nella Psdc. A me pare che, con grande fatica, il
processo di "comunitarizzazione"si stia comunque affermando. L'Italia ha
un preciso interesse nazionale affinchè ciò avvenga rapidamente. Stiamo
sostenendo, con qualche buon risultato, che le questioni migratorie, dello
sviluppo, della pesca nel Mediterraneo devono rientrare nelle strategie
Pesc e Psdc. Il mandato della missione Ue in Libia ha incluso, su impulso
italiano il consolidamento istituzionale del Paese, il controllo dei confini, la
sicurezza interna. È sempre l'Italia ad aver giocato un ruolo decisivo
nell'orientare in direzione del Mediterraneo l'attenzione di tutte le
Istituzioni comunitarie, a cominciare dall'Alto Rappresentante; a ottenere
un certo riequilibrio a favore dei paesi della sponda Sud nel bilancio
2014/2020.
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18. Certo, è proprio nella politica mediterranea,una delle priorità più alte del
nostro paese, alcune luci non bastano a rischiarare le troppe ombre: il
grave, colpevole ritardo degli europei nel prendere una direzione chiara sul
conflitto siriano, nel prevenire la più grave catastrofe umanitaria del
dopoguerra; le timidezze nel sostenere la transizione libica; i segnali incerti
dati all'Egitto. Non si possono fare addebiti solo agli europei. Conosciamo
bene gli ostacoli, i veti, le ambizioni di potere regionale dei Paesi che
abbiamo di fronte. In Siria, come in Iraq, in Libano, nel Golfo il conflitto non
è potenziale, ma reale. La dinamica sunnita-sciita apre prospettive
inquietanti.
GRAZIE PER L’ATTENZIONE
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19. Solo uniti, come abbiamo scritto in undici ministri degli esteri poco più di
un anno fa nel Documento "Il Futuro dell'Europa", i Paesi europei potranno
sostenere i loro valori e affermare i loro interessi: dando coerenza
all'azione esterna dell'Unione; integrandone le diverse componenti;
accrescendo le responsabilità dell'Alto Rappresentante anche nelle
politiche di sviluppo; andando oltre il semplice "pooling and sharing" nella
Difesa; realizzando nel settore Difesa ogni possibile "cooperazione
rafforzata"; ampliando il novero delle questioni di politica estera decise a
maggioranza, anzichè all'unanimità.
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