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IMPRESE&
TERRITORIO
Trimestrale di informazione
Anno 8 - Numero 2
Novembre 2013

Stefano Fassina

Lotta all’evasione fiscale
per una riduzione delle
imposte

GAETANO
QUAGLIARIELLO
Ministro delle Riforme
RAZIONALIZZARE
I COSTI DELLA POLITICA
E MODIFICARE IL
SISTEMA ISTITUZIONALE
SIMONA VICARI
Sottosegretario allo
Sviluppo Economico
“DESTINAZIONE ITALIA”:
RIDURRE IL PESO DELLA
BUROCRAZIA
SOCIAL MEDIA E PMI
SOCIALIZZARE L’IMPRESA,
ISTRUZIONI PER L’USO
SERGIO SILVESTRINI
Segretario Generale CNA
INVERTIRE IL PARADIGMA:
DAL RIGORE ALLA
CRESCITA
IMPRESE&TERRITORIO
3

Editoriale

4

Lo “stato di salute” delle
infrastrutture, quale indicatore
di competitività dell’economia
italiana

6

Lotta all’evasione fiscale
per una riduzione delle imposte

8

Novembre2013

“Destinazione Italia”:
ridurre il peso della burocrazia

10 La nuova sfida
dei distretti industriali
12

Razionalizzare i costi della
politica e modificare il sistema
istituzionale

14

Social Media e PMI
Socializzare l’impresa,
istruzioni per l’uso

17

Le multinazionali del web
di fronte al fisco

18 Per uscire dalla crisi è
necessaria una cura shock
19

I primi segnali di ripresa e i
problemi per il rilancio delle PMI

20

Invertire il paradigma:
dal rigore alla crescita

21

CNA Next
L’Italia giovane che ha deciso di
restare, investire, creare

22

Artigiancassa informa
Indagine Congiunturale sulle
Imprese Femminili - II Trim. 2013

6
Combattere l’evasione per ridurre le imposte
Per abbassare la pressione fiscale è necessario
tornare a crescere, e non di uno “zero virgola”.
È necessario definire un patto chiaro con tutti i
contribuenti: ogni euro recuperato dall’evasione
fiscale deve essere destinato a riduzione di
imposte.

Offerta Prestitit Personali.
Artigiancassa/Findomestic:
due valori vincenti al servizio
dei clienti.

18

Fondo di garanzia per le PMI:
incontri formativi con gli operatori
del territorio.

12
Efficienza delle Istituzioni e legge elettorale
Dopo aver sfiorato la paralisi istituzionale
dovrebbe essere ormai diffusa la
consapevolezza che senza una revisione del
funzionamento delle nostre istituzioni non vi
sarà legge elettorale che tenga.

8
La proposta di
Simona Vicari
Prevedere una serie
di adempimenti a cui
si dovrá attenere chi
vuole aprire
un'impresa, lasciando
allo Stato il compito
di controllare, in una
fase successiva, se
tali prescrizioni sono
state rispettate.

17

La “webtax”, secondo
Francesco Boccia
La mia non è una battaglia
contro qualcuno, contro
Google, Amazon o qualsiasi
altra multinazionale che
opera online, ma una
battaglia a favore del web
e delle nostre imprese,
nel segno dell’equità fiscale.

Legge di stabilità e PMI
È necessario, per Ivan Malavasi, un
intervento strutturale a favore delle
piccole e medie imprese; si deve
creare uno spazio importante per
loro all’interno della Legge di
Stabilità.

20

Silvestrini, Segretario
generale della Cna
Purtroppo l’accesso al
credito continua a
essere uno degli
aspetti maggiormente
critici nell’attività delle
piccole imprese. Mi
sembra urgente prima
di tutto un intervento
diretto a razionalizzare
la filiera delle garanzie,
valorizzando i consorzi
fidi per le loro
peculiarità.
Editoriale

di Vincenzo Masciopinto

I

n questi giorni seguiamo con vivo interesse le azioni del Governo in materia di
legge di Stabilità e le strategie proposte dagli organismi di rappresentanza delle
PMI per rilanciare il tessuto imprenditoriale italiano. La manovra che mette in
campo 10 -12 miliardi di risorse a favore del Paese sarà impostata su meno tasse,
meno burocrazia e più lavoro.
Sono queste le priorità su cui si impegnerà il Governo nei prossimi mesi, che andranno declinate attraverso un confronto costante con le parti sociali, mettendo al centro dell’impegno politico il tema della crescita e dello sviluppo industriale per riattivare il circuito del credito, rilanciare l'occupazione e ridare fiducia al Paese.
Fra i tanti dibattiti, la riduzione della pressione fiscale per le imprese risulta essere quello più discusso. Ci auguriamo, infatti, che l’Esecutivo possa effettuare un’inversione di tendenza a favore delle imprese al fine di non perdere il treno della auspicata ripresa.
Pur considerando gli aspetti positivi sul rifinanziamento per il fondo di garanzia, è
necessario non perdere di vista l’attuale situazione e partire da quelli che sono gli elementi di criticità che ancora contraddistinguono lo scenario imprenditoriale.
Permane, infatti, elevato il peso dei prestiti bancari destinati a garantire l’attività ordinaria d’impresa a discapito degli investimenti (prestiti a breve termine vs m/l termine),
confermandosi come una delle principali cause della vulnerabilità delle imprese di
minore dimensione. I principali indicatori economici rilevati nel 2013 avvalorano così
un orientamento negativo che viene manifestato dalle stesse imprese in termini di deterioramento dei ricavi e peggioramento dell’occupazione.
Il 73% delle nostre imprese denuncia, purtroppo, un sistema bancario ancora troppo rigido nel concedere credito. Dal 14,7% al 12,0% diminuisce la percentuale delle PMI
che si sono recate in banca per chiedere un fido o la rinegoziazione del fido esistente
e ciò è vero ancora di più per le imprese artigiane. Queste condizioni segnano in maniera incisiva il semestre da aprile a settembre di quest’anno. L'effetto è una contrazione
dello stock degli impieghi al minimo negli ultimi sei anni al quale si deve aggiungere
un'incidenza degli oneri fiscali e contributivi sugli utili delle imprese, che in Italia è arrivata al 68,3%.
In questa logica, non possiamo che riaffermare il nostro ruolo di banca che si è dotata di modelli organizzativi coerenti con la necessità di sostenere la vicinanza con le realtà locali di riferimento. Salvaguardando la nostra vocazione di finanziare le attività produttive dei mercati territoriali, abbiamo fornito una risposta concreta alla contrazioni dell'offerta di credito.
Siamo, tra l’altro, pronti a recepire la nuova normativa
rispondendo con soluzioni innovative in termini di processo e di servizio sempre più performanti, potenziando, da
un lato, gli interventi già in essere, e partecipando, dall'altro, alle gare previste per l'aggiudicazione di quei bandi,
che sono emessi a favore degli artigiani e delle PMI.
Il nostro obiettivo è quello di cogliere le opportunità di
mercato, rivolgendoci ad un bacino di utenza di oltre 4 mln
di imprese dei settori Artigianato, Commercio, Turismo e
Servizi. Forti dei nostri risultati interpretiamo sempre
più la funzione di banca di sviluppo per il Territorio,
favorendo il sostegno e la crescita delle PMI.
Lo “stato di salute”
delle infrastrutture, quale
indicatore di competitività
dell’economia italiana
di Paolo Quirino

S

e il cambiamento del clima congiunturale
dovesse preludere ad una sollecita ripresa dell’economia italiana, l’interesse degli
operatori economici si dovrebbe verosimilmente concentrare sul modo di ripristinare il livello di competitività delle
imprese che sono state duramente colpite dalla crisi.
Né meno risoluto dovrebbe essere l’impegno delle
istituzioni a stimolare il recupero di quella massa di
occupati (circa 870 mila del 2008 fino ad oggi) che
a causa della depressione sono stati estromessi dal
mercato del lavoro: una estromissione che, unita ad
altre cause di depauperamento delle risorse disponibili, ha costretto le famiglie a ridurre sensibilmente i
consumi. E poiché alle più recenti difficoltà congiunturali si sono sovrapposte le carenze di ordine
strutturale che si trascinano da lungo tempo, particolare attenzione dovrebbe porsi anche sul settore
delle infrastrutture: su quel complesso di opere che
in assenza di adeguate manutenzioni ha risentito
l’effetto del logorio fisico e della obsolescenza.
La sovrapposizione tra problemi di carattere congiunturale e strutturale non poteva, d’altra parte,
non ripercuotersi sulle condizioni di stabilità del
sistema. Significative sono state, al riguardo, le flessioni della spesa in conto capitale denunciate
soprattutto dalle autonomie locali e il conseguente
abbassamento del livello d’infrastrutturazione del
territorio, causa non ultima della perdita di competitività del sistema.
La conclusione a cui si può realisticamente pervenire è che, in un settore che produce servizi di utilità
generale destinati a soddisfare le esigenze di sviluppo economico e sociale, l’Italia rischia di presentarsi all’appuntamento della ripresa con una dotazione
di infrastrutture molto inferiore a quella dei paesi
economicamente più sviluppati dell’Europa. Le
opere pubbliche, o a finanziamento pubblico, che si
configurano come infrastrutture possono essere assi-

4

Imprese & Territorio - novembre 2013

milate, infatti, ai fattori endogeni (capitale, lavoro e
attività imprenditoriale) di cui si avvalgono le imprese per lo sviluppo dell’attività produttiva e la collettività nel suo insieme. Ed è evidente che, sia che si
tratti di infrastrutture a carattere prevalentemente
economico (come autostrade, porti, oleodotti, centri
intermodali, piattaforme logistiche, etc.) sia che prevalga la loro finalità di sviluppo sociale (come strutture scolastiche, impianti sportivi, ospedali, fognature, etc), ciò non altera la loro natura di “esternalità”
positiva: di elementi che tendono, cioè, a rafforzare
il livello di competitività dell’apparato produttivo e
a migliorare la qualità della vita.
Purtroppo, la penuria di mezzi finanziari verificatasi
nel corso del lungo periodo di stagnazione dell’economia italiana e della depressione innescatasi sul
finire del 2007 non hanno consentito il necessario
ampliamento del patrimonio infrastrutturale e l’acquisizione di particolari strutture innovative. Non c’è
da meravigliarsi, quindi, se la dotazione attuale
risulti in parte obsoleta, le reti di trasporto presentino non poche smagliature e i tempi di realizzazione
delle opere non accennino a diminuire. Significativa
sembra essere al riguardo la vicenda della linea ferroviaria ad alta velocità che dovrebbe collegare
Torino a Lione. Dopo alcuni anni di concertazione
tra i due governi (italiano e francese) e il coinvolgimento della Commissione europea, che dovrebbe
garantire un cofinanziamento, si riteneva che i lavori relativi alla tratta italiana dell’opera potessero
essere regolarmente avviati a compimento. Ma la
decisione di realizzare un’infrastruttura così complessa ha subito mobilitato numerose schiere di
ambientalisti e di gruppi antagonisti (i cosiddetti “No
Tav”) che, al di là di ogni pur legittima aspirazione,
hanno messo a soqquadro i cantieri della Val di
Susa, impedendo per molto tempo il proseguimento
dei lavori.
La lista delle opere che a livello governativo erano
state considerate prioritarie, ma che per mancanza di
fondi sono state rinviate (o addirittura abrogate) è
piuttosto lunga, comprendendo fra l’altro: gli interventi per l’alta velocità, con particolare riguardo alla
linea ferroviaria Torino-Lione e al completamento dell’asse Brescia-Verona; il fantomatico collegamento
autostradale tra Salerno e Reggio Calabria; il cosiddetto programma “Sei mila campanili”; il finanziamento
dell’Expo di Milano; la realizzazione del Mose destinato a proteggere Venezia dalle inondazioni marine,
e così via.
Ma ciò che più risalta dall’analisi dei dati elaborati a
livello provinciale dall’Unioncamere è la forte variabilità delle dotazioni esistenti nelle singole province e,
più in particolare, il sensibile divario tra le due grandi ripartizioni territoriali: Centro-Nord e Mezzogiorno.
Se si assumono infatti come base del confronto i valori medi dell’Italia, dalla tabella si rileva che il complesso delle regioni meridionali presenta uno scarto
negativo pari a circa il 21 per cento. Ed è soltanto per
i porti (il cui scarto è uguale a –4,1%), le sedi scolastiche e universitarie(-3,0%) e, a sorpresa, il grado di
copertura dei servizi della banda larga (-4,2%), che il
Mezzogiorno raggiunge un livello di dotazione quasi
uguale alla media nazionale; mentre se ne distacca in
misura ragguardevole con riguardo alle strutture culturali e opere d’arte (-38,6%), alle strutture finanziarie
e produttive (-35,0%) e a quelle aeroportuali (-37,5%).
Uno sguardo ai dati del resto dell’Italia consente di
rilevare, inoltre, che è l’area centrale quella che detiene il primato in termini di disponibilità di infrastrutture. Con un indice generale che è pari a circa il 20% in
più rispetto alla media nazionale, essa raggiunge, fra
l’altro, un livello superiore di oltre il 50% nei confronti dell’area meridionale. Ma se si passa all’analisi
regionale dei dati, appare evidente come la suprema-

zia dell’Italia centrale sia ascrivibile quasi esclusivamente al Lazio (+ 50,5% sulla media nazionale al
netto dei porti), per effetto soprattutto di Roma, e in
lieve misura alla Toscana (+ 6,0%) mentre le Marche
e l’Umbria, con scarti rispettivamente pari a –12,2% e
–20,0%, scendono al di sotto della media.
In definitiva, dalla rilevazione dell’Unioncamere risulterebbe confermata la regola secondo cui sono le
regioni più sviluppate del Centro-Nord a disporre di
un maggior volume di infrastrutture, con punte particolarmente elevate nella Capitale, sede di numerose
opere d’arte e di organizzazioni economiche e socioculturali. E ciò al contrario delle regioni meno sviluppate del Sud-Isole, dove lo stock di infrastrutture di
cui dispongono non riesce a soddisfare i bisogni crescenti della collettività e non consente neppure di
attrarre quegli investimenti esterni che sarebbero
necessari anche a complemento delle iniziative locali
giudicate insufficienti.
E tuttavia necessario rilevare che i programmi governativi di realizzazione delle infrastrutture hanno quasi
sempre cercato di venire incontro alle esigenze
dell’Italia meridionale, anche quando le difficoltà ivi
incontrate sono risultate molto più marcate di quelle
riscontrabili nel resto dell’Italia. Come non manca di
sottolineare infatti la Direzione Nazionale Antimafia,
nonostante l’azione di contrasto esercitata dalle forze
dell’ordine, le infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore degli appalti continuano ad essere una
delle maggiori remore alla regolare attuazione delle
opere pubbliche nel Sud. E non è tutto: altri motivi di
preoccupazione derivano dalle lunghe e tortuose procedure burocratiche (di cui non sono comunque
immuni neppure altre regioni), dalla bassa percentuale di utilizzo dei fondi comunitari e dalla scarsa diffusione che hanno avuto nel Mezzogiorno le operazioni di project financing.

Disponibilità delle principali infrastrutture per ripartizione territoriale nell'anno 2012
(Numeri indici: media nazionale = 100)
SETTORI
Rete stradale
Rete ferroviaria
Porti e punti di ormeggio di imbarcazioni
Aeroporti commerciali
Reti energetico-ambientali
Servizi a banda largae e varie
Strutture finanziarie e produttive
Sedi scolastiche e universitarie
Strutture culturali e opere d'arte
Strutture sanitarie e ospedaliere
Totali settori
- di cui al netto dei porti

Nord
Nord-Ovest
Nord-Est
111,2
111,2
102,6
118,5
49,1
135,5
122,7
81,3
127,3
126,9
112,8
90,2ì
135,3
110,1
99,2
97,0
97,8
98,2
116,1
99,4
107,4
106,8
113,9
103,6

Centro
96,3
120,4
131,2
159,8
98,7
100,7
110,4
109,8
170,5
105,5
121,1
120,0

Sud e Isole

ITALIA

88,2
76,3
95,9
62,5
67,1
96,8
65,0
97,0
61,4
87,7
79,8
78,0

100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0

Fonte: Unioncamere (Camere di Commercio d'Italia)

Imprese & Territorio - novembre 2013

5
Lotta all’evasione fiscale
per una riduzione delle imposte
di Giovanni Miele
ategorie e forze politiche sono ormai sempre più consapevoli che il fulcro
della politica economica si trova a Bruxelles dove in sostanza si stabiliscono
i parametri ai quali i governi nazionali devono attenersi nel guidare l'economia dei singoli stati. Ma proprio la rigidità di questi parametri sta producendo un
clima di insoddisfazione e di insofferenza sempre più diffuso nel mondo della produzione e dell'artigianato. Chi si è fatto carico più volte del malessere e del disagio
della piccola impresa e del lavoro autonomo è stato in particolare il viceministro
all'economia Stefano Fassina.

C

On. Fassina, nella squadra
del Governo Letta lei è forse
il più critico nei confronti
della politica economica
dell'Unione Europea. Cosa
dovrebbe fare l'Italia per
sottrarsi alla cura imposta
da Bruxelles che rischia di
uccidere il malato?
Non si tratta di “sottrarsi” a
qualcuno o a qualcosa; né si
tratta di un problema esclusivo dell’Italia, che siamo
costretti ad affrontare in solitudine cercando la nostra scappatoia. Si tratta di affrontare
strutturalmente i molti problemi di un’Europa che non funziona, per via di vizi che sono
insiti nel suo attuale assetto
istituzionale, nei processi decisionali e nell’orientamento
politico prevalente. Il risultato
finale è la sopravvivenza di
una politica economica mercantilista che si è dimostrata e continua a dimostrarsi
del tutto fallimentare. E l’accanimento ideologico è
evidente: siamo arrivati ad accogliere con giubilo
qualche timidissimo segno “+” dopo cadute di Pil di
10, 15 e finanche 25 punti percentuali (rispetto ai livelli pre-crisi), in paesi in cui la disoccupazione supera il
27% ed è previsto che rimanga su valori simili per vari
anni a venire! Si tratta, quindi, di iniziare un percorso
in cui un grande paese come l’Italia può avere un
ruolo centrale, ma che non può sostenere da solo:

6

Imprese & Territorio - novembre 2013

riformare profondamente le
istituzioni europee e rimettere mano ai trattati, dare
più peso al Parlamento
europeo e meno alle tecnocrazie autoreferenziali che
non sentono la necessità di
fare i conti con le tragedie
che milioni di persone stanno vivendo in questi anni.
Questo significa dare più
voce al popolo europeo e
lasciare che finalmente si
formi un sentimento politico di respiro continentale,
l’unico collante che possa
tenere in vita l’Eurozona e
l’Unione Europea.
On. Fassina, stiamo assistendo ad una drammatica morìa di imprese, specialmente le artigiane,
costrette spesso a chiudere perchè non sono più
in grado di sopportare la pressione fiscale. Cosa
si può fare in concreto per salvare tante piccole e
medie imprese dal naufragio?
In questo paese il prelievo fiscale complessivo ha raggiunto certamente livelli insostenibili, specialmente su
alcune categorie di contribuenti. Il problema si è drasticamente acuito negli ultimi anni, grazie alle politiche di austerità e ai vincoli che ci sono stati imposti,
che ci hanno fatto avvitare in una spirale recessiva in
cui tagli di spesa e aumenti delle imposte hanno por-
tato ad un netto incremento dello stock di debito: era
poco più del 103% del Pil nel 2007, siamo quasi al
128% oggi. In poche parole, ogni nuovo aumento di
tasse ne rende necessari altri nell’immediato futuro. E
lo stesso vale per i tagli di spesa, checché ne dicano
Alesina e Giavazzi. È chiaro che, in un quadro del
genere, non esistono soluzioni facili: un governo sottoposto agli attuali vincoli europei non ha spazi significativi per ridurre la pressione fiscale. Gli enormi sforzi che stiamo facendo in questo senso daranno luogo
a interventi di qualche rilevanza, ma di certo non
“risolutivi”. Personalmente, credo sarebbe molto utile
riproporre su vasta scala un regime sostitutivo per i
cosiddetti “contribuenti minimi”, simile a quello introdotto dal secondo governo Prodi e smantellato da
Tremonti. Ma per abbassare la pressione fiscale in
modo sensibile è necessario tornare a crescere, e non
di uno “zero virgola”. È necessario definire un patto
chiaro con tutti i contribuenti: ogni euro recuperato
dall’evasione fiscale deve essere destinato a riduzione
di imposte. Infine, è importante tornare ad una crescita che assorba disoccupazione: i tagli di spesa
vanno fatti nelle fasi positive del ciclo. Oggi, è decisivo sostenere gli investimenti pubblici e privati. È innegabile che, ad oggi, molte piccole imprese non riescano a far fronte ai loro impegni con l’erario; riconoscere quest’evidenza – come ho fatto di recente, suscitando molte reazioni diverse – non deve assolutamente
apparire come una giustificazione all’evasione fiscale,
ma come un ulteriore segnale dell’insostenibilità delle
scelte di policy fatte finora.
Un altro punto dolente per le piccole e medie
imprese è quello del costo del lavoro che è la
causa principale della disoccupazione giovanile e
finisce col rendere le nostre aziende artigiane
scarsamente competitive sui mercati internazionali. Ritiene che gli interventi previsti dal
Governo possano rappresentare un rimedio efficace per avviare la ripresa produttiva ed occupazionale?
Quello del costo del lavoro è un argomento molto
delicato, che solo per certi versi si sovrappone al problema della pressione fiscale. Anche in questo caso,
infatti, è certamente vero che in Italia il cuneo fiscale
è molto alto e pesa in misura consistente sulle imprese. Ma bisogna prestare attenzione ad altri dati per
capire quanto a ciò siano effettivamente imputabili le
difficoltà che viviamo. Le cito alcuni dati Eurostat
molto importanti ma spesso trascurati nel dibattito: nel
2010 in Italia il costo medio di un lavoratore dipendente (comprensivo di retribuzione, imposte e contributi) nella manifattura era pari a 38.100 euro l’anno;
in Germania a 47.800, in Francia a 48.800, in Irlanda
a 49.400. La quota dei costi del personale sul valore
della produzione era pari al 15,5% in Italia e a circa il
20,5% in Germania e in Francia. Questi dati dipendono da diversi fattori: ad esempio, dal costo della vita
e dai livelli di salario, ma anche dalle specificità tecnologiche dei settori che compongono l’industria.

Però mi fanno pensare che probabilmente il nostro
principale problema non è il costo del lavoro. Altri
paesi con un modello di welfare simile al nostro
hanno livelli di cuneo fiscale addirittura più alti:
secondo l’Ocse, posto uguale a 100 il salario lordo del
lavoratore, il costo del lavoro per l’impresa in Francia
era pari a 144 nel 2012, rispetto al 132 dell’Italia. Molti
paesi sviluppati si attestano su livelli molto simili ai
nostri, mentre altri hanno un costo del lavoro globale
sensibilmente più basso (poco meno di 120 in
Germania, ad esempio). Il punto fondamentale resta
la scelta del modello da adottare: personalmente, non
credo che le PMI in Italia possano sperare di essere
internazionalmente competitive in termini di costi.
Non sarà un abbattimento del 3% del cuneo fiscale a
ridare slancio alle nostre imprese. E un’Europa in cui
i paesi membri si contendono quote di mercato
tagliando imposte e oneri sociali è un’Europa in cui
non sarebbe bello vivere: si tratterebbe di una gara al
ribasso la cui posta in gioco sono gli standard di vita
e di sicurezza sociale che abbiamo acquisito in oltre
mezzo secolo di sviluppo.
Nel dibattito sulla legge di stabilità le principali
forze politche della maggioranza che sostiene il
Governo, PD e PDL, hanno dato l'impressione di
guardare di più all'interesse della propria base
elettorale che a quello del paese nel suo complesso. Lei che cosa ne pensa?
Anche questo discorso è particolarmente delicato. La
democrazia rappresentativa si basa sui voti e i partiti
rappresentano, istituzionalmente, i promotori di interessi di parte. Non ci si può stupire del fatto che i partiti si pongano come obiettivo quello di tutelare l’interesse della propria base elettorale, perché si tratta del
loro ruolo istituzionale di “corpi intermedi”. Nel caso
dei grandi partiti, poi, ciascuno si trova nella condizione di dover tutelare istanze particolarmente complesse, perché hanno una base elettorale trasversale, seppur generalmente distinta da alcune caratteristiche di
base. Il rischio di questa difficile fase congiunturale –
e della logica emergenziale che la contraddistingue –
è che l’approccio del “governo tecnico” faccia passare in secondo piano alcuni aspetti essenziali della
fisiologia democratica: non si può bollare come
“populismo” qualsiasi istanza politica che vada contro
i dictat dei diversi livelli di tecnocrazia che oggi supervisionano (o gestiscono direttamente) i processi politici. Per un motivo essenziale: non esiste una definizione tecnica di “bene del paese”; il bene del paese,
in una democrazia in cui la sovranità appartiene al
popolo, è quello che la maggioranza dei cittadini – di
tempo in tempo – definisce essere tale, nell’ambito dei
principi stabiliti dalla nostra Costituzione.
Da cittadino e da rappresentante pro-tempore delle
istituzioni, prima che da politico, mi auguro che l’elettorato di ciascun partito sia in grado di valutare ciò
che è meglio per il paese, oltre che per sé stesso e che
mantenga sempre l’opportunità di esprimere col voto
il suo consenso verso determinate scelte.

Imprese & Territorio - novembre 2013

7
“Destinazione Italia”:
ridurre il peso della burocrazia
di Giovanni Miele
Sen. Vicari, Sono ormai
quasi tre anni che gli italiani sono chiamati a sostenere pesanti sacrifici per uscire dalla crisi ed imboccare
finalmente la strada della
ripresa. Dopo le politiche
restrittive del governo
Monti, il Governo Letta , di
cui lei fa parte , sta seguendo la cosiddetta politica dei
piccoli passi per raggiungere il traguardo di una
nuova fase di sviluppo, ma
il timore è che il prossimo
anno , fra IMU e TRISE gli
artigiani debbano pagare
oltre un miliardo in più di
tasse. Quali sono le sue previsioni?
Il nostro Paese vive un
momento di grande difficoltá,
frutto di una crisi economica
di carattere internazionale.
Questo ha imposto provvedimenti e misure capaci di
rispondere in maniera efficace
alle sollecitazioni dei mercati,
anche perché soprattutto
nella fase iniziale della crisi
l'Ue non ha saputo mettere in
campo azioni decise e forti.
Abbiamo dovuto attendere
l'arrivo di Mario Draghi alla
Bce per disporre di misure
alquanto vantaggiose, che
hanno consentito, se non di
invertire la tendenza, di mettere al riparo dalla speculazione le economie nazionali e di
garantire maggiori spazi di
manovra. Dopo aver operato
per garantire la stabilitá economica, il governo Letta é
nato con il chiaro intento di
invertire la tendenza: ciò che
non appare comunque piuttosto agevole, anche perché,

8

Imprese & Territorio - novembre 2013

ono 400mila le partite IVA
scomparse negli ultimi anni e
di queste la maggior parte è rappresentata da imprese artigiane e
lavoratori autonomi. In questa
situazione e in attesa di vedere
finalmente un po' di luce in fondo
al tunnel della crisi, artigiani e piccoli imprenditori continuano a
guardare con fiducia al Ministero
dello Sviluppo da dove si aspettano misure capaci di risollevarli da
una situazione diventata ormai
insostenibile. A mostrare particolare attenzione verso il mondo dell'artigianato e del lavoro autonomo
è stata di recente la Senatrice
Simona Vicari, Sottosegretario
appunto allo Sviluppo Economico

S

come a me piace ripetere,
l'Italia ha bisogno di uno
shock per ripartire e il limite
del
3%
del
rapporto
deficit/pil rappresenta un
freno enorme. La mia proposta è varare un'agenda di
riforme concordate con l'Ue
e che preveda anche lo sforamento temporaneo del
limite del 3 per cento.
Questo davvero potrebbe
consentirci di guardare al
2015 con una prospettiva di
crescita. Intanto nell'immediato siamo al lavoro per
garantire risorse e strumenti
per il rilancio delle piccole e
medie imprese. Giá nel
decreto “del fare” con il rifinanziamento del Fondo di
Garanzia e la semplificazione di tutti quegli adempimenti che riducevano, ed in
alcuni casi impedivano l'accesso a numerose imprese,
abbiamo voluto rispondere
alla crisi di liquiditá. Il credit
crunch é senza dubbio il
problema principale che
dobbiamo affrontare se
vogliamo far ripartire il sistema imprese in Italia. Ogni
mese si riduce il flusso di
crediti dalle banche alle
imprese, e questo impedisce
alle aziende di fare investimenti e di crescere. Il rifinanziamento del Fondo
vuole rispondere a queste
esigenza di liquiditá. E adesso con l'ulteriore riduzione
del tasso di interesse di riferimento da parte della Bce
allo 0,25%, il mio auspicio é
che le banche facciano ripartire i meccanismi del credito
alle imprese. Poi non possia-
mo non ricordare le misure per garantire il pagamento dei debiti della Pubblica Amministrazione alle
aziende. Parliamo di ingenti risorse sottratte alle
imprese e che messe in circolo potrebbero portare al
benificio di qualche punto di Pil. Inoltre abbiamo
previsto interventi per agevolare l'acquisto di nuovi
macchinari, riportando in vita la legge Sabatini, al fine
di stimolare gli investimenti ed il rinnovamento strutturale delle imprese. Ed infine, stiamo lavorando per
l'abolizione dell'Imu sui capannoni cosí da liberare
ulteriori risorse per le imprese. Questo per quanto
riguarda le misure di carattere economico; poi stiamo
lavorando ad interventi volti a ridurre il peso della
burocrazia sull'avvio di un'impresa, ma piú in generale sulla vita delle aziende stesse. Le inseriremo anzitutto sia nel prossimo provvedimento "Destinazione
Italia" e poi nella legge annuale sulle Pmi. Si tratta di
misure molto importanti. Basti pensare che la burocrazia pesa per circa un terzo sulla vita delle imprese, ostacolando in maniera decisa il loro sviluppo.
Un altro freno alla ripresa e allo sviluppo dell'artigianato è rappresentato dalla incapacità delle
Regioni, specialmente del Mezzogiorno, di utilizzare i fondi europei e anche quest'anno si rischia
di perdere importanti risorse per la nostra economia.
É un problema storico, ma direi cronico del nostro
Paese. In molti casi non sono i fondi a mancare ma
piuttosto le idee su come utilizzarli. A questo dobbiamo anche aggiungere i problemi legati alla burocrazia, che come ho spiegato prima rappresentano un
macigno per moltissime aziende. Su questo fronte
dovremmo lavorare alacremente, perché se l'Italia
vuole essere al passo con gli altri paesi europei deve
integrarsi anche su questo punto. In Europa bastano
solo pochi giorni per avere l'autorizzazione ad avviare un'azienda, mentre in Italia dobbiamo attendere
mesi. Senza contare, inoltre, i costi da sostenere. La
mia proposta é quella di passare ad un sistema di
controlli ex post, e cioé di prevedere una serie di
adempimenti a cui si dovrá attenere chi vuole aprire
un'impresa, lasciando allo Stato il compito di controllare, in una fase successiva, se tali prescrizioni sono
state rispettate. Meno tempo perso e meno spese: é
questa la strada da seguire.

no ancora un sistema legislativo che non le favorisce,
anche se devo ammettere che il vento sta cambiando.
Proprio il governo Monti aveva sottoscritto un accordo per l'istituzione di una sezione speciale dedicata
all'imprenditoria femminile all'interno del Fondo speciale di Garanzia. A questo accordo è seguita la costituzione di un tavolo tecnico presso il Ministero dello
Sviluppo Economico che dovrá favorire le forme di
credito da destinare alle imprese femminili. Nelle
prossime settimane convocheró il tavolo e lì sará la
sede per valutare ulteriori interventi di sostegno alle
imprese femminili.
Per concludere, Sen. Vicari, se dovesse consigliare ad un giovane di impegnarsi in un'attività
autonoma, verso quali settori lo indirizzerebbe e
con quali raccomandazioni , tenendo conto delle
difficoltà che dovrebbe affrontare entrando in
contatto con banche, pubblica amministrazione
e fisco?
Il campo dell'energia é quello che mi affascina maggiormente e che ritengo sia quello con maggiori prospettive di sviluppo. Consideriamo che entro il 2020
dovremo uniformarci a quanto stabilito dal Trattato di
Kyoto, e quindi il tema delle energie rinnovabili e
delle nuove tecnologie in campo energetico diventerà sempre piú centrale. Lo dimostra anche il rinnovo
per il 2014 dell'ecobonus, che non solo sará una boccata di ossigeno per il settore energetico, ma servirá
da stimolo per il comparto delle costruzioni. A questo si aggiunge il fatto che in Italia sono stati compiuti grandi passi in avanti in questo settore ed esistono
ancora grosse possibilitá di crescita. Tutto questo
anche se in alcuni casi la gestione dei fondi é stata
poco razionale. E a tal proposito credo che la stagione dell'assalto agli incentivi, dei sussidi di qualunque
natura o delle esenzioni varie per l'industria, la P.A. e
le PMI si sia chiusa. Ora dobbiamo lavorare affinchè
se ne apra un'altra, che veda la possibilità di accedere a forme di calmierazione del costo dell'energia
sulla bolletta in proporzione al livello di efficienza
energetica conseguito. Lungo questa strada, senza
alcun dubbio, l'energia sará protagonista del futuro.

Come donna impegnata in prima persona nella
squadra di governo, pensa che in questo particolare momento della vita del Paese siano necessarie misure specifiche per sostenere l'imprenditoria femminile?
Oggi l'imprenditoria femminile rappresenta la parte
piú dinamica della nostra economia. Lo dicono i
numeri che evidenziano come siano le donne piú
degli uomini a decidere di impiantare un'attivitá
imprenditoriale. Sono oltre 1,4 milioni le imprese
femminili e rispetto al 2012 c'é stato un incremento
dello 0,5%, con una maggiore concentrazione nel
Meridione. A fronte di questo, peró, le donne sconta-

Imprese & Territorio - novembre 2013

9
La nuova sfida dei
distretti industriali
di Domenico Mauriello

R

afforzamento della capacità competitiva
e assenza di nuovi percorsi di sviluppo
sono, paradossalmente, le due chiavi di
lettura attraverso cui leggere e interpretare la fase evolutiva che caratterizza
oggi gran parte dei distretti produttivi italiani. Se l’export registra una fase ininterrotta di crescita, le imprese e i territori in cui esse operano parlano,
invece, di nodi critici ancora da sciogliere e che rendono il contesto territoriale tuttora complesso.
La nuova competitività, fatta di innovazione di prodotto, di strategie di mercato aggressive, di reti tra imprese sempre più sofisticate e di ibridazione tra distretti
tradizionali e filiere lunghe della produzione, si scontra dunque con una crescita del distretto in sé - ovvero del territorio in cui esso ha avuto origine e in cui si
è incardinato - che sembra tardare ad arrivare. E questo paradosso della nuova competitività senza sviluppo, ha dei segni ben precisi. La crisi dei localismi d’impresa, come d’altra parte dell’intero manifatturiero italiano, è anzitutto una crisi occupazionale, frutto di un
mix di fenomeni che non sembrano essersi attenuati
negli ultimi cinque anni e che, anzi, si sono acuiti. Ma
la risposta a questa crisi risiede nella natura stessa dei
distretti, ossia in quel modello di sviluppo economico
e sociale «sostenibile» che ne ha segnato la nascita e lo
sviluppo, il cui paradigma produttivo fa leva sulla creatività e sui saperi, premiando chi investe in conoscenze, tecnologie, capitale umano e innovazione.
Modernizzare e “sincronizzare” questo modello alla
luce dell’evoluzione dei mercati rappresenta oggi la
vera sfida dei distretti: lo hanno ben compreso le tante
aziende che hanno creato nuove specializzazioni quel “new made in Italy” che vede l’Italia tra i primi
cinque Paesi al mondo per saldo commerciale con
l’estero - puntando sulla qualità e sulle unicità dei
nostri territori, e che hanno il loro polmone nella
Green economy.
Soprattutto grazie a queste imprese, oggi i distretti
hanno messo a segno un nuovo record: il secondo trimestre 2013 si è chiuso infatti con un export che, nel
complesso di queste aree, ha raggiunto i 76,7 miliardi
di euro a prezzi correnti. Al contempo, però, una
recente indagine Unioncamere segnala che circa il 22%
delle aziende di distretto ha registrato nel 2012 una
flessione delle vendite all’estero (era il 15% solo l’anno

10 Imprese & Territorio - novembre 2013

precedente) e la
causa, quasi unica,
di tale flessione è
attribuita a un ridimensionamento e riposizionamento
della domanda estera. Questa indicazione non può
essere sottovalutata, perché probabilmente nasconde,
al fondo, alcuni segnali che vanno letti per tempo. Se
il made in Italy e le produzioni di distretto hanno certamente una carica competitiva forte, soprattutto
all’estero, è altrettanto vero che molti mercati, anche e
soprattutto dei Paesi emergenti, stanno progressivamente rivedendo le proprie strategie, talvolta sostituendo con proprie produzioni alcuni prodotti intermedi del made in Italy, tal’altra chiedendo prodotti
completamente nuovi. Si tratta di un trend di mercato
che non va sottovalutato e che richiede un potenziamento ed un affinamento sia delle strategie di innovazione di prodotto e di processo che delle strategie di
mercato, in particolare di quelle commerciali.
Un’altra chiave di lettura, utile a leggere il significato
dell’attuale fase congiunturale, è quella che afferisce al
tema del distretto produttivo come sistema di competenze e di know-how. Una parte assai consistente degli
imprenditori contattati nella già menzionata indagine
realizzata da Unioncamere segnala, infatti, come elementi critici del contesto locale, la permanente difficoltà di reperimento di manodopera qualificata, la presenza insufficiente - e non solo nelle aziende di maggiori dimensioni e in quelle con una posizione di leadership - di figure con competenze manageriali, nonché difficoltà nell’attuare efficacemente il ricambio
generazionale. Resta quindi il problema, forse ancora
sottovalutato, che - per rinnovarsi e mantenere elevati
livelli di capacità competitiva - il distretto ha bisogno
di implementare costantemente le sue competenze
professionali, il saper fare specifico, il know-how proprio del territorio. In altri termini, l’attuale complessità
dei mercati e le criticità di fronte alle quali molti distretti si trovano devono essere affrontate con il rafforzamento delle competenze e, per così dire, con “intelligenze di distretto”, attraverso investimenti in percorsi
formativi, sostegno all’imprenditorialità, diffusione di
una più alta cultura d’impresa.
Vi è ancora un altro aspetto, che è quello legato alla
crisi di liquidità. Quasi la metà delle imprese analizzate
nell’indagine Unioncamere registra un allungamento
• Il potenziamento dell’organizzazione aziendale
attraverso l’innalzamento delle competenze interne,
la ridefinizione delle strategie di interrelazione con
i segmenti a monte e a valle dell’azienda, il miglioramento del processo produttivo attraverso percorsi di innovazione “sostenibile” che abbiano al centro il lavoro e la valorizzazione dei saperi locali;
• l’internazionalizzazione sempre più spinta e il riposizionamento sui mercati esteri, anche attraverso
politiche distributive con una forte carica innovativa o investimenti diretti finalizzati a presidiare in
modo veloce e diretto mercati lontani o emergenti;
• l’allungamento e l’ibridazione delle filiere che attraversano o che partono dai distretti produttivi. È
indubbio che negli ultimi anni i cluster più efficienti si siano incardinati in filiere di produzione lunghe, andando anche oltre la pratica della gestione
delle funzioni strategiche tutte all’interno. Non è un
caso che, per i tre quarti delle imprese distrettuali
dell’indagine Unioncamere, i fornitori più rilevanti
siano localizzati fuori dal distretto, così come più
del 50% del mercato (in termini di fatturato) abbia
origine all’estero;
• la partecipazione a reti intelligenti, ovvero a reti che
favoriscano la circolazione e la condivisione di
conoscenze e di pratiche non solo legate all’innovazione di processo o di prodotto, ma soprattutto utili
a rendere più efficienti (e, soprattutto, eco-efficienti) alcuni processi o ad attivare nuove strategie di
mercato. Molte delle analisi condotte sul campo
negli ultimi anni sembrano confermare una sorta di
upgrading delle reti collaborative che, da semplice
strumento di scambio di informazioni, sono spesso
diventate reti di progettazione di sistemi di acquisto
di materie prime, di sistemi di ricerca e test di prodotto, di creazione e promozione di marchi comuni.
Internazionalizzazione, sostenibilità, nuove politiche
di filiera e rafforzamento delle reti di competenze e di
know-how appaiono, dunque, come le chiavi interpretative che meglio e più di altre possono oggi spiegare i punti di forza e le criticità dei distretti e che permettono di delineare possibili percorsi futuri.

dei tempi di riscossione dei crediti commerciali: ciò che,
nella quasi totalità dei casi, corrisponde ad una ulteriore posticipazione degli incassi stessi: ben il 47% ritiene,
infatti, che nel 2013 si siano evidenziati molti crediti
non pagati per difficoltà o fallimento di alcuni clienti. Il
quadro appare, dunque, molto complesso; e, d’altra
parte, l’interlocuzione ancora difficile con il sistema
bancario - salvo casi virtuosi in cui sono stati attivati
programmi specifici di finanziamento di nuovi investimenti o di sostegno all’internazionalizzazione - non
sembra aiutare. L’effetto più evidente, soprattutto nel
lungo periodo, è il ridimensionamento della capacità di
investimento dei distretti, che rischia di limitare anche
la piena affermazione del nuovo modello di cui si è
detto, basato sull’innovazione “sostenibile”. Non sembra un caso che tra il 2011 ed il 2012 la percentuale di
aziende distrettuali che ha effettuato nuovi acquisti di
macchinari sia passata dal 53% al 48%, e quella di chi
ha effettuato acquisti di apparecchiature informatiche e
investimenti in software e servizi informatici sia passata
dal 57% al 46%. E’ difficile dire quali possano essere le
soluzioni a questo tipo di problemi. Quello che è certo
è che, nella maggior parte dei casi, non sembrano essere più sufficienti interventi - ancorché virtuosi – quali le
azioni di mitigazione del rischio da parte dei confidi o
le iniziative di sostegno a programmi di sviluppo da
parte di banche locali o di gruppi nazionali. Occorre
invece un’azione concertata, a livello di ciascun distretto, che veda un coinvolgimento diretto delle imprese,
del sistema bancario e di altre strutture intermedie, a
partire dalle Camere di commercio.
Sono queste le principali scommesse per il futuro dei
distretti, che possono essere vinte solo puntando sulla
rielaborazione in chiave moderna di quel modello tutto italiano - di sviluppo sostenibile del territorio, nel
quale innovazione e benessere si abbinano alla coesione sociale. Data la complessità di questo scenario,
diventa quanto mai importante individuare gli assi di
progressione lungo i quali corrono già oggi pratiche
innovative e che possono, quindi, rappresentare il
punto di partenza di strategie di intervento a sostegno
del cambiamento e dello sviluppo di questi territori:
80

60

Dinamica delle
esportazioni
cumulate dei
principali distretti
industriali italiani
(miliardi di euro a
prezzi correnti)

55

Fonte: elaborazione Fondazione

76,7
73,8

75
70
65

Edison su dati Istat
50
45
40
1995

1996

1997

1998

1999

2000

2001

2002

2003

2004

2005

2006

2007

2008

2009

2010

2011

2012

2013

Imprese & Territorio - novembre 2013

11
Razionalizzare i costi della
politica e modificare il
sistema istituzionale
di Giovanni Miele
opo la separazione dalla rinata Forza Italia di Silvio Berlusconi i ministri del
Nuovo PDL hanno dichiarato di voler dare un impulso decisivo all'azione del
governo Letta. Alla scadenza dei prossimi dodici mesi - ha detto il
Vicepremier Angelino Alfano - faremo un bilancio degli obbiettivi raggiunti. Fra questi
lo stesso Alfano ha posto in primo piano la riforma elettorale e quella
dell'ordinamento dello Stato. Riforme sulle quali è impegnato in prima persona il
ministro Gaetano Quagliariello, uno dei promotori della formazione politica , il Nuovo
Centrodestra, nato dall'esperienza del PDL.

D

Ministro Quagliariello, il
tema del rapporto fra cittadini e politica e più in particolare fra mondo dell'impresa e mondo politico, è
certamente molto sentito
da chi, come un artigiano
o un piccolo imprenditore, viene chiamato a sostenere pesanti sacrifici mentre partiti e istituzioni continuano a rappresentare
un costo notevole per le
casse dello Stato. Lei che è
ministro delle riforme istituzionali, come pensa che
possa essere recuperato
questo rapporto e la credibilità delle forze politiche?
Non solo è possibile, ma è
doveroso. E credo che per
farlo sia necessario percorrere tre strade. Occorre una
razionalizzazione dei costi
della politica che, senza minare il funzionamento
della democrazia, elimini sprechi e opacità: si tratta
di interventi che quantitativamente incidono poco
nel bilancio dello Stato, ma ai quali i cittadini annettono un grande valore simbolico soprattutto in un
momento di crisi come quello che stiamo attraversando. In secondo luogo, è necessario che lo Stato

12 Imprese & Territorio - novembre 2013

mostri un rigore nell’adempimento delle proprie
obbligazioni almeno pari a
quello richiesto ai cittadini.
Ciò significa saldare i debiti delle pubbliche amministrazioni nei confronti
delle imprese, rendere più
efficiente e meno farraginosa la burocrazia. Ma,
soprattutto, bisogna incidere sul vero costo strutturale che frena la competitività del nostro Paese: l’inadeguatezza del sistema istituzionale. Due Camere con
quasi mille parlamentari
che fanno la stessa cosa,
un procedimento legislativo che dura il doppio
rispetto alla media degli
altri Paesi europei, una
conflittualità costante tra
legislatore nazionale e
legislatore regionale cronicamente risolta dalla Corte
costituzionale, una sovrapposizione di competenze
e responsabilità tra i troppi e confusi livelli di governo, sono fattori che producono un costo ormai insostenibile, sia in termini di spesa che in termini di
mancate opportunità. Ecco, accanto agli interventi
immediati, solo una riforma delle istituzioni potrà
rimettere il nostro Paese in carreggiata, anche dal
punto di vista dello sviluppo economico e della
competitività.
Nel confronto fra i partiti c'è chi sostiene la necessità di arrivare al più presto ad un nuovo assetto
istituzionale e ad un nuovo ordinamento dello
Stato e chi invece pensa che sia più realistico puntare ad una riforma elettorale che consenta almeno di superare il porcellum, per restituire agli
elettori il diritto di scegliere i propri rappresentanti in Parlamento. Lei da che parte sta?
Io sto dalla parte delle riforme, perché per troppo
tempo abbiamo commesso l’errore di caricare sulle
esili spalle della sola legge elettorale il peso della riorganizzazione del sistema politico. Dopo tanti anni di
fallimenti, e dopo aver sfiorato la paralisi istituzionale
al’indomani delle ultime elezioni politiche, dovrebbe
essere ormai diffusa la consapevolezza che senza una
revisione del funzionamento delle nostre istituzioni
non vi sarà legge elettorale che tenga. Credo dunque
che si debba fare di tutto per portare a termine il percorso delle riforme – bicameralismo, titolo V, forma di
governo – e in questo quadro fare una nuova legge
elettorale che sia coerente con il modello prescelto.
Allo stesso tempo, tuttavia, ritengo che un governo
debba stare in piedi per quel che è capace di fare e
non per l’impossibilità di andare al voto. E poiché
tanto l’inadeguatezza dell’attuale quadro partitico
quanto la pendenza di un giudizio davanti alla Corte
costituzionale rendono impossibile il ricorso alle urne
con la legge elettorale vigente, fin da maggio il governo ha sollecitato il Parlamento e le forze politiche a
procedere a un intervento di ‘messa in sicurezza’ del
cosiddetto Porcellum che, in attesa della riforma definitiva, ne corregga le più evidenti storture.
In sostanza, perchè un cittadino qualunque, preso
dai suoi problemi quotidiani e dalla preoccupazione di superare in qualche modo questa difficile congiuntura economica, dovrebbe considerare
importante realizzare le riforme istituzionali alle
quali lei sta lavorando?
Perché l’incapacità delle nostre istituzioni di assumere
decisioni rapide, tempestive ed efficaci, la confusione
di ruoli e competenze che deresponsabilizza i decisori pubblici a tutti i livelli, la farraginosità del meccanismo di formazione delle leggi, una giustizia non giusta
e non efficiente, e i tanti altri limiti che rendono il funzionamento del nostro Stato inadatto a reggere la competizione globale nella quale ormai siamo inseriti, rappresentano il principale freno allo sviluppo del nostro
Paese. Gli interventi in campo economico sono certamente necessari e urgenti, ma solo se sostenuti da istituzioni che funzionano possono ambire ad avere il
necessario respiro.
Il prossimo anno gli italiani saranno chiamati a
eleggere i loro rappresentanti nel Parlamento
Europeo. Che senso ha procedere in questo parti-

colare momento storico a radicali riforme dell'ordinamento dello Stato, mentre si assiste ad una
sostanziale cessione della sovranità nazionale a
favore delle istituzioni europee?
È vero il contrario: proprio perché siamo inseriti nel
contesto europeo, con tutto ciò che ne consegue
anche in termini di competizione, l’efficienza delle istituzioni diventa un fattore decisivo. In ogni caso, quello della costruzione europea è un altro grande tema
con il quale le forze politiche sono chiamate oggi a
misurarsi. L’integrazione europea è ormai un processo
ineludibile. Più che cercare di sottrarvisi, bisogna dunque cercare di parteciparvi da protagonisti. Questo
significa valorizzare il nostro ruolo geopolitico di cuore
dell’Europa mediterranea e cerniera con l’Est e con il
Sud del mondo: un ruolo sul quale fare leva per costituire un asse in grado di bilanciare lo strapotere baltico. Questo significa contribuire alla ricostruzione delle
grandi famiglie politiche europee in un’ottica di solidarietà. Questo significa recuperare quel metodo iniziale
sul quale l’Unione è nata – la fissazione di obiettivi
progressivi e la cessione di quote di sovranità finalizzate al raggiungimento dello scopo prefissato –, che si
è inceppato proprio di fronte alla sfida più importante, la moneta unica. Con l’avvento della crisi è apparso evidente come all’origine della debolezza strutturale della costruzione europea vi sia fondamentalmente
una perdita di visione e di identità. Ecco, io credo che
per ricostruire un tessuto connettivo vi sia bisogno di
Stati nazionali forti e autorevoli, perché da un’unione
di forze capaci di coniugare interessi nazionali e solidarietà continentale può nascere davvero l’Europa,
mentre da una sommatoria di debolezze – o, peggio,
da una sommatoria squilibrata di forze e debolezze –
può derivare solo altra debolezza.
In conclusione, Ministro Quagliariello, qual'e'
secondo lei l'ordinamento ideale dello Stato e
quale quello possibile e realizzabile per il nostro
Paese alla luce del confronto politico in atto?
In questa fase non spetta a me indicare dettagliate
soluzioni, ma certamente il modello delineato dalle
riforme dovrà essere tale da far recuperare alle istituzioni rappresentatività e capacità decisionale. Ciò
sapendo che i due obiettivi non sono affatto in contraddizione, ma anzi vanno di pari passo: istituzioni
incapaci di assumere decisioni perdono infatti capacità rappresentativa perché si allontanano dai bisogni
dei cittadini. A me tocca comunque il compito di mettere in campo un percorso che porti il Parlamento e le
forze politiche a pronunciarsi in tempi certi e non troppo lunghi, e i cittadini a essere il più possibili partecipi della riscrittura delle regole del gioco che appartengono a tutti. In ogni caso, l’auspicio condiviso è che
dal processo di riforma scaturiscano istituzioni più
forti, più autorevoli, più efficienti, in grado di dare efficacia alle decisioni, linfa alla politica, pienezza alla
democrazia. E, soprattutto, l’augurio è che dopo trent’anni di tentativi andati a vuoto questa sia la volta
buona. Io ce la sto mettendo tutta.

Imprese & Territorio - novembre 2013

13
Social Media e PMI
Socializzare l’impresa,
istruzioni per l’uso
di Marco Michelli
acebook, Google Plus, Twitter, Instagram o LinkedIn: questi nomi vi dicono
qualcosa? Sono tra i più diffusi social media e permettono, come lo stesso sito
pmi.it ha segnalato, “di potenziare e rendere più duratura la relazione con i
consumatori attraverso le comunità digitali, a tutto vantaggio della capacità di generare business”.
Ebbene, molto spesso sono stati considerati come mezzi alternativi se non sostitutivi della realtà tradizionale ed in particolare dei canali distributivi classici, così come
non è un caso che l’e-commerce sia ancora guardato con diffidenza dalle imprese.

F

QUALCHE DATO
In base ai dati pubblicati dal sito
“The Website Marketing Group”
relativi alla diffusione e uso dei
social media, si stima che il numero
di persone che negli Stati Uniti ha
accesso a internet attraverso apparecchi mobili sia di oltre 818 milioni, con un incremento nel biennio
2011-13 del 60,3%.
In tale periodo Facebook ha raggiunto i 665 milioni di utenti attivi
ogni giorno, mentre 45 milioni di
fotografie vengono postate ogni
giorno su Instagram; Google Plus è
divenuto il secondo social media
più grande al mondo con la crescita
più alta (46%) tra gli utenti di età
compresa tra i 45 e i 54 anni. Inoltre,
Twitter è il social network che si sta
diffondendo più velocemente nel
pianeta (il 21% degli utenti web lo
usa ogni mese) e i suoi utenti, quando si rivolgono a un customer service, nell’83% dei casi si aspettano di
ricevere una risposta il giorno stesso. Sempre riferendoci ai dati della
ricerca, si rileva che Pinterest è usato
da 70 milioni di utenti - con un
incremento di 20 milioni da febbraio a settembre 2013 – ed è diventato il punto di riferimento delle condivisioni social di e-commerce. Ogni

14 Imprese & Territorio - novembre 2013

minuto vengono caricate su
YouTube circa 100 ore di video e,
per concludere, ogni secondo che
passa, LinkedIn acquisisce due
nuovi iscritti, annoverando già 2,6
milioni di imprese che hanno una
pagina aziendale sul social network.
Numeri stratosferici.

“SOCIALIZZARE”
UN’IMPRESA
Proprio la crisi, e la conseguente
necessità di allargare il proprio bacino di utenza (e di entrate) stimola a
guardare al web come ad un’opportunità, a patto che “si parta dalla
consapevolezza che la rete ha cambiato, a monte, il comportamento
informativo e decisionale dell’utente
e, a valle, le aspettative e le scelte
d’acquisto”, come precisa anche
pmi.it
Come dimostrano i dati, la diffusione capillare della “rete”, con l’esplosione dei social media – 1 utente su
2 accede a Facebook tutti i giorni
anche grazie alla navigazione da
smartphone – ribadisce la necessità
anche da parte delle pmi di impostare una strategia ad hoc per tali
mezzi, tesa a conquistare gli utenti
della “rete”. Ciò perchè il consumatore appare sempre più informato,

obbligando il venditore a dare maggiori competenze diversificando i
canali di approccio, pur senza
abbandonare il ruolo della relazione
interpersonale, dell’assistenza pre e
post vendita, della consulenza personalizzata. “La Rete non snatura la
professionalità del venditore, ma la
sfida e la valorizza” è il grido di battaglia che pmi.it fa proprio nello stimolare le aziende ad agire.
Dunque, avere una presenza sui
social media sembra oggi indispensabile per qualsiasi realtà aziendale
che voglia sfruttare il canale web in
modo realmente efficace. L’hanno
capito anche gli imprenditori, per lo
meno i più “illuminati”: “Sono state
proprio le esigenze dei clienti a farci
comprendere la necessità di avere
un sito web: tra l’altro, mentre solo
due anni fa chiedevano un riferimento online, adesso domandano
se sia possibile effettuare acquisti,
obbligandoci a rivedere le nostre
strategie. Del resto la clientela straniera è per noi fondamentale” dicono Antonella e Antonio meglio noti
come “Autori capresi” www.autoricapresi.it che, nel centro storico di
Sorrento, hanno un atelier sartoriale
che, anche grazie alla rete, è più
conosciuto all’estero che in Italia.
QUAL È IL TUO PROFILO?

Cominciare è abbastanza semplice
tranne per chi, in passato, non ha
maturato esperienze specifiche
(quelli prima della generazione
Commodore o Atari, per intenderci):
in genere si parte dal mettere online
un sito, usando prevalentemente
delle amicizie per realizzarlo; poi
piano piano si affinano le conoscenze, si cercano i social più adatti a
declinare le proprie strategie e si va
alla ricerca di elementi per dare una
particolare peculiarità al proprio
prodotto e contraddistinguersi in
rete. Spulciando online è facile trovare iniziative mirate e particolari,
da chi si è specializzato (e magari fa
tutto in proprio), a chi ha integrato i
diversi social media disponibili (una
guida su cosa ciascuno possa mettere a disposizione è facile trovarla
online), fino a chi ha segmentato la
propria proposta: ad esempio, Nello
Oliviero, gestore dell’omonima villa
di Positano (villaoliviero.it), ha lanciato un sito e dedicato appositi servizi ad hoc volti a soddisfare le specifiche esigenze dei turisti “born in
the USA”; diversa segmentazione è
quella scelta da Ludovico Sivieri,
titolare di ImperiaSuite.com , azienda del settore B&B di Roma:
“Internet è il cliente – spiega – tanto
che in un anno abbiamo tradotto il
sito in 5 lingue e non abbiamo mai
utilizzato la pagina in italiano” Ciò
non vale solamente per l’abbigliamento, il settore alberghiero o
l’agroalimentare ma per qualsiasi
attività che intenda allargare il proprio ambito di utenza, tenendo
conto che la vera diffusione sta nel
passaparola, ossia nel gradimento
che viene segnalato da chi ha comprato o utilizzato il prodotto. Detto
così può sembrare fattibile:“Bisogna

fare attenzione e non pensare che le
iniziative online abbiano costi ridotti rispetto all’attività tradizionale” a
dirlo è l’artefice di ChiaraKet.com
vera e propria boutique on line nota
per la vendita di borse, bijoux ed
accessori moda, che si dedica solo
alla vendita online. In tal modo si
consente al cliente di provare nuove
strade e scegliere comodamente
seduti in poltrona gli accessori più
graditi con la garanzia di acquisti
sicuri: da questo punto di vista, oltre
l’attività di promozione, è divenuto
fondamentale il passaparola. Ma
bisogna dedicarci tempo e appositi
investimenti, oltre ad essere in grado
di muoversi tra i diversi social
media.

MA È (REALMENTE)
FACILE PER UN’AZIENDA
“ANDARE” SUI SOCIAL
NETWORK?
Dunque, se per accedere ai social si
intende creare un account, inserire
qualche informazione, qualche
video, qualche immagine, e interagire ogni tanto con i propri interlocutori, allora possiamo dire anche che
la cosa è facile; però, con altrettanta
sicurezza, possiamo anche dire che
è perfettamente inutile. A rilevarlo è
Alessandro Scuratti, autore di comunicaresulweb.com, blog dedicato
alla comunicazione online e, in particolar modo, alle dinamiche comunicative
sui
social
media.
“Un’azienda per cominciare ad utilizzare i social network con profitto
deve, in qualche modo, diventare
social, deve trasformarsi” - spiega
Scuratti nell’articolo “Come si fa a
“socializzare” un’azienda?” - “E’
necessaria una formazione adeguata, che può essere sviluppata sia
internamente (se l’azienda è in
grado con personale interno o con
propri consulenti di realizzarla) che
esternamente (partecipando ad
esempio a workshop formativi). In
seguito, bisogna definire gli obiettivi
da raggiungere e allineare a questi la
strategia social: gli uomini del marketing devono capire ormai che il
brand non è più quello che l’azienda pensa o vuole che sia, ma è quello che i clienti, le persone, dicono

essere. Poche informazioni, mirate e
di qualità sono molto meglio che
centinaia di “tweet” esclusivamente
promozionali e unilaterali. Il servizio
clienti dell’azienda deve saper usare
i social per aiutare i propri clienti,
oltre ad essere in grado di raccogliere velocemente i feedback provenienti dalla rete social e agire di
conseguenza”.
Ciò non toglie che vi siano tante leggende che girano attorno ai social,
in particolar modo attorno al social
media marketing, quella branca del
marketing che dovrebbe occuparsi
della promozione delle aziende tramite Facebook, Twitter e company.
“Queste bugie, via via ingrandite e
fomentate da chi ci capisce poco o
niente, potrebbero farvi fare errori
grossolani, con conseguenze di rilievo per la stessa attività” chiarisce la
blogger Veronica Gentili. Tra le
bugie - che non vi sveliamo per non
guastarvi la lettura di “Le 5 bugie sul
social media marketing” sul sito
veronicagentili.com - “Non basta la
presenza, ma l’importante è il
“come” si è presenti: se devi esserci
per esserci, tanto vale scegliere di
non esserci per niente” chiosa
Gentili.
In conclusione, vale la pena utilizzare i social media anche se non si è
più giovani e semmai (ma siete davvero pochi!) non aveste mai utilizzato un computer o uno smartphone
in vita vostra? La risposta la lasciamo
a voi, pur menzionandovi una frase
di Dee Ward Hock, fondatore della
carta Visa: “Il problema non è mai
come farsi venire in mente qualcosa
di nuovo e innovativo ma come eliminare le vecchie convinzioni”.
Insomma, se leggere questo articolo
non è bastato - sia che vi abbia convinto o che non vi abbia persuaso
più di tanto – non vi resta che provare a “barcamenarvi” un po’, magari dando un’occhiata proprio alla
concorrenza. E se non vi siete ancora persuasi dell’importanza di stare
in rete, aggiornare la vostra immagine e il vostro modo di comunicare,
beccatevi l’intervista ad un “guru”
della materia come Mirko Pallera.
Basta un “click”e ci si incontra nella
rete! Buona navigazione.

Imprese & Territorio - novembre 2013

15
ARTIGIANCASSA NEI SOCIAL MEDIA

Anche Artigiancassa ha scelto di essere presente nei
diversi social media.
L’obiettivo è quello di fornire un ulteriore servizio a
misura delle necessità di ogni impresa. Infatti, riteniamo che il valore dei servizi proposti non vada definito
solamente in termini economico-finanziari, ma anche

alla luce di un’adeguata implementazione dei servizi di
assistenza a supporto. Dunque, perché non seguirci?

Ci trovi su:
www.artigiancassa.it
seguici inoltre su Twitter e Linkedin

“L’era dei creator”
bbiamo chiesto a Mirko Pallera,
co-fondatore di Ninja Academy e
direttore responsabile di Ninja
Marketing, di parlarci dell’importanza dei
social media per le pmi. Considerato una
delle menti più fervide e rivoluzionarie del
marketing contemporaneo è imprenditore,
consulente e digital strategist per Barilla,
Telecom e Unilever, si definisce un "innovatore sociale" con la missione di migliorare il mondo grazie alla comunicazione
delle aziende. È autore di “Marketing NonConvenzionale: viral, guerrilla, tribal e i 10
principi del marketing postmoderno” edito
dal Sole 24 Ore e di "Create! Progettare
idee contagiose (e rendere il mondo
migliore), pubblicato da Sperling & Kupfer.

A

Ritieni che le pmi, pur con budget ridotti, debbano implementare la loro presenza sui social
media? Perché?
I mutamenti della società in cui viviamo hanno imposto al marketing di adeguarsi. È sempre più evidente
che siamo entrati definitivamente in una nuova era,
quella che io chiamo “Era dei Creator”. In questo
nuovo mondo le aziende non hanno più a che fare
con dei “consumatori”, abituati a subire passivamente
le proposte di prodotti e servizi, ma con dei veri e
propri “creatori”, attivi, spesso polemici, molto esigenti, appassionati. Anche per questo, il modo di
comunicare e di fare marketing che le aziende hanno
utilizzato in passato non è più efficace: le imprese
sono chiamate a comprendere cosa è cambiato, perché e cosa bisogna fare per iniziare un nuovo rappor-

16 Imprese & Territorio - novembre 2013

to con i Creator. Un rapporto in grado di portare un
nuovo valore all’azienda grazie all’utilizzo di nuovi
codici, linguaggi, strumenti e approcci alla comunicazione.
Nei 10 anni della vostra attività online hai riscontrato un aumento delle pmi che partecipano ai
vostri corsi?
Per andare incontro alla grande richiesta di aggiornamento da parte delle PMI abbiamo da poco più di un
anno portato i corsi della Ninja Academy - la nostra
scuola nata per aggiornare costantemente i professionisti del marketing e della comunicazione - anche online.
Questo ha permesso di arrivare a tutte le aziende e i
professionisti italiani, ovunque si trovino, e di erogare alta formazione di qualità a prezzi contenuti.
Ad oggi abbiamo formato oltre 3000 professionisti e
la crescita esponenziale si è avuta proprio nell'ultimo
anno. Ci sono davvero tante opportunità nel mondo
digital, e mentre da un lato i negozi chiudono le serrande, sul web fiorisce un mercato, grazie anche alla
semplicità con cui si può acquistare dal divano disponendo di un tablet e di una app dedicata.
Qualche consiglio per le pmi che vogliono iniziare ad affacciarsi nel mondo dei social media?
Il mio consiglio è di portare gradualmente le competenze in azienda senza paura. Magari iniziando a
valorizzare le risorse umane più giovani, che padroneggiano l’uso di strumenti quali Facebook, Twitter,
YouTube. Un approccio graduale ma determinato a
considerare i social media come uno strumento strategico delle politiche di impresa non potrà che pagare, sia in termini di comunicazione, sia per quel che
riguarda la gestione del CRM, ma anche per tanti altri
aspetti. Sui social si costruisce nel tempo, piano piano
senza fretta, ma con costanza e impegno.
Le multinazionali del web
di fronte al fisco
di Giovanni Miele

A

bbiamo intervistato Francesco Boccia, Presidente della Commissione
Bilancio della Camera, fra i più convinti sostenitori della politica economica
del governo.

Presidente Boccia, nel corso del
dibattito sulla legge di stabilità,
praticamente tutte le forze
politiche hanno messo in luce
la drammatica situazione in cui
versano le piccole e medie
imprese, soprattutto quelle
artigiane. Quali possono essere
secondo lei le misure capaci di
dare un nuovo impulso all'iniziativa di tanti piccoli imprenditori che si trovano ogni giorno alle prese con la mancanza
di credito e con disposizioni
burocratiche sempre più astruse e vessatorie?
Il mondo delle Pmi e la realtà che
gli sta intorno sono il motore della
nostra economia, il fiore all’occhiello che ci fa rendere riconoscibili e apprezzati in tutto il mondo.
È dovere della politica italiana
tutelare e rilanciare queste imprese che più di ogni altra realtà stanno pagando il prezzo della crisi.
Cito soltanto i punti-chiave:riduzione del costo del lavoro, credito
e internazionalizzazione. Pur
essendo, infatti, apprezzati nel
mondo, vendiamo ancor meno
delle nostre potenzialità.
A proposito di modifiche alla
legge di stabilità, il Parlamento
è stato chiamato ad un grosso
sforzo per migliorare il testo
del Governo. Come presidente
della Commissione Bilancio
della Camera lei è apparso, più
che un arbitro neutrale, un

li del web fatturano qui da noi,
vengono poi tassati altrove: perché non devono anche esse dare il
loro contributo al fisco italiano
come qualsiasi altra nostra impresa? In questo modo riporteremo
un po’ di giustizia fiscale e consentiremo a molte piccole realtà di
essere concorrenziali sul mercato.

trainer impegnato nel raggiungimento di un risultato che può
essere decisivo per la ripresa
della nostra economia. In effetti non sono mancate le sue proposte intese a introdurre alcune misure migliorative mantendo invariati i saldi di bilancio, a
cominciare dalla cosiddetta
Google tax. E' soddisfatto del
lavoro svolto?
Intanto inizierei col chiamarla più
genericamente webtax. La mia non
è una battaglia contro qualcuno,
contro Google, Amazon o qualsiasi altra multinazionale che opera
online, ma una battaglia a favore
del web e delle nostre imprese,
nel segno dell’equità fiscale. Tutti i
profitti che le grandi multinaziona-

Lei è un parlamentare del
Mezzogiorno eletto in una
regione, la Puglia , che sta
vivendo una vicenda drammatica come quella dell'ILVA di
Taranto. E' possibile a suo avviso adottare misure speciali per
fronteggiare quella vera e propria emergenza nazionale che
è diventata ormai la condizione
economica ed occupazionale
nelle regioni meridionali?
Conosco molto bene qual è la
situazione in cui versano le nostre
aziende e i loro lavoratori, al sud
come al nord, non ne farei una
questione di geografia. E la soluzione, lo ripeto, è solo una: se
prima non abbassiamo nettamente
il cuneo fiscale non possiamo
neanche pensare di poter dare
nuovi impulsi occupazionali.
Colgo l’occasione, però, per dare
risalto ad un dato che mi sembra
molto significativo: si parla di circa
5,3 miliardi di Cig in deroga:
sarebbe un lavoratore su quattro,
per intenderci. È evidente che
qualcosa nel meccanismo si è
inceppata…

Imprese & Territorio - novembre 2013

17
Per uscire dalla
crisi è necessaria
una cura shock
di Marco Michelli
Dal suo osservatorio
di
imprenditore e
di
presidente
e proposte della
della Cna e di
CNA per uscire
Rete
Imprese
veramente dalla
Italia,
quali
crisi vanno al di là
misure consiglia al governo?
delle “medicine”
L’Istat ha rivisto
prescritte dalla legge
al
ribasso
le
di stabilità. Abbiamo
stime economiche dell’esecutichiesto il parere a
vo. La ripresa
Ivan Malavasi
partirà, se partirà,
Presidente della Cna e
nel 2014. E molto
timidamente. Ma
di Rete Imprese Italia.
nello stesso 2014
la disoccupazione è destinata ancora ad aumentare. Si continua a
dire che il peggio è passato, insomma, ma mi pare
che con il peggio dovremo ancora convivere. Per
quanto tempo? Dipende da quali soluzioni si
vogliono adottare. Per me non esistono dubbi: va
invertito il paradigma che ha orientato e ancora
orienta l’azione di Governo, penso prima di tutto
alla Legge di Stabilità, alle misure di politica economica. Si deve passare al più presto dal rigore alla
crescita. La fase recessiva che l’Italia sta attraversando non ha precedenti nel dopoguerra. Non può
essere affrontata con le consuete terapie, che peraltro si sono dimostrate dei palliativi. E’ necessaria
una cura shock, non la solita aspirina.

L

Sì, ma dal dire al fare…
Partiamo dalla idea-base: se siamo d’accordo che la
ripresa cammina unicamente sulle spalle delle
imprese, allora non si transige. Sono necessarie
regole nuove che favoriscano le imprese, e quelle
piccole in particolare, considerata la storica struttura del sistema produttivo italiano, nel loro ruolo,
economico e sociale, di creare occupazione e ricchezza diffusa. E’ necessario, lo voglio ripetere, un
intervento strutturale a favore delle piccole e medie
imprese; si deve creare uno spazio importante per
loro all’interno della Legge di Stabilità, nel quale
affrontare con efficacia molti dei nodi che ne sof-

18 Imprese & Territorio - novembre 2013

focano la competitività. Servono strumenti per
favorire gli investimenti e l’innovazione in tutte le
sue forme, attuando anche norme esistenti ma
inapplicate, e misure che aprano spazi di mercato
riservati alle Pmi, come esistono in altri Paesi.
Da che cosa si comincia concretamente?
Si devono adeguare i contributi Inail alle prestazioni effettivamente erogate. Va eliminata l’Imu sugli
immobili strumentali. Si devono detassare gli utili
non distribuiti e stabilizzare le agevolazioni per
ristrutturazioni edilizie ed efficienza energetica. E,
sul versante della domanda, vanno modificate le
aliquote e gli scaglioni Irpef per aumentare il reddito disponibile dei lavoratori, dipendenti e autonomi.
Misure costose. Chi pagherebbe il conto?
Queste misure vanno realizzate senz’aumentare le
imposte, ma intervenendo sulla riduzione della
spesa per consumi intermedi, la spending review,
la rimodulazione dei regimi fiscali di favore, il recupero dell’evasione. E si deve predisporre un piano
per l’alienazione di parti del patrimonio pubblico,
asset strategici esclusi. Abbiamo spiegato al
Governo come mettere in circolo oltre 23 miliardi
proprio con questi interventi. Nel frattempo, è
necessario risolvere alcune delle principali questioni in tema di costo e mercato del lavoro, per sostenere le esigenze di flessibilità delle imprese, e
garantire risorse per favorire il credito alle Pmi, cercando soluzioni atte a ridurre l’elevatissima pressione fiscale.
I primi segnali di
ripresa e i problemi per
il rilancio delle PMI
di Marco Michelli
Ritiene
che
possa verificarsi
tra breve la
eniamino Quintieri,
ripresa dell'ecoprofessore ordinanomia italiana?
rio di Economia
E in caso afferInternazionale presso
mativo,
chi
l’Università Tor Vergata di
potrebbe trainare il rilancio: il
Roma, è presidente della
settore
delle
Fondazione Masi e del
costruzioni, le
Comitato Strategico per
esportazioni, il
l’Internazionalizzazione
turismo o chi
delle Imprese nel Lazio.
altro ?
Tutti, addetti ai
Il prof. Quintieri ha
lavori o meno,
assunto incarichi di alta
attendono
un
responasabilità, fra i quali,
ritorno alla crescila presidenza ICE.
ta. Ma questa non
Lo abbiamo intervistato
è legata solo alla
recessione
che
per fare il punto sulla
parte dal 2007 ma,
situazione economica del
soprattutto
per
nostro Paese.
quanto riguarda il
nostro Paese, a
motivazioni ben più profonde e radicate.
Non a caso, nei venti anni che vanno dal 1992 al 2012
l’Italia figura tra i Paesi OCSE come la nazione con il
minor tasso di crescita, con un PIL che si è ridotto, in
termini pro capite, collocandosi sotto la media. Ciò
dimostra che non si tratta solamente di un problema
ciclico ma che è anche una crisi strutturale.
A mio modo di vedere, come la UE ha recentemente
confermato, non è ipotizzabile a breve una ripresa, ma
semmai, solamente quella che viene definita una
“ripresina” ad inizio del prossimo anno, che può rappresentare un segnale positivo solamente se sostenuta
da solide politiche mirate alla crescita. Certamente, il
settore delle costruzioni e le esportazioni possono fare
da traino ad un eventuale rilancio; tuttavia, c’è bisogno
di un vasto programma di riforme ben consapevoli che
le stesse non producono immediatamente risultati. Al
momento poco si è fatto – forse solamente la riforma
delle pensioni è citabile come azione mirata in tal
senso – ma sul resto ancora non si vede una volontà
di procedere in maniera omogenea, complice anche la
scarsa capacità di guardare avanti della politica.

B

Quale ritiene che sia il ruolo delle PMI nella
situazione attuale dell'economia italiana?
Innanzi tutto bisogna fare una distinzione tra le cosiddette medie imprese e le piccole se non micro imprese: le prime, definite “multinazionali tascabili”, trainano il mercato italiano soprattutto all’estero; invero il
Paese è caratterizzato da piccole e piccolissime aziende che, oltre alla straordinaria valenza tutta italiana in
campo imprenditoriale, presentano dei punti di debolezza soprattutto in un panorama globalizzato.
Infatti, per aumentare la competitività bisogna fare in
modo che accrescano la loro dimensione al fine di
aumentare la loro stessa efficienza. Non è un caso se,
allo stato attuale, delle circa 190 mila imprese esportatrici italiane, solamente il 7% sono medie o grandi imprese, e proprio queste esportano oltre il 70% del totale.
Ecco allora che è necessario per le più piccole pensare
a fare reti o accorpamenti superando l’ancestrale diffidenza e il particolarismo che le caratterizzano.
A suo avviso, perchè il contributo degli intermediari del credito (compresa Artigiancassa) è ritenuto indispensabile e quali sono stati gli effetti
del "credit crunch"?
Il problema del credit crunch colpisce le imprese italiane più che in altri Paesi perché da noi per diverse
ragioni le imprese dipendono fortemente dalle banche. È un cane che si morde la coda, dove, peraltro,
la stessa piccola dimensione non garantisce quella
solidità finanziaria necessaria e indispensabile per
ottenere il credito e che ancora vale più di qualsiasi
progetto.
Inoltre va segnalato che, se da un lato la strategia di
concentrazione a livelli alti delle banche nostrane ha
mostrato una certa solidità ed una maggiore efficienza, a prescindere da casi particolari, dall’altro ha contribuito ad allontanarle dal territorio, dove restano
ben salde e radicate le conoscenze delle banche
locali le quali, purtroppo, mostrano atteggiamenti
poco lungimiranti e comportamenti di tipo clientelare piuttosto che ispirati al merito. Per questo si avverte il bisogno di generare un’offerta bancaria che sia
in grado di valutare adeguatamente i progetti, nonché una maggiore vicinanza proprio delle banche
con il territorio, che consenta un’attenta valutazione
della tipologia e delle potenzialità delle proposte
presentate.

Imprese & Territorio - novembre 2013

19
Invertire il paradigma:
dal rigore alla crescita
di Marco Michelli

Sergio Silvestrini,
Segretario Generale della Cna,
espone, in questa intervista,
quale provvedimenti adottare
per sostenere le imprese

Segretario Silvestrini, la
situazione economica italiana è davvero così drammatica come viene dipinta
dai mezzi di informazione?
Il nostro Paese è sicuramente in una fase di decrescita.
Non solo economica. I
numeri della recessione,
purtroppo, ci arrivano quasi
ogni giorno da Governo,
Istat, Banca centrale europea o Fondo monetario
internazionale. E non sono
dati che possano rallegrare.
In parallelo alla crisi economica, l’Italia sta vivendo una
profonda crisi culturale. Sta
perdendo
alcune
delle
migliori energie: siamo il
primo esportatore al mondo
di laureati in discipline
scientifiche. E molti giovani,
sempre più spesso, sono
costretti ad aprire le loro
botteghe all’estero, dove una
burocrazia così soffocante
come la nostra non esiste.
Siamo arrivati al punto che,
non solo in Europa, ma
ormai in tutto il mondo, proliferano gelaterie, pelletterie, sartorie gestite da giovani italiani.

Ci aspetta un futuro a tinte fosche?
Se il presente è questo, non è detto che debba essere uguale il futuro. Il futuro cammina sulle nostre
gambe: siamo noi per primi a imprimere il ritmo che
vogliamo. E sicuramente non sarà un futuro roseo se
il Paese si abbandona alla retorica del declino e del
“non c’è niente da fare”, che spesso serve a giustificare l’individualismo esasperato del “si salvi chi
può” di furbetti e furboni. La Cna non ci sta. L’Italia
ha le risorse per reagire alla crisi.

20 Imprese & Territorio - novembre 2013

Ma come si può imprimere questa svolta?
Si deve invertire il paradigma che orienta da anni le
politiche economiche, passando dalla fase del rigore a
quella della crescita. Il rigore ci è stato utile, ma è
anche vero che di troppo
rigore si muore. Vanno
adottati, allora, provvedimenti coraggiosi, finalizzati
a sostenere le imprese, a far
ripartire gli investimenti, a
incentivare i consumi.
Prima di tutto, bisogna
tenere conto della specificità del sistema produttivo
italiano. Vanno messe in
campo, quindi, misure per
favorire gli investimenti e
l’innovazione in tutte le sue
forme delle micro, piccole e
medie imprese, anche
attuando norme esistenti
ma inapplicate. Vanno aperti spazi di mercato ad hoc
per farle vivere e, soprattutto, per farle crescere.

Come possono investire
le imprese se l’accesso al
credito è reso così difficile?
Purtroppo l’accesso al credito continua a essere uno degli
aspetti maggiormente critici nell’attività delle piccole
imprese. Anche i più recenti dati della Banca d’Italia sottolineano una ulteriore flessione nonostante la raccolta sia
in ripresa. Mi sembra urgente, allora, prima di tutto un
intervento diretto a razionalizzare la filiera delle garanzie,
valorizzando i consorzi fidi per le loro peculiarità, cioè la
vicinanza alle imprese e la conoscenza del territorio. In
questo ambito ritengo che Artigiancassa possa e debba
esercitare un ruolo importante, promuovendo al meglio i
prodotti che abbiamo definito congiuntamente di recente, a partire dall’istruttoria condivisa.
CNA Next

l’Italia giovane che ha deciso di
restare, investire, creare
È ormai diventato un appuntamento fisso, capace di riunire ogni anno giovani imprenditori, artisti, economisti, manager di grandi aziende internazionali e politici come il
Ministro degli Esteri, Emma Bonino e dell’Istruzione, Maria Chiara Carrozza. Speaker e
abbinamenti spesso inediti, sul palco di un teatro, a raccontare l’Italia, soprattutto giovane, che ha deciso di restare, investire e creare, in un connubio che unisce artigianato
e nuove tecnologie.

È

Cna Next, il Festival dell’intelligenza
collettiva, organizzato dai Giovani
Imprenditori di Cna e giunto alla sua
quarta edizione. “Manifatture” il titolo,
anzi l’hashtag (l’etichetta per i social
network) dell’appuntamento di quest’anno, andato in scena l’8-9 novembre al Teatro La
Pergola di Firenze e in live streaming su decine di
portali di grandi network.
“E’ incominciata l’era del saper fare 2.0 – ha dichiarato la neoeletta presidente nazionale di Cna Giovani
Imprenditori, Stefania Milo -. Affermarsi come produttori di qualità, riempiendo le nicchie lasciate libere
nel mondo, è la strada che va perseguita e che i giovani artigiani dovrebbero intraprendere. Bisogna
valorizzare il potenziale manifatturiero italiano per
trasformarlo in opportunità ed esportazione, coniugando la volontà di fare squadra con altre imprese e
usando il web”.
Artigiani 2.0, per l’appunto, come quelli intervenuti a
Cna Next per raccontare le loro storie. Storie di chi ha
deciso, come Nicholas Caporusso, di restare in Italia,
rinunciando a un milione di dollari negli Usa per il suo
progetto di robotica, sviluppandolo poi in proprio.

“I giovani possono essere gli evangelizzatori
digitali del Made in Italy”, ha detto Giorgia
Albetino, Responsabile Public Policy di Google
Italia e “il mondo ha fame di Made in Italy”, le
ha fatto eco Peter Barron, Direttore
Comunicazione e Public Affairs per l’Europa, il
Medio Oriente e l’Africa di Google.
“Il Made in Italy sta andando particolarmente
bene nonostante tutto – ha sottolineato il ministro degli Esteri Emma Bonino -. Proprio nei momenti più difficili, quello che regge benissimo è esattamente il manifatturiero italiano. Il dibattito – ha
aggiunto la Bonino - non è più fra chi è piccolo o chi
è grande, ma fra chi è isolato e chi è connesso”.
Internazionalizzazione, web, ma anche scuola e formazione, per consentire al Made in Italy di divenire il
primo motore di crescita del Pil italiano. E’ questo
l’obiettivo di Cna Next, che per questo ha voluto tra
i relatori il Ministro dell’Istruzione, Università e
Ricerca, Maria Chiara Carrozza. “La scuola deve tornare ad essere il luogo dove si prepara il lavoro”, ha
detto il ministro, sottolineando la necessità di connettere anche in questo caso intelligenze che rischiano
di andare disperse.
“'Oggi c’è un enorme messaggio di speranza nel futuro dato dalla nuova classe dirigente, dai giovani
imprenditori che hanno saputo coniugare meglio
degli altri l'idea di intelligenza collettiva con modelli
di sviluppo alternativi”, ha detto Ivan Malavasi, presidente nazionale di Cna, chiudendo il Festival.
Speranza ed entusiasmo che si sono respirati nel teatro La Pergola e sul web, facendo di “Manifatture” il
terzo tema del giorno su Twitter, con 16 mila utenti
unici collegati. Anzi connessi.

Imprese & Territorio - novembre 2013

21
Artigiancassa Informa

Indagine Congiunturale sulle Imprese
Femminili – II trimestre 2013
Le donne imprenditrici fanno ancora meno
ricorso al credito bancario rispetto alle PMI
nel loro complesso.

Dall'Indagine condotta per Artigiancassa da
Format research, risulta che le donne imprenditrici fanno ancora meno ricorso al credito bancario rispetto alle PMI nel loro complesso.

A

nche nel II trimestre 2013 si conferma, a
livello nazionale, una situazione generale di
difficoltà di accesso al credito per le imprese, dove risulta peraltro, rispetto al contesto generale delle PMI, che le imprenditrici fanno ancora
meno ricorso al Sistema bancario.
La percentuale di imprese femminili fino a 49
addetti dell’industria, delle costruzioni e del terziario che si sono recate in banca per chiedere un prestito o la rinegoziazione di un fido esistente è risultata più bassa di quella registrata presso il resto
delle imprese (8,0% su 9,6%) e più bassa di quella
registrata nella precedente rilevazione (10,5%).
In questo contesto, l’accesso al credito per le
imprese femminili risulta più difficoltoso. La cosiddetta area di stabilità (percentuale delle imprese
che hanno visto accolta la propria richiesta di credito con un ammontare pari o superiore) scende
dal 17,1% al 16,5% (contro il 20,6% del totale delle
imprese) e quella di irrigidimento (percentuale
delle imprese che hanno visto accolta la propria
richiesta di credito con un ammontare inferiore a
quello richiesto, sommate a quelle che hanno visto
respinta la propria richiesta) cresce dal 61,9% al
63,0% (contro il 53,8% del totale delle imprese). In
sostanza, le imprese femminili che nel corso
del secondo trimestre 2013 si sono recate in
banca per chiedere credito sono diminuite
rispetto alla precedente rilevazione e, tra quelle che hanno fatto domanda, si registra una
percentuale più elevata di risposte negative.
Peggiorano i giudizi delle imprenditrici circa l’an-

22 Imprese & Territorio - novembre 2013

damento dei tassi di interesse, le “altre condizioni”
applicate dalle banche (es. messa a disposizione di
fondi), l’andamento della “durata” del credito, le
garanzie richieste a copertura dei finanziamenti
concessi. Anche in questo caso la situazione appare peggiore rispetto a quella registrata a livello
nazionale.
Clima di fiducia: continua a diminuire la fiducia delle imprese in rosa, ma in misura meno
grave rispetto al resto delle micro e piccole
imprese italiane.
Il saldo delle imprese femminili (fino a 49 addetti)
riguardo l’andamento dell’economia italiana nel
secondo trimestre 2013 è risultato negativo, ma in
misura inferiore di quello registrato presso il resto
delle micro e piccole imprese.
Indicatori economici di base: l’andamento dei
ricavi, dell’occupazione e dei tempi di pagamento mostrano segni di flessione, ma il rapporto tra imprenditrici e fornitori inizia a dare
timidi segnali di ripresa.
Il saldo riguardo l’andamento dei ricavi delle
imprese femminili nel secondo trimestre 2013 è
risultato in diminuzione rispetto a quello rilevato a
marzo. Il rapporto tra imprenditrici e fornitori inizia a dare timidi segnali di ripresa, in particolare
per i prezzi praticati da questi ultimi. L’inversione
di tendenza fatta registrare dopo trimestri di difficoltà è destinata a confermarsi nel corso del 2013.
Fabbisogno finanziario: diminuisce la capacità
di far fronte agli impegni finanziari
Permane l’incertezza da parte delle micro e piccole imprese nel riuscire
a fare fronte ai propri
impegni finanziari nel
secondo trimestre dell’anno. Anche la previsione in vista dei mesi
estivi conferma il trend
negativo e non fa
segnare per il momento significative inversioni di tendenza.
Offerta Prestiti Personali. Artigiancassa/Findomestic: due valori vincenti al servizio dei clienti
Artigiancassa insieme a
Findomestic, società specializzata nel credito alle famiglie del gruppo BNP Paribas
in Italia, propone ai Confidi e alle Associazioni di categoria
convenzionati l’offerta “Persona Artigiancassa” interamente dedicata ai dipendenti delle Associazioni/Confidi e ai
titolari/soci delle imprese rappresentate.
Vicini ai propri clienti nella realizzazione dei loro progetti,
Artigiancassa e Findomestic rendono ancora di più il credito
accessibile e responsabile, socialmente ed economicamente
utile, sviluppando un‘offerta semplice e conveniente.
La nuova offerta dedicata ai Partner Artigiancassa si caratte-

rizza per l’esclusività dei vantaggi promozionali, per la competitività delle condizioni contrattuali e per la velocità nei
tempi di risposta.
I vantaggi commerciali, infatti, appositamente realizzati sono:
finanziamento del 100% del progetto presentato, richiesta online, rapidità di risposta sulla fattibilità dell’operazione, monitoraggio sistematico della richiesta step by
step, zero spese di istruttoria pratica e di ulteriori spese
amministrative
La collaborazione esclusiva con la società Findomestic permette, inoltre, ai partner di godere di un accesso privilegiato ai nuovi prodotti e alle interessanti opportunità, grazie a
un processo distributivo ad alto contenuto tecnologico.

Fondo di Garanzia per le PMI: Incontri
formativi con gli operatori del territorio
Artigiancassa partecipa al Roadshow ABI

Il Roadshow informativo sulle nuove modalità operative del Fondo di Garanzia per le PMI, di cui alla
Legge 23 dicembre 1996 n. 662, è un evento promosso da ABI in collaborazione con il soggetto
Gestore del Fondo di Garanzia. L’evento/intervento formativo consiste in un ciclo di seminari sul territorio dedicati all’operatività del Fondo stesso, in considerazione della sua crescente importanza nelle
politiche volte a favorire l’accesso al credito delle imprese.

L

’accesso al Fondo di Garanzia rappresenta uno strumento privilegiato messo a disposizione delle piccole e medie imprese italiane, in particolar modo nell’attuale contesto economico congiunturale. Spesso tale
opportunità non viene colta a causa della scarsa conoscenza dello strumento, perciò si è pensato di formulare
un ciclo di seminari sul territorio nazionale, un vero e proprio roadshow in dieci tappe, rivolto in particolare a banche e confidi, con l’obiettivo di diffondere una maggiore
conoscenza sulle modalità operative del Fondo e di informare sulle più recenti novità, tra cui il “Piano della
Trasparenza”, le Sezioni Speciali e il cosiddetto Decreto
del Fare.
Per ciascuna tappa del roadshow sono previsti degli interventi, che verranno tenuti a rotazione da tutte le banche
Mandanti del RTI, nella veste di rappresentanti del
Soggetto Gestore, e dai Presidenti delle Commissioni
Regionali ABI.
La prima tappa si è svolta a Roma ed ha coinvolto il Lazio
e la Sardegna, mentre le tappe successive toccheranno
Piemonte, Sicilia e Basilicata
Il seminario è stato strutturato in modo da dare una visioAnno 8 - Numero 2 - Novembre 2013
Trimestrale di informazione di Artigiancassa SpA
Finito di stampare nel mese di Novembre 2013
Iscrizione al Tribunale di Roma n. 544 del
17.12.2007
Direttore Responsabile:
Vincenzo Masciopinto
Editore: Artigiancassa

IMPRESE&TERRITORIO

ne completa del funzionamento del Fondo come strumento che consente di rispondere in maniera efficiente alle
problematiche che caratterizzano il ciclo economico attuale e il mercato italiano, anche a causa della frammentazione del tessuto economico e dell’elevato numero di imprese di piccole dimensioni. In tale ottica si è voluto dare
rilievo allo specifico background regionale, proprio tramite l’organizzazione degli interventi dislocati sul territorio.
Artigiancassa è tra i relatori degli interventi formativi, con
il debutto a Palermo dello scorso 10 ottobre presso la
Direzione Territoriale di Unicredit, al quale hanno partecipato il Dott. Daniele Sciarrini come rappresentante del
Comitato di Indirizzo e la Dott.ssa Silvia Lorenzini come
rappresentante del Team.
Successivamente, il prossimo incontro formativo programmato si terrà a Bologna e vedrà la partecipazione per
Artigiancassa del dott. Roberto Genovese.
Gli argomenti che verranno trattati nel corso del seminario dai rappresentanti di Artigiancassa riguardano “l’azione
del RTI per diffondere la conoscenza del Fondo di
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Imprese & Territorio - novembre 2013

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  • 1. IMPRESE& TERRITORIO Trimestrale di informazione Anno 8 - Numero 2 Novembre 2013 Stefano Fassina Lotta all’evasione fiscale per una riduzione delle imposte GAETANO QUAGLIARIELLO Ministro delle Riforme RAZIONALIZZARE I COSTI DELLA POLITICA E MODIFICARE IL SISTEMA ISTITUZIONALE SIMONA VICARI Sottosegretario allo Sviluppo Economico “DESTINAZIONE ITALIA”: RIDURRE IL PESO DELLA BUROCRAZIA SOCIAL MEDIA E PMI SOCIALIZZARE L’IMPRESA, ISTRUZIONI PER L’USO SERGIO SILVESTRINI Segretario Generale CNA INVERTIRE IL PARADIGMA: DAL RIGORE ALLA CRESCITA
  • 2. IMPRESE&TERRITORIO 3 Editoriale 4 Lo “stato di salute” delle infrastrutture, quale indicatore di competitività dell’economia italiana 6 Lotta all’evasione fiscale per una riduzione delle imposte 8 Novembre2013 “Destinazione Italia”: ridurre il peso della burocrazia 10 La nuova sfida dei distretti industriali 12 Razionalizzare i costi della politica e modificare il sistema istituzionale 14 Social Media e PMI Socializzare l’impresa, istruzioni per l’uso 17 Le multinazionali del web di fronte al fisco 18 Per uscire dalla crisi è necessaria una cura shock 19 I primi segnali di ripresa e i problemi per il rilancio delle PMI 20 Invertire il paradigma: dal rigore alla crescita 21 CNA Next L’Italia giovane che ha deciso di restare, investire, creare 22 Artigiancassa informa Indagine Congiunturale sulle Imprese Femminili - II Trim. 2013 6 Combattere l’evasione per ridurre le imposte Per abbassare la pressione fiscale è necessario tornare a crescere, e non di uno “zero virgola”. È necessario definire un patto chiaro con tutti i contribuenti: ogni euro recuperato dall’evasione fiscale deve essere destinato a riduzione di imposte. Offerta Prestitit Personali. Artigiancassa/Findomestic: due valori vincenti al servizio dei clienti. 18 Fondo di garanzia per le PMI: incontri formativi con gli operatori del territorio. 12 Efficienza delle Istituzioni e legge elettorale Dopo aver sfiorato la paralisi istituzionale dovrebbe essere ormai diffusa la consapevolezza che senza una revisione del funzionamento delle nostre istituzioni non vi sarà legge elettorale che tenga. 8 La proposta di Simona Vicari Prevedere una serie di adempimenti a cui si dovrá attenere chi vuole aprire un'impresa, lasciando allo Stato il compito di controllare, in una fase successiva, se tali prescrizioni sono state rispettate. 17 La “webtax”, secondo Francesco Boccia La mia non è una battaglia contro qualcuno, contro Google, Amazon o qualsiasi altra multinazionale che opera online, ma una battaglia a favore del web e delle nostre imprese, nel segno dell’equità fiscale. Legge di stabilità e PMI È necessario, per Ivan Malavasi, un intervento strutturale a favore delle piccole e medie imprese; si deve creare uno spazio importante per loro all’interno della Legge di Stabilità. 20 Silvestrini, Segretario generale della Cna Purtroppo l’accesso al credito continua a essere uno degli aspetti maggiormente critici nell’attività delle piccole imprese. Mi sembra urgente prima di tutto un intervento diretto a razionalizzare la filiera delle garanzie, valorizzando i consorzi fidi per le loro peculiarità.
  • 3. Editoriale di Vincenzo Masciopinto I n questi giorni seguiamo con vivo interesse le azioni del Governo in materia di legge di Stabilità e le strategie proposte dagli organismi di rappresentanza delle PMI per rilanciare il tessuto imprenditoriale italiano. La manovra che mette in campo 10 -12 miliardi di risorse a favore del Paese sarà impostata su meno tasse, meno burocrazia e più lavoro. Sono queste le priorità su cui si impegnerà il Governo nei prossimi mesi, che andranno declinate attraverso un confronto costante con le parti sociali, mettendo al centro dell’impegno politico il tema della crescita e dello sviluppo industriale per riattivare il circuito del credito, rilanciare l'occupazione e ridare fiducia al Paese. Fra i tanti dibattiti, la riduzione della pressione fiscale per le imprese risulta essere quello più discusso. Ci auguriamo, infatti, che l’Esecutivo possa effettuare un’inversione di tendenza a favore delle imprese al fine di non perdere il treno della auspicata ripresa. Pur considerando gli aspetti positivi sul rifinanziamento per il fondo di garanzia, è necessario non perdere di vista l’attuale situazione e partire da quelli che sono gli elementi di criticità che ancora contraddistinguono lo scenario imprenditoriale. Permane, infatti, elevato il peso dei prestiti bancari destinati a garantire l’attività ordinaria d’impresa a discapito degli investimenti (prestiti a breve termine vs m/l termine), confermandosi come una delle principali cause della vulnerabilità delle imprese di minore dimensione. I principali indicatori economici rilevati nel 2013 avvalorano così un orientamento negativo che viene manifestato dalle stesse imprese in termini di deterioramento dei ricavi e peggioramento dell’occupazione. Il 73% delle nostre imprese denuncia, purtroppo, un sistema bancario ancora troppo rigido nel concedere credito. Dal 14,7% al 12,0% diminuisce la percentuale delle PMI che si sono recate in banca per chiedere un fido o la rinegoziazione del fido esistente e ciò è vero ancora di più per le imprese artigiane. Queste condizioni segnano in maniera incisiva il semestre da aprile a settembre di quest’anno. L'effetto è una contrazione dello stock degli impieghi al minimo negli ultimi sei anni al quale si deve aggiungere un'incidenza degli oneri fiscali e contributivi sugli utili delle imprese, che in Italia è arrivata al 68,3%. In questa logica, non possiamo che riaffermare il nostro ruolo di banca che si è dotata di modelli organizzativi coerenti con la necessità di sostenere la vicinanza con le realtà locali di riferimento. Salvaguardando la nostra vocazione di finanziare le attività produttive dei mercati territoriali, abbiamo fornito una risposta concreta alla contrazioni dell'offerta di credito. Siamo, tra l’altro, pronti a recepire la nuova normativa rispondendo con soluzioni innovative in termini di processo e di servizio sempre più performanti, potenziando, da un lato, gli interventi già in essere, e partecipando, dall'altro, alle gare previste per l'aggiudicazione di quei bandi, che sono emessi a favore degli artigiani e delle PMI. Il nostro obiettivo è quello di cogliere le opportunità di mercato, rivolgendoci ad un bacino di utenza di oltre 4 mln di imprese dei settori Artigianato, Commercio, Turismo e Servizi. Forti dei nostri risultati interpretiamo sempre più la funzione di banca di sviluppo per il Territorio, favorendo il sostegno e la crescita delle PMI.
  • 4. Lo “stato di salute” delle infrastrutture, quale indicatore di competitività dell’economia italiana di Paolo Quirino S e il cambiamento del clima congiunturale dovesse preludere ad una sollecita ripresa dell’economia italiana, l’interesse degli operatori economici si dovrebbe verosimilmente concentrare sul modo di ripristinare il livello di competitività delle imprese che sono state duramente colpite dalla crisi. Né meno risoluto dovrebbe essere l’impegno delle istituzioni a stimolare il recupero di quella massa di occupati (circa 870 mila del 2008 fino ad oggi) che a causa della depressione sono stati estromessi dal mercato del lavoro: una estromissione che, unita ad altre cause di depauperamento delle risorse disponibili, ha costretto le famiglie a ridurre sensibilmente i consumi. E poiché alle più recenti difficoltà congiunturali si sono sovrapposte le carenze di ordine strutturale che si trascinano da lungo tempo, particolare attenzione dovrebbe porsi anche sul settore delle infrastrutture: su quel complesso di opere che in assenza di adeguate manutenzioni ha risentito l’effetto del logorio fisico e della obsolescenza. La sovrapposizione tra problemi di carattere congiunturale e strutturale non poteva, d’altra parte, non ripercuotersi sulle condizioni di stabilità del sistema. Significative sono state, al riguardo, le flessioni della spesa in conto capitale denunciate soprattutto dalle autonomie locali e il conseguente abbassamento del livello d’infrastrutturazione del territorio, causa non ultima della perdita di competitività del sistema. La conclusione a cui si può realisticamente pervenire è che, in un settore che produce servizi di utilità generale destinati a soddisfare le esigenze di sviluppo economico e sociale, l’Italia rischia di presentarsi all’appuntamento della ripresa con una dotazione di infrastrutture molto inferiore a quella dei paesi economicamente più sviluppati dell’Europa. Le opere pubbliche, o a finanziamento pubblico, che si configurano come infrastrutture possono essere assi- 4 Imprese & Territorio - novembre 2013 milate, infatti, ai fattori endogeni (capitale, lavoro e attività imprenditoriale) di cui si avvalgono le imprese per lo sviluppo dell’attività produttiva e la collettività nel suo insieme. Ed è evidente che, sia che si tratti di infrastrutture a carattere prevalentemente economico (come autostrade, porti, oleodotti, centri intermodali, piattaforme logistiche, etc.) sia che prevalga la loro finalità di sviluppo sociale (come strutture scolastiche, impianti sportivi, ospedali, fognature, etc), ciò non altera la loro natura di “esternalità” positiva: di elementi che tendono, cioè, a rafforzare il livello di competitività dell’apparato produttivo e a migliorare la qualità della vita. Purtroppo, la penuria di mezzi finanziari verificatasi nel corso del lungo periodo di stagnazione dell’economia italiana e della depressione innescatasi sul finire del 2007 non hanno consentito il necessario ampliamento del patrimonio infrastrutturale e l’acquisizione di particolari strutture innovative. Non c’è da meravigliarsi, quindi, se la dotazione attuale risulti in parte obsoleta, le reti di trasporto presentino non poche smagliature e i tempi di realizzazione delle opere non accennino a diminuire. Significativa sembra essere al riguardo la vicenda della linea ferroviaria ad alta velocità che dovrebbe collegare Torino a Lione. Dopo alcuni anni di concertazione tra i due governi (italiano e francese) e il coinvolgimento della Commissione europea, che dovrebbe garantire un cofinanziamento, si riteneva che i lavori relativi alla tratta italiana dell’opera potessero essere regolarmente avviati a compimento. Ma la decisione di realizzare un’infrastruttura così complessa ha subito mobilitato numerose schiere di ambientalisti e di gruppi antagonisti (i cosiddetti “No Tav”) che, al di là di ogni pur legittima aspirazione, hanno messo a soqquadro i cantieri della Val di Susa, impedendo per molto tempo il proseguimento dei lavori.
  • 5. La lista delle opere che a livello governativo erano state considerate prioritarie, ma che per mancanza di fondi sono state rinviate (o addirittura abrogate) è piuttosto lunga, comprendendo fra l’altro: gli interventi per l’alta velocità, con particolare riguardo alla linea ferroviaria Torino-Lione e al completamento dell’asse Brescia-Verona; il fantomatico collegamento autostradale tra Salerno e Reggio Calabria; il cosiddetto programma “Sei mila campanili”; il finanziamento dell’Expo di Milano; la realizzazione del Mose destinato a proteggere Venezia dalle inondazioni marine, e così via. Ma ciò che più risalta dall’analisi dei dati elaborati a livello provinciale dall’Unioncamere è la forte variabilità delle dotazioni esistenti nelle singole province e, più in particolare, il sensibile divario tra le due grandi ripartizioni territoriali: Centro-Nord e Mezzogiorno. Se si assumono infatti come base del confronto i valori medi dell’Italia, dalla tabella si rileva che il complesso delle regioni meridionali presenta uno scarto negativo pari a circa il 21 per cento. Ed è soltanto per i porti (il cui scarto è uguale a –4,1%), le sedi scolastiche e universitarie(-3,0%) e, a sorpresa, il grado di copertura dei servizi della banda larga (-4,2%), che il Mezzogiorno raggiunge un livello di dotazione quasi uguale alla media nazionale; mentre se ne distacca in misura ragguardevole con riguardo alle strutture culturali e opere d’arte (-38,6%), alle strutture finanziarie e produttive (-35,0%) e a quelle aeroportuali (-37,5%). Uno sguardo ai dati del resto dell’Italia consente di rilevare, inoltre, che è l’area centrale quella che detiene il primato in termini di disponibilità di infrastrutture. Con un indice generale che è pari a circa il 20% in più rispetto alla media nazionale, essa raggiunge, fra l’altro, un livello superiore di oltre il 50% nei confronti dell’area meridionale. Ma se si passa all’analisi regionale dei dati, appare evidente come la suprema- zia dell’Italia centrale sia ascrivibile quasi esclusivamente al Lazio (+ 50,5% sulla media nazionale al netto dei porti), per effetto soprattutto di Roma, e in lieve misura alla Toscana (+ 6,0%) mentre le Marche e l’Umbria, con scarti rispettivamente pari a –12,2% e –20,0%, scendono al di sotto della media. In definitiva, dalla rilevazione dell’Unioncamere risulterebbe confermata la regola secondo cui sono le regioni più sviluppate del Centro-Nord a disporre di un maggior volume di infrastrutture, con punte particolarmente elevate nella Capitale, sede di numerose opere d’arte e di organizzazioni economiche e socioculturali. E ciò al contrario delle regioni meno sviluppate del Sud-Isole, dove lo stock di infrastrutture di cui dispongono non riesce a soddisfare i bisogni crescenti della collettività e non consente neppure di attrarre quegli investimenti esterni che sarebbero necessari anche a complemento delle iniziative locali giudicate insufficienti. E tuttavia necessario rilevare che i programmi governativi di realizzazione delle infrastrutture hanno quasi sempre cercato di venire incontro alle esigenze dell’Italia meridionale, anche quando le difficoltà ivi incontrate sono risultate molto più marcate di quelle riscontrabili nel resto dell’Italia. Come non manca di sottolineare infatti la Direzione Nazionale Antimafia, nonostante l’azione di contrasto esercitata dalle forze dell’ordine, le infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore degli appalti continuano ad essere una delle maggiori remore alla regolare attuazione delle opere pubbliche nel Sud. E non è tutto: altri motivi di preoccupazione derivano dalle lunghe e tortuose procedure burocratiche (di cui non sono comunque immuni neppure altre regioni), dalla bassa percentuale di utilizzo dei fondi comunitari e dalla scarsa diffusione che hanno avuto nel Mezzogiorno le operazioni di project financing. Disponibilità delle principali infrastrutture per ripartizione territoriale nell'anno 2012 (Numeri indici: media nazionale = 100) SETTORI Rete stradale Rete ferroviaria Porti e punti di ormeggio di imbarcazioni Aeroporti commerciali Reti energetico-ambientali Servizi a banda largae e varie Strutture finanziarie e produttive Sedi scolastiche e universitarie Strutture culturali e opere d'arte Strutture sanitarie e ospedaliere Totali settori - di cui al netto dei porti Nord Nord-Ovest Nord-Est 111,2 111,2 102,6 118,5 49,1 135,5 122,7 81,3 127,3 126,9 112,8 90,2ì 135,3 110,1 99,2 97,0 97,8 98,2 116,1 99,4 107,4 106,8 113,9 103,6 Centro 96,3 120,4 131,2 159,8 98,7 100,7 110,4 109,8 170,5 105,5 121,1 120,0 Sud e Isole ITALIA 88,2 76,3 95,9 62,5 67,1 96,8 65,0 97,0 61,4 87,7 79,8 78,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 Fonte: Unioncamere (Camere di Commercio d'Italia) Imprese & Territorio - novembre 2013 5
  • 6. Lotta all’evasione fiscale per una riduzione delle imposte di Giovanni Miele ategorie e forze politiche sono ormai sempre più consapevoli che il fulcro della politica economica si trova a Bruxelles dove in sostanza si stabiliscono i parametri ai quali i governi nazionali devono attenersi nel guidare l'economia dei singoli stati. Ma proprio la rigidità di questi parametri sta producendo un clima di insoddisfazione e di insofferenza sempre più diffuso nel mondo della produzione e dell'artigianato. Chi si è fatto carico più volte del malessere e del disagio della piccola impresa e del lavoro autonomo è stato in particolare il viceministro all'economia Stefano Fassina. C On. Fassina, nella squadra del Governo Letta lei è forse il più critico nei confronti della politica economica dell'Unione Europea. Cosa dovrebbe fare l'Italia per sottrarsi alla cura imposta da Bruxelles che rischia di uccidere il malato? Non si tratta di “sottrarsi” a qualcuno o a qualcosa; né si tratta di un problema esclusivo dell’Italia, che siamo costretti ad affrontare in solitudine cercando la nostra scappatoia. Si tratta di affrontare strutturalmente i molti problemi di un’Europa che non funziona, per via di vizi che sono insiti nel suo attuale assetto istituzionale, nei processi decisionali e nell’orientamento politico prevalente. Il risultato finale è la sopravvivenza di una politica economica mercantilista che si è dimostrata e continua a dimostrarsi del tutto fallimentare. E l’accanimento ideologico è evidente: siamo arrivati ad accogliere con giubilo qualche timidissimo segno “+” dopo cadute di Pil di 10, 15 e finanche 25 punti percentuali (rispetto ai livelli pre-crisi), in paesi in cui la disoccupazione supera il 27% ed è previsto che rimanga su valori simili per vari anni a venire! Si tratta, quindi, di iniziare un percorso in cui un grande paese come l’Italia può avere un ruolo centrale, ma che non può sostenere da solo: 6 Imprese & Territorio - novembre 2013 riformare profondamente le istituzioni europee e rimettere mano ai trattati, dare più peso al Parlamento europeo e meno alle tecnocrazie autoreferenziali che non sentono la necessità di fare i conti con le tragedie che milioni di persone stanno vivendo in questi anni. Questo significa dare più voce al popolo europeo e lasciare che finalmente si formi un sentimento politico di respiro continentale, l’unico collante che possa tenere in vita l’Eurozona e l’Unione Europea. On. Fassina, stiamo assistendo ad una drammatica morìa di imprese, specialmente le artigiane, costrette spesso a chiudere perchè non sono più in grado di sopportare la pressione fiscale. Cosa si può fare in concreto per salvare tante piccole e medie imprese dal naufragio? In questo paese il prelievo fiscale complessivo ha raggiunto certamente livelli insostenibili, specialmente su alcune categorie di contribuenti. Il problema si è drasticamente acuito negli ultimi anni, grazie alle politiche di austerità e ai vincoli che ci sono stati imposti, che ci hanno fatto avvitare in una spirale recessiva in cui tagli di spesa e aumenti delle imposte hanno por-
  • 7. tato ad un netto incremento dello stock di debito: era poco più del 103% del Pil nel 2007, siamo quasi al 128% oggi. In poche parole, ogni nuovo aumento di tasse ne rende necessari altri nell’immediato futuro. E lo stesso vale per i tagli di spesa, checché ne dicano Alesina e Giavazzi. È chiaro che, in un quadro del genere, non esistono soluzioni facili: un governo sottoposto agli attuali vincoli europei non ha spazi significativi per ridurre la pressione fiscale. Gli enormi sforzi che stiamo facendo in questo senso daranno luogo a interventi di qualche rilevanza, ma di certo non “risolutivi”. Personalmente, credo sarebbe molto utile riproporre su vasta scala un regime sostitutivo per i cosiddetti “contribuenti minimi”, simile a quello introdotto dal secondo governo Prodi e smantellato da Tremonti. Ma per abbassare la pressione fiscale in modo sensibile è necessario tornare a crescere, e non di uno “zero virgola”. È necessario definire un patto chiaro con tutti i contribuenti: ogni euro recuperato dall’evasione fiscale deve essere destinato a riduzione di imposte. Infine, è importante tornare ad una crescita che assorba disoccupazione: i tagli di spesa vanno fatti nelle fasi positive del ciclo. Oggi, è decisivo sostenere gli investimenti pubblici e privati. È innegabile che, ad oggi, molte piccole imprese non riescano a far fronte ai loro impegni con l’erario; riconoscere quest’evidenza – come ho fatto di recente, suscitando molte reazioni diverse – non deve assolutamente apparire come una giustificazione all’evasione fiscale, ma come un ulteriore segnale dell’insostenibilità delle scelte di policy fatte finora. Un altro punto dolente per le piccole e medie imprese è quello del costo del lavoro che è la causa principale della disoccupazione giovanile e finisce col rendere le nostre aziende artigiane scarsamente competitive sui mercati internazionali. Ritiene che gli interventi previsti dal Governo possano rappresentare un rimedio efficace per avviare la ripresa produttiva ed occupazionale? Quello del costo del lavoro è un argomento molto delicato, che solo per certi versi si sovrappone al problema della pressione fiscale. Anche in questo caso, infatti, è certamente vero che in Italia il cuneo fiscale è molto alto e pesa in misura consistente sulle imprese. Ma bisogna prestare attenzione ad altri dati per capire quanto a ciò siano effettivamente imputabili le difficoltà che viviamo. Le cito alcuni dati Eurostat molto importanti ma spesso trascurati nel dibattito: nel 2010 in Italia il costo medio di un lavoratore dipendente (comprensivo di retribuzione, imposte e contributi) nella manifattura era pari a 38.100 euro l’anno; in Germania a 47.800, in Francia a 48.800, in Irlanda a 49.400. La quota dei costi del personale sul valore della produzione era pari al 15,5% in Italia e a circa il 20,5% in Germania e in Francia. Questi dati dipendono da diversi fattori: ad esempio, dal costo della vita e dai livelli di salario, ma anche dalle specificità tecnologiche dei settori che compongono l’industria. Però mi fanno pensare che probabilmente il nostro principale problema non è il costo del lavoro. Altri paesi con un modello di welfare simile al nostro hanno livelli di cuneo fiscale addirittura più alti: secondo l’Ocse, posto uguale a 100 il salario lordo del lavoratore, il costo del lavoro per l’impresa in Francia era pari a 144 nel 2012, rispetto al 132 dell’Italia. Molti paesi sviluppati si attestano su livelli molto simili ai nostri, mentre altri hanno un costo del lavoro globale sensibilmente più basso (poco meno di 120 in Germania, ad esempio). Il punto fondamentale resta la scelta del modello da adottare: personalmente, non credo che le PMI in Italia possano sperare di essere internazionalmente competitive in termini di costi. Non sarà un abbattimento del 3% del cuneo fiscale a ridare slancio alle nostre imprese. E un’Europa in cui i paesi membri si contendono quote di mercato tagliando imposte e oneri sociali è un’Europa in cui non sarebbe bello vivere: si tratterebbe di una gara al ribasso la cui posta in gioco sono gli standard di vita e di sicurezza sociale che abbiamo acquisito in oltre mezzo secolo di sviluppo. Nel dibattito sulla legge di stabilità le principali forze politche della maggioranza che sostiene il Governo, PD e PDL, hanno dato l'impressione di guardare di più all'interesse della propria base elettorale che a quello del paese nel suo complesso. Lei che cosa ne pensa? Anche questo discorso è particolarmente delicato. La democrazia rappresentativa si basa sui voti e i partiti rappresentano, istituzionalmente, i promotori di interessi di parte. Non ci si può stupire del fatto che i partiti si pongano come obiettivo quello di tutelare l’interesse della propria base elettorale, perché si tratta del loro ruolo istituzionale di “corpi intermedi”. Nel caso dei grandi partiti, poi, ciascuno si trova nella condizione di dover tutelare istanze particolarmente complesse, perché hanno una base elettorale trasversale, seppur generalmente distinta da alcune caratteristiche di base. Il rischio di questa difficile fase congiunturale – e della logica emergenziale che la contraddistingue – è che l’approccio del “governo tecnico” faccia passare in secondo piano alcuni aspetti essenziali della fisiologia democratica: non si può bollare come “populismo” qualsiasi istanza politica che vada contro i dictat dei diversi livelli di tecnocrazia che oggi supervisionano (o gestiscono direttamente) i processi politici. Per un motivo essenziale: non esiste una definizione tecnica di “bene del paese”; il bene del paese, in una democrazia in cui la sovranità appartiene al popolo, è quello che la maggioranza dei cittadini – di tempo in tempo – definisce essere tale, nell’ambito dei principi stabiliti dalla nostra Costituzione. Da cittadino e da rappresentante pro-tempore delle istituzioni, prima che da politico, mi auguro che l’elettorato di ciascun partito sia in grado di valutare ciò che è meglio per il paese, oltre che per sé stesso e che mantenga sempre l’opportunità di esprimere col voto il suo consenso verso determinate scelte. Imprese & Territorio - novembre 2013 7
  • 8. “Destinazione Italia”: ridurre il peso della burocrazia di Giovanni Miele Sen. Vicari, Sono ormai quasi tre anni che gli italiani sono chiamati a sostenere pesanti sacrifici per uscire dalla crisi ed imboccare finalmente la strada della ripresa. Dopo le politiche restrittive del governo Monti, il Governo Letta , di cui lei fa parte , sta seguendo la cosiddetta politica dei piccoli passi per raggiungere il traguardo di una nuova fase di sviluppo, ma il timore è che il prossimo anno , fra IMU e TRISE gli artigiani debbano pagare oltre un miliardo in più di tasse. Quali sono le sue previsioni? Il nostro Paese vive un momento di grande difficoltá, frutto di una crisi economica di carattere internazionale. Questo ha imposto provvedimenti e misure capaci di rispondere in maniera efficace alle sollecitazioni dei mercati, anche perché soprattutto nella fase iniziale della crisi l'Ue non ha saputo mettere in campo azioni decise e forti. Abbiamo dovuto attendere l'arrivo di Mario Draghi alla Bce per disporre di misure alquanto vantaggiose, che hanno consentito, se non di invertire la tendenza, di mettere al riparo dalla speculazione le economie nazionali e di garantire maggiori spazi di manovra. Dopo aver operato per garantire la stabilitá economica, il governo Letta é nato con il chiaro intento di invertire la tendenza: ciò che non appare comunque piuttosto agevole, anche perché, 8 Imprese & Territorio - novembre 2013 ono 400mila le partite IVA scomparse negli ultimi anni e di queste la maggior parte è rappresentata da imprese artigiane e lavoratori autonomi. In questa situazione e in attesa di vedere finalmente un po' di luce in fondo al tunnel della crisi, artigiani e piccoli imprenditori continuano a guardare con fiducia al Ministero dello Sviluppo da dove si aspettano misure capaci di risollevarli da una situazione diventata ormai insostenibile. A mostrare particolare attenzione verso il mondo dell'artigianato e del lavoro autonomo è stata di recente la Senatrice Simona Vicari, Sottosegretario appunto allo Sviluppo Economico S come a me piace ripetere, l'Italia ha bisogno di uno shock per ripartire e il limite del 3% del rapporto deficit/pil rappresenta un freno enorme. La mia proposta è varare un'agenda di riforme concordate con l'Ue e che preveda anche lo sforamento temporaneo del limite del 3 per cento. Questo davvero potrebbe consentirci di guardare al 2015 con una prospettiva di crescita. Intanto nell'immediato siamo al lavoro per garantire risorse e strumenti per il rilancio delle piccole e medie imprese. Giá nel decreto “del fare” con il rifinanziamento del Fondo di Garanzia e la semplificazione di tutti quegli adempimenti che riducevano, ed in alcuni casi impedivano l'accesso a numerose imprese, abbiamo voluto rispondere alla crisi di liquiditá. Il credit crunch é senza dubbio il problema principale che dobbiamo affrontare se vogliamo far ripartire il sistema imprese in Italia. Ogni mese si riduce il flusso di crediti dalle banche alle imprese, e questo impedisce alle aziende di fare investimenti e di crescere. Il rifinanziamento del Fondo vuole rispondere a queste esigenza di liquiditá. E adesso con l'ulteriore riduzione del tasso di interesse di riferimento da parte della Bce allo 0,25%, il mio auspicio é che le banche facciano ripartire i meccanismi del credito alle imprese. Poi non possia-
  • 9. mo non ricordare le misure per garantire il pagamento dei debiti della Pubblica Amministrazione alle aziende. Parliamo di ingenti risorse sottratte alle imprese e che messe in circolo potrebbero portare al benificio di qualche punto di Pil. Inoltre abbiamo previsto interventi per agevolare l'acquisto di nuovi macchinari, riportando in vita la legge Sabatini, al fine di stimolare gli investimenti ed il rinnovamento strutturale delle imprese. Ed infine, stiamo lavorando per l'abolizione dell'Imu sui capannoni cosí da liberare ulteriori risorse per le imprese. Questo per quanto riguarda le misure di carattere economico; poi stiamo lavorando ad interventi volti a ridurre il peso della burocrazia sull'avvio di un'impresa, ma piú in generale sulla vita delle aziende stesse. Le inseriremo anzitutto sia nel prossimo provvedimento "Destinazione Italia" e poi nella legge annuale sulle Pmi. Si tratta di misure molto importanti. Basti pensare che la burocrazia pesa per circa un terzo sulla vita delle imprese, ostacolando in maniera decisa il loro sviluppo. Un altro freno alla ripresa e allo sviluppo dell'artigianato è rappresentato dalla incapacità delle Regioni, specialmente del Mezzogiorno, di utilizzare i fondi europei e anche quest'anno si rischia di perdere importanti risorse per la nostra economia. É un problema storico, ma direi cronico del nostro Paese. In molti casi non sono i fondi a mancare ma piuttosto le idee su come utilizzarli. A questo dobbiamo anche aggiungere i problemi legati alla burocrazia, che come ho spiegato prima rappresentano un macigno per moltissime aziende. Su questo fronte dovremmo lavorare alacremente, perché se l'Italia vuole essere al passo con gli altri paesi europei deve integrarsi anche su questo punto. In Europa bastano solo pochi giorni per avere l'autorizzazione ad avviare un'azienda, mentre in Italia dobbiamo attendere mesi. Senza contare, inoltre, i costi da sostenere. La mia proposta é quella di passare ad un sistema di controlli ex post, e cioé di prevedere una serie di adempimenti a cui si dovrá attenere chi vuole aprire un'impresa, lasciando allo Stato il compito di controllare, in una fase successiva, se tali prescrizioni sono state rispettate. Meno tempo perso e meno spese: é questa la strada da seguire. no ancora un sistema legislativo che non le favorisce, anche se devo ammettere che il vento sta cambiando. Proprio il governo Monti aveva sottoscritto un accordo per l'istituzione di una sezione speciale dedicata all'imprenditoria femminile all'interno del Fondo speciale di Garanzia. A questo accordo è seguita la costituzione di un tavolo tecnico presso il Ministero dello Sviluppo Economico che dovrá favorire le forme di credito da destinare alle imprese femminili. Nelle prossime settimane convocheró il tavolo e lì sará la sede per valutare ulteriori interventi di sostegno alle imprese femminili. Per concludere, Sen. Vicari, se dovesse consigliare ad un giovane di impegnarsi in un'attività autonoma, verso quali settori lo indirizzerebbe e con quali raccomandazioni , tenendo conto delle difficoltà che dovrebbe affrontare entrando in contatto con banche, pubblica amministrazione e fisco? Il campo dell'energia é quello che mi affascina maggiormente e che ritengo sia quello con maggiori prospettive di sviluppo. Consideriamo che entro il 2020 dovremo uniformarci a quanto stabilito dal Trattato di Kyoto, e quindi il tema delle energie rinnovabili e delle nuove tecnologie in campo energetico diventerà sempre piú centrale. Lo dimostra anche il rinnovo per il 2014 dell'ecobonus, che non solo sará una boccata di ossigeno per il settore energetico, ma servirá da stimolo per il comparto delle costruzioni. A questo si aggiunge il fatto che in Italia sono stati compiuti grandi passi in avanti in questo settore ed esistono ancora grosse possibilitá di crescita. Tutto questo anche se in alcuni casi la gestione dei fondi é stata poco razionale. E a tal proposito credo che la stagione dell'assalto agli incentivi, dei sussidi di qualunque natura o delle esenzioni varie per l'industria, la P.A. e le PMI si sia chiusa. Ora dobbiamo lavorare affinchè se ne apra un'altra, che veda la possibilità di accedere a forme di calmierazione del costo dell'energia sulla bolletta in proporzione al livello di efficienza energetica conseguito. Lungo questa strada, senza alcun dubbio, l'energia sará protagonista del futuro. Come donna impegnata in prima persona nella squadra di governo, pensa che in questo particolare momento della vita del Paese siano necessarie misure specifiche per sostenere l'imprenditoria femminile? Oggi l'imprenditoria femminile rappresenta la parte piú dinamica della nostra economia. Lo dicono i numeri che evidenziano come siano le donne piú degli uomini a decidere di impiantare un'attivitá imprenditoriale. Sono oltre 1,4 milioni le imprese femminili e rispetto al 2012 c'é stato un incremento dello 0,5%, con una maggiore concentrazione nel Meridione. A fronte di questo, peró, le donne sconta- Imprese & Territorio - novembre 2013 9
  • 10. La nuova sfida dei distretti industriali di Domenico Mauriello R afforzamento della capacità competitiva e assenza di nuovi percorsi di sviluppo sono, paradossalmente, le due chiavi di lettura attraverso cui leggere e interpretare la fase evolutiva che caratterizza oggi gran parte dei distretti produttivi italiani. Se l’export registra una fase ininterrotta di crescita, le imprese e i territori in cui esse operano parlano, invece, di nodi critici ancora da sciogliere e che rendono il contesto territoriale tuttora complesso. La nuova competitività, fatta di innovazione di prodotto, di strategie di mercato aggressive, di reti tra imprese sempre più sofisticate e di ibridazione tra distretti tradizionali e filiere lunghe della produzione, si scontra dunque con una crescita del distretto in sé - ovvero del territorio in cui esso ha avuto origine e in cui si è incardinato - che sembra tardare ad arrivare. E questo paradosso della nuova competitività senza sviluppo, ha dei segni ben precisi. La crisi dei localismi d’impresa, come d’altra parte dell’intero manifatturiero italiano, è anzitutto una crisi occupazionale, frutto di un mix di fenomeni che non sembrano essersi attenuati negli ultimi cinque anni e che, anzi, si sono acuiti. Ma la risposta a questa crisi risiede nella natura stessa dei distretti, ossia in quel modello di sviluppo economico e sociale «sostenibile» che ne ha segnato la nascita e lo sviluppo, il cui paradigma produttivo fa leva sulla creatività e sui saperi, premiando chi investe in conoscenze, tecnologie, capitale umano e innovazione. Modernizzare e “sincronizzare” questo modello alla luce dell’evoluzione dei mercati rappresenta oggi la vera sfida dei distretti: lo hanno ben compreso le tante aziende che hanno creato nuove specializzazioni quel “new made in Italy” che vede l’Italia tra i primi cinque Paesi al mondo per saldo commerciale con l’estero - puntando sulla qualità e sulle unicità dei nostri territori, e che hanno il loro polmone nella Green economy. Soprattutto grazie a queste imprese, oggi i distretti hanno messo a segno un nuovo record: il secondo trimestre 2013 si è chiuso infatti con un export che, nel complesso di queste aree, ha raggiunto i 76,7 miliardi di euro a prezzi correnti. Al contempo, però, una recente indagine Unioncamere segnala che circa il 22% delle aziende di distretto ha registrato nel 2012 una flessione delle vendite all’estero (era il 15% solo l’anno 10 Imprese & Territorio - novembre 2013 precedente) e la causa, quasi unica, di tale flessione è attribuita a un ridimensionamento e riposizionamento della domanda estera. Questa indicazione non può essere sottovalutata, perché probabilmente nasconde, al fondo, alcuni segnali che vanno letti per tempo. Se il made in Italy e le produzioni di distretto hanno certamente una carica competitiva forte, soprattutto all’estero, è altrettanto vero che molti mercati, anche e soprattutto dei Paesi emergenti, stanno progressivamente rivedendo le proprie strategie, talvolta sostituendo con proprie produzioni alcuni prodotti intermedi del made in Italy, tal’altra chiedendo prodotti completamente nuovi. Si tratta di un trend di mercato che non va sottovalutato e che richiede un potenziamento ed un affinamento sia delle strategie di innovazione di prodotto e di processo che delle strategie di mercato, in particolare di quelle commerciali. Un’altra chiave di lettura, utile a leggere il significato dell’attuale fase congiunturale, è quella che afferisce al tema del distretto produttivo come sistema di competenze e di know-how. Una parte assai consistente degli imprenditori contattati nella già menzionata indagine realizzata da Unioncamere segnala, infatti, come elementi critici del contesto locale, la permanente difficoltà di reperimento di manodopera qualificata, la presenza insufficiente - e non solo nelle aziende di maggiori dimensioni e in quelle con una posizione di leadership - di figure con competenze manageriali, nonché difficoltà nell’attuare efficacemente il ricambio generazionale. Resta quindi il problema, forse ancora sottovalutato, che - per rinnovarsi e mantenere elevati livelli di capacità competitiva - il distretto ha bisogno di implementare costantemente le sue competenze professionali, il saper fare specifico, il know-how proprio del territorio. In altri termini, l’attuale complessità dei mercati e le criticità di fronte alle quali molti distretti si trovano devono essere affrontate con il rafforzamento delle competenze e, per così dire, con “intelligenze di distretto”, attraverso investimenti in percorsi formativi, sostegno all’imprenditorialità, diffusione di una più alta cultura d’impresa. Vi è ancora un altro aspetto, che è quello legato alla crisi di liquidità. Quasi la metà delle imprese analizzate nell’indagine Unioncamere registra un allungamento
  • 11. • Il potenziamento dell’organizzazione aziendale attraverso l’innalzamento delle competenze interne, la ridefinizione delle strategie di interrelazione con i segmenti a monte e a valle dell’azienda, il miglioramento del processo produttivo attraverso percorsi di innovazione “sostenibile” che abbiano al centro il lavoro e la valorizzazione dei saperi locali; • l’internazionalizzazione sempre più spinta e il riposizionamento sui mercati esteri, anche attraverso politiche distributive con una forte carica innovativa o investimenti diretti finalizzati a presidiare in modo veloce e diretto mercati lontani o emergenti; • l’allungamento e l’ibridazione delle filiere che attraversano o che partono dai distretti produttivi. È indubbio che negli ultimi anni i cluster più efficienti si siano incardinati in filiere di produzione lunghe, andando anche oltre la pratica della gestione delle funzioni strategiche tutte all’interno. Non è un caso che, per i tre quarti delle imprese distrettuali dell’indagine Unioncamere, i fornitori più rilevanti siano localizzati fuori dal distretto, così come più del 50% del mercato (in termini di fatturato) abbia origine all’estero; • la partecipazione a reti intelligenti, ovvero a reti che favoriscano la circolazione e la condivisione di conoscenze e di pratiche non solo legate all’innovazione di processo o di prodotto, ma soprattutto utili a rendere più efficienti (e, soprattutto, eco-efficienti) alcuni processi o ad attivare nuove strategie di mercato. Molte delle analisi condotte sul campo negli ultimi anni sembrano confermare una sorta di upgrading delle reti collaborative che, da semplice strumento di scambio di informazioni, sono spesso diventate reti di progettazione di sistemi di acquisto di materie prime, di sistemi di ricerca e test di prodotto, di creazione e promozione di marchi comuni. Internazionalizzazione, sostenibilità, nuove politiche di filiera e rafforzamento delle reti di competenze e di know-how appaiono, dunque, come le chiavi interpretative che meglio e più di altre possono oggi spiegare i punti di forza e le criticità dei distretti e che permettono di delineare possibili percorsi futuri. dei tempi di riscossione dei crediti commerciali: ciò che, nella quasi totalità dei casi, corrisponde ad una ulteriore posticipazione degli incassi stessi: ben il 47% ritiene, infatti, che nel 2013 si siano evidenziati molti crediti non pagati per difficoltà o fallimento di alcuni clienti. Il quadro appare, dunque, molto complesso; e, d’altra parte, l’interlocuzione ancora difficile con il sistema bancario - salvo casi virtuosi in cui sono stati attivati programmi specifici di finanziamento di nuovi investimenti o di sostegno all’internazionalizzazione - non sembra aiutare. L’effetto più evidente, soprattutto nel lungo periodo, è il ridimensionamento della capacità di investimento dei distretti, che rischia di limitare anche la piena affermazione del nuovo modello di cui si è detto, basato sull’innovazione “sostenibile”. Non sembra un caso che tra il 2011 ed il 2012 la percentuale di aziende distrettuali che ha effettuato nuovi acquisti di macchinari sia passata dal 53% al 48%, e quella di chi ha effettuato acquisti di apparecchiature informatiche e investimenti in software e servizi informatici sia passata dal 57% al 46%. E’ difficile dire quali possano essere le soluzioni a questo tipo di problemi. Quello che è certo è che, nella maggior parte dei casi, non sembrano essere più sufficienti interventi - ancorché virtuosi – quali le azioni di mitigazione del rischio da parte dei confidi o le iniziative di sostegno a programmi di sviluppo da parte di banche locali o di gruppi nazionali. Occorre invece un’azione concertata, a livello di ciascun distretto, che veda un coinvolgimento diretto delle imprese, del sistema bancario e di altre strutture intermedie, a partire dalle Camere di commercio. Sono queste le principali scommesse per il futuro dei distretti, che possono essere vinte solo puntando sulla rielaborazione in chiave moderna di quel modello tutto italiano - di sviluppo sostenibile del territorio, nel quale innovazione e benessere si abbinano alla coesione sociale. Data la complessità di questo scenario, diventa quanto mai importante individuare gli assi di progressione lungo i quali corrono già oggi pratiche innovative e che possono, quindi, rappresentare il punto di partenza di strategie di intervento a sostegno del cambiamento e dello sviluppo di questi territori: 80 60 Dinamica delle esportazioni cumulate dei principali distretti industriali italiani (miliardi di euro a prezzi correnti) 55 Fonte: elaborazione Fondazione 76,7 73,8 75 70 65 Edison su dati Istat 50 45 40 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 Imprese & Territorio - novembre 2013 11
  • 12. Razionalizzare i costi della politica e modificare il sistema istituzionale di Giovanni Miele opo la separazione dalla rinata Forza Italia di Silvio Berlusconi i ministri del Nuovo PDL hanno dichiarato di voler dare un impulso decisivo all'azione del governo Letta. Alla scadenza dei prossimi dodici mesi - ha detto il Vicepremier Angelino Alfano - faremo un bilancio degli obbiettivi raggiunti. Fra questi lo stesso Alfano ha posto in primo piano la riforma elettorale e quella dell'ordinamento dello Stato. Riforme sulle quali è impegnato in prima persona il ministro Gaetano Quagliariello, uno dei promotori della formazione politica , il Nuovo Centrodestra, nato dall'esperienza del PDL. D Ministro Quagliariello, il tema del rapporto fra cittadini e politica e più in particolare fra mondo dell'impresa e mondo politico, è certamente molto sentito da chi, come un artigiano o un piccolo imprenditore, viene chiamato a sostenere pesanti sacrifici mentre partiti e istituzioni continuano a rappresentare un costo notevole per le casse dello Stato. Lei che è ministro delle riforme istituzionali, come pensa che possa essere recuperato questo rapporto e la credibilità delle forze politiche? Non solo è possibile, ma è doveroso. E credo che per farlo sia necessario percorrere tre strade. Occorre una razionalizzazione dei costi della politica che, senza minare il funzionamento della democrazia, elimini sprechi e opacità: si tratta di interventi che quantitativamente incidono poco nel bilancio dello Stato, ma ai quali i cittadini annettono un grande valore simbolico soprattutto in un momento di crisi come quello che stiamo attraversando. In secondo luogo, è necessario che lo Stato 12 Imprese & Territorio - novembre 2013 mostri un rigore nell’adempimento delle proprie obbligazioni almeno pari a quello richiesto ai cittadini. Ciò significa saldare i debiti delle pubbliche amministrazioni nei confronti delle imprese, rendere più efficiente e meno farraginosa la burocrazia. Ma, soprattutto, bisogna incidere sul vero costo strutturale che frena la competitività del nostro Paese: l’inadeguatezza del sistema istituzionale. Due Camere con quasi mille parlamentari che fanno la stessa cosa, un procedimento legislativo che dura il doppio rispetto alla media degli altri Paesi europei, una conflittualità costante tra legislatore nazionale e legislatore regionale cronicamente risolta dalla Corte costituzionale, una sovrapposizione di competenze e responsabilità tra i troppi e confusi livelli di governo, sono fattori che producono un costo ormai insostenibile, sia in termini di spesa che in termini di mancate opportunità. Ecco, accanto agli interventi immediati, solo una riforma delle istituzioni potrà
  • 13. rimettere il nostro Paese in carreggiata, anche dal punto di vista dello sviluppo economico e della competitività. Nel confronto fra i partiti c'è chi sostiene la necessità di arrivare al più presto ad un nuovo assetto istituzionale e ad un nuovo ordinamento dello Stato e chi invece pensa che sia più realistico puntare ad una riforma elettorale che consenta almeno di superare il porcellum, per restituire agli elettori il diritto di scegliere i propri rappresentanti in Parlamento. Lei da che parte sta? Io sto dalla parte delle riforme, perché per troppo tempo abbiamo commesso l’errore di caricare sulle esili spalle della sola legge elettorale il peso della riorganizzazione del sistema politico. Dopo tanti anni di fallimenti, e dopo aver sfiorato la paralisi istituzionale al’indomani delle ultime elezioni politiche, dovrebbe essere ormai diffusa la consapevolezza che senza una revisione del funzionamento delle nostre istituzioni non vi sarà legge elettorale che tenga. Credo dunque che si debba fare di tutto per portare a termine il percorso delle riforme – bicameralismo, titolo V, forma di governo – e in questo quadro fare una nuova legge elettorale che sia coerente con il modello prescelto. Allo stesso tempo, tuttavia, ritengo che un governo debba stare in piedi per quel che è capace di fare e non per l’impossibilità di andare al voto. E poiché tanto l’inadeguatezza dell’attuale quadro partitico quanto la pendenza di un giudizio davanti alla Corte costituzionale rendono impossibile il ricorso alle urne con la legge elettorale vigente, fin da maggio il governo ha sollecitato il Parlamento e le forze politiche a procedere a un intervento di ‘messa in sicurezza’ del cosiddetto Porcellum che, in attesa della riforma definitiva, ne corregga le più evidenti storture. In sostanza, perchè un cittadino qualunque, preso dai suoi problemi quotidiani e dalla preoccupazione di superare in qualche modo questa difficile congiuntura economica, dovrebbe considerare importante realizzare le riforme istituzionali alle quali lei sta lavorando? Perché l’incapacità delle nostre istituzioni di assumere decisioni rapide, tempestive ed efficaci, la confusione di ruoli e competenze che deresponsabilizza i decisori pubblici a tutti i livelli, la farraginosità del meccanismo di formazione delle leggi, una giustizia non giusta e non efficiente, e i tanti altri limiti che rendono il funzionamento del nostro Stato inadatto a reggere la competizione globale nella quale ormai siamo inseriti, rappresentano il principale freno allo sviluppo del nostro Paese. Gli interventi in campo economico sono certamente necessari e urgenti, ma solo se sostenuti da istituzioni che funzionano possono ambire ad avere il necessario respiro. Il prossimo anno gli italiani saranno chiamati a eleggere i loro rappresentanti nel Parlamento Europeo. Che senso ha procedere in questo parti- colare momento storico a radicali riforme dell'ordinamento dello Stato, mentre si assiste ad una sostanziale cessione della sovranità nazionale a favore delle istituzioni europee? È vero il contrario: proprio perché siamo inseriti nel contesto europeo, con tutto ciò che ne consegue anche in termini di competizione, l’efficienza delle istituzioni diventa un fattore decisivo. In ogni caso, quello della costruzione europea è un altro grande tema con il quale le forze politiche sono chiamate oggi a misurarsi. L’integrazione europea è ormai un processo ineludibile. Più che cercare di sottrarvisi, bisogna dunque cercare di parteciparvi da protagonisti. Questo significa valorizzare il nostro ruolo geopolitico di cuore dell’Europa mediterranea e cerniera con l’Est e con il Sud del mondo: un ruolo sul quale fare leva per costituire un asse in grado di bilanciare lo strapotere baltico. Questo significa contribuire alla ricostruzione delle grandi famiglie politiche europee in un’ottica di solidarietà. Questo significa recuperare quel metodo iniziale sul quale l’Unione è nata – la fissazione di obiettivi progressivi e la cessione di quote di sovranità finalizzate al raggiungimento dello scopo prefissato –, che si è inceppato proprio di fronte alla sfida più importante, la moneta unica. Con l’avvento della crisi è apparso evidente come all’origine della debolezza strutturale della costruzione europea vi sia fondamentalmente una perdita di visione e di identità. Ecco, io credo che per ricostruire un tessuto connettivo vi sia bisogno di Stati nazionali forti e autorevoli, perché da un’unione di forze capaci di coniugare interessi nazionali e solidarietà continentale può nascere davvero l’Europa, mentre da una sommatoria di debolezze – o, peggio, da una sommatoria squilibrata di forze e debolezze – può derivare solo altra debolezza. In conclusione, Ministro Quagliariello, qual'e' secondo lei l'ordinamento ideale dello Stato e quale quello possibile e realizzabile per il nostro Paese alla luce del confronto politico in atto? In questa fase non spetta a me indicare dettagliate soluzioni, ma certamente il modello delineato dalle riforme dovrà essere tale da far recuperare alle istituzioni rappresentatività e capacità decisionale. Ciò sapendo che i due obiettivi non sono affatto in contraddizione, ma anzi vanno di pari passo: istituzioni incapaci di assumere decisioni perdono infatti capacità rappresentativa perché si allontanano dai bisogni dei cittadini. A me tocca comunque il compito di mettere in campo un percorso che porti il Parlamento e le forze politiche a pronunciarsi in tempi certi e non troppo lunghi, e i cittadini a essere il più possibili partecipi della riscrittura delle regole del gioco che appartengono a tutti. In ogni caso, l’auspicio condiviso è che dal processo di riforma scaturiscano istituzioni più forti, più autorevoli, più efficienti, in grado di dare efficacia alle decisioni, linfa alla politica, pienezza alla democrazia. E, soprattutto, l’augurio è che dopo trent’anni di tentativi andati a vuoto questa sia la volta buona. Io ce la sto mettendo tutta. Imprese & Territorio - novembre 2013 13
  • 14. Social Media e PMI Socializzare l’impresa, istruzioni per l’uso di Marco Michelli acebook, Google Plus, Twitter, Instagram o LinkedIn: questi nomi vi dicono qualcosa? Sono tra i più diffusi social media e permettono, come lo stesso sito pmi.it ha segnalato, “di potenziare e rendere più duratura la relazione con i consumatori attraverso le comunità digitali, a tutto vantaggio della capacità di generare business”. Ebbene, molto spesso sono stati considerati come mezzi alternativi se non sostitutivi della realtà tradizionale ed in particolare dei canali distributivi classici, così come non è un caso che l’e-commerce sia ancora guardato con diffidenza dalle imprese. F QUALCHE DATO In base ai dati pubblicati dal sito “The Website Marketing Group” relativi alla diffusione e uso dei social media, si stima che il numero di persone che negli Stati Uniti ha accesso a internet attraverso apparecchi mobili sia di oltre 818 milioni, con un incremento nel biennio 2011-13 del 60,3%. In tale periodo Facebook ha raggiunto i 665 milioni di utenti attivi ogni giorno, mentre 45 milioni di fotografie vengono postate ogni giorno su Instagram; Google Plus è divenuto il secondo social media più grande al mondo con la crescita più alta (46%) tra gli utenti di età compresa tra i 45 e i 54 anni. Inoltre, Twitter è il social network che si sta diffondendo più velocemente nel pianeta (il 21% degli utenti web lo usa ogni mese) e i suoi utenti, quando si rivolgono a un customer service, nell’83% dei casi si aspettano di ricevere una risposta il giorno stesso. Sempre riferendoci ai dati della ricerca, si rileva che Pinterest è usato da 70 milioni di utenti - con un incremento di 20 milioni da febbraio a settembre 2013 – ed è diventato il punto di riferimento delle condivisioni social di e-commerce. Ogni 14 Imprese & Territorio - novembre 2013 minuto vengono caricate su YouTube circa 100 ore di video e, per concludere, ogni secondo che passa, LinkedIn acquisisce due nuovi iscritti, annoverando già 2,6 milioni di imprese che hanno una pagina aziendale sul social network. Numeri stratosferici. “SOCIALIZZARE” UN’IMPRESA Proprio la crisi, e la conseguente necessità di allargare il proprio bacino di utenza (e di entrate) stimola a guardare al web come ad un’opportunità, a patto che “si parta dalla consapevolezza che la rete ha cambiato, a monte, il comportamento informativo e decisionale dell’utente e, a valle, le aspettative e le scelte d’acquisto”, come precisa anche pmi.it Come dimostrano i dati, la diffusione capillare della “rete”, con l’esplosione dei social media – 1 utente su 2 accede a Facebook tutti i giorni anche grazie alla navigazione da smartphone – ribadisce la necessità anche da parte delle pmi di impostare una strategia ad hoc per tali mezzi, tesa a conquistare gli utenti della “rete”. Ciò perchè il consumatore appare sempre più informato, obbligando il venditore a dare maggiori competenze diversificando i canali di approccio, pur senza abbandonare il ruolo della relazione interpersonale, dell’assistenza pre e post vendita, della consulenza personalizzata. “La Rete non snatura la professionalità del venditore, ma la sfida e la valorizza” è il grido di battaglia che pmi.it fa proprio nello stimolare le aziende ad agire. Dunque, avere una presenza sui social media sembra oggi indispensabile per qualsiasi realtà aziendale che voglia sfruttare il canale web in modo realmente efficace. L’hanno capito anche gli imprenditori, per lo meno i più “illuminati”: “Sono state proprio le esigenze dei clienti a farci comprendere la necessità di avere un sito web: tra l’altro, mentre solo due anni fa chiedevano un riferimento online, adesso domandano se sia possibile effettuare acquisti, obbligandoci a rivedere le nostre strategie. Del resto la clientela straniera è per noi fondamentale” dicono Antonella e Antonio meglio noti come “Autori capresi” www.autoricapresi.it che, nel centro storico di Sorrento, hanno un atelier sartoriale che, anche grazie alla rete, è più conosciuto all’estero che in Italia.
  • 15. QUAL È IL TUO PROFILO? Cominciare è abbastanza semplice tranne per chi, in passato, non ha maturato esperienze specifiche (quelli prima della generazione Commodore o Atari, per intenderci): in genere si parte dal mettere online un sito, usando prevalentemente delle amicizie per realizzarlo; poi piano piano si affinano le conoscenze, si cercano i social più adatti a declinare le proprie strategie e si va alla ricerca di elementi per dare una particolare peculiarità al proprio prodotto e contraddistinguersi in rete. Spulciando online è facile trovare iniziative mirate e particolari, da chi si è specializzato (e magari fa tutto in proprio), a chi ha integrato i diversi social media disponibili (una guida su cosa ciascuno possa mettere a disposizione è facile trovarla online), fino a chi ha segmentato la propria proposta: ad esempio, Nello Oliviero, gestore dell’omonima villa di Positano (villaoliviero.it), ha lanciato un sito e dedicato appositi servizi ad hoc volti a soddisfare le specifiche esigenze dei turisti “born in the USA”; diversa segmentazione è quella scelta da Ludovico Sivieri, titolare di ImperiaSuite.com , azienda del settore B&B di Roma: “Internet è il cliente – spiega – tanto che in un anno abbiamo tradotto il sito in 5 lingue e non abbiamo mai utilizzato la pagina in italiano” Ciò non vale solamente per l’abbigliamento, il settore alberghiero o l’agroalimentare ma per qualsiasi attività che intenda allargare il proprio ambito di utenza, tenendo conto che la vera diffusione sta nel passaparola, ossia nel gradimento che viene segnalato da chi ha comprato o utilizzato il prodotto. Detto così può sembrare fattibile:“Bisogna fare attenzione e non pensare che le iniziative online abbiano costi ridotti rispetto all’attività tradizionale” a dirlo è l’artefice di ChiaraKet.com vera e propria boutique on line nota per la vendita di borse, bijoux ed accessori moda, che si dedica solo alla vendita online. In tal modo si consente al cliente di provare nuove strade e scegliere comodamente seduti in poltrona gli accessori più graditi con la garanzia di acquisti sicuri: da questo punto di vista, oltre l’attività di promozione, è divenuto fondamentale il passaparola. Ma bisogna dedicarci tempo e appositi investimenti, oltre ad essere in grado di muoversi tra i diversi social media. MA È (REALMENTE) FACILE PER UN’AZIENDA “ANDARE” SUI SOCIAL NETWORK? Dunque, se per accedere ai social si intende creare un account, inserire qualche informazione, qualche video, qualche immagine, e interagire ogni tanto con i propri interlocutori, allora possiamo dire anche che la cosa è facile; però, con altrettanta sicurezza, possiamo anche dire che è perfettamente inutile. A rilevarlo è Alessandro Scuratti, autore di comunicaresulweb.com, blog dedicato alla comunicazione online e, in particolar modo, alle dinamiche comunicative sui social media. “Un’azienda per cominciare ad utilizzare i social network con profitto deve, in qualche modo, diventare social, deve trasformarsi” - spiega Scuratti nell’articolo “Come si fa a “socializzare” un’azienda?” - “E’ necessaria una formazione adeguata, che può essere sviluppata sia internamente (se l’azienda è in grado con personale interno o con propri consulenti di realizzarla) che esternamente (partecipando ad esempio a workshop formativi). In seguito, bisogna definire gli obiettivi da raggiungere e allineare a questi la strategia social: gli uomini del marketing devono capire ormai che il brand non è più quello che l’azienda pensa o vuole che sia, ma è quello che i clienti, le persone, dicono essere. Poche informazioni, mirate e di qualità sono molto meglio che centinaia di “tweet” esclusivamente promozionali e unilaterali. Il servizio clienti dell’azienda deve saper usare i social per aiutare i propri clienti, oltre ad essere in grado di raccogliere velocemente i feedback provenienti dalla rete social e agire di conseguenza”. Ciò non toglie che vi siano tante leggende che girano attorno ai social, in particolar modo attorno al social media marketing, quella branca del marketing che dovrebbe occuparsi della promozione delle aziende tramite Facebook, Twitter e company. “Queste bugie, via via ingrandite e fomentate da chi ci capisce poco o niente, potrebbero farvi fare errori grossolani, con conseguenze di rilievo per la stessa attività” chiarisce la blogger Veronica Gentili. Tra le bugie - che non vi sveliamo per non guastarvi la lettura di “Le 5 bugie sul social media marketing” sul sito veronicagentili.com - “Non basta la presenza, ma l’importante è il “come” si è presenti: se devi esserci per esserci, tanto vale scegliere di non esserci per niente” chiosa Gentili. In conclusione, vale la pena utilizzare i social media anche se non si è più giovani e semmai (ma siete davvero pochi!) non aveste mai utilizzato un computer o uno smartphone in vita vostra? La risposta la lasciamo a voi, pur menzionandovi una frase di Dee Ward Hock, fondatore della carta Visa: “Il problema non è mai come farsi venire in mente qualcosa di nuovo e innovativo ma come eliminare le vecchie convinzioni”. Insomma, se leggere questo articolo non è bastato - sia che vi abbia convinto o che non vi abbia persuaso più di tanto – non vi resta che provare a “barcamenarvi” un po’, magari dando un’occhiata proprio alla concorrenza. E se non vi siete ancora persuasi dell’importanza di stare in rete, aggiornare la vostra immagine e il vostro modo di comunicare, beccatevi l’intervista ad un “guru” della materia come Mirko Pallera. Basta un “click”e ci si incontra nella rete! Buona navigazione. Imprese & Territorio - novembre 2013 15
  • 16. ARTIGIANCASSA NEI SOCIAL MEDIA Anche Artigiancassa ha scelto di essere presente nei diversi social media. L’obiettivo è quello di fornire un ulteriore servizio a misura delle necessità di ogni impresa. Infatti, riteniamo che il valore dei servizi proposti non vada definito solamente in termini economico-finanziari, ma anche alla luce di un’adeguata implementazione dei servizi di assistenza a supporto. Dunque, perché non seguirci? Ci trovi su: www.artigiancassa.it seguici inoltre su Twitter e Linkedin “L’era dei creator” bbiamo chiesto a Mirko Pallera, co-fondatore di Ninja Academy e direttore responsabile di Ninja Marketing, di parlarci dell’importanza dei social media per le pmi. Considerato una delle menti più fervide e rivoluzionarie del marketing contemporaneo è imprenditore, consulente e digital strategist per Barilla, Telecom e Unilever, si definisce un "innovatore sociale" con la missione di migliorare il mondo grazie alla comunicazione delle aziende. È autore di “Marketing NonConvenzionale: viral, guerrilla, tribal e i 10 principi del marketing postmoderno” edito dal Sole 24 Ore e di "Create! Progettare idee contagiose (e rendere il mondo migliore), pubblicato da Sperling & Kupfer. A Ritieni che le pmi, pur con budget ridotti, debbano implementare la loro presenza sui social media? Perché? I mutamenti della società in cui viviamo hanno imposto al marketing di adeguarsi. È sempre più evidente che siamo entrati definitivamente in una nuova era, quella che io chiamo “Era dei Creator”. In questo nuovo mondo le aziende non hanno più a che fare con dei “consumatori”, abituati a subire passivamente le proposte di prodotti e servizi, ma con dei veri e propri “creatori”, attivi, spesso polemici, molto esigenti, appassionati. Anche per questo, il modo di comunicare e di fare marketing che le aziende hanno utilizzato in passato non è più efficace: le imprese sono chiamate a comprendere cosa è cambiato, perché e cosa bisogna fare per iniziare un nuovo rappor- 16 Imprese & Territorio - novembre 2013 to con i Creator. Un rapporto in grado di portare un nuovo valore all’azienda grazie all’utilizzo di nuovi codici, linguaggi, strumenti e approcci alla comunicazione. Nei 10 anni della vostra attività online hai riscontrato un aumento delle pmi che partecipano ai vostri corsi? Per andare incontro alla grande richiesta di aggiornamento da parte delle PMI abbiamo da poco più di un anno portato i corsi della Ninja Academy - la nostra scuola nata per aggiornare costantemente i professionisti del marketing e della comunicazione - anche online. Questo ha permesso di arrivare a tutte le aziende e i professionisti italiani, ovunque si trovino, e di erogare alta formazione di qualità a prezzi contenuti. Ad oggi abbiamo formato oltre 3000 professionisti e la crescita esponenziale si è avuta proprio nell'ultimo anno. Ci sono davvero tante opportunità nel mondo digital, e mentre da un lato i negozi chiudono le serrande, sul web fiorisce un mercato, grazie anche alla semplicità con cui si può acquistare dal divano disponendo di un tablet e di una app dedicata. Qualche consiglio per le pmi che vogliono iniziare ad affacciarsi nel mondo dei social media? Il mio consiglio è di portare gradualmente le competenze in azienda senza paura. Magari iniziando a valorizzare le risorse umane più giovani, che padroneggiano l’uso di strumenti quali Facebook, Twitter, YouTube. Un approccio graduale ma determinato a considerare i social media come uno strumento strategico delle politiche di impresa non potrà che pagare, sia in termini di comunicazione, sia per quel che riguarda la gestione del CRM, ma anche per tanti altri aspetti. Sui social si costruisce nel tempo, piano piano senza fretta, ma con costanza e impegno.
  • 17. Le multinazionali del web di fronte al fisco di Giovanni Miele A bbiamo intervistato Francesco Boccia, Presidente della Commissione Bilancio della Camera, fra i più convinti sostenitori della politica economica del governo. Presidente Boccia, nel corso del dibattito sulla legge di stabilità, praticamente tutte le forze politiche hanno messo in luce la drammatica situazione in cui versano le piccole e medie imprese, soprattutto quelle artigiane. Quali possono essere secondo lei le misure capaci di dare un nuovo impulso all'iniziativa di tanti piccoli imprenditori che si trovano ogni giorno alle prese con la mancanza di credito e con disposizioni burocratiche sempre più astruse e vessatorie? Il mondo delle Pmi e la realtà che gli sta intorno sono il motore della nostra economia, il fiore all’occhiello che ci fa rendere riconoscibili e apprezzati in tutto il mondo. È dovere della politica italiana tutelare e rilanciare queste imprese che più di ogni altra realtà stanno pagando il prezzo della crisi. Cito soltanto i punti-chiave:riduzione del costo del lavoro, credito e internazionalizzazione. Pur essendo, infatti, apprezzati nel mondo, vendiamo ancor meno delle nostre potenzialità. A proposito di modifiche alla legge di stabilità, il Parlamento è stato chiamato ad un grosso sforzo per migliorare il testo del Governo. Come presidente della Commissione Bilancio della Camera lei è apparso, più che un arbitro neutrale, un li del web fatturano qui da noi, vengono poi tassati altrove: perché non devono anche esse dare il loro contributo al fisco italiano come qualsiasi altra nostra impresa? In questo modo riporteremo un po’ di giustizia fiscale e consentiremo a molte piccole realtà di essere concorrenziali sul mercato. trainer impegnato nel raggiungimento di un risultato che può essere decisivo per la ripresa della nostra economia. In effetti non sono mancate le sue proposte intese a introdurre alcune misure migliorative mantendo invariati i saldi di bilancio, a cominciare dalla cosiddetta Google tax. E' soddisfatto del lavoro svolto? Intanto inizierei col chiamarla più genericamente webtax. La mia non è una battaglia contro qualcuno, contro Google, Amazon o qualsiasi altra multinazionale che opera online, ma una battaglia a favore del web e delle nostre imprese, nel segno dell’equità fiscale. Tutti i profitti che le grandi multinaziona- Lei è un parlamentare del Mezzogiorno eletto in una regione, la Puglia , che sta vivendo una vicenda drammatica come quella dell'ILVA di Taranto. E' possibile a suo avviso adottare misure speciali per fronteggiare quella vera e propria emergenza nazionale che è diventata ormai la condizione economica ed occupazionale nelle regioni meridionali? Conosco molto bene qual è la situazione in cui versano le nostre aziende e i loro lavoratori, al sud come al nord, non ne farei una questione di geografia. E la soluzione, lo ripeto, è solo una: se prima non abbassiamo nettamente il cuneo fiscale non possiamo neanche pensare di poter dare nuovi impulsi occupazionali. Colgo l’occasione, però, per dare risalto ad un dato che mi sembra molto significativo: si parla di circa 5,3 miliardi di Cig in deroga: sarebbe un lavoratore su quattro, per intenderci. È evidente che qualcosa nel meccanismo si è inceppata… Imprese & Territorio - novembre 2013 17
  • 18. Per uscire dalla crisi è necessaria una cura shock di Marco Michelli Dal suo osservatorio di imprenditore e di presidente e proposte della della Cna e di CNA per uscire Rete Imprese veramente dalla Italia, quali crisi vanno al di là misure consiglia al governo? delle “medicine” L’Istat ha rivisto prescritte dalla legge al ribasso le di stabilità. Abbiamo stime economiche dell’esecutichiesto il parere a vo. La ripresa Ivan Malavasi partirà, se partirà, Presidente della Cna e nel 2014. E molto timidamente. Ma di Rete Imprese Italia. nello stesso 2014 la disoccupazione è destinata ancora ad aumentare. Si continua a dire che il peggio è passato, insomma, ma mi pare che con il peggio dovremo ancora convivere. Per quanto tempo? Dipende da quali soluzioni si vogliono adottare. Per me non esistono dubbi: va invertito il paradigma che ha orientato e ancora orienta l’azione di Governo, penso prima di tutto alla Legge di Stabilità, alle misure di politica economica. Si deve passare al più presto dal rigore alla crescita. La fase recessiva che l’Italia sta attraversando non ha precedenti nel dopoguerra. Non può essere affrontata con le consuete terapie, che peraltro si sono dimostrate dei palliativi. E’ necessaria una cura shock, non la solita aspirina. L Sì, ma dal dire al fare… Partiamo dalla idea-base: se siamo d’accordo che la ripresa cammina unicamente sulle spalle delle imprese, allora non si transige. Sono necessarie regole nuove che favoriscano le imprese, e quelle piccole in particolare, considerata la storica struttura del sistema produttivo italiano, nel loro ruolo, economico e sociale, di creare occupazione e ricchezza diffusa. E’ necessario, lo voglio ripetere, un intervento strutturale a favore delle piccole e medie imprese; si deve creare uno spazio importante per loro all’interno della Legge di Stabilità, nel quale affrontare con efficacia molti dei nodi che ne sof- 18 Imprese & Territorio - novembre 2013 focano la competitività. Servono strumenti per favorire gli investimenti e l’innovazione in tutte le sue forme, attuando anche norme esistenti ma inapplicate, e misure che aprano spazi di mercato riservati alle Pmi, come esistono in altri Paesi. Da che cosa si comincia concretamente? Si devono adeguare i contributi Inail alle prestazioni effettivamente erogate. Va eliminata l’Imu sugli immobili strumentali. Si devono detassare gli utili non distribuiti e stabilizzare le agevolazioni per ristrutturazioni edilizie ed efficienza energetica. E, sul versante della domanda, vanno modificate le aliquote e gli scaglioni Irpef per aumentare il reddito disponibile dei lavoratori, dipendenti e autonomi. Misure costose. Chi pagherebbe il conto? Queste misure vanno realizzate senz’aumentare le imposte, ma intervenendo sulla riduzione della spesa per consumi intermedi, la spending review, la rimodulazione dei regimi fiscali di favore, il recupero dell’evasione. E si deve predisporre un piano per l’alienazione di parti del patrimonio pubblico, asset strategici esclusi. Abbiamo spiegato al Governo come mettere in circolo oltre 23 miliardi proprio con questi interventi. Nel frattempo, è necessario risolvere alcune delle principali questioni in tema di costo e mercato del lavoro, per sostenere le esigenze di flessibilità delle imprese, e garantire risorse per favorire il credito alle Pmi, cercando soluzioni atte a ridurre l’elevatissima pressione fiscale.
  • 19. I primi segnali di ripresa e i problemi per il rilancio delle PMI di Marco Michelli Ritiene che possa verificarsi tra breve la eniamino Quintieri, ripresa dell'ecoprofessore ordinanomia italiana? rio di Economia E in caso afferInternazionale presso mativo, chi l’Università Tor Vergata di potrebbe trainare il rilancio: il Roma, è presidente della settore delle Fondazione Masi e del costruzioni, le Comitato Strategico per esportazioni, il l’Internazionalizzazione turismo o chi delle Imprese nel Lazio. altro ? Tutti, addetti ai Il prof. Quintieri ha lavori o meno, assunto incarichi di alta attendono un responasabilità, fra i quali, ritorno alla crescila presidenza ICE. ta. Ma questa non Lo abbiamo intervistato è legata solo alla recessione che per fare il punto sulla parte dal 2007 ma, situazione economica del soprattutto per nostro Paese. quanto riguarda il nostro Paese, a motivazioni ben più profonde e radicate. Non a caso, nei venti anni che vanno dal 1992 al 2012 l’Italia figura tra i Paesi OCSE come la nazione con il minor tasso di crescita, con un PIL che si è ridotto, in termini pro capite, collocandosi sotto la media. Ciò dimostra che non si tratta solamente di un problema ciclico ma che è anche una crisi strutturale. A mio modo di vedere, come la UE ha recentemente confermato, non è ipotizzabile a breve una ripresa, ma semmai, solamente quella che viene definita una “ripresina” ad inizio del prossimo anno, che può rappresentare un segnale positivo solamente se sostenuta da solide politiche mirate alla crescita. Certamente, il settore delle costruzioni e le esportazioni possono fare da traino ad un eventuale rilancio; tuttavia, c’è bisogno di un vasto programma di riforme ben consapevoli che le stesse non producono immediatamente risultati. Al momento poco si è fatto – forse solamente la riforma delle pensioni è citabile come azione mirata in tal senso – ma sul resto ancora non si vede una volontà di procedere in maniera omogenea, complice anche la scarsa capacità di guardare avanti della politica. B Quale ritiene che sia il ruolo delle PMI nella situazione attuale dell'economia italiana? Innanzi tutto bisogna fare una distinzione tra le cosiddette medie imprese e le piccole se non micro imprese: le prime, definite “multinazionali tascabili”, trainano il mercato italiano soprattutto all’estero; invero il Paese è caratterizzato da piccole e piccolissime aziende che, oltre alla straordinaria valenza tutta italiana in campo imprenditoriale, presentano dei punti di debolezza soprattutto in un panorama globalizzato. Infatti, per aumentare la competitività bisogna fare in modo che accrescano la loro dimensione al fine di aumentare la loro stessa efficienza. Non è un caso se, allo stato attuale, delle circa 190 mila imprese esportatrici italiane, solamente il 7% sono medie o grandi imprese, e proprio queste esportano oltre il 70% del totale. Ecco allora che è necessario per le più piccole pensare a fare reti o accorpamenti superando l’ancestrale diffidenza e il particolarismo che le caratterizzano. A suo avviso, perchè il contributo degli intermediari del credito (compresa Artigiancassa) è ritenuto indispensabile e quali sono stati gli effetti del "credit crunch"? Il problema del credit crunch colpisce le imprese italiane più che in altri Paesi perché da noi per diverse ragioni le imprese dipendono fortemente dalle banche. È un cane che si morde la coda, dove, peraltro, la stessa piccola dimensione non garantisce quella solidità finanziaria necessaria e indispensabile per ottenere il credito e che ancora vale più di qualsiasi progetto. Inoltre va segnalato che, se da un lato la strategia di concentrazione a livelli alti delle banche nostrane ha mostrato una certa solidità ed una maggiore efficienza, a prescindere da casi particolari, dall’altro ha contribuito ad allontanarle dal territorio, dove restano ben salde e radicate le conoscenze delle banche locali le quali, purtroppo, mostrano atteggiamenti poco lungimiranti e comportamenti di tipo clientelare piuttosto che ispirati al merito. Per questo si avverte il bisogno di generare un’offerta bancaria che sia in grado di valutare adeguatamente i progetti, nonché una maggiore vicinanza proprio delle banche con il territorio, che consenta un’attenta valutazione della tipologia e delle potenzialità delle proposte presentate. Imprese & Territorio - novembre 2013 19
  • 20. Invertire il paradigma: dal rigore alla crescita di Marco Michelli Sergio Silvestrini, Segretario Generale della Cna, espone, in questa intervista, quale provvedimenti adottare per sostenere le imprese Segretario Silvestrini, la situazione economica italiana è davvero così drammatica come viene dipinta dai mezzi di informazione? Il nostro Paese è sicuramente in una fase di decrescita. Non solo economica. I numeri della recessione, purtroppo, ci arrivano quasi ogni giorno da Governo, Istat, Banca centrale europea o Fondo monetario internazionale. E non sono dati che possano rallegrare. In parallelo alla crisi economica, l’Italia sta vivendo una profonda crisi culturale. Sta perdendo alcune delle migliori energie: siamo il primo esportatore al mondo di laureati in discipline scientifiche. E molti giovani, sempre più spesso, sono costretti ad aprire le loro botteghe all’estero, dove una burocrazia così soffocante come la nostra non esiste. Siamo arrivati al punto che, non solo in Europa, ma ormai in tutto il mondo, proliferano gelaterie, pelletterie, sartorie gestite da giovani italiani. Ci aspetta un futuro a tinte fosche? Se il presente è questo, non è detto che debba essere uguale il futuro. Il futuro cammina sulle nostre gambe: siamo noi per primi a imprimere il ritmo che vogliamo. E sicuramente non sarà un futuro roseo se il Paese si abbandona alla retorica del declino e del “non c’è niente da fare”, che spesso serve a giustificare l’individualismo esasperato del “si salvi chi può” di furbetti e furboni. La Cna non ci sta. L’Italia ha le risorse per reagire alla crisi. 20 Imprese & Territorio - novembre 2013 Ma come si può imprimere questa svolta? Si deve invertire il paradigma che orienta da anni le politiche economiche, passando dalla fase del rigore a quella della crescita. Il rigore ci è stato utile, ma è anche vero che di troppo rigore si muore. Vanno adottati, allora, provvedimenti coraggiosi, finalizzati a sostenere le imprese, a far ripartire gli investimenti, a incentivare i consumi. Prima di tutto, bisogna tenere conto della specificità del sistema produttivo italiano. Vanno messe in campo, quindi, misure per favorire gli investimenti e l’innovazione in tutte le sue forme delle micro, piccole e medie imprese, anche attuando norme esistenti ma inapplicate. Vanno aperti spazi di mercato ad hoc per farle vivere e, soprattutto, per farle crescere. Come possono investire le imprese se l’accesso al credito è reso così difficile? Purtroppo l’accesso al credito continua a essere uno degli aspetti maggiormente critici nell’attività delle piccole imprese. Anche i più recenti dati della Banca d’Italia sottolineano una ulteriore flessione nonostante la raccolta sia in ripresa. Mi sembra urgente, allora, prima di tutto un intervento diretto a razionalizzare la filiera delle garanzie, valorizzando i consorzi fidi per le loro peculiarità, cioè la vicinanza alle imprese e la conoscenza del territorio. In questo ambito ritengo che Artigiancassa possa e debba esercitare un ruolo importante, promuovendo al meglio i prodotti che abbiamo definito congiuntamente di recente, a partire dall’istruttoria condivisa.
  • 21. CNA Next l’Italia giovane che ha deciso di restare, investire, creare È ormai diventato un appuntamento fisso, capace di riunire ogni anno giovani imprenditori, artisti, economisti, manager di grandi aziende internazionali e politici come il Ministro degli Esteri, Emma Bonino e dell’Istruzione, Maria Chiara Carrozza. Speaker e abbinamenti spesso inediti, sul palco di un teatro, a raccontare l’Italia, soprattutto giovane, che ha deciso di restare, investire e creare, in un connubio che unisce artigianato e nuove tecnologie. È Cna Next, il Festival dell’intelligenza collettiva, organizzato dai Giovani Imprenditori di Cna e giunto alla sua quarta edizione. “Manifatture” il titolo, anzi l’hashtag (l’etichetta per i social network) dell’appuntamento di quest’anno, andato in scena l’8-9 novembre al Teatro La Pergola di Firenze e in live streaming su decine di portali di grandi network. “E’ incominciata l’era del saper fare 2.0 – ha dichiarato la neoeletta presidente nazionale di Cna Giovani Imprenditori, Stefania Milo -. Affermarsi come produttori di qualità, riempiendo le nicchie lasciate libere nel mondo, è la strada che va perseguita e che i giovani artigiani dovrebbero intraprendere. Bisogna valorizzare il potenziale manifatturiero italiano per trasformarlo in opportunità ed esportazione, coniugando la volontà di fare squadra con altre imprese e usando il web”. Artigiani 2.0, per l’appunto, come quelli intervenuti a Cna Next per raccontare le loro storie. Storie di chi ha deciso, come Nicholas Caporusso, di restare in Italia, rinunciando a un milione di dollari negli Usa per il suo progetto di robotica, sviluppandolo poi in proprio. “I giovani possono essere gli evangelizzatori digitali del Made in Italy”, ha detto Giorgia Albetino, Responsabile Public Policy di Google Italia e “il mondo ha fame di Made in Italy”, le ha fatto eco Peter Barron, Direttore Comunicazione e Public Affairs per l’Europa, il Medio Oriente e l’Africa di Google. “Il Made in Italy sta andando particolarmente bene nonostante tutto – ha sottolineato il ministro degli Esteri Emma Bonino -. Proprio nei momenti più difficili, quello che regge benissimo è esattamente il manifatturiero italiano. Il dibattito – ha aggiunto la Bonino - non è più fra chi è piccolo o chi è grande, ma fra chi è isolato e chi è connesso”. Internazionalizzazione, web, ma anche scuola e formazione, per consentire al Made in Italy di divenire il primo motore di crescita del Pil italiano. E’ questo l’obiettivo di Cna Next, che per questo ha voluto tra i relatori il Ministro dell’Istruzione, Università e Ricerca, Maria Chiara Carrozza. “La scuola deve tornare ad essere il luogo dove si prepara il lavoro”, ha detto il ministro, sottolineando la necessità di connettere anche in questo caso intelligenze che rischiano di andare disperse. “'Oggi c’è un enorme messaggio di speranza nel futuro dato dalla nuova classe dirigente, dai giovani imprenditori che hanno saputo coniugare meglio degli altri l'idea di intelligenza collettiva con modelli di sviluppo alternativi”, ha detto Ivan Malavasi, presidente nazionale di Cna, chiudendo il Festival. Speranza ed entusiasmo che si sono respirati nel teatro La Pergola e sul web, facendo di “Manifatture” il terzo tema del giorno su Twitter, con 16 mila utenti unici collegati. Anzi connessi. Imprese & Territorio - novembre 2013 21
  • 22. Artigiancassa Informa Indagine Congiunturale sulle Imprese Femminili – II trimestre 2013 Le donne imprenditrici fanno ancora meno ricorso al credito bancario rispetto alle PMI nel loro complesso. Dall'Indagine condotta per Artigiancassa da Format research, risulta che le donne imprenditrici fanno ancora meno ricorso al credito bancario rispetto alle PMI nel loro complesso. A nche nel II trimestre 2013 si conferma, a livello nazionale, una situazione generale di difficoltà di accesso al credito per le imprese, dove risulta peraltro, rispetto al contesto generale delle PMI, che le imprenditrici fanno ancora meno ricorso al Sistema bancario. La percentuale di imprese femminili fino a 49 addetti dell’industria, delle costruzioni e del terziario che si sono recate in banca per chiedere un prestito o la rinegoziazione di un fido esistente è risultata più bassa di quella registrata presso il resto delle imprese (8,0% su 9,6%) e più bassa di quella registrata nella precedente rilevazione (10,5%). In questo contesto, l’accesso al credito per le imprese femminili risulta più difficoltoso. La cosiddetta area di stabilità (percentuale delle imprese che hanno visto accolta la propria richiesta di credito con un ammontare pari o superiore) scende dal 17,1% al 16,5% (contro il 20,6% del totale delle imprese) e quella di irrigidimento (percentuale delle imprese che hanno visto accolta la propria richiesta di credito con un ammontare inferiore a quello richiesto, sommate a quelle che hanno visto respinta la propria richiesta) cresce dal 61,9% al 63,0% (contro il 53,8% del totale delle imprese). In sostanza, le imprese femminili che nel corso del secondo trimestre 2013 si sono recate in banca per chiedere credito sono diminuite rispetto alla precedente rilevazione e, tra quelle che hanno fatto domanda, si registra una percentuale più elevata di risposte negative. Peggiorano i giudizi delle imprenditrici circa l’an- 22 Imprese & Territorio - novembre 2013 damento dei tassi di interesse, le “altre condizioni” applicate dalle banche (es. messa a disposizione di fondi), l’andamento della “durata” del credito, le garanzie richieste a copertura dei finanziamenti concessi. Anche in questo caso la situazione appare peggiore rispetto a quella registrata a livello nazionale. Clima di fiducia: continua a diminuire la fiducia delle imprese in rosa, ma in misura meno grave rispetto al resto delle micro e piccole imprese italiane. Il saldo delle imprese femminili (fino a 49 addetti) riguardo l’andamento dell’economia italiana nel secondo trimestre 2013 è risultato negativo, ma in misura inferiore di quello registrato presso il resto delle micro e piccole imprese. Indicatori economici di base: l’andamento dei ricavi, dell’occupazione e dei tempi di pagamento mostrano segni di flessione, ma il rapporto tra imprenditrici e fornitori inizia a dare timidi segnali di ripresa. Il saldo riguardo l’andamento dei ricavi delle imprese femminili nel secondo trimestre 2013 è risultato in diminuzione rispetto a quello rilevato a marzo. Il rapporto tra imprenditrici e fornitori inizia a dare timidi segnali di ripresa, in particolare per i prezzi praticati da questi ultimi. L’inversione di tendenza fatta registrare dopo trimestri di difficoltà è destinata a confermarsi nel corso del 2013. Fabbisogno finanziario: diminuisce la capacità di far fronte agli impegni finanziari Permane l’incertezza da parte delle micro e piccole imprese nel riuscire a fare fronte ai propri impegni finanziari nel secondo trimestre dell’anno. Anche la previsione in vista dei mesi estivi conferma il trend negativo e non fa segnare per il momento significative inversioni di tendenza.
  • 23. Offerta Prestiti Personali. Artigiancassa/Findomestic: due valori vincenti al servizio dei clienti Artigiancassa insieme a Findomestic, società specializzata nel credito alle famiglie del gruppo BNP Paribas in Italia, propone ai Confidi e alle Associazioni di categoria convenzionati l’offerta “Persona Artigiancassa” interamente dedicata ai dipendenti delle Associazioni/Confidi e ai titolari/soci delle imprese rappresentate. Vicini ai propri clienti nella realizzazione dei loro progetti, Artigiancassa e Findomestic rendono ancora di più il credito accessibile e responsabile, socialmente ed economicamente utile, sviluppando un‘offerta semplice e conveniente. La nuova offerta dedicata ai Partner Artigiancassa si caratte- rizza per l’esclusività dei vantaggi promozionali, per la competitività delle condizioni contrattuali e per la velocità nei tempi di risposta. I vantaggi commerciali, infatti, appositamente realizzati sono: finanziamento del 100% del progetto presentato, richiesta online, rapidità di risposta sulla fattibilità dell’operazione, monitoraggio sistematico della richiesta step by step, zero spese di istruttoria pratica e di ulteriori spese amministrative La collaborazione esclusiva con la società Findomestic permette, inoltre, ai partner di godere di un accesso privilegiato ai nuovi prodotti e alle interessanti opportunità, grazie a un processo distributivo ad alto contenuto tecnologico. Fondo di Garanzia per le PMI: Incontri formativi con gli operatori del territorio Artigiancassa partecipa al Roadshow ABI Il Roadshow informativo sulle nuove modalità operative del Fondo di Garanzia per le PMI, di cui alla Legge 23 dicembre 1996 n. 662, è un evento promosso da ABI in collaborazione con il soggetto Gestore del Fondo di Garanzia. L’evento/intervento formativo consiste in un ciclo di seminari sul territorio dedicati all’operatività del Fondo stesso, in considerazione della sua crescente importanza nelle politiche volte a favorire l’accesso al credito delle imprese. L ’accesso al Fondo di Garanzia rappresenta uno strumento privilegiato messo a disposizione delle piccole e medie imprese italiane, in particolar modo nell’attuale contesto economico congiunturale. Spesso tale opportunità non viene colta a causa della scarsa conoscenza dello strumento, perciò si è pensato di formulare un ciclo di seminari sul territorio nazionale, un vero e proprio roadshow in dieci tappe, rivolto in particolare a banche e confidi, con l’obiettivo di diffondere una maggiore conoscenza sulle modalità operative del Fondo e di informare sulle più recenti novità, tra cui il “Piano della Trasparenza”, le Sezioni Speciali e il cosiddetto Decreto del Fare. Per ciascuna tappa del roadshow sono previsti degli interventi, che verranno tenuti a rotazione da tutte le banche Mandanti del RTI, nella veste di rappresentanti del Soggetto Gestore, e dai Presidenti delle Commissioni Regionali ABI. La prima tappa si è svolta a Roma ed ha coinvolto il Lazio e la Sardegna, mentre le tappe successive toccheranno Piemonte, Sicilia e Basilicata Il seminario è stato strutturato in modo da dare una visioAnno 8 - Numero 2 - Novembre 2013 Trimestrale di informazione di Artigiancassa SpA Finito di stampare nel mese di Novembre 2013 Iscrizione al Tribunale di Roma n. 544 del 17.12.2007 Direttore Responsabile: Vincenzo Masciopinto Editore: Artigiancassa IMPRESE&TERRITORIO ne completa del funzionamento del Fondo come strumento che consente di rispondere in maniera efficiente alle problematiche che caratterizzano il ciclo economico attuale e il mercato italiano, anche a causa della frammentazione del tessuto economico e dell’elevato numero di imprese di piccole dimensioni. In tale ottica si è voluto dare rilievo allo specifico background regionale, proprio tramite l’organizzazione degli interventi dislocati sul territorio. Artigiancassa è tra i relatori degli interventi formativi, con il debutto a Palermo dello scorso 10 ottobre presso la Direzione Territoriale di Unicredit, al quale hanno partecipato il Dott. Daniele Sciarrini come rappresentante del Comitato di Indirizzo e la Dott.ssa Silvia Lorenzini come rappresentante del Team. Successivamente, il prossimo incontro formativo programmato si terrà a Bologna e vedrà la partecipazione per Artigiancassa del dott. Roberto Genovese. Gli argomenti che verranno trattati nel corso del seminario dai rappresentanti di Artigiancassa riguardano “l’azione del RTI per diffondere la conoscenza del Fondo di Garanzia” e “le attività di informazione e formazione operativa per gli intermediari”. Via Crescenzo del Monte 25/45 00153 Roma Tel. 06 58 45 227 Fax 06 58 99 672 www.artigiancassa.it comunicazione@artigiancassa.it Stampa e allestimento: Miligraf Srl Tiratura: 5.000 copie Copyright Artigiancassa SpA È vietata la riproduzione, totale o parziale del contenuto della pubblicazione senza l’autorizzazione dell’Editore. Imprese & Territorio - novembre 2013 23