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La Comunicazione, il “ponte” per il
                      Wellness1



Carmine D’Arconte, docente di Economia e Gestione d’Impresa e di Trend e Megatrend all’Università
Quaroni della Sapienza di Roma e di Corporate Communication all’Università di Roma Tre, ha maturato
un’esperienza più che trentennale in aziende leader nel settore delle telecomunicazioni operando in
particolare nell’ambito della Comunicazione, del Customer Relationship Management e dell’Information
Communication Technology. Ha interessi specifici nell’ambito dei metodi quantitativi per la gestione
d’impresa, negli aspetti psicologici della vendita e della comunicazione interpersonale. Svolge attività di
consulenza e formazione. Ha recentemente pubblicato un saggio sul Crm e contributi sul pricing
(Marketing, Peter, Donnelley, Pratesi. Mc Graw Hill. 2009- ISBN 978 -88- 386-6610-0iIi)


                                           Ritorno e “richiamo”
        “Aridanghete” - direbbe qualcuno parafrasando l’ormai famoso “Mario” che
recentemente ha fatto coppia a lungo con la Hunziker nello spot di Telecom per il 187-
eccolo che ritorna e per di più ancora una volta sullo stesso tema!
        Il punto è, caro lettore, che ti avevo raccontato solo un pezzo della storia e non
potevo assolutamente lasciarti a metà; come infatti forse ricorderai sempre in tema di
Wellness, nel mese di luglio dello scorso anno ti avevo decantato i pregi di un buon
massaggio Shiatsu come toccasana per i problemi della vita.
        Il massaggio nelle mie intenzioni era però solo un punto d’arrivo, il frutto per così
dire di un diverso approccio alla vita; l’idea di fondo era quella di far percepire
l’importanza e la necessità di “fermarsi” un momento, di rallentare la corsa continua di tutti
i giorni, di trovare un po’ di tempo per noi, per ricominciare a volerci bene oppure, come
piace dire a me, per amarci un po’ di più.
        Nel momento in cui la mente è serena e intorno a noi aleggia un minimo di silenzio
esterno ed interno è anche più facile predisporsi per il passo successivo, quello di cui
appunto vorrei parlarti oggi e cioè di relazioni e di comunicazione.
        Come dicevamo stare in pace dentro di noi è fondamentale altrimenti è inevitabile
ripiegare su sé stessi spesso in una fase di autocommiserazione e lamentele; tuttavia, una
volta raggiunto tale obiettivo, non possiamo pensare di restare nella nostra torre, sia pur
d’avorio, compiacendoci e adagiandoci in un solitario e quasi narcisistico benessere.
        Dobbiamo andare a visitare altre torri, vicine e lontane, per comprendere e vivere
esperienze diverse che possano arricchire noi e gli altri e per far questo dobbiamo
imparare a costruire molti “ponti” che ci consentano di entrare in contatto con gli altri , con
ciò che è fuori da noi e, spesso, con chi è diverso da noi. Riflettiamo un momento insieme
su questo tema,


1
    Pubblicato nell’inserto edito dalla B&P di Torino, allegato a Economy, 24/03/2009
Giochi a “somma zero” e giochi a “somma diversa da zero”.
        Jean Paul Sartre in Huis Clos (In italiano A porte chiuse) afferma che, “L’enfer c’est
les autres, cioè l’inferno sono gli altri; magari non avevamo pensato di arrivare fino a
questo ma certo qualche complicazione c’era da aspettarsela, è già tanto difficile gestire
noi stessi figuriamoci se siamo in due o più e magari stiamo cercando di fare qualcosa
insieme (potrebbe essere un po’ come voler pilotare un aeroplano in due senza essersi
messi d’accordo prima sulla rotta da seguire).
        Senza togliere nulla a Sartre, forse ancora meglio è affermare “L’enfer c’est notre
relation avec les autres”, l’inferno è la nostra relazione con gli altri; in tal modo infatti il
focus è sulla relazione e non sugli altri ma, cosa ancora più importante, questa diversa
formulazione non ci induce ad attribuire in modo quasi automatico agli altri la colpa dello
stesso inferno.
        Bene, ciò detto, vale ora la pena di chiederci quali siano in genere le nostre
relazioni con gli altri (come pure le relazioni tra gruppi, popoli e nazioni); bene, sembra
proprio – e la storia ce ne dà ampie conferme - che siano per lo più del tipo “io vinco tu
perdi oppure io perdo tu vinci” (in fondo un moderno riciclaggio del vetusto mors tua vita
mea).
        Relazioni di questo tipo vengono denominate da una teoria abbastanza recente, la
teoria dei giochi nata intorno al 1920 nell’ambito dell’alta matematica, come giochi a
somma zero. Un esempio immediato è quando due persone mettono una somma di
denaro sul piatto ed estraggono da un mazzo una carta. Chi ha la carta più alta vince, chi
ha quella più bassa perde, la differenza tra vincita e perdita è sempre uguale a zero.
        Per esprimere questa apparente banalità in altri termini, più espressivi ai nostri fini,
questo significa in sostanza che “si vince solo se si porta via qualcosa all’altro, a qualcuno
che, in tale ottica, dobbiamo necessariamente definire un avversario o un nemico.
        E’ sempre e solo così? Niente affatto, esistono anche giochi di tipo diverso e cioè
quelli a somma diversa da zero, quelli cioè in cui la differenza tra vincita e perdita può
essere minore o maggiore di zero.
        Immaginiamo ad esempio che il Management e i sindacati di un’impresa non
riescano a trovare un accordo su un punto importante quale per esempio il rinnovo del
contratto e si irrigidiscano sulle loro posizioni; i dipendenti iniziano allora una lunga serie
di scioperi con grave pregiudizio per la produzione o l’erogazione di servizi. A questo
punto è plausibile che i clienti danneggiati dal perdurare di scioperi e disservizi decidano
di ricorrere ad un altro fornitore e       questo comporterà per l’azienda una perdita di
commesse e quindi una riduzione dei propri introiti.
         Ovviamente non è detto che finisca qui, in quanto la diminuzione dei ricavi
potrebbe costringere l’azienda a ridurre il personale; in questo caso le parti antagoniste
perdono entrambe e ci ritroviamo in un gioco a somma minore di zero con conseguente
distruzione di valore.
        Se al contrario Management e sindacati trovano un accordo vantaggioso per
entrambe le parti in modo che i processi risultino più snelli e la produzione si incrementi,
l’azienda potrà aumentare i propri profitti e avrà modo di concedere qualcosa in più ai
dipendenti; avremmo allora un caso di giochi a somma maggiore di zero con conseguente
creazione di valore.
        Non occorre molta fantasia per trasportare il modello nell’ambito delle nostre
relazioni personali (ed in particolare di quella con il nostro partner) e vedere le devastanti
conseguenze di giocare, come spesso accade, esclusivamente a somma zero; in tal caso
è solo questione di tempo e qualunque relazione, se non patologica, non potrà che finire
male.
         Lascio a ciascuno il compito di fare le opportune verifiche personali precisando solo
che non è il caso di farci grandi illusioni, giocare a somma diversa da zero è molto
difficile, a volte al limite dell’impossibile, ma a noi piacciono i compiti difficili e le sfide, vero
lettore? Vediamo quindi se di posso dare un piccolo aiuto in tal senso cercando almeno di
delineare , sia pure in modo del tutto schematico, un possibile percorso in tale direzione.

                                 Alla riscoperta dell’altro
         In alcune culture e contesti autoreferenziali lo standard assunto come ottimale può
diventare lo spartiacque tra normalità e anormalità; tutto ciò che non rientra nello standard
assunto arbitrariamente come modello di riferimento è considerato come una deviazione
o distorsione.
         Questo approccio coniugato a facili e superficiali generalizzazioni (es. tutti gli
abitanti della città x sono maleducati, tutti quelli della città y sono gentili ecc., non fa che
potenziare discriminazioni ingiustificate che possono arrivare a conseguenze devastanti
come quando per esempio si arriva a definire certe razze inferiori e quindi da poter
utilizzare come bestie (vedi la tratta degli schiavi) o addirittura sterminare (come nel
caso degli ebrei).
         Bello e giusto, in altre parole, è in tal caso solo ciò che siamo noi, gli eletti, ai quali
tutti gli altri dovrebbero conformarsi; chi non lo fa va isolato, allontanato e anche
perseguitato o soppresso.
         In realtà è vero esattamente il contrario, la relazione con l’altro non va vissuta
come “conflitto”, come una guerra che presupponga vincitori e vinti ma al contrario come
un’opportunità di confronto costruttivo dove si possono mettere a fattor comune
competenze/esperienze diverse con elevate possibilità di un reciproco arricchimento.
         Per convincersene proviamo a metterci per un momento il cappello del cosmologo
dilettante e non sarà difficile comprendere come in fondo l’intero universo sembri obbedire
proprio ad una legge di associazione e ricomposizione di elementi in una sintesi di livello
superiore.
         Sembra infattI che dal Big Bang in poi si sia verificata una continua espansione e
differenziazione della materia che ha visto per miliardi di anni atomi e molecole diverse
come cercarsi, incontrarsi, scontrarsi e infine unirsi in associazioni sempre più complesse
che di norma hanno portano a qualcosa di più e di diverso rispetto alla somma delle parti
(come l’acqua che evidenzia proprietà del tutto diverse rispetto ai suoi componenti,
idrogeno e ossigeno)
          Pur rendendoci conto del rischio di sembrare semplicistici è sempre da un
processo con tali caratteristiche che sono emerse le molecole più complesse fino ad
arrivare alle prime forme di vita e poi all’infinita varietà delle forme viventi.
       In questo universo la cui comprensione è ben lontana dalle nostre modeste
possibilità intellettuali la terra è un minuscolo granello che insieme al sole e agli altri
pianeti del sistema solare è lontano ben 30.000 anni luce circa dal centro della Via Lattea,
una delle galassie che esistono numerosissime (se non infinite) nell’Universo.
         Cosa ha fatto invece per secoli l’uomo in tale contesto? Ha pensato bene di
mettersi al centro dell’Universo e si è anche inventato di sana pianta un sistema
astronomico sistema Tolemaico) dove ovviamente l’uomo e la terra sono al centro di ogni
cosa e l’intero universo gli gira intorno. Non basta, al povero Galileo che aveva capito che
le cose stavano diversamente si è pensato bene di costringerlo a dichiarare il contrario
(altrimenti c’era il rogo) anche se nessuno gli ha fatto poi cambiare idea (eppur si muove!)
Bene non so se sono riuscito a spiegarmi con questi esempi ma proprio qui è il
primo grande passo da fare e cioè smettere di mettersi al centro delle cose,
autodefenestrarsi da un ruolo di sovrano dell’universo che non ci compete e capire che il
nostro punto di vista, le nostre convinzioni e principi, il nostro modo di pensare e ragionare
sono un punto di vista di grande importanza per noi perché è appunto il nostro ma che
esistono altri n punti vista tutti sacrosanti e legittimi con i quali fare i conti.
         Se riusciamo a fare questo primo passo e riconosciamo la dignità e l’importanza
delle opinioni altrui, cominciamo automaticamente a porci in una condizione di “ascolto”, di
ricettività, di disponibilità intellettuale ed affettiva indispensabile per comprendere l’altro.
         Segue poi un altro passo di enorme difficoltà e cioè la capacità di metterci in
discussione, la capacità di analizzare e metabolizzare ciò che l’altro ci comunica e
assimilare ciò che ci risuona dentro come vero, giusto e comunque adatto per noi. Questo
dicevo è un passo d’importanza straordinaria perché se non riusciamo a compierlo anche
se ci poniamo in uno stato d’ascolto, di fatto non assimileremo nulla e non impareremo
più nulla.
         Questo è quello che secondo Paul Watzlawick, uno dei più grandi esperti di
Comunicazione, ritiene che accada alla maggior parte di noi e cioè il permanere
indefinitamente in una sorta di status quo; in un celeberrimo libretto, Istruzioni per
rendersi infelici, l’autore evidenzia infatti che l’uomo, ma anche i gruppi, le società e le
Nazioni, sembrano continuare ad adottare sempre gli stessi modelli di comportamento e
questo nonostante che il contesto di riferimento sia di norma in costante evoluzione.
         In altre parole non solo non si mettono in discussione e quindi non imparano e non
cambiano ma sembrano anche non rendersi conto dei cambiamenti del mondo esterno.
         Il tema è straordinariamente interessante visto che riguarda un punto di estrema
criticità nella nostra vita ma qui, oltre a rimandarti per un approfondimento alla lettura del
libro di Watzlawick, posso solo aggiungere un consiglio pratico che ci aiuterà anche a
chiarire meglio il concetto.
         Pensiamo un attimo ad una frase del genere: “se tornassi indietro rifarei
esattamente tutte le cose che ho fatto e le rifarei inoltre nello stesso modo” Quante volte
ci è capitato di sentirla o addirittura di pronunciarla? Questa frase tra l’altro sembra
conferire a chi parla forza e determinazione, viene da pensare che si tratti di una persona
che sa quello che vuole e che sia forte e coerente con sé stesso. Chi invece ammette i
propri errori e magari chiede anche scusa ci piace di meno e ci trasmette insicurezza e
debolezza . E’ vero? No, anzi è assolutamente falso nonché logicamente insostenibile! E’
vero invece il contrario e cioè che ogni cosa che abbiamo fatto avrebbe potuto essere fatta
meglio, a volte molto meglio, a volte un poco meglio ma di sicuro non è stata fatta in modo
perfetto perché noi, per definizione siamo imperfetti, o c’è qualcuno tra noi che pensa di
essere perfetto?
         Tutto quello che abbiamo visto finora sono solo condizioni e premesse, ciò che
occorre fare per rimuovere gli ostacoli e gli impedimenti, poi però bisogna imparare a
comunicare davvero            e questo è un altro mondo, spesso tutto da scoprire ma
assolutamente indispensabile per migliorare le nostre relazioni a tutti i livelli.
         Anche in tal caso, caro lettore, non posso che rimandarti ad un buon testo di
Comunicazione o meglio ancora ad un corso di comunicazione interpersonale o di
Programmazione Neuroliguistica ma, prima di lasciarti, ci tengo a darti quantomeno un
minimo contributo come nel caso precedente.
          In genere la nostra comunicazione è specifica per macroaree, voglio dire con tale
espressione che se abbiamo di fronte classi diverse di persone siamo di norma capaci di
tarare adeguatamente la nostra comunicazione. Con un professore parliamo in modo
diverso che verso uno studente, con un amico ancora diversamente da un estraneo e così
via ma il punto è che ogni professore, ogni studente, ogni amico o estraneo sono tutti
mondi a sé e ognuno di loro comunica in modo diverso ed è diversamente sensibile agli
“n” modi possibili di comunicare.
      Cosa fare? Cerca di ascoltare davvero il tuo interlocutore, fallo parlare, conoscilo
meglio, senti i termini che usa più spesso e poi, anche se mi rendo conto come possa
essere tutt’altro che facile, cerca di ricalcare le sue modalità di comunicazione e di
adeguare la tua comunicazione alla sua. Lui percepirà il tuo sforzo sia pure
inconsciamente, gli risuonerai dentro bene, come due corde all’unisono e si sentirà
apprezzato nella sua individualità unica e irripetibile.
      Bene alla fine di queste riflessioni che spero caro lettore non ti abbiano annoiato
troppo, nel rileggere il testo mi assale un dubbio poderoso di quelli che forse non mi farà
dormire tranquillo per cui vi chiedo un aiuto. Secondo voi l’Aridanghete del già citato sig.
Mario si scrive proprio così ?
      Ciao lettore e a presto


                                                      Carmine D’Arconte
                                                      cdarconte@uniroma3.it

Roma, novembre 2009

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  • 1. La Comunicazione, il “ponte” per il Wellness1 Carmine D’Arconte, docente di Economia e Gestione d’Impresa e di Trend e Megatrend all’Università Quaroni della Sapienza di Roma e di Corporate Communication all’Università di Roma Tre, ha maturato un’esperienza più che trentennale in aziende leader nel settore delle telecomunicazioni operando in particolare nell’ambito della Comunicazione, del Customer Relationship Management e dell’Information Communication Technology. Ha interessi specifici nell’ambito dei metodi quantitativi per la gestione d’impresa, negli aspetti psicologici della vendita e della comunicazione interpersonale. Svolge attività di consulenza e formazione. Ha recentemente pubblicato un saggio sul Crm e contributi sul pricing (Marketing, Peter, Donnelley, Pratesi. Mc Graw Hill. 2009- ISBN 978 -88- 386-6610-0iIi) Ritorno e “richiamo” “Aridanghete” - direbbe qualcuno parafrasando l’ormai famoso “Mario” che recentemente ha fatto coppia a lungo con la Hunziker nello spot di Telecom per il 187- eccolo che ritorna e per di più ancora una volta sullo stesso tema! Il punto è, caro lettore, che ti avevo raccontato solo un pezzo della storia e non potevo assolutamente lasciarti a metà; come infatti forse ricorderai sempre in tema di Wellness, nel mese di luglio dello scorso anno ti avevo decantato i pregi di un buon massaggio Shiatsu come toccasana per i problemi della vita. Il massaggio nelle mie intenzioni era però solo un punto d’arrivo, il frutto per così dire di un diverso approccio alla vita; l’idea di fondo era quella di far percepire l’importanza e la necessità di “fermarsi” un momento, di rallentare la corsa continua di tutti i giorni, di trovare un po’ di tempo per noi, per ricominciare a volerci bene oppure, come piace dire a me, per amarci un po’ di più. Nel momento in cui la mente è serena e intorno a noi aleggia un minimo di silenzio esterno ed interno è anche più facile predisporsi per il passo successivo, quello di cui appunto vorrei parlarti oggi e cioè di relazioni e di comunicazione. Come dicevamo stare in pace dentro di noi è fondamentale altrimenti è inevitabile ripiegare su sé stessi spesso in una fase di autocommiserazione e lamentele; tuttavia, una volta raggiunto tale obiettivo, non possiamo pensare di restare nella nostra torre, sia pur d’avorio, compiacendoci e adagiandoci in un solitario e quasi narcisistico benessere. Dobbiamo andare a visitare altre torri, vicine e lontane, per comprendere e vivere esperienze diverse che possano arricchire noi e gli altri e per far questo dobbiamo imparare a costruire molti “ponti” che ci consentano di entrare in contatto con gli altri , con ciò che è fuori da noi e, spesso, con chi è diverso da noi. Riflettiamo un momento insieme su questo tema, 1 Pubblicato nell’inserto edito dalla B&P di Torino, allegato a Economy, 24/03/2009
  • 2. Giochi a “somma zero” e giochi a “somma diversa da zero”. Jean Paul Sartre in Huis Clos (In italiano A porte chiuse) afferma che, “L’enfer c’est les autres, cioè l’inferno sono gli altri; magari non avevamo pensato di arrivare fino a questo ma certo qualche complicazione c’era da aspettarsela, è già tanto difficile gestire noi stessi figuriamoci se siamo in due o più e magari stiamo cercando di fare qualcosa insieme (potrebbe essere un po’ come voler pilotare un aeroplano in due senza essersi messi d’accordo prima sulla rotta da seguire). Senza togliere nulla a Sartre, forse ancora meglio è affermare “L’enfer c’est notre relation avec les autres”, l’inferno è la nostra relazione con gli altri; in tal modo infatti il focus è sulla relazione e non sugli altri ma, cosa ancora più importante, questa diversa formulazione non ci induce ad attribuire in modo quasi automatico agli altri la colpa dello stesso inferno. Bene, ciò detto, vale ora la pena di chiederci quali siano in genere le nostre relazioni con gli altri (come pure le relazioni tra gruppi, popoli e nazioni); bene, sembra proprio – e la storia ce ne dà ampie conferme - che siano per lo più del tipo “io vinco tu perdi oppure io perdo tu vinci” (in fondo un moderno riciclaggio del vetusto mors tua vita mea). Relazioni di questo tipo vengono denominate da una teoria abbastanza recente, la teoria dei giochi nata intorno al 1920 nell’ambito dell’alta matematica, come giochi a somma zero. Un esempio immediato è quando due persone mettono una somma di denaro sul piatto ed estraggono da un mazzo una carta. Chi ha la carta più alta vince, chi ha quella più bassa perde, la differenza tra vincita e perdita è sempre uguale a zero. Per esprimere questa apparente banalità in altri termini, più espressivi ai nostri fini, questo significa in sostanza che “si vince solo se si porta via qualcosa all’altro, a qualcuno che, in tale ottica, dobbiamo necessariamente definire un avversario o un nemico. E’ sempre e solo così? Niente affatto, esistono anche giochi di tipo diverso e cioè quelli a somma diversa da zero, quelli cioè in cui la differenza tra vincita e perdita può essere minore o maggiore di zero. Immaginiamo ad esempio che il Management e i sindacati di un’impresa non riescano a trovare un accordo su un punto importante quale per esempio il rinnovo del contratto e si irrigidiscano sulle loro posizioni; i dipendenti iniziano allora una lunga serie di scioperi con grave pregiudizio per la produzione o l’erogazione di servizi. A questo punto è plausibile che i clienti danneggiati dal perdurare di scioperi e disservizi decidano di ricorrere ad un altro fornitore e questo comporterà per l’azienda una perdita di commesse e quindi una riduzione dei propri introiti. Ovviamente non è detto che finisca qui, in quanto la diminuzione dei ricavi potrebbe costringere l’azienda a ridurre il personale; in questo caso le parti antagoniste perdono entrambe e ci ritroviamo in un gioco a somma minore di zero con conseguente distruzione di valore. Se al contrario Management e sindacati trovano un accordo vantaggioso per entrambe le parti in modo che i processi risultino più snelli e la produzione si incrementi, l’azienda potrà aumentare i propri profitti e avrà modo di concedere qualcosa in più ai dipendenti; avremmo allora un caso di giochi a somma maggiore di zero con conseguente creazione di valore. Non occorre molta fantasia per trasportare il modello nell’ambito delle nostre relazioni personali (ed in particolare di quella con il nostro partner) e vedere le devastanti conseguenze di giocare, come spesso accade, esclusivamente a somma zero; in tal caso
  • 3. è solo questione di tempo e qualunque relazione, se non patologica, non potrà che finire male. Lascio a ciascuno il compito di fare le opportune verifiche personali precisando solo che non è il caso di farci grandi illusioni, giocare a somma diversa da zero è molto difficile, a volte al limite dell’impossibile, ma a noi piacciono i compiti difficili e le sfide, vero lettore? Vediamo quindi se di posso dare un piccolo aiuto in tal senso cercando almeno di delineare , sia pure in modo del tutto schematico, un possibile percorso in tale direzione. Alla riscoperta dell’altro In alcune culture e contesti autoreferenziali lo standard assunto come ottimale può diventare lo spartiacque tra normalità e anormalità; tutto ciò che non rientra nello standard assunto arbitrariamente come modello di riferimento è considerato come una deviazione o distorsione. Questo approccio coniugato a facili e superficiali generalizzazioni (es. tutti gli abitanti della città x sono maleducati, tutti quelli della città y sono gentili ecc., non fa che potenziare discriminazioni ingiustificate che possono arrivare a conseguenze devastanti come quando per esempio si arriva a definire certe razze inferiori e quindi da poter utilizzare come bestie (vedi la tratta degli schiavi) o addirittura sterminare (come nel caso degli ebrei). Bello e giusto, in altre parole, è in tal caso solo ciò che siamo noi, gli eletti, ai quali tutti gli altri dovrebbero conformarsi; chi non lo fa va isolato, allontanato e anche perseguitato o soppresso. In realtà è vero esattamente il contrario, la relazione con l’altro non va vissuta come “conflitto”, come una guerra che presupponga vincitori e vinti ma al contrario come un’opportunità di confronto costruttivo dove si possono mettere a fattor comune competenze/esperienze diverse con elevate possibilità di un reciproco arricchimento. Per convincersene proviamo a metterci per un momento il cappello del cosmologo dilettante e non sarà difficile comprendere come in fondo l’intero universo sembri obbedire proprio ad una legge di associazione e ricomposizione di elementi in una sintesi di livello superiore. Sembra infattI che dal Big Bang in poi si sia verificata una continua espansione e differenziazione della materia che ha visto per miliardi di anni atomi e molecole diverse come cercarsi, incontrarsi, scontrarsi e infine unirsi in associazioni sempre più complesse che di norma hanno portano a qualcosa di più e di diverso rispetto alla somma delle parti (come l’acqua che evidenzia proprietà del tutto diverse rispetto ai suoi componenti, idrogeno e ossigeno) Pur rendendoci conto del rischio di sembrare semplicistici è sempre da un processo con tali caratteristiche che sono emerse le molecole più complesse fino ad arrivare alle prime forme di vita e poi all’infinita varietà delle forme viventi. In questo universo la cui comprensione è ben lontana dalle nostre modeste possibilità intellettuali la terra è un minuscolo granello che insieme al sole e agli altri pianeti del sistema solare è lontano ben 30.000 anni luce circa dal centro della Via Lattea, una delle galassie che esistono numerosissime (se non infinite) nell’Universo. Cosa ha fatto invece per secoli l’uomo in tale contesto? Ha pensato bene di mettersi al centro dell’Universo e si è anche inventato di sana pianta un sistema astronomico sistema Tolemaico) dove ovviamente l’uomo e la terra sono al centro di ogni cosa e l’intero universo gli gira intorno. Non basta, al povero Galileo che aveva capito che le cose stavano diversamente si è pensato bene di costringerlo a dichiarare il contrario (altrimenti c’era il rogo) anche se nessuno gli ha fatto poi cambiare idea (eppur si muove!)
  • 4. Bene non so se sono riuscito a spiegarmi con questi esempi ma proprio qui è il primo grande passo da fare e cioè smettere di mettersi al centro delle cose, autodefenestrarsi da un ruolo di sovrano dell’universo che non ci compete e capire che il nostro punto di vista, le nostre convinzioni e principi, il nostro modo di pensare e ragionare sono un punto di vista di grande importanza per noi perché è appunto il nostro ma che esistono altri n punti vista tutti sacrosanti e legittimi con i quali fare i conti. Se riusciamo a fare questo primo passo e riconosciamo la dignità e l’importanza delle opinioni altrui, cominciamo automaticamente a porci in una condizione di “ascolto”, di ricettività, di disponibilità intellettuale ed affettiva indispensabile per comprendere l’altro. Segue poi un altro passo di enorme difficoltà e cioè la capacità di metterci in discussione, la capacità di analizzare e metabolizzare ciò che l’altro ci comunica e assimilare ciò che ci risuona dentro come vero, giusto e comunque adatto per noi. Questo dicevo è un passo d’importanza straordinaria perché se non riusciamo a compierlo anche se ci poniamo in uno stato d’ascolto, di fatto non assimileremo nulla e non impareremo più nulla. Questo è quello che secondo Paul Watzlawick, uno dei più grandi esperti di Comunicazione, ritiene che accada alla maggior parte di noi e cioè il permanere indefinitamente in una sorta di status quo; in un celeberrimo libretto, Istruzioni per rendersi infelici, l’autore evidenzia infatti che l’uomo, ma anche i gruppi, le società e le Nazioni, sembrano continuare ad adottare sempre gli stessi modelli di comportamento e questo nonostante che il contesto di riferimento sia di norma in costante evoluzione. In altre parole non solo non si mettono in discussione e quindi non imparano e non cambiano ma sembrano anche non rendersi conto dei cambiamenti del mondo esterno. Il tema è straordinariamente interessante visto che riguarda un punto di estrema criticità nella nostra vita ma qui, oltre a rimandarti per un approfondimento alla lettura del libro di Watzlawick, posso solo aggiungere un consiglio pratico che ci aiuterà anche a chiarire meglio il concetto. Pensiamo un attimo ad una frase del genere: “se tornassi indietro rifarei esattamente tutte le cose che ho fatto e le rifarei inoltre nello stesso modo” Quante volte ci è capitato di sentirla o addirittura di pronunciarla? Questa frase tra l’altro sembra conferire a chi parla forza e determinazione, viene da pensare che si tratti di una persona che sa quello che vuole e che sia forte e coerente con sé stesso. Chi invece ammette i propri errori e magari chiede anche scusa ci piace di meno e ci trasmette insicurezza e debolezza . E’ vero? No, anzi è assolutamente falso nonché logicamente insostenibile! E’ vero invece il contrario e cioè che ogni cosa che abbiamo fatto avrebbe potuto essere fatta meglio, a volte molto meglio, a volte un poco meglio ma di sicuro non è stata fatta in modo perfetto perché noi, per definizione siamo imperfetti, o c’è qualcuno tra noi che pensa di essere perfetto? Tutto quello che abbiamo visto finora sono solo condizioni e premesse, ciò che occorre fare per rimuovere gli ostacoli e gli impedimenti, poi però bisogna imparare a comunicare davvero e questo è un altro mondo, spesso tutto da scoprire ma assolutamente indispensabile per migliorare le nostre relazioni a tutti i livelli. Anche in tal caso, caro lettore, non posso che rimandarti ad un buon testo di Comunicazione o meglio ancora ad un corso di comunicazione interpersonale o di Programmazione Neuroliguistica ma, prima di lasciarti, ci tengo a darti quantomeno un minimo contributo come nel caso precedente. In genere la nostra comunicazione è specifica per macroaree, voglio dire con tale espressione che se abbiamo di fronte classi diverse di persone siamo di norma capaci di tarare adeguatamente la nostra comunicazione. Con un professore parliamo in modo diverso che verso uno studente, con un amico ancora diversamente da un estraneo e così via ma il punto è che ogni professore, ogni studente, ogni amico o estraneo sono tutti
  • 5. mondi a sé e ognuno di loro comunica in modo diverso ed è diversamente sensibile agli “n” modi possibili di comunicare. Cosa fare? Cerca di ascoltare davvero il tuo interlocutore, fallo parlare, conoscilo meglio, senti i termini che usa più spesso e poi, anche se mi rendo conto come possa essere tutt’altro che facile, cerca di ricalcare le sue modalità di comunicazione e di adeguare la tua comunicazione alla sua. Lui percepirà il tuo sforzo sia pure inconsciamente, gli risuonerai dentro bene, come due corde all’unisono e si sentirà apprezzato nella sua individualità unica e irripetibile. Bene alla fine di queste riflessioni che spero caro lettore non ti abbiano annoiato troppo, nel rileggere il testo mi assale un dubbio poderoso di quelli che forse non mi farà dormire tranquillo per cui vi chiedo un aiuto. Secondo voi l’Aridanghete del già citato sig. Mario si scrive proprio così ? Ciao lettore e a presto Carmine D’Arconte cdarconte@uniroma3.it Roma, novembre 2009