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Relazione sul corso di Cinematografia Documentaria
                                a cura di Dario Lo Presti

                               Docente Dott. Paolo Simoni


Il corso di Cinematografia Documentaria presieduto dal dott. Paolo Simoni con gli
assistenti Ilaria Ferretti e Claudio Giapponesi, si inserisce nel più ampio contesto di un
progetto dell’Osservatorio di Reggio Emilia che circa due anni fa ha avviato con un bando
pubblico Cinema di Famiglia la raccolta di film privati in diversi formati, girati dalle
famiglie raggiane dagli anni 20 agli anni 80 del secolo scorso. Tutto questo è stato fatto
allo scopo di creare un albero genealogico detto Family, che autorappresentasse e
mostrasse la vita delle famiglie reggiane, gli eventi pubblici, le ritualità private ma anche la
vita di tutti i giorni, i ricordi individuali, la crescita dei componenti familiari nel corso degli
anni, il cambiamento sociale e culturale del nostro paese. Tutto questo in funzione della
creazione di una memoria storica, che costituisce parte integrante della propria identità
oltre che un importante strumento di autoconoscenza. Questo corso che prevede la
realizzazione di un progetto pratico di creazione di una narrazione cinematografica, può
essere considerato come una fase di ulteriore sperimentazione del lavoro svolto in
precedenza. In particolare parliamo della creazione di originali modalità espositive di
narrazione, che richiedono da parte del pubblico una fruizione attiva e partecipativa.
La parte introduttiva del corso ha riguardato la visita all’esposizione dello Spazio Gerra,
che rende l’idea della complessità del materiale raccolto. Nella mostra sono stati
rappresentati i momenti più importanti della storia di Reggio Emilia. In particolare quei
momenti che hanno contraddistinto il mutamento dello status familiare, come ad esempio il
tempo libero, i consumi, le cerimonie, la crescita dei bambini, le vacanze e il modo di
vestire. Queste immagini rappresentano un importante fonte di documentazione storica dei
cambiamenti sociali e culturali del nostro paese, attraverso lo sguardo di piccole realtà
familiari. Nel corso delle lezioni sono stati trattati alcuni temi legati al cinema amatoriale,
con delle riflessioni sulle fasi tecnologiche di utilizzo dei diversi supporti e formati di
pellicole, dei relativi apparati come cineprese e proiettori. Oltre a ciò è stata presentata
una panoramica dei contributi teorici di intellettuali, cineasti dilettanti e amatori come
Cesare Zavattini, Pietro Bargellini, Peter Forgacs, Roger Odin e altri. Questi hanno
contribuito ad animare il dibattito nel corso del Novecento su quelle forme di cinema che

                                                                                                 1
non rientrano nel circuito dell’ufficialità e non sottostanno alle logiche dell’industria
cinematografica. Non bisogna dimenticare un altro aspetto del corso funzionale alla
realizzazione del progetto di gruppo, ovvero la proiezione di molti film di famiglia e in
generale di forme diverse di cinema amatoriale come ad esempio quello girato da P.
Forgacs The Maelstrom del 1997. In questo contesto Forgacs in un primo momento
raccoglie i film privati dei suoi connazionali, per archiviarli e in seguito riprenderli e
lavorarci sopra. Il regista ungherese lavora su quello che Simoni definisce il “non-visto”
decostruendo e ricostruendo il passato, facendo emergere i dettagli più nascosti presenti
nelle immagini rallentando, riquadrando, ricolorando i fotogrammi oltre che ad agire sul
“fuori quadro”.
Il cinema di famiglia non possiede una forma, una struttura, uno stile e una coerenza e ciò
non è casuale. Roger Odin infatti sostiene che questi film devono essere privi di struttura e
narrazione (“fatti male”), perché devono avere una forma che si avvicini il più possibile alla
fotografia con pause, sguardi verso la cinepresa, discontinuità tra un’immagine e l’altra.
Questo genere di film deve essere inteso come un album di famiglia con una duplice
funzione: da un lato quella individuale di risvegliare le immagini, gli odori, le sensazioni del
proprio vissuto che ritorna, mentre dall’altro quella collettiva di identificare e rafforzare
l’esistenza del gruppo familiare.
Si tende a credere che i film di famiglia rappresentino solo i momenti felici di un nucleo
familiare, ma osservandoli attentamente si può notare come in realtà nascondano delle
ambiguità di fondo. Il tema è stato affrontato da Simoni, il quale mette in risalto la
questione di come il film di famiglia debba essere interpretato alla luce di una sua
dimensione intermedia che si trova tra il “visibile” e il “non-visibile”, il “filmabile e il “non-
filmabile”. Spesso guardando questi filmati emerge l’idea che la famiglia sia unita e coesa,
che i rapporti tra i componenti familiari siano ottimali e privi di conflitti. Infatti l’home movie
come forma documentaria non ha come soggetti litigi, contrasti o separazioni, ma tende a
far si che ci sia una situazione di pace. Inoltre questa deve essere intesa non come una
creazione artistica, ma come una sorta di dialogo tra chi filma e chi è filmato, tra l’individuo
e la collettività. Il film di famiglia è pertanto una rappresentazione dell’immagine familiare e
della sua evoluzione nel tempo, che ignora però i lati oscuri, i contrasti, le malattie e
devianze presenti in ciascuna famiglia.
Da un punto di vista storico Simoni afferma che il film di famiglia può tra le altre cose
offrire uno sguardo su problematiche specifiche di ogni paese. In particolare in Italia
questa forma di cinema rientra nel più ampio contesto sociale, economico e culturale del

                                                                                                 2
boom economico degli anni Sessanta, perché coincide con la diffusione della pratica del
cinema amatoriale sul territorio nazionale grazie all’avvento nel 1965 del formato Super 8.
Questo passaggio sarà determinante perché le caratteristiche di semplicità e automaticità
del nuovo formato, diffonderanno ancor di più la pratica di far cinema amatoriale, dando
l’illusione che tutto si riduca ad un semplice “mirare, premere un bottone e basta”.
Il cinema amatoriale è un fenomeno troppo ampio per poterlo definire all’interno di canoni
specifici. Questo perché quando se ne parla si fa riferimento a forme di cinematografiche
molto diverse tra loro come ad esempio il film di famiglia, il diario filmato, il cinema
sperimentale underground, il cinema privato. Gli elementi principali che lo caratterizzano
sono la non ufficialità, la libertà da censure e revisioni e il concetto di “amatorialità” cui fa
riferimento Simoni nel saggio “Non basta premere un bottone. Riflessioni sul cinema
amatoriale” citando a sua volta le idee di Stan Brakhage nel suo libro In Defense of the
“amateur” film maker. Nel corso del Novecento la tecnologia amatoriale ha favorito la
pratica da parte di molti cineamatori di riprendere la vita quotidiana, di registrare il vissuto
come forma di memoria storica su pellicola. Questi cineamatori si contraddistinguono per
essere dei film maker liberi dai condizionamenti produttivi e di linguaggio, e questo ha
permesso loro di esprimere se stessi praticando l’amatorialità intesa come distacco,
allontanamento dai metodi tradizionali di fare cinema. Brakhage sottolinea che l’amatore è
una figura disprezzata dai professionisti, perché si dedica al cinema riprendendo ciò che
più soddisfa la sua curiosità e sensibilità esulandosi da ogni dovere istituzionale. Ciò che
cambia è la prospettiva con la quale ci si appresta a registrare il reale. Infatti mentre il
professionista agisce per compiere il suo dovere in vista di un guadagno o della fama
dipendendo dalla logiche del sistema, il cineamatore è un individuo libero che filma ciò che
ama e di cui ha bisogno senza vincoli e pressioni. Quest’ultimo pertanto, come sostiene
Brakhage, giudica la riuscita del proprio lavoro rispetto al suo reale interesse e alle sue
esigenze, piuttosto che rispetto al riconoscimento altrui. Un altro intervento interessante
sottolineto da Simoni è quello di Maya Deren. La studiosa, in un articolo pubblicato a metà
degli anni Sessanta, sostiene che il dilettante ha il vantaggio della libertà artistica e fisica
rispetto al professionista. Il cineasta amatoriale infatti va in giro con un attrezzatura piccola
e leggera, che a differenza di quella dei professionisti gli permette una grande libertà
fisica. In particolare il dilettante ha a disposizione il proprio corpo da utilizzare per
realizzare diverse angolazioni di ripresa e azioni visive. Pertanto si sottolinea l’importanza
di agire sulla realtà senza costrizioni fisiche (attrezzature pesanti e ingombranti),


                                                                                                3
utilizzando il proprio corpo come una strumento aggiuntivo fondamentale nel girare un film
e questo cambia la prospettiva di fare cinema.
Al di là queste considerazioni vorrei parlare della realizzazione del progetto di gruppo
avente come fondo filmico di riferimento il film di famiglia Vighi. L’idea principale alla base
del progetto è quella di confrontarsi con la nascita di un archivio, organizzando il materiale
a disposizione per renderlo fruibile al pubblico. L’installazione che abbiamo creato cerca di
mostrare i materiali del fondo a partire dalle forme culturali dell’archivio e del database.
Questo viene reso possibile grazie all’uso del Korsakow, ovvero un software attraverso
cui è possibile progettare un’installazione che permette al visitatore di tuffarsi in
un’esperienza interattiva, emozionale e al tempo stesso cognitiva             all’interno di un
percorso di immagini, voci e suoni. Per realizzare il progetto ciascuno dei componenti del
gruppo ha inizialmente visionato il proprio dvd con una parte del fondo Vighi. Il lavoro da
fare è stato essenzialmente quello di scomporre in sequenze il filmato segnando i
riferimenti temporali di inizio e fine in una sorta di decoupage. Questo è stato fatto allo
scopo di isolare le sequenze con le isotopie tematiche ricorrenti della famiglia Vighi come i
giochi dei bambini, i loro compleanni, la crescita della figlia più piccola Renata, la figura
della nonna, i vari viaggi in giro per l’Italia e l’Europa,i matrimoni di Amilcare e Fabrizio, la
passione di Vighi per il movimento con le riprese degli aerei e così via. Oltre a questo sono
state anche selezionate le sequenze commentate da Vighi, che in seguito sono state
inserite nel Korsakow. In tal modo partendo da un materiale disomogeneo, abbiamo creato
un percorso narrativo lineare inserendo come clip introduttiva un frammento dell’intervista
realizzata dal Dott. Simoni e i suoi assistenti a Nello Vighi, che riflette sull’utilizzo della
cinepresa per scopi amatoriali a quell’epoca. Successivamente abbiamo creato una breve
presentazione dei componenti della famiglia Vighi, per dare allo spettatore-fruitore un
riferimento riguardo ai membri familiari che appariranno nelle successive preview. Dopo
questa fase si entra nel vivo del progetto, perchè incominciano ad apparire le prime
preview con le immagini ad esempio dei matrimoni dei figli Fabrizio e Amilcare, e
cliccando su di esse avremo dei rimandi ad altre immagini in contesti diversi con gli stessi
membri. Il principio di base è che lo spettatore, cliccando col mouse sulle preview che
appaiono alla destra della clip principale detta “main media”, potrà effettuare delle modalità
interattive di intervento all’interno del progetto intraprendendo percorsi diversi a seconda
delle proprie esigenze rispettando comunque la linea logica di chi l’ha realizzato. Per
concludere il percorso narrativo si è creata una clip conclusiva collegata ad una preview
contenente come parola chiave uscente Nello Vighi. Questo è stato fatto per creare un

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collegamento con l’altro breve frammento dell’intervista con lo stesso e concludere la
narrazione. Al termine del progetto è stato inserito un brano musicale di pianoforte,
dall’andamento allegro e al tempo stesso disteso, con lo scopo di creare un sottofondo
che rendesse più gradevole la visione delle clip.
In conclusione mi sorgono spontanee delle considerazioni sul film di famiglia dei Vighi. Il
film si presta ad essere un valido documento di carattere storico, sociale e culturale.
Quello che emerge è l’immagine di una famiglia unita e caratterizzata da momenti felici, di
gioia e condivisione. Non bisogna però fermarsi alle apparenze di queste immagini, perché
osservando con attenzione i vari filmati emergono dei lati oscuri e tristi. In particolare mi ha
colpito una certa ambivalenza delle immagini riguardanti la figura della nonna paterna.
Questa infatti appare spesso in compagnia dei nipoti, sorridente, piena di vita e in salute,
ma in altri frammenti del filmato la notiamo sofferente e non più presente come prima per
via della malattia. Lo sguardo della cinepresa ce la mostra, o meglio si sforza in qualche
modo di mostrarcela sempre per com’era, ma in realtà si comprende bene che non è più
così. A mio parere trovo in tutto questo che lo sguardo della cinepresa sia stato troppo
invadente violando la privacy dell’interessata, oltre a voler suscitare degli interrogativi nello
spettatore. Questa considerazione si può ricollegare alle idee di Roger Odin e Patricia
Zimmermann cui fa riferimento Simoni. Il primo sostiene che il film di famiglia è una forma
aperta di narrazione, che implica l’interpretazione delle immagini da parte delle persone
coinvolte nelle riprese. La seconda afferma che il film amatoriale permette di offrire una
visione più ampia sulla complessità del reale e sulle verità celate, facendo emergere
quegli aspetti oscuri e inaspettati che rientrano nella dimensione del “non-visibile”.




                                       Bibliografia

   Paolo Simoni, Non basta premere un bottone. Riflessioni sul cinema amatoriale. Le
   fasi tecnologiche, i contributi teorici, le pratiche culturali e artistiche, in        Il film
   documentario nell’era digitale, a cura di Ansano Giannarelli, Annali Aamod 9, 2006


   Paolo Simoni, Il film di famiglia. L’ambiguità delle immagini felici, in Marco Bertozzi
   (a cura di), Schermi di pace, Annali AAMOD 8, 2005, Roma

                                                                                               5
 Paolo Simoni, Archeologia della memoria privata. La ricontestualizzazione filmica di
Péter Forgács, in Private Europe. Il cinema di Péter Forgács, quaderno di “Filmmaker”,
Milano 2003


 Paolo Simoni, 8mm e Super8, in L’arte del risparmio: stile e tecnologia: il cinema a
basso costo in Italia negli anni Sessanta, a cura di Giacomo Manzoli e Guglielmo
Pescatore, Roma 2005




                                                                                         6

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  • 1. Relazione sul corso di Cinematografia Documentaria a cura di Dario Lo Presti Docente Dott. Paolo Simoni Il corso di Cinematografia Documentaria presieduto dal dott. Paolo Simoni con gli assistenti Ilaria Ferretti e Claudio Giapponesi, si inserisce nel più ampio contesto di un progetto dell’Osservatorio di Reggio Emilia che circa due anni fa ha avviato con un bando pubblico Cinema di Famiglia la raccolta di film privati in diversi formati, girati dalle famiglie raggiane dagli anni 20 agli anni 80 del secolo scorso. Tutto questo è stato fatto allo scopo di creare un albero genealogico detto Family, che autorappresentasse e mostrasse la vita delle famiglie reggiane, gli eventi pubblici, le ritualità private ma anche la vita di tutti i giorni, i ricordi individuali, la crescita dei componenti familiari nel corso degli anni, il cambiamento sociale e culturale del nostro paese. Tutto questo in funzione della creazione di una memoria storica, che costituisce parte integrante della propria identità oltre che un importante strumento di autoconoscenza. Questo corso che prevede la realizzazione di un progetto pratico di creazione di una narrazione cinematografica, può essere considerato come una fase di ulteriore sperimentazione del lavoro svolto in precedenza. In particolare parliamo della creazione di originali modalità espositive di narrazione, che richiedono da parte del pubblico una fruizione attiva e partecipativa. La parte introduttiva del corso ha riguardato la visita all’esposizione dello Spazio Gerra, che rende l’idea della complessità del materiale raccolto. Nella mostra sono stati rappresentati i momenti più importanti della storia di Reggio Emilia. In particolare quei momenti che hanno contraddistinto il mutamento dello status familiare, come ad esempio il tempo libero, i consumi, le cerimonie, la crescita dei bambini, le vacanze e il modo di vestire. Queste immagini rappresentano un importante fonte di documentazione storica dei cambiamenti sociali e culturali del nostro paese, attraverso lo sguardo di piccole realtà familiari. Nel corso delle lezioni sono stati trattati alcuni temi legati al cinema amatoriale, con delle riflessioni sulle fasi tecnologiche di utilizzo dei diversi supporti e formati di pellicole, dei relativi apparati come cineprese e proiettori. Oltre a ciò è stata presentata una panoramica dei contributi teorici di intellettuali, cineasti dilettanti e amatori come Cesare Zavattini, Pietro Bargellini, Peter Forgacs, Roger Odin e altri. Questi hanno contribuito ad animare il dibattito nel corso del Novecento su quelle forme di cinema che 1
  • 2. non rientrano nel circuito dell’ufficialità e non sottostanno alle logiche dell’industria cinematografica. Non bisogna dimenticare un altro aspetto del corso funzionale alla realizzazione del progetto di gruppo, ovvero la proiezione di molti film di famiglia e in generale di forme diverse di cinema amatoriale come ad esempio quello girato da P. Forgacs The Maelstrom del 1997. In questo contesto Forgacs in un primo momento raccoglie i film privati dei suoi connazionali, per archiviarli e in seguito riprenderli e lavorarci sopra. Il regista ungherese lavora su quello che Simoni definisce il “non-visto” decostruendo e ricostruendo il passato, facendo emergere i dettagli più nascosti presenti nelle immagini rallentando, riquadrando, ricolorando i fotogrammi oltre che ad agire sul “fuori quadro”. Il cinema di famiglia non possiede una forma, una struttura, uno stile e una coerenza e ciò non è casuale. Roger Odin infatti sostiene che questi film devono essere privi di struttura e narrazione (“fatti male”), perché devono avere una forma che si avvicini il più possibile alla fotografia con pause, sguardi verso la cinepresa, discontinuità tra un’immagine e l’altra. Questo genere di film deve essere inteso come un album di famiglia con una duplice funzione: da un lato quella individuale di risvegliare le immagini, gli odori, le sensazioni del proprio vissuto che ritorna, mentre dall’altro quella collettiva di identificare e rafforzare l’esistenza del gruppo familiare. Si tende a credere che i film di famiglia rappresentino solo i momenti felici di un nucleo familiare, ma osservandoli attentamente si può notare come in realtà nascondano delle ambiguità di fondo. Il tema è stato affrontato da Simoni, il quale mette in risalto la questione di come il film di famiglia debba essere interpretato alla luce di una sua dimensione intermedia che si trova tra il “visibile” e il “non-visibile”, il “filmabile e il “non- filmabile”. Spesso guardando questi filmati emerge l’idea che la famiglia sia unita e coesa, che i rapporti tra i componenti familiari siano ottimali e privi di conflitti. Infatti l’home movie come forma documentaria non ha come soggetti litigi, contrasti o separazioni, ma tende a far si che ci sia una situazione di pace. Inoltre questa deve essere intesa non come una creazione artistica, ma come una sorta di dialogo tra chi filma e chi è filmato, tra l’individuo e la collettività. Il film di famiglia è pertanto una rappresentazione dell’immagine familiare e della sua evoluzione nel tempo, che ignora però i lati oscuri, i contrasti, le malattie e devianze presenti in ciascuna famiglia. Da un punto di vista storico Simoni afferma che il film di famiglia può tra le altre cose offrire uno sguardo su problematiche specifiche di ogni paese. In particolare in Italia questa forma di cinema rientra nel più ampio contesto sociale, economico e culturale del 2
  • 3. boom economico degli anni Sessanta, perché coincide con la diffusione della pratica del cinema amatoriale sul territorio nazionale grazie all’avvento nel 1965 del formato Super 8. Questo passaggio sarà determinante perché le caratteristiche di semplicità e automaticità del nuovo formato, diffonderanno ancor di più la pratica di far cinema amatoriale, dando l’illusione che tutto si riduca ad un semplice “mirare, premere un bottone e basta”. Il cinema amatoriale è un fenomeno troppo ampio per poterlo definire all’interno di canoni specifici. Questo perché quando se ne parla si fa riferimento a forme di cinematografiche molto diverse tra loro come ad esempio il film di famiglia, il diario filmato, il cinema sperimentale underground, il cinema privato. Gli elementi principali che lo caratterizzano sono la non ufficialità, la libertà da censure e revisioni e il concetto di “amatorialità” cui fa riferimento Simoni nel saggio “Non basta premere un bottone. Riflessioni sul cinema amatoriale” citando a sua volta le idee di Stan Brakhage nel suo libro In Defense of the “amateur” film maker. Nel corso del Novecento la tecnologia amatoriale ha favorito la pratica da parte di molti cineamatori di riprendere la vita quotidiana, di registrare il vissuto come forma di memoria storica su pellicola. Questi cineamatori si contraddistinguono per essere dei film maker liberi dai condizionamenti produttivi e di linguaggio, e questo ha permesso loro di esprimere se stessi praticando l’amatorialità intesa come distacco, allontanamento dai metodi tradizionali di fare cinema. Brakhage sottolinea che l’amatore è una figura disprezzata dai professionisti, perché si dedica al cinema riprendendo ciò che più soddisfa la sua curiosità e sensibilità esulandosi da ogni dovere istituzionale. Ciò che cambia è la prospettiva con la quale ci si appresta a registrare il reale. Infatti mentre il professionista agisce per compiere il suo dovere in vista di un guadagno o della fama dipendendo dalla logiche del sistema, il cineamatore è un individuo libero che filma ciò che ama e di cui ha bisogno senza vincoli e pressioni. Quest’ultimo pertanto, come sostiene Brakhage, giudica la riuscita del proprio lavoro rispetto al suo reale interesse e alle sue esigenze, piuttosto che rispetto al riconoscimento altrui. Un altro intervento interessante sottolineto da Simoni è quello di Maya Deren. La studiosa, in un articolo pubblicato a metà degli anni Sessanta, sostiene che il dilettante ha il vantaggio della libertà artistica e fisica rispetto al professionista. Il cineasta amatoriale infatti va in giro con un attrezzatura piccola e leggera, che a differenza di quella dei professionisti gli permette una grande libertà fisica. In particolare il dilettante ha a disposizione il proprio corpo da utilizzare per realizzare diverse angolazioni di ripresa e azioni visive. Pertanto si sottolinea l’importanza di agire sulla realtà senza costrizioni fisiche (attrezzature pesanti e ingombranti), 3
  • 4. utilizzando il proprio corpo come una strumento aggiuntivo fondamentale nel girare un film e questo cambia la prospettiva di fare cinema. Al di là queste considerazioni vorrei parlare della realizzazione del progetto di gruppo avente come fondo filmico di riferimento il film di famiglia Vighi. L’idea principale alla base del progetto è quella di confrontarsi con la nascita di un archivio, organizzando il materiale a disposizione per renderlo fruibile al pubblico. L’installazione che abbiamo creato cerca di mostrare i materiali del fondo a partire dalle forme culturali dell’archivio e del database. Questo viene reso possibile grazie all’uso del Korsakow, ovvero un software attraverso cui è possibile progettare un’installazione che permette al visitatore di tuffarsi in un’esperienza interattiva, emozionale e al tempo stesso cognitiva all’interno di un percorso di immagini, voci e suoni. Per realizzare il progetto ciascuno dei componenti del gruppo ha inizialmente visionato il proprio dvd con una parte del fondo Vighi. Il lavoro da fare è stato essenzialmente quello di scomporre in sequenze il filmato segnando i riferimenti temporali di inizio e fine in una sorta di decoupage. Questo è stato fatto allo scopo di isolare le sequenze con le isotopie tematiche ricorrenti della famiglia Vighi come i giochi dei bambini, i loro compleanni, la crescita della figlia più piccola Renata, la figura della nonna, i vari viaggi in giro per l’Italia e l’Europa,i matrimoni di Amilcare e Fabrizio, la passione di Vighi per il movimento con le riprese degli aerei e così via. Oltre a questo sono state anche selezionate le sequenze commentate da Vighi, che in seguito sono state inserite nel Korsakow. In tal modo partendo da un materiale disomogeneo, abbiamo creato un percorso narrativo lineare inserendo come clip introduttiva un frammento dell’intervista realizzata dal Dott. Simoni e i suoi assistenti a Nello Vighi, che riflette sull’utilizzo della cinepresa per scopi amatoriali a quell’epoca. Successivamente abbiamo creato una breve presentazione dei componenti della famiglia Vighi, per dare allo spettatore-fruitore un riferimento riguardo ai membri familiari che appariranno nelle successive preview. Dopo questa fase si entra nel vivo del progetto, perchè incominciano ad apparire le prime preview con le immagini ad esempio dei matrimoni dei figli Fabrizio e Amilcare, e cliccando su di esse avremo dei rimandi ad altre immagini in contesti diversi con gli stessi membri. Il principio di base è che lo spettatore, cliccando col mouse sulle preview che appaiono alla destra della clip principale detta “main media”, potrà effettuare delle modalità interattive di intervento all’interno del progetto intraprendendo percorsi diversi a seconda delle proprie esigenze rispettando comunque la linea logica di chi l’ha realizzato. Per concludere il percorso narrativo si è creata una clip conclusiva collegata ad una preview contenente come parola chiave uscente Nello Vighi. Questo è stato fatto per creare un 4
  • 5. collegamento con l’altro breve frammento dell’intervista con lo stesso e concludere la narrazione. Al termine del progetto è stato inserito un brano musicale di pianoforte, dall’andamento allegro e al tempo stesso disteso, con lo scopo di creare un sottofondo che rendesse più gradevole la visione delle clip. In conclusione mi sorgono spontanee delle considerazioni sul film di famiglia dei Vighi. Il film si presta ad essere un valido documento di carattere storico, sociale e culturale. Quello che emerge è l’immagine di una famiglia unita e caratterizzata da momenti felici, di gioia e condivisione. Non bisogna però fermarsi alle apparenze di queste immagini, perché osservando con attenzione i vari filmati emergono dei lati oscuri e tristi. In particolare mi ha colpito una certa ambivalenza delle immagini riguardanti la figura della nonna paterna. Questa infatti appare spesso in compagnia dei nipoti, sorridente, piena di vita e in salute, ma in altri frammenti del filmato la notiamo sofferente e non più presente come prima per via della malattia. Lo sguardo della cinepresa ce la mostra, o meglio si sforza in qualche modo di mostrarcela sempre per com’era, ma in realtà si comprende bene che non è più così. A mio parere trovo in tutto questo che lo sguardo della cinepresa sia stato troppo invadente violando la privacy dell’interessata, oltre a voler suscitare degli interrogativi nello spettatore. Questa considerazione si può ricollegare alle idee di Roger Odin e Patricia Zimmermann cui fa riferimento Simoni. Il primo sostiene che il film di famiglia è una forma aperta di narrazione, che implica l’interpretazione delle immagini da parte delle persone coinvolte nelle riprese. La seconda afferma che il film amatoriale permette di offrire una visione più ampia sulla complessità del reale e sulle verità celate, facendo emergere quegli aspetti oscuri e inaspettati che rientrano nella dimensione del “non-visibile”. Bibliografia  Paolo Simoni, Non basta premere un bottone. Riflessioni sul cinema amatoriale. Le fasi tecnologiche, i contributi teorici, le pratiche culturali e artistiche, in Il film documentario nell’era digitale, a cura di Ansano Giannarelli, Annali Aamod 9, 2006  Paolo Simoni, Il film di famiglia. L’ambiguità delle immagini felici, in Marco Bertozzi (a cura di), Schermi di pace, Annali AAMOD 8, 2005, Roma 5
  • 6.  Paolo Simoni, Archeologia della memoria privata. La ricontestualizzazione filmica di Péter Forgács, in Private Europe. Il cinema di Péter Forgács, quaderno di “Filmmaker”, Milano 2003  Paolo Simoni, 8mm e Super8, in L’arte del risparmio: stile e tecnologia: il cinema a basso costo in Italia negli anni Sessanta, a cura di Giacomo Manzoli e Guglielmo Pescatore, Roma 2005 6