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FACOLTÀ DI SCIENZE DELLA COMUNICAZIONE

Indirizzo Pubblicità, Marketing e Comunicazione Aziendale

Tesi di Laurea in
Informatica ed Editoria Multimediale

Copyleft: il diritto d’autore nell’era digitale

Laureando

Relatore

Ilario Lucio Falcone

Chiar.mo Prof. Luca Tallini

Matricola 53079

Anno Accademico 2008/2009
Creative Commons Public License
Attribuzione – Non commerciale – Condividi allo stesso modo 2.5 Italia

Tu sei libero:
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Questo è un riassunto in lingua corrente dei concetti chiave della licenza
completa
(codice legale) che è disponibile alla pagina web

http://creativecommons.org/licenses/by-nc-sa/2.5/it/legalcode

OGNI ESEMPLARE DELL’OPERA (DIGITALE O CARTACEO)
PRIVO DI QUESTA PAGINA
È DA RITENERSI CONTRAFFATTO.

2
INDICE

Introduzione ....................................................................................... 7

Capitolo 1
Il copyright e il diritto d’autore .................................................... 16

1.1 Cenni storici ........................................................................... 16
1.1.1 Sviluppo del diritto d’autore italiano ..................... 28
1.2 Funzionamento del diritto d’autore ........................................ 29
1.2.1 Requisiti del diritto d’autore .................................. 33
1.2.2 Prove della paternità dell’opera ............................. 35
1.2.3 Tipologia di opere tutelate ..................................... 37
1.2.4 Diritti riconosciuti all’autore ................................. 38
1.2.5 Libere utilizzazioni ................................................ 42
1.2.6 Trasmissione dei diritti .......................................... 43
1.3 La S.I.A.E. .............................................................................. 44
1.3.1 Il monopolio velato ................................................ 46
1.4 Topolino contro il pubblico dominio ..................................... 49
3
Capitolo 2
L’era digitale e il copyleft .............................................................. 52

2.1 Il software libero .................................................................... 52
2.1.1 Unix e la nascita del mercato del software ............ 53
2.1.2 Stallman e la Free Software Foundation ............... 56
2.1.3 L’alba del copyleft ................................................. 58
2.1.4 La prima licenza libera .......................................... 59
2.1.5 Linux ...................................................................... 61
2.1.6 Il software libero nel mercato ................................ 62
2.1.7 Tutela del software ................................................ 65
2.2 La digitalizzazione ................................................................. 66
2.2.1 Il file sharing .......................................................... 68
2.3 Il senso del copyleft ............................................................... 74
2.3.1 Legittimazione delle licenze copyleft .................... 76
2.3.2 La S.I.A.E. contro il copyleft................................. 80

Capitolo 3
Licenze copyleft .............................................................................. 82

4
3.1 Licenze GNU.......................................................................... 82
3.1.1 GNU GPL (General Public License) ..................... 83
3.1.2 GNU FDL (Free Documentation License) ............ 86
3.2 Creative Commons ................................................................. 88
3.2.1 Localizzazione delle licenze: il porting ................. 89
3.2.2 Tre forme per una licenza ...................................... 91
3.2.3 Le licenze Creative Commons ............................... 92
3.2.4 Senso della clausola “Non commerciale” .............. 95
3.2.5 Le licenze Sampling .............................................. 96
3.2.6 Ulteriori iniziative della fondazione ...................... 97
3.2.7 Science Commons ................................................. 98
3.3 Art Libre ............................................................................... 103
3.4 Copyzero X .......................................................................... 104
3.4.1 Zerosign ............................................................... 106

Capitolo 4
Applicazioni del modello copyleft .............................................. 108

4.1. GNU/Linux.......................................................................... 108
4.1.1 La distro Cubana contro il monopolio Microsoft 112
5
4.2 Wikipedia ............................................................................. 113
4.2.1 Il problema dell’autorevolezza ............................ 117
4.3 Jamendo ................................................................................ 120
4.4 Flickr .................................................................................... 123

Conclusioni ....................................................................................... 126

Bibliografia................................................................................. 130
Siti internet ................................................................................. 133

6
Introduzione
La digitalizzazione, ossia il processo che permette la conversione
di qualsiasi opera creativa dell'uomo in dati interpretabili dai
calcolatori elettronici, e lo sviluppo capillare della rete internet, che ne
ha permesso la condivisione in tempo reale in tutto il mondo, hanno
modificato il panorama culturale contemporaneo nonché lo stesso
agire sociale. L’inarrestabile sviluppo tecnologico apre nuovi orizzonti
all’industria culturale ma determina anche l’insorgere di numerosi
problemi, primo fra tutti la difficoltà nel tutelare il diritto d’autore
sulla rete.
La vastità del web e il suo intrinseco attributo di spazio libero da
qualsiasi costrizione rendono la tutela del diritto d’autore quasi
impraticabile. Ciò è dovuto principalmente all’utilizzazione dei nuovi
strumenti tecnologici per scopi illegali che hanno comportato un
cambiamento notevole all’interno della società stessa: la pratica di
scaricare materiale protetto attraverso il file sharing, non viene più
percepita come un’attività fuorilegge passibile di ripercussioni legali,
il che rende ancor più vani gli sforzi dei legislatori nel contrastare tali
comportamenti illeciti.

7
Questi hanno portato gli autori di opere creative a diffidare della
rete internet come nuovo mezzo per la distribuzione delle loro opere
ed hanno messo in allarme i grandi colossi industriali, in particolar
modo quelli operanti nel campo dell’editoria e dell’intrattenimento,
che hanno visto i propri interessi economici in pericolo.
I legislatori sono intervenuti, incalzati dalle pressioni provenienti
dai grandi gruppi industriali, modificando le esistenti normative sul
diritto d’autore e sul copyright in maniera sempre più invasiva e
restrittiva, innalzando così barriere alla diffusione e alla fruizione
della cultura.
È nata quindi una vera e propria battaglia contro la
privatizzazione della conoscenza umana, messa in atto da corporation
e governi compiacenti, da parte di coloro i quali hanno visto in
internet e nella digitalizzazione, degli strumenti eccezionali per la
condivisione e la fruizione della cultura e delle informazioni,
all’insegna della collaborazione globale.
Le reazioni alle restrizioni imposte dalle nuove norme sulla tutela
delle opere sono state contrastanti: alcuni hanno abbracciato il rifiuto
assoluto del copyright e del diritto d’autore mettendo in discussione
anche la necessità di intermediari alla diffusione della cultura; altri si
sono interrogati sulle possibili modalità con cui sfruttare la legge per
8
liberare la cultura nel rispetto della proprietà intellettuale e del lavoro
degli autori.
A questa seconda visione appartiene il copyleft, un’alternativa ai
tradizionali modelli di gestione del diritto d’autore, che di norma
favoriscono i gruppi industriali piuttosto che gli autori attraverso la
cessione in blocco dei diritti sulle loro opere. L’utilità di questo nuovo
modello è quella di rimettere nelle mani degli autori la gestione totale
dei diritti sul loro lavoro creativo riequilibrando i rapporti tra questi e
gli editori che nella prassi tradizionale vanno a tutto vantaggio di
questi ultimi.
Esso si realizza concretamente grazie all’utilizzo di contrattilicenza applicati alle opere che ne stabiliscono la condivisione, la
modifica e finanche la commercializzazione specificando a quali
condizioni queste possono essere condotte. Tutto ciò è reso possibile
dal fatto che queste licenze si fondano sulle norme esistenti sul diritto
d’autore ottenendone la piena legittimazione.
Il modello copyleft ha coinvolto inizialmente solo l’ambito
software ma grazie all’interesse dimostrato da un numero sempre
crescente di intellettuali, giuristi e semplici fruitori di contenuti
multimediali, attualmente può essere applicato ai più svariati ambiti

9
della produzione e della fruizione di opere dell’ingegno, da quello
letterario a quello musicale.
Colossi industriali e legislatori sono ancora diffidenti verso il
modello copyleft, ritenuto poco redditizio e capace di minare i vecchi
modelli di gestione del diritto d’autore e le tradizionali forme di
distribuzione delle opere. Pertanto continuano ad ostacolarne
l’attuazione in particolar modo generando incomprensione attorno
all’argomento.
Questa tesi ha lo scopo di mostrare come il copyleft sia uno
strumento più che valido per la tutela della proprietà intellettuale e
come esso incentivi la produzione culturale, finalità originaria del
copyright e del diritto d’autore che vengono invece modificati in senso
sempre più restrittivo.
Nel primo capitolo si ripercorreranno le tappe del riconoscimento
della proprietà intellettuale, della nascita del copyright e del diritto
d’autore italiano nello specifico, per comprendere le differenze tra i
vari concetti allo scopo di dissolvere alcuni punti oscuri della
questione.
Si procederà quindi all'analisi della normativa italiana sul diritto
d'autore per comprendere come essa tuteli le opere e come viene
applicata concretamente. Verrà evidenziato come nascono i diritti
10
relativi ad un'opera, quali requisiti un'opera deve avere per rientrare
sotto la tutela della legge italiana sul diritto d'autore e le modalità
attraverso cui un autore può dimostrare di essere il creatore originario
di una data opera. Si descriveranno quali tipi di opere dell’ingegno
sono contemplate dalla legge sul diritto d'autore e quali diritti questa
riconosce all'autore di un'opera. Verranno poi esposte le libere
utilizzazioni previste dalla legge italiana, ossia quelle modalità di
utilizzo di determinate opere in modo assolutamente gratuito e senza
bisogno di autorizzazioni. Verranno trattate le modalità di
trasmissione dei diritti su di un'opera contemplate dalla legge italiana
e si parlerà dell'ente per la gestione collettiva dei diritti sulle opere
attivo in Italia, la S.I.A.E., mostrando come questa, sebbene la legge
non obblighi gli autori a servirsene, operi concretamente in una
condizione di monopolio.
Nella parte finale del capitolo verrà esposto il problema
dell'attività

di

lobbying

portata

avanti

dall’industria

dell'intrattenimento sul sistema politico, che preme per la modifica
delle leggi nazionali sul diritto d'autore a proprio vantaggio. Per fare
ciò verrà illustrato un esempio emblematico di tale pratica, avvenuto
nel 1998 negli Stati Uniti: il Copyright Term Extension Act,
ribattezzato Mickey Mouse Protection Act, in quanto fortemente
11
voluto dal colosso Disney al fine di proteggere i propri interessi
economici attraverso il prolungamento del copyright.
Nel secondo capitolo verrà esposta la genesi del modello copyleft
a partire dall'ambito software nel quale ha avuto origine. Verranno
ripercorse le tappe dello sviluppo del software e del suo mercato
passando per la creazione della Free Software Foundation ad opera di
Richard Stallman, finalizzata alla diffusione di software libero, quindi
per la nascita del concetto di copyleft e l'ideazione della prima licenza
libera per i programmi informatici: la GNU General Public License.
Si parlerà dei progressi della fondazione di Stallman che portarono nel
1991 ad un grande risultato: la creazione del primo sistema operativo
non proprietario denominato Linux, per poi osservare i primi passi
dell'entrata nel mercato da parte del software libero.
Dopo aver visionato le modalità di tutela del software, dagli Stati
uniti allo specifico caso italiano, verrà quindi descritto il processo di
digitalizzazione che insieme allo sviluppo della rete internet ha reso
possibile il diffondersi della pratica del file sharing, lo scambio di file
sulla rete, il cui utilizzo illecito, mirato allo scambio di materiale
protetto dal diritto d'autore, ha portato a severe contromisure legali.
Tenendo presente tale panorama verrà descritto il concetto di
copyleft per comprendere cosa in effetti si voglia ottenere grazie
12
all'applicazione di questo modello alternativo di gestione del diritto
d'autore e come esso possa essere applicato in maniera assolutamente
legale. Infine verrà mostrata la chiusura verso questo nuovo modello
da parte del mondo dell'imprenditoria, degli enti di gestione collettiva
dei diritti sulle opere e delle stesse leggi nazionali, nello specifico caso
italiano che vede la S.I.A.E. opporsi all'applicazione e alla diffusione
del modello copyleft.
Nel terzo capitolo verranno illustrate alcune tra le più importanti
licenze copyleft, a partire dalla prima in assoluto creata in seno al
progetto GNU di Richard Stallman: la GNU General Public License,
per uso software, per poi passare alla GNU Free Documentation
License, per le opere testuali relative alla didattica e alla
documentazione.
Si passerà quindi ad esaminare le licenze Creative Commons, un
importante passo in avanti per il movimento copyleft che ha permesso
l'estensione di tale modello anche ad altre tipologie di opere. Verrà
illustrato il cosiddetto porting, il processo di internazionalizzazione
delle licenze Creative commons per far si che esse fossero applicabili
in ogni parte del mondo. Si elencheranno quindi le varie licenze
Creative Commons esistenti e le tre diverse forme in cui queste si
estrinsecano: il Legal Code, il Commons Deed e il Digital Code. Ci si
13
soffermerà in particolare su una clausola applicabile alle suddette
licenze riguardante gli utilizzi commerciali delle opere. Verranno poi
descritte altre licenze messe a punto dalla fondazione Creative
Commons specifiche per le opere musicali, le licenze Sampling, e altre
iniziative benefiche, come ad esempio il progetto Science Commons,
portate avanti dallo staff di Creative Commons che conta un numero
sempre crescente di collaboratori sparsi in tutto il globo.
Si procederà poi con l’analisi della licenza Art Libre, nata in
Francia e specifica per le opere artistiche, e della licenza tutta italiana
Copyzero X, ideata e promossa dal Movimento Costozero che offre a
chiunque, utili strumenti per la protezione delle proprie opere creative,
come il servizio Zerosign, che permette l'apposizione della firma
elettronica sui propri lavori attraverso un software messo a
disposizione dal Movimento Costozero, al fine di dimostrare la
paternità e la data di creazione di un'opera.
Nel quarto capitolo verranno presentati infine alcuni importanti
progetti che si servono delle licenze copyleft con risultati più che
soddisfacenti a partire dal sistema operativo GNU/Linux in tutte le sue
varianti tra cui la distribuzione Nova Baire, nata a Cuba con lo scopo
di mettere fine al monopolio della Microsoft sull'isola. Verrà illustrato
poi il funzionamento della mastodontica enciclopedia libera
14
Wikipedia, il progetto collaborativo online più grande del mondo che
per alcuni però non può essere paragonato per qualità alle
enciclopedie tradizionali. Per finire verranno descritte due piattaforme
web finalizzate alla distribuzione di musica, Jamendo, e di fotografie,
Flickr, che utilizzano il modello copyleft anche con finalità
commerciali.

15
Capitolo 1
Il copyright e il diritto d’autore
1.1 Cenni storici
Prima di cominciare un discorso articolato sul copyleft e sulla
sua applicazione pratica, è utile ripercorrere la storia del diritto
d’autore e del copyright per comprendere a partire da quale situazione
preesistente esso si sia sviluppato nonché le differenze che
intercorrono tra questi due ultimi concetti che molto spesso vengono
utilizzati erroneamente come sinonimi.
Il diritto d’autore, ossia quell’insieme di norme giuridiche che
hanno lo scopo di riconoscere all’autore dei diritti sulle sue opere, è
un’invenzione piuttosto recente nella storia dell’umanità e del diritto
stesso, la cui necessità è stata avvertita solo in epoca moderna con
l’avvento della stampa e più precisamente della stampa a livello
industriale.
Anticamente non essendo possibile la produzione di copie tratte
dall’opera originale, se non in maniera molto limitata e imperfetta,
non vi era il problema della tutela economica. Per quanto riguarda la

16
paternità dell’opera, gli episodi di plagio, laddove scoperti portavano
all’allontanamento dell’autore colpevole dalla comunità.
Nell’antica Grecia le opere erano liberamente fruibili e
riproducibili da chiunque, non essendovi norme in merito. Il sapere
era quello che si definisce un bene pubblico, tant’è che i poeti
consideravano sé stessi non autori ma “ripetitori” di quello che le
Muse ispiravano loro. Gli autori originari dell’opera utilizzata
venivano in ogni caso tenuti in considerazione e ottenevano un
compenso per questo, mentre veniva condannato il plagio.
A Roma, per quanto riguarda le opere letterarie, il diritto
patrimoniale era riconosciuto solo al libraio in possesso del
manoscritto, non all’autore dell’opera: per il diritto romano, infatti,
soltanto le cose materiali erano ritenute oggetto di proprietà. Da qui
deriva la tradizionale distinzione di una qualsiasi opera in due “corpi”:
il corpus mysticum, ossia l’opera considerata come bene immateriale, i
cui diritti spettano all’autore, e il corpus mechanicum, gli esemplari, le
copie in cui si concretizza l’opera materialmente, i cui diritti spettano
a chi ha acquistato l’oggetto tangibile su cui è riprodotta l’opera.
Con la caduta dell’Impero Romano, la cultura si rifugiò nei
monasteri o in poche grandi città di una certa rilevanza culturale. Solo
con la nascita delle Università si sviluppò la domanda di copie di testi
17
letterari con la conseguente nascita di un mercato delle stesse e delle
officine scrittorie.
Con l’invenzione della tecnica di stampa a caratteri mobili
avvenuta nel 1456, da parte del tedesco Johann Gutenberg, si avviò
l’era della riproducibilità tecnica. Questa formidabile innovazione
tecnologica fece di ogni opera un bene riproducibile in serie, non più
un pezzo unico, sebbene dovettero passare alcuni decenni perché il
procedimento, ancora artigianale per certi aspetti, diventasse maturo: i
primi libri riprodotti infatti erano veri e propri beni di lusso, riservati a
pochi benestanti. Solo più in là, con il perfezionamento delle
macchine, fu possibile riprodurre delle opere letterarie in serie
riducendo i costi fissi grazie ad una produzione industriale. Il libro
poté così diventare un bene comune acquistabile anche dai meno
agiati e destinato ad una diffusione di massa.
Fino ad allora, il sostentamento di artisti e intellettuali derivava
non dalle percentuali sulle vendite delle copie vendute, come oggi
accade, ma dai rapporti clientelari tra gli artisti e coloro i quali
commissionavano

le

opere,

che

costituivano

il

cosiddetto

“Mecenatismo”. Le opere erano pezzi unici per l’appunto e solo quelle
letterarie venivano riprodotte, in poche copie senza l’ausilio di alcuno
strumento tecnico, attraverso la pura e semplice copiatura manuale ad
18
opera dei famosi amanuensi o copisti. Tuttavia le copie erano
destinate a pochi e abbienti individui che potevano permettersi di
commissionare un lavoro tanto lungo e dispendioso.
In campo letterario, finché non venne ideata per l’appunto la
prima macchina da stampa che determinò la nascita di rapporti
contrattuali tra l’autore (l’ideatore dell’opera) e l’editore (colui che
viene incaricato di trasformare l’opera in bene, di produrne le copie e
di commercializzarle), il guadagno economico dell’autore derivava dal
prezzo che egli riusciva ad ottenere sulla vendita del manoscritto
all’editore o al libraio.
Cominciarono quindi a instaurarsi rapporti di rilevanza giuridica,
nuovi alla scienza del diritto, che necessitavano quindi di essere
regolamentati per tutelare entrambe le parti e garantire un accordo
equilibrato che non andasse a favore di chi deteneva maggior potere
economico e quindi maggior potere contrattuale.
La prima forma di tutela, concessa inizialmente solo agli editori e
agli stampatori, nasce a Venezia nella tarda metà del XV secolo ed è
rappresentata dal cosiddetto “privilegio” di stampa, una garanzia che
proibiva la ristampa di un’opera di cui si era ottenuto il privilegio per
un dato numero di anni. In questo modo si evitava che altri, oltre
all’editore o allo stampatore che ne avessero acquisito il diritto,
19
ristampassero copie delle stesse opere magari proponendole ai clienti
ad un prezzo inferiore danneggiando così il detentore del privilegio.
Come si può ben notare questa prima forma di tutela era puramente di
carattere economico e tesa a proteggere i soli interessi dello
stampatore; soltanto in un secondo momento fu tutelato anche
l’autore, cui venne riconosciuto il lavoro creativo, lo studio e la fatica
necessari alla realizzazione di un’opera. Questa tutela consisteva nella
facoltà riconosciuta all’autore di prestare il consenso, o di negarlo, per
la pubblicazione della sua creazione.
Nel XVI secolo, in Inghilterra la corona deteneva il diritto di
stampa totale. La Star Chambler, la corte di giustizia inglese, era
incaricata di regolare la stampa e nessuno poteva stampare se non
tramite un privilegio speciale concesso dalla Corona.
La monarchia inglese emanò le prime normative sul “diritto di
copia”, copyright per l’appunto, intendendo con queste controllare le
opere pubblicate nel territorio: con la diffusione delle macchine da
stampa e la possibilità di ottenere facilmente copie di un manoscritto,
gli scrittori furono infatti stimolati a produrre opere letterarie dal
momento che i sopracitati “privilegi” vigenti erano più che sufficienti
a garantirne la tutela. Poiché questa nuova tecnologia rendeva
disponibili una marea di letture, di cui molte facinorose, il governo
20
aveva bisogno di esercitarne il controllo. Essendo impossibile
dichiarare la stampa fuorilegge, il governo inglese poté esercitare una
censura attraverso l’istituzione nel 1557 della “London Company of
Stationers” (Corporazione dei Librai di Londra) cui la corona
britannica concesse il monopolio della stampa e l’incarico di praticare
la censura di opere con idee potenzialmente sovversive. La Stationers’
Company aveva il diritto esclusivo di stampare nonché il diritto di
ricercare, requisire e bruciare i libri non autorizzati o stampati
illegalmente. Un libro per poter essere stampato doveva essere iscritto
nel Registro della Corporazione e ricevere il marchio della stessa;
perché questo avvenisse doveva ottenere il nullaosta del censore della
Corona.
Questo sistema, come è palese, andava a vantaggio dei soli
membri della corporazione e del governo, non degli autori. I libri
venivano iscritti nel Registro della Corporazione non sotto il nome del
loro autore ma sotto il nome di uno degli Stationers che ne aveva così
il cosiddetto “copyright”, cioè il diritto esclusivo di pubblicarli.
Eventuali infrazioni da parte degli altri membri della corporazione
venivano risolte dalla Court of Assistants.

21
È fondamentale sottolineare che i profitti della Corporazione
dipendevano dalla censura praticata, non tanto dalla stampa e dalla
vendita dei libri.
Benché questo primo esempio di tutela non possa di certo essere
ritenuto un traguardo per la scienza del diritto, in quanto altro non è
che un esempio di censura, esso costituisce un precedente
importantissimo: per la prima volta infatti veniva esercitato il diritto
assoluto di proibire ad altri la copia di un’opera.
Tale sistema, che arricchì gli Stationers e permise al governo di
esercitare un controllo sulla diffusione delle idee e delle informazioni,
andò in crisi verso la metà del XVII secolo a causa dell’indebolimento
del potere monarchico. Nel 1641 la Star Chambler, la quale garantiva
il monopolio della Corporazione nonché le licenze di stampa, venne
abolita con la conseguente perdita del diritto esclusivo di stampa da
parte degli Stationers.
Essendo un duro colpo alle economie dei membri della
Corporazione, essi si rivolsero al Parlamento facendo leva su un
argomento che oggigiorno, nell’era digitale, ancora viene utilizzato
come giustificazione più che legittima del loro lavoro, ma che faticava
e fatica a rimanere in piedi: ossia che gli autori erano incapaci di
distribuire le proprie opere privatamente; non avevano i mezzi né le
22
finanze necessari per stampare e distribuire delle copie, così che la
Corporazione diventava indispensabile agli autori stessi e alla crescita
culturale del Paese.
Il Parlamento emanò quindi il Licensing Order nel 1643, che
ripristinava la situazione iniziale di monopolio da parte della
Corporazione dei Librai di Londra. Ovviamente l’autonomia e i diritti
che venivano riconosciuti agli autori erano del tutto inutili in quanto
non avevano alternative al firmare per cedere i propri diritti ad un
editore per poter pubblicare le loro opere, quindi le cose rimanevano
sostanzialmente immutate dal punto di vista del diritto dato l’enorme
potere contrattuale della Corporazione. Inutile sottolineare il derivante
regime di censura preventiva alle dipendenze del potere politico e il
controllo assoluto della cultura da parte del governo.
Con la restaurazione del potere monarchico venne emanato nel
1662 il Licensing Act che confermò la situazione esistente, ribadendo
il “Diritto di Copia” degli Stationers. Tale Atto permetteva inoltre di
perquisire l’abitazione di coloro i quali venivano sospettati di detenere
libri privi di licenza; non proprio un passo verso la civiltà.
Sulla base delle rimostranze sopracitate da parte della
Corporazione dei Librai di Londra, vide la luce quella che viene

23
riconosciuta come la prima vera normativa moderna sul copyright, e
cioè lo “Statuto della Regina Anna”, emanato in Inghilterra nel 1710.
Tale editto, intitolato “An Act for encouragement of learning”
intendeva usare il copyright come incentivo alla produzione culturale
e alla creatività: per la prima volta l’autore e non l’editore veniva
riconosciuto legalmente come il detentore dei diritti di riproduzione
delle proprie opere. Ma a differenza del passato, questo monopolio
non era perpetuo bensì limitato nel tempo: per le opere già pubblicate
in precedenza, l’autore deteneva il monopolio sulle proprie opere per
21 anni e 14 per le opere successive all’editto. Questo diritto era
comunque ritenuto ancora non una naturale conseguenza derivante
dalla creazione dell’opera ma come una costruzione politica, un
qualcosa che veniva concesso. Infatti, perché venisse riconosciuto,
l’autore di un’opera aveva l’onere di registrarla presso un apposito
ufficio pubblico. Alla scadenza dei 14 anni l’autore poteva prorogarlo
per altri 14 anni scaduti i quali l’opera diventava di dominio pubblico.
Per rendere più appetibili le loro rimostranze, gli Stationers
proposero al Parlamento che l’autore di un’opera ne detenesse il
copyright, diritto che poteva essere trasferito, venduto ad altri tramite
un contratto, così come avveniva per una qualsiasi altra proprietà. Nel
rinnovato clima liberale il Parlamento con questo editto intendeva
24
eliminare il monopolio preesistente sulla produzione e sul commercio
dei libri e la conseguente attività di censura da parte della Corona per
cui accettò tale proposta.
Come già precisato, era una mera consolazione per gli autori, in
quanto per poter stampare e distribuire le proprie opere dovevano
comunque rivolgersi alla Company of Stationers e cedere i propri
diritti sulle stesse. Non solo, è difficile pensare che un autore che
scriva un libro per esprimersi, per dire qualcosa, intenda poi esercitare
il diritto a non pubblicare l’opera riconosciuto dallo Statute of Anne.
Seguirono altre leggi in merito alla proprietà intellettuale tra cui è
fondamentale ricordare quelle emanate in Francia negli anni 17911793, dopo la Rivoluzione francese in un clima culturale di
riaffermazione dei diritti dell’uomo, in cui compare il droit d’auteur,
il cosiddetto diritto d’autore, che riconosceva infine la proprietà
letteraria ed artistica e che si contrapponeva per certi aspetti al
copyright anglosassone.
Negli Stati Uniti fu ripresa la normativa britannica e nel 1790 fu
scritta la prima legge sul copyright che veniva attribuito agli autori a
condizione che registrassero le loro opere presso un apposito ufficio.
Come in Inghilterra, esso durava 14 anni con possibilità di rinnovo di
altri 14 anni, solo se l’autore era ancora in vita e ne faceva richiesta
25
esplicita. Traduzioni ed opere derivate erano considerate di pubblico
dominio. In questo la Costituzione e le normative sul diritto d’autore
americane erano più liberali. In una lettera ad Isaac McPherson del
1813, il presidente e padre fondatore degli Stati Uniti, nonché autore
ed inventore Thomas Jefferson, così scriveva: “Se la natura ha creato
una cosa meno soggetta delle altre alla proprietà esclusiva, questa è
l’azione della potenza del pensiero chiamata idea, che un singolo può
possedere in maniera esclusiva finché la tiene per sé; ma nel momento
in cui essa è divulgata, costringe se stessa a essere proprietà di
ognuno, e chi la riceve non può restituirla […]. Colui il quale riceve
un’idea da me, riceve istruzioni senza diminuire le mie, così come
colui il quale accende la propria candela con la mia, riceve luce
senza toglierla a me. Tali idee dovrebbero essere diffuse da una
persona all’altra per tutto il globo, per l’istruzione morale e
reciproca dell’uomo e il miglioramento della sua condizione, il quale
sembra essere stato progettato in maniera peculiare e benevola dalla
natura […].”1
Con lo sviluppo dei mezzi di comunicazione, da un lato, e di
riproduzione delle opere, dall’altro, si rese necessario poi un sistema

1

Jefferson T., Lettera ad Isaac McPherson: No patents on ideas, Charlottesville, 1813

26
di tutela che fosse sovranazionale. Furono stipulate una serie di
convenzioni tra i diversi Stati confluite nel 1886 nella cosiddetta
Convenzione di Berna, per la protezione di opere letterarie ed
artistiche, di cui è bene ricordare due regole importanti: una uguale
tutela per i cittadini degli Stati aderenti alla convenzione e il
riconoscimento reciproco tra gli Stati membri del diritto d’autore.
Seguì la Convenzione Universale sul Diritto d’Autore, stipulata
nel 1952 da 32 Stati, tra cui Stati Uniti ed Italia che non avevano
aderito alla Convenzione di Berna. Essa nacque con lo scopo di creare
un sistema di protezione delle opere d’ingegno che fosse universale,
per tutelare l’autore e rendere più agevole la divulgazione di opere
letterarie, artistiche e scientifiche tra gli stati membri. Tale
convenzione riconosceva inoltre all’autore il diritto esclusivo di
tradurre e pubblicare o di autorizzare a tradurre e a pubblicare la
propria opera.
Un’altra
attraverso

importante
la

organizzazione

cooperazione

atta

internazionale

a
la

“promuovere
creazione,

disseminazione, uso e protezione della mente umana per il progresso

27
economico, culturale e sociale di tutta l’umanità”2 è la World
Intellectual Property Organization del 1967 (WIPO).
1.1.1 Sviluppo del diritto d’autore italiano
In Italia furono emanate delle leggi per l’istituzione del diritto
d’autore nel 1836, nel Codice Civile albertino, e nel 1840 nel decreto
di Maria Luigia. Ma è nel 1865 che vede la luce la legge 2337, la
prima normativa sul diritto d’autore nel neonato Regno d’Italia. Come
le leggi degli stati Italiani, che l’avevano preceduta, s’ispirava al
modello

francese, fondato

sui

principi

liberisti

del Codice

Napoleonico e quindi al droit d’auteur di cui sopra.
Seguirono numerosi ritocchi ad essa fino ad arrivare alla legge
n.633 del 1941 ancora oggi in vigore pur con alcuni aggiustamenti
dovuti all’armonizzazione delle disposizioni comunitarie, la quale
riconosce all’autore diritti morali ed economici sulle opere da lui
create per ogni ambito dell’ingegno.
Altre direttive sul diritto d’autore compaiono agli articoli 25752583 del Codice Civile del 1942. Manca invece un riferimento
esplicito alla tutela del diritto d’autore nella Costituzione anche se
alcuni principi in essa enunciati possono benissimo riferirsi a questo

2

WIPO Intellectual Property Handbook, Ginevra, 2001

28
argomento. La Costituzione infatti garantisce i diritti inviolabili
dell’uomo (art.2), spinge il cittadino a concorrere al progresso della
società (art.4), promuove lo sviluppo della cultura e della ricerca
(art.9) e tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni (art.35).

1.2 Funzionamento del diritto d’autore
Erroneamente nel nostro Paese si tende a considerare il copyright
come le norme sul diritto d’autore vigenti in Italia usando i due
concetti quindi come sinonimi, ma così non è.
Il copyright è tipico degli ordinamenti giuridici di matrice angloamericana (i sistemi di common law) ed è chiaramente volto a
promuovere l’editoria. Tende cioè a tutelare a priori l’interesse del
soggetto imprenditoriale che si impegna ad investire nella produzione
e nella commercializzazione delle copie di un’opera. Ne consegue che
è tutelabile qualsiasi opera che possa essere commercializzata, il che
pone in secondo piano l’attività creativa dell’autore. Secondo questo
modello l’autore di un’opera ha su di essa dei diritti economici che
cede in blocco, attraverso la stipulazione di un contratto, ad un
imprenditore che si impegna a commercializzare l’opera in cambio di
un dato compenso monetario. Nel momento in cui questi diritti
vengono ceduti, trasferiti all’imprenditore tramite il contratto, è questi
29
ad avere la facoltà di decidere come gestire l’opera in questione. Negli
Stati Uniti la normativa inerente al copyright è garantita dal Titolo 17
dello United States Code. Le violazioni di tale normativa vengono
quindi considerate reato federale e punibili, in sede civile, con multe
per un ammontare massimo di 100.000 dollari.
La tutela dura fino ai 70 dalla morte dell'autore per le opere
create prima del 1978 e per le opere in comunione ai 70 anni dalla
morte dell'ultimo coautore. Per le opere fatte su commissione e per
quelle anonime o distribuite sotto pseudonimo la durata del copyright
va da 95 a 120 anni dalla prima pubblicazione. Nella legge
statunitense compare inoltre il concetto di fair use, utilizzo equo, ossia
la possibilità di citare liberamente senza autorizzazione un’opera o di
utilizzare materiale protetto da copyright di altri nella propria opera,
sulla base di alcune condizioni e comunque per usi che abbiano scopi
didattici o scientifici. Anche in Italia ci si sta domandando se
estendere questo tipo di comportamento per le attività didattiche, data
la richiesta da parte della Siae, la Società Italiana degli Autori ed
Editori, un ente pubblico ed economico su base associativa, incaricato
della protezione e dell’esercizio del diritto d’autore, di un compenso
per i diritti sulle opere utilizzate a tale scopo.

30
Il diritto d’autore, invece, tipico del diritto di tradizione romanogermanica (dei sistemi di civil law) nel quale rientra anche quello
italiano, attribuisce maggiori prerogative all’autore. Infatti, anche una
volta ceduti i diritti patrimoniali a terze parti, l’autore detiene
comunque un certo controllo sulla sua opera. Ciò è possibile in quanto
il diritto d’autore assicura una gamma più vasta di diritti, oltre a quelli
patrimoniali, al creatore di un’opera. Sono i cosiddetti diritti morali,
che attengono alla sfera personale dell’autore e che riconoscono
all’opera un valore aggiunto oltre a quello puramente commerciale: un
valore morale legato all’onore e al rispetto dell’autore anche dopo la
sua morte.
Le differenze tra i due modelli sono state nel tempo mitigate
attraverso l’istituzione di organizzazioni internazionali come la WIPO
con lo scopo di garantire una tutela dei diritti d’autore su scala
internazionale e attraverso l’inarrestabile processo di globalizzazione
dei mercati che ha favorito l’esportazione del modello del copyright
nei Paesi di civil law.
Questi due tipi di tutela della proprietà intellettuale sono possibili
in quanto legati al concetto di diritto esclusivo, il cosiddetto ius
excludendi alios, ossia la possibilità di escludere altri dall’esercizio di
un diritto. In tal modo il solo soggetto titolare dell’opera può
31
esercitare i diritti ad esso connessi. Mentre per i beni materiali tale
concetto è implicito poiché derivante dal possesso stesso del bene, per
quelli immateriali, come lo sono appunto le opere dell’ingegno, non è
così naturale detenerne l’utilizzo esclusivo. Qui interviene il diritto
che attribuisce degli strumenti all’autore grazie ai quali esercitare un
controllo sulla fruizione delle sue creazioni da parte degli utenti finali.
Attraverso la cessione dei diritti esclusivi si determinano i vari
rapporti contrattuali, sullo sfruttamento economico e sui vari utilizzi
delle opere, tra gli autori e la rete di imprenditori, ad esempio gli
editori, che permettono la produzione e la commercializzazione delle
copie.
Il diritto d’autore, contrariamente a quanto si pensa, è per così
dire automatico: a differenza del brevetto, che necessita di una
registrazione presso uffici appositi, i diritti relativi ad un’opera
dell’ingegno vengono acquisiti dall’autore dell’opera con la semplice
creazione della stessa e durano fino a 70 anni dalla morte dell’autore.
Di contro i diritti sul brevetto, il quale attiene alle invenzioni
industriali a condizione che siano nuove, implichino un’attività
inventiva e possano avere un’applicazione industriale, si acquisiscono
attraverso la registrazione dell’invenzione presso appositi uffici e

32
durano per 20 anni a partire dalla data di registrazione senza
possibilità di rinnovo.
1.2.1 Requisiti del diritto d’autore
Rientrano nella categoria delle opere protette dal diritto d’autore
le opere dell’ingegno alle quali venga riconosciuto un carattere
creativo, qualunque sia la loro forma di espressione.
Il carattere creativo di un’opera, citato dalla scienza giuridica
come requisito per la tutela del diritto d’autore, si articola in due
concetti: l’originalità e la novità.
Perché un’opera sia originale si richiede che essa sia il frutto di
un lavoro particolare da parte dell’autore, che ne trasmetta quindi la
personalità, lo stile. È un concetto di difficile definizione, pertanto la
giurisprudenza accorda tutela anche ad opere il cui contributo
intellettuale è modesto, non necessariamente qualcosa di eccezionale.
Per quanto riguarda la novità, tale concetto si articola in novità
soggettiva, una sovrapposizione dell’attributo di originalità, e novità
oggettiva, che è quella tenuta in conto dalla giurisprudenza e che si
attribuisce

ad

un’opera

che

presenti

elementi

essenziali

e

caratterizzanti grazie ai quali possa essere oggettivamente distinta da
un’altra appartenente allo stesso genere. Questo attributo è importante
33
soprattutto nelle controversie legali in fatto di plagio, ossia
l’imitazione di un’opera altrui o l’appropriazione della paternità
dell’opera altrui, e di incontro fortuito, ossia la somiglianza
inconsapevole tra opere di autori diversi.
Il

primo

articolo

della

Legge 633/41

riconosce come

giuridicamente rilevante, e quindi tutelabile col diritto d’autore, la sola
forma espressiva dell’opera. Questo è un concetto importante: non
viene tutelata l’idea creativa, ma il modo in cui questa si concretizza,
il modo in cui viene rappresentata dall’autore, la sua espressione. Per
comprenderlo appieno, è utile prendere in considerazione la
differenziazione concettuale presentata dal giurista tedesco Kohler per
cui:”La forma esterna è la forma con cui l'opera appare nella sua
versione originaria (insieme di parole e frasi nelle opere letterarie,
nella melodia, ritmo e armonia nell'opera musica, ecc.), la forma
interna è la struttura espositiva dell'opera (l'organizzazione del
discorso, la scelta e la sequenza degli argomenti nell'opera letteraria,
i passaggi essenziali del discorso musicale e nelle note determinanti
la linea melodica nell'opera musicale, ecc.). Il contenuto è
l'argomento trattato, le informazioni, i fatti, le idee, le opinioni, le
teorie in quanto tali, è cioè a prescindere dal modo in cui essi sono
scelti, coordinati e presentati. Secondo tale teoria, la tutela ha per
34
oggetto sia la forma esterna che interna, ma non il contenuto. Quindi
il diritto d'autore protegge la forma espressiva dell'opera, e non si
estende al contenuto.”3
1.2.2 Prove della paternità dell’opera
Come detto più volte, l’autore acquisisce il diritto sulle proprie
opere nell’istante stesso in cui esse vengono create e non necessita di
una registrazione.
Tuttavia nel caso in cui si incappi in controversie legali, cioè in
casi di plagio o di incontro fortuito, è importante un’attestazione della
paternità dell’opera e della data di creazione della stessa da parte del
suo autore. Le modalità attraverso cui ottenere un tale riconoscimento,
che abbiano natura probatoria, sono le seguenti: pubblicarla su
un’edizione periodica, ossia un giornale o una rivista nel caso in cui
sia un opera letteraria; depositarla presso un notaio, la soluzione più
costosa; fare in modo che vi venga apposto un timbro postale,
depositarla presso un apposito ufficio della Siae o di altri enti
specializzati e depositarla presso enti pubblici che sono tenuti a
protocollare e registrare tutti i tipi di documenti.

3

Kohler J., Urheberrecht an Schriftwerken und Verlagsrecht, Enke, Stoccarda 1907

35
Nel caso dell’utilizzo del timbro postale come prova, questo ha
valenza giuridica se si invia a se stessi la propria opera tramite un
plico sigillato, spedito a mezzo raccomandata con ricevuta di ritorno,
purché il timbro venga apposto direttamente sull’opera stessa. Quindi
l’opera deve fare un corpo unico col foglio sul quale si appone il
timbro.4 Un altro metodo è quello di inviare una raccomandata al
Presidente della Repubblica, il quale è tenuto per legge a protocollare
tutto ciò che gli viene spedito tramite posta.
Nel caso del deposito presso appositi uffici, ci si può rivolgere
alla Siae, l’ente italiano preposto alla protezione e all’esercizio del
diritto d’autore, alla Società Raccolta e Salvaguardia Arte o alla
Writers Guild of America, solo per opere letterarie, le quali a fronte di
una quota in denaro corrispondono il deposito dell’opera e la garanzia
della datazione della stessa per un certo numero di anni.
Grazie alla tecnologia digitale stanno nascendo altri metodi di
tutela in questo senso, come ad esempio la firma digitale certificata. Il
suo uso è disciplinato dal Decreto del Presidente della Repubblica n.
445 del 28 dicembre 2000. Essa si applica attraverso la tecnica del

4

Come emerge dallo studio 3154 del 2000, approvato dalla Commissione Studi del Consiglio

Nazionale del Notariato

36
timestamping,

marca

temporale,

e

dell’e-mail

certificata,

il

corrispettivo telematico della raccomandata la quale aggiunge la
garanzia dell’integrità dell’opera che può essere inviata sotto forma di
file allegato.
1.2.3 Tipologia di opere tutelate
Le opere che secondo la legge sul diritto d’autore 633/41 sono
tutelate sono le opere letterarie, musicali, quelle appartenenti alle arti
figurative, all’architettura, le opere teatrali, le opere cinematografiche
e quelle fotografiche. Tale elenco, presentato all’articolo 2 della
suddetta legge, non ha carattere tassativo ma solo esemplificativo;
dunque possono essere tutelate anche altre forme di creatività non
specificate dalla legge, purché presentino caratteristiche delle opere
dell’ingegno.
In seguito al recepimento delle direttive europee rientrano nella
categoria di opere protette dal diritto d’autore italiano anche i
programmi per elaboratore, ossia il software, e le banche dati, archivi
strutturati ai quali si può accedere tramite particolari applicazioni
informatiche.
Un’altra classificazione delle opere protette, contenuta negli
articoli 3, 4 e 10 della L.D.A. 633/1941 prevede la protezione di
37
quelle che vengono chiamate elaborazioni di carattere creativo, come
la traduzione di un’opera in un’altra lingua o la trasposizione di
un’opera da una forma ad un'altra: è il caso ad esempio dei film tratti
da libri. Questo a condizione che la rielaborazione denoti un
contributo creativo ben visibile rispetto all’opera preesistente; altre
sono le opere collettive, ossia derivanti dalla riunione di opere o di
parti di opere che denotino una creazione autonoma con uno specifico
fine letterario, scientifico o artistico; infine sono protette le opere in
comunione, cioè create da più persone e il cui contributo sia
indistinguibile e inscindibile, alle quali spettano i diritti sull’opera in
modo equo.
1.2.4 Diritti riconosciuti all’autore
Su queste tipologie di opere la legge 633/41 accorda al loro
autore diritti di tipo personale, i cosiddetti diritti morali, e i diritti di
tipo patrimoniale, ossia inerenti allo sfruttamento economico.
I diritti morali sono tesi a tutelare la sfera personale dell’autore, il
suo onore e la sua reputazione, attraverso una corretta comunicazione
al pubblico del suo lavoro creativo. Si riconosce all’autore che l’opera
porta con se un valore aggiunto oltre al semplice sfruttamento
economico della stessa, un valore morale. Questi diritti sono
38
inalienabili, irrinunciabili e perpetui: alla morte dell’autore vengono
difatti gestiti dagli eredi. Ciò significa che anche dopo la cessione dei
diritti patrimoniali, l’autore mantiene un certo controllo sulla sua
opera. Rientrano per legge sotto la classificazione di diritti morali il
diritto a rivendicare la paternità dell’opera, il diritto di opporsi a
deformazioni o mutilazioni dell’opera che pregiudichino l’onore e la
reputazione dell’autore e il diritto di ritirare l’opera dal commercio per
ragioni morali.
I diritti patrimoniali vengono riconosciuti all’autore, o ad altri
soggetti ad esso connessi, sulla base dell’attribuzione di un valore
economico allo sfruttamento dell’opera. Sono scomponibili, cioè
possono essere ceduti non necessariamente in blocco, e alienabili,
quindi possono essere trasferiti tramite contratto ad editori o
produttori senza l’intervento dello Stato. Questo è possibile in quanto
il diritto d’autore attiene a questioni di diritto privato, non pubblico,
cui appartiene anche l’attività contrattuale. Ciò conferisce una certa
autonomia ai cittadini italiani che possono così regolare i loro rapporti
giuridici attraverso un contratto, che “ha forza di legge tra le parti”5,

5

Secondo l’articolo 1372 del Codice Civile, sull’Efficacia del contratto

39
senza l’intervento delle istituzioni. L’attività contrattuale, ovviamente,
può essere condotta esclusivamente entro i limiti imposti dalla legge.
I diritti patrimoniali si distinguono in: diritti di utilizzazione
economica e diritti connessi.
I diritti di utilizzazione economica a loro volta sono: il diritto
esclusivo di produrre copie dell’opera, il diritto esclusivo di
trascrivere l’opera, il diritto esclusivo di eseguire, rappresentare o
recitare in pubblico l’opera; il diritto di comunicare al pubblico
l’opera servendosi di mezzi di diffusione a distanza; il diritto esclusivo
di distribuire, tradurre, elaborare, modificare l’opera; il diritto
esclusivo di pubblicare le opere dell’autore in raccolta e il diritto
esclusivo di noleggiare, dare in prestito e autorizzare il noleggio della
propria opera.
Tali diritti durano fino a 70 anni dalla morte dell’autore. Per le
opere create in collaborazione, nel caso di opere in comunione, essi
scadono alla morte dell’ultimo coautore. Nel caso di opere collettive,
in cui il contributo dei vari autori sia riconoscibile, la durata dei diritti
di utilizzazione economica di ogni autore si determina in base alla vita
di ciascuno.
Per quanto riguarda i diritti connessi questi sono relativi ad
attività professionali, intellettuali e commerciali, determinanti per la
40
distribuzione e la fruizione dell’opera da parte degli utenti finali. Sono
diritti esclusivi ed appartengono a soggetti diversi dall’autore
dell’opera ed il loro esercizio molto spesso si sovrappone a quello dei
diritti dell’autore. È su questi diritti che si fonda l’attuale mercato
dell’intrattenimento. Questi diritti riguardano la produzione di
fonogrammi, nello specifico la riproduzione la distribuzione e il
noleggio dei fonogrammi di cui si è curata l’incisione; la produzione
di opere cinematografiche o audiovisive, quindi la loro riproduzione,
la distribuzione e il noleggio; l’emissione radiofonica e televisiva. In
tutti questi casi tali diritti hanno durata di 50 anni dall’avvenuta
fissazione dell’opera su un supporto materiale o dalla prima
diffusione. Rientrano in questa categoria inoltre i diritti degli artisti
interpreti ed esecutori che eseguono opere dell’ingegno tutelate o di
dominio pubblico: essi hanno sulle loro esibizioni diritto esclusivo di
autorizzare la fissazione, la produzione di copie, la distribuzione, il
noleggio. Anche in questo caso tali diritti hanno durata cinquantennale
dalla prima diffusione. Per finire, sono diritti connessi quelli relativi
alle fotografie, che durano venti anni dalla loro produzione e i diritti
relativi al ritratto, sia esso scultoreo, pittorico o fotografico: nel caso
di persone, queste hanno il diritto di impedire l’esposizione, la

41
riproduzione e la messa in commercio dei ritratti alla loro persona se
non hanno prestato il loro consenso.
1.2.5 Libere utilizzazioni
Tenendo in considerazione il fatto che il diritto d’autore ha lo
scopo di dare un incentivo alla cultura bisogna considerare la
questione sia dal punto di vista dell’autore che del fruitore dell’opera.
Ci sono dei casi in cui la ferrea applicazione delle normative sul diritto
d’autore va a rendere difficile questa spinta all’incentivo culturale cui
il diritto d’autore intende partecipare. Pertanto sono state previste
delle libere utilizzazioni, ossia delle modalità di utilizzo delle opere
protette da diritto d’autore in modo del tutto legale.
Sono permesse la riproduzione e la comunicazione di articoli di
attualità, discorsi ed estratti di conferenze su argomenti di interesse
pubblico, sempre che tale utilizzazione non sia stata negata dal
detentore dei diritti; è permessa la fotocopia di opere nelle biblioteche
purché senza vantaggi economici da parte di queste, nel limite del
quindici per cento di ciascun volume; è permesso il riassunto o la
citazione di parti di opera per fini scientifici, di insegnamento o di

42
critica o per studio personale, purché venga menzionato l’autore, il
titolo dell’opera, editore e traduttori.6
1.2.6 Trasmissione dei diritti
La legge sul diritto d’autore specifica anche le modalità entro le
quali i diritti possono essere trasferiti tra soggetti diversi. Per legge la
trasmissione dei diritti di utilizzazione deve essere provata per iscritto
quindi attraverso un contratto. Ciò implica che in caso di controversia
legale riguardante l’avvenuta trasmissione dei diritti, il detentore
originario di questi, quindi l’autore dell’opera, si troverà in una
posizione privilegiata rispetto alla controparte che dovrà provare di
aver ricevuto i diritti legalmente, presentando una prova scritta di
questo.
Viene trattata nello specifico anche una tipologia particolare di
contratto, ossia il contratto di edizione secondo il quale l’autore cede
all’editore il diritto di pubblicare la sua opera dell’ingegno a spese
dell’editore stesso. Nella legge è specificato il principio di
indipendenza dei diritti esclusivi: l’autore e detentore originario dei
diritti sull’opera non è obbligato a trasferirli in blocco ad un unico
editore, ma può stabilire quali diritti e a chi cederli separatamente.

6

Come si evince dagli articoli da 65 a 71 decies, Capo V del titolo I della L.D.A. 633/1941

43
Ovviamente ciò che accade nella realtà è che l’autore di
un’opera, in special modo se emergente, è “costretto” a cedere tutti i
diritti sulla sua opera ad un unico soggetto pur di poterla diffondere e
ricevere un compenso economico. Questa è diventata ormai la prassi
diffusa nell’industria culturale a causa dell’elevato potere contrattuale
dei gruppi editoriali, delle case discografiche e dell’industria
dell’intrattenimento in generale, che possono stipulare contratti che li
privilegino a scapito degli autori. Questa pratica standardizzata,
divenuta ormai assolutamente normale, è dovuta al fatto che gli autori
hanno, o meglio avevano fino allo sviluppo vertiginoso della rete
internet, bisogno degli editori come figure intermedie che li facciano
conoscere alle masse.

1.3 La S.I.A.E.
Oltre alla tutela rappresentata dalle normative analizzate vi è un
ulteriore strumento che l’autore può utilizzare per assicurarsi il
controllo dei diritti sulle sue opere: la gestione collettiva dei diritti
esclusivi.
Questo tipo di gestione dei diritti inerenti allo sfruttamento
economico dell’opera deriva dal fatto che, come osservato, essi sono
abbastanza numerosi e vi è la possibilità per legge di cederli
44
separatamente a soggetti diversi, il che rende la gestione dei diritti una
pratica complicata. La gestione di tutti questi diritti da parte del solo
autore, per di più non pratico di questioni legali, potrebbe risultare
impossibile da attuare soprattutto se individualmente; d’altro canto la
situazione sarebbe difficile anche da parte di editori, produttori,
registi, che per poter utilizzare l’opera di un dato autore in una
determinata maniera, dovrebbero andare alla ricerca del detentore di
quel diritto particolare che si vuole ottenere.
Pertanto sono stati creati enti per la gestione collettiva dei diritti
sulle opere che facciano da tramite in questo tipo di scambio al fine di
renderlo più agevole.
In Italia l’ente preposto alla gestione collettiva dei diritti esclusivi
è la S.I.A.E, la Società Italiana degli Autori ed Editori; negli States ve
ne sono diversi a seconda del tipo di opera di cui si gestiscono i diritti:
l'A.M.R.A., l'A.R.S., la B.M.I., la N.M.P.A. e la S.E.S.A.C. Inc per
quanto riguarda le opere musicali; l'A.R.S. e la V.A.G.A per le opere
grafiche; la D.G.A. per le opere audiovisive, la W.G.A. per le opere di
drammatizzazione e audiovisive e per finire The Author's registry Inc.
per le opere letterarie.7 Gran parte degli enti di gestione collettiva dei

7

Dal CISAC's members societies list and their repertoires, aggiornato al Giugno 2009

45
diritti sulle opere sono membri del C.I.S.A.C, la Confederazione
Internazionale delle società di autori e compositori, un’organizzazione
internazionale non-profit composta da gran parte delle società delle
varie Nazioni che amministrano tutte le categorie del diritto d'autore.
1.3.1 Il monopolio velato
Per quanto riguarda il caso italiano, l’articolo 180 della Legge
633/1941 sul diritto d’autore ai commi 1 e 2 cita: “L'attività di
intermediario, comunque attuata, sotto ogni forma diretta o indiretta
di intervento, mediazione, mandato, rappresentanza ed anche di
cessione per l'esercizio dei diritti di rappresentazione, di esecuzione,
di recitazione, di radiodiffusione ivi compresa la comunicazione al
pubblico via satellite e di riproduzione meccanica e cinematografica
di opere tutelate, è riservata in via esclusiva alla Società italiana
degli autori ed editori (SIAE). […] La suddetta esclusività di poteri
non pregiudica la facoltà spettante all'autore, ai suoi successori o agli
aventi causa, di esercitare direttamente i diritti loro riconosciuti da
questa legge. […]”8

8

L.D.A. n. 633, del 1941: Protezione del diritto d'autore e di altri diritti connessi al suo esercizio,

in G.U. n. 166, del 1941

46
La situazione di monopolio che traspare dalla prima parte della
legge, la quale prevede che la gestione collettiva dei diritti possa
essere esercitata solo dalla S.I.A.E, sembra essere mitigata dal seguito,
in cui è specificato che l’autore non è costretto a rivolgersi a questo
ente, ma può esercitare i diritti sulla propria opera privatamente.
Inutile sottolineare quanto questo sia difficile se non addirittura
impossibile per un solo soggetto, per di più non pratico di questioni
legali. Inoltre si rischierebbe così di lasciare scoperta un’ampia fetta di
diritti esercitabili solo grazie ad un apparato organizzato e con un
certo potere contrattuale.
L’autore può delegare la gestione dei diritti sulle sue opere alla
S.I.A.E. in due modi, attraverso l’associazione ed il mandato: si può
stringere un rapporto di associazione nel caso in cui chi ne fa richiesta
sia un autore, un editore, un concessionario etc. italiano o di un Paese
appartenente all’Unione Europea; si legano all’ente con un rapporto di
mandato, invece, gli autori, gli editori, i concessionari etc. che non
sono cittadini, che non hanno la nazionalità di un Paese membro
dell’Unione Europea o che pur possedendo i requisiti per
l’associazione non intendono instaurare tale rapporto.
Con l’associazione alla S.I.A.E, infatti, l’autore si assume degli
oneri maggiori di quelli previsti dal semplice mandato. Tale rapporto
47
lega l’associato all’ente per 4 anni, rinnovabili tacitamente di volta in
volta. Grazie alla sua posizione l’associato gode di maggiori diritti ma
è altresì obbligato a rispettare delle norme la cui non osservanza porta
ad alcune sanzioni che culminano nella radiazione del socio dall’ente.
L’iscrizione comporta inoltre la cessione di tutti i diritti su tutte
le opere, anche quelle future, da parte dell’autore il quale perde così la
facoltà di amministrarli da sé.
Col tempo la S.I.A.E. ha assunto sempre più potere nella gestione
dei diritti sulle opere sul suolo italiano grazie al Governo stesso che le
ha attribuito competenze sempre più ampie. Ciò è reso possibile
dall’articolo 181 L.D.A. che concede alla S.I.A.E. di esercitare altri
diritti connessi alla protezione delle opere dell’ingegno oltre a quelli
già previsti. In virtù di tale concessione, nel 2000 la Legge 248 ha
apportato modifiche alla legge sul diritto d’autore, aggiungendovi
l’articolo 182 bis, in cui vengono elencate le nuove competenze
assegnate all’ente. Queste rendono ancora più rigido il monopolio
della S.I.A.E. in quanto attengono alla riproduzione, alla duplicazione
e alla distribuzione di opere, nell’ottica della prevenzione di possibili
violazioni della legge sul diritto d’autore.
La S.I.A.E. nella sua attività di gestione dei diritti per conto degli
autori e della raccolta e ridistribuzione dei compensi economici
48
derivanti

dall’utilizzo

delle

opere

protette,

si

avvale

della

collaborazione di associazioni di rappresentanza di categorie
professionali che partecipano alla grande macchina dell’industria
culturale italiana. Queste sono costituite dall'unione di soggetti che
hanno interessi nella produzione culturale del paese e che hanno
stretto legami con la S.I.A.E. per tutelarli. Non sono enti riconosciuti
dallo Stato, tuttavia sono queste associazioni che hanno ampia
influenza sui cambiamenti che vengono impressi alle normative che
riguardano i diritti d’autore contribuendo ad ostacolare la crescita
culturale del paese e la fruizione delle opere dell’ingegno.

1.4 Topolino contro il pubblico dominio
Allo scadere della durata dei diritti di utilizzazione economica di
un’opera, essa rientra nell’ambito di quello che è stato definito
pubblico dominio. Il pubblico dominio è “il complesso e l'università
dei beni - ed in particolare delle informazioni - insuscettibili di
appropriazione esclusiva da parte di alcun soggetto pubblico o
privato, e che sono invece disponibili al libero impossessamento ed
uso da parte di chiunque.”9

9

Fonte http://it.wikipedia.org/wiki/Pubblico_dominio

49
La durata del diritto d’autore è cambiata varie volte nel tempo
soprattutto sotto la pressione dei grandi gruppi imprenditoriali. Negli
Stati Uniti l’ultima modifica temporale risale al 1998, anno in cui è
stato emanato il Copyright Term Extension Act (CTEA), che ha esteso
la durata del copyright di 20 anni. Questo ne ha aumentato la validità a
70 anni dalla morte dell’autore, a 120 anni dalla creazione dell’opera o
a 95 anni dalla prima pubblicazione per i lavori realizzati da
dipendenti, i cui diritti si trasferiscono al datore di lavoro. Per le opere
pubblicate prima del 1978 il limite è stato aumentato a 95 anni dalla
prima pubblicazione. Tale estensione è stata poi adottata in altri Paesi
tra cui quelli dell’Unione Europea.
Pochi sanno che questa legge è chiamata anche the Mickey
Mouse Protection Act10 perché ottenuta sotto la pressione del colosso
Disney: la prima apparizione di Topolino infatti risale al 1928, nel
cortometraggio Steambot Willie. Questo cortometraggio è stato più
volte sul punto di entrare a far parte delle opere liberamente fruibili
del pubblico dominio ma puntualmente una legge è intervenuta ad
allungare la durata del copyright statunitense. Dopo l’ultima modifica,

10

Fonte http://en.wikipedia.org/wiki/Sonny_Bono_Copyright_Term_Extension_Act#cite_ref-1

50
quella del 1998, questo cortometraggio diventerà di pubblico dominio
nel 2023. Forse.
Questo è un esempio di come i grandi gruppi industriali legati al
mondo dell’editoria, della musica e dell’intrattenimento in generale,
facciano pressioni sul sistema politico per potersi garantire lo
sfruttamento di opere anche diverso tempo dopo la morte dell’autore.
Il tutto pare assolutamente privo di senso se si considera il diritto
d’autore secondo la sua originaria funzione di incentivo alla
produzione culturale.
In un’epoca in cui tutto è stato già fatto o detto, come suona un
celebre ritornello, la produzione culturale non può fare a meno della
rielaborazione delle opere precedentemente create per dar vita a nuove
idee. Tuttavia la legge sta rendendo sempre più difficile la creazione
di opere derivate e la loro fruizione.

51
Capitolo 2
L’era digitale e il copyleft
2.1 Il software libero
Per comprendere come è nata l’idea di un modello alternativo
della gestione del diritto d’autore bisogna fare un excursus sulla storia
dell’informatica e di internet alla quale essa è strettamente collegata.
I primi calcolatori elettronici hanno fatto la loro comparsa sul
finire della seconda guerra mondiale. Questi erano di dimensioni
impressionanti, data la modesta tecnologia a disposizione, ed
arrivavano anche ad occupare interi edifici. Solo in seguito, grazie
all’invenzione dei transistor e al processo di miniaturizzazione, si
poterono ottenere computer sempre più piccoli.
Questi calcolatori di dimensioni enormi potevano svolgere
pochissime funzioni, per lo più determinate dal loro schema elettrico,
ed erano utilizzati esclusivamente per la sperimentazione in ambito
universitario e militare. Col passare degli anni lo sviluppo tecnologico
ha permesso ai calcolatori di diventare più complessi e di svolgere più
funzioni, attraverso comandi impartiti grazie ad un sistema operativo,
un software responsabile del controllo e della gestione dei componenti
52
elettronici, l’hardware di un computer, che permette all’utente di
interagire con la macchina. I primi sistemi operativi erano però
specifici per ogni calcolatore su cui venivano utilizzati, quindi in caso
di aggiornamento o sostituzione bisognava riprogrammare gran parte
del sistema.
2.1.1 Unix e la nascita del mercato del software
Una svolta in questo campo avviene nel 1969, anno in cui vede la
luce il sistema operativo Unix, ideato da Ken Thompson, sviluppatore
dei laboratori Bell. Questo evento rappresenta un grosso passo in
avanti per l’informatica in quanto Unix è stato il primo sistema
operativo ad essere compatibile con più calcolatori elettronici. La
nascita di un tale sistema pose fine al legame indissolubile tra
hardware e software, rendendo i due campi indipendenti l’uno
dall’altro.
Il software infatti fino ad allora non poteva essere venduto
separatamente in quanto, come accennato, era specifico per un certo
computer e soltanto per quello. Grazie ad Unix il software cominciò
ad acquisire una propria autonomia il che fece nascere un proprio
mercato informatico.

53
I primi programmatori informatici, che costituivano la prima
comunità hacker, sviluppatasi nell’ambito del MIT, il Massachusetts
Institute of Technology, una delle più importanti università di ricerca
del mondo con sede a Cambridge, cominciarono così ad uscire dalla
loro nicchia isolata dei centri di ricerca per rendere l’utilizzo del
computer più familiare e alla portata di tutti. Si impegnarono quindi
nella diffusione di questo nuovo strumento cercando di renderlo anche
più piccolo ed economico.
Nello stesso anno avviene un altro grande evento destinato a
segnare il destino dell’informatica e non solo: per la prima volta
vengono collegati i centri di ricerca delle università statunitensi di Los
Angeles, Stanford, Utah e Santa Barbara per via telematica. Questa
“rete”, che prende il nome di ARPAnet, l’ Advanced Research
Projects Agency Network, inizialmente concepita in ambito militare
durante la guerra fredda allo scopo di risolvere il problema della
sicurezza del sistema di comunicazioni, rappresenta il primo passo
verso la nascita della rete Internet destinata ad unire tutto il globo.
Nei primi anni ’80 nacque il concetto di personal computer (PC)
grazie alle prime imprese che avevano scommesso in questo campo
ancora molto incerto. Vengono messi sul mercato i primi computer da
tavolo da parte della IBM, della Apple e della Atari. Nel contempo lo
54
sviluppo del software, che ha cominciato a muoversi in maniera
autonoma, vede la nascita del sistema operativo MS-DOS di casa
Microsoft.
Il computer comincia ad entrare nelle case delle persone anche se
l’utilizzo che ne viene fatto non è certo quello di strumento di calcolo
bensì mero passatempo e gioco ( si ricordino le prime consolle Atari).
Questa diffusione del computer anche presso utenti inesperti,
inconsapevoli delle reali potenzialità di questo strumento, portò al
frazionamento e alla scomposizione della comunità hacker; cominciò
ad allontanarsi dai principi di base della prima generazione i quali
ruotavano attorno alla libertà di accesso alle risorse, alla condivisione
della

conoscenza

e

alla

cooperazione,

alla

creatività

(la

programmazione era ritenuta una vera e propria arte); principi portati
avanti con grande senso dell’onore e del rispetto, che caratterizzavano
tutta la comunità hacker.
Negli anni ’80 il mercato informatico comincia a diventare molto
appetibile per le imprese, le quali investono sempre più in questo
settore e iniziano a proteggere il proprio lavoro per mantenere un
vantaggio competitivo sui concorrenti. Queste fanno ricorso perciò al
diritto industriale: il copyright, il segreto industriale e i brevetti, a
tutela della proprietà intellettuale e degli utilizzi economici del
55
software prodotto, facendo contemporaneamente in modo che il
codice sorgente, ossia le istruzioni del software scritto secondo un
dato linguaggio di programmazione interpretabile dalla macchina, non
venisse distribuito come invece avveniva nella comunità hacker.
Tutto questo andava contro i principi etici di questa comunità, la
quale voleva la conoscenza libera e gratuita. Nasce la figura del
programmatore professionista, il quale svolgeva lo stesso identico
lavoro dell’ hacker ma animato da una logica di profitto più che da
una personale dedizione.
2.1.2 Stallman e la Free Software Foundation
In questo clima emerge la figura di Richard Matthew Stallman,
laureato in fisica cum laude, esperto programmatore appartenente alla
prima comunità hacker e collaboratore del laboratorio di intelligenza
artificiale del MIT.
Nel 1983 di fronte allo svilimento della cultura hacker e ad una
logica improntata sempre di più al guadagno, al marketing, non più
allo sviluppo tecnologico e alla condivisione delle idee e delle
innovazioni, Richard Stallman abbandona il MIT per dedicarsi a
progetti personali mirati al recupero e alla divulgazione dei principi
propri della prima comunità hacker.
56
Stallman si era fatto un nome nell’ambito della programmazione
anche per aver creato e diffuso liberamente un programma editor di
testi in seguito molto utilizzato, l’ Emacs, invitando i suoi fruitori ad
apportare qualsiasi modifica al programma e a distribuirlo
ulteriormente con le medesime modalità sempre insieme al codice
sorgente del software. Così facendo Stallman voleva tenere in vita i
principi a lui tanto cari della comunità hacker di cui si sentiva l’ultimo
sopravvissuto.
Al centro dei suoi progetti, una volta abbandonato il centro di
ricerca del MIT, vi era la creazione di un sistema operativo di tipo
Unix, che non fosse protetto dal copyright tradizionale ma fosse
piuttosto distribuibile liberamente. Diede perciò vita al Progetto GNU
(acronimo di Gnu is Not Unix, a rimarcare le distanze dal sistema
operativo proprietario), allo scopo di creare "un insieme sufficiente di
software libero [...] per non dover più usare software non libero"11.
Per perseguire tale progetto fonda la Free Software Foundation,
nel 1985, un’organizzazione non profit finalizzata alla raccolta fondi,
al coordinamento dei progetti attivi e alla loro divulgazione agli utenti
informatici.

11

Dal Manifesto GNU, 1985

57
Se all’inizio i due progetti procedettero molto lentamente a causa
della frammentazione della comunità degli informatici, alla fine degli
anni ’80, quando la rete Internet cominciò a contare un numero
sempre maggiore di utenti connessi (nell ’89 si arrivò a centomila
computer collegati), gli ideali della cultura hacker, assorbiti dalla Free
Software Foundation, poterono circolare e raggiungere

altri

programmatori sparsi per il mondo che li condividevano attraverso
essa.
2.1.3 L’alba del copyleft
Per poter portare avanti il progetto del sistema operativo GNU,
Stallman ideò un meccanismo particolare di copyright basato sui
fondamenti della cultura hacker di libera condivisione delle
informazioni chiamato Copyleft, grazie all’applicazione di licenze che
obbligavano chiunque volesse utilizzare o modificare il software
originario a distribuire l’eventuale risultato con le stesse modalità.
Così facendo si metteva in moto un circolo vizioso che avrebbe
protetto il nuovo sistema operativo da appropriazioni indebite, tutela
garantita dalle leggi sul copyright, da parte delle grandi aziende
informatiche e al tempo stesso ne avrebbe favorito la diffusione e
l’avanzamento progettuale attraverso la condivisione del codice
58
sorgente, al contrario di quanto avveniva normalmente per il software
proprietario.
Il nome Copyleft è un gioco di parole che ha molteplici
significati: innanzitutto è una chiara presa di distanza, un ribaltamento
di principi del tradizionale regime statunitense, il copyright (left vuol
dire sinistra, right destra); nel contempo la parola inglese left è il
participio passato del verbo to leave, che significa lasciare, concedere,
il che comunica l’idea di un regime di libera condivisione dell’opera.
A sottolineare la differenza abissale col modello tradizionale, il
simbolo che venne adottato per questo modello è la © commerciale,
simbolo del copyright, messa al contrario:

.

2.1.4 La prima licenza libera
I principi cardine di questo nuovo modo di distribuire il software
furono condensati nella prima licenza “libera” che prese il nome dal
progetto in seno a cui nacque: la GNU GPL (General Public License),
del 1989.
La licenza GNU GPL è applicabile al software e permette a
chiunque di utilizzarlo liberamente, di studiarlo per capirne il
funzionamento, di modificarlo e di distribuirlo pubblicamente. Le
condizioni imposte per poterne fare questo utilizzo sono mirate alla
59
perpetuazione del modello copyleft: nel distribuire una copia del
software o una sua modifica si ha l’obbligo di fornire il suo codice
sorgente, per permettere ad altri di modificarlo ulteriormente, e di
apporvi un chiaro riferimento alla GNU General Public License, senza
la cui applicazione non è possibile distribuire il software derivante.
La creazione di questa licenza particolare, che trova il suo
fondamento nel copyright statunitense, apportò al progetto di
creazione del sistema operativo GNU, e al software libero in generale,
una spinta considerevole, dato che i contributi aumentarono
notevolmente.
Contemporaneamente Stallman cominciò a produrre materiale di
matrice ideologica, in cui riassumeva i principi della filosofia seguita
dal progetto GNU e dalla Free Software Foundation, e a distribuirli.
Marcava la netta contrapposizione tra il software che ne derivava,
definito libero, e il software proprietario prodotto per ragioni
strettamente legate al guadagno e al marketing anziché allo sviluppo
tecnologico.
Nonostante la considerevole crescita del software libero e dei
contributi allo stesso, il progetto GNU era ancora molto lontano
dall’essere ultimato. Il problema maggiore era costituito dal fatto che
questo sistema operativo per poter funzionare doveva basarsi ancora
60
su una piattaforma di software proprietario, come lo era UNIX.
Mancava cioè un kernel del sistema operativo, il suo nucleo centrale,
la cui creazione era molto difficoltosa data la scarsa coordinazione del
progetto e la frammentazione dei suoi collaboratori.
2.1.5 Linux
Il 1991 fu l’anno della svolta: uno studente d’informatica
islandese, Linus Torvalds, progettò un kernel compatibile con il
sistema UNIX per di più utilizzando software messi a disposizione
liberamente dalla Free Software Foundation. Questo venne chiamato
Linux e dalla sua combinazione con il sistema GNU ancora
incompleto nacque il sistema operativo GNU/Linux, meglio noto
come Linux.
La nascita di questo sistema è molto importante da un punto di
vista sociologico: sfatava la credenza secondo cui un software
eccessivamente complicato, come un sistema operativo per l’appunto,
potesse essere sviluppato soltanto da pochi professionisti coordinati,
situazione tipica del software commerciale ma anche modo di operare
professato dalla Free Software Foundation.

61
L’ambiente in cui GNU/Linux era nato era diametralmente
opposto a questo, essendosi sviluppato in una comunità pullulante di
progetti, approcci e contributi diversi, una sorta di caos creativo.
Veniva sfruttato il decentramento che internet comportava
rilasciando spesso versioni del software aggiornato, che poteva essere
modificato da chiunque apportandovi il proprio personale contributo.
Linux dimostrò che il movimento per il software libero non era
così scoordinato e incapace di produrre risultati concreti, come si
riteneva, e che le cose potevano davvero cambiare. Questo fenomeno
prese sempre più piede in concomitanza con lo sviluppo della rete
internet. L’interesse verso di esso cominciò a crescere da parte della
stampa e anche degli imprenditori. I produttori di software
proprietario vedevano in pericolo i propri affari ma vedevano in
questo fenomeno anche una possibile fonte di guadagni. Infatti creare
software libero non era scevro da interessi commerciali. Il movimento
non rifiutava infatti a priori qualsiasi tipo di commercializzazione.
2.1.6 Il software libero nel mercato
Giunto il momento di affacciarsi sul mercato mondiale per
sfidare i grandi produttori di software proprietario, risultò difficile
convertire la teoria in pratica.
62
Principalmente il concetto di software “libero” non risultava
molto appetibile da parte dei dirigenti industriali che vedevano in
questo una perdita piuttosto che un ricavo. Ma Stallman non aveva
concepito la denominazione free software in questo senso; al contrario
in alcuni scritti mette in risalto come il progetto GNU non sia
contrario alla commercializzazione del software libero: il termine
“free” è da intendersi sia come libertà di far pagare una copia del
software quanto si vuole, anche non farla pagare affatto, sia
soprattutto come libertà totale di utilizzare il software, nel senso di
farne tutti gli utilizzi concessi dai suoi creatori.12
Questo accanimento semantico da parte di Stallman per
trasmettere il vero senso del free software e la sua ferrea integrità
morale nel farlo, sebbene l’imprenditoria lo percepisse comunque
come gratuito nonostante i suoi sforzi, portarono all’allontanamento di
alcuni suoi collaboratori dalla Free Software Foundation.
Uno in particolare, Eric Raymond, se ne dissocia e fonda un
nuovo termine per identificare il software libero in modo accattivante:
Open Source, da cui prese il nome l’organizzazione preposta al

12

Questo è quanto viene chiaramente detto in un articolo di Richard Stallman denominato:

“Vendere software libero”, FSF, 1996

63
coordinamento di vari progetti ad esso inerenti: la Open Source
Initiative, nata nel 1998.
La connotazione che Raymond e la comunità che gli si raccolse
attorno volevano dare al software

libero, grazie a questa

denominazione, era quella di un software “aperto” nel senso di privo
di vincoli.
Al di là di questa scissione, attualmente il software libero o open
source raccoglie consensi sempre maggiori e ha dato nuova linfa vitale
al mercato del software. I sistemi con kernel Linux vengono molto
utilizzati ed apprezzati, da programmatori e imprese, per la possibilità
di avere un sistema flessibile e modificabile in base alle proprie
esigenze ed anche per l’abbassamento del prezzo dei computer e dei
dispositivi che l’adottano. Il software libero riesce a competere
egregiamente con quello proprietario al punto che grandi industrie del
software sviluppano oggi programmi compatibili col sistema
operativo GNU/Linux; questo perché anche gli utenti medi, con
nessuna nozione di programmazione, sono sempre più attratti dal
software libero e dal suo sistema di creazione e distribuzione.
L’effetto che ne è derivato è stato quello di un passaggio dei
principi di libertà e condivisione dal solo ambito software a quello
creativo in generale.
64
2.1.7 Tutela del software
La tutela giuridica del software si è evoluta di pari passo con
l’interesse dimostrato dal mercato verso questo nuovo settore e non è
stata certo esente da problemi, innanzitutto per la natura stessa del
software, difficilmente inquadrabile negli oggetti protetti dal diritto
d’autore o dal brevetto: alla fine degli anni ’70, in cui appunto il
software cominciava a prendere piede nel mercato, erano questi gli
unici strumenti legali per proteggere un’opera. Mentre il diritto
d’autore protegge non l’idea ma la sua estrinsecazione, il modo in cui
si concretizza, il brevetto protegge il contenuto dell’invenzione.
Ciononostante le due modalità di tutela si possano applicare
contemporaneamente garantendo una protezione più completa.
Il software però è un’opera atipica in quanto ha delle
caratteristiche che l’accomunano ad un’opera creativa e altre che la
fanno rientrare nell’ambito delle invenzioni industriali ma senza
soddisfare appieno i requisiti di nessuna delle due categorie.
Nel 1980 negli Stati Uniti venne compiuto l’importante passo di
decidere quale tipo di tutela applicare al software: la scelta ricadde sul
diritto d’autore. Venne così emanato l’atto legislativo detto Software
Copyright Act. Altri paesi avanzati tecnologicamente fecero
altrettanto, come la Germania e la Francia nel 1985.
65
Nel 1991 fu il turno dell’Italia che, sotto la direttiva europea
n.91/250/CEE, avente lo scopo appunto di armonizzare le norme
comunitarie sulla tutela del software, apportò alla legge sul diritto
d’autore 633/1941 l’aggiunta di articoli appositi, raggruppati in una
nuova sezione intitolata “Programmi per elaboratore”.13
Il software, sotto forma di codice sorgente, altro non è che un
testo, una lista di istruzioni tecniche scritte in un linguaggio
comprensibile dalle macchine e da altri programmatori che lo
conoscono; viene visto come un’opera letteraria in un certo senso.
Sono stati quindi considerati maggiormente i caratteri di creatività e
originalità del software piuttosto che la sua funzione.

2.2 La digitalizzazione
Negli ultimi dieci anni lo sviluppo tecnologico ha determinato un
fenomeno epocale che ha modificato radicalmente non solo la
fruizione delle opere dell’ingegno, ma le abitudini stesse della società.
Questo è la digitalizzazione, ossia il processo di conversione di
qualsiasi informazione legata alla nostra sfera sensoriale in un formato
digitale quindi interpretabile da un computer. Questo formato digitale

13

L.D.A. 633/1941, Capo IV, sezione VI, Artt 64 bis, ter e quater

66
è il linguaggio binario, formato da sequenze di 0 e 1, che costituisce la
“lingua” dei computer.
Il passaggio dall’analogico al digitale, reso possibile grazie
all’invenzione di strumenti tecnici come lo scanner e le fotocamere
digitali, ha permesso la trasformazione in dati delle opere dell’ingegno
con effetti più che soddisfacenti. I principali effetti che la
digitalizzazione ha comportato sono: la precisione con cui un’opera
può essere duplicata, in quanto le copie di un’opera sono
assolutamente identiche all’originale; la compattezza, e la relativa
facilità di stoccaggio delle opere: le opere trasformate in dati non
occupano più spazio fisico e sono facilmente trasportabili grazie a
piccoli supporti digitali come i CD rom; la malleabilità dei dati
digitali, che essendo stati separati dal loro supporto materiale, possono
essere facilmente modificati, aggiornati o assemblati da chiunque
disponga delle tecnologie per farlo.
Tali caratteristiche delle informazioni convertite in digitale hanno
reso possibile la gestione delle stesse in modo veloce e versatile
all’insegna della multimedialità e dell’interattività: si è cioè verificata
la convergenza e la fusione di più medium in uno stesso contesto
informativo ed è cresciuta la possibilità di interagire con i contenuti
digitalizzati da parte dei loro fruitori.
67
Al tempo stesso però la separazione dal supporto materiale delle
opere dell’ingegno, insieme alla diffusione della rete internet, ha reso
problematica la tutela del diritto d’autore.
La rete delle reti, come viene soprannominata, ha unito persone
agli antipodi eliminando le distanze e il tempo. La sua diffusione
sempre crescente ha fatto si che al giorno d’oggi la possibilità di
disporre qualsiasi tipo di informazione in tempo reale è una
condizione assolutamente naturale e per di più indispensabile per la
vita della maggior parte delle persone.
2.2.1 Il file sharing
La capacità di ottenere copie digitali, identiche all’originale, di
una qualsiasi opera, unita alla possibilità di inviare informazioni da un
capo all’altro del globo a costo quasi nullo, ha dato vita a pratiche
come il file sharing, la condivisione di file tra utenti connessi alla rete
grazie ad appositi programmi che rendono i computer connessi sia
mittenti che destinatari di contenuti digitali.
Tale attività di scambio di file ha annullato le tempistiche
standard necessarie per la pubblicazione di un’opera sul suo supporto
materiale. Se da una parte ha permesso agli autori di un’opera di
arrivare direttamente agli utenti finali della stessa ha anche vanificato
68
gli sforzi della tutela sulla proprietà intellettuale in quanto hanno
cominciato ad essere scambiate opere protette da diritto d’autore
“contraffatte”, intese come le copie dell’opera realizzate senza alcuna
autorizzazione da parte del detentore dei diritti sulla stessa.
Questo ha causato l’inasprimento delle leggi mirate alla tutela
delle

opere

dell’ingegno,

sotto

pressione

dell’industria

dell’intrattenimento in special modo, che invece di modificarsi sotto
l’impulso delle nuove tecnologie si sono concentrate cocciutamente
sul legame ormai antiquato tra opera e supporto materiale.
Basti pensare al già citato “Mickey Mouse Protection Act”, del
1998, che ha allungato la durata della tutela sulle opere dell’ingegno
nel copyright statunitense di 20 anni rispetto alla normativa originaria.
Un altro esempio di questa repressione telematica è costituito
dall’adozione in Francia della cosiddetta legge Hadopi14 nel giugno
del 2009, voluta dal premier Sarkoxy, che si è imposto sul Parlamento
senza tenere in considerazione le opinioni contrastanti della Corte
Costituzionale Francese e del Parlamento europeo e che ha come
scopo la lotta alla pirateria. La legge Hadopi ha portato alla creazione

14

Legge n°2009-669, il cui testo è consultabile all’indirizzo

http://www.legifrance.gouv.fr/affichTexte.do?cidTexte=JORFTEXT000020735432&dateTexte=

69
di un’entità con lo stesso nome, avente il compito di controllare i file
scambiati in rete al fine di individuare la condivisione di contenuti
protetti da diritto d’autore. La legge prevede che gli utenti sorpresi per
tre volte a violare il copyright siano disconnessi dalla rete. L’adozione
dell’Hadopi ha fatto gridare allo scandalo, in quanto risulta in pericolo
la privacy dei cittadini francesi i cui computer e le cui navigazioni
vengono ora passate al setaccio dal Governo.
Un’altra questione spinosa è quella dell’ACTA, l’ AntiCounterfeiting Trade Agreement,15 un trattato esecutivo contro la
contraffazione stipulato da 40 Paesi di tutto il mondo i cui accordi
stanno facendo molto discutere i media: vengono tenuti segretamente
e da alcuni documenti trapelati e pubblicati in rete, configurano quello
che viene definito un accordo internazionale per la lotta alla pirateria
informatica come un vero e proprio tentativo di controllare la
navigazione degli utenti nella rete, di rafforzare il copyright, eliminare
il fair use e conferire sempre maggior potere agli editori, alle major
discografiche,

agli

imprenditori

in

generale

impegnati

nella

distribuzione di opere creative.

15

Il cui testo è disponibile: http://trade.ec.europa.eu/doclib/docs/2009/january/tradoc_142039.pdf

70
Per finire, in riferimento al nostro particolare contesto giuridico,
vi è il cosiddetto decreto “Bondi”, dal nome dell’attuale Ministro per i
Beni e le Attività Culturali che l’ha proposto, titolato “Determinazione
del compenso per la riproduzione privata di fotogrammi ai sensi
dell’art. 71 septies della legge 22 aprile 1941, n 633”, che attua il
decreto legislativo n.68 del 2003 in recepimento della direttiva
comunitaria 2001/29/CE.
Questo decreto, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n.54 del 6
marzo 2010 riguarda l’equo compenso, disciplinato dall’articolo 71
septies della legge sul diritto d’autore 633/1941 che prevede una
quota a carico del consumatore per l’acquisto di dispositivi preposti
alla riproduzione di opere audiovisive protette dalla suddetta legge. Il
decreto prevede un aumento dei prezzi applicati a tutti quei dispositivi
provvisti di una memoria, dai CD Rom ai DVD, dalle chiavi USB ai
masterizzatori, dai computer ai cellulari specificati accuratamente in
un allegato tecnico.
Per legge, la copia privata di un’opera protetta da diritto d’autore
è possibile laddove non esistano misure che ne impediscano la
duplicazione. Le associazioni dei consumatori si sono pronunciate a
sfavore dell’attuazione di tale decreto, che a tutti gli effetti appare
come una vera e propria tassa, nonostante lo stesso Ministro Bondi e
71
la Società Italiana degli Autori ed Editori, la S.I.A.E., dal momento
della presentazione del decreto, abbiano a più riprese precisato che
non si tratta di una tassa ma di un compenso dovuto per legge a
soggetti privati. Tale decreto, secondo il presidente di Assinform,
l’associazione delle imprese di informatica, Paolo Angelucci,
penalizzerà fortemente l’industria italiana legata alla tecnologia ed
andrà sicuramente a scapito dei consumatori finali: è prevedibile
infatti che i produttori, ai quali è rivolto l’aumento dei prezzi citati dal
decreto, scaricheranno tale tassa sugli acquirenti, come è già avvenuto
per CD e DVD.
Per evitare che ciò avvenga il decreto prevede l’istituzione di un
tavolo tecnico composto, oltre che dai ministeri competenti anche
dalla S.I.A.E. e dalle associazioni di categoria e dei consumatori, a cui
sarà affidato il compito di verificare che ciò non avvenga.
La polemica tuttavia rimane, alimentata dal fatto che secondo
delle stime di Confindustria e Assinform, come spiegato da Guido
Scorza16, avvocato e docente tra i massimi esperti di copyright e
nuove tecnologie, il ricavato della S.I.A.E. proveniente dall’equo
compenso passerà da 70.000.000 di euro a 300.000.000 euro nel 2010,

16

Fonte http://www.repubblica.it/tecnologia/2010/01/15/news/tassa_pc_telefonini-1953830/

72
il che fa pensare ad un diretto coinvolgimento della S.I.A.E.
nell’attuazione di tale decreto mirato alla tutela dei propri interessi
economici. Inoltre a livello concettuale resta comunque il dubbio sul
perché sia applicato questo sovrapprezzo ai suddetti dispositivi, in
qualche modo teso anche a tutelare gli interessi economici degli autori
minati dalla copia illegale di opere dell’ingegno, a prescindere
dell’effettivo utilizzo che ne verrà fatto degli stessi.
La gestione dei diritti sulle opere dell’ingegno, divenuta sempre
più ostica per l’autore e a tutto vantaggio degli imprenditori, ha
portato gli utenti della rete, creatori di contenuti multimediali, a
riconsiderare l’utilità di questi ultimi, trovando in internet un mezzo
alternativo perfetto attraverso cui poter distribuire la propria opera
privatamente, in tutto il mondo e a costo zero.
Alcuni hanno inneggiato all’abolizione del copyright e al rilascio
di qualsiasi opera nel pubblico dominio, all’insegna della libera
fruizione da parte di chiunque.
Altri, più assennati, hanno cominciato a riflettere su come
utilizzare gli strumenti del copyright stesso per gestire i diritti sulle
opere in modo alternativo e più vantaggioso per gli autori, nonché a
cercare il modo di sfruttare legalmente gli effetti della digitalizzazione
e i benefici offerti dalla rete.
73
Ciò che ne è risultato è stato l’estensione dell’applicazione del
modello copyleft anche ad opere non software.
Un primo esempio di licenza copyleft applicata ad un’opera non
software è costituita dalla GNU FDL, una licenza del progetto GNU
nata nel 2000, applicabile alla documentazione testuale relativa al
software e alla didattica.
Seguirono poi le licenze Art Libre, francese, e le Creative
Commons di Lawrence Lessig, docente di legge dell’università di
Stanford, in California nonché uno dei maggiori esponenti della
cultura open, grazie alle quali il modello copyleft poté essere applicato
a svariate tipologie di opere, letterarie, musicali, visive e quant’altro.
Grazie all’adozione di queste licenze sono nati diversi progetti
volti alla liberazione della cultura e all’utilizzo di internet come utile
strumento di condivisione e collaborazione, il più importante dei quali
è sicuramente l’enciclopedia online gratuita e multilingue, su base
collaborativa, più grande del mondo: Wikipedia.

2.3 Il senso del copyleft
Il copyleft è un modello alternativo di gestione dei diritti d’autore
che si applica secondo un’ottica non esclusiva e riporta in mano
all’autore tutti i diritti derivanti dalla creazione di un’opera. Questo è
74
possibile grazie all’applicazione di contratti-licenza alle opere, in cui
vengono specificati gli impieghi che l’autore consente delle stesse
come la modifica, la distribuzione e perfino la commercializzazione.
Gli effetti che derivano dall’utilizzo di tale modello sono: la
disintermediazione, ossia il cadere della necessità di rivolgersi ad un
soggetto imprenditoriale, da parte dell’autore, per distribuire e
commercializzare la
ridefinizione

dei

propria opera; il riequilibrio, ossia la

contratti

stipulati

tra

autore

e

soggetto

imprenditoriale, di norma a vantaggio di quest’ultimo, all’insegna di
maggiori prerogative per l’autore e di maggiori libertà per l’utente
finale dell’opera; l’elasticità e la differenziazione del regime giuridico
applicato all’opera che diventa dinamico e può essere adattato in base
al tipo di opera e agli utilizzi concessi della stessa; la sostenibilità
economica, ancora non pienamente intesa dall’imprenditoria, ma che è
possibile da realizzare, come mostra il successo anche economico del
software libero.17
Il copyleft quindi tenta di riportare il diritto d’autore alla sua
funzione classica di incentivo alla produzione culturale tramite la

17

Classificazione proposta da Simone Aliprandi, Capire il Copyright, percorso guidato nel diritto

d’autore, PrimaOra, 2007

75
protezione del lavoro creativo dell’autore. Non si pone in polemica
con l’imprenditoria di contenuti culturali e dell’intrattenimento, che
essendo finalizzata al guadagno utilizza gli strumenti giuridici per
tutelarsi, ma rivendica un’altrettanto adeguata tutela del lavoro dei
creativi e degli artisti.
2.3.1 Legittimazione delle licenze copyleft
La genialità, il punto di forza di coloro i quali, come Stallman e
Lessig, hanno voluto portare avanti questo cambiamento, è stato
quello di non opporsi al modello tradizionale di gestione dei diritti
d’autore, di non voler andare contro il copyright ritenuto eccessivo e
controproducente per gli artisti, ma di sfruttarlo a vantaggio di questi
ultimi così che né i governi nazionali, né i colossi imprenditoriali,
potessero opporvisi, quantomeno apertamente.
Le licenze copyleft rispettano la legge perché su di esse si
fondano e sono efficaci perché sfruttano gli effetti positivi della
digitalizzazione.
Nel caso statunitense il tipo contrattuale della licenza, un atto
unilaterale con cui un soggetto autorizza determinati comportamenti,
si è sviluppato alla fine degli anni ’70 in seguito alla
commercializzazione sempre più massiccia di PC e software. Questo
76
particolare regime giuridico prende il nome di Mass market licenses of
copyright material, che permette la commercializzazione di massa di
materiale protetto da copyright. Rientrano in questa categoria le
shrink-wrap licenses, licenze a strappo, la cui accettazione da parte
dell’acquirente del prodotto avviene attraverso la rottura della
confezione del supporto materiale con i contenuti protetti, ad esempio
la pellicola di un CD; le click wrap licenses, tipica del software, in cui
l’accettazione dell’utente avviene attraverso un clic col mouse su una
determinata icona e le browse wrap licenses, diffuse su internet, la cui
accettazione avviene in maniera implicita mettendo a disposizione
dell’utente le condizioni contrattuali da parte del licenziante.
Nel caso italiano l’applicazione di questo regime giuridico ha
generato alcuni problemi di natura puramente semantica. La “licenza”
infatti rientra nell’ambito del diritto amministrativo in quanto consiste
nell’autorizzazione ad esercitare alcune attività nel rispetto della
legge. Ma il copyleft non ha nulla a che vedere con il diritto
amministrativo in quanto attiene al diritto privato. Il problema
scaturisce dalla traduzione letterale del termine inglese license, licenza
per l’appunto.
È il contratto lo strumento giuridico utilizzato nell’ordinamento
italiano per la trasmissione dei diritti su un’opera, un “accordo di due
77
o più parti per costituire, regolare o estinguere un rapporto giuridico
patrimoniale”.18

I

contratti

previsti

sono

quello

d’edizione,

regolamentato all’articolo 118 e seguenti, e il contratto di
rappresentazione e di esecuzione, presente all’articolo 136 e seguenti,
della L.D.A 633/1941.
Le norme che disciplinano la stipulazione di contratti si trovano
nel Codice Civile, al Titolo II del Libro IV, denominato: Dei contratti
in generale (artt da 1321 a 1421).
Più precisamente sono i contratti per adesione quelli utilizzati,
cioè quei contratti in cui una parte, il licenziante, specifica in che
modo viene gestito il rapporto giuridico tra le parti e l’altra, il
licenziatario, può solo accettare o rifiutare totalmente le condizioni
imposte.
Si tratta comunque di un contratto bilaterale, un atto giuridico
fonte di obbligazione contrattuale, determinato dall’incontro di
almeno due parti, il licenziante e il licenziatario che esprime
l’accettazione dei termini del contratto attraverso un comportamento
ritenuto inequivocabile.

18

cfr. art. 1321 cod. civ.

78
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Copyleft: il diritto d’autore nell’era digitale

  • 1. FACOLTÀ DI SCIENZE DELLA COMUNICAZIONE Indirizzo Pubblicità, Marketing e Comunicazione Aziendale Tesi di Laurea in Informatica ed Editoria Multimediale Copyleft: il diritto d’autore nell’era digitale Laureando Relatore Ilario Lucio Falcone Chiar.mo Prof. Luca Tallini Matricola 53079 Anno Accademico 2008/2009
  • 2. Creative Commons Public License Attribuzione – Non commerciale – Condividi allo stesso modo 2.5 Italia Tu sei libero: di distribuire, comunicare al pubblico, rappresentare o esporre in pubblico l’opera, di creare opere derivate Alle seguenti condizioni: * Attribuzione. Devi riconoscere la paternità dell'opera all'autore originario. * Non commerciale. Non puoi utilizzare quest'opera per scopi commerciali. * Condividi sotto la stessa licenza. Se alteri, trasformi o sviluppi quest’opera, puoi distribuire l’opera risultante solo per mezzo di una licenza identica a questa. In occasione di ogni atto di riutilizzazione o distribuzione, devi chiarire agli altri i termini della licenza di quest’opera. Se ottieni il permesso dal titolare del diritto d’autore, è possibile rinunciare a ciascuna di queste condizioni. Le tue utilizzazioni libere e gli altri diritti non sono in nessun modo limitati da quanto sopra. Questo è un riassunto in lingua corrente dei concetti chiave della licenza completa (codice legale) che è disponibile alla pagina web http://creativecommons.org/licenses/by-nc-sa/2.5/it/legalcode OGNI ESEMPLARE DELL’OPERA (DIGITALE O CARTACEO) PRIVO DI QUESTA PAGINA È DA RITENERSI CONTRAFFATTO. 2
  • 3. INDICE Introduzione ....................................................................................... 7 Capitolo 1 Il copyright e il diritto d’autore .................................................... 16 1.1 Cenni storici ........................................................................... 16 1.1.1 Sviluppo del diritto d’autore italiano ..................... 28 1.2 Funzionamento del diritto d’autore ........................................ 29 1.2.1 Requisiti del diritto d’autore .................................. 33 1.2.2 Prove della paternità dell’opera ............................. 35 1.2.3 Tipologia di opere tutelate ..................................... 37 1.2.4 Diritti riconosciuti all’autore ................................. 38 1.2.5 Libere utilizzazioni ................................................ 42 1.2.6 Trasmissione dei diritti .......................................... 43 1.3 La S.I.A.E. .............................................................................. 44 1.3.1 Il monopolio velato ................................................ 46 1.4 Topolino contro il pubblico dominio ..................................... 49 3
  • 4. Capitolo 2 L’era digitale e il copyleft .............................................................. 52 2.1 Il software libero .................................................................... 52 2.1.1 Unix e la nascita del mercato del software ............ 53 2.1.2 Stallman e la Free Software Foundation ............... 56 2.1.3 L’alba del copyleft ................................................. 58 2.1.4 La prima licenza libera .......................................... 59 2.1.5 Linux ...................................................................... 61 2.1.6 Il software libero nel mercato ................................ 62 2.1.7 Tutela del software ................................................ 65 2.2 La digitalizzazione ................................................................. 66 2.2.1 Il file sharing .......................................................... 68 2.3 Il senso del copyleft ............................................................... 74 2.3.1 Legittimazione delle licenze copyleft .................... 76 2.3.2 La S.I.A.E. contro il copyleft................................. 80 Capitolo 3 Licenze copyleft .............................................................................. 82 4
  • 5. 3.1 Licenze GNU.......................................................................... 82 3.1.1 GNU GPL (General Public License) ..................... 83 3.1.2 GNU FDL (Free Documentation License) ............ 86 3.2 Creative Commons ................................................................. 88 3.2.1 Localizzazione delle licenze: il porting ................. 89 3.2.2 Tre forme per una licenza ...................................... 91 3.2.3 Le licenze Creative Commons ............................... 92 3.2.4 Senso della clausola “Non commerciale” .............. 95 3.2.5 Le licenze Sampling .............................................. 96 3.2.6 Ulteriori iniziative della fondazione ...................... 97 3.2.7 Science Commons ................................................. 98 3.3 Art Libre ............................................................................... 103 3.4 Copyzero X .......................................................................... 104 3.4.1 Zerosign ............................................................... 106 Capitolo 4 Applicazioni del modello copyleft .............................................. 108 4.1. GNU/Linux.......................................................................... 108 4.1.1 La distro Cubana contro il monopolio Microsoft 112 5
  • 6. 4.2 Wikipedia ............................................................................. 113 4.2.1 Il problema dell’autorevolezza ............................ 117 4.3 Jamendo ................................................................................ 120 4.4 Flickr .................................................................................... 123 Conclusioni ....................................................................................... 126 Bibliografia................................................................................. 130 Siti internet ................................................................................. 133 6
  • 7. Introduzione La digitalizzazione, ossia il processo che permette la conversione di qualsiasi opera creativa dell'uomo in dati interpretabili dai calcolatori elettronici, e lo sviluppo capillare della rete internet, che ne ha permesso la condivisione in tempo reale in tutto il mondo, hanno modificato il panorama culturale contemporaneo nonché lo stesso agire sociale. L’inarrestabile sviluppo tecnologico apre nuovi orizzonti all’industria culturale ma determina anche l’insorgere di numerosi problemi, primo fra tutti la difficoltà nel tutelare il diritto d’autore sulla rete. La vastità del web e il suo intrinseco attributo di spazio libero da qualsiasi costrizione rendono la tutela del diritto d’autore quasi impraticabile. Ciò è dovuto principalmente all’utilizzazione dei nuovi strumenti tecnologici per scopi illegali che hanno comportato un cambiamento notevole all’interno della società stessa: la pratica di scaricare materiale protetto attraverso il file sharing, non viene più percepita come un’attività fuorilegge passibile di ripercussioni legali, il che rende ancor più vani gli sforzi dei legislatori nel contrastare tali comportamenti illeciti. 7
  • 8. Questi hanno portato gli autori di opere creative a diffidare della rete internet come nuovo mezzo per la distribuzione delle loro opere ed hanno messo in allarme i grandi colossi industriali, in particolar modo quelli operanti nel campo dell’editoria e dell’intrattenimento, che hanno visto i propri interessi economici in pericolo. I legislatori sono intervenuti, incalzati dalle pressioni provenienti dai grandi gruppi industriali, modificando le esistenti normative sul diritto d’autore e sul copyright in maniera sempre più invasiva e restrittiva, innalzando così barriere alla diffusione e alla fruizione della cultura. È nata quindi una vera e propria battaglia contro la privatizzazione della conoscenza umana, messa in atto da corporation e governi compiacenti, da parte di coloro i quali hanno visto in internet e nella digitalizzazione, degli strumenti eccezionali per la condivisione e la fruizione della cultura e delle informazioni, all’insegna della collaborazione globale. Le reazioni alle restrizioni imposte dalle nuove norme sulla tutela delle opere sono state contrastanti: alcuni hanno abbracciato il rifiuto assoluto del copyright e del diritto d’autore mettendo in discussione anche la necessità di intermediari alla diffusione della cultura; altri si sono interrogati sulle possibili modalità con cui sfruttare la legge per 8
  • 9. liberare la cultura nel rispetto della proprietà intellettuale e del lavoro degli autori. A questa seconda visione appartiene il copyleft, un’alternativa ai tradizionali modelli di gestione del diritto d’autore, che di norma favoriscono i gruppi industriali piuttosto che gli autori attraverso la cessione in blocco dei diritti sulle loro opere. L’utilità di questo nuovo modello è quella di rimettere nelle mani degli autori la gestione totale dei diritti sul loro lavoro creativo riequilibrando i rapporti tra questi e gli editori che nella prassi tradizionale vanno a tutto vantaggio di questi ultimi. Esso si realizza concretamente grazie all’utilizzo di contrattilicenza applicati alle opere che ne stabiliscono la condivisione, la modifica e finanche la commercializzazione specificando a quali condizioni queste possono essere condotte. Tutto ciò è reso possibile dal fatto che queste licenze si fondano sulle norme esistenti sul diritto d’autore ottenendone la piena legittimazione. Il modello copyleft ha coinvolto inizialmente solo l’ambito software ma grazie all’interesse dimostrato da un numero sempre crescente di intellettuali, giuristi e semplici fruitori di contenuti multimediali, attualmente può essere applicato ai più svariati ambiti 9
  • 10. della produzione e della fruizione di opere dell’ingegno, da quello letterario a quello musicale. Colossi industriali e legislatori sono ancora diffidenti verso il modello copyleft, ritenuto poco redditizio e capace di minare i vecchi modelli di gestione del diritto d’autore e le tradizionali forme di distribuzione delle opere. Pertanto continuano ad ostacolarne l’attuazione in particolar modo generando incomprensione attorno all’argomento. Questa tesi ha lo scopo di mostrare come il copyleft sia uno strumento più che valido per la tutela della proprietà intellettuale e come esso incentivi la produzione culturale, finalità originaria del copyright e del diritto d’autore che vengono invece modificati in senso sempre più restrittivo. Nel primo capitolo si ripercorreranno le tappe del riconoscimento della proprietà intellettuale, della nascita del copyright e del diritto d’autore italiano nello specifico, per comprendere le differenze tra i vari concetti allo scopo di dissolvere alcuni punti oscuri della questione. Si procederà quindi all'analisi della normativa italiana sul diritto d'autore per comprendere come essa tuteli le opere e come viene applicata concretamente. Verrà evidenziato come nascono i diritti 10
  • 11. relativi ad un'opera, quali requisiti un'opera deve avere per rientrare sotto la tutela della legge italiana sul diritto d'autore e le modalità attraverso cui un autore può dimostrare di essere il creatore originario di una data opera. Si descriveranno quali tipi di opere dell’ingegno sono contemplate dalla legge sul diritto d'autore e quali diritti questa riconosce all'autore di un'opera. Verranno poi esposte le libere utilizzazioni previste dalla legge italiana, ossia quelle modalità di utilizzo di determinate opere in modo assolutamente gratuito e senza bisogno di autorizzazioni. Verranno trattate le modalità di trasmissione dei diritti su di un'opera contemplate dalla legge italiana e si parlerà dell'ente per la gestione collettiva dei diritti sulle opere attivo in Italia, la S.I.A.E., mostrando come questa, sebbene la legge non obblighi gli autori a servirsene, operi concretamente in una condizione di monopolio. Nella parte finale del capitolo verrà esposto il problema dell'attività di lobbying portata avanti dall’industria dell'intrattenimento sul sistema politico, che preme per la modifica delle leggi nazionali sul diritto d'autore a proprio vantaggio. Per fare ciò verrà illustrato un esempio emblematico di tale pratica, avvenuto nel 1998 negli Stati Uniti: il Copyright Term Extension Act, ribattezzato Mickey Mouse Protection Act, in quanto fortemente 11
  • 12. voluto dal colosso Disney al fine di proteggere i propri interessi economici attraverso il prolungamento del copyright. Nel secondo capitolo verrà esposta la genesi del modello copyleft a partire dall'ambito software nel quale ha avuto origine. Verranno ripercorse le tappe dello sviluppo del software e del suo mercato passando per la creazione della Free Software Foundation ad opera di Richard Stallman, finalizzata alla diffusione di software libero, quindi per la nascita del concetto di copyleft e l'ideazione della prima licenza libera per i programmi informatici: la GNU General Public License. Si parlerà dei progressi della fondazione di Stallman che portarono nel 1991 ad un grande risultato: la creazione del primo sistema operativo non proprietario denominato Linux, per poi osservare i primi passi dell'entrata nel mercato da parte del software libero. Dopo aver visionato le modalità di tutela del software, dagli Stati uniti allo specifico caso italiano, verrà quindi descritto il processo di digitalizzazione che insieme allo sviluppo della rete internet ha reso possibile il diffondersi della pratica del file sharing, lo scambio di file sulla rete, il cui utilizzo illecito, mirato allo scambio di materiale protetto dal diritto d'autore, ha portato a severe contromisure legali. Tenendo presente tale panorama verrà descritto il concetto di copyleft per comprendere cosa in effetti si voglia ottenere grazie 12
  • 13. all'applicazione di questo modello alternativo di gestione del diritto d'autore e come esso possa essere applicato in maniera assolutamente legale. Infine verrà mostrata la chiusura verso questo nuovo modello da parte del mondo dell'imprenditoria, degli enti di gestione collettiva dei diritti sulle opere e delle stesse leggi nazionali, nello specifico caso italiano che vede la S.I.A.E. opporsi all'applicazione e alla diffusione del modello copyleft. Nel terzo capitolo verranno illustrate alcune tra le più importanti licenze copyleft, a partire dalla prima in assoluto creata in seno al progetto GNU di Richard Stallman: la GNU General Public License, per uso software, per poi passare alla GNU Free Documentation License, per le opere testuali relative alla didattica e alla documentazione. Si passerà quindi ad esaminare le licenze Creative Commons, un importante passo in avanti per il movimento copyleft che ha permesso l'estensione di tale modello anche ad altre tipologie di opere. Verrà illustrato il cosiddetto porting, il processo di internazionalizzazione delle licenze Creative commons per far si che esse fossero applicabili in ogni parte del mondo. Si elencheranno quindi le varie licenze Creative Commons esistenti e le tre diverse forme in cui queste si estrinsecano: il Legal Code, il Commons Deed e il Digital Code. Ci si 13
  • 14. soffermerà in particolare su una clausola applicabile alle suddette licenze riguardante gli utilizzi commerciali delle opere. Verranno poi descritte altre licenze messe a punto dalla fondazione Creative Commons specifiche per le opere musicali, le licenze Sampling, e altre iniziative benefiche, come ad esempio il progetto Science Commons, portate avanti dallo staff di Creative Commons che conta un numero sempre crescente di collaboratori sparsi in tutto il globo. Si procederà poi con l’analisi della licenza Art Libre, nata in Francia e specifica per le opere artistiche, e della licenza tutta italiana Copyzero X, ideata e promossa dal Movimento Costozero che offre a chiunque, utili strumenti per la protezione delle proprie opere creative, come il servizio Zerosign, che permette l'apposizione della firma elettronica sui propri lavori attraverso un software messo a disposizione dal Movimento Costozero, al fine di dimostrare la paternità e la data di creazione di un'opera. Nel quarto capitolo verranno presentati infine alcuni importanti progetti che si servono delle licenze copyleft con risultati più che soddisfacenti a partire dal sistema operativo GNU/Linux in tutte le sue varianti tra cui la distribuzione Nova Baire, nata a Cuba con lo scopo di mettere fine al monopolio della Microsoft sull'isola. Verrà illustrato poi il funzionamento della mastodontica enciclopedia libera 14
  • 15. Wikipedia, il progetto collaborativo online più grande del mondo che per alcuni però non può essere paragonato per qualità alle enciclopedie tradizionali. Per finire verranno descritte due piattaforme web finalizzate alla distribuzione di musica, Jamendo, e di fotografie, Flickr, che utilizzano il modello copyleft anche con finalità commerciali. 15
  • 16. Capitolo 1 Il copyright e il diritto d’autore 1.1 Cenni storici Prima di cominciare un discorso articolato sul copyleft e sulla sua applicazione pratica, è utile ripercorrere la storia del diritto d’autore e del copyright per comprendere a partire da quale situazione preesistente esso si sia sviluppato nonché le differenze che intercorrono tra questi due ultimi concetti che molto spesso vengono utilizzati erroneamente come sinonimi. Il diritto d’autore, ossia quell’insieme di norme giuridiche che hanno lo scopo di riconoscere all’autore dei diritti sulle sue opere, è un’invenzione piuttosto recente nella storia dell’umanità e del diritto stesso, la cui necessità è stata avvertita solo in epoca moderna con l’avvento della stampa e più precisamente della stampa a livello industriale. Anticamente non essendo possibile la produzione di copie tratte dall’opera originale, se non in maniera molto limitata e imperfetta, non vi era il problema della tutela economica. Per quanto riguarda la 16
  • 17. paternità dell’opera, gli episodi di plagio, laddove scoperti portavano all’allontanamento dell’autore colpevole dalla comunità. Nell’antica Grecia le opere erano liberamente fruibili e riproducibili da chiunque, non essendovi norme in merito. Il sapere era quello che si definisce un bene pubblico, tant’è che i poeti consideravano sé stessi non autori ma “ripetitori” di quello che le Muse ispiravano loro. Gli autori originari dell’opera utilizzata venivano in ogni caso tenuti in considerazione e ottenevano un compenso per questo, mentre veniva condannato il plagio. A Roma, per quanto riguarda le opere letterarie, il diritto patrimoniale era riconosciuto solo al libraio in possesso del manoscritto, non all’autore dell’opera: per il diritto romano, infatti, soltanto le cose materiali erano ritenute oggetto di proprietà. Da qui deriva la tradizionale distinzione di una qualsiasi opera in due “corpi”: il corpus mysticum, ossia l’opera considerata come bene immateriale, i cui diritti spettano all’autore, e il corpus mechanicum, gli esemplari, le copie in cui si concretizza l’opera materialmente, i cui diritti spettano a chi ha acquistato l’oggetto tangibile su cui è riprodotta l’opera. Con la caduta dell’Impero Romano, la cultura si rifugiò nei monasteri o in poche grandi città di una certa rilevanza culturale. Solo con la nascita delle Università si sviluppò la domanda di copie di testi 17
  • 18. letterari con la conseguente nascita di un mercato delle stesse e delle officine scrittorie. Con l’invenzione della tecnica di stampa a caratteri mobili avvenuta nel 1456, da parte del tedesco Johann Gutenberg, si avviò l’era della riproducibilità tecnica. Questa formidabile innovazione tecnologica fece di ogni opera un bene riproducibile in serie, non più un pezzo unico, sebbene dovettero passare alcuni decenni perché il procedimento, ancora artigianale per certi aspetti, diventasse maturo: i primi libri riprodotti infatti erano veri e propri beni di lusso, riservati a pochi benestanti. Solo più in là, con il perfezionamento delle macchine, fu possibile riprodurre delle opere letterarie in serie riducendo i costi fissi grazie ad una produzione industriale. Il libro poté così diventare un bene comune acquistabile anche dai meno agiati e destinato ad una diffusione di massa. Fino ad allora, il sostentamento di artisti e intellettuali derivava non dalle percentuali sulle vendite delle copie vendute, come oggi accade, ma dai rapporti clientelari tra gli artisti e coloro i quali commissionavano le opere, che costituivano il cosiddetto “Mecenatismo”. Le opere erano pezzi unici per l’appunto e solo quelle letterarie venivano riprodotte, in poche copie senza l’ausilio di alcuno strumento tecnico, attraverso la pura e semplice copiatura manuale ad 18
  • 19. opera dei famosi amanuensi o copisti. Tuttavia le copie erano destinate a pochi e abbienti individui che potevano permettersi di commissionare un lavoro tanto lungo e dispendioso. In campo letterario, finché non venne ideata per l’appunto la prima macchina da stampa che determinò la nascita di rapporti contrattuali tra l’autore (l’ideatore dell’opera) e l’editore (colui che viene incaricato di trasformare l’opera in bene, di produrne le copie e di commercializzarle), il guadagno economico dell’autore derivava dal prezzo che egli riusciva ad ottenere sulla vendita del manoscritto all’editore o al libraio. Cominciarono quindi a instaurarsi rapporti di rilevanza giuridica, nuovi alla scienza del diritto, che necessitavano quindi di essere regolamentati per tutelare entrambe le parti e garantire un accordo equilibrato che non andasse a favore di chi deteneva maggior potere economico e quindi maggior potere contrattuale. La prima forma di tutela, concessa inizialmente solo agli editori e agli stampatori, nasce a Venezia nella tarda metà del XV secolo ed è rappresentata dal cosiddetto “privilegio” di stampa, una garanzia che proibiva la ristampa di un’opera di cui si era ottenuto il privilegio per un dato numero di anni. In questo modo si evitava che altri, oltre all’editore o allo stampatore che ne avessero acquisito il diritto, 19
  • 20. ristampassero copie delle stesse opere magari proponendole ai clienti ad un prezzo inferiore danneggiando così il detentore del privilegio. Come si può ben notare questa prima forma di tutela era puramente di carattere economico e tesa a proteggere i soli interessi dello stampatore; soltanto in un secondo momento fu tutelato anche l’autore, cui venne riconosciuto il lavoro creativo, lo studio e la fatica necessari alla realizzazione di un’opera. Questa tutela consisteva nella facoltà riconosciuta all’autore di prestare il consenso, o di negarlo, per la pubblicazione della sua creazione. Nel XVI secolo, in Inghilterra la corona deteneva il diritto di stampa totale. La Star Chambler, la corte di giustizia inglese, era incaricata di regolare la stampa e nessuno poteva stampare se non tramite un privilegio speciale concesso dalla Corona. La monarchia inglese emanò le prime normative sul “diritto di copia”, copyright per l’appunto, intendendo con queste controllare le opere pubblicate nel territorio: con la diffusione delle macchine da stampa e la possibilità di ottenere facilmente copie di un manoscritto, gli scrittori furono infatti stimolati a produrre opere letterarie dal momento che i sopracitati “privilegi” vigenti erano più che sufficienti a garantirne la tutela. Poiché questa nuova tecnologia rendeva disponibili una marea di letture, di cui molte facinorose, il governo 20
  • 21. aveva bisogno di esercitarne il controllo. Essendo impossibile dichiarare la stampa fuorilegge, il governo inglese poté esercitare una censura attraverso l’istituzione nel 1557 della “London Company of Stationers” (Corporazione dei Librai di Londra) cui la corona britannica concesse il monopolio della stampa e l’incarico di praticare la censura di opere con idee potenzialmente sovversive. La Stationers’ Company aveva il diritto esclusivo di stampare nonché il diritto di ricercare, requisire e bruciare i libri non autorizzati o stampati illegalmente. Un libro per poter essere stampato doveva essere iscritto nel Registro della Corporazione e ricevere il marchio della stessa; perché questo avvenisse doveva ottenere il nullaosta del censore della Corona. Questo sistema, come è palese, andava a vantaggio dei soli membri della corporazione e del governo, non degli autori. I libri venivano iscritti nel Registro della Corporazione non sotto il nome del loro autore ma sotto il nome di uno degli Stationers che ne aveva così il cosiddetto “copyright”, cioè il diritto esclusivo di pubblicarli. Eventuali infrazioni da parte degli altri membri della corporazione venivano risolte dalla Court of Assistants. 21
  • 22. È fondamentale sottolineare che i profitti della Corporazione dipendevano dalla censura praticata, non tanto dalla stampa e dalla vendita dei libri. Benché questo primo esempio di tutela non possa di certo essere ritenuto un traguardo per la scienza del diritto, in quanto altro non è che un esempio di censura, esso costituisce un precedente importantissimo: per la prima volta infatti veniva esercitato il diritto assoluto di proibire ad altri la copia di un’opera. Tale sistema, che arricchì gli Stationers e permise al governo di esercitare un controllo sulla diffusione delle idee e delle informazioni, andò in crisi verso la metà del XVII secolo a causa dell’indebolimento del potere monarchico. Nel 1641 la Star Chambler, la quale garantiva il monopolio della Corporazione nonché le licenze di stampa, venne abolita con la conseguente perdita del diritto esclusivo di stampa da parte degli Stationers. Essendo un duro colpo alle economie dei membri della Corporazione, essi si rivolsero al Parlamento facendo leva su un argomento che oggigiorno, nell’era digitale, ancora viene utilizzato come giustificazione più che legittima del loro lavoro, ma che faticava e fatica a rimanere in piedi: ossia che gli autori erano incapaci di distribuire le proprie opere privatamente; non avevano i mezzi né le 22
  • 23. finanze necessari per stampare e distribuire delle copie, così che la Corporazione diventava indispensabile agli autori stessi e alla crescita culturale del Paese. Il Parlamento emanò quindi il Licensing Order nel 1643, che ripristinava la situazione iniziale di monopolio da parte della Corporazione dei Librai di Londra. Ovviamente l’autonomia e i diritti che venivano riconosciuti agli autori erano del tutto inutili in quanto non avevano alternative al firmare per cedere i propri diritti ad un editore per poter pubblicare le loro opere, quindi le cose rimanevano sostanzialmente immutate dal punto di vista del diritto dato l’enorme potere contrattuale della Corporazione. Inutile sottolineare il derivante regime di censura preventiva alle dipendenze del potere politico e il controllo assoluto della cultura da parte del governo. Con la restaurazione del potere monarchico venne emanato nel 1662 il Licensing Act che confermò la situazione esistente, ribadendo il “Diritto di Copia” degli Stationers. Tale Atto permetteva inoltre di perquisire l’abitazione di coloro i quali venivano sospettati di detenere libri privi di licenza; non proprio un passo verso la civiltà. Sulla base delle rimostranze sopracitate da parte della Corporazione dei Librai di Londra, vide la luce quella che viene 23
  • 24. riconosciuta come la prima vera normativa moderna sul copyright, e cioè lo “Statuto della Regina Anna”, emanato in Inghilterra nel 1710. Tale editto, intitolato “An Act for encouragement of learning” intendeva usare il copyright come incentivo alla produzione culturale e alla creatività: per la prima volta l’autore e non l’editore veniva riconosciuto legalmente come il detentore dei diritti di riproduzione delle proprie opere. Ma a differenza del passato, questo monopolio non era perpetuo bensì limitato nel tempo: per le opere già pubblicate in precedenza, l’autore deteneva il monopolio sulle proprie opere per 21 anni e 14 per le opere successive all’editto. Questo diritto era comunque ritenuto ancora non una naturale conseguenza derivante dalla creazione dell’opera ma come una costruzione politica, un qualcosa che veniva concesso. Infatti, perché venisse riconosciuto, l’autore di un’opera aveva l’onere di registrarla presso un apposito ufficio pubblico. Alla scadenza dei 14 anni l’autore poteva prorogarlo per altri 14 anni scaduti i quali l’opera diventava di dominio pubblico. Per rendere più appetibili le loro rimostranze, gli Stationers proposero al Parlamento che l’autore di un’opera ne detenesse il copyright, diritto che poteva essere trasferito, venduto ad altri tramite un contratto, così come avveniva per una qualsiasi altra proprietà. Nel rinnovato clima liberale il Parlamento con questo editto intendeva 24
  • 25. eliminare il monopolio preesistente sulla produzione e sul commercio dei libri e la conseguente attività di censura da parte della Corona per cui accettò tale proposta. Come già precisato, era una mera consolazione per gli autori, in quanto per poter stampare e distribuire le proprie opere dovevano comunque rivolgersi alla Company of Stationers e cedere i propri diritti sulle stesse. Non solo, è difficile pensare che un autore che scriva un libro per esprimersi, per dire qualcosa, intenda poi esercitare il diritto a non pubblicare l’opera riconosciuto dallo Statute of Anne. Seguirono altre leggi in merito alla proprietà intellettuale tra cui è fondamentale ricordare quelle emanate in Francia negli anni 17911793, dopo la Rivoluzione francese in un clima culturale di riaffermazione dei diritti dell’uomo, in cui compare il droit d’auteur, il cosiddetto diritto d’autore, che riconosceva infine la proprietà letteraria ed artistica e che si contrapponeva per certi aspetti al copyright anglosassone. Negli Stati Uniti fu ripresa la normativa britannica e nel 1790 fu scritta la prima legge sul copyright che veniva attribuito agli autori a condizione che registrassero le loro opere presso un apposito ufficio. Come in Inghilterra, esso durava 14 anni con possibilità di rinnovo di altri 14 anni, solo se l’autore era ancora in vita e ne faceva richiesta 25
  • 26. esplicita. Traduzioni ed opere derivate erano considerate di pubblico dominio. In questo la Costituzione e le normative sul diritto d’autore americane erano più liberali. In una lettera ad Isaac McPherson del 1813, il presidente e padre fondatore degli Stati Uniti, nonché autore ed inventore Thomas Jefferson, così scriveva: “Se la natura ha creato una cosa meno soggetta delle altre alla proprietà esclusiva, questa è l’azione della potenza del pensiero chiamata idea, che un singolo può possedere in maniera esclusiva finché la tiene per sé; ma nel momento in cui essa è divulgata, costringe se stessa a essere proprietà di ognuno, e chi la riceve non può restituirla […]. Colui il quale riceve un’idea da me, riceve istruzioni senza diminuire le mie, così come colui il quale accende la propria candela con la mia, riceve luce senza toglierla a me. Tali idee dovrebbero essere diffuse da una persona all’altra per tutto il globo, per l’istruzione morale e reciproca dell’uomo e il miglioramento della sua condizione, il quale sembra essere stato progettato in maniera peculiare e benevola dalla natura […].”1 Con lo sviluppo dei mezzi di comunicazione, da un lato, e di riproduzione delle opere, dall’altro, si rese necessario poi un sistema 1 Jefferson T., Lettera ad Isaac McPherson: No patents on ideas, Charlottesville, 1813 26
  • 27. di tutela che fosse sovranazionale. Furono stipulate una serie di convenzioni tra i diversi Stati confluite nel 1886 nella cosiddetta Convenzione di Berna, per la protezione di opere letterarie ed artistiche, di cui è bene ricordare due regole importanti: una uguale tutela per i cittadini degli Stati aderenti alla convenzione e il riconoscimento reciproco tra gli Stati membri del diritto d’autore. Seguì la Convenzione Universale sul Diritto d’Autore, stipulata nel 1952 da 32 Stati, tra cui Stati Uniti ed Italia che non avevano aderito alla Convenzione di Berna. Essa nacque con lo scopo di creare un sistema di protezione delle opere d’ingegno che fosse universale, per tutelare l’autore e rendere più agevole la divulgazione di opere letterarie, artistiche e scientifiche tra gli stati membri. Tale convenzione riconosceva inoltre all’autore il diritto esclusivo di tradurre e pubblicare o di autorizzare a tradurre e a pubblicare la propria opera. Un’altra attraverso importante la organizzazione cooperazione atta internazionale a la “promuovere creazione, disseminazione, uso e protezione della mente umana per il progresso 27
  • 28. economico, culturale e sociale di tutta l’umanità”2 è la World Intellectual Property Organization del 1967 (WIPO). 1.1.1 Sviluppo del diritto d’autore italiano In Italia furono emanate delle leggi per l’istituzione del diritto d’autore nel 1836, nel Codice Civile albertino, e nel 1840 nel decreto di Maria Luigia. Ma è nel 1865 che vede la luce la legge 2337, la prima normativa sul diritto d’autore nel neonato Regno d’Italia. Come le leggi degli stati Italiani, che l’avevano preceduta, s’ispirava al modello francese, fondato sui principi liberisti del Codice Napoleonico e quindi al droit d’auteur di cui sopra. Seguirono numerosi ritocchi ad essa fino ad arrivare alla legge n.633 del 1941 ancora oggi in vigore pur con alcuni aggiustamenti dovuti all’armonizzazione delle disposizioni comunitarie, la quale riconosce all’autore diritti morali ed economici sulle opere da lui create per ogni ambito dell’ingegno. Altre direttive sul diritto d’autore compaiono agli articoli 25752583 del Codice Civile del 1942. Manca invece un riferimento esplicito alla tutela del diritto d’autore nella Costituzione anche se alcuni principi in essa enunciati possono benissimo riferirsi a questo 2 WIPO Intellectual Property Handbook, Ginevra, 2001 28
  • 29. argomento. La Costituzione infatti garantisce i diritti inviolabili dell’uomo (art.2), spinge il cittadino a concorrere al progresso della società (art.4), promuove lo sviluppo della cultura e della ricerca (art.9) e tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni (art.35). 1.2 Funzionamento del diritto d’autore Erroneamente nel nostro Paese si tende a considerare il copyright come le norme sul diritto d’autore vigenti in Italia usando i due concetti quindi come sinonimi, ma così non è. Il copyright è tipico degli ordinamenti giuridici di matrice angloamericana (i sistemi di common law) ed è chiaramente volto a promuovere l’editoria. Tende cioè a tutelare a priori l’interesse del soggetto imprenditoriale che si impegna ad investire nella produzione e nella commercializzazione delle copie di un’opera. Ne consegue che è tutelabile qualsiasi opera che possa essere commercializzata, il che pone in secondo piano l’attività creativa dell’autore. Secondo questo modello l’autore di un’opera ha su di essa dei diritti economici che cede in blocco, attraverso la stipulazione di un contratto, ad un imprenditore che si impegna a commercializzare l’opera in cambio di un dato compenso monetario. Nel momento in cui questi diritti vengono ceduti, trasferiti all’imprenditore tramite il contratto, è questi 29
  • 30. ad avere la facoltà di decidere come gestire l’opera in questione. Negli Stati Uniti la normativa inerente al copyright è garantita dal Titolo 17 dello United States Code. Le violazioni di tale normativa vengono quindi considerate reato federale e punibili, in sede civile, con multe per un ammontare massimo di 100.000 dollari. La tutela dura fino ai 70 dalla morte dell'autore per le opere create prima del 1978 e per le opere in comunione ai 70 anni dalla morte dell'ultimo coautore. Per le opere fatte su commissione e per quelle anonime o distribuite sotto pseudonimo la durata del copyright va da 95 a 120 anni dalla prima pubblicazione. Nella legge statunitense compare inoltre il concetto di fair use, utilizzo equo, ossia la possibilità di citare liberamente senza autorizzazione un’opera o di utilizzare materiale protetto da copyright di altri nella propria opera, sulla base di alcune condizioni e comunque per usi che abbiano scopi didattici o scientifici. Anche in Italia ci si sta domandando se estendere questo tipo di comportamento per le attività didattiche, data la richiesta da parte della Siae, la Società Italiana degli Autori ed Editori, un ente pubblico ed economico su base associativa, incaricato della protezione e dell’esercizio del diritto d’autore, di un compenso per i diritti sulle opere utilizzate a tale scopo. 30
  • 31. Il diritto d’autore, invece, tipico del diritto di tradizione romanogermanica (dei sistemi di civil law) nel quale rientra anche quello italiano, attribuisce maggiori prerogative all’autore. Infatti, anche una volta ceduti i diritti patrimoniali a terze parti, l’autore detiene comunque un certo controllo sulla sua opera. Ciò è possibile in quanto il diritto d’autore assicura una gamma più vasta di diritti, oltre a quelli patrimoniali, al creatore di un’opera. Sono i cosiddetti diritti morali, che attengono alla sfera personale dell’autore e che riconoscono all’opera un valore aggiunto oltre a quello puramente commerciale: un valore morale legato all’onore e al rispetto dell’autore anche dopo la sua morte. Le differenze tra i due modelli sono state nel tempo mitigate attraverso l’istituzione di organizzazioni internazionali come la WIPO con lo scopo di garantire una tutela dei diritti d’autore su scala internazionale e attraverso l’inarrestabile processo di globalizzazione dei mercati che ha favorito l’esportazione del modello del copyright nei Paesi di civil law. Questi due tipi di tutela della proprietà intellettuale sono possibili in quanto legati al concetto di diritto esclusivo, il cosiddetto ius excludendi alios, ossia la possibilità di escludere altri dall’esercizio di un diritto. In tal modo il solo soggetto titolare dell’opera può 31
  • 32. esercitare i diritti ad esso connessi. Mentre per i beni materiali tale concetto è implicito poiché derivante dal possesso stesso del bene, per quelli immateriali, come lo sono appunto le opere dell’ingegno, non è così naturale detenerne l’utilizzo esclusivo. Qui interviene il diritto che attribuisce degli strumenti all’autore grazie ai quali esercitare un controllo sulla fruizione delle sue creazioni da parte degli utenti finali. Attraverso la cessione dei diritti esclusivi si determinano i vari rapporti contrattuali, sullo sfruttamento economico e sui vari utilizzi delle opere, tra gli autori e la rete di imprenditori, ad esempio gli editori, che permettono la produzione e la commercializzazione delle copie. Il diritto d’autore, contrariamente a quanto si pensa, è per così dire automatico: a differenza del brevetto, che necessita di una registrazione presso uffici appositi, i diritti relativi ad un’opera dell’ingegno vengono acquisiti dall’autore dell’opera con la semplice creazione della stessa e durano fino a 70 anni dalla morte dell’autore. Di contro i diritti sul brevetto, il quale attiene alle invenzioni industriali a condizione che siano nuove, implichino un’attività inventiva e possano avere un’applicazione industriale, si acquisiscono attraverso la registrazione dell’invenzione presso appositi uffici e 32
  • 33. durano per 20 anni a partire dalla data di registrazione senza possibilità di rinnovo. 1.2.1 Requisiti del diritto d’autore Rientrano nella categoria delle opere protette dal diritto d’autore le opere dell’ingegno alle quali venga riconosciuto un carattere creativo, qualunque sia la loro forma di espressione. Il carattere creativo di un’opera, citato dalla scienza giuridica come requisito per la tutela del diritto d’autore, si articola in due concetti: l’originalità e la novità. Perché un’opera sia originale si richiede che essa sia il frutto di un lavoro particolare da parte dell’autore, che ne trasmetta quindi la personalità, lo stile. È un concetto di difficile definizione, pertanto la giurisprudenza accorda tutela anche ad opere il cui contributo intellettuale è modesto, non necessariamente qualcosa di eccezionale. Per quanto riguarda la novità, tale concetto si articola in novità soggettiva, una sovrapposizione dell’attributo di originalità, e novità oggettiva, che è quella tenuta in conto dalla giurisprudenza e che si attribuisce ad un’opera che presenti elementi essenziali e caratterizzanti grazie ai quali possa essere oggettivamente distinta da un’altra appartenente allo stesso genere. Questo attributo è importante 33
  • 34. soprattutto nelle controversie legali in fatto di plagio, ossia l’imitazione di un’opera altrui o l’appropriazione della paternità dell’opera altrui, e di incontro fortuito, ossia la somiglianza inconsapevole tra opere di autori diversi. Il primo articolo della Legge 633/41 riconosce come giuridicamente rilevante, e quindi tutelabile col diritto d’autore, la sola forma espressiva dell’opera. Questo è un concetto importante: non viene tutelata l’idea creativa, ma il modo in cui questa si concretizza, il modo in cui viene rappresentata dall’autore, la sua espressione. Per comprenderlo appieno, è utile prendere in considerazione la differenziazione concettuale presentata dal giurista tedesco Kohler per cui:”La forma esterna è la forma con cui l'opera appare nella sua versione originaria (insieme di parole e frasi nelle opere letterarie, nella melodia, ritmo e armonia nell'opera musica, ecc.), la forma interna è la struttura espositiva dell'opera (l'organizzazione del discorso, la scelta e la sequenza degli argomenti nell'opera letteraria, i passaggi essenziali del discorso musicale e nelle note determinanti la linea melodica nell'opera musicale, ecc.). Il contenuto è l'argomento trattato, le informazioni, i fatti, le idee, le opinioni, le teorie in quanto tali, è cioè a prescindere dal modo in cui essi sono scelti, coordinati e presentati. Secondo tale teoria, la tutela ha per 34
  • 35. oggetto sia la forma esterna che interna, ma non il contenuto. Quindi il diritto d'autore protegge la forma espressiva dell'opera, e non si estende al contenuto.”3 1.2.2 Prove della paternità dell’opera Come detto più volte, l’autore acquisisce il diritto sulle proprie opere nell’istante stesso in cui esse vengono create e non necessita di una registrazione. Tuttavia nel caso in cui si incappi in controversie legali, cioè in casi di plagio o di incontro fortuito, è importante un’attestazione della paternità dell’opera e della data di creazione della stessa da parte del suo autore. Le modalità attraverso cui ottenere un tale riconoscimento, che abbiano natura probatoria, sono le seguenti: pubblicarla su un’edizione periodica, ossia un giornale o una rivista nel caso in cui sia un opera letteraria; depositarla presso un notaio, la soluzione più costosa; fare in modo che vi venga apposto un timbro postale, depositarla presso un apposito ufficio della Siae o di altri enti specializzati e depositarla presso enti pubblici che sono tenuti a protocollare e registrare tutti i tipi di documenti. 3 Kohler J., Urheberrecht an Schriftwerken und Verlagsrecht, Enke, Stoccarda 1907 35
  • 36. Nel caso dell’utilizzo del timbro postale come prova, questo ha valenza giuridica se si invia a se stessi la propria opera tramite un plico sigillato, spedito a mezzo raccomandata con ricevuta di ritorno, purché il timbro venga apposto direttamente sull’opera stessa. Quindi l’opera deve fare un corpo unico col foglio sul quale si appone il timbro.4 Un altro metodo è quello di inviare una raccomandata al Presidente della Repubblica, il quale è tenuto per legge a protocollare tutto ciò che gli viene spedito tramite posta. Nel caso del deposito presso appositi uffici, ci si può rivolgere alla Siae, l’ente italiano preposto alla protezione e all’esercizio del diritto d’autore, alla Società Raccolta e Salvaguardia Arte o alla Writers Guild of America, solo per opere letterarie, le quali a fronte di una quota in denaro corrispondono il deposito dell’opera e la garanzia della datazione della stessa per un certo numero di anni. Grazie alla tecnologia digitale stanno nascendo altri metodi di tutela in questo senso, come ad esempio la firma digitale certificata. Il suo uso è disciplinato dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 445 del 28 dicembre 2000. Essa si applica attraverso la tecnica del 4 Come emerge dallo studio 3154 del 2000, approvato dalla Commissione Studi del Consiglio Nazionale del Notariato 36
  • 37. timestamping, marca temporale, e dell’e-mail certificata, il corrispettivo telematico della raccomandata la quale aggiunge la garanzia dell’integrità dell’opera che può essere inviata sotto forma di file allegato. 1.2.3 Tipologia di opere tutelate Le opere che secondo la legge sul diritto d’autore 633/41 sono tutelate sono le opere letterarie, musicali, quelle appartenenti alle arti figurative, all’architettura, le opere teatrali, le opere cinematografiche e quelle fotografiche. Tale elenco, presentato all’articolo 2 della suddetta legge, non ha carattere tassativo ma solo esemplificativo; dunque possono essere tutelate anche altre forme di creatività non specificate dalla legge, purché presentino caratteristiche delle opere dell’ingegno. In seguito al recepimento delle direttive europee rientrano nella categoria di opere protette dal diritto d’autore italiano anche i programmi per elaboratore, ossia il software, e le banche dati, archivi strutturati ai quali si può accedere tramite particolari applicazioni informatiche. Un’altra classificazione delle opere protette, contenuta negli articoli 3, 4 e 10 della L.D.A. 633/1941 prevede la protezione di 37
  • 38. quelle che vengono chiamate elaborazioni di carattere creativo, come la traduzione di un’opera in un’altra lingua o la trasposizione di un’opera da una forma ad un'altra: è il caso ad esempio dei film tratti da libri. Questo a condizione che la rielaborazione denoti un contributo creativo ben visibile rispetto all’opera preesistente; altre sono le opere collettive, ossia derivanti dalla riunione di opere o di parti di opere che denotino una creazione autonoma con uno specifico fine letterario, scientifico o artistico; infine sono protette le opere in comunione, cioè create da più persone e il cui contributo sia indistinguibile e inscindibile, alle quali spettano i diritti sull’opera in modo equo. 1.2.4 Diritti riconosciuti all’autore Su queste tipologie di opere la legge 633/41 accorda al loro autore diritti di tipo personale, i cosiddetti diritti morali, e i diritti di tipo patrimoniale, ossia inerenti allo sfruttamento economico. I diritti morali sono tesi a tutelare la sfera personale dell’autore, il suo onore e la sua reputazione, attraverso una corretta comunicazione al pubblico del suo lavoro creativo. Si riconosce all’autore che l’opera porta con se un valore aggiunto oltre al semplice sfruttamento economico della stessa, un valore morale. Questi diritti sono 38
  • 39. inalienabili, irrinunciabili e perpetui: alla morte dell’autore vengono difatti gestiti dagli eredi. Ciò significa che anche dopo la cessione dei diritti patrimoniali, l’autore mantiene un certo controllo sulla sua opera. Rientrano per legge sotto la classificazione di diritti morali il diritto a rivendicare la paternità dell’opera, il diritto di opporsi a deformazioni o mutilazioni dell’opera che pregiudichino l’onore e la reputazione dell’autore e il diritto di ritirare l’opera dal commercio per ragioni morali. I diritti patrimoniali vengono riconosciuti all’autore, o ad altri soggetti ad esso connessi, sulla base dell’attribuzione di un valore economico allo sfruttamento dell’opera. Sono scomponibili, cioè possono essere ceduti non necessariamente in blocco, e alienabili, quindi possono essere trasferiti tramite contratto ad editori o produttori senza l’intervento dello Stato. Questo è possibile in quanto il diritto d’autore attiene a questioni di diritto privato, non pubblico, cui appartiene anche l’attività contrattuale. Ciò conferisce una certa autonomia ai cittadini italiani che possono così regolare i loro rapporti giuridici attraverso un contratto, che “ha forza di legge tra le parti”5, 5 Secondo l’articolo 1372 del Codice Civile, sull’Efficacia del contratto 39
  • 40. senza l’intervento delle istituzioni. L’attività contrattuale, ovviamente, può essere condotta esclusivamente entro i limiti imposti dalla legge. I diritti patrimoniali si distinguono in: diritti di utilizzazione economica e diritti connessi. I diritti di utilizzazione economica a loro volta sono: il diritto esclusivo di produrre copie dell’opera, il diritto esclusivo di trascrivere l’opera, il diritto esclusivo di eseguire, rappresentare o recitare in pubblico l’opera; il diritto di comunicare al pubblico l’opera servendosi di mezzi di diffusione a distanza; il diritto esclusivo di distribuire, tradurre, elaborare, modificare l’opera; il diritto esclusivo di pubblicare le opere dell’autore in raccolta e il diritto esclusivo di noleggiare, dare in prestito e autorizzare il noleggio della propria opera. Tali diritti durano fino a 70 anni dalla morte dell’autore. Per le opere create in collaborazione, nel caso di opere in comunione, essi scadono alla morte dell’ultimo coautore. Nel caso di opere collettive, in cui il contributo dei vari autori sia riconoscibile, la durata dei diritti di utilizzazione economica di ogni autore si determina in base alla vita di ciascuno. Per quanto riguarda i diritti connessi questi sono relativi ad attività professionali, intellettuali e commerciali, determinanti per la 40
  • 41. distribuzione e la fruizione dell’opera da parte degli utenti finali. Sono diritti esclusivi ed appartengono a soggetti diversi dall’autore dell’opera ed il loro esercizio molto spesso si sovrappone a quello dei diritti dell’autore. È su questi diritti che si fonda l’attuale mercato dell’intrattenimento. Questi diritti riguardano la produzione di fonogrammi, nello specifico la riproduzione la distribuzione e il noleggio dei fonogrammi di cui si è curata l’incisione; la produzione di opere cinematografiche o audiovisive, quindi la loro riproduzione, la distribuzione e il noleggio; l’emissione radiofonica e televisiva. In tutti questi casi tali diritti hanno durata di 50 anni dall’avvenuta fissazione dell’opera su un supporto materiale o dalla prima diffusione. Rientrano in questa categoria inoltre i diritti degli artisti interpreti ed esecutori che eseguono opere dell’ingegno tutelate o di dominio pubblico: essi hanno sulle loro esibizioni diritto esclusivo di autorizzare la fissazione, la produzione di copie, la distribuzione, il noleggio. Anche in questo caso tali diritti hanno durata cinquantennale dalla prima diffusione. Per finire, sono diritti connessi quelli relativi alle fotografie, che durano venti anni dalla loro produzione e i diritti relativi al ritratto, sia esso scultoreo, pittorico o fotografico: nel caso di persone, queste hanno il diritto di impedire l’esposizione, la 41
  • 42. riproduzione e la messa in commercio dei ritratti alla loro persona se non hanno prestato il loro consenso. 1.2.5 Libere utilizzazioni Tenendo in considerazione il fatto che il diritto d’autore ha lo scopo di dare un incentivo alla cultura bisogna considerare la questione sia dal punto di vista dell’autore che del fruitore dell’opera. Ci sono dei casi in cui la ferrea applicazione delle normative sul diritto d’autore va a rendere difficile questa spinta all’incentivo culturale cui il diritto d’autore intende partecipare. Pertanto sono state previste delle libere utilizzazioni, ossia delle modalità di utilizzo delle opere protette da diritto d’autore in modo del tutto legale. Sono permesse la riproduzione e la comunicazione di articoli di attualità, discorsi ed estratti di conferenze su argomenti di interesse pubblico, sempre che tale utilizzazione non sia stata negata dal detentore dei diritti; è permessa la fotocopia di opere nelle biblioteche purché senza vantaggi economici da parte di queste, nel limite del quindici per cento di ciascun volume; è permesso il riassunto o la citazione di parti di opera per fini scientifici, di insegnamento o di 42
  • 43. critica o per studio personale, purché venga menzionato l’autore, il titolo dell’opera, editore e traduttori.6 1.2.6 Trasmissione dei diritti La legge sul diritto d’autore specifica anche le modalità entro le quali i diritti possono essere trasferiti tra soggetti diversi. Per legge la trasmissione dei diritti di utilizzazione deve essere provata per iscritto quindi attraverso un contratto. Ciò implica che in caso di controversia legale riguardante l’avvenuta trasmissione dei diritti, il detentore originario di questi, quindi l’autore dell’opera, si troverà in una posizione privilegiata rispetto alla controparte che dovrà provare di aver ricevuto i diritti legalmente, presentando una prova scritta di questo. Viene trattata nello specifico anche una tipologia particolare di contratto, ossia il contratto di edizione secondo il quale l’autore cede all’editore il diritto di pubblicare la sua opera dell’ingegno a spese dell’editore stesso. Nella legge è specificato il principio di indipendenza dei diritti esclusivi: l’autore e detentore originario dei diritti sull’opera non è obbligato a trasferirli in blocco ad un unico editore, ma può stabilire quali diritti e a chi cederli separatamente. 6 Come si evince dagli articoli da 65 a 71 decies, Capo V del titolo I della L.D.A. 633/1941 43
  • 44. Ovviamente ciò che accade nella realtà è che l’autore di un’opera, in special modo se emergente, è “costretto” a cedere tutti i diritti sulla sua opera ad un unico soggetto pur di poterla diffondere e ricevere un compenso economico. Questa è diventata ormai la prassi diffusa nell’industria culturale a causa dell’elevato potere contrattuale dei gruppi editoriali, delle case discografiche e dell’industria dell’intrattenimento in generale, che possono stipulare contratti che li privilegino a scapito degli autori. Questa pratica standardizzata, divenuta ormai assolutamente normale, è dovuta al fatto che gli autori hanno, o meglio avevano fino allo sviluppo vertiginoso della rete internet, bisogno degli editori come figure intermedie che li facciano conoscere alle masse. 1.3 La S.I.A.E. Oltre alla tutela rappresentata dalle normative analizzate vi è un ulteriore strumento che l’autore può utilizzare per assicurarsi il controllo dei diritti sulle sue opere: la gestione collettiva dei diritti esclusivi. Questo tipo di gestione dei diritti inerenti allo sfruttamento economico dell’opera deriva dal fatto che, come osservato, essi sono abbastanza numerosi e vi è la possibilità per legge di cederli 44
  • 45. separatamente a soggetti diversi, il che rende la gestione dei diritti una pratica complicata. La gestione di tutti questi diritti da parte del solo autore, per di più non pratico di questioni legali, potrebbe risultare impossibile da attuare soprattutto se individualmente; d’altro canto la situazione sarebbe difficile anche da parte di editori, produttori, registi, che per poter utilizzare l’opera di un dato autore in una determinata maniera, dovrebbero andare alla ricerca del detentore di quel diritto particolare che si vuole ottenere. Pertanto sono stati creati enti per la gestione collettiva dei diritti sulle opere che facciano da tramite in questo tipo di scambio al fine di renderlo più agevole. In Italia l’ente preposto alla gestione collettiva dei diritti esclusivi è la S.I.A.E, la Società Italiana degli Autori ed Editori; negli States ve ne sono diversi a seconda del tipo di opera di cui si gestiscono i diritti: l'A.M.R.A., l'A.R.S., la B.M.I., la N.M.P.A. e la S.E.S.A.C. Inc per quanto riguarda le opere musicali; l'A.R.S. e la V.A.G.A per le opere grafiche; la D.G.A. per le opere audiovisive, la W.G.A. per le opere di drammatizzazione e audiovisive e per finire The Author's registry Inc. per le opere letterarie.7 Gran parte degli enti di gestione collettiva dei 7 Dal CISAC's members societies list and their repertoires, aggiornato al Giugno 2009 45
  • 46. diritti sulle opere sono membri del C.I.S.A.C, la Confederazione Internazionale delle società di autori e compositori, un’organizzazione internazionale non-profit composta da gran parte delle società delle varie Nazioni che amministrano tutte le categorie del diritto d'autore. 1.3.1 Il monopolio velato Per quanto riguarda il caso italiano, l’articolo 180 della Legge 633/1941 sul diritto d’autore ai commi 1 e 2 cita: “L'attività di intermediario, comunque attuata, sotto ogni forma diretta o indiretta di intervento, mediazione, mandato, rappresentanza ed anche di cessione per l'esercizio dei diritti di rappresentazione, di esecuzione, di recitazione, di radiodiffusione ivi compresa la comunicazione al pubblico via satellite e di riproduzione meccanica e cinematografica di opere tutelate, è riservata in via esclusiva alla Società italiana degli autori ed editori (SIAE). […] La suddetta esclusività di poteri non pregiudica la facoltà spettante all'autore, ai suoi successori o agli aventi causa, di esercitare direttamente i diritti loro riconosciuti da questa legge. […]”8 8 L.D.A. n. 633, del 1941: Protezione del diritto d'autore e di altri diritti connessi al suo esercizio, in G.U. n. 166, del 1941 46
  • 47. La situazione di monopolio che traspare dalla prima parte della legge, la quale prevede che la gestione collettiva dei diritti possa essere esercitata solo dalla S.I.A.E, sembra essere mitigata dal seguito, in cui è specificato che l’autore non è costretto a rivolgersi a questo ente, ma può esercitare i diritti sulla propria opera privatamente. Inutile sottolineare quanto questo sia difficile se non addirittura impossibile per un solo soggetto, per di più non pratico di questioni legali. Inoltre si rischierebbe così di lasciare scoperta un’ampia fetta di diritti esercitabili solo grazie ad un apparato organizzato e con un certo potere contrattuale. L’autore può delegare la gestione dei diritti sulle sue opere alla S.I.A.E. in due modi, attraverso l’associazione ed il mandato: si può stringere un rapporto di associazione nel caso in cui chi ne fa richiesta sia un autore, un editore, un concessionario etc. italiano o di un Paese appartenente all’Unione Europea; si legano all’ente con un rapporto di mandato, invece, gli autori, gli editori, i concessionari etc. che non sono cittadini, che non hanno la nazionalità di un Paese membro dell’Unione Europea o che pur possedendo i requisiti per l’associazione non intendono instaurare tale rapporto. Con l’associazione alla S.I.A.E, infatti, l’autore si assume degli oneri maggiori di quelli previsti dal semplice mandato. Tale rapporto 47
  • 48. lega l’associato all’ente per 4 anni, rinnovabili tacitamente di volta in volta. Grazie alla sua posizione l’associato gode di maggiori diritti ma è altresì obbligato a rispettare delle norme la cui non osservanza porta ad alcune sanzioni che culminano nella radiazione del socio dall’ente. L’iscrizione comporta inoltre la cessione di tutti i diritti su tutte le opere, anche quelle future, da parte dell’autore il quale perde così la facoltà di amministrarli da sé. Col tempo la S.I.A.E. ha assunto sempre più potere nella gestione dei diritti sulle opere sul suolo italiano grazie al Governo stesso che le ha attribuito competenze sempre più ampie. Ciò è reso possibile dall’articolo 181 L.D.A. che concede alla S.I.A.E. di esercitare altri diritti connessi alla protezione delle opere dell’ingegno oltre a quelli già previsti. In virtù di tale concessione, nel 2000 la Legge 248 ha apportato modifiche alla legge sul diritto d’autore, aggiungendovi l’articolo 182 bis, in cui vengono elencate le nuove competenze assegnate all’ente. Queste rendono ancora più rigido il monopolio della S.I.A.E. in quanto attengono alla riproduzione, alla duplicazione e alla distribuzione di opere, nell’ottica della prevenzione di possibili violazioni della legge sul diritto d’autore. La S.I.A.E. nella sua attività di gestione dei diritti per conto degli autori e della raccolta e ridistribuzione dei compensi economici 48
  • 49. derivanti dall’utilizzo delle opere protette, si avvale della collaborazione di associazioni di rappresentanza di categorie professionali che partecipano alla grande macchina dell’industria culturale italiana. Queste sono costituite dall'unione di soggetti che hanno interessi nella produzione culturale del paese e che hanno stretto legami con la S.I.A.E. per tutelarli. Non sono enti riconosciuti dallo Stato, tuttavia sono queste associazioni che hanno ampia influenza sui cambiamenti che vengono impressi alle normative che riguardano i diritti d’autore contribuendo ad ostacolare la crescita culturale del paese e la fruizione delle opere dell’ingegno. 1.4 Topolino contro il pubblico dominio Allo scadere della durata dei diritti di utilizzazione economica di un’opera, essa rientra nell’ambito di quello che è stato definito pubblico dominio. Il pubblico dominio è “il complesso e l'università dei beni - ed in particolare delle informazioni - insuscettibili di appropriazione esclusiva da parte di alcun soggetto pubblico o privato, e che sono invece disponibili al libero impossessamento ed uso da parte di chiunque.”9 9 Fonte http://it.wikipedia.org/wiki/Pubblico_dominio 49
  • 50. La durata del diritto d’autore è cambiata varie volte nel tempo soprattutto sotto la pressione dei grandi gruppi imprenditoriali. Negli Stati Uniti l’ultima modifica temporale risale al 1998, anno in cui è stato emanato il Copyright Term Extension Act (CTEA), che ha esteso la durata del copyright di 20 anni. Questo ne ha aumentato la validità a 70 anni dalla morte dell’autore, a 120 anni dalla creazione dell’opera o a 95 anni dalla prima pubblicazione per i lavori realizzati da dipendenti, i cui diritti si trasferiscono al datore di lavoro. Per le opere pubblicate prima del 1978 il limite è stato aumentato a 95 anni dalla prima pubblicazione. Tale estensione è stata poi adottata in altri Paesi tra cui quelli dell’Unione Europea. Pochi sanno che questa legge è chiamata anche the Mickey Mouse Protection Act10 perché ottenuta sotto la pressione del colosso Disney: la prima apparizione di Topolino infatti risale al 1928, nel cortometraggio Steambot Willie. Questo cortometraggio è stato più volte sul punto di entrare a far parte delle opere liberamente fruibili del pubblico dominio ma puntualmente una legge è intervenuta ad allungare la durata del copyright statunitense. Dopo l’ultima modifica, 10 Fonte http://en.wikipedia.org/wiki/Sonny_Bono_Copyright_Term_Extension_Act#cite_ref-1 50
  • 51. quella del 1998, questo cortometraggio diventerà di pubblico dominio nel 2023. Forse. Questo è un esempio di come i grandi gruppi industriali legati al mondo dell’editoria, della musica e dell’intrattenimento in generale, facciano pressioni sul sistema politico per potersi garantire lo sfruttamento di opere anche diverso tempo dopo la morte dell’autore. Il tutto pare assolutamente privo di senso se si considera il diritto d’autore secondo la sua originaria funzione di incentivo alla produzione culturale. In un’epoca in cui tutto è stato già fatto o detto, come suona un celebre ritornello, la produzione culturale non può fare a meno della rielaborazione delle opere precedentemente create per dar vita a nuove idee. Tuttavia la legge sta rendendo sempre più difficile la creazione di opere derivate e la loro fruizione. 51
  • 52. Capitolo 2 L’era digitale e il copyleft 2.1 Il software libero Per comprendere come è nata l’idea di un modello alternativo della gestione del diritto d’autore bisogna fare un excursus sulla storia dell’informatica e di internet alla quale essa è strettamente collegata. I primi calcolatori elettronici hanno fatto la loro comparsa sul finire della seconda guerra mondiale. Questi erano di dimensioni impressionanti, data la modesta tecnologia a disposizione, ed arrivavano anche ad occupare interi edifici. Solo in seguito, grazie all’invenzione dei transistor e al processo di miniaturizzazione, si poterono ottenere computer sempre più piccoli. Questi calcolatori di dimensioni enormi potevano svolgere pochissime funzioni, per lo più determinate dal loro schema elettrico, ed erano utilizzati esclusivamente per la sperimentazione in ambito universitario e militare. Col passare degli anni lo sviluppo tecnologico ha permesso ai calcolatori di diventare più complessi e di svolgere più funzioni, attraverso comandi impartiti grazie ad un sistema operativo, un software responsabile del controllo e della gestione dei componenti 52
  • 53. elettronici, l’hardware di un computer, che permette all’utente di interagire con la macchina. I primi sistemi operativi erano però specifici per ogni calcolatore su cui venivano utilizzati, quindi in caso di aggiornamento o sostituzione bisognava riprogrammare gran parte del sistema. 2.1.1 Unix e la nascita del mercato del software Una svolta in questo campo avviene nel 1969, anno in cui vede la luce il sistema operativo Unix, ideato da Ken Thompson, sviluppatore dei laboratori Bell. Questo evento rappresenta un grosso passo in avanti per l’informatica in quanto Unix è stato il primo sistema operativo ad essere compatibile con più calcolatori elettronici. La nascita di un tale sistema pose fine al legame indissolubile tra hardware e software, rendendo i due campi indipendenti l’uno dall’altro. Il software infatti fino ad allora non poteva essere venduto separatamente in quanto, come accennato, era specifico per un certo computer e soltanto per quello. Grazie ad Unix il software cominciò ad acquisire una propria autonomia il che fece nascere un proprio mercato informatico. 53
  • 54. I primi programmatori informatici, che costituivano la prima comunità hacker, sviluppatasi nell’ambito del MIT, il Massachusetts Institute of Technology, una delle più importanti università di ricerca del mondo con sede a Cambridge, cominciarono così ad uscire dalla loro nicchia isolata dei centri di ricerca per rendere l’utilizzo del computer più familiare e alla portata di tutti. Si impegnarono quindi nella diffusione di questo nuovo strumento cercando di renderlo anche più piccolo ed economico. Nello stesso anno avviene un altro grande evento destinato a segnare il destino dell’informatica e non solo: per la prima volta vengono collegati i centri di ricerca delle università statunitensi di Los Angeles, Stanford, Utah e Santa Barbara per via telematica. Questa “rete”, che prende il nome di ARPAnet, l’ Advanced Research Projects Agency Network, inizialmente concepita in ambito militare durante la guerra fredda allo scopo di risolvere il problema della sicurezza del sistema di comunicazioni, rappresenta il primo passo verso la nascita della rete Internet destinata ad unire tutto il globo. Nei primi anni ’80 nacque il concetto di personal computer (PC) grazie alle prime imprese che avevano scommesso in questo campo ancora molto incerto. Vengono messi sul mercato i primi computer da tavolo da parte della IBM, della Apple e della Atari. Nel contempo lo 54
  • 55. sviluppo del software, che ha cominciato a muoversi in maniera autonoma, vede la nascita del sistema operativo MS-DOS di casa Microsoft. Il computer comincia ad entrare nelle case delle persone anche se l’utilizzo che ne viene fatto non è certo quello di strumento di calcolo bensì mero passatempo e gioco ( si ricordino le prime consolle Atari). Questa diffusione del computer anche presso utenti inesperti, inconsapevoli delle reali potenzialità di questo strumento, portò al frazionamento e alla scomposizione della comunità hacker; cominciò ad allontanarsi dai principi di base della prima generazione i quali ruotavano attorno alla libertà di accesso alle risorse, alla condivisione della conoscenza e alla cooperazione, alla creatività (la programmazione era ritenuta una vera e propria arte); principi portati avanti con grande senso dell’onore e del rispetto, che caratterizzavano tutta la comunità hacker. Negli anni ’80 il mercato informatico comincia a diventare molto appetibile per le imprese, le quali investono sempre più in questo settore e iniziano a proteggere il proprio lavoro per mantenere un vantaggio competitivo sui concorrenti. Queste fanno ricorso perciò al diritto industriale: il copyright, il segreto industriale e i brevetti, a tutela della proprietà intellettuale e degli utilizzi economici del 55
  • 56. software prodotto, facendo contemporaneamente in modo che il codice sorgente, ossia le istruzioni del software scritto secondo un dato linguaggio di programmazione interpretabile dalla macchina, non venisse distribuito come invece avveniva nella comunità hacker. Tutto questo andava contro i principi etici di questa comunità, la quale voleva la conoscenza libera e gratuita. Nasce la figura del programmatore professionista, il quale svolgeva lo stesso identico lavoro dell’ hacker ma animato da una logica di profitto più che da una personale dedizione. 2.1.2 Stallman e la Free Software Foundation In questo clima emerge la figura di Richard Matthew Stallman, laureato in fisica cum laude, esperto programmatore appartenente alla prima comunità hacker e collaboratore del laboratorio di intelligenza artificiale del MIT. Nel 1983 di fronte allo svilimento della cultura hacker e ad una logica improntata sempre di più al guadagno, al marketing, non più allo sviluppo tecnologico e alla condivisione delle idee e delle innovazioni, Richard Stallman abbandona il MIT per dedicarsi a progetti personali mirati al recupero e alla divulgazione dei principi propri della prima comunità hacker. 56
  • 57. Stallman si era fatto un nome nell’ambito della programmazione anche per aver creato e diffuso liberamente un programma editor di testi in seguito molto utilizzato, l’ Emacs, invitando i suoi fruitori ad apportare qualsiasi modifica al programma e a distribuirlo ulteriormente con le medesime modalità sempre insieme al codice sorgente del software. Così facendo Stallman voleva tenere in vita i principi a lui tanto cari della comunità hacker di cui si sentiva l’ultimo sopravvissuto. Al centro dei suoi progetti, una volta abbandonato il centro di ricerca del MIT, vi era la creazione di un sistema operativo di tipo Unix, che non fosse protetto dal copyright tradizionale ma fosse piuttosto distribuibile liberamente. Diede perciò vita al Progetto GNU (acronimo di Gnu is Not Unix, a rimarcare le distanze dal sistema operativo proprietario), allo scopo di creare "un insieme sufficiente di software libero [...] per non dover più usare software non libero"11. Per perseguire tale progetto fonda la Free Software Foundation, nel 1985, un’organizzazione non profit finalizzata alla raccolta fondi, al coordinamento dei progetti attivi e alla loro divulgazione agli utenti informatici. 11 Dal Manifesto GNU, 1985 57
  • 58. Se all’inizio i due progetti procedettero molto lentamente a causa della frammentazione della comunità degli informatici, alla fine degli anni ’80, quando la rete Internet cominciò a contare un numero sempre maggiore di utenti connessi (nell ’89 si arrivò a centomila computer collegati), gli ideali della cultura hacker, assorbiti dalla Free Software Foundation, poterono circolare e raggiungere altri programmatori sparsi per il mondo che li condividevano attraverso essa. 2.1.3 L’alba del copyleft Per poter portare avanti il progetto del sistema operativo GNU, Stallman ideò un meccanismo particolare di copyright basato sui fondamenti della cultura hacker di libera condivisione delle informazioni chiamato Copyleft, grazie all’applicazione di licenze che obbligavano chiunque volesse utilizzare o modificare il software originario a distribuire l’eventuale risultato con le stesse modalità. Così facendo si metteva in moto un circolo vizioso che avrebbe protetto il nuovo sistema operativo da appropriazioni indebite, tutela garantita dalle leggi sul copyright, da parte delle grandi aziende informatiche e al tempo stesso ne avrebbe favorito la diffusione e l’avanzamento progettuale attraverso la condivisione del codice 58
  • 59. sorgente, al contrario di quanto avveniva normalmente per il software proprietario. Il nome Copyleft è un gioco di parole che ha molteplici significati: innanzitutto è una chiara presa di distanza, un ribaltamento di principi del tradizionale regime statunitense, il copyright (left vuol dire sinistra, right destra); nel contempo la parola inglese left è il participio passato del verbo to leave, che significa lasciare, concedere, il che comunica l’idea di un regime di libera condivisione dell’opera. A sottolineare la differenza abissale col modello tradizionale, il simbolo che venne adottato per questo modello è la © commerciale, simbolo del copyright, messa al contrario: . 2.1.4 La prima licenza libera I principi cardine di questo nuovo modo di distribuire il software furono condensati nella prima licenza “libera” che prese il nome dal progetto in seno a cui nacque: la GNU GPL (General Public License), del 1989. La licenza GNU GPL è applicabile al software e permette a chiunque di utilizzarlo liberamente, di studiarlo per capirne il funzionamento, di modificarlo e di distribuirlo pubblicamente. Le condizioni imposte per poterne fare questo utilizzo sono mirate alla 59
  • 60. perpetuazione del modello copyleft: nel distribuire una copia del software o una sua modifica si ha l’obbligo di fornire il suo codice sorgente, per permettere ad altri di modificarlo ulteriormente, e di apporvi un chiaro riferimento alla GNU General Public License, senza la cui applicazione non è possibile distribuire il software derivante. La creazione di questa licenza particolare, che trova il suo fondamento nel copyright statunitense, apportò al progetto di creazione del sistema operativo GNU, e al software libero in generale, una spinta considerevole, dato che i contributi aumentarono notevolmente. Contemporaneamente Stallman cominciò a produrre materiale di matrice ideologica, in cui riassumeva i principi della filosofia seguita dal progetto GNU e dalla Free Software Foundation, e a distribuirli. Marcava la netta contrapposizione tra il software che ne derivava, definito libero, e il software proprietario prodotto per ragioni strettamente legate al guadagno e al marketing anziché allo sviluppo tecnologico. Nonostante la considerevole crescita del software libero e dei contributi allo stesso, il progetto GNU era ancora molto lontano dall’essere ultimato. Il problema maggiore era costituito dal fatto che questo sistema operativo per poter funzionare doveva basarsi ancora 60
  • 61. su una piattaforma di software proprietario, come lo era UNIX. Mancava cioè un kernel del sistema operativo, il suo nucleo centrale, la cui creazione era molto difficoltosa data la scarsa coordinazione del progetto e la frammentazione dei suoi collaboratori. 2.1.5 Linux Il 1991 fu l’anno della svolta: uno studente d’informatica islandese, Linus Torvalds, progettò un kernel compatibile con il sistema UNIX per di più utilizzando software messi a disposizione liberamente dalla Free Software Foundation. Questo venne chiamato Linux e dalla sua combinazione con il sistema GNU ancora incompleto nacque il sistema operativo GNU/Linux, meglio noto come Linux. La nascita di questo sistema è molto importante da un punto di vista sociologico: sfatava la credenza secondo cui un software eccessivamente complicato, come un sistema operativo per l’appunto, potesse essere sviluppato soltanto da pochi professionisti coordinati, situazione tipica del software commerciale ma anche modo di operare professato dalla Free Software Foundation. 61
  • 62. L’ambiente in cui GNU/Linux era nato era diametralmente opposto a questo, essendosi sviluppato in una comunità pullulante di progetti, approcci e contributi diversi, una sorta di caos creativo. Veniva sfruttato il decentramento che internet comportava rilasciando spesso versioni del software aggiornato, che poteva essere modificato da chiunque apportandovi il proprio personale contributo. Linux dimostrò che il movimento per il software libero non era così scoordinato e incapace di produrre risultati concreti, come si riteneva, e che le cose potevano davvero cambiare. Questo fenomeno prese sempre più piede in concomitanza con lo sviluppo della rete internet. L’interesse verso di esso cominciò a crescere da parte della stampa e anche degli imprenditori. I produttori di software proprietario vedevano in pericolo i propri affari ma vedevano in questo fenomeno anche una possibile fonte di guadagni. Infatti creare software libero non era scevro da interessi commerciali. Il movimento non rifiutava infatti a priori qualsiasi tipo di commercializzazione. 2.1.6 Il software libero nel mercato Giunto il momento di affacciarsi sul mercato mondiale per sfidare i grandi produttori di software proprietario, risultò difficile convertire la teoria in pratica. 62
  • 63. Principalmente il concetto di software “libero” non risultava molto appetibile da parte dei dirigenti industriali che vedevano in questo una perdita piuttosto che un ricavo. Ma Stallman non aveva concepito la denominazione free software in questo senso; al contrario in alcuni scritti mette in risalto come il progetto GNU non sia contrario alla commercializzazione del software libero: il termine “free” è da intendersi sia come libertà di far pagare una copia del software quanto si vuole, anche non farla pagare affatto, sia soprattutto come libertà totale di utilizzare il software, nel senso di farne tutti gli utilizzi concessi dai suoi creatori.12 Questo accanimento semantico da parte di Stallman per trasmettere il vero senso del free software e la sua ferrea integrità morale nel farlo, sebbene l’imprenditoria lo percepisse comunque come gratuito nonostante i suoi sforzi, portarono all’allontanamento di alcuni suoi collaboratori dalla Free Software Foundation. Uno in particolare, Eric Raymond, se ne dissocia e fonda un nuovo termine per identificare il software libero in modo accattivante: Open Source, da cui prese il nome l’organizzazione preposta al 12 Questo è quanto viene chiaramente detto in un articolo di Richard Stallman denominato: “Vendere software libero”, FSF, 1996 63
  • 64. coordinamento di vari progetti ad esso inerenti: la Open Source Initiative, nata nel 1998. La connotazione che Raymond e la comunità che gli si raccolse attorno volevano dare al software libero, grazie a questa denominazione, era quella di un software “aperto” nel senso di privo di vincoli. Al di là di questa scissione, attualmente il software libero o open source raccoglie consensi sempre maggiori e ha dato nuova linfa vitale al mercato del software. I sistemi con kernel Linux vengono molto utilizzati ed apprezzati, da programmatori e imprese, per la possibilità di avere un sistema flessibile e modificabile in base alle proprie esigenze ed anche per l’abbassamento del prezzo dei computer e dei dispositivi che l’adottano. Il software libero riesce a competere egregiamente con quello proprietario al punto che grandi industrie del software sviluppano oggi programmi compatibili col sistema operativo GNU/Linux; questo perché anche gli utenti medi, con nessuna nozione di programmazione, sono sempre più attratti dal software libero e dal suo sistema di creazione e distribuzione. L’effetto che ne è derivato è stato quello di un passaggio dei principi di libertà e condivisione dal solo ambito software a quello creativo in generale. 64
  • 65. 2.1.7 Tutela del software La tutela giuridica del software si è evoluta di pari passo con l’interesse dimostrato dal mercato verso questo nuovo settore e non è stata certo esente da problemi, innanzitutto per la natura stessa del software, difficilmente inquadrabile negli oggetti protetti dal diritto d’autore o dal brevetto: alla fine degli anni ’70, in cui appunto il software cominciava a prendere piede nel mercato, erano questi gli unici strumenti legali per proteggere un’opera. Mentre il diritto d’autore protegge non l’idea ma la sua estrinsecazione, il modo in cui si concretizza, il brevetto protegge il contenuto dell’invenzione. Ciononostante le due modalità di tutela si possano applicare contemporaneamente garantendo una protezione più completa. Il software però è un’opera atipica in quanto ha delle caratteristiche che l’accomunano ad un’opera creativa e altre che la fanno rientrare nell’ambito delle invenzioni industriali ma senza soddisfare appieno i requisiti di nessuna delle due categorie. Nel 1980 negli Stati Uniti venne compiuto l’importante passo di decidere quale tipo di tutela applicare al software: la scelta ricadde sul diritto d’autore. Venne così emanato l’atto legislativo detto Software Copyright Act. Altri paesi avanzati tecnologicamente fecero altrettanto, come la Germania e la Francia nel 1985. 65
  • 66. Nel 1991 fu il turno dell’Italia che, sotto la direttiva europea n.91/250/CEE, avente lo scopo appunto di armonizzare le norme comunitarie sulla tutela del software, apportò alla legge sul diritto d’autore 633/1941 l’aggiunta di articoli appositi, raggruppati in una nuova sezione intitolata “Programmi per elaboratore”.13 Il software, sotto forma di codice sorgente, altro non è che un testo, una lista di istruzioni tecniche scritte in un linguaggio comprensibile dalle macchine e da altri programmatori che lo conoscono; viene visto come un’opera letteraria in un certo senso. Sono stati quindi considerati maggiormente i caratteri di creatività e originalità del software piuttosto che la sua funzione. 2.2 La digitalizzazione Negli ultimi dieci anni lo sviluppo tecnologico ha determinato un fenomeno epocale che ha modificato radicalmente non solo la fruizione delle opere dell’ingegno, ma le abitudini stesse della società. Questo è la digitalizzazione, ossia il processo di conversione di qualsiasi informazione legata alla nostra sfera sensoriale in un formato digitale quindi interpretabile da un computer. Questo formato digitale 13 L.D.A. 633/1941, Capo IV, sezione VI, Artt 64 bis, ter e quater 66
  • 67. è il linguaggio binario, formato da sequenze di 0 e 1, che costituisce la “lingua” dei computer. Il passaggio dall’analogico al digitale, reso possibile grazie all’invenzione di strumenti tecnici come lo scanner e le fotocamere digitali, ha permesso la trasformazione in dati delle opere dell’ingegno con effetti più che soddisfacenti. I principali effetti che la digitalizzazione ha comportato sono: la precisione con cui un’opera può essere duplicata, in quanto le copie di un’opera sono assolutamente identiche all’originale; la compattezza, e la relativa facilità di stoccaggio delle opere: le opere trasformate in dati non occupano più spazio fisico e sono facilmente trasportabili grazie a piccoli supporti digitali come i CD rom; la malleabilità dei dati digitali, che essendo stati separati dal loro supporto materiale, possono essere facilmente modificati, aggiornati o assemblati da chiunque disponga delle tecnologie per farlo. Tali caratteristiche delle informazioni convertite in digitale hanno reso possibile la gestione delle stesse in modo veloce e versatile all’insegna della multimedialità e dell’interattività: si è cioè verificata la convergenza e la fusione di più medium in uno stesso contesto informativo ed è cresciuta la possibilità di interagire con i contenuti digitalizzati da parte dei loro fruitori. 67
  • 68. Al tempo stesso però la separazione dal supporto materiale delle opere dell’ingegno, insieme alla diffusione della rete internet, ha reso problematica la tutela del diritto d’autore. La rete delle reti, come viene soprannominata, ha unito persone agli antipodi eliminando le distanze e il tempo. La sua diffusione sempre crescente ha fatto si che al giorno d’oggi la possibilità di disporre qualsiasi tipo di informazione in tempo reale è una condizione assolutamente naturale e per di più indispensabile per la vita della maggior parte delle persone. 2.2.1 Il file sharing La capacità di ottenere copie digitali, identiche all’originale, di una qualsiasi opera, unita alla possibilità di inviare informazioni da un capo all’altro del globo a costo quasi nullo, ha dato vita a pratiche come il file sharing, la condivisione di file tra utenti connessi alla rete grazie ad appositi programmi che rendono i computer connessi sia mittenti che destinatari di contenuti digitali. Tale attività di scambio di file ha annullato le tempistiche standard necessarie per la pubblicazione di un’opera sul suo supporto materiale. Se da una parte ha permesso agli autori di un’opera di arrivare direttamente agli utenti finali della stessa ha anche vanificato 68
  • 69. gli sforzi della tutela sulla proprietà intellettuale in quanto hanno cominciato ad essere scambiate opere protette da diritto d’autore “contraffatte”, intese come le copie dell’opera realizzate senza alcuna autorizzazione da parte del detentore dei diritti sulla stessa. Questo ha causato l’inasprimento delle leggi mirate alla tutela delle opere dell’ingegno, sotto pressione dell’industria dell’intrattenimento in special modo, che invece di modificarsi sotto l’impulso delle nuove tecnologie si sono concentrate cocciutamente sul legame ormai antiquato tra opera e supporto materiale. Basti pensare al già citato “Mickey Mouse Protection Act”, del 1998, che ha allungato la durata della tutela sulle opere dell’ingegno nel copyright statunitense di 20 anni rispetto alla normativa originaria. Un altro esempio di questa repressione telematica è costituito dall’adozione in Francia della cosiddetta legge Hadopi14 nel giugno del 2009, voluta dal premier Sarkoxy, che si è imposto sul Parlamento senza tenere in considerazione le opinioni contrastanti della Corte Costituzionale Francese e del Parlamento europeo e che ha come scopo la lotta alla pirateria. La legge Hadopi ha portato alla creazione 14 Legge n°2009-669, il cui testo è consultabile all’indirizzo http://www.legifrance.gouv.fr/affichTexte.do?cidTexte=JORFTEXT000020735432&dateTexte= 69
  • 70. di un’entità con lo stesso nome, avente il compito di controllare i file scambiati in rete al fine di individuare la condivisione di contenuti protetti da diritto d’autore. La legge prevede che gli utenti sorpresi per tre volte a violare il copyright siano disconnessi dalla rete. L’adozione dell’Hadopi ha fatto gridare allo scandalo, in quanto risulta in pericolo la privacy dei cittadini francesi i cui computer e le cui navigazioni vengono ora passate al setaccio dal Governo. Un’altra questione spinosa è quella dell’ACTA, l’ AntiCounterfeiting Trade Agreement,15 un trattato esecutivo contro la contraffazione stipulato da 40 Paesi di tutto il mondo i cui accordi stanno facendo molto discutere i media: vengono tenuti segretamente e da alcuni documenti trapelati e pubblicati in rete, configurano quello che viene definito un accordo internazionale per la lotta alla pirateria informatica come un vero e proprio tentativo di controllare la navigazione degli utenti nella rete, di rafforzare il copyright, eliminare il fair use e conferire sempre maggior potere agli editori, alle major discografiche, agli imprenditori in generale impegnati nella distribuzione di opere creative. 15 Il cui testo è disponibile: http://trade.ec.europa.eu/doclib/docs/2009/january/tradoc_142039.pdf 70
  • 71. Per finire, in riferimento al nostro particolare contesto giuridico, vi è il cosiddetto decreto “Bondi”, dal nome dell’attuale Ministro per i Beni e le Attività Culturali che l’ha proposto, titolato “Determinazione del compenso per la riproduzione privata di fotogrammi ai sensi dell’art. 71 septies della legge 22 aprile 1941, n 633”, che attua il decreto legislativo n.68 del 2003 in recepimento della direttiva comunitaria 2001/29/CE. Questo decreto, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n.54 del 6 marzo 2010 riguarda l’equo compenso, disciplinato dall’articolo 71 septies della legge sul diritto d’autore 633/1941 che prevede una quota a carico del consumatore per l’acquisto di dispositivi preposti alla riproduzione di opere audiovisive protette dalla suddetta legge. Il decreto prevede un aumento dei prezzi applicati a tutti quei dispositivi provvisti di una memoria, dai CD Rom ai DVD, dalle chiavi USB ai masterizzatori, dai computer ai cellulari specificati accuratamente in un allegato tecnico. Per legge, la copia privata di un’opera protetta da diritto d’autore è possibile laddove non esistano misure che ne impediscano la duplicazione. Le associazioni dei consumatori si sono pronunciate a sfavore dell’attuazione di tale decreto, che a tutti gli effetti appare come una vera e propria tassa, nonostante lo stesso Ministro Bondi e 71
  • 72. la Società Italiana degli Autori ed Editori, la S.I.A.E., dal momento della presentazione del decreto, abbiano a più riprese precisato che non si tratta di una tassa ma di un compenso dovuto per legge a soggetti privati. Tale decreto, secondo il presidente di Assinform, l’associazione delle imprese di informatica, Paolo Angelucci, penalizzerà fortemente l’industria italiana legata alla tecnologia ed andrà sicuramente a scapito dei consumatori finali: è prevedibile infatti che i produttori, ai quali è rivolto l’aumento dei prezzi citati dal decreto, scaricheranno tale tassa sugli acquirenti, come è già avvenuto per CD e DVD. Per evitare che ciò avvenga il decreto prevede l’istituzione di un tavolo tecnico composto, oltre che dai ministeri competenti anche dalla S.I.A.E. e dalle associazioni di categoria e dei consumatori, a cui sarà affidato il compito di verificare che ciò non avvenga. La polemica tuttavia rimane, alimentata dal fatto che secondo delle stime di Confindustria e Assinform, come spiegato da Guido Scorza16, avvocato e docente tra i massimi esperti di copyright e nuove tecnologie, il ricavato della S.I.A.E. proveniente dall’equo compenso passerà da 70.000.000 di euro a 300.000.000 euro nel 2010, 16 Fonte http://www.repubblica.it/tecnologia/2010/01/15/news/tassa_pc_telefonini-1953830/ 72
  • 73. il che fa pensare ad un diretto coinvolgimento della S.I.A.E. nell’attuazione di tale decreto mirato alla tutela dei propri interessi economici. Inoltre a livello concettuale resta comunque il dubbio sul perché sia applicato questo sovrapprezzo ai suddetti dispositivi, in qualche modo teso anche a tutelare gli interessi economici degli autori minati dalla copia illegale di opere dell’ingegno, a prescindere dell’effettivo utilizzo che ne verrà fatto degli stessi. La gestione dei diritti sulle opere dell’ingegno, divenuta sempre più ostica per l’autore e a tutto vantaggio degli imprenditori, ha portato gli utenti della rete, creatori di contenuti multimediali, a riconsiderare l’utilità di questi ultimi, trovando in internet un mezzo alternativo perfetto attraverso cui poter distribuire la propria opera privatamente, in tutto il mondo e a costo zero. Alcuni hanno inneggiato all’abolizione del copyright e al rilascio di qualsiasi opera nel pubblico dominio, all’insegna della libera fruizione da parte di chiunque. Altri, più assennati, hanno cominciato a riflettere su come utilizzare gli strumenti del copyright stesso per gestire i diritti sulle opere in modo alternativo e più vantaggioso per gli autori, nonché a cercare il modo di sfruttare legalmente gli effetti della digitalizzazione e i benefici offerti dalla rete. 73
  • 74. Ciò che ne è risultato è stato l’estensione dell’applicazione del modello copyleft anche ad opere non software. Un primo esempio di licenza copyleft applicata ad un’opera non software è costituita dalla GNU FDL, una licenza del progetto GNU nata nel 2000, applicabile alla documentazione testuale relativa al software e alla didattica. Seguirono poi le licenze Art Libre, francese, e le Creative Commons di Lawrence Lessig, docente di legge dell’università di Stanford, in California nonché uno dei maggiori esponenti della cultura open, grazie alle quali il modello copyleft poté essere applicato a svariate tipologie di opere, letterarie, musicali, visive e quant’altro. Grazie all’adozione di queste licenze sono nati diversi progetti volti alla liberazione della cultura e all’utilizzo di internet come utile strumento di condivisione e collaborazione, il più importante dei quali è sicuramente l’enciclopedia online gratuita e multilingue, su base collaborativa, più grande del mondo: Wikipedia. 2.3 Il senso del copyleft Il copyleft è un modello alternativo di gestione dei diritti d’autore che si applica secondo un’ottica non esclusiva e riporta in mano all’autore tutti i diritti derivanti dalla creazione di un’opera. Questo è 74
  • 75. possibile grazie all’applicazione di contratti-licenza alle opere, in cui vengono specificati gli impieghi che l’autore consente delle stesse come la modifica, la distribuzione e perfino la commercializzazione. Gli effetti che derivano dall’utilizzo di tale modello sono: la disintermediazione, ossia il cadere della necessità di rivolgersi ad un soggetto imprenditoriale, da parte dell’autore, per distribuire e commercializzare la ridefinizione dei propria opera; il riequilibrio, ossia la contratti stipulati tra autore e soggetto imprenditoriale, di norma a vantaggio di quest’ultimo, all’insegna di maggiori prerogative per l’autore e di maggiori libertà per l’utente finale dell’opera; l’elasticità e la differenziazione del regime giuridico applicato all’opera che diventa dinamico e può essere adattato in base al tipo di opera e agli utilizzi concessi della stessa; la sostenibilità economica, ancora non pienamente intesa dall’imprenditoria, ma che è possibile da realizzare, come mostra il successo anche economico del software libero.17 Il copyleft quindi tenta di riportare il diritto d’autore alla sua funzione classica di incentivo alla produzione culturale tramite la 17 Classificazione proposta da Simone Aliprandi, Capire il Copyright, percorso guidato nel diritto d’autore, PrimaOra, 2007 75
  • 76. protezione del lavoro creativo dell’autore. Non si pone in polemica con l’imprenditoria di contenuti culturali e dell’intrattenimento, che essendo finalizzata al guadagno utilizza gli strumenti giuridici per tutelarsi, ma rivendica un’altrettanto adeguata tutela del lavoro dei creativi e degli artisti. 2.3.1 Legittimazione delle licenze copyleft La genialità, il punto di forza di coloro i quali, come Stallman e Lessig, hanno voluto portare avanti questo cambiamento, è stato quello di non opporsi al modello tradizionale di gestione dei diritti d’autore, di non voler andare contro il copyright ritenuto eccessivo e controproducente per gli artisti, ma di sfruttarlo a vantaggio di questi ultimi così che né i governi nazionali, né i colossi imprenditoriali, potessero opporvisi, quantomeno apertamente. Le licenze copyleft rispettano la legge perché su di esse si fondano e sono efficaci perché sfruttano gli effetti positivi della digitalizzazione. Nel caso statunitense il tipo contrattuale della licenza, un atto unilaterale con cui un soggetto autorizza determinati comportamenti, si è sviluppato alla fine degli anni ’70 in seguito alla commercializzazione sempre più massiccia di PC e software. Questo 76
  • 77. particolare regime giuridico prende il nome di Mass market licenses of copyright material, che permette la commercializzazione di massa di materiale protetto da copyright. Rientrano in questa categoria le shrink-wrap licenses, licenze a strappo, la cui accettazione da parte dell’acquirente del prodotto avviene attraverso la rottura della confezione del supporto materiale con i contenuti protetti, ad esempio la pellicola di un CD; le click wrap licenses, tipica del software, in cui l’accettazione dell’utente avviene attraverso un clic col mouse su una determinata icona e le browse wrap licenses, diffuse su internet, la cui accettazione avviene in maniera implicita mettendo a disposizione dell’utente le condizioni contrattuali da parte del licenziante. Nel caso italiano l’applicazione di questo regime giuridico ha generato alcuni problemi di natura puramente semantica. La “licenza” infatti rientra nell’ambito del diritto amministrativo in quanto consiste nell’autorizzazione ad esercitare alcune attività nel rispetto della legge. Ma il copyleft non ha nulla a che vedere con il diritto amministrativo in quanto attiene al diritto privato. Il problema scaturisce dalla traduzione letterale del termine inglese license, licenza per l’appunto. È il contratto lo strumento giuridico utilizzato nell’ordinamento italiano per la trasmissione dei diritti su un’opera, un “accordo di due 77
  • 78. o più parti per costituire, regolare o estinguere un rapporto giuridico patrimoniale”.18 I contratti previsti sono quello d’edizione, regolamentato all’articolo 118 e seguenti, e il contratto di rappresentazione e di esecuzione, presente all’articolo 136 e seguenti, della L.D.A 633/1941. Le norme che disciplinano la stipulazione di contratti si trovano nel Codice Civile, al Titolo II del Libro IV, denominato: Dei contratti in generale (artt da 1321 a 1421). Più precisamente sono i contratti per adesione quelli utilizzati, cioè quei contratti in cui una parte, il licenziante, specifica in che modo viene gestito il rapporto giuridico tra le parti e l’altra, il licenziatario, può solo accettare o rifiutare totalmente le condizioni imposte. Si tratta comunque di un contratto bilaterale, un atto giuridico fonte di obbligazione contrattuale, determinato dall’incontro di almeno due parti, il licenziante e il licenziatario che esprime l’accettazione dei termini del contratto attraverso un comportamento ritenuto inequivocabile. 18 cfr. art. 1321 cod. civ. 78