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Simone Martini




La vita          Le opere
La vita
      Vissuto tra il 1284 e 1344, Simone
     Martini è il pittore che più incarna lo
      spirito gotico nella prima metà del
     Trecento. Conosciuto talvolta anche
         come Simone Sanese è stato
    considerato sicuramente come uno dei
      maggiori e più influenti artisti della
            scuola pittorica senese.
     Il distacco dalla maniera bizantina, nei
    pittori di stile gotico, si basa su alcune
           caratteristiche costanti: l’uso
      fondamentale della linea, soprattutto
           curva e sinuosa, per costruire
   l’immagine e l’apparato decorativo, l’uso
         di una grande vivacità cromatica,
     l’umanizzazione dei personaggi sacri a
    modo di uomini o dame di corte. Questi
    stessi parametri li ritroviamo tutti nella
     pittura di Simone Martini, pur se il suo
        linguaggio pittorico risente spesso
              dell’influenza giottesca.
La sua prima opera
   datata è la Maestà ,
 dipinta nel 1313-1315
 nella sala del Consiglio
 del Palazzo Pubblico di
  Siena, dove è ancora
      visibile. Fin da
   quest'opera Simone
 mostra di differenziarsi
     dalla pittura a lui
    precedente per la
 squisita commistione di
delicatezze e raffinatezze
          gotiche


                                Nel 1314 iniziò il
                             ciclo di affreschi con
                               le Storie di San
                                    Martino
                                  nell'omonima
                                 cappella della
                              basilica inferiore di
                               San Francesco ad
                                     Assisi.
Nel 1317 venne chiamato a
                        Napoli da Roberto d'Angiò, che lo
                        nominò cavaliere (assegnandogli
                           una pensione annua) e gli
                            commissionò una tavola
                         celebrativa, San Ludovico di
                         Tolosa che incorona il fratello
                        Roberto d'Angiò, oggi conservato
                             a Capodimonte, Napoli.




Fra il 1320 e il 1326
        dipinse
diverse opere tra cui
   due polittici
Lo straordinario affresco raffigurante Guidoriccio da Fogliano
 all'assedio di Montemassi , è da datarsi dopo il 1328 e si trova
     ancora oggi nella stupenda Sala del Consiglio (detta Sala del
 Mappamondo) del Palazzo Pubblico di Siena, proprio di fronte alla
sopracitata Maestà. È certo una delle opere più grandi della pittura
italiana del '300, in cui si mescolano un ambientazione fiabesca con
      un ambientazione fiabesca con un acuto senso della realtà.
Probabilmente coeve sono le molto interessanti, per il trattamento
    dello spazio, Storie del Beato Agostino Novello nella chiesa di
   Sant'Agostino, a Siena mentre un po' più tardo è il capolavoro di
Simone, la raffinatissima ed enigmatica Annunciazione , eseguita per
la chiesa di Sant'Ansano, sempre a Siena, e oggi visibile agli Uffizi di
Firenze. È questa una delle opere più vicine al gotico internazionale e
           alle sue raffinatezze che l'Italia abbia conosciuto.
Poco dopo aver eseguito quest'opera (forse 1336) Simone
partirà per Avignone, alla corte di Benedetto XII, dove eseguirà
degli affreschi per la chiesa di Notre Dame de Doms, tra i quali
ricordiamo quello di San Giorgio e il Drago , oggi perduto, ma
            che viene descritto splendido dalle fonti.

    Ad Avignone Simone conosce il poeta Francesco Petrarca.
   Leggenda vuole che proprio il Martini abbia ritratto Laura , e i
versi del sonetto LVII del Petrarca stesso celebrano l'opera, oggi
 perduta (per amore della completezza: alcuni pensano che essi si
riferiscano invece a Simone da Cremona, miniatore attivo a Napoli
 dal 1335 circa, ma è più probabile l'ipotesi del nostro Simone da
                              Siena):


                " Ma certo il mio Simon fu
                        in paradiso,
                Onde questa gentil donna
                          si parte;
                Ivi la vide e la ritrasse in
                           carte,
                 Per far fede quaggiù del
                       suo bel viso"
Oltre a ciò Simone minierà per l'amico letterato anche il
frontespizio di un codice con le opere di Virgilio commentate da
               Servio (Biblioteca Ambrosiana, Milano).
L'ultima opera datata di Simone (e oggi conservata a Liverpool) è
    il Ritorno di Gesù fanciullo dalla disputa nel tempio
  (1342), dove compare un tema curioso e inedito: San Giuseppe
          che rimprovera il divino fanciullo, dopo la disputa.




  Nel 1340, su invito di papa Benedetto XII, si trasferisce presso la
      corte papale di Avignone, dove vi rimase fino alla morte,
                    avvenuta qualche anno dopo.
Si tratta di una pittura che concede ampio spazio all'ornamento, al
 dettaglio prezioso ed alla rappresentazione di oggetti di lusso; in
  breve tempo si diffonderà in tutta Europa, nelle corti perlopiù, lo
   stile di quest'artista e contribuirà in maniera determinante alla
    nascita del Gotico internazionale; infatti se Giotto diede il più
grande contributo ad un radicale cambiamento nella pittura, Simone
  elaborò una versione senese delle novità portate da quest'ultimo
                     che ebbe grande seguito.
Le opere
MAESTÀ
L'opera venne dipinta nella sala del Mappamondo, in quello che
   al tempo era il palazzo del potere (Siena era uno dei comuni
    toscani, retti in pratica da un'oligarchia, come Firenze): di
  conseguenza era destinata ad esser vista da molte persone e
veicolava un chiaro messaggio politico,mentre l'aspetto religioso
                 era relegato in secondo piano.
Nell'affresco è raffigurata la Madonna in
 trono col Bambino, circondata da uno
stuolo di angeli e santi che sorreggono
  un fastoso baldacchino, più che una
   scena sacra, come nella Maestà di
Ognissanti di Giotto, sembra l'immagine
  di una regina con la sua corte, con i
 santi al posto delle dame e dei paggi.
angeli

                 Arcangelo Michele             San Crescenzio

     Sant‘Ansano                                                San Vittore




   Se guardiamo più nel dettaglio vediamo che ai piedi del trono stanno
inginocchiati i quattro protettori di Siena: Sant'Ansano, Arcangelo Michele,
                        San Crescenzio e San Vittore.
Infine completano il quadro i tondi nella cornice, che alternano agli
  evangelisti e ai dottori della chiesa, lo stemma della città; mentre al centro
                     spicca un tondo col Cristo benedicente




                 Mosè                                                Giacobbe
  Isacco
                                                       David
                                                                           San Marco
San Matteo                                                                 Evangelist
Evangelista                                                                    a




   Daniele                                                               Isaia

  profeta
                                                                      profeta
    Geremia

  San Matteo                                                                      San Luca
  Evangelista                                                                    Evangelista

                                    Lex Vestus e
     San                                                                    Sant’Agostino
     Girolamo        San Gregorio    Lex Nova            Sant’Ambrogio
Particolare di un
     angelo
Accanto alla Madonna con il
bambino troviamo San Giovanni
   Battista e San Giovanni
        Evangelista.
Da un punto di vista stilistico il dipinto è eccellente, le figure
hanno il loro volume, sono realistiche, come quelle di Giotto,
  ma nello stesso tempo sono più esili, delicate, hanno pose
     leggiadre e indossano vesti raffinate, le stesse che
probabilmente l'artista vedeva indosso ai nobili o ai ricchi del
 tempo. E' impressionante la cura di certi dettagli decorativi,
che ricordano i virtuosismi di un orefice; certamente Simone
 non risparmiò sull'oro che venne distribuito a piene mani in
     tutte le figure, particolarmente nei vestiti. In molte
  acconciature e in altre parti l'artista aveva poi incastonato
delle gemme, che purtroppo sono in gran parte cadute, mentre
le aureole, dorate anch'esse, sono finemente lavorate, per non
  parlare del trono della Vergine che ricorda un'architettura
                             gotica.
ANNUNCIAZIONE
L’Annunciazione che Simone Martini realizzò nel 1333 è
     sicuramente una delle più belle opere pittoriche di tutto il
  Trecento europeo. In essa si concentra tutta l’eleganza un po’
  astratta dell’arte di Simone Martini. L’Annunciazione è uno dei
soggetti più diffusi in assoluto di tutta l’arte di soggetto cristiano.
La rappresentazione si basa essenzialmente sul racconto tratto dal
    vangelo di san Luca. L’arcangelo Gabriele si presenta alla
 Madonna per annunciarle la futura maternità. La Madonna, che in
  quel momento stava leggendo, accolse con stupore e un po’ di
    diffidenza l’annuncio dell’arcangelo, ma, dopo un istante di
          esitazione, accetta l’imminente nascita di Gesù
Il soggetto presenta alcuni elementi
iconografici costanti: la presenza dei gigli,
simbolo della verginità della Madonna, la
colomba che simboleggia lo Spirito Santo,
  e il libro che, per tradizione, rivela la
  dimensione spirituale della Madonna.
 Questi elementi sono tutti presenti nella
 tavola di Simone Martini, ma qui l’artista
  inserisce qualcosa di più e di diverso
       rispetto ai canoni del tempo.
Le ali dell’angelo sono estremamente
   allungate; la genialità dell’artista
risiede proprio nell’aver reso queste
 ali in un realismo inedito per l’epoca
    in cui furono dipinte, raffigurate
      nell’attimo precedente al loro
  ripiegarsi su se stesse (essendosi
l’arcangelo appena posato sul suolo).
     Oltretutto, non se ne vedono le
     estremità: (soprattutto dell’ala
“principale”) questo sembra produrre
  l’effetto di una lunghezza estrema
    senza, però, renderle deformi ai
                nostri occhi.
     Il mantello dell’angelo segue il
  dispiegarsi delle ali, essendo stato
  reso, a sua volta, mentre fa i conti
con l’ultimo guizzo d’aria dopo il volo
di Gabriele , ed è come se si servisse
    delle ali per cercare l’equilibrio
                 definitivo.
Oltre agli splendidi brani di natura
morta vale la pena di concentrarsi
  sui gesti dell’arcangelo. Il ramo
che tiene in mano è trattenuto con
   la stessa eleganza con cui si
    terrebbe un calice, le dita si
      piegano in maniera quasi
 sensuale. La mano destra, al cui
 polso si noti il fuoriuscire sottile
 della sottoveste, si contrappone
 alla sinistra ed assieme formano
     un’apertura magnifica, una
 gestualità dall’eleganza assoluta.
Per apprezzare e sentire la
  potenza di quella splendida
   dama in veste di Maria il
 nostro occhio deve iniziare a
     posarsi sul panneggio
lanceolato in basso, che è una
  sorta di primo gradino del
     gesto di pudicizia che
progressivamente si amplifica
 nella parte centrale: il corpo
 della Vergine sembra infatti
quasi spezzarsi fra il bacino e
 le gambe, il che enfatizza la
    sua sorpresa e il sottile
  timore. La spalla e il volto
     inarcato sono l’ultimo
“gradino” di questa figura che
gradualmente si ritrae tutta in
un insenatura di pudicizia che
   allo stesso tempo sembra
quella di una dama corteggiata
       da un pretendente.
Inutile insistere su altri particolari, tra
cui le mani dellaVergine che non fanno
   altro che contribuire al crescendo
       musicale partito dalle mani
 dell’annunciante; infatti, anch’esse si
     contrappongono, ma in maniera
    decisamente più ansiogena e non
 meno elegante. Il gesto dell’angelo è
 posato e calcolato, quello di Maria è
   frutto d’istinto, ma forse è proprio
 questo a renderlo unico. La parte più
 commovente delle mani credo siano i
  due pollici, che affondano l’uno nel
ventre profondo del libro di preghiere
(come se la pressione esercitata fosse
  il segno di una repentina chiusura),
 mentre l’altro afferra e tira un lembo
di veste con cui Maria ansiosamente si
   copre, chiudendosi in un guscio di
       prezioso ed antico candore.
Il contatto tra i due è inciso a mò di vignetta sul legno e sale dal
   basso verso l’alto suggerendoci un’intensità crescente. Il
  pavimento sembra fatto del più prezioso dei marmi; il vaso-
  fonte che si gonfia è la parte centrale di una bilancia e i tre
 archi acuti in alto non riescono più ad inquadrare i personaggi
                        in modo preciso.
L’intento è evidente: l’angelo non riesce, ma soprattutto non
  vuole stare chiuso nell’arco che lo sovrasta, protende verso
Maria, sconfina nella parte centrale, si intromette in un momento
   di vita quotidiana della donna. L’arco centrale è una fase di
  passaggio: inquadra tutti i personaggi e terrebbe sotto di sé
   anche il volto di Maria se non si fosse ritratta per il sottile
   spavento. Lo stesso trono decorato da quei preziosi motivi
miniatori sconfina nella parte centrale: oramai non è più tempo di
tenere i personaggi imbrigliati in rigidi schematismi arcaici ed il
                       genio di Simone lo sa.
SAN LUDOVICO
La grande tavola fu realizzata da Simone Martini nel 1317, durante il
 suo soggiorno a Napoli alla corte di Roberto d’Angiò. Il re angioino
aveva ereditato la corona del regno di Napoli grazie alla rinuncia del
  fratello maggiore, Ludovico, che scelse la carriera ecclesiastica.
In questa grande raffigurazione il programma iconografico appare
evidente: mentre san Ludovico viene incoronato da due angeli, egli,
  a sua volta, incorona il fratello re di Napoli. In tal modo Roberto
     d’Angiò affermava la legittimità della sua investitura reale.
La tavola ha un evidente gusto gotico,
   frutto sia della formazione stilistica di
 Simone Martini, sia delle preferenze della
   corte angioina che, ricordiamo, era di
           provenienza francese.
La costruzione è impostata su una evidente
  "prospettiva gerarchica": il santo, pur
  collocato in secondo piano nello spazio
dell’immagine, appare di molto più grande
  rispetto a fratello Roberto collocato in
               primo piano.
L’incongruenza formale è accentuato dal carattere decisamente
frontale della figura del santo: se si guarda con attenzione si nota
 che il braccio sinistro che fuoriesce dal mantello, e che regge la
     corona, ha il gomito dietro il fianco: ciò è assolutamente
impossibile nella realtà, e quindi la costruzione dell’immagine non
   tiene affatto conto della reale tridimensionalità delle figure.
In pratica l’immagine ha un valore simbolico che trascende
       qualsiasi preoccupazione di verità mimetica di quanto
                            rappresentato.



Ciò ci dà il senso più preciso di come Simone Martini si muove in
  una concezione stilistica di matrice decisamente medievale,
ignorando tutti quei problemi di naturalismo che invece stavano
 affrontando Giotto e gli altri pittori fiorentini alla ricerca di un
                        maggiore verismo.
Il carattere gotico di questa immagine viene ulteriormente integrato da
altre precise scelte stilistiche: la linea sinuosa e di puro valore decorativo
    dei bordi delle vesti e del mantello del santo; la grande decorazione
    arabescata delle vesti; la preferenza per i colori intensi e squillanti.
Ma il carattere gotico dell’immagine principale si perde completamente
nella predella inferiore. Qui, Simone Martini dimostra di saper controllare
la rappresentazione spaziale in maniera non inferiore allo stesso Giotto.
La predella è suddivisa in cinque scomparti, contornati ognuno da
    un arco. Ma questi archi sono quasi come un portico oltre il quale
                         si vede una sola scena.




Infatti le cinque diverse scene sono unificate da un unico punto di fuga.
 Questo crea una sensazione spaziale di grande effetto, facendo sì, che
l’occhio percepisca questa predella inferiore come il piano trasparente
                   oltre il quale si sviluppano le scene.
Simone Martini è un pittore gotico sicuramente per scelta,
   non per limiti stilistici. Egli, infatti, nelle sue opere
  dimostra spesso di aver compreso appieno la ricerca
naturalistica di Giotto e dei suoi seguaci, ma la sua arte si
allinea al gusto gotico forse anche per adeguarsi al gusto
 dei suoi committenti, che probabilmente preferivano la
ricchezza decorativa del gotico alla razionale, ma spesso
          spartana, immagine dell’arte giottesca.
POLITTICO
Dal greco polyptychos (con molte piegature), è un dipinto (ma anche
          un rilievo in avorio o terracotta o simili) suddiviso
 architettonicamente in più pannelli, destinato in genere all'altare di
 una chiesa. Questa tavola di piccole dimensioni costituiva forse la
                   parte alta di un polittico perduto.
Al centro sta una tavola principale,
 spesso più grande di quelle laterali
  che, in numero uguale a destra e
  sinistra, rappresentano per lo più
   figure di santi. Ogni tavola può
 essere sormontata da cuspidi (con
angeli, profeti o santi, per esempio).
Nella parte inferiore, una tavola lunga e sottile, chiamata
predella, raffigura spesso episodi della vita di un santo o alcuni
                   misteri della vita di Cristo.
Il Cristo è raffigurato a mezzo busto, frontale, con la mano destra levata
nel gesto della benedizione e la sinistra poggiante su un libro, secondo un
modello ancora bizantino, ma reso con un linguaggio pienamente senese,
       sia nell'eleganza del disegno che nella raffinatezza del colore




Sono rari i polittici giunti integri fino a noi; motivi svariati (non ultimo lo
smembramento per ottenere "più quadri") li hanno nel tempo disgregati.
GUIDORICCIO DA
  FOGLIANO
L'affresco Guidoriccio da Fogliano all'assedio di
    Montemassi (detto anche Guidoriccio da Fogliano
semplicemente) fu realizzato nel 1328dal pittore senese Simone
  Martini nella Sala del Mappamondo, all'interno del Palazzo
  Pubblico di Siena, proprio di fronte alla Maestà dello stesso
        autore. È alto cm 340 per cm 968 di larghezza.
Alcune parti dell'affresco, tra cui quella del castello e il cielo,
            furono ridipinte alla fine del XV secolo
L'opera mostra il comandante delle truppe senesi durante
   l'assalto alla rocca di Montemassi nella Maremma,
                   avvenuta nel1328.
Nel 1980, a seguito di restauri eseguiti nell'area in cui era
  dislocato il famoso mappamondo che dette il nome alla sala, è
venuto alla luce un dipinto che è in parte sottostante al ritratto del
Guidoriccio a cavallo. Tale scoperta, per le implicazioni che essa
   ha avuto ed ha tuttora, ha messo in dubbio l'autenticità e la
                 paternità del dipinto tradizionale.
Costituiscono motivo di polemica artistica, non la prima e neppure
l'ultima in un mondo artistico sempre più frenetico e globalizzato,
     l'autenticità e la paternità del "Guidoriccio da Fogliano"
      rappresentato nel Palazzo Pubblico di Siena, attribuito
tradizionalmente al grande Simone Martini, maestro del Trecento
    senese, ma oggi messo in discussione da una serie di tesi
  alternative, sostenute da vari critici e storici d'arte che hanno
provato a ridiscutere alcune conclusioni artistiche, prescindendo
  da valutazioni preesistenti, in qualche caso anche consolidate,
 nella massima libertà di ricerca e di pensiero; non si sa quanto
          questo abbia avuto successo e se mai lo avrà.
Nel 1980, nel corso di un
restauro, venne scoperto un
 dipinto di eccelsa qualità, la
    cui fascia superiore è
  sottostante  al notissimo
"Guidoriccio da Fogliano alla
conquista di Montemassi" e la
   cui parte sinistra risulta
tuttora coperta dal ritratto di
 un santo patrono di Siena,
risalente al 1530 circa dipinto
dal Sodoma. La scoperta ebbe
un grande clamore nel mondo
          dell'arte.
Tale scoperta fu l'occasione per l'apertura di una controversia,
 già latente nel passato e mai sopita, circa la paternità, o meglio
l'autenticità, del noto cavaliere creduto fino ad oggi il Guidoriccio
           da Fogliano immortalato da Simone Martini.




 Le perplessità trovavano origine soprattutto dal fatto singolare
 che Giorgio Vasari, mentre si era soffermato sulla "Maestà" di
   Simone Memmi (corretto successivamente in Martini), che
   occupa un'intera parete del Palazzo Pubblico di Siena, che
 definiva "di tutta perfezione, con molta sua lode e utilità", nulla
   accennava al cavaliere con paesaggio, che per dimensioni
  gareggia con la Maestà, posto nella parete di fronte, come se
questo non fosse esistito o non fosse appartenuto all'eccellente
                        "dipintore sanese".
Presentazione creata dalle Tre Grazie:
Orlando Roberta “Grazia”
Montinaro Silvia “Graziella”
Nina Medda “Grazie a sto c***o”


Classe 3E

Anno scolastico 2006/2007

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Simone Martini

  • 1.
  • 3. La vita Vissuto tra il 1284 e 1344, Simone Martini è il pittore che più incarna lo spirito gotico nella prima metà del Trecento. Conosciuto talvolta anche come Simone Sanese è stato considerato sicuramente come uno dei maggiori e più influenti artisti della scuola pittorica senese. Il distacco dalla maniera bizantina, nei pittori di stile gotico, si basa su alcune caratteristiche costanti: l’uso fondamentale della linea, soprattutto curva e sinuosa, per costruire l’immagine e l’apparato decorativo, l’uso di una grande vivacità cromatica, l’umanizzazione dei personaggi sacri a modo di uomini o dame di corte. Questi stessi parametri li ritroviamo tutti nella pittura di Simone Martini, pur se il suo linguaggio pittorico risente spesso dell’influenza giottesca.
  • 4. La sua prima opera datata è la Maestà , dipinta nel 1313-1315 nella sala del Consiglio del Palazzo Pubblico di Siena, dove è ancora visibile. Fin da quest'opera Simone mostra di differenziarsi dalla pittura a lui precedente per la squisita commistione di delicatezze e raffinatezze gotiche Nel 1314 iniziò il ciclo di affreschi con le Storie di San Martino nell'omonima cappella della basilica inferiore di San Francesco ad Assisi.
  • 5. Nel 1317 venne chiamato a Napoli da Roberto d'Angiò, che lo nominò cavaliere (assegnandogli una pensione annua) e gli commissionò una tavola celebrativa, San Ludovico di Tolosa che incorona il fratello Roberto d'Angiò, oggi conservato a Capodimonte, Napoli. Fra il 1320 e il 1326 dipinse diverse opere tra cui due polittici
  • 6. Lo straordinario affresco raffigurante Guidoriccio da Fogliano all'assedio di Montemassi , è da datarsi dopo il 1328 e si trova ancora oggi nella stupenda Sala del Consiglio (detta Sala del Mappamondo) del Palazzo Pubblico di Siena, proprio di fronte alla sopracitata Maestà. È certo una delle opere più grandi della pittura italiana del '300, in cui si mescolano un ambientazione fiabesca con un ambientazione fiabesca con un acuto senso della realtà.
  • 7. Probabilmente coeve sono le molto interessanti, per il trattamento dello spazio, Storie del Beato Agostino Novello nella chiesa di Sant'Agostino, a Siena mentre un po' più tardo è il capolavoro di Simone, la raffinatissima ed enigmatica Annunciazione , eseguita per la chiesa di Sant'Ansano, sempre a Siena, e oggi visibile agli Uffizi di Firenze. È questa una delle opere più vicine al gotico internazionale e alle sue raffinatezze che l'Italia abbia conosciuto.
  • 8. Poco dopo aver eseguito quest'opera (forse 1336) Simone partirà per Avignone, alla corte di Benedetto XII, dove eseguirà degli affreschi per la chiesa di Notre Dame de Doms, tra i quali ricordiamo quello di San Giorgio e il Drago , oggi perduto, ma che viene descritto splendido dalle fonti. Ad Avignone Simone conosce il poeta Francesco Petrarca. Leggenda vuole che proprio il Martini abbia ritratto Laura , e i versi del sonetto LVII del Petrarca stesso celebrano l'opera, oggi perduta (per amore della completezza: alcuni pensano che essi si riferiscano invece a Simone da Cremona, miniatore attivo a Napoli dal 1335 circa, ma è più probabile l'ipotesi del nostro Simone da Siena): " Ma certo il mio Simon fu in paradiso, Onde questa gentil donna si parte; Ivi la vide e la ritrasse in carte, Per far fede quaggiù del suo bel viso"
  • 9. Oltre a ciò Simone minierà per l'amico letterato anche il frontespizio di un codice con le opere di Virgilio commentate da Servio (Biblioteca Ambrosiana, Milano). L'ultima opera datata di Simone (e oggi conservata a Liverpool) è il Ritorno di Gesù fanciullo dalla disputa nel tempio (1342), dove compare un tema curioso e inedito: San Giuseppe che rimprovera il divino fanciullo, dopo la disputa. Nel 1340, su invito di papa Benedetto XII, si trasferisce presso la corte papale di Avignone, dove vi rimase fino alla morte, avvenuta qualche anno dopo.
  • 10. Si tratta di una pittura che concede ampio spazio all'ornamento, al dettaglio prezioso ed alla rappresentazione di oggetti di lusso; in breve tempo si diffonderà in tutta Europa, nelle corti perlopiù, lo stile di quest'artista e contribuirà in maniera determinante alla nascita del Gotico internazionale; infatti se Giotto diede il più grande contributo ad un radicale cambiamento nella pittura, Simone elaborò una versione senese delle novità portate da quest'ultimo che ebbe grande seguito.
  • 13. L'opera venne dipinta nella sala del Mappamondo, in quello che al tempo era il palazzo del potere (Siena era uno dei comuni toscani, retti in pratica da un'oligarchia, come Firenze): di conseguenza era destinata ad esser vista da molte persone e veicolava un chiaro messaggio politico,mentre l'aspetto religioso era relegato in secondo piano.
  • 14. Nell'affresco è raffigurata la Madonna in trono col Bambino, circondata da uno stuolo di angeli e santi che sorreggono un fastoso baldacchino, più che una scena sacra, come nella Maestà di Ognissanti di Giotto, sembra l'immagine di una regina con la sua corte, con i santi al posto delle dame e dei paggi.
  • 15. angeli Arcangelo Michele San Crescenzio Sant‘Ansano San Vittore Se guardiamo più nel dettaglio vediamo che ai piedi del trono stanno inginocchiati i quattro protettori di Siena: Sant'Ansano, Arcangelo Michele, San Crescenzio e San Vittore.
  • 16. Infine completano il quadro i tondi nella cornice, che alternano agli evangelisti e ai dottori della chiesa, lo stemma della città; mentre al centro spicca un tondo col Cristo benedicente Mosè Giacobbe Isacco David San Marco San Matteo Evangelist Evangelista a Daniele Isaia profeta profeta Geremia San Matteo San Luca Evangelista Evangelista Lex Vestus e San Sant’Agostino Girolamo San Gregorio Lex Nova Sant’Ambrogio
  • 18. Accanto alla Madonna con il bambino troviamo San Giovanni Battista e San Giovanni Evangelista.
  • 19. Da un punto di vista stilistico il dipinto è eccellente, le figure hanno il loro volume, sono realistiche, come quelle di Giotto, ma nello stesso tempo sono più esili, delicate, hanno pose leggiadre e indossano vesti raffinate, le stesse che probabilmente l'artista vedeva indosso ai nobili o ai ricchi del tempo. E' impressionante la cura di certi dettagli decorativi, che ricordano i virtuosismi di un orefice; certamente Simone non risparmiò sull'oro che venne distribuito a piene mani in tutte le figure, particolarmente nei vestiti. In molte acconciature e in altre parti l'artista aveva poi incastonato delle gemme, che purtroppo sono in gran parte cadute, mentre le aureole, dorate anch'esse, sono finemente lavorate, per non parlare del trono della Vergine che ricorda un'architettura gotica.
  • 21. L’Annunciazione che Simone Martini realizzò nel 1333 è sicuramente una delle più belle opere pittoriche di tutto il Trecento europeo. In essa si concentra tutta l’eleganza un po’ astratta dell’arte di Simone Martini. L’Annunciazione è uno dei soggetti più diffusi in assoluto di tutta l’arte di soggetto cristiano. La rappresentazione si basa essenzialmente sul racconto tratto dal vangelo di san Luca. L’arcangelo Gabriele si presenta alla Madonna per annunciarle la futura maternità. La Madonna, che in quel momento stava leggendo, accolse con stupore e un po’ di diffidenza l’annuncio dell’arcangelo, ma, dopo un istante di esitazione, accetta l’imminente nascita di Gesù
  • 22. Il soggetto presenta alcuni elementi iconografici costanti: la presenza dei gigli, simbolo della verginità della Madonna, la colomba che simboleggia lo Spirito Santo, e il libro che, per tradizione, rivela la dimensione spirituale della Madonna. Questi elementi sono tutti presenti nella tavola di Simone Martini, ma qui l’artista inserisce qualcosa di più e di diverso rispetto ai canoni del tempo.
  • 23. Le ali dell’angelo sono estremamente allungate; la genialità dell’artista risiede proprio nell’aver reso queste ali in un realismo inedito per l’epoca in cui furono dipinte, raffigurate nell’attimo precedente al loro ripiegarsi su se stesse (essendosi l’arcangelo appena posato sul suolo). Oltretutto, non se ne vedono le estremità: (soprattutto dell’ala “principale”) questo sembra produrre l’effetto di una lunghezza estrema senza, però, renderle deformi ai nostri occhi. Il mantello dell’angelo segue il dispiegarsi delle ali, essendo stato reso, a sua volta, mentre fa i conti con l’ultimo guizzo d’aria dopo il volo di Gabriele , ed è come se si servisse delle ali per cercare l’equilibrio definitivo.
  • 24. Oltre agli splendidi brani di natura morta vale la pena di concentrarsi sui gesti dell’arcangelo. Il ramo che tiene in mano è trattenuto con la stessa eleganza con cui si terrebbe un calice, le dita si piegano in maniera quasi sensuale. La mano destra, al cui polso si noti il fuoriuscire sottile della sottoveste, si contrappone alla sinistra ed assieme formano un’apertura magnifica, una gestualità dall’eleganza assoluta.
  • 25. Per apprezzare e sentire la potenza di quella splendida dama in veste di Maria il nostro occhio deve iniziare a posarsi sul panneggio lanceolato in basso, che è una sorta di primo gradino del gesto di pudicizia che progressivamente si amplifica nella parte centrale: il corpo della Vergine sembra infatti quasi spezzarsi fra il bacino e le gambe, il che enfatizza la sua sorpresa e il sottile timore. La spalla e il volto inarcato sono l’ultimo “gradino” di questa figura che gradualmente si ritrae tutta in un insenatura di pudicizia che allo stesso tempo sembra quella di una dama corteggiata da un pretendente.
  • 26. Inutile insistere su altri particolari, tra cui le mani dellaVergine che non fanno altro che contribuire al crescendo musicale partito dalle mani dell’annunciante; infatti, anch’esse si contrappongono, ma in maniera decisamente più ansiogena e non meno elegante. Il gesto dell’angelo è posato e calcolato, quello di Maria è frutto d’istinto, ma forse è proprio questo a renderlo unico. La parte più commovente delle mani credo siano i due pollici, che affondano l’uno nel ventre profondo del libro di preghiere (come se la pressione esercitata fosse il segno di una repentina chiusura), mentre l’altro afferra e tira un lembo di veste con cui Maria ansiosamente si copre, chiudendosi in un guscio di prezioso ed antico candore.
  • 27. Il contatto tra i due è inciso a mò di vignetta sul legno e sale dal basso verso l’alto suggerendoci un’intensità crescente. Il pavimento sembra fatto del più prezioso dei marmi; il vaso- fonte che si gonfia è la parte centrale di una bilancia e i tre archi acuti in alto non riescono più ad inquadrare i personaggi in modo preciso.
  • 28. L’intento è evidente: l’angelo non riesce, ma soprattutto non vuole stare chiuso nell’arco che lo sovrasta, protende verso Maria, sconfina nella parte centrale, si intromette in un momento di vita quotidiana della donna. L’arco centrale è una fase di passaggio: inquadra tutti i personaggi e terrebbe sotto di sé anche il volto di Maria se non si fosse ritratta per il sottile spavento. Lo stesso trono decorato da quei preziosi motivi miniatori sconfina nella parte centrale: oramai non è più tempo di tenere i personaggi imbrigliati in rigidi schematismi arcaici ed il genio di Simone lo sa.
  • 30. La grande tavola fu realizzata da Simone Martini nel 1317, durante il suo soggiorno a Napoli alla corte di Roberto d’Angiò. Il re angioino aveva ereditato la corona del regno di Napoli grazie alla rinuncia del fratello maggiore, Ludovico, che scelse la carriera ecclesiastica.
  • 31. In questa grande raffigurazione il programma iconografico appare evidente: mentre san Ludovico viene incoronato da due angeli, egli, a sua volta, incorona il fratello re di Napoli. In tal modo Roberto d’Angiò affermava la legittimità della sua investitura reale.
  • 32. La tavola ha un evidente gusto gotico, frutto sia della formazione stilistica di Simone Martini, sia delle preferenze della corte angioina che, ricordiamo, era di provenienza francese. La costruzione è impostata su una evidente "prospettiva gerarchica": il santo, pur collocato in secondo piano nello spazio dell’immagine, appare di molto più grande rispetto a fratello Roberto collocato in primo piano.
  • 33. L’incongruenza formale è accentuato dal carattere decisamente frontale della figura del santo: se si guarda con attenzione si nota che il braccio sinistro che fuoriesce dal mantello, e che regge la corona, ha il gomito dietro il fianco: ciò è assolutamente impossibile nella realtà, e quindi la costruzione dell’immagine non tiene affatto conto della reale tridimensionalità delle figure.
  • 34. In pratica l’immagine ha un valore simbolico che trascende qualsiasi preoccupazione di verità mimetica di quanto rappresentato. Ciò ci dà il senso più preciso di come Simone Martini si muove in una concezione stilistica di matrice decisamente medievale, ignorando tutti quei problemi di naturalismo che invece stavano affrontando Giotto e gli altri pittori fiorentini alla ricerca di un maggiore verismo.
  • 35. Il carattere gotico di questa immagine viene ulteriormente integrato da altre precise scelte stilistiche: la linea sinuosa e di puro valore decorativo dei bordi delle vesti e del mantello del santo; la grande decorazione arabescata delle vesti; la preferenza per i colori intensi e squillanti.
  • 36. Ma il carattere gotico dell’immagine principale si perde completamente nella predella inferiore. Qui, Simone Martini dimostra di saper controllare la rappresentazione spaziale in maniera non inferiore allo stesso Giotto.
  • 37. La predella è suddivisa in cinque scomparti, contornati ognuno da un arco. Ma questi archi sono quasi come un portico oltre il quale si vede una sola scena. Infatti le cinque diverse scene sono unificate da un unico punto di fuga. Questo crea una sensazione spaziale di grande effetto, facendo sì, che l’occhio percepisca questa predella inferiore come il piano trasparente oltre il quale si sviluppano le scene.
  • 38. Simone Martini è un pittore gotico sicuramente per scelta, non per limiti stilistici. Egli, infatti, nelle sue opere dimostra spesso di aver compreso appieno la ricerca naturalistica di Giotto e dei suoi seguaci, ma la sua arte si allinea al gusto gotico forse anche per adeguarsi al gusto dei suoi committenti, che probabilmente preferivano la ricchezza decorativa del gotico alla razionale, ma spesso spartana, immagine dell’arte giottesca.
  • 40. Dal greco polyptychos (con molte piegature), è un dipinto (ma anche un rilievo in avorio o terracotta o simili) suddiviso architettonicamente in più pannelli, destinato in genere all'altare di una chiesa. Questa tavola di piccole dimensioni costituiva forse la parte alta di un polittico perduto.
  • 41. Al centro sta una tavola principale, spesso più grande di quelle laterali che, in numero uguale a destra e sinistra, rappresentano per lo più figure di santi. Ogni tavola può essere sormontata da cuspidi (con angeli, profeti o santi, per esempio).
  • 42.
  • 43. Nella parte inferiore, una tavola lunga e sottile, chiamata predella, raffigura spesso episodi della vita di un santo o alcuni misteri della vita di Cristo.
  • 44. Il Cristo è raffigurato a mezzo busto, frontale, con la mano destra levata nel gesto della benedizione e la sinistra poggiante su un libro, secondo un modello ancora bizantino, ma reso con un linguaggio pienamente senese, sia nell'eleganza del disegno che nella raffinatezza del colore Sono rari i polittici giunti integri fino a noi; motivi svariati (non ultimo lo smembramento per ottenere "più quadri") li hanno nel tempo disgregati.
  • 45. GUIDORICCIO DA FOGLIANO
  • 46. L'affresco Guidoriccio da Fogliano all'assedio di Montemassi (detto anche Guidoriccio da Fogliano semplicemente) fu realizzato nel 1328dal pittore senese Simone Martini nella Sala del Mappamondo, all'interno del Palazzo Pubblico di Siena, proprio di fronte alla Maestà dello stesso autore. È alto cm 340 per cm 968 di larghezza.
  • 47. Alcune parti dell'affresco, tra cui quella del castello e il cielo, furono ridipinte alla fine del XV secolo
  • 48. L'opera mostra il comandante delle truppe senesi durante l'assalto alla rocca di Montemassi nella Maremma, avvenuta nel1328.
  • 49. Nel 1980, a seguito di restauri eseguiti nell'area in cui era dislocato il famoso mappamondo che dette il nome alla sala, è venuto alla luce un dipinto che è in parte sottostante al ritratto del Guidoriccio a cavallo. Tale scoperta, per le implicazioni che essa ha avuto ed ha tuttora, ha messo in dubbio l'autenticità e la paternità del dipinto tradizionale.
  • 50. Costituiscono motivo di polemica artistica, non la prima e neppure l'ultima in un mondo artistico sempre più frenetico e globalizzato, l'autenticità e la paternità del "Guidoriccio da Fogliano" rappresentato nel Palazzo Pubblico di Siena, attribuito tradizionalmente al grande Simone Martini, maestro del Trecento senese, ma oggi messo in discussione da una serie di tesi alternative, sostenute da vari critici e storici d'arte che hanno provato a ridiscutere alcune conclusioni artistiche, prescindendo da valutazioni preesistenti, in qualche caso anche consolidate, nella massima libertà di ricerca e di pensiero; non si sa quanto questo abbia avuto successo e se mai lo avrà.
  • 51. Nel 1980, nel corso di un restauro, venne scoperto un dipinto di eccelsa qualità, la cui fascia superiore è sottostante  al notissimo "Guidoriccio da Fogliano alla conquista di Montemassi" e la cui parte sinistra risulta tuttora coperta dal ritratto di un santo patrono di Siena, risalente al 1530 circa dipinto dal Sodoma. La scoperta ebbe un grande clamore nel mondo dell'arte.
  • 52. Tale scoperta fu l'occasione per l'apertura di una controversia, già latente nel passato e mai sopita, circa la paternità, o meglio l'autenticità, del noto cavaliere creduto fino ad oggi il Guidoriccio da Fogliano immortalato da Simone Martini. Le perplessità trovavano origine soprattutto dal fatto singolare che Giorgio Vasari, mentre si era soffermato sulla "Maestà" di Simone Memmi (corretto successivamente in Martini), che occupa un'intera parete del Palazzo Pubblico di Siena, che definiva "di tutta perfezione, con molta sua lode e utilità", nulla accennava al cavaliere con paesaggio, che per dimensioni gareggia con la Maestà, posto nella parete di fronte, come se questo non fosse esistito o non fosse appartenuto all'eccellente "dipintore sanese".
  • 53. Presentazione creata dalle Tre Grazie: Orlando Roberta “Grazia” Montinaro Silvia “Graziella” Nina Medda “Grazie a sto c***o” Classe 3E Anno scolastico 2006/2007