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Il ciclo vitale e i processi evolutivi della famiglia. Cap2

IL TEMPO FAMILIARE
Ogni famiglia ha un suo passato un presente e una prospettiva di vita futura e questo è ciò che la
differenzia da altri gruppi. Il passato di una coppia non è solo costituito dagli eventi vissuti insieme
prima del matrimonio, ma anche dall’intreccio delle due famiglie d’origine. E non solo sono presenti
le tracce di questo passato, ma sono segnate, seppur debolmente, quelle di un futuro.

IL CICLO DI VITA: LA FAMIGLIA COME SISTEMA CHE SI MODIFICA NEL TEMPO

Il ciclo vitale della famiglia è un modello teorico di riferimento che inquadra lo sviluppo spazio-tempo
attraverso l’individuazione di determinate fasi evolutive prevedibili.
Le fasi sono caratterizzate da eventi naturali che apportano necessariamente dei cambiamenti
nell’organizzazione del sistema familiare.
La famiglia quindi si presenta come un sistema complesso caratterizzato da una stabilità dinamica
non sempre tesa alla conservazione dello stato attuale, ma in grado di perseguire una evoluzione che
consiste in un processo integrato di perdita di equilibrio e di riorganizzazione verso un nuovo
equilibrio instabile.

Le varie tappe del ciclo vitale sono segnate da eventi significativi, come le nascite, le morti,
separazioni ecc.., quindi si riferiscono ai cambiamenti strutturali della famiglia.
Si dividono in:
Eventi normativi, gli eventi prevedibili, attesi, ad esempio matrimoni, nascite, entrata
nell’adolescenza ecc…)
Eventi paranormativi, imprevedibili, inattesi, modificano la struttura relazionale del sistema famiglia
ad esempio divorzi, separazioni, malattie di un membro)

Il superamento dei momenti critici non è solo legata alla loro qualità o intensità ma al grado di
minaccia che questi rappresentano per la famiglia stessa e alle risorse che questa è in grado di
mettere in campo. Ciò vuol dire che se la famiglia non è preparata anche un evento definito
normativo potrebbe risultare fortemente destabilizzante.
L’utilità del modello del ciclo vitale per l’osservatore non sta nel poter identificare la fase evolutiva
della famiglia nel “qui ed ora” ma nel poterne osservare il cambiamento e la riorganizzazione nel
passaggio da una fase ad un’altra.

Tra una fase evolutiva e un’altra si scontrano due tendenze opposte: il desiderio di tornare indietro
verso situazione note e familiare, che promettono stabilità e sicurezza, e l’aspettativa di nuove
possibilità che si prospettano ricche di potenziali positivi.
La crisi , se colta nel suo intero significato, costituisce il primo atto di una nuova fase maturativi che
contiene il massimo potenziale di cambiamento.
Ogni fase del ciclo vitale riguarda almeno tre generazioni, ciò vuol dire che ogni evento avrà un
impatto diverso su ogni singolo membro della famiglia e le conseguenze non potranno che essere
differenti.

LA DIMENSIONE PLURIGENERAZIONALE DEL CICLO DI VITA FAMILIARE.

Pur essendo ciascun individuo artefice della propria storia individuale, non potrà mai prescindere
dalla storia intergenerazionale. Nasciamo in una posizione definita, e siamo chiamati a rispondere a
norme e ruoli prestabiliti assumendo atteggiamenti e comportamenti e rispettando valori
intergenerazionalmente trasmessi.
L’individuo, interiorizzando le regole inespresse presenti nel suo sistema ed obbedendo totalmente
ad esse, sviluppa una specie di lealtà verso il sistema, e trasmette le regole da una generazione ad


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un’altra. Ogni relazione all’interno di una famiglia è influenzata dalla lealtà e dal rispetto per la storia
multigenerazionale.
Esistono lealtà verticali e lealtà orizzontali, verso la famiglia d’origine e verso il coniuge, la coppia è
dunque il punto d’incontro tra ciò che è stato trasmesso e ciò che trasmette.

I MITI FAMILIARI COME ESPRESSIONE E VEICOLO DELLA CULTURA FAMILIARE

L’identità culturale di una famiglia è un sistema di valori ideo-affettivi modellato nel tempo da più
generazioni
 Il modello normale della famiglia può essere costruito sulla base della condivisione di una immagine
idealizzata : il mito.
L’adesione al mito garantisce l’integrazione familiare: attraverso di esso vengono trasmesse alle
nuove generazione modalità di comportamento relazionale, valori, norme, e ruoli. Così come la
famiglia può essere considerata una micro cultura, allo stesso modo non necessita per esprimersi dei
mezzi divulgativi caratteristici di una cultura vera e propria, poiché è una dimensione privata.
 Ogni individuo trova nell’universo di valori familiari e nei suoi miti una peculiare
collocazione,funzionale alla soddisfazione dei suoi bisogni primari e al suo equilibrio psico-affettivo.
Per il mito il tempo acquista un valore fondamentale, poiché ciò che resiste nel tempo perde una sua
valenza storica ma ne acquista una universale per chi ne è testimone.
Il mito dona stabilità all’identità culturale del gruppo, stabilità che non è congelamento dell’intero
processo evolutivo, anzi questa stabilità dona la sicurezza necessaria per avviare i cambiamenti.
 Caratteristiche del mito:
     • Ridondanza dell’oggetto mitico
     • Astoricità dei miti
     • L’uso del concreto.
     • La rappresentatività dei miti (dietro il racconto mitico in apparenza semplice vi è racchiusa
         una gran parte della cultura familiare)
I miti rafforzano i legami di interdipendenza ideo-affettiva tra i membri del gruppo, fanno sentire
l’individuo come “parte di” ma possono anche spingere l’individuo al distacco.
La personalità di un individuo si forgia proprio sulla continua rinegoziazione del bisogno di
appartenenza e quello di separazione .
Se il mito viene assimilato, rielaborato e fatto proprio rappresenterà una gran risorsa per l’individuo
per quanto sia stato il risultato di un sentiero difficile, segnato dall’ambivalenza tra lo “stare dentro”
e lo “stare fuori”.
Ma se invece ciò non accade e vi è uno squilibrio tra distanza e vicinanza che si accentua troppo a
favore di un’adesione acritica ai valori familiari, assisteremo ad un inglobamento di questi come un
corpo estraneo che ostacola il processo di individuazione del Sé.
Bisogna comunque considerare che pure l’assenza di questi elementi coesivi, minando delle
sicurezze fondamentali, potrebbe ostacolare il processo di Individuazione.
Questo “separarsi ed appartenere” questo “uscire ed entrare” è una ginnastica necessaria per
affermare la propria individualità, sentendosi sempre libero di poter tornare nel gruppo senza per
questo sentirsi un traditore o un diverso.
La famiglia è il primo luogo dove l’individuo prova a costituire e a strutturare il proprio Sé e il
contesto dove si differenzia attraverso il rapporto con i familiari, esattamente come una figura
rispetto allo sfondo.


DIFFERENZIAZIONE DEL Sé

Il risultato del lavoro continuo di autodefinizione ed individualizzazione viene definito
Differenziazione.
Questa è influenzata da:


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•   Sistema emotivo della famiglia nucleare
    •   Clima della famiglia d’origine
    •   Processo di triangolazione
    •   Processo proiettivo familiare
    •   Grado di separazione emotiva dalla propria famiglia d’ origine.

Secondo la scala di Differenziazione di Bowen che si muove lungo un continuum che va dalla fusione
estrema alla massima differenziazione, solo chi si trova in quest’ ultima estremità rappresenta i livelli
più alti di funzionamento umano e potrà trarne beneficio la sua famiglia nucleare. Quindi da questa
prospettiva l’obiettivo più importante per la famiglia è quello di aiutare i suoi membri nel processo di
Differenziazione del Sé, nel complesso raggiungimento di equilibrio tra Appartenenza e Separazione.

TAGLIO EMOTIVO

Non sempre il processo di Differenziazione ha esiti positivi, spesso anzi restiamo intrappolati in
modelli ripetitivi di relazioni, in particolare quando si presentano nuovi compiti di sviluppo.
A volte “Appartenenza” e “Separazione” sono vissute solo in termini di esclusione reciproca, quando
un taglio netto dà l’illusione di autonomia.
Il taglio emotivo indica quella separazione, fisica o emotiva, prematura e traumatica, di una persona
dai vincoli e dagli affetti familiari. E’ un estraneamento tra i membri di una famiglia che li preserva
dal confronto o dalla risoluzione dei conflitti.
Tale modalità relazionale può provocare arresti evolutivi e sentimenti di incompletezza affettiva in
età adulta che non si ripercuotono solo sull’individuo ma possono provocare forti disagi nei rapporti
di coppia e tra genitori e figli.
La distanza emotiva può essere raggiunta tramite meccanismi interni, con la distanza fisica o
attraverso la combinazione di entrambi.
Chi per esempio va via di casa pensando così di ottenere l’autonomia, si ritroverà in futuro a cercare
dei legami di tipo compensatorio che gli permettano di riempire i “vuoti” che si portano dentro.
La principale espressione del taglio emotivo è la negazione dell’intensità dell’ attaccamento emotivo
non risolto ai proprio genitori. E’ questo il caso della pseudo-separazione degli adolescenti.
L’unica soluzione per uno sviluppo che consenta di raggiungere la “Posizione Io” è quella di
riconnettersi al momento in cui il taglio è avvenuto, intraprendendo una ricostruzione attiva dei
legami intergenerazionali e una elaborazione attiva delle perdite che non vanno negate ma comprese
e fatte proprie.

IL FIGLIO CRONICO

La condizione di “ Figlio Cronico” si manifesta quando un figlio non riesce a fare il salto e resta
bloccato in una fase evolutiva inferiore rispetto a quella che ci si aspetterebbe. Si ritiene che questo
avvenga a causa di una “intimidazione intergenerazionale” che ha bloccato il processo di acquisizione
di “autorevolezza personale” che consente ad ogni individuo di raggiungere la maturità psicologica.
A volte è la lealtà sentita nei confronti della propria famiglia di origine che provoca disfunzioni sociali,
individuali e familiari.



Modalità di osservazione della famiglia Cap 4

IL TRIANGOLO COME UNITA’ MINIMA DI OSSERVAZIONE




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Il sistema è fatto da elementi interdipendenti che interagiscono e non dalla sola somma delle parti,
per conoscere l’individuo dobbiamo conoscere la sua storia familiare ed inquadrarne gli eventuali
problemi all’interno del suo mondo affettivo e sociale.
L’osservazione diadica delle relazioni venne considerata limitante, Bowen negli anni ’60 introdusse il
concetto teorico dei triangoli, unità minima di analisi di tutte le relazioni , anche quelle che
apparentemente riguardano solo due persone.
Autori come Bowen, Withaker, Ackerman considerano la famiglia un sistema emozionale
caratterizzato da forze opposte, le une che spingono verso la differenziazione, le altre che vorrebbero
mantenere la coesione. Sono importanti la storia, il rapporto con le figure significative del passato, la
famiglia di origine. La famiglia è inserita in un contesto storico, questo ci porta a vedere l’individuo
nella sua dimensione trigenerazionale. Ovviamente osservare le relazione triangolari in una
dimensione trigenerazionale permette una rilettura più complessa delle relazioni attuali.

IL GENOGRAMMA E LA SCULTURA FAMILIARE

Lo psicologo relazionale ha il compito di promuovere la capacità della famiglia di osservare, rivisitare
e rinarrare la loro storia evolutiva, potendo sempre separarsi e riavvicinarsi ad essa ma ponendosi
sempre come parte attiva di questa costruzione della realtà.
 Esistono modalità osservative diverse, quali il role playing, la scultura familiare che aiutano nel
processo di ricostruzione familiare che consiste nel ripercorrere la propria storia familiare attraverso
tre generazioni. . Caratteristica comune di queste tecniche è la loro valenza dinamica. Permettono ai
membri della famiglia di giocare con la realtà “come se” e questo permette di guardare la stessa con
occhi nuovi. Di avere più consapevolezza del proprio modo di vivere le relazioni, o di aver vissuto
situazioni passate, avendone una nuova comprensione.
La continuazione della stirpe nel tempo trova il suo simbolo nella figura dell’albero: radici-passato
germogli-avvenire. L’unità del ceppo originario e la molteplicità dei rami che ne derivano.
Il genogramma è la rappresentazione grafica dell’albero genealogico, un diagramma delle relazioni
della famiglia estesa di almeno tre generazioni. Lo dobbiamo a Bowen.
Esso si discosta quindi da un’anamnesi medica e si concentra di più sulla storia affettiva degli
individui.
Stendere il genogramma consente all’individuo di vedersi nel quadro più vasto della sua famiglia, e
permette di tirare fuori elementi rimossi, ricordi, rancori, affetti, di svelare miti, blocchi o alleanze
che consentono la ridefinizione di eventi significativi oltre alla possibilità di elaborare un miglior
progetto di vita.
 La scultura familiare fu introdotta da virginia Satir negli anni ’70 . Se il genogramma predilige una
modalità narrativa più incentrata sul canale verbale-digitale, la scultura invece predilige il livello
analogico e l’uso del corpo e dello spazio. A ciascun membro della famiglia verrà chiesto di modellare
gli altri componenti della famiglia in una posizione che simboleggi le loro reciproche relazioni
emotive.
La scultura ha l’effetto di far venire alla luce le immagini mitiche, i fantasmi che la famiglia si porta
dietro, i disagi interattivi dovuti agli stereotipi di genere, ossia una rigide imposizione di ruoli del
“maschile” e del “femminile” tramandati per generazioni e divenuti insostenibili per alcuni. La
scultura ha lo scopo di far emergere i “vuoti” cioè ciò che è mancato per realizzarsi completamente
come persona.
Sculture trigenerazionali.
Sculture del tempo: della memoria, del presente e del futuro.
A volte è nel confronto tra queste che emerge il blocco delle potenzialità evolutive della famiglia.
Nella terza scultura c’è una forte tendenza a mantenere inalterati tutti i rapporti, legami, ruoli poiché
il cambiamento è visto come fonte di disgregazione e di rottura e non come miglioramento e
maturazione dei legami affettivi.




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Nel colloquio relazionale il primo passo è -osservare la relazione- il secondo è –muovere la
relazione- sia ad un livello concreto (postura) che ad uno più astratto (linguaggio simbolico).
L’alternanza tra concreto e astratto, introduce una forte dose di incertezza nel sistema famiglia-
psicologo. Il dubbio, la logica del forse è il primo passo per mettere in discussione comportamenti
ripetitivi e motivazioni scontate, ricercando significati alternativi.

IL ROLE PLAYING
Consiste nel coinvolgimento della famiglia nella recita di una situazione reale vissuta dai membri. Il
suo scopo è quello di promuovere una miglior comprensione delle proprie modalità relazionali, di
individuare i propri modelli interattivi e il modo di ricoprire dei ruoli. Quindi lo psicologo relazionale,
dopo aver capito qual è il problema essenziale , l’avvenimento che ha motivato il comportamento
sintomatico di uno dei membri della famiglia, invita la famiglia stessa a recitare una determinata
azione collettiva.



Lo psicologo relazionale: la costruzione del terzo pianeta
Cap 6


L’OSSERVATORE RELAZIONALE COME PARTE DEL CAMPO DI OSSERVAZIONE


Intersoggettività come strumento di conoscenza. Lo scopo dell’intervento psicologico è quello di
ricreare nuove basi relazionali con le quali le famiglie possano generare le loro risorse. L’individuo e
la famiglia sono infatti sistemi aperti capaci di autogenerarsi , attivi e reattivi, in costante
trasformazione con propri confini interni ed esterni. La soggettività dello psicologo, il suo
coinvolgimento personale trova ora uno spazio elettivo nei contesti interattivi in cui ha luogo
l’intervento. La realtà viene costruita in base alla descrizione che gli individui danno di avvenimenti,
persone, idee e sentimenti, in ragione di ciò lo psicologo deve assumere una visione binoculare, in
grado di cogliere allo stesso tempo l’osservazione sul cliente e quella sulla relazione tra i due sistemi,
mantenendo però una posizione di neutralità, una posizione meta, definita “terzo pianeta”. Quindi lo
psicologo relazionale dovrà essere in grado di osservare se stesso, allontanarsi quanto basta per
osservare la relazione con il cliente e quindi la loro interazione costruendo una relazione di tipo
triangolare.
La modalità di accesso privilegiata al sistema avviene tramite le “risonanze” , ovvero un interesse
sincero e spontaneo che lo psicologo sente attraverso la relazione che si crea con il cliente. Lo
psicologo non deve mai perdere di vista sé stesso e chiedersi come la propria azione abbia
influenzato la relazione.

COMPETENZE E RISONANZE EMOTIVE DELLO PSICOLOGO RELAZIONALE

Un colloquio psicologico presuppone una capacità empatica dello psicologo relazionale, una presenza
emotiva prima ancora che fisica, un ascolto attento e sincero, poiché le persone danno informazioni
in base a come sono ascoltate. L’empatia nasce dalla curiosità, che è qualcosa che nasce dentro di
noi, è una capacità innata ma per lo psicologo deve diventare una vera e propria disciplina, significa
partecipare davvero all’esperienza dell’altro, è la porta che ci permette di scavare dentro noi stessi,
di conoscere l’altro per conoscere sé.
Lo psicologo deve sentire ben radicata in sé la consapevolezza dell’enorme potenziale di chi gli sta di
fronte, deve tener sempre presente che l’individuo è qualcosa di molto più complesso dei problemi
che porta nel colloquio. Sospendere ogni forma di giudizio e pregiudizio è indispensabile.



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Le difficoltà di un individuo sono parte integrante del su processo di crescita e lo psicologo relazionale
sa che ogni difficoltà non è da vedere come handicap, ma come potenzialità, come risorsa.
Non è tanto la difficoltà ad essere intrinsecamente problematica quanto il modo di affrontarla.
L’ autoreferenza è quanto lo psicologo porta di se nel rapporto con il cliente, le risonanze sono delle
aggregazioni che sono costituite da elementi comuni in individui diversi, lo psicologo può scegliere se
nascondere i propri sentimenti o esplicitarli, l’importante è essere sempre come si è e non come si
dovrebbe essere. Il cliente decide di mettersi davvero in gioco quando sente che anche lo psicologo è
coinvolto e partecipa alle sue stesse difficoltà.
La complessità umana ci impone di rifiutare la certezza e le verità assolute, ci porta considerare vari
punti di vista, il dubbio è all’origine di ogni ricerca e condizione di ogni conquista. Lo psicologo deve
assumere un modo di pensare che non sia per prove ed errori ma un continuo emergere di ipotesi,
rivisitare continuamente gli eventi e darne una lettura sempre diversa. Ciò spesso comporta una
confusione passiva che va accettata, senza subirne la pressione o l’ansia.

I linguaggi dell’incontro con la famiglia Cap 7

PRESUPPOSTI DELL’INTERVISTA RELAZIONALE: L’IPOTIZZAZIONE

L’oggetto di indagine del colloquio con la famiglia è il sistema trigenerazionale, lo psicologo non è un
ascoltatore passivo ma avrà la capacità di pensare, di fare domande e di collegare le informazioni
che riceve sempre con nuovi nessi secondo un orientamento preciso, dando a queste un ordine,
grazie alla sua creatività che comprende l’ascolto di sé, dell’altro e la capacità di scelta.
Già dal primo contatto con il cliente, che può essere la telefonata di richiesta d’intervento lo psicologo
formulerà la prima ipotesi, che non è né vera né falsa, ma più o meno utile, in quanto da questa
ricaveremo nuove informazioni.
L’ipotesi verrà vantaggiosamente accettata dal sistema famiglia più sarà in grado do fornire una
nuova visione del problema, sarà condivisa o criticata qualora il cliente sarà in grado di confutarla.
Ovviamente non avrà nessuna funzione ristrutturante se non accettata dal sistema.

ANALISI DELLA DOMANDA E DEL SISTEMA DI INVIO

Il colloquio relazionale prevede dei passaggi importanti, l’accoglienza e l’analisi della domanda.
Analizzare la richiesta d’aiuto consiste nell’indagare le motivazioni e le aspettative del cliente
sull’intervento psicologico. Spesso capita che non sia l’utente stesso a formulare la domanda d’aiuto
ma che sia inviato da terzi, come i genitori con i figli e che quindi la motivazione dei committenti sia
più forte di quella dell’ utente stesso.
L’inviante motivato va quindi distinto da quello generico.

SELEZIONE,RACCOLTA, TRASFORMAZIONE DELLE INFORMAZIONI

Dopo aver analizzato la domanda, e aver formulato una prima ipotesi, si passa alla raccolta di
informazioni, che non consiste in una semplice descrizione degli eventi ma dei significati che questi
hanno assunto per le persone coinvolte. Ciò avverrà nella posizione meta, o terzo pianeta, dello
psicologo, dove potrà osservarsi e osservare la relazione da una certa distanza ma con tutta la
partecipazione del caso.
 Spesso il cliente si crea delle “certezze protettive” su ciò che riguarda il suo problema, lo psicologo
dovrà trovare gli elementi che mettono in crisi queste certezze per permettere al cliente di trovare
nuove interpretazioni e nuovi assetti affettivi.

Per questo utilizziamo la metafora dell’imbuto rovesciato.
Nella sua posizione normale, con il collo rivolto verso il basso, poniamo il cliente e le sue informazioni
in alto e lo psicologo dalla parte del collo.


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Come sappiamo il primo espone la propria lettura degli eventi in modo rigido e stereotipato, le
famose certezze, in cui non c’è spazio per il dubbio, quindi nessuna via d’uscita. Lo psicologo,
rimanendo nella parte stretta dell’imbuto, sarà sopraffatto da queste informazioni, schiacciato senza
la possibilità di fornire nuove interpretazioni.
Per raggiungere tale scopo è necessario effettuare un capovolgimento dell’imbuto, ovvero dirigere le
informazioni in più direzioni, dando allo psicologo la possibilità di collegare persone ed avvenimenti in
modo diverso e ricevere risposte più ricche che restituiscono all’ individuo la sua complessità. Ciò
avviene grazie a domande mirate che danno al cliente una visione circolare in cui non si distinguono
le cause dagli effetti.

RIDEFINIZIONE
Lo psicologo relazionale ascolta attivamente quello che il cliente racconta e vi si sintonizza
emotivamente per poi ridefinire il significato affettivo degli eventi. Tale ridefinizione fornisce al
soggetto una nuova visione della situazione che acquista una nuova struttura.


DOMANDE RELAZIONALI
Qualsiasi domanda che ponga in relazione il nostro interlocutore con altre persone è una domanda
relazionale. All’interno di un colloquio queste danno la possibilità di esplorare le
 modalità di relazione proprie di un sistema e di comprenderne il funzionamento.
Domande intergenerazionali
Domande “come se”
Domande metaforiche
Domande “più e meno” e “prima e dopo”
Domande dirette e indirette
Domande che assumono rischi: le domande intrusive

Tra le caratteristiche delle domande relazionali, le più importanti sono:
Circolarità e significatività.




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Manuale 7 pag [dai cap 2, 4, 6, 7]

  • 1. Il ciclo vitale e i processi evolutivi della famiglia. Cap2 IL TEMPO FAMILIARE Ogni famiglia ha un suo passato un presente e una prospettiva di vita futura e questo è ciò che la differenzia da altri gruppi. Il passato di una coppia non è solo costituito dagli eventi vissuti insieme prima del matrimonio, ma anche dall’intreccio delle due famiglie d’origine. E non solo sono presenti le tracce di questo passato, ma sono segnate, seppur debolmente, quelle di un futuro. IL CICLO DI VITA: LA FAMIGLIA COME SISTEMA CHE SI MODIFICA NEL TEMPO Il ciclo vitale della famiglia è un modello teorico di riferimento che inquadra lo sviluppo spazio-tempo attraverso l’individuazione di determinate fasi evolutive prevedibili. Le fasi sono caratterizzate da eventi naturali che apportano necessariamente dei cambiamenti nell’organizzazione del sistema familiare. La famiglia quindi si presenta come un sistema complesso caratterizzato da una stabilità dinamica non sempre tesa alla conservazione dello stato attuale, ma in grado di perseguire una evoluzione che consiste in un processo integrato di perdita di equilibrio e di riorganizzazione verso un nuovo equilibrio instabile. Le varie tappe del ciclo vitale sono segnate da eventi significativi, come le nascite, le morti, separazioni ecc.., quindi si riferiscono ai cambiamenti strutturali della famiglia. Si dividono in: Eventi normativi, gli eventi prevedibili, attesi, ad esempio matrimoni, nascite, entrata nell’adolescenza ecc…) Eventi paranormativi, imprevedibili, inattesi, modificano la struttura relazionale del sistema famiglia ad esempio divorzi, separazioni, malattie di un membro) Il superamento dei momenti critici non è solo legata alla loro qualità o intensità ma al grado di minaccia che questi rappresentano per la famiglia stessa e alle risorse che questa è in grado di mettere in campo. Ciò vuol dire che se la famiglia non è preparata anche un evento definito normativo potrebbe risultare fortemente destabilizzante. L’utilità del modello del ciclo vitale per l’osservatore non sta nel poter identificare la fase evolutiva della famiglia nel “qui ed ora” ma nel poterne osservare il cambiamento e la riorganizzazione nel passaggio da una fase ad un’altra. Tra una fase evolutiva e un’altra si scontrano due tendenze opposte: il desiderio di tornare indietro verso situazione note e familiare, che promettono stabilità e sicurezza, e l’aspettativa di nuove possibilità che si prospettano ricche di potenziali positivi. La crisi , se colta nel suo intero significato, costituisce il primo atto di una nuova fase maturativi che contiene il massimo potenziale di cambiamento. Ogni fase del ciclo vitale riguarda almeno tre generazioni, ciò vuol dire che ogni evento avrà un impatto diverso su ogni singolo membro della famiglia e le conseguenze non potranno che essere differenti. LA DIMENSIONE PLURIGENERAZIONALE DEL CICLO DI VITA FAMILIARE. Pur essendo ciascun individuo artefice della propria storia individuale, non potrà mai prescindere dalla storia intergenerazionale. Nasciamo in una posizione definita, e siamo chiamati a rispondere a norme e ruoli prestabiliti assumendo atteggiamenti e comportamenti e rispettando valori intergenerazionalmente trasmessi. L’individuo, interiorizzando le regole inespresse presenti nel suo sistema ed obbedendo totalmente ad esse, sviluppa una specie di lealtà verso il sistema, e trasmette le regole da una generazione ad OPsonline.it: la Web Community italiana per studenti, laureandi e laureati in Psicologia Appunti d’esame, statino on line, forum di discussione, chat, simulazione d’esame, valutaprof, minisiti web di facoltà, servizi di orientamento e tutoring e molto altro ancora… http://www.opsonline.it
  • 2. un’altra. Ogni relazione all’interno di una famiglia è influenzata dalla lealtà e dal rispetto per la storia multigenerazionale. Esistono lealtà verticali e lealtà orizzontali, verso la famiglia d’origine e verso il coniuge, la coppia è dunque il punto d’incontro tra ciò che è stato trasmesso e ciò che trasmette. I MITI FAMILIARI COME ESPRESSIONE E VEICOLO DELLA CULTURA FAMILIARE L’identità culturale di una famiglia è un sistema di valori ideo-affettivi modellato nel tempo da più generazioni Il modello normale della famiglia può essere costruito sulla base della condivisione di una immagine idealizzata : il mito. L’adesione al mito garantisce l’integrazione familiare: attraverso di esso vengono trasmesse alle nuove generazione modalità di comportamento relazionale, valori, norme, e ruoli. Così come la famiglia può essere considerata una micro cultura, allo stesso modo non necessita per esprimersi dei mezzi divulgativi caratteristici di una cultura vera e propria, poiché è una dimensione privata. Ogni individuo trova nell’universo di valori familiari e nei suoi miti una peculiare collocazione,funzionale alla soddisfazione dei suoi bisogni primari e al suo equilibrio psico-affettivo. Per il mito il tempo acquista un valore fondamentale, poiché ciò che resiste nel tempo perde una sua valenza storica ma ne acquista una universale per chi ne è testimone. Il mito dona stabilità all’identità culturale del gruppo, stabilità che non è congelamento dell’intero processo evolutivo, anzi questa stabilità dona la sicurezza necessaria per avviare i cambiamenti. Caratteristiche del mito: • Ridondanza dell’oggetto mitico • Astoricità dei miti • L’uso del concreto. • La rappresentatività dei miti (dietro il racconto mitico in apparenza semplice vi è racchiusa una gran parte della cultura familiare) I miti rafforzano i legami di interdipendenza ideo-affettiva tra i membri del gruppo, fanno sentire l’individuo come “parte di” ma possono anche spingere l’individuo al distacco. La personalità di un individuo si forgia proprio sulla continua rinegoziazione del bisogno di appartenenza e quello di separazione . Se il mito viene assimilato, rielaborato e fatto proprio rappresenterà una gran risorsa per l’individuo per quanto sia stato il risultato di un sentiero difficile, segnato dall’ambivalenza tra lo “stare dentro” e lo “stare fuori”. Ma se invece ciò non accade e vi è uno squilibrio tra distanza e vicinanza che si accentua troppo a favore di un’adesione acritica ai valori familiari, assisteremo ad un inglobamento di questi come un corpo estraneo che ostacola il processo di individuazione del Sé. Bisogna comunque considerare che pure l’assenza di questi elementi coesivi, minando delle sicurezze fondamentali, potrebbe ostacolare il processo di Individuazione. Questo “separarsi ed appartenere” questo “uscire ed entrare” è una ginnastica necessaria per affermare la propria individualità, sentendosi sempre libero di poter tornare nel gruppo senza per questo sentirsi un traditore o un diverso. La famiglia è il primo luogo dove l’individuo prova a costituire e a strutturare il proprio Sé e il contesto dove si differenzia attraverso il rapporto con i familiari, esattamente come una figura rispetto allo sfondo. DIFFERENZIAZIONE DEL Sé Il risultato del lavoro continuo di autodefinizione ed individualizzazione viene definito Differenziazione. Questa è influenzata da: OPsonline.it: la Web Community italiana per studenti, laureandi e laureati in Psicologia Appunti d’esame, statino on line, forum di discussione, chat, simulazione d’esame, valutaprof, minisiti web di facoltà, servizi di orientamento e tutoring e molto altro ancora… http://www.opsonline.it
  • 3. Sistema emotivo della famiglia nucleare • Clima della famiglia d’origine • Processo di triangolazione • Processo proiettivo familiare • Grado di separazione emotiva dalla propria famiglia d’ origine. Secondo la scala di Differenziazione di Bowen che si muove lungo un continuum che va dalla fusione estrema alla massima differenziazione, solo chi si trova in quest’ ultima estremità rappresenta i livelli più alti di funzionamento umano e potrà trarne beneficio la sua famiglia nucleare. Quindi da questa prospettiva l’obiettivo più importante per la famiglia è quello di aiutare i suoi membri nel processo di Differenziazione del Sé, nel complesso raggiungimento di equilibrio tra Appartenenza e Separazione. TAGLIO EMOTIVO Non sempre il processo di Differenziazione ha esiti positivi, spesso anzi restiamo intrappolati in modelli ripetitivi di relazioni, in particolare quando si presentano nuovi compiti di sviluppo. A volte “Appartenenza” e “Separazione” sono vissute solo in termini di esclusione reciproca, quando un taglio netto dà l’illusione di autonomia. Il taglio emotivo indica quella separazione, fisica o emotiva, prematura e traumatica, di una persona dai vincoli e dagli affetti familiari. E’ un estraneamento tra i membri di una famiglia che li preserva dal confronto o dalla risoluzione dei conflitti. Tale modalità relazionale può provocare arresti evolutivi e sentimenti di incompletezza affettiva in età adulta che non si ripercuotono solo sull’individuo ma possono provocare forti disagi nei rapporti di coppia e tra genitori e figli. La distanza emotiva può essere raggiunta tramite meccanismi interni, con la distanza fisica o attraverso la combinazione di entrambi. Chi per esempio va via di casa pensando così di ottenere l’autonomia, si ritroverà in futuro a cercare dei legami di tipo compensatorio che gli permettano di riempire i “vuoti” che si portano dentro. La principale espressione del taglio emotivo è la negazione dell’intensità dell’ attaccamento emotivo non risolto ai proprio genitori. E’ questo il caso della pseudo-separazione degli adolescenti. L’unica soluzione per uno sviluppo che consenta di raggiungere la “Posizione Io” è quella di riconnettersi al momento in cui il taglio è avvenuto, intraprendendo una ricostruzione attiva dei legami intergenerazionali e una elaborazione attiva delle perdite che non vanno negate ma comprese e fatte proprie. IL FIGLIO CRONICO La condizione di “ Figlio Cronico” si manifesta quando un figlio non riesce a fare il salto e resta bloccato in una fase evolutiva inferiore rispetto a quella che ci si aspetterebbe. Si ritiene che questo avvenga a causa di una “intimidazione intergenerazionale” che ha bloccato il processo di acquisizione di “autorevolezza personale” che consente ad ogni individuo di raggiungere la maturità psicologica. A volte è la lealtà sentita nei confronti della propria famiglia di origine che provoca disfunzioni sociali, individuali e familiari. Modalità di osservazione della famiglia Cap 4 IL TRIANGOLO COME UNITA’ MINIMA DI OSSERVAZIONE OPsonline.it: la Web Community italiana per studenti, laureandi e laureati in Psicologia Appunti d’esame, statino on line, forum di discussione, chat, simulazione d’esame, valutaprof, minisiti web di facoltà, servizi di orientamento e tutoring e molto altro ancora… http://www.opsonline.it
  • 4. Il sistema è fatto da elementi interdipendenti che interagiscono e non dalla sola somma delle parti, per conoscere l’individuo dobbiamo conoscere la sua storia familiare ed inquadrarne gli eventuali problemi all’interno del suo mondo affettivo e sociale. L’osservazione diadica delle relazioni venne considerata limitante, Bowen negli anni ’60 introdusse il concetto teorico dei triangoli, unità minima di analisi di tutte le relazioni , anche quelle che apparentemente riguardano solo due persone. Autori come Bowen, Withaker, Ackerman considerano la famiglia un sistema emozionale caratterizzato da forze opposte, le une che spingono verso la differenziazione, le altre che vorrebbero mantenere la coesione. Sono importanti la storia, il rapporto con le figure significative del passato, la famiglia di origine. La famiglia è inserita in un contesto storico, questo ci porta a vedere l’individuo nella sua dimensione trigenerazionale. Ovviamente osservare le relazione triangolari in una dimensione trigenerazionale permette una rilettura più complessa delle relazioni attuali. IL GENOGRAMMA E LA SCULTURA FAMILIARE Lo psicologo relazionale ha il compito di promuovere la capacità della famiglia di osservare, rivisitare e rinarrare la loro storia evolutiva, potendo sempre separarsi e riavvicinarsi ad essa ma ponendosi sempre come parte attiva di questa costruzione della realtà. Esistono modalità osservative diverse, quali il role playing, la scultura familiare che aiutano nel processo di ricostruzione familiare che consiste nel ripercorrere la propria storia familiare attraverso tre generazioni. . Caratteristica comune di queste tecniche è la loro valenza dinamica. Permettono ai membri della famiglia di giocare con la realtà “come se” e questo permette di guardare la stessa con occhi nuovi. Di avere più consapevolezza del proprio modo di vivere le relazioni, o di aver vissuto situazioni passate, avendone una nuova comprensione. La continuazione della stirpe nel tempo trova il suo simbolo nella figura dell’albero: radici-passato germogli-avvenire. L’unità del ceppo originario e la molteplicità dei rami che ne derivano. Il genogramma è la rappresentazione grafica dell’albero genealogico, un diagramma delle relazioni della famiglia estesa di almeno tre generazioni. Lo dobbiamo a Bowen. Esso si discosta quindi da un’anamnesi medica e si concentra di più sulla storia affettiva degli individui. Stendere il genogramma consente all’individuo di vedersi nel quadro più vasto della sua famiglia, e permette di tirare fuori elementi rimossi, ricordi, rancori, affetti, di svelare miti, blocchi o alleanze che consentono la ridefinizione di eventi significativi oltre alla possibilità di elaborare un miglior progetto di vita. La scultura familiare fu introdotta da virginia Satir negli anni ’70 . Se il genogramma predilige una modalità narrativa più incentrata sul canale verbale-digitale, la scultura invece predilige il livello analogico e l’uso del corpo e dello spazio. A ciascun membro della famiglia verrà chiesto di modellare gli altri componenti della famiglia in una posizione che simboleggi le loro reciproche relazioni emotive. La scultura ha l’effetto di far venire alla luce le immagini mitiche, i fantasmi che la famiglia si porta dietro, i disagi interattivi dovuti agli stereotipi di genere, ossia una rigide imposizione di ruoli del “maschile” e del “femminile” tramandati per generazioni e divenuti insostenibili per alcuni. La scultura ha lo scopo di far emergere i “vuoti” cioè ciò che è mancato per realizzarsi completamente come persona. Sculture trigenerazionali. Sculture del tempo: della memoria, del presente e del futuro. A volte è nel confronto tra queste che emerge il blocco delle potenzialità evolutive della famiglia. Nella terza scultura c’è una forte tendenza a mantenere inalterati tutti i rapporti, legami, ruoli poiché il cambiamento è visto come fonte di disgregazione e di rottura e non come miglioramento e maturazione dei legami affettivi. OPsonline.it: la Web Community italiana per studenti, laureandi e laureati in Psicologia Appunti d’esame, statino on line, forum di discussione, chat, simulazione d’esame, valutaprof, minisiti web di facoltà, servizi di orientamento e tutoring e molto altro ancora… http://www.opsonline.it
  • 5. Nel colloquio relazionale il primo passo è -osservare la relazione- il secondo è –muovere la relazione- sia ad un livello concreto (postura) che ad uno più astratto (linguaggio simbolico). L’alternanza tra concreto e astratto, introduce una forte dose di incertezza nel sistema famiglia- psicologo. Il dubbio, la logica del forse è il primo passo per mettere in discussione comportamenti ripetitivi e motivazioni scontate, ricercando significati alternativi. IL ROLE PLAYING Consiste nel coinvolgimento della famiglia nella recita di una situazione reale vissuta dai membri. Il suo scopo è quello di promuovere una miglior comprensione delle proprie modalità relazionali, di individuare i propri modelli interattivi e il modo di ricoprire dei ruoli. Quindi lo psicologo relazionale, dopo aver capito qual è il problema essenziale , l’avvenimento che ha motivato il comportamento sintomatico di uno dei membri della famiglia, invita la famiglia stessa a recitare una determinata azione collettiva. Lo psicologo relazionale: la costruzione del terzo pianeta Cap 6 L’OSSERVATORE RELAZIONALE COME PARTE DEL CAMPO DI OSSERVAZIONE Intersoggettività come strumento di conoscenza. Lo scopo dell’intervento psicologico è quello di ricreare nuove basi relazionali con le quali le famiglie possano generare le loro risorse. L’individuo e la famiglia sono infatti sistemi aperti capaci di autogenerarsi , attivi e reattivi, in costante trasformazione con propri confini interni ed esterni. La soggettività dello psicologo, il suo coinvolgimento personale trova ora uno spazio elettivo nei contesti interattivi in cui ha luogo l’intervento. La realtà viene costruita in base alla descrizione che gli individui danno di avvenimenti, persone, idee e sentimenti, in ragione di ciò lo psicologo deve assumere una visione binoculare, in grado di cogliere allo stesso tempo l’osservazione sul cliente e quella sulla relazione tra i due sistemi, mantenendo però una posizione di neutralità, una posizione meta, definita “terzo pianeta”. Quindi lo psicologo relazionale dovrà essere in grado di osservare se stesso, allontanarsi quanto basta per osservare la relazione con il cliente e quindi la loro interazione costruendo una relazione di tipo triangolare. La modalità di accesso privilegiata al sistema avviene tramite le “risonanze” , ovvero un interesse sincero e spontaneo che lo psicologo sente attraverso la relazione che si crea con il cliente. Lo psicologo non deve mai perdere di vista sé stesso e chiedersi come la propria azione abbia influenzato la relazione. COMPETENZE E RISONANZE EMOTIVE DELLO PSICOLOGO RELAZIONALE Un colloquio psicologico presuppone una capacità empatica dello psicologo relazionale, una presenza emotiva prima ancora che fisica, un ascolto attento e sincero, poiché le persone danno informazioni in base a come sono ascoltate. L’empatia nasce dalla curiosità, che è qualcosa che nasce dentro di noi, è una capacità innata ma per lo psicologo deve diventare una vera e propria disciplina, significa partecipare davvero all’esperienza dell’altro, è la porta che ci permette di scavare dentro noi stessi, di conoscere l’altro per conoscere sé. Lo psicologo deve sentire ben radicata in sé la consapevolezza dell’enorme potenziale di chi gli sta di fronte, deve tener sempre presente che l’individuo è qualcosa di molto più complesso dei problemi che porta nel colloquio. Sospendere ogni forma di giudizio e pregiudizio è indispensabile. OPsonline.it: la Web Community italiana per studenti, laureandi e laureati in Psicologia Appunti d’esame, statino on line, forum di discussione, chat, simulazione d’esame, valutaprof, minisiti web di facoltà, servizi di orientamento e tutoring e molto altro ancora… http://www.opsonline.it
  • 6. Le difficoltà di un individuo sono parte integrante del su processo di crescita e lo psicologo relazionale sa che ogni difficoltà non è da vedere come handicap, ma come potenzialità, come risorsa. Non è tanto la difficoltà ad essere intrinsecamente problematica quanto il modo di affrontarla. L’ autoreferenza è quanto lo psicologo porta di se nel rapporto con il cliente, le risonanze sono delle aggregazioni che sono costituite da elementi comuni in individui diversi, lo psicologo può scegliere se nascondere i propri sentimenti o esplicitarli, l’importante è essere sempre come si è e non come si dovrebbe essere. Il cliente decide di mettersi davvero in gioco quando sente che anche lo psicologo è coinvolto e partecipa alle sue stesse difficoltà. La complessità umana ci impone di rifiutare la certezza e le verità assolute, ci porta considerare vari punti di vista, il dubbio è all’origine di ogni ricerca e condizione di ogni conquista. Lo psicologo deve assumere un modo di pensare che non sia per prove ed errori ma un continuo emergere di ipotesi, rivisitare continuamente gli eventi e darne una lettura sempre diversa. Ciò spesso comporta una confusione passiva che va accettata, senza subirne la pressione o l’ansia. I linguaggi dell’incontro con la famiglia Cap 7 PRESUPPOSTI DELL’INTERVISTA RELAZIONALE: L’IPOTIZZAZIONE L’oggetto di indagine del colloquio con la famiglia è il sistema trigenerazionale, lo psicologo non è un ascoltatore passivo ma avrà la capacità di pensare, di fare domande e di collegare le informazioni che riceve sempre con nuovi nessi secondo un orientamento preciso, dando a queste un ordine, grazie alla sua creatività che comprende l’ascolto di sé, dell’altro e la capacità di scelta. Già dal primo contatto con il cliente, che può essere la telefonata di richiesta d’intervento lo psicologo formulerà la prima ipotesi, che non è né vera né falsa, ma più o meno utile, in quanto da questa ricaveremo nuove informazioni. L’ipotesi verrà vantaggiosamente accettata dal sistema famiglia più sarà in grado do fornire una nuova visione del problema, sarà condivisa o criticata qualora il cliente sarà in grado di confutarla. Ovviamente non avrà nessuna funzione ristrutturante se non accettata dal sistema. ANALISI DELLA DOMANDA E DEL SISTEMA DI INVIO Il colloquio relazionale prevede dei passaggi importanti, l’accoglienza e l’analisi della domanda. Analizzare la richiesta d’aiuto consiste nell’indagare le motivazioni e le aspettative del cliente sull’intervento psicologico. Spesso capita che non sia l’utente stesso a formulare la domanda d’aiuto ma che sia inviato da terzi, come i genitori con i figli e che quindi la motivazione dei committenti sia più forte di quella dell’ utente stesso. L’inviante motivato va quindi distinto da quello generico. SELEZIONE,RACCOLTA, TRASFORMAZIONE DELLE INFORMAZIONI Dopo aver analizzato la domanda, e aver formulato una prima ipotesi, si passa alla raccolta di informazioni, che non consiste in una semplice descrizione degli eventi ma dei significati che questi hanno assunto per le persone coinvolte. Ciò avverrà nella posizione meta, o terzo pianeta, dello psicologo, dove potrà osservarsi e osservare la relazione da una certa distanza ma con tutta la partecipazione del caso. Spesso il cliente si crea delle “certezze protettive” su ciò che riguarda il suo problema, lo psicologo dovrà trovare gli elementi che mettono in crisi queste certezze per permettere al cliente di trovare nuove interpretazioni e nuovi assetti affettivi. Per questo utilizziamo la metafora dell’imbuto rovesciato. Nella sua posizione normale, con il collo rivolto verso il basso, poniamo il cliente e le sue informazioni in alto e lo psicologo dalla parte del collo. OPsonline.it: la Web Community italiana per studenti, laureandi e laureati in Psicologia Appunti d’esame, statino on line, forum di discussione, chat, simulazione d’esame, valutaprof, minisiti web di facoltà, servizi di orientamento e tutoring e molto altro ancora… http://www.opsonline.it
  • 7. Come sappiamo il primo espone la propria lettura degli eventi in modo rigido e stereotipato, le famose certezze, in cui non c’è spazio per il dubbio, quindi nessuna via d’uscita. Lo psicologo, rimanendo nella parte stretta dell’imbuto, sarà sopraffatto da queste informazioni, schiacciato senza la possibilità di fornire nuove interpretazioni. Per raggiungere tale scopo è necessario effettuare un capovolgimento dell’imbuto, ovvero dirigere le informazioni in più direzioni, dando allo psicologo la possibilità di collegare persone ed avvenimenti in modo diverso e ricevere risposte più ricche che restituiscono all’ individuo la sua complessità. Ciò avviene grazie a domande mirate che danno al cliente una visione circolare in cui non si distinguono le cause dagli effetti. RIDEFINIZIONE Lo psicologo relazionale ascolta attivamente quello che il cliente racconta e vi si sintonizza emotivamente per poi ridefinire il significato affettivo degli eventi. Tale ridefinizione fornisce al soggetto una nuova visione della situazione che acquista una nuova struttura. DOMANDE RELAZIONALI Qualsiasi domanda che ponga in relazione il nostro interlocutore con altre persone è una domanda relazionale. All’interno di un colloquio queste danno la possibilità di esplorare le modalità di relazione proprie di un sistema e di comprenderne il funzionamento. Domande intergenerazionali Domande “come se” Domande metaforiche Domande “più e meno” e “prima e dopo” Domande dirette e indirette Domande che assumono rischi: le domande intrusive Tra le caratteristiche delle domande relazionali, le più importanti sono: Circolarità e significatività. OPsonline.it: la Web Community italiana per studenti, laureandi e laureati in Psicologia Appunti d’esame, statino on line, forum di discussione, chat, simulazione d’esame, valutaprof, minisiti web di facoltà, servizi di orientamento e tutoring e molto altro ancora… http://www.opsonline.it