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L’OSSERVATORE ROMANOGIORNALE QUOTIDIANO
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POLITICO RELIGIOSO
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Anno CLIV n. 26 (46.568) Città del Vaticano domenica 2 febbraio 2014
.
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Udienza di Papa Francesco ai neocatecumenali
L’essenziale è la comunione
Meglio rinunciare a vivere il cammino in tutti i dettagli per garantire l’unità ecclesiale
Una vera e propria festa di famiglia
quella svoltasi attorno al Papa sta-
mani, sabato 1° febbraio, nell’Aula
Paolo VI, con centinaia di bambini
indiscussi protagonisti. Per centoses-
santa di queste famiglie l’incontro
con il Pontefice ha assunto un signi-
ficato tutto particolare. Da lui infatti
hanno ricevuto il mandato per la
missio ad gentes. Proprio la consegna
di questo mandato è stata il momen-
to centrale dell’udienza di Papa
Francesco a migliaia di appartenenti
al Cammino neocatecumenale.
E proprio come un buon padre di
famiglia, il Pontefice ha voluto dare
loro «alcune semplici raccomanda-
zioni». Innanzitutto ha ricordato
che «è meglio rinunciare a vivere in
tutti i dettagli ciò che il vostro itine-
rario esigerebbe pur di garantire
l’unità tra i fratelli che formano
l’unica comunità ecclesiale». Perché
— ha affermato — «la comunione è
essenziale», soprattutto tra quelli
che «formano l’unica comunità ec-
clesiale».
È necessario poi non dimenticare
che «lo Spirito di Dio arriva sempre
prima di noi» e sparge «i semi del
suo Verbo». Dunque è importante
cercare di capire le culture dei popo-
li che si vanno a incontrare e «rico-
noscere il bisogno di Vangelo che è
presente ovunque, ma anche
quell’azione che lo Spirito Santo ha
compiuto nella vita e nella storia di
ogni popolo».
In Severo di Antiochia
Presentazione
del Signore
MANUEL NIN A PAGINA 6
Oggi l’inserto mensile
Donne e denaro
Colloqui tra Kerry e Lavrov a margine della conferenza internazionale di Monaco di Baviera
Pressioni incrociate sulla Siria
Si celebra domenica la giornata della vita consacrata
La misura di Dio
la regola dell’amore
«Ingresso del Signore nel tempio»,
evangeliario siriaco (XIII secolo)
NOSTRE INFORMAZIONI
Il pellegrinaggio del priore di Taizé
In ascolto
dei giovani dell’Asia
FRATEL ALOIS A PAGINA 6
A cento anni dallo scoppio
della prima guerra mondiale
Tra realismo
e utopia
ULLA GUDMUNDSON A PAGINA 5
di JOÃO BRAZ DE AVIZ*
E
rano più di cento i superiori
generali ricevuti da Papa
Francesco in Vaticano lo
scorso 29 novembre. Sono state tre
ore di dialogo spontaneo e traspa-
rente, che hanno lasciato un segno
sui volti e nei cuori dei presenti.
Non penso che la felicità speri-
mentata da tutti noi fosse motivata
solo dall’annuncio del Pontefice di
voler dedicare il 2015 alla vita con-
sacrata. Era molto di più. Ci siamo
sentiti confermati da Pietro nel
cammino attuale degli ordini, dei
monasteri, delle congregazioni, de-
gli istituti e delle società di vita
apostolica sparsi nel mondo. Senza
aggirare i problemi, le debolezze e
i peccati presenti nella vita consa-
crata oggi, il Papa ci ha richiamati
alla centralità della bellezza e della
responsabilità personale e comuni-
taria della nostra vocazione.
La vita consacrata «più fedel-
mente imita e continuamente rap-
presenta nella Chiesa la forma di
vita che Gesù, supremo consacrato
e missionario del Padre per il suo
Regno, ha abbracciato e ha propo-
sto ai discepoli che lo seguivano»
(Vita consecrata, 22). Essa dunque è
«speciale memoria del suo essere di
Figlio che fa del Padre il suo unico
Amore — ecco la sua verginità —,
che in Lui trova la sua esclusiva
ricchezza — ecco la sua povertà —
ed ha nella volontà del Padre il “ci-
bo” di cui si nutre — ecco la sua
obbedienza» (Messaggio per la pri-
ma giornata della vita consacrata,
1997).
Dopo il concilio Vaticano II la
vita consacrata, nelle sue forme at-
tuali, ha compiuto un profondo
cammino di rinnovamento. Sono
cresciute anche le difficoltà, in pro-
porzioni e in circostanze diverse. Il
concilio ha sottolineato alcuni oriz-
zonti precisi da focalizzare: sceglie-
re come regola suprema il «seguire
Gesù» proposto nel Vangelo; cono-
scere e osservare fedelmente lo spi-
rito e le intenzioni dei fondatori;
partecipare alla vita della Chiesa
locale; essere informati e aggiornati
sulle realtà umane dei nostri tempi;
promuovere anzitutto il rinnova-
mento spirituale; corrispondere alle
necessità dell’apostolato, alle esi-
genze della cultura, alle circostanze
sociali ed economiche, specialmen-
te nei territori di missione; coltivare
lo spirito di preghiera, attingendo
in primo luogo alla Sacra scrittura;
celebrare col cuore e con la bocca
la sacra liturgia, specialmente il mi-
stero eucaristico; e con la forza del-
l’Eucaristia e della Parola, amare i
fratelli, rispettare e stimare i pastori
con spirito filiale e sentire con la
Chiesa.
È un rinnovamento, assunto da
molti istituti, che obbedisce a tre
grandi criteri, indicati dal decreto
conciliare Perfectae caritatis: ritorno
alle fonti della vita cristiana; ritor-
no all’ispirazione primitiva e origi-
nale degli istituti; adattamento alle
condizioni del tempo.
In questo senso, la nostra Con-
gregazione lavora ogni giorno al
servizio degli orientamenti del Pa-
pa e del buon ordinamento della
vita di circa duemila istituti, per un
totale di un milione e mezzo di
consacrati e consacrate. Il rapporto
sincero e profondo con l’Unione
dei superiori generali (Usg) e con
l’Unione internazionale delle supe-
riore generali (Uisg) è molto fecon-
do di progressi.
L’asse principale sul quale ruota
l’identità e la vita dei consacrati è
la spiritualità di comunione. Que-
sto orientamento è cresciuto negli
anni successivi al concilio e viene
proposto come criterio per la for-
mazione dell’uomo e della donna,
in modo particolare per i discepoli
di Cristo nella Chiesa. Ciò implica
un ritorno esperienziale al mistero
centrale della fede, la Santissima
Trinità. Qui il consacrato potrà tro-
vare le luci autentiche per costruire
una vita fraterna capace di genera-
re la presenza del Signore, senza la
quale il suo cuore non riesce a es-
sere veramente felice.
Anche per i consacrati e le con-
sacrate è il momento di credere
all’amore. Che è sempre a misura
di Dio. E va reso concreto a misura
d’uomo.
*Cardinale prefetto
della Congregazione per gli istituti
di vita consacrata
e le società di vita apostolica
Infine il Papa ha raccomandato, a
tutti e non solo alle famiglie in par-
tenza, di avere pazienza e misericor-
dia anche con quanti magari decido-
no di uscire dall’esperienza del
Cammino. «La libertà di ciascuno —
ha raccomandato — non deve essere
forzata, e si deve anche rispettare la
eventuale scelta di chi decidesse di
cercare, fuori dal cammino, altre for-
me di vita cristiana che lo aiutino a
crescere nella risposta alla chiamata
del Signore».
Papa Francesco non ha poi fatto
mancare il suo incoraggiamento ai
nuovi missionari, invitandoli a por-
tare il Vangelo dovunque, «anche
negli ambienti più scristianizzati».
PAGINA 8
IN ALLEGATO
GINEVRA, 1. Pressioni diplomatiche
incrociate segnano in queste ore il
confronto internazionale sulla Siria,
dopo la chiusura senza esiti certi, ie-
ri, della prima tornata del negoziato
a Ginevra. Sede di tale confronto è
stata, sempre ieri, Monaco di Bavie-
ra, dove si è aperta la conferenza in-
ternazionale sulla sicurezza, alla qua-
le intervengono anche i principali at-
tori internazionali impegnati sulla
questione siriana.
L’inviato dell’Onu e della Lega
araba per la Siria, Lakhdar Brahimi,
ha sollecitato le potenze internazio-
nali a esercitare pressioni sul Gover-
no di Damasco e sulle opposizioni
affinché s’impegnino a discutere se-
riamente sulla fine del conflitto
quando, il prossimo 10 febbraio,
s’incontreranno per la seconda tor-
nata della conferenza a Ginevra.
«Spero — ha detto Brahimi — che
quanti hanno influenza sul Governo
e l’opposizione facciano sì che chi
tornerà a febbraio si metta a discute-
re seriamente».
Alla questione siriana, secondo
quanto riferito dal dipartimento di
Stato di Washington, è stato dedica-
to anche un incontro tra i responsa-
bili delle diplomazie statunitense e
russa, John Kerry e Serghiei Lavrov,
sempre a margine della conferenza
di Monaco di Baviera. Kerry, che
poco prima aveva accusato il Gover-
no siriano di non rispettare la tempi-
stica stabilita a settembre per lo
smantellamento dei propri arsenali
chimici, ha chiesto a Lavrov di pre-
mere su Damasco affinché consegni
per intero le armi entro il termine
previsto di giugno. Kerry e Lavrov
hanno inoltre espresso la comune
preoccupazione per la situazione
umanitaria in Siria, in particolare a
Homs, e per il protrarsi dei combat-
timenti. In merito, fonti dell’opposi-
zione siriana hanno sostenuto ieri
che anche durante questa settimana
di negoziati a Ginevra ci sono stati
in Siria 1.900 morti, per un quarto
civili. A Kerry e Lavrov si sono poi
uniti il segretario generale dell’Onu,
Ban Ki-moon, e lo stesso Brahimi,
per un esame delle prospettive della
conferenza internazionale Ginevra 2,
anche in riferimento alla necessità di
allargare la delegazione dell’opposi-
zione, finora composta solo da una
parte dei gruppi aderenti alla Coali-
zione nazionale siriana.
Il Santo Padre ha ricevuto in
udienza nel pomeriggio di venerdì
31 Sua Eminenza Reverendissima il
Signor Cardinale Fernando Filoni,
Prefetto della Congregazione per
l’Evangelizzazione dei Popoli.
Il Santo Padre ha ricevuto que-
sta mattina in udienza:
Sua Eminenza Reverendissima il
Signor Cardinale Marc Ouellet,
Prefetto della Congregazione per i
Vescovi;
le Loro Eccellenze Reverendissi-
me i Monsignori:
— Józef Kowalczyk, Arcivescovo
di Gniezno (Polonia), con gli Au-
siliari, le Loro Eccellenze Reveren-
dissime i Monsignori Wojciech Po-
lak, Vescovo titolare di Monte di
Numidia, e Krzysztof Jakub
Wętkowski, Vescovo titolare di
Glavinizza, e con l’Arcivescovo
emerito, Sua Eccellenza Reveren-
dissima Monsignor Henryk Józef
Muszyński, in visita «ad limina
Apostolorum»;
— Stanisław Gądecki, Arcivesco-
vo di Poznań (Polonia), con gli
Ausiliari, le Loro Eccellenze Reve-
rendissime i Monsignori Zdzisław
Fortuniak, Vescovo titolare di
Tamagrista, Grzegorz Balcerek, Ve-
scovo titolare di Selendeta, e Da-
mian Bryl, Vescovo titolare di Su-
liana, in visita «ad limina Aposto-
lorum»;
— Marek Jędraszewski, Arcive-
scovo di Łódź (Polonia), con gli
Ausiliari, le Loro Eccellenze Reve-
rendissime i Monsignori Adam Le-
pa, Vescovo titolare di Regiana, e
Ireneusz Józef Pękalski, Vescovo
titolare di Castello di Tingizio, in
visita «ad limina Apostolorum»;
— Jan Martyniak, Arcivescovo di
Przemyśl-Warszawa di rito bizanti-
no-ucraino (Polonia), in visita «ad
limina Apostolorum»;
— Wieslaw Alojzy Mering, Ve-
scovo di Włocławek (Polonia), con
l’Ausiliare, Sua Eccellenza Reve-
rendissima Monsignor Stanisław
Gębicki, Vescovo titolare di Tiges,
in visita «ad limina Apostolorum»;
— Jan Tyrawa, Vescovo di Byd-
goszcz (Polonia), in visita «ad li-
mina Apostolorum»;
— Edward Janiak, Vescovo di
Kalisz (Polonia), in visita «ad limi-
na Apostolorum»;
— Andrzej Franciszek Dziuba,
Vescovo di Łowicz (Polonia), in vi-
sita «ad limina Apostolorum»;
— Wlodzimierz Roman Juszczak,
Vescovo di Wrocław-Gdańsk di ri-
to bizantino-ucraino (Polonia), in
visita «ad limina Apostolorum».
Il Santo Padre ha accettato la ri-
nuncia all’ufficio di Ausiliare
dell’Arcidiocesi di New York (Stati
Uniti d’America), presentata da
Sua Eccellenza Reverendissima
Monsignor Josu Iriondo, in con-
formità ai canoni 411 e 401 § 1 del
Codice di Diritto Canonico.
Provvista di Chiesa
Il Santo Padre ha nominato Ve-
scovo della Diocesi di Kannur (In-
dia) il Reverendo Alex Joseph Va-
dakumthala, Vicario Generale
dell’Arcidiocesi di Verapoly.
Nomina di Vescovi Ausiliari
Il Santo Padre ha nominato Ve-
scovo Ausiliare dell’Arcidiocesi di
Santiago de Chile (Cile) Monsi-
gnor Luis Fernando Ramos Pérez,
del clero della medesima Arcidio-
cesi, finora Rettore del Seminario
Maggiore di Santiago e Vicario
Episcopale per il clero, assegnan-
dogli la sede titolare di Tetci.
Il Santo Padre ha nominato Ve-
scovo Ausiliare dell’Arcidiocesi di
Santiago de Chile (Cile) il Reve-
rendo Galo Fernández Villaseca,
del clero della medesima Arcidio-
cesi, finora Vicario Episcopale del-
la zona ovest dell’Arcidiocesi, asse-
gnandogli la sede titolare di Si-
mingi.
2. L’OSSERVATORE ROMANOpagina 2 domenica 2 febbraio 2014
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Per gli oppositori il Governo sarebbe pronto a usare la forza mentre Ashton annuncia una missione diplomatica
Sempre più grave
la crisi politico-istituzionale in Ucraina
Un agente di polizia nel freddo di Kiev (Reuters)
Cameron
e Hollande
d’accordo
a metà
LONDRA, 1. Vicini e distanti: il
premer britannico, David Ca-
meron, e il presidente francese,
François Hollande, hanno mo-
strato — durante il vertice svol-
tosi ieri in una base dell’aero-
nautica militare britannica vici-
no a Oxford — di essere d’ac-
cordo a metà sulle più impor-
tanti questioni di politica inter-
nazionale. Se gli obiettivi di
fondo sembrano condivisi —
vale a dire un’Europa più forte
nel consesso mondiale, una
crescita economica credibile e a
lungo termine — non paiono
invece procedere lungo lo stes-
so solco le strategie per rag-
giungerli.
«La Francia — ha detto Hol-
lande — vuole che l’eurozona
sia più coordinata, più integra-
ta, e se ci sono delle modifiche
ai testi, per noi al momento
non costituiscono un’urgenza».
E quindi ha precisato: «Per noi
la revisione dei trattati non è la
priorità». Cameron, invece,
continua a perseguire la sua li-
nea per la riforma dell’Europa:
e in questo prospettiva la di-
scussione dei trattati riveste
un’importanza strategica. Al ri-
guardo il primo ministro ha di-
chiarato: «L’Europa ha biso-
gno di cambiare e sta già cam-
biando. Io voglio vedere una
Gran Bretagna che vota per ri-
manere in un’Unione europea
riformata». E ha aggiunto:
«Non c’è dubbio che ci sarà
un referendum nel 2017 se io
sarò primo ministro». Came-
ron ha infatti promesso un re-
ferendum attraverso il quale
scegliere se restare o lasciare
l’Ue, da tenersi nel 2017 nel ca-
so in cui egli venga confermato
a Downing Street dopo le ele-
zioni del 2015, e dopo aver ri-
negoziato il rapporto tra Lon-
dra e Bruxelles.
Piena intesa tra il premier
britannico e il presidente fran-
cese invece sul nuovo sistema
missilistico antinave: al riguar-
do sono stati siglati alcuni ac-
cordi. Durante l’incontro Ca-
meron e Hollande si sono an-
che impegnati nella collabora-
zione per realizzare un drone
di nuova generazione.
Superati gli argini a Ponte Milvio
Il Tevere
desta allarme a Roma
Negli Stati Uniti Obama e le grandi aziende lanciano una nuova strategia
Patto contro la disoccupazione
Paesi emergenti
nell’occhio del ciclone
Disboscamento
nel Gran Chaco
ASUNCIÓN, 1. L'ecosistema del Gran
Chaco — il terzo territorio bio-geo-
grafico più vasto dell’America latina
— sta lentamente venendo distrutto
dall’uomo, con l'introduzione di al-
levamenti estensivi, incendi di vege-
tazione e sfruttamenti agricoli. Solo
nel 2013 ha perso ben 539.233 ettari
di bosco. La cifra equivale alla
scomparsa di 1.473 ettari al giorno.
Lo ha evidenziato l’organizzazione
ecologica Guyra Paraguay, che ha
utilizzato le immagini del satellite
della Nasa.
Il Gran Chaco, che si estende per
parte degli attuali territori di Argen-
tina, Bolivia, Brasile e Paraguay, tra
i fiumi Paraguay e Paraná e l’alto-
piano andino, occupa circa 1,4 mi-
lioni di chilometri quadrati e inclu-
de due grandi eco-regioni, una sec-
ca e una umida, che a loro volta im-
plicano differenti ecosistemi che
vanno dai pascoli ai terreni paludo-
si, da giacimenti salini alle savane
secche e una grande estensione di
boschi e arbusti. Il maggiore livello
di distruzione si è prodotto in Para-
guay, che ha oltre il 25 per cento
del territorio del Gran Chaco, dove
nel 2013 sono andati distrutti
268.000 ettari di foresta.
El Salvador
elegge il capo dello Stato
Un’immagine del Tevere in piena (Ansa)
KIEV, 1. Di fronte all’inarrestabile
degenerare della crisi in Ucraina,
Catherine Ashton ha deciso di intra-
prendere una nuova missione diplo-
matica e di mediazione.
L’alto rappresentante per la Politi-
ca estera e di Sicurezza comune
dell’Unione europea ha infatti an-
nunciato ieri che la settimana prossi-
ma ritornerà a Kiev per la terza vol-
ta in meno di due mesi.
Vi si era recata appena quattro
giorni fa, e già in dicembre aveva
compiuto una prima visita, durante
la quale aveva avuto due faccia a
faccia con il presidente filo-russo,
Viktor Ianukovich.
Ashton, che ieri a margine della
Conferenza di Monaco sulla sicurez-
za, si è detta «inorridita» per le no-
tizie relative ai rapimenti e alle tor-
ture inflitte a diversi oppositori, ha
motivato la nuova iniziativa proprio
con l’intento di fare luce sugli abusi.
Anche gli Stati Uniti si sono detti
«sconvolti» dalla notizia che uno dei
leader della protesta sia stato tortu-
rato. L’uomo, Dmitro Bulatov,
scomparso da otto giorni, è stato ri-
trovato nei pressi della capitale con
indosso una maglia insanguinata, un
orecchio mozzato ed evidenti segni
di violenza sul corpo.
L’Amministrazione di Washing-
ton, tramite il portavoce del diparti-
mento di Stato, Jay Carney, «è pro-
fondamente preoccupata» per l’acca-
dimento e per la recrudescenza della
violenza in Ucraina.
È stata frattanto pubblicata sulla
«Voce d’Ucraina», la locale Gazzetta
ufficiale, la legge d’amnistia appro-
vata il 29 gennaio dal Parlamento —
e aspramente criticata dall’opposi-
zione — che prevede la liberazione
dei dimostranti antigovernativi in
cambio dello sgombero degli edifici
pubblici occupati. Ieri era arrivata la
firma del presidente Ianukovich.
La legge concede ai manifestanti
15 giorni per rimuovere l’assedio ai
palazzi governativi e sgomberare le
piazze, teatro degli scontri con la
polizia delle ultime settimane.
I leader della protesta hanno de-
nunciato, però, che i provvedimenti
non sono sufficienti (entreranno in
vigore solo nel momento in cui sa-
ranno sgomberati gli edifici occupati
alla fine dello scorso anno a Kiev e
nelle altre località del Paese), mentre
il ministero della Difesa, dopo un
incontro fra lo stato maggiore e il
ministro, Pavel Lebedev, ha preso
decisamente posizione sulla grave
crisi politico-istituzionale.
In una nota ufficiale, ha infatti av-
vertito del rischio dell’integrità terri-
toriale del Paese, sollecitando
Ianukovich a introdurre misure ur-
genti per ripristinare la stabilità nella
Repubblica ex sovietica e raggiunge-
re il consenso nazionale.
E in connessione con le proteste
antigovernative, la polizia sta inda-
gando su un tentativo di colpo di
Stato. Lo ha reso noto Maxim
Lenko, esponente di spicco dei servi-
zi di sicurezza, spiegando che prove
in tal senso sono state raccolte du-
rante il raid effettuato in dicembre
dalla polizia nel Partito della patria,
la formazione politica dell’ex pre-
mier, Iulia Tymoshenko, attualmente
detenuta in carcere.
Secondo queste informazioni, ha
affermato Lenko alla stampa, dopo
l’esame dei server sequestrati vi sono
prove che i manifestanti volevano
provocare una reazione violenta del-
la polizia, in modo da minare l’auto-
rità del presidente Ianukovych e
dell’intero Esecutivo. Il Partito della
patria, principale forza di opposizio-
ne, ha respinto le accuse, conside-
randole una provocazione.
In aggiunta, Arseniy Yatsenyuk,
capo del partito, ha dichiarato come
altamente probabile che per stronca-
re in via definitiva le proteste di
massa, il Governo di Kiev «faccia ri-
corso all’uso della forza», in un con-
testo che potrebbe comprendere il
coinvolgimento dell’Esercito.
Lo ha detto al presidente tedesco,
Joachim Gauck, e al ministro degli
Esteri di Berlino, Frank-Walter
Steinmeier, che ha incontrato ieri —
assieme ad Ashton — a Monaco di
Baviera. Nella città bavarese,
Yatsenyuk avrà oggi una serie di col-
loqui, insieme ad altri oppositori,
con il segretario di Stato americano,
John Kerry. A Monaco è previsto
anche l’intervento di Vitakli
Klitschko, ex campione mondiale di
pugilato e uno dei leader della pro-
testa antigovernativa.
WASHINGTON, 1. Un patto con le
grandi aziende americane per non
discriminare più chi, a causa della
crisi, è da troppo tempo senza lavo-
ro. Barack Obama strappa l’impe-
gno alla Apple, alla Ford, al gigante
della grande distribuzione Walmart
e a tante altre big del mondo delle
imprese americane che promettono
di cambiare, individuando regole co-
muni che non penalizzino più l’as-
sunzione dei cosiddetti disoccupati
di lunga durata.
«Non è giusto che più tempo una
persona resta disoccupata, più diffi-
coltà incontra nel trovare un nuovo
impiego» rischiando così di rimanere
tagliato fuori per sempre dal mondo
del lavoro, ha dichiarato il presiden-
te Obama. Del resto, dati alla mano,
sul fronte del collocamento un ame-
ricano rimasto a lungo disoccupato
ha addirittura il 45 per cento di pos-
sibilità in meno di accedere ai collo-
qui di lavoro. Un problema che il
presidente americano vuole superare.
E per dare l’esempio Obama ha in-
tanto firmato un provvedimento in
cui dà una precisa indicazione a tut-
te le branche della sua amministra-
zione: le assunzioni nel Governo fe-
derale devono avvenire senza consi-
derare se gli aspiranti dipendenti so-
no o non sono disoccupati di lungo
termine. Di fronte a una possibilità
di impiego, tutti devono avere le
stesse opportunità.
Ed è su questo punto che il presi-
dente americano ha insistito, ieri, in
un incontro con i numeri uno di al-
cune delle più importanti imprese
del Paese, ricevuti alla Casa Bianca:
dal ceo di Bank of America, Brian
Moynihan, a quello di McDonald’s,
Don Thompson, passando per l’am-
ministratore delegato di Boeing, Jim
McNerny, e a quello del fondo di
investimento Blackrock, Larry Fink.
Da tutti Obama ha ricevuto la pro-
messa che la questione occupaziona-
le sarà messa al centro delle politi-
che aziendali.
Intanto, sono già oltre trecento le
aziende che hanno aderito all’appel-
lo del presidente: fra queste, venti
rientrano nella classifica delle prime
cinquanta società più ricche. «Il
Congresso continua a perdere tempo
— ha denunciato Obama — anche
per misure che dovrebbero essere va-
rate con la massima urgenza, vedi la
proroga delle indennità di disoccu-
pazione. Allora noi andremo avanti,
e agiremo per cercare di aggredire
seriamente il problema».
MOSCA, 1. Paesi emergenti ancora
nell’occhio del ciclone. Dopo la re-
lativa quiete di due giorni fa, ieri
sono tornati i ribassi sui mercati
valutari di quelle nazioni che fino a
poco tempo fa guidavano la ripresa
mondiale, ma che ora stanno assi-
stendo a forti movimenti di capitali
in uscita. E questo principalmente
a causa dell’avvio della riduzione
degli stimoli monetari della Federal
Reserve, la Banca centrale america-
na.
Nonostante gli «interventi illimi-
tati» promessi dall’istituto centrale
russo, il rublo ha ceduto l’un per
cento sul dollaro, tornando ai mini-
mi da cinque anni. Ha perso l’un
per cento anche la lira turca, nono-
stante la stretta monetaria senza
precedenti attuata dalla Banca cen-
trale di Ankara, che continua a
vendere valuta estera nella speran-
za di frenarne il deprezzamento.
Sempre ieri, in Sud Africa il rand è
tornato ad arretrare, e il rendimen-
to dei titoli di Stato decennali è sa-
lito ai massimi da due anni e mez-
zo, con conseguenze gravissime per
famiglie e aziende.
Il caso turco — dicono gli anali-
sti — resta quello più emblematico.
La lira ha infatti perso circa il dieci
per cento nell’ultimo mese, nono-
stante le misure massicce volute dal
Governo. L’agenzia di rating statu-
nitense Moody's ha messo in guar-
dia: «Una violenta svalutazione
della lira e l’erosione delle riserve
valutarie possono far esplodere una
crisi e mettere sotto pressione il ra-
ting sovrano».
Secondo i dati di Epfr Global,
società che monitora i flussi d’inve-
stimento nel mondo, solo questa
settimana dai fondi azionari dedi-
cati ai Paesi emergenti sono stati ri-
tirati oltre sei miliardi di dollari,
mentre per il mese di gennaio si re-
gistrano in totale flussi in uscita
per 12,2 miliardi di dollari. Dai
fondi obbligazionari invece sono
volati via 2,7 miliardi di dollari
questa settimana e 4,6 miliardi da
inizio anno. Cifre incredibili, che
di fatto confermano tutta la gravità
della crisi in atto.
Alla radice di tutto sta la deci-
sione della Fed di iniziare il ritiro
degli incentivi all’economia. La
Banca centrale ha immesso nel
mercato più di 4.000 miliardi di li-
quidità aggiuntiva, dal 2009 a og-
gi. Una terapia estrema, che ha
funzionato discretamente, e i cui ri-
sultati si stanno cominciando a ve-
dere. Ma il ritirarsi di questa im-
mensa marea di dollari sta avendo
effetti disastrosi. La liquidità dispo-
nibile si sta riducendo e quindi gli
investitori investono di meno, op-
pure preferiscono investire su Paesi
con basi più solide. In sostanza, gli
investitori hanno meno “cartucce”
per puntare sui mercati emergenti,
quelli che garantiscono maggiori
rendimenti a fronte di un rischio
un po’ più alto.
SAN SALVADOR, 1. Vigilia di elezioni
in Salvador, dove domani si terrà il
voto per le presidenziali. Cinque i
candidati che andranno a sfidarsi
per succedere a Mauricio Funes,
primo presidente espressione dell’ex
guerriglia del fronte Farabundo
Martí per la liberazione nazionale
(Fmln), che lascerà il mandato il
prossimo 31 maggio. Poco meno di
cinque milioni di elettori sono attesi
in 1.593 seggi, tra ingenti misure di
sicurezza. I principali candidati alla
carica di presidente sono il vice pre-
sidente Salvador Sánchez Cerén,
candidato del Governo uscente, e il
sindaco di San Salvador, Norman
Quijano, esponente della Alleanza
repubblicana nazionalista (Arena).
Ci sono poi Elías Antonio Saca,
l’ultimo presidente di Arena, e oggi
candidato del movimento Unidad;
Oscar Lemus, del partito Fraternita
patriota, e René Rodríguez, del
partito Progressista. Secondo il pa-
rere di numerosi sondaggisti, sarà
molto difficile che uno dei candida-
ti possa superare già al primo turno
la quota del cinquanta per cento
delle preferenze necessario per vin-
cere le elezioni senza ricorrere al
ballottaggio.
ROMA, 1. Desta preoccupazione a
Roma la piena del Tevere dopo le
piogge abbattutesi in questi giorni
sull’Italia centrale. Questa mattina il
fiume ha tracimato tra il ponte Duca
d’Aosta e il Lungotevere della Vitto-
ria, invadendo la pista ciclabile. Lo
ha confermato il delegato alla sicu-
rezza del Campidoglio dopo un so-
pralluogo. Il tratto interessato si tro-
va nella zona dello Stadio Olimpico.
La Protezione civile ha minimizzato
l’accaduto escludendo il rischio di
allagamenti su vasta scala nel centro
dalla capitale. Ma la situazione viene
costantemente monitorata anche
all’altezza dell’Isola Tiberina. Alcu-
ne zone più periferiche della città, a
oltre 24 ore dal nubifragio di ieri,
sono ancora alle prese con gravissimi
disagi. Molte strade sono ancora
chiuse, mentre in altre la circolazio-
ne risulta pericolosa a causa di vora-
gini e buche.
3. L’OSSERVATORE ROMANOdomenica 2 febbraio 2014 pagina 3
Alle urne per le legislative boicottate dall’opposizione
Fiato sospeso
in Thailandia
BANGKOK, 1. Alle prese da oltre tre
mesi con una gravissima crisi poli-
tico-istituzionale, che ha anche
provocato dieci morti, 800 feriti e
migliaia di arresti, la Thailandia si
reca domenica alle urne per le ele-
zioni legislative anticipate.
Il risultato, dato il boicottaggio
dell’opposizione, appare scontato,
con il Governo della premier,
Yingluck Shinawatra, che non do-
vrebbe incontrare nessun ostacolo.
Ma l’importanza dei numeri che
usciranno dallo scrutinio è relativa,
rispetto al timore di nuove violenze
e, soprattutto, alla consapevolezza
che il voto non potrà rappresentare
una soluzione per lo scontro istitu-
zionale in atto tra i due blocchi.
La tensione è palpabile. Per il
terzo giorno consecutivo, i manife-
stanti anti-governativi hanno tenu-
to marce di protesta nel centro di
Bangkok, e ancora una volta ignoti
hanno aperto il fuoco contro i loro
raduni.
Il leader dell’opposizione, l’ex
vice premier, Suthep Thaugsuban,
ha ribadito davanti ai sostenitori
l’impegno a non ostacolare in al-
cun modo le operazioni di voto.
Ma le autorità hanno già dispiega-
to in tutto il Paese circa 200.000
poliziotti, 10.000 dei quali nella so-
la capitale, dove ci saranno anche
7.000 soldati in assetto antisom-
mossa. Si temono disordini, come
accaduto una settimana fa nella
prima tornata del voto anticipato,
quando la protesta ha costretto alla
chiusura di quasi tutti i seggi a
Bangkok, oltre a quelli di dieci
province meridionali.
Le elezioni, indette da Yingluck
per rilanciarsi sotto la pressione
delle proteste e ottenere nuova le-
gittimità, arrivano al termine di
una campagna elettorale surreale,
senza comizi da parte dei candidati
e con migliaia di manifesti detur-
pati da vandali. In lizza ci sono 53
movimenti, ma non il Partito de-
mocratico, il principale dell’opposi-
zione, che ha optato per il boicot-
taggio, allineandosi sempre più con
la protesta di piazza che chiede la
fine del potere dei Shinawatra. In-
vece del voto, ritenuto «inutile»,
l’opposizione chiede l’istituzione di
un Consiglio del popolo, che ap-
provi diverse riforme. Ma questa ri-
chiesta è sempre stata respinta
dall’Esecutivo. Il partito Puea Thai
di Yingluck — sorella dell’ex primo
ministro Thaksin, in auto-esilio per
sfuggire a una condanna per corru-
zione — otterrà, quindi, la grande
maggioranza dei voti, grazie al
consenso ancora solido in partico-
lare nel popoloso nord-est rurale.
Ma la sua vittoria rischia di esse-
re effimera. Data l’assenza di can-
didati in ventotto collegi, la legisla-
tura non potrà nascere per man-
canza del necessario quorum. E per
colmare il vuoto di potere potreb-
bero essere necessarie elezioni sup-
pletive. Autorevoli analisti intrave-
dono, inoltre, un successivo inter-
vento della magistratura, considera-
ta favorevole alla protesta, come
ampia parte dell’establishment tra-
dizionale, che potrebbe portare ad
un futuro annullamento delle legi-
slative grazie a qualche cavillo.
Due casi giudiziari contro la pre-
mier e 250 parlamentari del Puea
Thai sono già avviati, e le relative
sentenze sono attese nelle prossime
settimane.
Allarme dell’Onu per l’emergenza umanitaria provocata dal conflitto
Quasi un milione di profughi
nel Sud Sudan
JUBA, 1. Si avvicina ormai al milione
il numero dei profughi provocati dal
conflitto civile in Sud Sudan esploso
lo scorso 15 dicembre tra i reparti
dell’esercito fedeli al presidente Sal-
va Kiir Mayardit e quelli che fanno
riferimento all’ex vice presidente
Rijek Machar. Secondo stime delle
Nazioni Unite, infatti, sono circa
740.000 gli sfollati interni nei sette
Stati sudsudanesi, sui dieci totali, in-
vestiti dagli scontri armati, incomin-
ciati nella capitale Juba e poi estesi
a quasi tutto il Paese. Agli sfollati
interni si aggiungono 123.400 perso-
ne — il dato è aggiornato a domeni-
ca scorsa — fuggite in Kenya, Ugan-
da, Etiopia e Sudan. Il maggior nu-
mero di sfollati interni si trovano
nello Stato di Unity. Un comunicato
dell’Ocha, l’ufficio dell’Onu per il
coordinamento degli interventi uma-
nitari, specifica che nello Unity ci
sono oltre cento siti di sfollati e che
18 di questi ospitano oltre diecimila
persone ciascuno. «Le organizzazio-
ni umanitarie hanno già assistito cir-
ca 300.000 persone, la maggioranza
fuori dalle sedi Onu in zone rurali»,
si legge nel comunicato. L’Ocha
precisa, peraltro, che i dati sono par-
ziali, in quanto il numero degli sfol-
lati aumenta quotidianamente per il
protrarsi delle violenze, soprattutto
negli Stati dello Jongley, dei Laghi,
dell’Alto Nilo e appunto di Unity.
Non sembra ancora consolidato,
infatti, il cessate il fuoco al quale le
due parti si erano dette disposte la
settimana scorsa nell’ambito del ne-
goziato avviato ad Addis Abeba per
iniziativa dell’Autorità intergoverna-
tiva per lo sviluppo, un organismo
formato da sei Stati dell’area, al qua-
le si erano poi affiancati mediatori
dell’Unione africana e della Cina,
principale acquirente del petrolio
sudsudanese.
Uno sviluppo ulteriore è arrivato
due giorni fa, con un diverso accor-
do di cessate il fuoco firmato tra il
Governo di Juba e il gruppo ribelle
guidato dall’ex generale David Yau
Yau, attivo nello Jonglei dal 2012.
L’accordo, sottoscritto anch’esso ad
Addis Abeba, è stato raggiunto gra-
zie all’opera della Iniziativa di me-
diazione dei leader religiosi (Clmi,
nell’acronimo in inglese) sudsudane-
si. Un comunicato della Clmi ha
evidenziato che l’intesa «mira a crea-
re un ambiente favorevole per nego-
ziati di pace tra le parti», non solo
in riferimento allo Jonglei, ma alla
situazione generale del Paese.
Civili in fuga dai combattimenti nello Jonglei (Reuters)
Tra le comunità cristiana e musulmana nello Stato di Kaduma
Riprendono in Nigeria le violenze
a sfondo etnico-religioso
Intesa militare
tra Arabia Saudita
e Indonesia
JAKARTA, 1. Indonesia e Arabia Sau-
dita hanno raggiunto ieri un accordo
di collaborazione in ambito militare,
il primo del suo genere tra i due
Paesi. L’intesa è stata firmata dal vi-
ce ministro della Difesa saudita,
Salman bin Abdulaziz Al Saud, e
dal ministro della Difesa indonesia-
no, generale Sjafrie Sjamsoeddin.
L’accordo prevede sinergie nei campi
dell’addestramento militate, dell’an-
titerrorismo e dell’industria militare.
Il ministero indonesiano ha ricor-
dato che gli attentati terroristici ne-
gli ultimi anni hanno gettato una
cattiva luce sul mondo islamico e
che l’Arabia Saudita è uno dei Paesi
più colpiti dal terrorismo. Anche
l’Indonesia ha subito attacchi con-
dotti da gruppi di estremisti islamici.
L’accordo prevede esercitazioni co-
muni delle forze speciali antiterrori-
smo dei due Paesi, nonché lo scam-
bio di informazione sui gruppi terro-
ristici.
L’industria della difesa in Indone-
sia potrebbe dal canto suo ottenere
enormi commesse dall’Arabia Saudi-
ta. Infatti, ci sono stati già vari con-
tatti e richieste di spiegazioni tecni-
che riguardanti l’equipaggiamento di
difesa indonesiano. Per l’Arabia Sau-
dita, l’intesa con l’Indonesia rientra
in una più ampia strategia di espan-
sione delle relazioni con i Paesi isla-
mici al di fuori del Medio oriente.
Risale solo ad alcuni giorni fa un
altro accordo in materia di difesa da
parte dell’Arabia Saudita con il Pa-
kistan. Il Governo di Riad è interes-
sato a comprare l’aereo da combatti-
mento cinese-pakistano JF-17.
Undici i candidati alla successione di Hamid Karzai
Al via la campagna per le presidenziali afghane
Sessanta morti in combattimenti tra ribelli sciiti e membri armati della tribù degli Hashid
Sanguinosi scontri nello Yemen
Un militare a San’a (Epa)
SAN’A, 1. Ancora violenze nello Ye-
men. Almeno sessanta persone so-
no state uccise ieri in scontri tra ri-
belli sciiti e membri armati della
potente tribù degli Hashid nel
nord del Paese. Lo hanno riferito
fonti tribali alla France Presse.
Stando a queste fonti, quaranta uo-
mini sono morti tra le file degli
sciiti e venti tra gli Hashid. Le vio-
lenze tra questi gruppi sono in cor-
so dal 5 gennaio scorso e hanno
causato finora oltre cento morti.
Entrambi i fronti cercano di esten-
dere la loro influenza nella pro-
spettiva che lo Yemen diventi uno
Stato federale.
Sempre ieri, nel sud del Paese,
quindici soldati sono stati uccisi da
un gruppo sospettato di legami
con Al Qaeda.
Proprio sul progetto di costituire
uno Stato federale nello Yemen è
stata istituita una commissione spe-
ciale da parte del presidente Abd
Rabbo Mansour Hadi. L’agenzia
di stampa Saba spiega che la com-
missione sarà guidata dallo stesso
Hadi e si impegnerà nel valutare la
possibilità di dividere il Paese in
due o sei regioni. La commissione,
composta da rappresentanti di va-
rie zone dello Yemen, elaborerà un
testo che dovrà essere inserito nella
nuova Costituzione. Il progetto di
uno Stato federale è emerso duran-
te la conferenza per il dialogo na-
zionale, sostenuta dall’Onu e che
ha rappresentato un importante
traguardo nel processo di transizio-
ne democratica. La conferenza si è
conclusa appunto con la richiesta
di stabilire un sistema federale nel
Paese per cercare di rispondere alle
richieste di autonomia del sud.
ABUJA, 1. Una famiglia cristiana di
sette persone è stata sterminata ieri
nello Stato centro-settentrionale ni-
geriano di Kaduna e la strage è sta-
ta seguita da rappresaglie contro
musulmani nelle quali è stata uccisa
almeno una persona. Quanto acca-
duto conferma come l’identità reli-
giosa sia sempre più spesso pretesto
per le violenze nelle devastate re-
gioni settentrionali e centro-setten-
trionali della Nigeria. All’azione di
Boko Haram, il gruppo di matrice
fondamentalista islamica responsa-
bile da quattro anni dell’uccisione
di migliaia di persone negli Stati
settentriolanu di Yobe, Kano e
Adamawa, si affiancano in quelli li-
mitrofi gli scontri tra comunità di
allevatori, in prevalenza musulmani,
e coltivatori, soprattutto cristiani,
da sempre registrati nell’area, ma
intensificati negli ultimi anni.
Secondo quanto riferito da testi-
moni locali citati dalle agenzie di
stampa internazionali, l’ultimo gra-
ve episodio è avvenuto nel villaggio
di Unguwar Kajit. Uomini armati
sconosciuti, arrivati a bordo di
un’autovettura e di una motociclet-
ta in piena notte, hanno sfondato la
porta di un’abitazione di una fami-
glia cristiana e ne hanno ucciso tut-
ti i sette componenti.
I testimoni hanno aggiunto che
gruppi di giovani cristiani hanno
attribuito l’attacco ai musulmani e
si sono scatenati per vendicarsi,
bruciando abitazioni e moschee, in
una della quali è appunto morta
una persona.
Nella zona già nel recente passa-
to si erano verificati analoghi episo-
di. Lo Stato del Kaduna, tra l’altro,
fu uno di quelli maggiormente in-
vestiti dalle violenze che nel 2011
segnarono le elezioni per la presi-
denza federale della Nigeria, vinte
da Goodluck Jonathan, un cristiano
del sud, contro Muhammadu Buha-
ri, un musulmano del nord.
Secondo stime di organizzazioni
umanitarie attive in Nigeria, negli
ultimi tre anni le violenze nello Sta-
to di Kaduna hanno provocato ol-
tre cinquecento morti.
KABUL, 1. Si apre domani la cam-
pagna elettorale per le presidenziali
afghane, fissate per il prossimo 5
aprile. Sono undici candidati alla
successione di Hamid Karzai. L’ap-
puntamento elettorale riveste parti-
colare importanza perché s’inserisce
in uno scenario caratterizzato dal
pogressivo disimpegno del contin-
gente internazionale. Entro la fine
del 2014 sarà stato completato il ri-
tiro delle truppe Nato e dopo la re-
sponsabilità della sicurezza — di
fronte alle perduranti violenze tale-
bane — sarà definitivamente nelle
mani delle forze locali. In questo
contesto il nuovo presidente afgha-
no sarà chiamato a stabilire, con il
sostegno del suo Governo, prospet-
tive e dinamiche in grado di assicu-
rare al Paese un assetto istituziona-
le, politico e militare sufficiente-
mente stabile.
Nello stesso tempo il nuovo ca-
po di Stato dovrà, molto probabil-
mente, far ripartire con nuovo slan-
cio i rapporti con gli Stati Uniti,
da tempo sotto pressione. In parti-
colare si sta confermando come
non idilliaca l’intesa tra Karzai e
Washington. Il divario si sta allar-
gando a causa dell’accordo sulla si-
curezza per il dopo 2014: il presi-
dente afghano intende firmarlo solo
dopo le presidenziali, gli Stati Uni-
ti, invece, il prima possibile.
Una conferma dei tesi rapporti
fra i due Paesi viene poi, com rife-
risce il «Daily Times», dalla deci-
sione di Washington di non finan-
ziarie, come accadeva in preceden-
za, i sondaggi di opinione in Af-
ghanistan in vista del voto per le
presidenziali. Riferisce il quotidia-
no che la decisione sarebbe stata
presa come risposta alle accuse, da
parte di alcune autorità afghane,
secondo cui Washington sarebbe
impegnata a influenzare l’esito del-
le presidenziali. Il «Daily Times»
ricorda che gli Stati Uniti sono il
Paese più munifico a beneficio
dell’Afghanistan: la decisione di
non assicurare i previsti finanzia-
menti legati ai sondaggi di opinio-
ne la dice dunque lunga sugli at-
tuali, difficili rapporti tra i due
Paesi.
Nell’ultimo numero dell’«Econo-
mist» si rileva che Karzai «sta gio-
cando con il fuoco» a proposito
del suo modo di gestire l’intesa con
gli Stati Uniti. Nell’articolo si affer-
ma che il capo dello Stato afghano
sta «denigrando» gli Stati Uniti e
ciò alla fine rischia di compromet-
tere seriamente la sicurezza dell’Af-
ghanistan. Non fosse altro per
l’eventualità, già più volte indicata
da Washington, di adottare l’opzio-
ne zero — cioè nessun soldato ame-
ricano rimarrà in Afghanistan dopo
il 2014, neppure con compiti logi-
stici — se Karzai rimarrà arroccato
nella sua posizione riguardo alla
tempistica sulla firma del trattato di
sicurezza.
Sul fronte pakistano, intanto, si
segnala quanto affermato dal nuo-
vo Alto commissario britannico per
il Pakistan, Philip Barton. Citato
dal «Daily Times», il diplomatico
sottolinea che il terrorismo conti-
nua a rappresentare la più grande
sfida per il Paese. Di conseguenza
si rende necessaria una sempre più
forte collaborazione tra i due Paesi
per vincere tale sfida. Barton ha
puntato il dito, tra l‘altro, sulla de-
bolezza del sistema giudiziario pa-
kistano, spesso ostaggio dei terrori-
sti che cercano di sottrarsi «agli ar-
tigli della legge».
Ribelli filippini
reclutano
bambini-soldato
MANILA, 1. L’offensiva militare
dell’esercito filippino contro le
postazioni dei ribelli del movi-
mento dei Combattenti islamici
per la libertà del Bangsamoro
(Biif) nella provincia meridionale
di Maguindanao ha provocato la
morte di 53 guerriglieri, fra cui
tre bambini-soldato. Lo ha co-
municato il portavoce regionale
Dickson Hermoso, precisando
che il Biif sta impiegando bam-
bini con armi e tute mimetiche.
«Non possiamo più fare nessuna
discriminazione durante gli at-
tacchi» ha detto. Il reclutamento
di bambini-soldato fra le fila del
Biif è stato denunciato anche
dalla Commissione nazionale per
i diritti umani.
4. L’OSSERVATORE ROMANOpagina 4 domenica 2 febbraio 2014
I misteri irrisolti dei papiri Bodmer
Biblioteca nella sabbia
A più di sessant’anni dalla loro scoperta in Egitto
di ALBERTO CAMPLANI
A
più dei sessant’anni dalla loro
scoperta fortuita in Egitto
(1952?), seguita dal loro acqui-
sto segreto — avvenuto nell’am-
bito del mercato antiquario a
blocchi e probabilmente in modo parziale
— a opera della segretaria di Martin Bod-
mer, uno dei grandi mecenati del secolo
scorso (1899-1971), e dal loro arrivo a Gine-
vra, i papiri Bodmer non smettono di na-
scondere i loro segreti e costituiscono l’og-
getto di un’inesausta ricerca da parte degli
studiosi delle più diverse discipline. È
quanto è accaduto del resto anche per altri
fondi librari scoperti nelle sabbie egiziane,
ad esempio i codici papiracei copti, di
orientamento gnostico, scoperti vicino a
Nag Hammadi qualche anno prima (1945).
Questo vivo interesse non stupisce se si
considera l’importanza dei materiali che i
codici Bodmer conservano, tutti di notevo-
le antichità, essendo i manoscritti colloca-
bili tra III e V secolo dell’era cristiana (e
forse oltre): testi biblici in greco e in copto
tra i più antichi e importanti sia per l’Anti-
co che per il Nuovo Testamento; ma anche
opere teatrali classiche credute perdute co-
me il Dyskolos del commediografo Menan-
dro, note ormai anche a studenti di scuola
donati a Paolo VI e a Benedetto XVI), luo-
go caratterizzato da uno spettacolare pano-
rama sul lago e dotato di un museo aperto
al pubblico — a dire il vero non sono tutti
di papiro, come farebbe credere la loro de-
signazione tradizionale (Papyri Bodmer),
ma anche di pergamena; le lingue preva-
lenti dei testi sono il copto e il greco, ma
una discreta quantità di testi è anche in la-
tino.
Studiare questo insieme di codici signifi-
ca tentare di ricostruire un momento signi-
ficativo delle trasformazioni culturali e reli-
giose in Egitto e nel Mediterraneo tra III e
IV secolo. Si tratta di ambienti di élite
amanti della cultura classica, ma aperti an-
biblioteche, e permettesse di rispondere
anche soltanto ad alcune delle tante que-
stioni che il fondo ancora oggi continua
porre al mondo contemporaneo.
Sul tappeto infatti ci sono ancora pro-
blemi di grande rilievo, a partire ad esem-
pio dalla misteriosa località dove è avvenu-
ta effettivamente la scoperta della bibliote-
ca: nell’ambito di un monastero di monaci
pacomiani, non lontano da Nag Hammadi,
o in località più distanti e a nord, come
Achmim, Assiut o Miniah? Per passare poi
alla consistenza effettiva di questo fondo,
dato che probabilmente alla campagna di
acquisto di Martin Bodmer sfuggirono al-
cuni codici, i quali presero altre vie, ad
Esposta eccezionalmente a Brera la tela «I martiri di Nagasaki» di Tanzio da Varallo
Settanta metri di persecuzione
Alla Sapienza
Il 3 febbraio a Roma, all’università
La Sapienza, si svolgerà il convegno
«I Papiri Bodmer. Biblioteche,
comunità di asceti e cultura letteraria
in greco e copto nell’Egitto tardo
antico». Il coordinatore, che è anche
uno dei relatori, ha anticipato al
nostro giornale i temi dell’incontro.
secondaria; o il Co-
dice delle visioni, che
è un insieme di te-
sti poetici in dialet-
to omerico in cui
poeti del IV secolo
descrivono le loro
esperienze religiose
o esprimono a mo-
do loro le tradizio-
ni bibliche; e anco-
ra, testi copti di ca-
rattere biblico o
omiletico; l’omelia
sulla Pasqua di Me-
litone di Sardi e gli
Atti del vescovo
martire Filea di
Tmuis, vittima illu-
stre della persecu-
zione di Dioclezia-
no (303-305 dell’era
cristiana). Senza
tralasciare poesie li-
turgiche e inni in
latino.
I codici — preser-
vati oggi presso la
Fondazione Bod-
mer a Cologny, vi-
cino a Ginevra
(due di questi sono
conservati nella Bi-
blioteca Vaticana,
in quanto sono stati
di SANDRA ISETTA
Capolavori nascosti anche alla più cliccata
enciclopedia online, Wikipedia, dove la
voce «Ventisei martiri del Giappone» è il-
lustrata con un’opera giapponese del seco-
lo XVII ma è ignorato il grande dipinto di
Antonio d’Enrico, detto Tanzio da Varallo
(1580?-1633, Martirio dei Francescani a Na-
gasaki). La tela, dal soggetto insolito, fa
infatti parte di un gruppo di importanti
opere lombarde del XVII secolo, solitamen-
te sottratte al percorso museale della Pina-
coteca di Brera per ragioni di spazio. Fino
al 9 febbraio saranno visibili al pubblico
grazie alla proroga della mostra «Seicento
lombardo a Brera. Capolavori e riscoper-
te», mostra e catalogo (Milano, Skyra,
2013, pagine 176, euro 39) a cura di Simo-
netta Coppa e Paola Strada. Si tratta di
quarantasei dipinti, tutti di grande forma-
to, realizzati a partire dall’età di Federico
Borromeo fino alla seconda Accademia
Ambrosiana, istituita dal cardinale milane-
se nel 1620 «per la formazione degli artisti,
1622, la piazza San Fedele divenne teatro
della famosa festa di canonizzazione dei
santi Ignazio e Francesco Saverio, padre
fondatore della Chiesa del Giappone, dove
sbarcò il 15 agosto del 1549. La sua attività
di evangelizzazione fu portata avanti da al-
tri gesuiti e francescani e, in seguito, anche
da domenicani e agostiniani.
Nel 1590, dopo soli quarant’anni dalla
predicazione di Francesco Saverio, il nu-
mero dei cristiani salì a circa duecentomila
sei giorni, attraverso le città di Kyoto,
Osaka e Sakai, fino a Nagasaki. La proces-
sione dei martiri era preceduta da un ban-
ditore che su una tavola esibiva la sentenza
del dittatore: «Io Hideyoshi condanno co-
storo a morte perché, nonostante la mia
proibizione, hanno predicato ed abbraccia-
to la dottrina cristiana; ordino che siano
crocefissi a Nagasaki e che rimangano
esposti in croce». La fila di croci era lunga
settanta metri.
Tre filari di croci
con la messa a fuoco
del drammatico primo piano
di volti e corpi
di martiri e persecutori
La tela solitamente non fa parte
del percorso della pinacoteca
ai quali consegnare la responsabilità di dif-
fondere la fede attraverso le immagini sa-
cre» (Sandrina Bandera). L’interesse per le
arti di Federico Borromeo, arcivescovo di
Milano dal 1594 al 1631 e cugino di Carlo
Borromeo, guadagnò il titolo di “borro-
maica” alla scuola pittorica milanese del
periodo, caratterizzata da un tono solenne
e drammatico impiantato su una cultura
caravaggesca.
L’Accademia Ambrosiana ebbe vita bre-
ve. La sua chiusura nel 1630 in seguito
all’epidemia della peste fu uno dei motivi
— secondo Bandera — per cui la pittura
lombarda del Seicento «è considerata tra-
dizionalmente un fenomeno artistico meno
importante della pittura emiliana e di
quella contemporanea di altri centri, come
Napoli, o Firenze». L’origine della cultura
pittorica lombarda risale all’arte della Val-
sesia, al fenomeno drammatico dei Sacri
Monti e a quello stile quasi teatrale, alla
stregua di tableaux vivants, creato tra scul-
tura e pittura da Gaudenzio Ferrari, che
influenzò Tanzio da Varallo. Quest’ultimo
consacra alla devozione francescana diver-
se sue opere, tanto che la tradizione storio-
grafica locale fa terminare la sua vita a Va-
rallo, nel convento francescano di Santa
Maria delle Grazie, da cui proviene Il
martirio dei francescani a Nagasaki che ren-
de testimonianza della sua fedeltà all’or-
dine.
Nell’inventario napoleonico del 13 giu-
gno 1811, stilato dopo la soppressione del
convento (1810), la tela viene attribuita
espressamente a Tanzio, con una stima pe-
raltro elevata, tale da motivarne la requisi-
zione per il museo braidense (Simonetta
Coppa, Tanzio da Varallo, 2000). Tra i pro-
tomartiri di Nagasaki ci furono anche tre
gesuiti. L’ordine gesuitico ebbe grande ri-
lievo all’epoca di Borromeo e si fece pro-
motore del teatro come uno dei più impor-
tanti strumenti di comunicazione: consue-
tudine dei collegi gesuitici era la recitazio-
ne di commedie e tragedie in occasione
delle feste della renovatio studiorum. Nel
e la comunità di Nagasaki di-
venne il cuore del nuovo popo-
lo di Dio giapponese. La rea-
zione persecutoria nipponica —
decretata dallo shogun Toyoto-
mi Hideyoshi e fomentata dai
bonzi, a tutela del buddismo e
dello scintoismo — culminò nei
primi trent’anni del Seicento,
con l’esecuzione di circa due-
cento cristiani. La notizia del
cruento eccidio di Nagasaki (5
febbraio 1597) raggiunse il vec-
chio continente e già nel 1601 il
francescano spagnolo Marcelo
de Ribadeneira ne pubblicava
il resoconto.
I martiri di Nagasaki furono
beatificati da Papa Urbano VIII
nel 1627 e probabilmente in
quella circostanza fu realizzata
una stampa dell’acquaforte di
Jacques Callot per promuovere
la devozione ai neo martiri.
Nella tela, Tanzio li rappresen-
ta ricalcando l’iconografia uffi-
ciale inaugurata da Callot, ma
ne enfatizza la prospettiva sce-
nica dei tre filari di croci con la
messa a fuoco del drammatico
primo piano di volti e corpi di
martiri e persecutori. Anche
sotto minaccia di morte, nessu-
no rinnegò la propria fede.
Nel gelido inverno giappo-
nese, mutilati dell’orecchio sini-
stro, i martiri furono trasportati
su carri in un viaggio di venti-
Testi biblici in greco e in copto
tra i più antichi e importanti
sia per l’Antico Testamento che per il Nuovo
Ma anche opere teatrali classiche credute perdute
come il «Dýskolos» di Menandro
lingua letteraria dei ceti egiziani più pro-
grediti e ellenizzati, ambienti che vivono le
tensioni e le novità del panorama religioso
del IV secolo, con le ultime persecuzioni e
l’inizio dell’era costantiniana, l’affermazio-
ne della Chiesa istituzionale e la nascita
del monachesimo.
La ricerca su questo fondo si caratterizza
necessariamente come interdisciplinare, in
quanto deve comprendere in sé competen-
ze bibliologiche, linguistiche, storico-cultu-
rali, religiose: per questo motivo, presso
l’università La Sapienza di Roma, un
gruppo di tre docenti, e cioè un filologo
classico (Gianfranco Agosti), una coptolo-
ga (Paola Buzi) e uno storico del cristiane-
simo (chi scrive), hanno deciso di mettere
in dialogo le loro metodologie per elabora-
re un progetto di ricerca e organizzare una
giornata di studio — lunedì 3 febbraio
presso la facoltà di Lettere — che coinvol-
gesse esperti di paleografia, di lingue anti-
che, di poesia greca, di codici antichi e di
che alla nuova religione,
che essi cercano di espri-
mere secondo i loro tradi-
zionali moduli espressivi,
ambienti che, pur ricono-
scendo l’importanza del
greco e del latino, vedo-
no volentieri crescere in
importanza culturale e re-
ligiosa il copto, la nuova
esempio le biblioteche accademiche di Sta-
ti Uniti, Spagna, Irlanda, Inghilterra, Ger-
mania: quali codici appartengono effettiva-
mente a questa antica biblioteca e permet-
tono di caratterizzarla, così come di rico-
struire gli ambienti che l’hanno curata?
Quanti invece ne andrebbero esclusi? Per
arrivare infine alla questione della com-
prensione culturale dei codici e alla rico-
struzione storica degli ambienti che ne
hanno favorito la crescita, promuovendo la
trascrizione di testi di diverso orientamento
culturale e di diversa lingua: sono sempre
stati gli stessi o invece un ambiente si è so-
stituito a un altro? Soltanto la precisione
delle informazioni sulla storia dei fondi
manoscritti, la serietà dell’approccio critico
e la ricerca quotidiana, lontana dai clamori
della ribalta, permetteranno una compren-
sione sempre più profonda, anche se non
completa, di uno dei grandi fenomeni del-
la cultura tardoantica.
Gli ultimi mesi di Kafka ricostruiti con delicatezza in un romanzo di Michael Kumpfmüller
Franz e la meraviglia della vita
di SABINO CARONIA
«Si può ritenere che la meraviglia della vi-
ta sia sempre a disposizione di ognuno in
tutta la sua pienezza, anche se essa rimane
nascosta, profonda, invisibile» scrive Franz
Kafka nei suoi Diari. E La meraviglia della
vita (Vicenza, Neri Pozza, 2013) è intitola-
to il romanzo di Michael Kumpfmüller
che ci mostra Kafka sotto una luce incon-
sueta.
È l’estate del 1923. Kafka con la sorella
Elli e i suoi tre bambini va a Muritz sul
Baltico. A pochi metri dalla sua stanza c’è
una colonia estiva della Casa popolare
ebraica di Berlino: bambini «sani, allegri,
appassionati, con gli occhi azzurri, ebrei
orientali salvati dal pericolo berlinese da
ebrei occidentali» e ragazze che si occupa-
no di loro, «narcisi», «gigli fra cardi spi-
nosi», «occhi di colombe», «capelli come
greggi di capre». Tra queste Dora che la-
vora nella colonia come cuoca. Una sera di
venerdì è organizzata una festa in onore
del misterioso Dottore. Dora è in cucina a
preparare la carne. A un certo punto lo
sconosciuto appare nella camera e con vo-
ce dolce le dice: «Che mani delicate, e de-
vono fare un lavoro così sanguinoso!».
Dopo tre settimane hanno già deciso di
andare insieme a Berlino. Sognano di tra-
sferirsi in Palestina e di vivere gestendo un
ristorante: lei cuoca, che sapeva a malape-
na cucinare, e lui cameriere, che non aveva
mai servito a tavola e riusciva a malapena
in sicurezza e beltà». È il Kafka di una
delle ultime lettere a Milena: «In ottobre
volevo andare in Palestina, ne parlammo,
beninteso non si sarebbe avverato mai, era
una fantasia come di uno che sia convinto
di non lasciare mai il letto. Se non lascerò
mai il letto perché allora non dovrei anda-
re fino in Palestina?». È il Kafka che a ot-
retorica da parte di Kumpfmüller. Non c’è
spazio qui per le parole di Dora al capez-
zale del moribondo («Mio caro, mio caro,
oh tu, così buono!»), non per quelle su
Dora riferite da Robert Klopstock ai geni-
tori di Kafka («Soltanto chi conosce Dora
può sapere che cosa sia l’amore»), non per
quelle ultime, disperate che Kafka rivolge
allo stesso Klopstock al culmine della sua
agonia: «Mi uccida, altrimenti lei è un as-
sassino».
Una misura esemplare quella del roman-
zo di Kumpfmüller che risalta soprattutto
nelle pagine finali, in cui è descritto l’arri-
vo a Praga di Dora che accompagna la ba-
ra di Kafka e il suo breve soggiorno prima
del ritorno alla città da cui era partita: «È
l’inizio di agosto, si è già procurata il bi-
glietto, le valigie sono pronte, basta anda-
re, senza tanti saluti ed è esattamente quel-
lo che fa. Vi scriverò, dice, ma per ora va a
Berlino, dove l’aspettano un’estate rovente
e i libri di Franz. Li ha tutti con sé, anche
quello nuovo, per il quale è ancora troppo
presto, perciò sfoglia i precedenti, legge
qua e là un incipit, il titolo Undici figli le
piace subito, sa molto di Franz».
a mangiare. Il viaggio a Berlino come pre-
parazione a quello in Palestina.
È lo stesso Kafka che nei colloqui con
Gustav Janouch — quei colloqui dove il
cristiano Janouch ci mostra un Kafka che
si interroga sulla fede, sul Cristo, sulla gra-
zia, sul valore del francescanesimo — di-
chiara di voler abbandonare tutto per an-
dare in Palestina a vivere «una vita sensata
la perduta con una realtà diversa, quella
del suo racconto, falsa forse ma veritiera
secondo le leggi della narrativa, lo stesso
che in La tana scrive «da essi [i nemici in-
terni] non può salvarmi neanche quella
via; anzi probabilmente non mi salva in
nessun caso, ed è invece la mia rovina: pe-
rò è una speranza e senza di essa non pos-
so vivere». Nessuna santificazione, nessuna
Compresi che se in qualche modo
volevo sopravvivere
bisognava partire per la Palestina
Certo non ero capace di farlo
ma dovevo pure acquistare una speranza
tobre del 1923 scrive alla sorella Ot-
tla: «Compresi che se in qualche mo-
do volevo sopravvivere, bisognava...
partire per la Palestina. Certo non
ero capace di farlo... ma dovevo pure
acquistare una speranza», quello, ap-
punto, che, durante l’inverno del
1923, nel parco di Steglitz incontra
una bambina in lacrime che ha perso
la bambola e le sostituisce la bambo-
Martin Bodmer
Il Padre nostro e l'insegnamento di Gesù sulla preghiera
secondo il Vangelo di Luca (11, 1-13) in un foglio del papiro
Bodmer XIV-XV
5. L’OSSERVATORE ROMANOdomenica 2 febbraio 2014 pagina 5
Omaggio a don Arturo Paoli su «l’Espresso»
La sostenibile leggerezza della carità
A cento anni dallo scoppio della prima guerra mondiale
Tra realismo e utopia
I difficili equilibri della diplomazia per evitare i conflitti
Per lo storico Edward Hallett Carr
nell’uomo c’è un qualcosa che si rifiuta
di inchinarsi al nudo potere
che esige giustizia e uguaglianza
E che cerca
di rendere il mondo un posto migliore
Madre Teresa sul grande schermo
Ho sete
Nuove frontiere della biologia e giornata della vita
Il Dna
non basta
di CARLO BELLIENI
L
a retta scienza apre sem-
pre scenari favorevoli alla
difesa della vita. Papa
Francesco va al nocciolo
in questo: «La fede non
ha paura della ragione; al contrario,
la cerca e ha fiducia in essa»
(Evangelii gaudium, 242). La Gior-
nata della vita (2 febbraio) serve
proprio a sottolineare queste parole
di fiducia nella ragione e di amore
alla vita, e lo facciamo qui con de-
gli esempi recenti e illuminanti.
Un esempio viene dalla nuova
frontiera della biologia, l’epigeneti-
ca, che mette fine alla visione ridu-
zionistica, secondo cui sarebbe ba-
stato “leggere” il Dna per decifrare
cosa è la vita e apre a un orizzonte
positivo e affascinante. Infatti ci
spiega che il Dna invece che un
motore immobile del nostro desti-
no, oggi deve essere considerato
una specie di software che senza
stimoli esterni non è in grado di
funzionare: il Dna da solo non ba-
sta a spiegare la complessità della
vita, si legge nella rivista «Cytoge-
netic and Genome Research» dove
si dichiara obsoleta l’idea di «gene
limitato al Dna» e dunque l’equa-
zione «vita uguale Dna».
Viene oggi criticato addirittura
quello che alcuni scienziati del se-
colo scorso avevano battezzato
“dogma centrale” della genetica,
cioè la certezza che l’ambiente non
interferisca con l’espressione del
Dna: i fisiologi Sarah Franklin, e
Thomas Vondriska dell’università di
California già nel 2011 criticavano
questa limitazione riduzionistica, il
biologo Eugene Koonin nel 2012
spiegava che il dogma centrale or-
mai non è più un principio assoluto
Dna è una visione limitata della
scienza.
Ridurre la vita a un Dna che agi-
sce meccanicisticamente, significava
anche un altro grave errore: pensare
che nel Dna avessero importanza
solo singoli pezzetti che codificano
singole proteine, supponendo che il
resto fosse una specie di errore del-
la natura; infatti nel secolo scorso
gran parte del Dna sbrigativamente
era stato battezzato «Dna-spazzatu-
ra» (o in inglese junk-Dna) perché
erano parti di cui non si vedeva
una chiara ed evidente azione sulla
vita cellulare. Invece oggi sappiamo
che proprio queste parti apparente-
mente inutili sono importantissime:
«Quello che un tempo si credeva
Dna-spazzatura ora è la chiave di
La scienza ci regala
maggiori dettagli sulla bellezza
di certi particolari che ad alcuni
sembrano senza valore
tanti meccanismi genetici» riporta
la rivista «Clinical Chemistry»: an-
che in campo genetico in realtà tut-
to serve, nulla è scarto.
Nella vita, insomma, nulla è inu-
tile e insignificante, come sempre
ripete Papa Francesco mettendo in
guardia dalla cultura dello scarto,
che elimina chi non serve o ciò che
non si è ancora compreso.
Ma la scienza ci regala sempre
maggiori dettagli sulla bellezza di
quei tratti della vita che a qualcuno
sembrano senza valore. Uno dei da-
ti più significativi lo ritroviamo nel
numero di gennaio 2014 di «Deve-
lopmental Psychobiology»: alcuni
di ULLA GUDMUNDSON
I
l 2014 è il centenario
dell’inizio della prima guer-
ra mondiale, la prima guer-
ra di massa dei tempi mo-
derni, la prima in cui i bel-
ligeranti hanno potuto far ricorso
alla coscrizione per radunare milio-
ni di loro giovani nelle trincee. Gli
altri dovevano fare lo stesso. Mori-
rono a milioni, sulla Somme, sulla
Marna, a Ypres. Un’intera genera-
zione. Oppure furono mutilati fisi-
camente e moralmente per tutta la
vita. Tre secoli prima il filosofo
Thomas Hobbes, di certo non fa-
moso per i suoi teneri sentimenti
verso l’umanità, aveva osservato
che l’unica cosa che lo Stato non
poteva chiedere ai suoi cittadini
era «la volontà di morire».
Non che qualcuno volesse mori-
re. Molto più probabilmente,
all’inizio solo in pochi si resero
conto di quanto lunga e sanguino-
sa sarebbe stata la guerra. «La
guerra è come una scampagnata,
ma senza l’oziosità di una scampa-
gnata», sono le famose ultime pa-
role di un giovane ufficiale britan-
nico del ceto alto, appena uscito
dalle sale da ballo londinesi e at-
traversata la Manica, immortalate
sul muro dell’importante museo
della prima guerra mondiale di
Ypres.
La piazza centrale di Ypres sem-
bra assomigliare a quella di tante
altre città medievali belghe. Ma
guardando più attentamente i tim-
pani gotici, si notano le iscrizioni
“1919”, “1920”, “1921”. Ypres era
stata ridotta in macerie dopo quat-
tro anni di combattimenti per una
minuscola striscia di terra priva
d’importanza militare. Si dice che
Winston Churchill volesse che
Ypres rimanesse una rovina, un
monumento all’eroismo di centi-
naia di migliaia di soldati britanni-
ci, del Commonwealth e americani.
Ma come i polacchi a Varsavia nel
1945 o la gente di Sarajevo oggi, i
cittadini di Ypres vollero che la lo-
ro città fosse ricostruita.
Il fatto che «Mai più la guerra!»
fosse diventato lo slogan al termine
della stessa non stupisce. Ciò che
invece sorprende è che vent’anni
smo. Ma la sua esperienza della
politica e della diplomazia sul
campo dà colore al suo libro. Carr
non è mai un mero teorico. Ha la
forte consapevolezza che la politica
è azione, è il tentativo da parte di
fragili esseri umani di dominare
una realtà ostinata e complessa, è
scelte che coinvolgono conflitti di
valori e perdita di valori.
Nella storia del pensiero politico
parliamo di realisti e utopisti (oggi
più frequentemente di costruttivi-
sti). I realisti affermano di vedere
L’utopista, afferma, è riluttante
ad ammettere l’esistenza di diffe-
renze d’interesse reali. Gli Stati
soddisfatti, come i vincitori della
prima guerra mondiale, tendono a
identificare i propri interessi con
quelli dell’umanità (proprio — si
potrebbe aggiungere — come oggi
quelli molto ricchi affermano che
la loro ricchezza alla fine avrà “ri-
cadute positive” sui meno abbien-
ti).
Gli Stati affamati e frustrati vor-
ranno un cambiamento, forse an-
che al prezzo di una guerra. I trat-
tati sono sempre espressione
dell’equilibrio di potere, scrive
Carr. Uno Stato abbastanza forte
per ottenere ciò che vuole sosterrà
il principio pactae sunt servandae.
Uno Stato che ha dovuto rinuncia-
re a tanto vorrà invece revocare il
patto una volta che l’equilibrio dei
poteri si sposta. La cosa interessan-
te di Carr, però, è che egli non è
un realista irriducibile. Nell’uomo
— scrive — c’è un qualcosa che si
rifiuta di inchinarsi al nudo potere,
che esige giustizia, uguaglianza di-
nanzi alla legge, e che cerca di ren-
dere il mondo un posto migliore.
«Ogni azione umana sana (...) de-
ve stabilire un equilibrio tra utopia
e realtà, tra libero arbitrio e deter-
minismo. Il realista totale, che ac-
cetta in modo incondizionato la se-
quenza causale degli eventi, priva
se stesso della possibilità di cam-
biare la realtà. L’utopista totale, ri-
fiutando la sequenza causale, si
priva della possibilità di compren-
dere o la realtà che cerca di cam-
biare o il processo con cui può es-
sere cambiata. Il vizio caratteristico
dell’utopista è l’ingenuità; quello
del realista la sterilità».
Solo in Dio, scrive l’ateo Carr
c’è unità tra la realtà ultima e
l’ideale ultimo. Forse questo spiega
un po’ il ruolo della Santa Sede
nella diplomazia internazionale.
ricercatori canadesi ripor-
tano l’importanza delle
percezioni del feto
nell’utero, in particolare
di quella della voce della
mamma, piuttosto di
quella del babbo; segno
di una attività neurologi-
ca già in grado di distin-
guere i diversi stimoli pri-
ma della nascita, di avere
memoria e percepire con i
sensi già a partire dalla
metà della gravidanza.
Dunque quello che
sembra “da scartare” o
ignorabile, nella realtà
non lo è. È bello che
questo messaggio venga
dalla scienza pura; come
insegna Papa Francesco,
la difesa della vita non
deve temere la scienza:
«Ricordate a tutti, con i
fatti e con le parole, che
la vita è sempre, in tutte
le sue fasi e ad ogni età,
sacra ed è sempre di qua-
lità. E non per un discor-
so di fede ma di ragione,
per un discorso di scien-
za!» (20 settembre 2013).
Tanti scienziati infatti stu-
e il «World Journal of Biological
Chemistry» del maggio 2013 spiega
che «biologia e vita non sono solo
l’informazione digitale codificata
dal Dna».
Questo non significa non gioire
per i progressi che la genetica porta
giorno per giorno nella cura e nella
conoscenza dell’uomo; ma pensare
che tutto si risolva nel leggere il
diano con rispetto l’infinitamente
piccolo, cioè l’alba della vita, altri si
prodigano nella conoscenza dei bi-
sogni delle persone più emarginate
e riescono a mostrare la bellezza
della vita anche laddove viene cre-
duta di minor importanza; e chi
davvero fa seriamente ricerca scien-
tifica scorge sempre nella vita stessa
qualcosa che supera sempre l’idea
che ce ne siamo fatta.
A fine 2014 inizieranno le ri-
prese di I Thirst, un film su
Madre Teresa di Calcutta; la
notizia è stata diffusa dal sito
internet di «The Hollywood
Reporter» il 24 gennaio scor-
so. Non sarà un vero e proprio
biopic: la trama sarà incentrata
prevalentemente sul periodo in
cui la giovane suora albanese
Anjëzë Gonxhe Bojaxhiu fon-
dò l’ordine delle Missionarie
della Carità, negli anni Cin-
quanta, dedicando tutto il re-
sto della sua vita ai più poveri
tra i poveri. I produttori, Tony
Krantz e Jamey Volk, stanno
lavorando in collaborazione
con lo sceneggiatore Keir
Pearson, che nel 2004 fu can-
didato all’Oscar per Hotel
Rwanda. Sono già in corso i
sopralluoghi a Kolkata in In-
dia e a Tijuana in Messico per
le riprese. La stesura definitiva
dei dialoghi è prevista per la
fine di febbraio, mentre l’usci-
ta è fissata indicativamente per
la primavera o l’estate del
2015. «Il film — spiegano
Krantz e Volk — racconterà
Madre Teresa come un essere
umano “normale”, con i suoi
pensieri e il suo senso del-
l’umorismo. Ma anche con le
sue preoccupazioni, i suoi
dubbi e i lunghi momenti di
buio e di aridità spirituale che
non l’avrebbero abbandonata
per anni». Nel progetto saran-
no direttamente coinvolte le
missionarie della carità, attra-
verso il Centro Madre Teresa
di Calcutta, che amministra le-
galmente l’immagine della fon-
datrice.
«Yacov racconta che gli dissi che l’avrei salvato
a costo della mia vita, ma io non mi ricordo di
aver detto una frase così drammatica»: in que-
sta frase c’è tutta l’autoironia umile e divertita
di don Arturo Paoli, a cui il settimanale
«L’Espresso» ha dedicato l’articolo Cent’anni
di beatitudine. La boa del secolo in realtà è già
stata superata da tempo: il 30 novembre scorso
il sacerdote lucchese ha compiuto 101 anni.
«Paoli è uno straordinario testimone e prota-
gonista del secolo e la sua è una vita italiana e
cristiana esemplare» scrivono Alessandro Ago-
stinelli e Włodek Goldkorn, gli autori dell’arti-
colo; «arrivato quasi trentenne alla vocazione
spirituale, diventò responsabile dell’ex semina-
rio, un edificio che durante la guerra l’arcive-
scovo di Lucca decise di far diventare rifugio
per i perseguitati, ebrei e partigiani. In quegli
anni salvò personalmente il giovane Zvi Yacov
Gerstel. Lo chiuse in un’intercapedine della bi-
blioteca mentre i tedeschi stavano rastrellando
l’edificio».
È solo una fra le tante storie a lieto fine che
costellano la lunghissima vita del sacerdote, in-
signito dallo Yad Vashem del titolo di Giusto
tra le nazioni per avere salvato, durante la per-
secuzione antiebraica, oltre ottocento persone
dalla morte. «Arturo è un cristiano strabico —
amano dire i suoi amici — come il profeta Mo-
sè: un occhio a Dio e l’altro al popolo nello
sforzo costante di armonizzare la vista per
mettere a fuoco Dio sullo sfondo dei poveri e i
poveri sulla prospettiva di Dio. Il suo strabi-
smo è stato contagioso e innumerevoli genera-
zioni devono riconoscenza a Dio per averlo in-
contrato di persona, nei libri, nei suoi scritti,
nelle sue parole». Anche nelle sue critiche,
franche e dirette.
Nell’agosto 1995, ad esempio, fratello Arturo
scrive ad Eugenio Scalfari, direttore della Re-
pubblica, che aveva elogiato il mercato: «Mi
ha colpito il suo mettere in evidenza il mercato
come elevato a divinità, perché da anni denun-
zio l’idolatria del mercato. Ciò mi è stato spes-
so rinfacciato come prova di ignoranza delle
dottrine economiche. Sono cosciente della mia
ignoranza, ma guardando l’idolatria del merca-
to nella prospettiva del Regno non vedo altro
che milioni di persone stritolate sotto le ruote
del mercato. Questa visione per me è quotidia-
na quando, all’alba, apro la porta della mia ca-
sa e trovo subito nei vicoli della favela le per-
sone che gemono sotto le ruote del mercato, e
sono la mia famiglia».
dopo l’Europa sia di nuovo spro-
fondata in una guerra devastante.
Com’era potuto accadere? La sicu-
rezza comune, il divieto dell’uso
della violenza tra Stati, l’arbitrato e
i patti negoziati dovevano soppian-
tare la guerra, o no?
Un uomo che vide in quale dire-
zione stava precipitando l’Europa
fu il diplomatico e storico britanni-
co Edward Hallett Carr. Il suo li-
bro The Twenty-Years’ Crisis. 1919-
1939, scritto intorno alla metà de-
gli anni Trenta e pubblicato nel
1939, alla vigilia della seconda
guerra mondiale, è divenuto un
classico. Carr abbandonò il servi-
zio diplomatico britannico per la
carriera accademica e il giornali-
d’altro canto, c’è speranza. Gli Sta-
ti e i leader possono e devono cer-
care di realizzare gli ideali etici,
ovvero la pace, la giustizia, il bene
della società.
Carr di solito è considerato un
realista. La ragione di ciò è che
egli non attribuisce la colpa per la
seconda guerra mondiale alla Ger-
mania, bensì a quello che, secondo
lui, è l’utopismo ingenuo di prati-
camente tutti i politici, gli accade-
mici e i giornalisti anglosassoni tra
le due guerre. Il grande errore,
scrive Carr, è stato di negare il fat-
to che il potere, e in ultimo la mi-
naccia della violenza, è sempre un
fattore nella politica terrena.
il mondo così com’è,
mentre gli utopisti lo
vedono come dovrebbe
essere. Il mondo del
realista è caotico e buio.
I principi e gli Stati lot-
tano per la sopravviven-
za, la sicurezza, il pote-
re. L’etica e la morale
non trovano posto nel
modello del realista. Nel
mondo dell’utopista,
Giovanni Segantini, «L’angelo della vita» (1894)
6. L’OSSERVATORE ROMANOpagina 6 domenica 2 febbraio 2014
Il priore di Taizé in Myanmar, Cina, Corea del Nord e del Sud, India
In ascolto dei giovani dell’Asia
Il patriarca di Babilonia dei Caldei nel primo anniversario del suo ministero
Unità e dialogo per il bene dell’Iraq
La condivisione
del silenzio
Alla fine del 2013 il priore della Comunità di
Taizé si è recato in visita in alcuni Paesi
dell’Asia. Il viaggio ha fatto tappa, oltre che in
Myanmar, Cina, Corea del Sud e India, anche
in Corea del Nord dove si è vissuto un
momento forte di condivisione del «silenzio di
chi soffre e non ha la possibilità di
esprimersi». Del viaggio fratel Alois ha parlato
ai giovani che hanno partecipato all’incontro
europeo svoltosi a Strasburgo alla fine dello
scorso anno, proponendo loro anche una serie
di interrogativi, scaturiti proprio dall’ascolto
della gioventù asiatica, riguardanti la propria
esperienza di fede e di testimonianza.
Il resoconto — che qui riproduciamo quasi
integralmente — è stato ora pubblicato sul
numero di gennaio della rivista «Taizé», che
riporta anche il calendario delle iniziative che
porteranno nel 2015 alla celebrazione di due
importanti anniversari:
il settantacinquesimo della comunità
e il centenario della nascita di frère Roger.
gruppi e comunità vivo-
no conflitti che sembra-
no insormontabili, no-
nostante siano stati fatti
sforzi per trovare solu-
zioni accettabili. Le ri-
sorse naturali sono mol-
te, ma la popolazione
non ne beneficia.
In Cina, a Pechino,
un incontro di preghie-
ra ha riunito 150 giova-
ni. Uno di loro voleva
che sapessimo questo:
«Il nostro sviluppo eco-
nomico è la parte ester-
na della realtà. Infatti,
interiormente, le perso-
ne sentono spesso un
vuoto, una mancanza di
orientamento e di sen-
so».
Da lì, insieme ad uno
dei miei fratelli, abbia-
mo preso l’aereo per la
Corea del Nord. La
guerra fredda si prolun-
ga pericolosamente in
questa regione del mon-
do. La divisione fra Co-
rea del Sud e del Nord
rimane in entrambi i
Paesi una ferita profon-
di fratel ALOIS
Nel 2013, prima dell’incontro di
Strasburgo, ci siamo messi con par-
ticolare attenzione all’ascolto dei
giovani dell’Asia. Questo ci ha per-
messo di andare avanti nel cammino
che ci porterà nel 2015 verso «una
nuova solidarietà».
cratizzazione. Alcuni cristiani parte-
cipano a una «educazione alla de-
mocrazia» per preparare il futuro.
«Abbiamo bisogno di sviluppo e di
educazione», diceva un giovane. Un
altro rispondeva: «Abbiamo soprat-
tutto bisogno di comprensione». La
diversità delle etnie è una ricchezza
per questo bel Paese. Ma numerosi
ranza» abbiamo iniziato a sostenere
gli ospedali. Per alcuni medici nord-
coreani abbiamo organizzato corsi
di perfezionamento in Europa. Un
fratello ha visitato diverse volte il
Paese. Si sono creati contatti umani
preziosi.
Oggi, i bisogni rimangono tanti.
Il Paese è estremamente isolato. A
Pyongyang siamo stati accolti da
rappresentanti della Croce rossa. Ho
detto loro: «Taizé non è una Ong,
ma una comunità religiosa. Più che
l’aiuto materiale, per noi contano gli
incontri personali». Abbiamo insisti-
to per andare nelle chiese, anche se
durante la settimana sono chiuse.
Nell’unica chiesa cattolica di
Pyongyang siamo stati ricevuti da
un responsabile laico (non ci sono
preti), in una delle due chiese prote-
stanti da uno dei pastori, e nella
chiesa ortodossa da uno dei due
preti. In quelle chiese abbiamo pre-
gato in silenzio. Quel silenzio ha as-
sunto un significato molto forte.
Eravamo andati in quel Paese so-
prattutto per condividere il silenzio?
A Busan, in Corea del Sud, ab-
biamo partecipato all’assemblea ge-
nerale del Consiglio ecumenico delle
Chiese. I momenti di scambio belli
e profondi fra cristiani di numerose
confessioni non sono riusciti a can-
cellare dal mio cuore una domanda:
Perché restiamo separati?
L’ultima tappa del pellegrinaggio
mi ha portato in India. Prima a
Vasai, piccola città su un’isola vicino
a Mumbai dove erano riuniti 5.500
giovani. Per arrivare nel posto del
raduno bisognava fare l’ultima parte
del percorso a piedi. Che sorpresa,
durante il cammino, entrare nella
casa di una famiglia indù, davanti
alla loro abitazione c’era scritto
«benvenuti». Una giovane cristiana
mi ha spiegato: «Durante le nostre
feste religiose manifestiamo il nostro
reciproco rispetto condividendo il
cibo, aiutando nei lavori pratici».
Molti abitanti dell’isola sono pesca-
tori. In piccole barche partono per
una settimana o dieci giorni doman-
dandosi ogni volta se faranno ritor-
no; l’anno scorso una barca non ha
fatto ritorno. Prima della partenza,
sia i cristiani che quelli di religione
indù, passano in chiesa per ricevere
la benedizione.
A Mumbai, alcuni giovani aveva-
no preparato una preghiera all’aper-
to che riuniva 3.000 persone. L’arci-
vescovo, cardinale Oswald Gracias,
ci ha detto che la città conta circa 19
milioni di abitanti, ma che, malgra-
do uno sviluppo folgorante, la metà
di queste persone vive in grande po-
vertà. A Dharavi, il più esteso dei
quartieri poveri, siamo stati accolti
calorosamente dal prete. Alcuni gio-
vani ci hanno portato a visitare delle
famiglie. Anche nella precarietà la
gente trova come lavorare per so-
pravvivere. I cristiani formano delle
comunità di base per pregare insie-
me e sostenersi reciprocamente. Che
inventiva! Alcuni giovani si sono
riuniti per una preghiera spontanea.
Quale sarà l’avvenire di questa me-
tropoli? Essa si espande a dismisura,
in certe ore il traffico paralizza la vi-
ta, i piani urbanistici non sono
all’altezza della sfida.
In questi Paesi dell’Asia così di-
versi, i cristiani sono spesso una mi-
noranza, ma vogliono essere «sale
della terra». Talvolta in modo molto
nascosto portano una speranza per
le società nelle quali vivono. Vor-
remmo, sentendoci uniti a loro, ap-
profondire la comunione di tutti co-
loro che amano Cristo.
La Presentazione del Signore in un’omelia di Severo di Antiochia
Maria profetessa
apostolo e martire
di MANUEL NIN
Il 2 febbraio di millecinquecento
anni fa, nel 513, Severo di Antiochia
tenne al suo popolo un’omelia nella
festa dell’Ingresso del Signore nel
tempio. È un testo che ha prevalen-
temente un carattere cristologico; e
Severo si discosta dal testo del Van-
gelo di Luca, e rimane nella con-
templazione della figura di Maria,
la Madre di Dio; infatti i mano-
scritti danno l’indicazione: «Pro-
nunciata nella memoria della santa
Madre di Dio e sempre Vergine
Maria». Severo inizia il testo ricor-
dando come i cristiani danno lode
ai profeti, agli apostoli e ai martiri:
«È bello e giusto che noi innalzia-
mo parole di lode a tutti i santi
(…). Facciamo l’elogio dei profeti,
come coloro che nella propria per-
tata da Severo come modello della
Chiesa stessa; Maria porta a termi-
ne la speranza dei patriarchi, diven-
ta illuminazione delle profezie, pre-
dica come gli apostoli, ha la fortez-
za dei martiri, sconfigge l’eresia:
«Allora, come non rendere onore
giustamente a colei che adesso ono-
rano gli spiriti dei giusti? Da una
parte i patriarchi, come colei che ha
portato a termine la speranza nella
quale essi perseveravano da tanto
tempo, e che ha portato la benedi-
zione del seme di Abramo, cioè
Cristo (…). I profeti l’onorano co-
me colei che ha illuminato le loro
profezie ed ha partorito il sole di
giustizia (…). Gli apostoli (l’onora-
no) come colei che essi stessi hanno
riconosciuto come principio della
loro predicazione. I martiri come
colei che per prima ha dato loro
BAGHDAD, 1. L’unità e la comunione
al suo interno, insieme al dialogo
con il mondo musulmano: sono
queste le principali priorità della
Chiesa caldea. A indicarle è il pa-
triarca di Babilonia dei Caldei, Lo-
uis Raphaël I Sako, nella lettera pa-
storale scritta nel primo anniversario
della sua elezione. Il 31 gennaio del-
lo scorso anno, infatti, nel corso del
sinodo caldeo svoltosi a Roma, l'ar-
civescovo di Kerkũk succedeva al
patriarca dimissionario, il cardinale
Emmanuel III Delly.
Nella lettera pastorale Sako riper-
corre il primo anno alla guida dei
caldei e traccia le linee guida per il
futuro. «La Chiesa caldea in Iraq e
nel mondo ha attraversato un perio-
do difficile e ha fronteggiato molte
criticità», come la massiccia emigra-
zione, la mancanza di unità, l’ag-
giornamento della liturgia, la fram-
mentazione e l’isolamento. Ora è il
momento di pregare «per rileggere
gli eventi nella prospettiva del Van-
gelo», per camminare «con onestà e
fiducia nella luce del Signore e sotto
la sua guida».
Nel documento viene rivolto un
pensiero di solidarietà e di vicinanza
ai cristiani in Iraq e «ai fratelli in
Siria e Libano», che oggi vivono
esperienze quotidiane di «terrore e
instabilità, migrazione, fragilità poli-
tica ed economica» e ai quali, sotto-
linea il patriarca. A loro, ma soprat-
tutto alla comunità caldea, Sako rin-
nova l’invito a «far rivivere il cari-
sma» originario: «Il martirio duran-
te le persecuzioni, la saldezza nella
fede; il dono della vita monastica
per vivere appieno il Vangelo, il do-
no della missione, della predicazione
e dell’inculturazione». Soprattutto
in questo particolare frangente stori-
co, «la nostra Chiesa è invitata a ri-
costruire ciò che è stato distrutto o
falsato, riunire i dispersi, riportare
gli emigrati».
Il patriarca ripete a più riprese
l’importanza dell’unità e della co-
munione, che liberano dalle «divi-
sioni, interne ed esterne» e impedi-
scono di «chiuderci in noi stessi per
motivi di natura geografica, confes-
sionale o personale». E, rilanciando
i valori di «amore, carità, lealtà e sa-
crificio», ricorda anche come «l’uni-
tà è la sola speranza per il nostro fu-
turo».
Nella lettera viene sottolineato in
particolare il ruolo dei laici, uomini
e donne, che godono della stessa di-
gnità di «figli di Dio» e degli «stes-
si diritti» in seno alla Chiesa. Essi
sono «partner, non semplici spetta-
tori» e «li incoraggiamo a partecipa-
re in modo attivo alla vita della
Chiesa e alla vita pubblica, per una
presenza reale ed effettiva».
Il patriarca afferma inoltre di nu-
trire «grandi aspettative» in vista
delle elezioni politiche di fine aprile
2014 e invita la comunità cristiana a
partecipare per diventare protagoni-
sta attiva nella storia e nella vita del-
la nazione.
Dal patriarca un appello all’unità
anche fra le varie confessioni cristia-
ne. E, soprattutto, un richiamo ai
rapporti con la maggioranza musul-
mana irachena, rinnovando l’impe-
gno a un dialogo basato sul «rispet-
to reciproco» quale fondamento
«per la pace e la cooperazione».
In questo senso, il patriarca —
concludendo la lettera pastorale —
auspica che la Chiesa possa trovare
una «nuova metodologia» e un nuo-
vo «linguaggio teologico» rispettan-
do in prima istanza il valore assolu-
to della «libertà religiosa». E rivol-
gendosi in modo speciale «alle voci
dell’islam moderato», Sako esorta
infine a promuovere una «coesisten-
za pacifica» capace di respingere in
modo netto «la logica di violenza
contro i cristiani».Libertà
di scegliere
la propria
religione
BAGHDAD, 1. I capi delle Chiese
cristiane in Iraq auspicano che sia
garantita a tutti i cittadini la fa-
coltà di scegliere liberamente la
propria religione quando si rag-
giunge l’età adulta. È quanto si
legge in un comunicato del Con-
siglio dei capi delle Chiese cri-
stiane dell’Iraq (Council of Chri-
stian Church-Leaders of Iraq).
Nel documento — riferisce
l’agenzia di stampa Fides — si
chiede di garantire esplicitamente
a livello giuridico il diritto alla li-
bera scelta della propria fede mo-
dificando anche la legislazione in
vigore sullo stato civile dei mi-
nori riguardo alle questioni reli-
giose.
Già da parecchi anni dei giovani
asiatici vengono a Taizé e il «pelle-
grinaggio di fiducia» offre loro la
possibilità d’incontrarsi in diversi
paesi dell’Asia. Alcuni fratelli della
nostra comunità vivono in fraternità
nel Bangladesh e nella Corea del
Sud. Altri fratelli si recano regolar-
mente in visita attraverso quel conti-
nente.
In ottobre e novembre, insieme ad
alcuni fratelli, siamo andati in Myan-
mar, in Cina, in Corea del Nord e
del Sud e in India. Attraverso queste
visite, ho voluto esprimere il nostro
desiderio di comprendere meglio le
situazioni e manifestare solidarietà
con coloro che, seguendo Cristo, si
impegnano per la pace e la giustizia.
Siamo tornati con domande che in-
terrogano ciascuno rispetto a se stes-
so e al contesto in cui vive.
In Myanmar c’è una grande spe-
ranza per un movimento di demo-
da per innumerevoli persone.
I nostri legami con la Corea del
Nord risalgono al 1997, quando una
terribile carestia causò migliaia di
morti. Frère Roger prese allora l’ini-
ziativa di inviare mille tonnellate di
cibo. Poi, con l’«Operazione Spe-
«Ingresso del Signore nel tempio» (Beirut, arcivescovado greco cattolico, XVIII secolo)
fezione hanno mostrato in anticipo
il grande mistero della pietà; poi
degli apostoli, come coloro che
l’hanno predicato; infine dei marti-
ri, come coloro che col proprio san-
gue hanno confermato la profezia
dei primi e la predicazione dei se-
condi».
Severo quindi nella sua omelia si
propone di lodare la Madre di Dio
come profetessa, come apostolo e
come martire. Severo inoltre, nel
suo corpus di centoventicinque
omelie cattedrali, presenterà Maria
sempre unita al mistero dell’Incar-
nazione del Verbo di Dio, e Maria
come modello della Chiesa. Maria
è presentata come profetessa nel
partorire un Figlio che è l’Emma-
nuele, il Verbo di Dio incarnato:
«Onoriamo Maria come profetessa,
secondo la profezia di Isaia che di-
ce di lei: “Mi unii alla profetessa,
che concepì e partorì un figlio”.
Questo è il bimbo che per noi ha
partorito la profetessa Maria (…).
Questo bimbo è l’angelo del gran-
de consiglio, colui che manifesta in
se stesso e in figura, come Verbo di
vita, il Padre che è l’intelligenza al
di sopra di tutto; è il consigliere
ammirabile, colui che assieme al Pa-
dre ha fatto la creazione spirituale e
questo mondo visibile; il forte, co-
lui che è la forza del Padre invisibi-
le, perché Cristo è la forza di Dio e
la sapienza di Dio».
Dopo averla lodata come profe-
tessa, Severo elogia Maria come
apostolo, perché col suo parto ver-
ginale annuncia l’Emmanuele:
«D’altra parte qualcuno la chiamerà
anche apostolo, oppure sarà chia-
mata giustamente più degli aposto-
li, poiché dall’inizio è stata annove-
rata tra gli apostoli (…). Poi, se la
parola che hanno ascoltato dal Si-
gnore, “Andate e ammaestrate tutte
le nazioni”, ha fatto di essi apostoli,
quale nazione essa (la Vergine) non
ha ammaestrato e portato alla cono-
scenza di Dio; e questo malgrado
restasse silenziosa, per mezzo del
suo parto singolare ed eccezionale e
per questo diventato famoso, e per
mezzo del suo concepimento unico,
che ha fatto di essa la madre e la
radice della predicazione del Van-
gelo?».
Infine Maria è presentata come
martire, di fronte al dubbio di
Giuseppe e alla persecuzione di
Erode: «Maria è anche martire e di
una specie molto particolare, non
temiamo di dirlo: ha sopportato in
modo forte il giudizio di Giuseppe,
quando pensava che avesse conce-
pito da adulterio, prima di sapere,
per rivelazione da parte di un
angelo, il mistero della nascita. Ed
anche quando, di fronte al furore di
Erode, fuggì in Egitto, e dopo
rientrò dall’Egitto e se ne andò a
Nazareth».
La Madre di Dio, onorata da tut-
te le schiere dei santi, viene presen-
esempio di lotte e di corone. I dot-
tori della Chiesa ed i pastori delle
pecore razionali di Cristo come co-
lei che chiude la bocca all’eresia e,
come fontana potabile e pura, fa
sgorgare per tutti noi i flutti dell’or-
todossia». Quindi Severo farà tutto
un elenco delle principali eresie con
cui lui stesso — facendo parlare la
Chiesa per conto suo — si trova
confrontato: i doceti, Apollinare,
Nestorio, Eutiche. Tutta l’omelia
diventa quindi una professione di
fede severiana, che sottolinea la
doppia consustanzialità del Verbo
di Dio incarnato: «Per questa ra-
gione colui che è stato partorito è
chiamato anche Emmanuele, perché
è uno e senza confusione né divi-
sione, da due nature, dalla divinità
e dall’umanità. Com’è allora che
colui che possiede le cose uniche ed
indivisibili, la nascita incorporale
dal Padre e la stessa divinità —
l’unico nato dall’Unico, Dio da Dio
—, e poi la nascita dalla Vergine —
l’unico nato da donna non sposata
e soltanto da lei —, com’è che non
ha intaccato la verginità di sua ma-
dre quando è nato secondo la car-
ne; com’è che lui stesso, dopo que-
sta unione ineffabile, doveva essere
diverso nella dualità delle nature?
Ma egli è uno ed unico; per questo
ci ha chiamati, noi che eravamo se-
parati da Dio, all’unione e alla pa-
ce, quando è diventato mediatore
tra Dio e gli uomini».
Severo infine esalta la Madre di
Dio in quanto, come la Chiesa stes-
sa, intercede per il popolo fedele:
«Per questo noi onoriamo in modo
eccelso la Santa Madre di Dio e
sempre vergine Maria, perché è co-
lei che è in grado, più di ogni altro
santo, di innalzare preghiere per
noi (…). Lei è la terra spirituale da
cui il secondo Adamo si è fatto egli
stesso secondo la carne (…). Lei è
la pianta verginale da cui Cristo, la
scala celeste, è stato fatto dallo Spi-
rito nella carne, affinché noi stessi
seguendo le sue orme potessimo sa-
lire fino in cielo. Lei è la montagna
spirituale del Sinai, che non è av-
volta dalle tenebre bensì risplende
del sole di giustizia».
Com’è solito fare, Severo conclu-
de l’omelia esortando i fedeli, a im-
magine di Maria, a una vita nella
santità, nella verginità: «Quando
dovremmo impegnarci e vivere nel-
la verginità a causa di Dio che è
nato da una vergine, noi non siamo
capaci neanche di un matrimonio
casto che regga quei desideri che la
croce di Cristo ha reso facili (…).
Ciascuno di noi abbia il proprio
corpo in santità e onore, per otte-
nere i beni eterni per la grazia e
l’amore per gli uomini del nostro
grande Dio e Salvatore Gesù Cri-
sto. A lui e al Padre e allo Spirito
Santo la lode nei secoli dei secoli.
Amen».