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L’OSSERVATORE ROMANOGIORNALE QUOTIDIANO
Unicuique suum
POLITICO RELIGIOSO
Non praevalebunt
Anno CLIV n. 38 (46.580) Città del Vaticano domenica 16 febbraio 2014
.
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Papa Francesco invita a pregare per il continente, specialmente per la Repubblica Centroafricana e il Sud Sudan
La pace negata all’Africa
Le Nazioni Unite denunciano atrocità sui bambini e feroci violenze sulle popolazioni civili
L’invito rivolto da Papa Francesco,
con un tweet sabato 15 febbraio, a
pregare per la pace in Africa, spe-
cialmente nella Repubblica Centroa-
fricana e in Sud Sudan, viene a ri-
cordare il progressivo degenerare di
tragedie che coinvolgono milioni di
persone. La pace negata all’Africa,
non solo nei due Paesi citati — gli
ultimi in ordine di tempo a essere
sprofondati nella guerra civile — si
traduce in orrori quotidiani su bam-
bini e vecchi, donne e uomini. La
pace negata è aumento del sottosvi-
luppo, furto anche di speranza per il
continente dalla popolazione più
giovane.
Anche nelle ultime ore sono giun-
te dai due Paesi notizie sconfortanti
e in alcuni casi sconvolgenti. In Sud
Sudan non si consolida il cessate il
fuoco tra le forze del Governo del
presidente Salva Kiir Mayardit e
quelle ribelli che fanno riferimento
all’ex vice presidente Rijek Machar,
mentre degenera di ora in ora la
condizione di quasi un milione di
sfollati provocati dal conflitto esplo-
so due mesi fa.
La Repubblica Centroafricana
sprofonda in orrori ripetuti, senza
che le violenze siano ancora arginate
dalle truppe internazionali, quelle
della Misca, la missione africana for-
te di seimila uomini, e quelle di Pa-
rigi che ieri ha inviato altri quattro-
cento soldati, portando il suo con-
tingente a duemila effettivi. L’Unicef
ha denunciato ieri la ferocia abbattu-
tasi su decine di bambini decapitati
Udienza del Papa al presidente
della Repubblica di Cipro
Nella mattina di sabato 15 febbraio
Papa Francesco ha ricevuto, nel Pa-
lazzo apostolico vaticano il presi-
dente della Repubblica di Cipro,
Nicos Anastasiades, che successiva-
mente si è incontrato con l’arcive-
scovo Pietro Parolin, segretario di
Stato, accompagnato dall’arcivesco-
vo Dominique Mamberti, segretario
per i Rapporti con gli Stati.
Nel corso dei cordiali colloqui,
attestanti i buoni rapporti esistenti
fra la Santa Sede e la Repubblica di
Cipro, sono stati passati in rassegna
alcuni argomenti di comune interes-
se, quali il ruolo positivo della reli-
gione nella società e la tutela del di-
ritto alla libertà religiosa. Non si è
mancato, inoltre, di rilevare con
compiacimento la ripresa dei collo-
qui finalizzati a elaborare una solu-
zione condivisa per il superamento
dell’attuale situazione dell’isola.
Si è espressa, infine, preoccupa-
zione per i conflitti e l’instabilità
politica che interessano la regione
del vicino e Medio Oriente, com-
portando gravi sofferenze alle po-
polazioni civili, con l’auspicio che le
comunità cristiane nei vari Paesi
possano continuare a dare il loro
contributo alla costruzione di un fu-
turo di benessere materiale e spiri-
tuale.
Uomini e donne all’aeroporto di Bangui in attesa della distribuzione del cibo (Afp)
Conclusa senza esito la seconda tornata dei colloqui a Ginevra
Siria sempre più insanguinata
Combattimenti nei sobborghi di Damasco (Reuters)
NOSTRE
INFORMAZIONI
Il Santo Padre ha ricevuto que-
sta mattina in udienza:
Sua Beatitudine Gregorios III
Laham, Patriarca di Antiochia
dei Greco-Melkiti (Siria);
le Loro Eminenze Reveren-
dissime i Signori Cardinali:
— Odilo Pedro Scherer, Arci-
vescovo di São Paulo (Brasile);
— Andrea Cordero Lanza di
Montezemolo, Arciprete emeri-
to della Basilica Papale di San
Paolo fuori le Mura.
Il Santo Padre ha ricevuto
questa mattina in udienza Sua
Eccellenza il Signor Nicos Ana-
stasiades, Presidente della Re-
pubblica di Cipro, con la Con-
sorte, e Seguito.
Nomina
di Vescovo Ausiliare
Il Santo Padre ha nominato
Ausiliare del Vicario Apostolico
di Reyes (Bolivia) il Reverendo
Padre Waldo Rubén Barrinuevo
Ramírez, C.Ss.R., già Vicario
Provinciale e Parroco, assegnan-
dogli la sede titolare vescovile
di Vulturara.
L’Onu preoccupata per le violenze
Migliaia di studenti
protestano in Venezuela
DAMASCO, 15. Sono finora 48 i mor-
ti accertati, compresi tre bambini, e
150 i feriti per l’esplosione, ieri, di
un’autobomba contro la moschea
del villaggio siriano di Al Yaduda,
nella provincia meridionale di Derā,
quella dove scoppiò tre anni fa la
rivolta armata contro il Governo
del presidente Bashar Al Assad. La
vettura carica di esplosivo è stata
fatta saltare in aria durante la pre-
ghiera islamica del venerdì, quando
la moschea era particolarmente gre-
mita.
La strage è avvenuta poche ore
dopo la conclusione, senza esito,
della seconda tornata negoziale del-
la conferenza Ginevra 2. Sempre ie-
ri, Valerie Amos, la responsabile
dell’Ocha, l’ufficio dell’Onu per il
coordinamento degli interventi
umanitari, ha lanciato un appello al
Consiglio di sicurezza affinché ap-
provi una risoluzione che imponga
a Damasco di consentire un mag-
giore accesso umanitario in Siria. Il
vice ministro degli Esteri siriano,
Faysal Miqdad, ha risposto parlan-
do di alcune affermazioni inaccetta-
bili da parte di Amos, la quale a
suo giudizio «non riconosce che in
Siria c’è il terrorismo e ci sono or-
ganizzazioni terroristiche che osta-
colano la circolazione delle merci e
l’assistenza umanitaria in tante zone
del Paese». Una bozza di risoluzio-
ne in merito è in preparazione da
parte di diversi Paesi, ma la Russia
ha già annunciato il veto sostenen-
do che il testo mirerebbe ad aprire
la strada a operazioni militari con-
tro il Governo di Damasco.
Sulla questione è intervenuto an-
che il presidente degli Stati Uniti,
Barack Obama, annunciando nuove
iniziative per esercitare pressioni a
questo scopo su Damasco. Obama,
che ha incontrato ieri in California
re Abdullah II bin Hussein di Gior-
dania, ha ammesso di non attende-
re una soluzione della crisi nel bre-
ve termine, ma ha aggiunto che gli
Stati Uniti continueranno a riflette-
re su come influire sulle strategie
delle parti all’interno del Paese. Al
tempo stesso, il presidente statuni-
tense ha sottolineato l’importanza
di sostenere la Giordania nello sfor-
zo di assistere i rifugiati siriani.
e mutilati, in una guerra civile dive-
nuta sempre più aspra da quasi un
anno, dopo il colpo di Stato del
marzo scorso, quando il presidente
François Bozizé fu rovesciato dagli
ex ribelli della Seleka. La denuncia
ha seguito di poche ore la scoperta
nella capitale Bangui di una dozzina
di corpi senza vita in una fossa co-
mune nei pressi di una caserma che
fino a poche settimane fa era servita
da base alle milizie della Seleka, ori-
ginariamente una coalizione di op-
positori di Bozizé senza particolari
connotazioni confessionali, ma da
tempo formata in maggioranza da
combattenti stranieri, in massima
parte di matrice fondamentalista
islamica, provenienti soprattutto da
Sudan e Ciad. Alle violenze della
Seleka sono seguite quelle delle mili-
zie conosciute come antibalaka (ba-
laka significa «machete» in lingua
locale sango), contro i musulmani.
Di una nuvola oscura di atrocità
di massa e pulizia etnica che sovra-
sta il Paese, ha parlato ieri il segreta-
rio generale dell’Onu, Ban Ki-
moon, che porterà martedì prossimo
in Consiglio di Sicurezza le sue rac-
comandazioni per contenere le vio-
lenze e cercare di porre fine alla cri-
si. «Linciaggi, mutilazioni, orrendi
atti di violenza spargono il terrore:
tutti gli abitanti musulmani e cristia-
ni, sono colpiti ma di recente ci so-
no stati attacchi su vasta scala in cit-
tà come Bouali, Boyali, Bossemble
dove non è stato possibile inviare ca-
schi blu» ha denunciato Ban Ki-
moon.
CARACAS, 15. Migliaia di studenti
universitari hanno partecipato a
Caracas a una marcia diretta alla
sede dell’Organizzazione degli
Stati americani (Osa) per chiedere
la liberazione dei loro compagni
arrestati. La marcia, dove si sono
registrati nuovi scontri, giunge do-
po che mercoledì tre persone sono
morte e 66 sono rimaste ferite in
scontri fra studenti e polizia. Gli
studenti hanno diffuso foto e vi-
deo delle violenze contro i mani-
festanti da parte della polizia e di
gruppi armati vicini al Governo.
L’alto commissariato delle Na-
zioni Unite per i Diritti umani ha
espresso la sua preoccupazione
per la situazione in Venezuela e
ha chiesto al Governo di garantire
un’inchiesta imparziale sugli scon-
tri di mercoledì scorso a Caracas e
di non mettere a repentaglio la li-
bertà di manifestare il dissenso e
di informare liberamente su quan-
to sta avvenendo nel Paese.
Rupert Colville, delegato regiona-
le dell’agenzia Onu, ha detto che
i responsabili delle violenze «de-
vono essere processati e condan-
nati dopo una inchiesta imparzia-
le» e che esiste «preoccupazione
per le notizie di attacchi di uomi-
ni armati che agiscono con totale
impunità contro i manifestanti».
Una Chiesa in stato permanente di missione
Tra le piaghe
dell’uomo di oggi
Appello alla comunità internazionale
dell’arcivescovo di Bangui
L’ombra
del genocidio
PAGINA 6
Appello dei presuli del Venezuela
dopo le sanguinose manifestazioni
di protesta
Il dialogo
è la chiave di volta
PAGINA 7
di GUALTIERO BASSETTI
U
no dei passaggi cruciali del
messaggio di Papa France-
sco per l’imminente quare-
sima è indubbiamente la distinzio-
ne tra povertà e miseria. La pover-
tà — scrive il vescovo di Roma — è
sempre un atteggiamento evangeli-
co: è quella di Cristo, che «si è fat-
to povero per arricchirci con la sua
povertà»; è, in altre parole, il suo
modo di amarci, «il suo farsi carne,
il suo prendere su di sé le nostre
debolezze, i nostri peccati, comuni-
candoci la misericordia infinita di
Dio».
Tutt’altro è invece la miseria, che
non coincide con la povertà, e del-
la quale secondo il Papa si possono
individuare almeno tre diverse ti-
pologie: accanto alla miseria mate-
riale vi è infatti quella morale a cui
si combina, inestricabilmente, la
miseria spirituale. Alla privazione
materiale si intrecciano dunque sia
una mancanza etica sia l’assenza di
Dio. Ognuna è in relazione con
l’altra. E tutte hanno un deficit di
verità, nonostante l’amore sconfina-
to di Cristo verso l’uomo. A tale
stato di miseria, da sempre, la
Chiesa offre il suo servizio «per
guarire queste piaghe che deturpa-
no il volto dell’umanità» sottolinea
il vescovo di Roma.
Piaghe di vario genere, che spes-
so si trovano in penombra, senza
venire alla luce, e che invece evi-
denziano la drammatica fragilità, se
non addirittura l’imbarbarimento,
della società odierna. Richiamo so-
lo due fenomeni inquietanti — e
ovviamente se ne potrebbero ag-
giungere moltissimi — che riguar-
dano oggi l’Italia e che possono es-
sere, però, facilmente riferiti al
mondo intero. Innanzi tutto, l’or-
mai endemica disoccupazione gio-
vanile: secondo l’Istat, ci sarebbero
più di due milioni di giovani, so-
prattutto donne, che non lavorano
e non studiano. Ed è il dato peg-
giore dal 1977 a oggi. In secondo
luogo, la ludopatia, cioè il gioco
d’azzardo patologico, che riguarde-
rebbe addirittura un milione e
mezzo di italiani, i quali negli ulti-
mi sei anni vi avrebbero dilapidato
l’enorme cifra di oltre duecento mi-
liardi di euro.
Questi dati non sono solo nume-
ri in mano a economisti o psicolo-
gi. Sono spie di un disagio e di un
malessere profondi. Segnali inequi-
vocabili non soltanto di uno sradi-
camento esistenziale, ma di uno
stato di stagnazione sociale e di
immobilismo, la cui causa primaria
va rintracciata nell’evidente incrina-
tura del patto generazionale tra
giovani e adulti. È la lacerazione di
quello scambio fondativo tra le ge-
nerazioni che è condizione impre-
scindibile di sussistenza per la sta-
bilità della società. Come non capi-
re che dietro queste statistiche ter-
ribili si celano, non tanto e non so-
lo dati socioeconomici, ma soprat-
tutto un drammatico vuoto esisten-
ziale e una funesta rottura antropo-
logica nel rapporto di scambio tra
genitori e figli?
In questo contesto il messaggio
del Papa rappresenta uno stimolo
importantissimo per la Chiesa e
per l’intera società contemporanea.
Innanzi tutto perché esorta a vivere
la quaresima in pienezza, senza
ipocrisie e infingimenti, come un
cammino autentico di conversione
e di purificazione verso il mistero
della risurrezione di Cristo. Un
messaggio forte per superare i de-
serti della mondanità, della religio-
sità che si ammanta di buone in-
tenzioni, della politica che stru-
mentalizza la fede fino a trasfor-
marla in un’ideologia e della tenta-
zione ricorrente del potere e del
carrierismo.
Inoltre, al di là di ogni semplifi-
cante lettura sociologica, questo
messaggio di Papa Francesco è una
grande riflessione d’amore sull’uo-
mo. Sia per chi risiede al centro
del mondo, nell’agio e nel benesse-
re, ma ha perso l’anelito a guardare
verso il cielo e nel profondo nel
proprio cuore. Sia per chi vive nel-
le periferie, nelle villas miserias o
nelle banlieues, nei ranchitos o negli
slums, a cui manca tutto, che ha
smarrito ogni speranza e che non
conosce — e forse non ha mai co-
nosciuto — la gioia del Vangelo. A
questo uomo sofferente, così appa-
rentemente diverso ma anche così
drammaticamente simile, la Chiesa
oggi non può che donarsi total-
mente, in uno «stato permanente
di missione».
L’OSSERVATORE ROMANOpagina 2 domenica 16 febbraio 2014
L’OSSERVATORE ROMANO
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Credito Valtellinese
Mentre sta per scadere l’ultimatum del Governo per lo sgombero degli edifici pubblici occupati
Rilasciati in Ucraina
i manifestanti arrestati
Lunedì visita dell’alto rappresentante per gli Affari esteri e la Politica di sicurezza dell’Ue
Ancora proteste
in Bosnia ed Erzegovina
SARAJEVO, 15. Alcune centinaia di per-
sone manifestano anche oggi a Saraje-
vo, davanti alla sede della presidenza
bosniaca, dove il traffico è bloccato,
ma senza incidenti di rilievo. Si tratta
per lo più di operai di aziende locali,
privatizzate e poi fallite o ridotte
sull’orlo del fallimento.
Come riferiscono i media nella ca-
pitale, per lunedì prossimo è atteso
l’arrivo a Sarajevo dell’alto rappresen-
tante per gli Affari esteri e la Politica
di sicurezza dell’Unione europea,
Catherine Ashton, e del commissario
Ue all’Allargamento, Štefan Füle, in-
tenzionati a mediare nel duro braccio
di ferro fra politici e manifestanti, che
chiedono le dimissioni in blocco
dell’intero Governo della Federazione
croato-musulmana, una delle due enti-
tà che, con la Republika Srpska (enti-
tà a maggioranza serba), compongono
la Bosnia ed Erzegovina. La scintilla
che ha scatenato le proteste di piazza
è stata il fallimento di ben cinque fab-
briche a Tuzla, un tempo principale
polo industriale del Paese balcanico.
Intanto, il consiglio cantonale di
Tuzla ha approvato all’unanimità
l’abolizione della normativa di legge,
diffusa in tutto il Paese, secondo cui i
parlamentari e i funzionari percepi-
scono lo stipendio per un anno intero
dopo la scadenza del mandato.
Offensiva dell’esercito congolese contro la milizia ugandese Adf-Nalu
Nuovi e sanguinosi combattimenti
in Nord Kivu
Nessuna alleanza
delle forze
d’opposizione
in Costa d’Avorio
YAMOUSSOUKRO, 15. Non c’è stata
l’alleanza tra le diverse forze politi-
che d’opposizione in Costa d’Avorio
annunciata per questa settimana dal
Fronte popolare ivoriano (Fpi), il
partito dell’ex presidente Laurent
Gbagbo. Si è infatti concluso ieri
con un nulla di fatto il quarto in-
contro tra la direzione dell’Fpi e i
vertici di una decina di altre forma-
zioni politiche di opposizione. Ne-
gli ultimi mesi si sono moltiplicati i
contatti tra il leader dell’Fpi, Pascal
Affi Nguessan, e gli altri partiti mi-
nori con l’intento di coalizzarsi con-
tro il presidente Alassane Ouattara.
Diversi osservatori locali avevano
definito poco chiare le motivazioni
e i criteri all’origine del tentativo
dell’Fpi di unificare l’opposizione.
Questa è attualmente è divisa in
due blocchi: da una parte appunto
l’Fpi e dall’altra 11 gruppi minori
riuniti in un organismo chiamato
Quadro permanente di dialogo di-
retto, cinque dei quali hanno rifiuta-
to un’alleanza organica con l’Fpi.
Quest’ultimo, comunque, ha riallac-
ciato di recente un dialogo diretto
con il Governo dopo mesi di tensio-
ni, sulla scia del rigurgito di guerra
civile, costato almeno tremila morti,
seguito tra l’autunno 2010 e la pri-
mavera 2011 al rifiuto di Gbagbo di
riconoscere la vittoria di Ouattara
nelle presidenziali.
Rapporti di esperti ne suggeriscono la proroga
L’Onu valuta l’embargo
sulle armi in Somalia
Confermati
i finanziamenti
dell’Fmi
alla Guinea
NEW YORk, 15. Il Fondo mone-
tario internazionale (Fmi) ha an-
nunciato ieri lo sblocco di una
nuova rata di finanziamenti alla
Guinea. L’Fmi definisce soddi-
sfacenti i risultati finora ottenuti
nell’ambito del suo programma
di aiuto finanziario avviato un
anno fa. Questo nonostante la
crisi sociale e politica nel Paese
africano, che ha avuto ripercus-
sioni pesanti sul piano economi-
co, in un Paese già dal reddito
medio bassissimo, di appena un
dollaro al giorno per più della
metà della popolazione. Un co-
municato dell’Fmi ricorda infatti
che l’economia della Guinea ha
attraversato un periodo difficile,
riflettendo la situazione sociale e
politica e una forte contrazione
degli investimenti nel settore mi-
nerario. Secondo l’Fmi, la cre-
scita economica della Guinea è
stata nel 2013 del 2,5 per cento,
contro il 4,5 per cento previsto.
Il comunicato sottolinea però
che l’inflazione è molto diminui-
ta, pur restando oltre il 10 per
cento. La cifra comunicata dal
Fondo monetario internazionale
per questa nuova rata è di 28,2
milioni di dollari. Il totale previ-
sto, al termine del programma
triennale stabilito dall’Fmi, è di
112,8 milioni di dollari.
A causa del deterioramento della situazione politica
I caschi blu restano in Burundi
NEW YORK, 15. Il Consiglio di si-
curezza delle Nazioni Unite si ap-
presta a discutere sull’eventuale ri-
mozione dell’embargo sulle armi in
Somalia, sollecitata dal Governo di
Mogadiscio, che la ritiene indi-
spensabile per garantire la sicurez-
za. Poco meno di un anno fa, nel
marzo 2013, il Consiglio di sicurez-
za aveva allentato l’embargo, ap-
punto per un anno, per consentire
di mettere l’esercito somalo in con-
dizione di ristabilire l’autorita go-
vernativa nelle zone dove sono tut-
tora attivi i ribelli islamici di al
Shabaab. L’embargo era stato im-
posto dalla comunità internaziona-
le fin dal 1992, quando con la ca-
duta del dittatore Mohamed Siad
Barre era incominciato il lungo pe-
riodo di guerra civile in Somalia
che, con diverse fasi e intensità va-
riabile, si protrae dunque da oltre
un ventennio e che non può dirsi
ancora concluso.
Una conferma della decisione
del Consiglio di sicurezza di allen-
tare l’embargo era data per quasi
certa da molti osservatori fino a
pochi giorni fa. Ieri, però, l’agen-
zia di Stampa France Presse ha da-
to notizia di un rapporto conse-
gnato da esperti dell’Onu che sug-
gerisce di agire in direzione oppo-
sta. Nel rapporto, del quale la
France Presse è entrata in possesso,
si afferma infatti che l’allentamento
dell’embargo ha prodotto come
primo risultato un aumento del
traffico d’armi in Somalia, a causa
di quelli che vengono definiti abusi
sistematici da parte dei diversi clan
somali. Già un anno fa, diverse or-
ganizzazioni internazionali per la
difesa dei diritti umani avevano de-
nunciato tale pericolo, nonostante
le assicurazioni del Governo di
Mogadiscio che le armi non sareb-
bero finite in mani sbagliate.
Proteste di manifestanti a Sarajevo (Reuters)
Soldati dell’esercito congolese (Reuters)
KIEV, 15. Tutti i 234 manifestanti an-
tigovernativi detenuti nelle ultime
settimane in Ucraina sono stati scar-
cerati. Ma la tensione resta alta a
Kiev: l’opposizione che da giorni
picchetta molti edifici pubblici non
è soddisfatta. Perché questo passag-
gio — argomentano i manifestanti —
non significa ancora che tutti siano
liberi: non pochi restano infatti ai
domiciliari, e le inchieste della giu-
stizia ucraina pendono sulle loro te-
ste come spade di Damocle pronte a
trafiggerli se i palazzi occupati non
saranno sgomberati entro lunedì
prossimo, giorno in cui scade una
sorta di ultimatum lanciato dal Go-
verno per l’applicazione definitiva
della contestata legge d’amnistia.
La mossa delle autorità — annun-
ciata ieri dal procuratore generale,
Viktor Pshonka — mira comunque a
stemperare le tensioni in un Paese
che rischia di sprofondare nel bara-
tro della guerra civile. Uno spettro
che sta logorando la Repubblica ex
sovietica da ormai quasi tre mesi.
Rostislav Pavlenko, un deputato
dell’opposizione, ha accusato le au-
torità di aver solo «cambiato le mi-
sure restrittive» sottolineando che
molte «persone sono state scarcera-
te, ma sono agli arresti domiciliari, e
questo significa che i loro diritti so-
no limitati e che le inchieste penali
continuano a pendere sopra le loro
teste. Questa non è un’amnistia ve-
ra, non è la risposta alle richieste
dell’opposizione». Del resto, l’amni-
stia non è ancora stata applicata for-
malmente, anche se il procuratore
generale Pshonka ha assicurato che
se i manifestanti libereranno le stra-
de e gli edifici come previsto dalle
condizioni poste dal testo approvato
in Parlamento dalla maggioranza, le
inchieste contro di loro saranno
chiuse nel giro di un mese.
L’opposizione comunque conti-
nua a premere sul Governo e ha già
annunciato l’ennesima manifestazio-
ne di massa per domani. Nel
frattempo però i manifestanti si
sono detti disposti a sbloccare in
parte e riaprire al traffico via
Grushevski: la strada di Kiev che
porta ai palazzi del potere e dove
almeno quattro persone hanno per-
so la vita nei disordini delle settima-
ne scorse.
La crisi ucraina continua ad avere
pesanti ripercussioni anche nei rap-
porti tra il Cremlino e l’Occidente.
Mosca, che è critica nei confronti
dell’Unione europea, non appare
tuttavia a sua volta esente dal tenta-
tivo di riportare Kiev sotto la pro-
pria influenza, e negli ultimi mesi
ha fatto di tutto per scongiurare —
finora con successo — la firma di un
accordo di associazione tra Ucraina
e Ue. Ignorando apparentemente i
rimproveri di Mosca, la cancelliera
tedesca, Angela Merkel, riceverà
martedì prossimo a Berlino due dei
leader dell’opposizione di Kiev, Vi-
tali Klitschko e Arseni Iatseniuk,
per discutere della situazione nel
Paese. Lasciando escluso — come
spesso accade — solo il capo del
partito ultranazionalista Svoboda,
Oleg Tiaghnibok.
BUJUMBURA, 15. A causa del deterio-
ramento della situazione politica e
dell’instabilità nel Burundi, il Consi-
glio di sicurezza dell’Onu ha proro-
gato fino al 31 dicembre il mandato
della sua missione politica nel Paese
africano, in scadenza oggi.
I 15 Stati membri dell’organismo
delle Nazioni Unite hanno inoltre
dato il via libera a una missione di
osservazione elettorale, incaricata di
monitorare organizzazione, svolgi-
mento e scrutinio delle elezioni ge-
nerali del 2015. Il voto è considerato
dagli analisti un test cruciale per la
stabilità e medio e lungo termine.
Nel testo approvato dal Consiglio
vengono evidenziati i progressi im-
portanti che hanno permesso al Pae-
se di superare le grandi sfide del do-
poguerra, ma anche dinamiche poli-
tiche negative che potrebbero vanifi-
care le conquiste ottenute.
Al centro dell’aspro contenzioso
politico ci sono la recente riforma
agraria, la revisione della Costituzio-
ne e la possibilità di un terzo man-
dato per il presidente, Pierre
Nkurunziza, in carica dal 2005.
Gli esperti dell’Onu hanno altresì
avvertito che la scena politica nel
Paese dei Grandi Laghi è polarizza-
ta tra il Governo, «che utilizza la
sua maggioranza in Parlamento per
varare leggi che restringono lo spa-
zio politico», e le «minacce dell’op-
posizione» nei confronti dell’Esecu-
tivo.
Minimizzando i problemi, per
mesi il Governo di Bujumbura si è
fermamente opposto al rinnovo del-
la missione Onu, premendo, invece,
per un suo ritiro in tempi stretti.
Frattanto, Prosper Bazombanza,
esponente di spicco del principale
partito di opposizione tutsi Uprona,
è stato eletto dal Parlamento bica-
merale come nuovo primo vice pre-
sidente. Ha ottenuto 82 voti su 84.
L’elezione di Bazombanza — già go-
vernatore della provincia centrale di
Mwaro dal 2002 al 2005 — è stata
poi confermata dalla maggioranza
assoluta dei 33 senatori.
Dimostranti antigovernativi in piazza a Kiev (Reuters)
KINSHASA, 15. Almeno 230 ribelli
ugandesi delle Forze alleate demo-
cratiche - Esercito nazionale per la
liberazione dell’Uganda (Adf-Nalu)
sono stati uccisi dall’esercito congo-
lese in Nord Kivu. Il bilancio
dell’operazione Sokola (pulire in
lingua locale), lanciata lo scorso 16
gennaio e tuttora in corso, è stato
comunicato dal Governo di Kinsha-
sa, secondo il quale nell’operazione,
ancora in corso, hanno perso la vita
22 soldati e altri 68 sono stati feriti.
La fuga dei miliziani delle Adf-
Nalu nella confinante provincia
Orientale congolese ha rallentato
l’andamento dell’operazione. Tutta-
via, l’esercito ha sostenuto ieri di
aver ripreso, con gli ultimi e sangui-
nosi combattimenti, il controllo di
tutti i grandi bastioni della ribellio-
ne ugandese nel territorio di Beni.
«Da quando è cominciata l’opera-
zione, possiamo dire che siamo già
arrivati ai tre quarti del lavoro. Ab-
biano ripreso con successo Nadwi,
Mwalika, Chuchubo, Makoyova I e
II» ha detto a Radio Okapi, l’emit-
tente della Monusco, la missione
dell’Onu, il colonnello Olivier
Hamuli, il portavoce dell’esercito in
Nord Kivu. Secondo Hamuli, que-
sto dovrebbe consentire di riaprire
in tempi brevi la strada che ricolle-
ga Mbau a Kamango, zona che sarà
successivamente rastrellata dai mili-
tari.
Dopo la sconfitta militare della
ribellione interna del Movimento
del 23 marzo, le Adf-Nalu sono in
cima alla lista dei gruppi armati da
sradicare dal Nord Kivu, insieme
con gli hutu rwandesi delle Forze di
liberazione del Rwanda, riparati in
territorio congolese dopo il genoci-
dio dei tutsi nel Paese confinante
nel 1994.
Sempre ieri, la Monusco ha co-
municato la scoperta in tre villaggi
della zona di fosse comuni con cor-
pi che riportano segni di machete.
Un’inchiesta è stata aperta per
identificare il gruppo responsabile
dei massacri. Fonti locali della so-
cietà civile hanno inoltre denuncia-
to rapimenti, attacchi ai danni dei
civili, saccheggi di villaggi.
L’OSSERVATORE ROMANOdomenica 16 febbraio 2014 pagina 3
Anche se resta lontana la prospettiva di un incontro dei due presidenti
Segnali di disgelo tra Cina e Taiwan
PECHINO, 15. Il segretario di Sta-
to americano, John Kerry, ha de-
finito ieri costruttivo l’incontro
che ha avuto a Pechino con il
presidente cinese, Xi Jinping. Si è
trattato, ha affermato Kerry, di
discussioni «molto costruttive,
molto positive» che hanno con-
sentito di «esaminare nel detta-
glio alcune sfide poste dalla Co-
rea del Nord».
Il capo della diplomazia di
Washington ha sollecitato Pechi-
no a non minacciare la stabilità
della regione collaudando in mo-
do unilaterale la nuova zona di
difesa aerea sul Mar della Cina
orientale. L’area, infatti, si esten-
de sopra le isole contese con il
Giappone e, pur non affermando-
ne formalmente la sovranità, le
autorità cinesi hanno previsto che
gli aerei che la sorvolano si iden-
tifichino e mantengano costante-
mente le comunicazioni con Pe-
chino. «Abbiamo messo in chiaro
— ha spiegato Kerry — che un’ini-
ziativa unilaterale, non annuncia-
ta e non graduale potrebbe costi-
tuire una sfida ai popoli di quella
regione e, in ogni caso, alla stabi-
lità dell’area».
Dal canto suo, Xi Jinping ha
promesso l’impegno di Pechino
per costruire un nuovo modello
di relazioni bilaterali. «La Cina —
ha detto il presidente cinese — è
fermamente impegnata a costruire
un nuovo modello delle relazioni
bilaterali insieme alla parte statu-
nitense e continuerà a rafforzare il
dialogo, aumentare la fiducia reci-
proca e la cooperazione e gestire
correttamente le differenze nel
nuovo anno, in modo da andare
avanti con lo sviluppo sano e du-
raturo dei legami».
Costruttivi
i colloqui
di Kerry
a Pechino
I risicoltori
thailandesi
pronti a marciare
su Bangkok
BANGKOK, 15. Rimane molto tesa
la situazione a Bangkok, capitale
della Thailandia, dove da settima-
ne i manifestanti assediano le sedi
degli uffici governativi per chie-
dere le dimissioni della premier,
Yingluck Shinawatra.
Ieri è stato sgomberato dalla
polizia in modo pacifico il presi-
dio della protesta più vicino al
palazzo del Governo, rendendo
così possibile un ritorno al fun-
zionamento della importante
struttura pubblica. Da tempo, gli
incontri di Gabinetto si tengono
nella sede del ministero della Di-
fesa, di cui la premier è pure re-
sponsabile. Ma altri edifici sono
ancora sotto il controllo dei mani-
festanti antigovernativi.
A rendere più urgente una so-
luzione alla crisi, la possibilità
che si attui una saldatura tra i di-
mostranti e i risicoltori, pronti a
scendere in piazza lunedì contro
il Governo, accusato di non avere
rispettato i tempi di pagamento
del riso consegnato ai magazzini
statali. Un avvertimento è arriva-
to da Daicharn Mata, uno dei
leader degli agricoltori di tutte le
77 province del Paese asiatico.
Daicharn ha però dichiarato che
il movimento degli agricoltori
non ha intenti politici. «Se sare-
mo pagati torneremo a casa im-
mediatamente» ha infatti precisa-
to a un’emittente televisiva.
Daicharn ha ricordato le condi-
zioni drammatiche di molti agri-
coltori, costretti a vendere i loro
beni e a ricorrere a usurai per po-
tersi sfamare. Lunedì, ha confer-
mato, i risicoltori cercheranno un
incontro con la premier nel tenta-
tivo di trovare una soluzione.
Insieme con Washington l’Alleanza atlantica critica Kabul per il mancato accordo sulla sicurezza
Tensione tra Afghanistan e Nato
Verso un’intesa da tre miliardi di dollari tra Egitto e Russia
Dimostranti e polizia
si scontrano al Cairo
Miliziani
di Al Qaeda
evasi
nello Yemen
SAN’A, 15. È caccia all’uomo nello
Yemen, dove ieri trenta detenuti,
tra i quali diciannove fiancheggia-
tori di Al Qaeda, sono evasi dal
carcere di San’a. La fuga dei de-
tenuti è stata provocata dal-
l’esplosione di un’autobomba, che
ha fatto crollare un muro dell’edi-
ficio. Subito dopo, un gruppo di
uomini armati ha attaccato le
guardie carcerarie, consentendo ai
trenta detenuti (sui circa 5.000
che si trovano nella struttura) di
evadere. Un portavoce del Gover-
no ha detto all’agenzia ufficiale
Saba che si tratta di terroristi. Le
forze dell’ordine hanno avviato
una vasta operazione per cattura-
re i fuggiaschi. Il portavoce ha
incolpato dell’assalto al carcere i
terroristi di Al Qaeda nella peni-
sola araba. Durante l’operazione
sono rimasti uccisi sette agenti e
tre assalitori. Già in ottobre, le
forze di sicurezza avevano impe-
dito un tentativo di evasione da
un altro carcere di San’a.
La Libia resta in preda all’instabilità dopo lo spettro di un colpo di Stato
Manifestazione di protesta a Tripoli e Bengasi
Le delegazioni di Cina e Taiwan al tavolo delle trattative a Nanchino (Reuters)
Dimostranti nel centro di Tripoli (Afp)
IL CAIRO, 15. Un bambino di dodi-
ci anni è rimasto ucciso negli scon-
tri nella provincia di Minya, a sud
del Cairo, tra forze di sicurezza
egiziane e sostenitori del deposto
presidente Mohammed Mursi. Lo
hanno denunciato testimoni come
riporta l’agenzia di stampa Anado-
lu. Secondo la ricostruzione, il
bambino, Arafa Saudi, era sul bal-
cone della sua casa nella città di
Samalout quando è stato raggiunto
da proiettili a pallini esplosi duran-
te le proteste. Una fonte della sicu-
rezza, interpellata dalla Anadolu,
ha accusato i manifestanti di essere
responsabili per la morte del bam-
bino, affermando che le forze di si-
curezza hanno utilizzato «solo» la-
crimogeni per disperdere i dimo-
stranti. Altre due persone sono
morte negli scontri con la polizia a
Damietta. Almeno 23 dimostranti
sono stati arrestati.
Si è conclusa intanto la visita a
Mosca del ministro della Difesa El
Sissi, giunto nella capitale russa
con il collega degli Esteri, Nabil
Fahmy. Una visita che potrebbe se-
gnare un nuovo inizio nei rapporti
tra l’Egitto e Mosca nel campo del-
la cooperazione militare. Durante
l’incontro poi, riferiscono fonti di
stampa, il presidente russo, Vladi-
mir Putin, avrebbe dato il suo ap-
poggio alla candidatura del mini-
stro della Difesa e capo delle forze
armate, il maresciallo Abdel Fattah
El Sissi, a nuovo capo dello Stato.
Nel corso della missione si è poi
discusso dell’acquisto di armi russe
da parte del Cairo per una cifra
che ammonterebbe a circa 3 miliar-
di di dollari. L’acquisto verrebbe
finanziato dall’Arabia Saudita e da-
gli Emirati Arabi Uniti. Le due
parti — secondo quanto ha riferito
una fonte governativa di Mosca —
hanno già siglato o firmato con-
tratti per l’acquisto da parte del
Cairo di caccia Mig-29, sistemi di
difesa aerea e costiera, elicotteri
Mi-35 e armi di minori dimensioni.
Attentato
terroristico
in Bahrein
MANAMA, 15. Un poliziotto è
morto e un altro è rimasto ferito
in seguito a un attentato dina-
mitardo avvenuto ieri sera in
Bahrein, dove erano in corso
manifestazioni di piazza per
commemorare il terzo anniversa-
rio della rivolta della maggio-
ranza sciita contro la monarchia,
espressione della minoranza
sunnita. Secondo quanto riferito
dal ministero dell’Interno, un
attentato di matrice terroristica
ha colpito i due agenti mentre
stavano controllando i dimo-
stranti a Dair, villaggio sciita si-
tuato pochi chilometri a nord-
est della capitale Manama.
Qualche ora prima nella località
di Dahi era stato attaccato un
pullman della polizia, che era ri-
masto lievemente danneggiato.
Riforma
della giustizia
in Turchia
ANKARA, 15. Il Parlamento turco
ha approvato oggi il disegno di
legge sulla riforma della giustizia,
che mira a rafforzare il controllo
della magistratura da parte del
Governo. Lo riferisce la Cnn tur-
ca. La proposta era stata presen-
tata dal partito islamico Akp del
primo ministro, Recep Tayyip
Erdoğan, che ha la maggioranza
assoluta in Parlamento.
Il progetto prevede di sottopor-
re il Consiglio supremo dei giudi-
ci e dei procuratori (il Csm turco)
all’autorità del ministro della Giu-
stizia. Secondo l’opposizione, la
legge mira a insabbiare le inchie-
ste aperte per corruzione contro
diverse personalità politiche.
Intanto, riferisce la stampa tur-
ca, i nuovi magistrati cui sono
state affidate le inchieste anticor-
ruzione dopo la rimozione dei
pm titolari delle indagini iniziali,
hanno ordinato la rimessa in li-
bertà — in attesa del processo —
di nove dei 52 accusati arrestati a
dicembre. Fra le persone liberate
c’è anche l’ex amministratore de-
legato della banca pubblica Hal-
kbank, Süleyman Aslan, conside-
rato dagli inquirenti un elemento
importante della rete di corruzio-
ne legata al presunto traffico ille-
gale di oro fra Turchia e Iran.
PECHINO, 15. La Cina ritiene «non appropriato»
un incontro tra il presidente, Xi Jinping, e la sua
controparte di Taiwan, Ma Ying Jeou, durante il
prossimo vertice dell’Apec, che si terrà a ottobre a
Pechino. Lo ha dichiarato durante una conferenza
stampa a Taipei il ministro taiwanese per i Rap-
porti bilaterali, Wang Yu Chi, rientrato in patria
dopo i tre giorni di colloqui di Nanchino con la
controparte cinese, Zhang Zhijun.
Nella giornata di ieri, ha spiegato Wang alla
stampa, non si sarebbe arrivati a un accordo per
fare incontrare i due presidenti all’Apec. I collo-
qui di Nanchino sono stati comunque visti dagli
osservatori come un momento dall’alto valore
simbolico nei rapporti tra Cina e Taiwan, che già
dal 1992 hanno allacciato rapporti informali a li-
vello commerciale.
Pechino e Taipei si sono dette d’accordo sulla
necessità di istituire regolari uffici di comunica-
zione tra i due lati dello stretto. L’incontro è il
frutto di anni di sforzi per migliorare le relazioni
bilaterali, anche se la Cina vede Taiwan come una
«regione ribelle da ricongiungere alla madre-
patria».
Lunedì ci sarà un’altra missione in Cina di Lien
Chan, presidente onorario del Kuomintang, il
partito nazionalista uscito sconfitto nel 1949 dalla
guerra civile contro le forze guidate da Mao
Zedong. Lien è anche a capo dell’associazione per
lo sviluppo di rapporti pacifici tra Cina e Taiwan.
Il presidente onorario del Kuomintang aveva
già incontrato il predecessore di Xi, Hu Jintao,
nel 2005, e lo stesso Xi a Pechino, lo scorso
anno.
Da quando nel 2008 è stato eletto presidente a
Tiawain il filocinese Ma, sono stati firmati tra le
due parti diciannove accordi, che hanno reso
possibile, tra l’altro, l’aumento dei voli tra Cina e
Taiwan e reso più facili le transazioni bancarie.
KABUL, 15. Dopo gli Stati Uniti, la
Nato: l’Afghanistan si trova ora a
dovere arginare le severe critiche
dell’Alleanza atlantica in merito alla
decisione di Kabul, presa in questi
giorni, di liberare 65 talebani dete-
nuti nelle carceri afghane. Si tratta
dell’ennesima scarcerazione di mili-
ziani nell’arco di qualche settimana.
Gli Stati Uniti non hanno certo na-
scosto il loro malcontento, sottoli-
neando in particolare che i talebani
liberati sono «molto pericolosi»,
avendo colpito in passato, con attac-
chi mirati, obiettivi statunitensi. E
sulla stessa lunghezza d’onda si è
posta la Nato, rilevando che così fa-
cendo l’Afghanistan va indietro, va-
nificando i progressi fin qui compiu-
ti, invece che avanti.
Ecco allora che Kabul rischia di
trovarsi, nel panorama della politica
internazionale, sempre più isolata.
Mentre, infatti, si va sempre più
estendendo il solco tra Washington
e Kabul, anche con la Nato i dissa-
pori cominciano a manifestarsi con
una certa evidenza.
A mettere in evidenza la frattura
fra gli intelocutori è stato, e conti-
nua a essere, il mancato accordo sul-
la sicurezza per il dopo 2014, quan-
do sarà stato completato il ritiro del
contingente internazionale. Gli Stati
Uniti premono perché la firma
dell’intesa sia posta subito, mentre il
presidente afghano, Hamid Karzai,
intende firmare l’accordo solo dopo
le presidenziali del prossimo 5 aprile.
In questa diatriba recentemente si è
inserita anche la Nato: il segretario
generale, Anders Fogh Rasmussen,
ha sottolineato che l’accordo è nel
pieno interesse dell’Afghanistan e, di
conseguenza, il rinvio della firma
non può che nuocere alla causa di
Kabul.
Di fronte all’intransigenza di Kar-
zai sta dunque prendendo sempre
più corpo l’ipotesi di mettere in
campo l’opzione zero: ovvero, dopo
il 2014 Wasghington non lascerà sul
territorio afghano nessun soldato,
neppure con compiti logistici. Ver-
rebbe quindi accantonato l’originario
piano di dispiegare un robusto nu-
cleo di militari statunitensi per ren-
dere meno traumatico il passaggio
delle consegne alle forze locali.
E in tutto questo scenario rimane
come costante minaccia la presenza
talebana. I miliziani, sottolineano gli
analisti, potrebbero trarre vantaggio
da una situazione così fluida e incer-
ta per rilanciare su vasta scala la loro
azione destabilizzante fatta di attac-
chi e imboscate. E anche oggi sul
territorio afghano si sono registrate
nuove violenze. Un attentatore suici-
da si è lanciato contro un automezzo
militare, nel distretto di Khanabad,
nella provincia settentrionale di
Kunduz: due civili sono morti e altri
otto sono rimasti feriti.
TRIPOLI, 15. Migliaia di persone han-
no manifestato ieri a Tripoli e a Ben-
gasi contro il prolungamento del
mandato del Congresso generale na-
zionale (il Parlamento), scaduto il 7
febbraio. Il Congresso aveva deciso di
prolungare il proprio mandato fino a
dicembre 2014, nonostante l’opposi-
zione di una parte della popolazione
che lo accusa di non essere in grado
di ristabilire l’ordine e di mettere fine
all’anarchia e alla violenza delle mili-
zie armate. Il Congresso ha anche
adottato una Road Map che prevede
elezioni generali alla fine dell’anno se
la Commissione costituzionale — che
verrà eletta il prossimo 20 febbraio —
riuscirà ad adottare un progetto di
Costituzione in quattro mesi. Se la
Costituente non riuscirà a rispettare
tale scadenza, il Congresso organizze-
rà subito elezioni presidenziali e legi-
slative per un nuovo periodo di tran-
sizione di 18 mesi.
La Libia si appresta a celebrare il
terzo anniversario della rivolta contro
Gheddafi. Ma la primavera libica non
è mai sbocciata e il Paese resta in pre-
da all’instabilità, alle violenze, alle in-
filtrazioni qaediste e alle lotte di pote-
re. Con lo spettro di un colpo di Sta-
to, che ieri ha avvolto la capitale, poi
smentito dalle autorità di Tripoli. «La
situazione a Tripoli è sotto controllo»
ha detto il premier, Ali Zeidan, che
ha ordinato l’arresto del generale
Haftar. «Non fa più parte dell’eserci-
to» ha aggiunto, spiegando che gli
era già stato chiesto di ritirarsi in
pensione. Si è trattato, ha ribadito il
premier libico, del «disperato tentati-
vo di alcune persone» di impedire al
popolo libico di raggiungere «la li-
bertà e la democrazia».
L’OSSERVATORE ROMANOpagina 4 domenica 16 febbraio 2014
Nei quadri di El Greco
La grande bellezza
di ANTONIO CAÑIZARES LLOVERA
S
ono già iniziate le celebra-
zioni per commemorare il
quarto centenario della
morte di El Greco. Né la
persona, né di conseguen-
za l’opera di El Greco possono esse-
re separate dalla sua dimensione reli-
giosa. Tutto in lui riflette la grandez-
za di un uomo spirituale con uno
speciale tocco divino, capace di per-
cepire e di plasmare, nei tratti ampi
o nella stesura dei colori della sua
singolare pittura, la Suprema Bellez-
za, abisso infinito di armonia ine-
guagliabile e sovrana. In tutta la sua
opera, grande e unica, rispecchiò la
parte più profonda della sua anima,
immagine del Creatore che la pla-
smò con il delicato tocco dei suoi
“pennelli divini”. In essa appare
sempre lo spirito sublime che ha
contemplato e penetrato il Mistero,
ne ha colto lo spessore e lo ha
espresso con tutta l’elevazione
dell’arte che scaturisce dal profondo
dell’essere illuminato da questa espe-
ignoranti e ai semplici dei misteri
più abissali, catechizza, eleva, porta
alla contemplazione, alla meraviglia,
alla venerazione, alla preghiera nella
supplica e nella lode; rende conto
della fede e della speranza e mostra
la sinfonia e l’armonia della loro bel-
lezza, il loro radicamento e la loro
espressione nella parte più viva e più
genuina dell’essere umano.
El Greco lo fece nel suo momento
storico, ma la sua arte continua a
parlare ancora oggi, con vivissima
attualità, come in passato, perché a
contare in essa non è la circostanza
o il momento effimero che passa
presto; esprime anzi realtà imperitu-
re e lo fa a partire dal linguaggio
della “punta dell’anima”, come di-
rebbero i nostri mistici spagnoli.
Parla con i pennelli e i colori da
quel profondo centro dell’anima do-
ve ogni uomo intende se stesso e si
sente coinvolto, a qualunque genera-
zione appartenga.
ni, gli occhi, i volti, il movimento dei
corpi dei personaggi, tutto, tutta la
sua opera, è espressione di come egli
vede l’uomo e il suo dramma: l’uo-
mo che soffre e che ama, che vive il
dramma dell’esistenza, il suo anelito
di felicità, l’uomo caro a Dio, da Lui
prio per questo, profondamente an-
tropologica, umana, è la chiave fon-
damentale per addentrarsi e immer-
gersi nella ricchezza e nella grandez-
za di El Greco. Le sue opere, come
altre nate dalla fede cristiana, sono
opere che non sono state spogliate —
né si possono spogliare — della loro
aura; ancora non sono diventate, e
non vogliamo né permettiamo che lo
diventino, per le loro qualità esteti-
che formali, un puro e semplice og-
getto del piacere, dell’erudizione de-
gli esperti, della curiosità distratta
dei visitatori in mostre e musei.
Laddove si trovano il sacro e il
credente, la bellezza è il fulgore del-
la grazia, e la bellezza ci rimanda a
qualcosa di “estraneo”, di cui non
possiamo disporre, e che tuttavia ci
attrae rasserenandoci e riconciliando-
ci. Là, attraverso la bellezza, sgorga
una forza che non schiaccia né sog-
gioga, ma che sostiene. Là appare
una libertà raccolta su uno sfondo
da dove sgorga instancabilmente una
libertà più grande che ci libera dal
centro del nostro essere. Là, soprat-
tutto, si fa strada la comunicazione
del dono divino e dell’amore che in
esso ci comunica; là si apre la spe-
ranza e là si delinea il futuro di
un’umanità nuova e di un’umanità
con un futuro.
Nel quarto
centenario
della morte
Pubblichiamo in una nostra
traduzione un articolo del
cardinale prefetto della
Congregazione per il culto
divino e la disciplina dei
sacramenti, arcivescovo emerito
di Toledo, pubblicato su «La
Razón» del 6 febbraio.
rienza che trascende lo sguardo su-
perficiale, incapace di scalare le alte
vette dello spirito. El Greco si è im-
merso, con naturalezza e insieme ve-
rità, nella profondità del Vangelo,
nel mistero dell’incarnazione di Dio
fatto uomo per gli uomini e offertosi
per loro sulla croce, o nella vittoria
sulla morte, così nemica dell’uomo,
che la sua opera esprime con tanta
Come uomo dalla radicata cristia-
nità, e figlio del suo tempo, El Gre-
co riflette, indivisibilmente, l’uomo,
per il quale mostra una viva e singo-
lare passione. Chi non vede questa
passione nella Sepoltura del conte di
Orgaz, o nella Spoliazione di Cristo, o
nell’Apostolato della sacrestia della
cattedrale toledana, o nel San Giu-
seppe della stessa cattedrale? Le ma-
Attraverso l’armonia di forme e colori
sgorga una forza
che non soggioga ma sostiene
E dal centro del nostro essere
appare una libertà più grande
«Spoliazione di Cristo» (1577-1579 circa)
«San Giovanni evangelista e San Francesco» (1600 circa, particolare)
Gli insediamenti dei benedettini e degli olivetani nel cuore di Roma tra XV e XVIII secolo
Pianificazione territorialedi MARIA ANTONIA NOCCO
Nel cuore di Roma tra i Fori e le pendici del
Campidoglio si concentrano rilevanti testi-
monianze storiche, artistiche e architettoni-
che relative a santa Francesca Romana e san
Bernardo Tolomei. La religiosa romana ave-
va fondato nel 1425 le oblate di Tor de’
Specchi, caratterizzate da un profondo lega-
me con i valori della spiritualità benedettina
e analogamente Bernardo Tolomei nei primi
decenni del IV secolo aveva dato vita, a Sie-
na, alla congregazione di Santa Maria di
Monte Oliveto od olivetani, diramazione
della Regola di san Benedetto da Norcia.
L’accentramento in questa parte della città
di edifici di culto, alloggi per il clero e sedi
di rappresentanza, incluse le innumerevoli e
manufatti del XV-XVIII secolo illustranti
l’esperienza materiale e spirituale della santa
romana è collegato alla basilica e al mona-
stero di Santa Francesca Romana al Palati-
no, ovvero la sede ufficiale degli olivetani di
Bernardo Tolomei a Roma. Anch’essa con-
serva importanti testimonianze a commemo-
rare le azioni dei tre santi.
Le strutture citate sono inoltre da porre in
relazione con altre due chiese, al pari delle
prime, geograficamente disposte tra il Foro e
il Campo Vaccino: il Santissimo Nome di
Maria alla Colonna Traiana (anticamente de-
dicata a san Bernardo di Chiaravalle) e la ex
chiesa di Santa Maria Liberatrice, ora Santa
ta Maria de Curte (meglio nota nelle fonti
come Cappella di sotto), il complesso con
Santa Maria Liberatrice (demolita tra il 1899
ed il 1900 per fare emergere il sottostante
edificio di età bizantina di Santa Maria An-
tiqua) e, in parte, il Santissimo Nome di
Maria nei pressi della Colonna Traiana.
Sul portale del monastero che si affaccia
lungo la via del Teatro di Marcello, dimora
delle oblate che secondo la regola benedetti-
na scandivano la loro esistenza tra virtù e
carità, tra contemplazione e dedizione al
prossimo, si può ammirare un affresco del
XVIII secolo, con La Madonna e il Bambino
tra i santi Benedetto e Francesca Romana se-
guita dall’angelo. L’opera attribuita al pittore
tardobarocco Nicolò Ricciolini rievoca, ben-
ché in cattivo stato di conservazione, i due
santi che unitamente a san Bernardo Tolo-
mei rappresentano i pilastri dell’ordine.
L’intero edificio di Tor de’ Specchi inglo-
bante anche le due chiesette su citate con il
consistente repertorio di dipinti, affreschi e
testimonianza di Romolo Artioli, del 1900,
contribuisce ad avvalorare la proposta di
una pianificata convergenza topografica tra
le diverse sedi dell’ordine benedettino-olive-
tano in Roma.
Su tale percorso inoltre si snodava, nei se-
coli passati, la processione che accompagna-
va l’urna con le spoglie di “Ceccolella” (il
vezzeggiativo attribuito a Francesca Roma-
na) attraverso il Campidoglio tra le due
chiese a lei dedicate: il monastero di Tor de’
Specchi e la basilica di Santa Maria Nova.
Tuttavia ciò non significa che in altre aree
della città non vi fossero altri luoghi di culto
dedicati alla santa, in particolare, anche da
mana e ai santi dell’ordine, Bernardo Tolo-
mei e Benedetto.
In definitiva, un siffatto complesso di ele-
menti — gli olivetani con le chiese e i mona-
steri appartenenti all’ordine e anche la pre-
senza ricorrente di alcuni artisti che gravita-
vano intorno a tale apparato, come i pittori
Nicolò e Michelangelo Ricciolini, Lorenzo
Gramiccia e Sebastiano Ceccarini — si può
spiegare attraverso la strategia adottata con-
giuntamente da oblate e olivetani per glorifi-
care i propri santi fondatori (Benedetto,
Francesca Romana e Bernardo Tolomei) an-
che attraverso una pianificazione e gestione
del territorio: in particolar modo di quella
regione, situata nel cuore della Roma antica,
che ancora custodiva le tracce dell’esistenza
terrena e degli eccezionali insegnamenti del-
differenti ordini religiosi: negli anni tra il
1614 ed il 1616, in seguito alla canonizzazio-
ne del 1604, i padri trinitari avevano infatti
eretto sulla strada Felice, l’attuale via Sistina,
un’altra chiesetta in suo onore poi demolita
nel 1930 e co-titolata ai santi Giovanni Ne-
pomuceno e Venceslao, ma di fatto è parti-
colarmente qui, in seno alla città più antica,
che si concentravano gli edifici sacri e le
opere più rilevanti consacrate alla devota ro-
verso un Breve Pontificio della Sacra Con-
gregazione dei Riti con decreto di Urbano
VIII che ne riconosceva il culto ab immemora-
bili, il senese entrava pertanto di diritto, as-
sieme a san Benedetto e a santa Francesca
Romana, nella pratica di culto e di diffusio-
ne iconografica promossa dall’Ordine qual-
che tempo prima della canonizzazione della
santa romana (29 maggio 1608) e rinvigorita
in occasione della beatificazione del senese,
la advocata urbis.
Nella stessa area inoltre
gli olivetani di Santa Ma-
ria Nova mettevano in
pratica e divulgavano con
amorevole religiosità e
spirito caritatevole gli am-
maestramenti di Bernardo
Tolomei. Beatificato il 25
novembre del 1644 attra-
Maria Antiqua. L’associazione tra olivetani-
benedettini e la chiesa del Santissimo Nome
di Maria è certo più contenuta rispetto ai
due casi precedenti ma non per questo meno
significativa: essa fu eretta difatti nel luogo
su cui sorgeva l’antica chiesa e confraternita
di Sancti Bernardi ad Columnan Traiani di-
strutta nel 1748; è probabile che proprio in
tale circostanza i cistercensi, del ramo bene-
dettino, avessero stabilito di rievocare l’anti-
ca dedicazione, consacrando un altare a Ber-
nardo di Chiaravalle, santo titolare cui era
particolarmente legato Bernardo Tolomei.
Proprio per la profonda devozione verso
l’abate cistercense egli avrebbe sostituito il
proprio nome di battesimo, Giovanni, in
Bernardo. Per ciò che concerne il legame
con Santa Maria Liberatrice al Foro Roma-
no, va ricordato che sulle rovine dell’antica
chiesa di Santa Maria Antiqua era sorto an-
ticamente un monastero che ospitava monaci
e monache benedettine (soprannominate
Santuccie); a esso fu annessa in seguito una
piccola cappella dedicata appunto a Maria
Liberatrice che conservava anche il titolo
dell’originaria chiesa di Santa Maria Anti-
qua.
Durante gli interventi di demolizione del-
la chiesa, le oblate si erano preoccupate del
trasporto di marmi e di altri reperti storici
nel monastero di Tor de’ Specchi e inoltre,
tra il 1748 e il 1749 suor Anna Amidei, presi-
dente delle oblate, aveva deciso di adornare
con affreschi, stucchi, marmi e con dipinti
dei pittori Lorenzo Gramiccia, Sebastiano
Ceccarini ed Étienne Parrocel, la cappella
consacrata a Francesca Romana in quella
chiesa. Le fonti narrano che in entrambe le
chiese era intervenuto anche Nicolò Riccioli-
ni, il medesimo autore dell’affresco sul por-
tale di Tor de’ Specchi: nella prima cappella
a sinistra del Santissimo Nome di Maria
aveva realizzato la bella tela con L’Apparizio-
ne della Vergine a san Bernardo mentre in
Santa Maria Liberatrice viene citato in colla-
borazione con il padre Michelangelo che, a
sua volta, avrebbe altresì licenziato delle
opere per il Monastero.
Nicolò è inoltre associato a Francesca Ro-
mana anche per la ristrutturazione della cap-
pella che le era stata dedicata tra il 1611 e il
1612, in seguito alla canonizzazione, in San
Bartolomeo all’Isola Tiberina, non lontano
da Tor de’ Specchi. Filippo Titi narra che
Nicolò aveva restaurato gli affreschi, di esito
mediocre, di Antonio Carracci, autore delle
scenette raffiguranti episodi della vita della
Santa, ed in seguito avrebbe anche dovuto
L’accentramento tra i Fori e il Campidoglio
di edifici di culto e sedi di rappresentanza
è tale da far ipotizzare
una programmazione nella disposizione
delle diverse strutture
amato ed elevato, l’uomo
salvato e chiamato a par-
tecipare della sua gloria.
Nella sua arte si riflet-
te bene l’idea che «la
gloria di Dio è l’uomo
che vive» (sant’Ireneo di
Lione). Tutta la sua ope-
ra manifesta l’uomo, mo-
stra com’è entrato nella
profondità dell’umano;
ma non come lo vedreb-
be il pagano o il mero
umanista. C’è una note-
vole differenza: è quella
che gli dà la visione di
fede, che lo porta a
guardare con uno sguar-
do proprio.
Dietro i volti o i corpi,
le mani o gli occhi, i co-
lori o le pieghe delle ve-
sti o il movimento dei
corpi, c’è la verità che
professa la sua fede al di
sopra dell’uomo. Tale fe-
de, chiaramente cristiana
e cristocentrica e, pro-
bellezza e drammaticità in-
sieme.
Così, con una fede cri-
stiana profondamente radi-
cata, ben formata e capace
di rendere conto della sua
verità, El Greco, in tutta la
sua opera pittorica, mostra
realtà fondamentali della
fede e insegna, parla agli
pregiate opere d’arte in
essi contenute, apparte-
nenti all’ordine benedetti-
no-olivetano è tale da far
ipotizzare un collegamen-
to planimetrico program-
matico tra le diverse
strutture. Se tale conver-
genza topografica può
apparire dapprima una
circostanza del tutto oc-
casionale, in realtà essa
trova conferma nella ma-
trice comune della com-
mittenza di oblate e olive-
tani, ai quali è possibile
far risalire molti degli in-
terventi architettonici e
artistici nell’area: un vero
e proprio quartier genera-
le con il monastero e la
chiesa di Santa Maria
Nova (l’attuale Santa
Francesca Romana) da
una parte, la fabbrica di
Tor de’ Specchi dall’altra
con il monastero e le due
chiese annesse della San-
tissima Annunziata e San-
che sarebbe poi stato
canonizzato da Benedet-
to XVI il 26 aprile del
2009.
Nella produzione di
immagini che si appron-
tavano per la dedicazio-
ne di altari, cappelle e
chiese appartenenti agli
olivetani, la rappresenta-
zione di Francesca si as-
socia di fatto a quella
della Vergine Maria, di
san Benedetto e del bea-
to Bernardo Tolomei,
abituali protettori della
comunità religiosa di
Monte Oliveto, come si
può notare in particola-
re nella rappresentazio-
ne sul portale di Tor de’
Specchi e anche più dif-
fusamente in numerose
opere, tra tele e affre-
schi, presenti nella chie-
sa e nel monastero di
Santa Francesca Roma-
na che custodisce al suo
interno una vera e pro-
pria pinacoteca a illu-
strare e celebrare le im-
prese dei tre campioni
dell’ordine.
ridecorare ex novo la
cappella, ma il progetto
non fu mai portato a
termine.
Nel XVI secolo, con il
concorso di nuove se-
guaci era nata l’esigenza
di affiancare nuove
strutture al monastero
originario delle oblate;
pertanto le religiose ave-
vano ottenuto da Bene-
detto XIV la chiesa che
affacciava su Campo
Vaccino, vincolata alla
sede di Tor de’ Specchi
nel 1550, e anche un ter-
reno contiguo su cui le
osservanti avrebbero in-
nalzato un edificio mo-
derno. Da esso si dipar-
tivano due strade, la via
di San Teodoro e la via
della Consolazione, che
oltre a collegare Santa
Maria Liberatrice (con
la nuova struttura) al
Colosseo avevano inol-
tre la funzione di rac-
cordo poiché avrebbero
dovuto «unirla alla sua
antica sorella, la chiesa
di S. F. Romana»; tale
Giosuè Meli, «Santa Francesca Romana e l’Angelo»
(Roma, chiesa di Santa Francesca Romana, XIX secolo)
Antoniazzo Romano, «Storie di Santa Francesca Romana» (Roma, monastero di Tor de’ Specchi, 1468)
L’OSSERVATORE ROMANOdomenica 16 febbraio 2014 pagina 5
Cent’anni dopo la pubblicazione di «Dubliners»
Quanti luoghi comuni
su James Joyce
Francesco di Assisi e Ildegarda di Bingen
Fiabe per grandi e per piccini
La cattura di Adolf Eichmann raccontata ai ragazzi
La Storia
nella sua complessità
di ENRICO REGGIANI
P
er l’eredità culturale e let-
teraria di James Joyce
(1882-1941) l’inizio del ter-
zo millennio è stato scop-
piettante e persino vulca-
nico. Lo dimostrano molte circostan-
ze inconfutabili.
Quando nel 2004 Stephen Joyce,
nipote dello scrittore ed erede uni-
versale dei diritti d’autore derivati
dalle sue opere, cercò inutilmente di
impedirne la pubblica lettura duran-
te le celebrazioni di ReJoyce Dublin
anno, sia che si tratti, ad esempio,
della prima rappresentazione teatrale
in inglese del Pygmalion di Shaw,
dell’uscita dell’antologia imagista cu-
rata da Ezra Pound o dell’edizione
londinese dei racconti di The Prus-
sian Officer and Other Stories.
Sorge, tuttavia, spontaneo il se-
guente interrogativo: un altro cente-
nario saprà anche offrire efficaci oc-
casioni di approfondimento e di re-
visione rispetto a modalità di ap-
proccio inadeguate e ad interpreta-
zioni spesso sclerotizzate, ideologiz-
zate e, comunque, non più sostenibi-
li? Proprio cent’anni fa, infatti, nel
1914, oltre ad alcune puntate di A
Portrait of the Artist as a Young
Man — che appariranno sulla ri-
vista letteraria The Egoist da
febbraio di quell’anno, per
poi vedere la luce in for-
ma di libro nel 1916 —
uscì presso l’editore lon-
dinese Grant Richards,
dopo una sequela appa-
rentemente interminabile di
quindici rifiuti, Dubliners.
Questa raccolta di quindici rac-
conti, scritti tra il 1904 ed il 1907,
che costituisce con ogni probabilità
l’unica e abituale esperienza joyciana
dell’italico lettore medio, resta
troppo spesso incatenata a una
giovanile rimembranza sco-
lastica e ad alcuni stereotipi
interpretativi solo di rado
superati da una più matura
fruizione testuale (quella
che pare non sfiorare mai
Ulysses, la cui lettura è assai
di frequente più snobistica-
mente sbandierata che pra-
ticata). Tra i più duri a mo-
rire di tali stereotipi, quelli
che dipingono Joyce come
ultramodernista nemico del-
la tradizione letteraria, co-
no “l’anima di quella paralisi parzia-
le [hemiplegia] o completa [paralysis]
che molti considerano una città”
precede qualunque ideologia cosmo-
polita, foss’anche solo per “lo spe-
ciale odore di corruzione che aleggia
sulle mie storie” (come scrisse in al-
cune lettere del 1907).
Le parole di Joyce vanno ascoltate
con rispetto soprattutto — ed è forse
questo lo stereotipo interpretativo
più resistente e patologicamente reci-
divante — perché, se al venticinquen-
ne cattolico irlandese James Joyce
interessava scrivere «un capitolo del-
la storia morale del mio Paese», non
bisognerebbe eludere la questione
della natura, delle radici e degli oriz-
zonti di tale storia morale.
Oggi, più in particolare, non se
ne dovrebbe trascurare il rapporto —
comunque lo si voglia aggettivare —
con il cattolicesimo irlandese di quei
giorni, possibilmente senza innescare
pericolosi corto-circuiti tra ciò che
ne dicono lo scrittore, il narratore ed
i personaggi, senza interpretarli re-
trospettivamente sulla base di quan-
to si legge in opere successive e sen-
za ricorrere ad armamentari critici
ideologizzati e ormai spuntati.
Restano, infatti, tuttora da verifi-
care con reale acribia ermeneutica
sia le matrici cattoliche di Dubliners,
sia le loro innumerevoli tracce te-
stuali, che Joyce dissemina nella sua
rappresentazione della “settima città
della Cristianità” e delle quali ogni
lettura, anche la più distratta, non
può che registrare e apprezzare l’irri-
ducibile vitalità: tali sono, ad esem-
pio, la sua contraddittoria popola-
zione di fedeli e di consacrati; il suo
reticolo, moralmente intricato, di
chiese, campanili, conventi, scuole,
abitazioni; le sue pratiche devozio-
nali, liturgiche, ecclesiali ed ecclesia-
stiche, talora improbabili ma talvolta
sincere.
l’anno buono per valorizzare le
peculiarità di Dubliners nel recepire
il cattolicesimo romano che Joyce
conobbe, senza confonderlo con
quello odierno (Geert Lernout,
2010), le sue fundamental attitudes to-
wards man (William York Tyndall,
1959) e le sue implicazioni in mate-
ria di social morality (Lee Oser,
2007).
Andrew Gibson nel
2006 e, nell’anno in
corso, Enrico Terrino-
ni (Attraverso uno spec-
chio oscuro. Irlanda e
Inghilterra nell’Ulisse di
James Joyce, Mantova,
Universitas Studio-
rum, 2014, pagine
202, euro 14) hanno
compiuto, tra gli altri,
sforzi apprezzabili per
riproporre l’identità
irlandese di Joyce co-
me fondamento del
suo ruolo di intellet-
tuale europeo e co-
smopolita. Chi scrive
auspica che il 2014
possa essere anche
2004, il Parlamento irlandese appro-
vò un disegno di legge che lo con-
sentiva. Quando il 13 gennaio 2012
venne definitivamente disinnescato
questo annoso impedimento col pas-
saggio dei capolavori joyciani nel
pubblico dominio, l’editoria italiana
(ma non solo) non si fece trovare
impreparata e sfornò nell’arco di po-
chi mesi nuove edizioni apprezzabili
(su tutte, la versione dell’Ulisse a cu-
ra di Enrico Terrinoni, pubblicata da
me individualista restio ai
confronti di qualsivoglia
comunità, come cosmopoli-
ta irridente le proprie radici naziona-
li, come ateo nemico di ogni espe-
rienza religiosa, e così via.
Eppure Joyce esplicitò chiaramen-
te in più occasioni ciò che lo mosse
nella creazione delle sue quindici
stories dublinesi. Lo fece, ad esem-
pio, in un celebre passo di una lette-
ra all’editore Grant Richards (1906)
che offre numerosi antidoti contro i
tenaci stereotipi interpretativi di cui
si è detto sopra: «La mia intenzione
di RITANNA ARMENI
La storia di san Francesco e il lu-
po si può raccontare ai bambini
anche dalla parte del lupo. Lo fa
Chiara Frugoni, storica medievista,
una vita dedicata alla ricerca su
Francesco e Chiara, nello splendi-
do volume San Francesco e il lupo.
Un’altra storia (Milano, Feltrinelli,
2013, pagine 32, euro 15), con illu-
strazioni di Felice Feltracco.
Il lupo — racconta — non è cat-
tivo, è solo vecchio, malato, è sta-
to cacciato perché troppo debole
dagli altri lupi più giovani e forti
e ha bisogno di mangiare. France-
sco lo cerca per parlargli, per con-
vincerlo a non fare del male. Per
questo il frate vagò tanto nei bo-
schi, sotto la neve, finché esausto
dell’adulto che pure sta narrando
una storia che, in altre forme, già
conosceva. L’odore della bontà ge-
nera bontà, quello della fratellanza
produce fratellanza, quello del-
l’amore crea amore. E poi non ci
sono cattivi, solo uomini, donne e
animali che hanno bisogno di sen-
tire l’odore della bontà.
Frugoni ha trasformato la storia
di Francesco quel tanto che basta
per comprenderla meglio, per
adattarla a tempi che sembrano re-
frattari ai buoni sentimenti. L’ha
davvero indirizzata solo ai bambi-
ni? Perché ci sono fiabe per bam-
bini che è bene che leggano o ri-
leggano i grandi. E questa è una
di loro.
Come lo è la storia di Ildegarda
di Bingen, Ildegarda e la ricetta
da raccontarle. Elisa è salva, può
dire con orgoglio alla maestra:
«Non è vero che tutte le donne
medievali vivevano nei castelli e
trascorrevano il tempo ricamando,
o erano serve della gleba o coltiva-
vano i campi, c’era anche una mu-
sicista famosissima, Ildegarda von
Bingen che ha scritto centinaia di
inni».
Elisa conosce Ildegarda, deve
conoscerla a fondo perché altri-
menti la monaca non rientrerà nel
libro e la storia senza di lei si fer-
merà. Per questo entra nel suo
mondo fatto di musica, sensibili-
tà, cultura, e soprattutto tantissi-
ma creatività in tutti i campi della
conoscenza. Ildegarda insegna a
Elisa che le idee sono dapper-
tutto. «Possono nascere — conclu-
de felice la bambina — guardando
gli amici o la maestra, passeg-
giando, sfogliando dei libri. E la
mia vita si è riempita di musica!
Sento note dappertutto: il para-
brezza in movimento suona una
canzone, gli insetti in giardino
ballano un valzer, la catena della
mia bicicletta canta un allegro
motivetto. Persino lo sfrigolio
delle uova nella padella calda
produce dei suoni armoniosi. Ba-
sta saperli ascoltare». Basta ascol-
tare Ildegarda. Anche chi è adul-
to è preso da un inspiegabile en-
tusiasmo.
di GIULIA GALEOTTI
Insegnando la storia a scuola,
specie negli anni dell’obbligo,
si corre spesso il rischio di
presentare fatti, eventi, pas-
saggi e snodi in compartimen-
ti stagni. Come se, girando la
pagina tra un capitolo e l’al-
tro, avanzando di anni e attra-
versando frontiere, mancassero
raccordi saldi, capaci di ri-
percorrere la tela che si dipa-
na tra l’altro ieri e ieri, tra qui
e lì.
Per questo è interessante il
romanzo per ragazzi di Neal
Bascomb, Nazi Hunters (Fi-
renze, Giunti, 2014, pagine
220, euro 9,90), che — riper-
correndo l’avventurosa cattura
di Adolf Eichmann — racconta
la Shoah, il problema del ri-
torno alla normalità per vinci-
tori e vinti, vittime e carnefi-
ci, i complessi assetti edificati
dalla guerra fredda, i rapporti
di opportunità e calcolo tra
Paesi, il confine tra memoria e
ossessione, tra vendetta e giu-
stizia.
Sedici anni dopo essere sva-
nito nel nulla, Adolf Ei-
chmann viene rapito alla fer-
mata di un autobus in Argen-
tina da un gruppo scelto di
agenti segreti. Trasportato di
nascosto in Israele, sarà og-
getto di uno dei processi più
significativi contro criminali
nazisti. Bascomb — giornalista
e saggista autore del best sel-
ler per adulti Hunting Ei-
chmann (2009) — racconta qui,
a un pubblico di giovanissimi,
come tutto ciò sia avvenuto: il
sopravvissuto Simon Wiesen-
thal riapre il caso Eichmann,
un argentino cieco e la figlia
adolescente forniscono prezio-
se informazioni, un gruppo di
agenti segreti — tratteggiati
con poche ma efficaci pennel-
late — parte da Israele per ef-
fettuare il rapimento.
Attraverso l’avventuroso ro-
manzo storico, il giovane let-
tore scopre aspetti meno noti
della storia. La psicologia dei
nazisti; il destino di molti ge-
rarchi a fine guerra, e la com-
plicità di tante autorità inter-
nazionali nella loro fuga
all’estero; il disinteresse dei
Paesi sulla caccia; l’impegno
di Israele affinché l’Olocausto
non venisse dimenticato; la fa-
tica che è stata fatta per ricor-
dare, e per tramandare. Per
fare memoria.
si addormentò. E il vecchio lupo
lo trovò solo e indifeso sul ghiac-
cio. «Gli girò intorno, e l’annusò.
Sentì un odore magico, nuovissi-
mo. Non somigliava affatto al-
l’odore di carne e di sangue che
tanto gli piaceva. Il lupo era sor-
preso e sbalordito. All’improvviso
capì che Francesco non voleva uc-
ciderlo, come gli uomini che gli
davano la caccia. Capì che France-
sco gli avrebbe voluto bene. Si
sdraiò accanto a lui e lo riscaldò
col suo pelo». Da quel giorno
stette insieme al frate, lo seguì
dappertutto obbediente e affettuo-
so, come un cane.
Ma non è solo questo il lieto fi-
ne. C’è, infatti, una domanda che
il bambino, prima impaurito, poi
attento e incantato, fa inevitabil-
mente a chi gli narra la favola di
san Francesco e il lupo. Se il lupo
seguì Francesco perché non pote-
va staccarsi dal suo odore, che
odore era? Che cosa l’ha convinto
a diventare mansueto e affettuoso
e a dimenticare la cattiveria e il
sangue? «Era l’odore di un uomo
buono», spiega il narratore.
Il messaggio arriva diritto e cen-
tra in pieno il cuore del piccolo,
ma inevitabilmente anche quello
la sua fortissima immagine di li-
bertà e cultura femminile. Di re-
cente la lotta accanita di questa
donna mistica, musicista, esperta
di medicina alternativa, infaticabi-
le organizzatrice la cui vita è dedi-
cata alla realizzazione piena del
disegno di Dio, è stata raccontata
da Anna Lise Marstrand-Jugersen,
La sognatrice (Sonzogno, 2012).
E tuttavia il libro di Daniela
Maniscalco aggiunge qualcosa di
fresco e di inaspettato anche per
chi quella storia la conosce e per
Ildegarda nutre da tempo una se-
greta devozione.
La piccola Elisa si chiede: «Ma
è proprio vero che la storia della
musica è popolata solo da musici-
sti uomini?». È delusa e arrabbiata
perché lei vorrebbe fare la musici-
sta e capisce che, se fino ad allora
non c’è riuscita nessuna donna, è
difficile che ci riesca lei.
Poi incontra Ildegarda. La sco-
pre in un misterioso e magico li-
bro medievale che la nonna le ave-
va proibito aprire e di sfogliare.
Lei, invece, non sa resistere alla
tentazione, disobbedisce e dal li-
bro emerge la monaca con un abi-
to lungo fino ai piedi, le scarpe a
punta e tante cose nuove e strane
della creatività (Paler-
mo, Rueballu, 2013,
pagine 80, euro 16,50)
di Daniela Maniscal-
co, illustrata da Chia-
ra Carrer in cui si rac-
conta ai più piccoli di
una piccola monaca
che entrò in convento
a soli otto anni, sape-
va prevedere il futuro,
fu una straordinaria
musicista e inventò
persino una lingua
per comunicare con le
consorelle.
Su Ildegarda sono
state scritte molte bio-
grafie e molti impor-
tanti saggi per adulti.
Al suo successo in li-
breria, ha contribuito
certamente la decisio-
ne di Benedetto XVI
di nominarla dottore
della Chiesa, oltre che
Ildegarda disegnata da Chiara Carrer
Il lupo in un disegno di Felice Feltracco
Secondo un membro della presidenza dello Yad Vashem
Palatucci resta Giusto tra le Nazioni
David Cassuto, della presidenza dello Yad Vashem di Gerusalemme, replica
alle accuse del Primo Levi Center di New York e si dice «convinto piena-
mente dell’eroismo e della grandezza del questore di Fiume, Giovanni Pala-
tucci, e anche dello zio vescovo che lo aiutò a salvare gli ebrei». È quanto si
legge in un articolo di Angelo Picariello pubblicato su «Avvenire» del 15
febbraio. «Non c’è nessuna novità, o presunta tale, che giustifichi un proces-
so di revisione del riconoscimento di “Giusto fra le Nazioni” conferito a
Giovanni Palatucci il 12 settembre 1990» afferma Cassuto in una lettera a
Roberto Malini, storico e documentarista della Shoah, che gli aveva comu-
nicato una sua intervista sul caso Palatucci rilasciata al portale Lo Schermo.
Domande e risposte «convincono pienamente dell’eroismo e della grandezza
dei Palatucci» commenta il membro della presidenza dello Yad Vashem, che
associa nel giudizio la figura dello zio, monsignor Giuseppe Maria Palatuc-
ci, vescovo di Campagna, in provincia di Salerno, il quale partecipò all’ope-
ra di salvataggio «attraverso l’assistenza agli ebrei trattenuti nel campo di in-
ternamento del suo paese».
La raccolta di racconti uscì
presso l’editore londinese Grant Richards
Ma solo dopo
una sequenza interminabile
di ben quindici rifiuti
Newton Compton) e altre più scon-
tate e talora semplicemente rifritte.
Altrettanto, ovviamente, fecero le ca-
se editrici straniere con una miriade
di iniziative di vario profilo e livello,
tra le quali spicca nel 2013 la pubbli-
cazione di Finn’s Hotel, dieci inedite
little epics apparse per i raffinatissimi
tipi di Ithys Press con un’introdu-
zione dell’autorevolissimo Seamus
Deane, ora tra i prestigiosi ispiratori
del Keough-Naughton institute for
Irish Studies presso la statunitense e
cattolica University of Notre Dame.
Il 2014 sarà un ennesimo annus
mirabilis nell’esperienza contempora-
nea dell’eredità joyciana. Non c’è
partita con il 1914 joyciano per altri
pur illuminanti eventi della cultura
letteraria anglofona in quello stesso
coeurianamente il suo “paradigma
della condizione carnale e finita
dell’uomo”, vanno ascoltate con cura
e rispetto per almeno tre ragioni:
perché, se si tratta di un capitolo,
vuol dire che esiste un libro che lo
contiene insieme alla tradizione di
altre analoghe rappresentazioni lette-
rarie; perché, se tale capitolo riguar-
da “il mio Paese”, significa che è da-
ta una comunità nazionale della
quale vale la pena occuparsi e della
quale Joyce si occuperà instancabil-
mente a modo suo, per tutta la sua
vita e lungo tutta la sua parabola
creativa; perché, se Dublino è la si-
neddoche urbana prescelta da Joyce
per rappresentare il “mio Paese”,
“nel mio specchio minuziosamente
lucidato” (lettera, 1906), allora persi-
era scrivere un capitolo
della storia morale del
mio Paese: ho scelto
Dublino come scena
perché quella città mi
sembrava il centro del-
la paralisi».
Visto che in lettera-
tura le parole sono pie-
tre e che anche quelle
di Joyce proiettano ri-
James Joyce
L’OSSERVATORE ROMANOpagina 6 domenica 16 febbraio 2014
Ultimata dopo trent’anni la traduzione del testo sacro in lingua locale
La Bibbia
che parla al Benin
di JEAN-BAPTISTE SOUROU
Ci sono voluti ben trent’anni, tanta
pazienza e molta perseveranza per
vedere la Bibbia tradotta anche nel-
la lingua fon. Il fon, proveniente
principalmente dal centro-sud del
Benin, oltre al francese che è la lin-
gua ufficiale, è uno degli idiomi più
popolari e più usati nel Paese africa-
no, anche perché molti commercian-
ti e lavoratori del sud che emigrano
verso il nord portano con sé la loro
lingua e la loro cultura. Senza dire,
poi, che la maggior parte delle isti-
tuzioni statali di formazione, di
educazione, di economia, di svilup-
po e di cura fino a poco tempo fa
avevano base nel sud del Paese, do-
ve appunto domina il fon, per cui
prima o poi, anche gli abitanti del
nord erano in qualche modo “co-
stretti” a impararlo.
Il fon è anche la lingua liturgica
in uso nelle diocesi di Cotonou e di
Abomey. Per cui la si potrebbe dav-
vero considerare come la seconda
lingua per importanza dopo il fran-
cese. E visto che pochi parlano e
leggono il francese, una traduzione
in fon dei testi biblici era quanto
mai attesa.
Si capisce allora la gioia e l’entu-
siasmo delle migliaia di fedeli, reli-
giose e religiosi, sacerdoti, autorità
civili e militari venuti domenica 2
febbraio, solennità della Presenta-
zione del Signore, nel palazzetto
dello sport di Cotonou, dovè è stata
presentata la prima versione della
Bibbia in fon interamente tradotta
in Benin da una squadra di biblisti
di tutte le confessioni cristiane. In-
fatti, l’idea è partita dall’Alliance Bi-
blique du Bénin che aveva già tra-
dotto i testi sacri in altre lingue lo-
cali. Essa ha allora voluto unire tut-
te le Chiese e le comunità ecclesiali
per avere una versione completa
della Bibbia in fon, una versione in-
terconfessionale.
Secondo il progetto, ogni Chiesa
e comunità ecclesiale doveva dare il
suo contributo. Ma dopo cinque an-
ni, niente o quasi nulla era stato fat-
to. Gli incontri si sono moltiplicati,
in seguito. Ci è voluto allora corag-
gio, tanta motivazione e aiuto reci-
proco per superare le difficoltà. Gli
scogli principali erano le espressioni
proprie a ciascuna Chiesa e comuni-
tà, e il tempo necessario per la con-
cessione degli imprimatur. Ma dopo
trent’anni, la Bibbia in fon è una
realtà. E tra i membri dell’équipe
dei traduttori molti hanno confidato
che «è stato bello aver lavorato con
i fratelli delle altre Chiese».
Il momento più bello, della ceri-
monia di domenica 2 febbraio è sta-
to quando i volumi sono stati sco-
perti dal rappresentante della Socie-
tà bibblica olandese, assieme al pa-
store Daniel Hounzandji, direttore
dell’Alleanza biblica del Benin, e da
monsignor Clet Feliho, vescovo di
Kandi e presidente della Commis-
sione episcopale per l’ecumenismo.
La Bibbia in fon è stata realizzata
in lingua corrente, con un vocabola-
rio e una grammatica semplici per
facilitarne l’uso ai fedeli. Essa esiste
in due versioni: una con i libri deu-
terocanonici e l’altra senza questi.
«È una grande sfida che dovevamo
affrontare. È una questione d’onore,
di maturità per la Chiesa in Benin.
La Parola ci è stata portata cento-
cinquanta anni fa e non siamo stati
capaci fin d’ora di tradurla nella no-
stra lingua. Non l’avevamo allora
ancora ben accolta, al punto di ap-
propiarcene, di tradurla nella nostra
lingua», ha dichiarato il coordinato-
re dei lavori di traduzione per la
Chiesa cattolica, padre Victor Noël
Sogni.
L’Alleanza biblica in Benin lavora
per rendere la Parola di Dio accessi-
bile a tutti, traducendola nelle lin-
gue locali più popolari e si impegna
anche a organizzare delle vere e
proprie campagne di alfabetizzazio-
ne perché se la gente non sa leggere
e scrivere, non serve a niente tradur-
re i testi sacri.
Appello alla comunità internazionale dell’arcivescovo di Bangui
Nella Repubblica Centroafricana
l’ombra del genocidio
BANGUI, 15. Nella Repubblica Cen-
troafricana il rischio che si arrivi al
genocidio è imminente. Ne è ferma-
mente convinto l’arcivescovo di
Bangui, monsignor Dieudonné Nza-
palainga, che in diverse occasioni ha
lanciato un appello alla comunità
internazionale e alle Nazioni Unite
affinché si intervenga al più presto
per fermare l’ondata di violenza nel
Paese africano.
«Con appena quattro-cinquemila
soldati — ha spiegato il presule alla
Fondazione di diritto pontificio,
Aiuto alla Chiesa che Soffre (Acs) —
è impossibile restaurare la pace
nell’intero Paese. Per proteggere la
popolazione servono più uomini. La
crisi ha ormai raggiunto proporzioni
drammatiche e in Centroafrica po-
trebbero regnare definitivamente il
caos, l’anarchia e il disordine to-
tale».
Monsignor Nzapalainga ha rac-
contato di un suo recente viaggio a
Bodango, un piccolo villaggio a 190
chilometri dalla capitale Bangui. Ar-
rivato sul luogo, il presule si è reso
conto che erano scomparsi circa
duecento musulmani che abitavano
il piccolo centro e ha chiesto ad al-
cuni militanti anti-balaka cosa fosse
successo. «Mi hanno risposto che
erano stati cacciati e si erano trasfe-
riti nella capitale. Ma come poteva-
no camminare per quasi duecento
chilometri con donne, anziani e
bambini? È chiaro che è andata di-
versamente». L’arcivescovo ha sotto-
lineato come, a differenza di quanto
diffuso dai media internazionali, gli
anti-balaka — che in lingua sango si-
gnifica anti-machete — non sono mi-
lizie cristiane. Un’estraneità più vol-
te affermata dall’episcopato locale e
ribadita nei giorni scorsi anche dal
vescovo di Bangassou, monsignor
Juan José Aguirre Muñoz. «Nessu-
na milizia cristiana — ha dichiarato
il presule — sta uccidendo i musul-
mani in Centroafrica. Gli anti-bala-
ka sono dei cittadini traumatizzati
ed esaltati, che dopo aver subito per
un anno violenze e soprusi da parte
della Seleka, hanno deciso di vendi-
carsi riversando il proprio odio con-
tro la coalizione e contro i centrafri-
cani di fede islamica che l’hanno so-
stenuta».
Intanto la popolazione continua a
vivere nel terrore e ad assistere a
scene che, ha sottolineato monsi-
gnor Nzapalainga, «ricordano il ge-
nocidio in Rwanda». L’arcivescovo
si riferisce a quanto accaduto a
Bohong, il piccolo villaggio cristia-
no a quindici chilometri da Bouar
attaccato dalla Seleka l’estate scorsa.
«Persone arse vive, case bruciate, te-
schi e ossa abbandonati tra le cene-
ri. Avevo visto simili crudeltà — ha
raccontato — solo nei documentari
sull’olocausto rwandese. Oggi, il
diavolo vive nel nostro Paese e se
nessuno tratterrà la sua mano, il
maligno riuscirà a raggiungere il
suo obiettivo: uccidere e distrugge-
re». La presenza dei missionari è
uno dei pochi aiuti rimasti ai cen-
trafricani. «Loro hanno scelto di ri-
manere, non sono stati costretti. E
nel coraggio di questi religiosi i cen-
trafricani possono intravedere una
luce nel buio della notte. Perché se i
missionari sono ancora in Cen-
trafrica, vuol dire che c’è ancora
speranza».
Secondo padre Federico Trinche-
ro, missionario carmelitano scalzo,
superiore e maestro degli studenti
nel convento Notre Dame du Mont
Carmel di Bangui, «la follia della
guerra non ha risparmiato neppure
le famiglie dei miei confratelli: a
qualcuno è stato ucciso un parente,
a qualcun altro è stata bruciata o
saccheggiata la casa. Se i seleka, e
chi li ha sostenuti, sono indubbia-
mente all’origine della situazione in
cui ci troviamo — ha dichiarato a Fi-
des — gli anti-balaka hanno dimo-
strato una violenza pari, se non su-
periore, a chi li ha preceduti e pro-
vocati. Gli anti-balaka, che non so-
no musulmani, non possono dirsi
cristiani. Se lo erano, le loro azioni
dicono il contrario. Più volte i ve-
scovi hanno denunciato questa vio-
lenta reazione popolare, che i media
hanno frettolosamente interpretato
come cristiana. Ma, poiché non so-
no musulmani — continua — la con-
fusione è stata inevitabile. Ci conso-
la la consapevolezza che, sebbene
tutto ciò sia una vergogna sono stati
centinaia, forse migliaia, i musulma-
ni che hanno trovato rifugio nelle
parrocchie e nei conventi sparsi nel
Paese, salvandosi letteralmente la vi-
ta. Ma l’esodo di questa minoranza
è ormai cominciato. Tantissimi mu-
sulmani sono stati costretti a lasciare
il Paese, pur essendo nati qui. A ciò
si aggiunge un effetto collaterale
che renderà ancora più difficile la
già fragile economia centroafricana.
Le poche attività commerciali erano
infatti in mano ai musulmani. Il fu-
turo del Centroafrica, anche quello
economico, è quindi una vera inco-
gnita».
Intanto, l’elezione del nuovo pre-
sidente della Repubblica Centroafri-
cana, Cathérine Samba Panza, avve-
nuta il 20 gennaio scorso, ha dato
un segnale di distensione poiché, a
differenza di chi l’ha preceduta, go-
de del favore popolare.
Lettera pastorale della conferenza episcopale in vista delle elezioni generali
Il Sud Africa
e il dono prezioso della democrazia
PRETORIA, 15. «Venti anni di demo-
crazia. Il popolo di Dio e tutti gli
uomini di buona volontà» è il titolo
della lettera pastorale diffusa nei
giorni scorsi dalla Conferenza epi-
scopale del Sud Africa in occasione
del ventesimo anniversario dell’af-
fermarsi della democrazia nel Paese
e in vista delle elezioni generali che
si terranno il 7 maggio.
Il documento sottolinea il valore
del processo democratico, definito
dai vescovi “un tesoro”, grazie al
quale si sono potuti promuovere «i
diritti di tutti e restaurare la dignità
della maggioranza della popolazio-
ne, negata dall’Apartheid».
I presuli — riferisce Radio Vatica-
na — hanno inoltre elogiato «il mi-
glioramento delle condizioni di vita
della popolazione apportato dalla
democrazia» e riscontrabile nello
sviluppo delle infrastrutture e dei
servizi forniti dallo Stato, così come
nell’attenzione alla situazione so-
ciale.
Tuttavia, a due decenni dall’ini-
zio del processo democratico, il
Sud Africa — fanno notare i vescovi
— non conta solo le luci, ma anche
le ombre. «Molte persone vivono
ancora in condizioni intollerabili»,
scrivono i presuli, denunciando lo
scarso valore che viene dato alla vi-
ta umana, la presenza di atteggia-
menti e comportamenti razzisti,
«l’orrore degli abusi su minori e an-
ziani, i rapimenti e le violenze do-
mestiche». Di qui, l’esortazione a
«ricostruire il Paese secondo i valori
del Vangelo, lavorando tutti insie-
me allo sradicamento dei crimini,
del traffico di droga e della tratta di
esseri umani per rendere il Sud
Africa ospitale e bandire così la xe-
nofobia ed il razzismo».
Due i principi ai quali fare riferi-
mento, hanno affermato ancora i
vescovi sudafricani, ovvero «traspa-
renza e responsabilità. Dobbiamo
essere in grado — sostengono — di
considerarci responsabili gli uni ri-
spetto agli altri della nostra libertà
e dell’uso delle risorse del nostro
Paese».
Altrettanto senso di responsabili-
tà viene richiesto alle forze dell’or-
dine, affinché «combattano il crimi-
ne, agli insegnanti perché formino i
loro alunni, ai genitori affinché
amino e abbiano cura dei loro figli,
e ai sacerdoti e religiosi affinché
provvedano alla crescita spirituale
della popolazione». Il tutto nell’ot-
tica «della dignità e del rispetto re-
ciproco». Il processo democratico,
ribadisce ancora la Conferenza epi-
scopale sudafricana, non riguarda
solo i leader politici, ma «richiede
il coinvolgimento di ciascuno affin-
ché dia il suo contributo, anche
grazie alle associazioni civili ed ec-
clesiali».
Inoltre, in vista delle elezioni, i
vescovi indicano, nella lettera, alcu-
ni criteri in base ai quali i fedeli so-
no invitati a scegliere come votare:
sacralità della vita e dignità di ogni
essere umano; sostegno al matrimo-
nio e alla famiglia; responsabilità
sociale e rispetto del bene comune;
equa condivisione delle risorse e
della ricchezza; solidarietà con i po-
veri e gli emarginati. Il testo insiste
in particolare su questo ultimo pun-
to, invitando «a votare per i partiti
le cui politiche siano autenticamen-
te al servizio di tutti e in particolare
dei più poveri e vulnerabili. Dob-
biamo respingere ogni forma di avi-
dità, di etnicità, di corruzione e di
arricchimento illecito».
Infine, i vescovi invitano a rende-
re grazie a Dio «per il prezioso do-
no della democrazia e a pregare per
il Paese. Possano le scelte che fac-
ciamo portare speranza ai poveri,
unità a tutto il nostro popolo e un
futuro sicuro e pacifico per nostri
figli».
Il Consiglio ecumenico delle Chiese contro l’utilizzo dei droni
Una seria minaccia per l’umanità
GINEVRA, 15. Il Comitato esecutivo
del Consiglio ecumenico delle Chie-
se (Cec o World Council of Chur-
ches) ha condannato l’uso dei droni
o Unmanned Aerial Vehicles (gli ae-
rei armati senza pilota comandati a
distanza) poiché rappresentano
«una seria minaccia per l’umanità e
il diritto alla vita e creano pericolosi
precedenti nelle relazioni tra gli
Stati».
Queste preoccupazioni sono state
espresse nella dichiarazione conclu-
siva del comitato del Cec riunitosi
nei giorni scorsi presso il Centro
ecumenico di Bossey, in Svizzera.
Nel comunicato viene sottolineato
che l’uso della tecnologia Uav at-
tualmente sta permettendo a Paesi
come gli Stati Uniti, Israele, Russia
e Regno Unito, ad andare verso si-
stemi sofisticati che danno la piena
autonomia di combattimento a delle
macchine telecomandate. L’uso dei
droni, apparsi per la prima volta
nella guerra dei Balcani, è andato
via via aumentando in Afghanistan,
Iraq, Yemen, Somalia e più recente-
mente in Pakistan. Il Comitato ese-
cutivo del Consiglio ecumenico del-
le Chiese, pertanto, ha esortato i
Governi a «rispettare e a riconosce-
re il dovere di proteggere il diritto
alla vita dei loro cittadini e di op-
porsi alla violazione dei diritti uma-
ni», mentre ha invitato la comunità
internazionale a «opporsi alle politi-
che e alle pratiche illegittime».
Nella dichiarazione, inoltre, il
Cec lancia un appello al Governo
degli Stati Uniti affinché garantisca
la giustizia alle vittime di attacchi
con i droni e fornisca un accesso
immediato ed efficace alle procedu-
re di risarcimento e una protezione
adeguata per la riabilitazione delle
vittime degli attacchi.
Lo scorso novembre anche l’arci-
vescovo Silvano Maria Tomasi, Rap-
presentante Permanente della Santa
Sede presso le Nazioni Unite e altre
Organizzazioni internazionali a Gi-
nevra, in occasione dell’incontro an-
nuale degli Stati Parte della Con-
venzione sull’interdizione e limita-
zione dell’uso di alcune armi con-
venzionali che possono produrre ef-
fetti traumatici eccessivi o indiscri-
minati (Ccw), ha espresso preoccu-
pazione sull’utilizzo dei droni. «Ne-
gli ultimi anni — ha dichiarato l’ar-
civescovo — l’uso di droni armati
nei conflitti armati e in altre azioni
ostili internazionali è aumentato in
modo esponenziale. Per alcuni di
coloro che prendono le decisioni, i
fattori sociali, politici, economici e
militari possono anche aver modifi-
cato l’equazione riguardo all’uso dei
droni armati, ma le preoccupazioni
etiche e umanitarie continuano a es-
sere grandi e, di fatto, si sono fatte
più pressanti con l’aumento del loro
impiego».
La Nigeria
e i pregiudizi
anticristiani
ABUJA, 15. «Non dobbiamo essere
fagocitati dalle imposizioni dispo-
tiche di alcuni Governi o di alcu-
ne organizzazioni non governative
che vogliono dettare le tendenze
morali mondiali basate sui loro
valori laicisti». È quanto ha di-
chiarato monsignor Ignatius Ayau
Kaigama, arcivescovo di Jos e pre-
sidente della Conferenza episcopa-
le della Nigeria, durante il semi-
nario di lavoro dei medici e degli
infermieri cattolici.
Il presule — riferisce Fides — ha
sottolineato che spesso le critiche
alla posizione della Chiesa cattoli-
ca su tematiche relative alla difesa
della vita e alla morale sessuale
derivano da posizioni pregiudizia-
li, frutto della scarsa conoscenza
degli insegnamenti cattolici. «La
Chiesa — ha detto — è di frequen-
te giudicata da persone alle quali
non interessa conoscere quello in
cui realmente crede. I pregiudizi
hanno reso ciechi i critici della
Chiesa, per cui molti di loro non
sono in grado di essere obiettivi
sulle tradizioni e sulle credenze
dei cattolici. Senza un discerni-
mento culturale o intellettuale cor-
riamo il rischio di perdere i nostri
valori».
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La pace negata all’Africa, non solo nei due Paesi citati — gli ultimi in ordine di tempo a essere sprofondati nella guerra civile — si traduce in orrori quotidiani su bam- bini e vecchi, donne e uomini. La pace negata è aumento del sottosvi- luppo, furto anche di speranza per il continente dalla popolazione più giovane. Anche nelle ultime ore sono giun- te dai due Paesi notizie sconfortanti e in alcuni casi sconvolgenti. In Sud Sudan non si consolida il cessate il fuoco tra le forze del Governo del presidente Salva Kiir Mayardit e quelle ribelli che fanno riferimento all’ex vice presidente Rijek Machar, mentre degenera di ora in ora la condizione di quasi un milione di sfollati provocati dal conflitto esplo- so due mesi fa. La Repubblica Centroafricana sprofonda in orrori ripetuti, senza che le violenze siano ancora arginate dalle truppe internazionali, quelle della Misca, la missione africana for- te di seimila uomini, e quelle di Pa- rigi che ieri ha inviato altri quattro- cento soldati, portando il suo con- tingente a duemila effettivi. L’Unicef ha denunciato ieri la ferocia abbattu- tasi su decine di bambini decapitati Udienza del Papa al presidente della Repubblica di Cipro Nella mattina di sabato 15 febbraio Papa Francesco ha ricevuto, nel Pa- lazzo apostolico vaticano il presi- dente della Repubblica di Cipro, Nicos Anastasiades, che successiva- mente si è incontrato con l’arcive- scovo Pietro Parolin, segretario di Stato, accompagnato dall’arcivesco- vo Dominique Mamberti, segretario per i Rapporti con gli Stati. Nel corso dei cordiali colloqui, attestanti i buoni rapporti esistenti fra la Santa Sede e la Repubblica di Cipro, sono stati passati in rassegna alcuni argomenti di comune interes- se, quali il ruolo positivo della reli- gione nella società e la tutela del di- ritto alla libertà religiosa. Non si è mancato, inoltre, di rilevare con compiacimento la ripresa dei collo- qui finalizzati a elaborare una solu- zione condivisa per il superamento dell’attuale situazione dell’isola. Si è espressa, infine, preoccupa- zione per i conflitti e l’instabilità politica che interessano la regione del vicino e Medio Oriente, com- portando gravi sofferenze alle po- polazioni civili, con l’auspicio che le comunità cristiane nei vari Paesi possano continuare a dare il loro contributo alla costruzione di un fu- turo di benessere materiale e spiri- tuale. Uomini e donne all’aeroporto di Bangui in attesa della distribuzione del cibo (Afp) Conclusa senza esito la seconda tornata dei colloqui a Ginevra Siria sempre più insanguinata Combattimenti nei sobborghi di Damasco (Reuters) NOSTRE INFORMAZIONI Il Santo Padre ha ricevuto que- sta mattina in udienza: Sua Beatitudine Gregorios III Laham, Patriarca di Antiochia dei Greco-Melkiti (Siria); le Loro Eminenze Reveren- dissime i Signori Cardinali: — Odilo Pedro Scherer, Arci- vescovo di São Paulo (Brasile); — Andrea Cordero Lanza di Montezemolo, Arciprete emeri- to della Basilica Papale di San Paolo fuori le Mura. Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza Sua Eccellenza il Signor Nicos Ana- stasiades, Presidente della Re- pubblica di Cipro, con la Con- sorte, e Seguito. Nomina di Vescovo Ausiliare Il Santo Padre ha nominato Ausiliare del Vicario Apostolico di Reyes (Bolivia) il Reverendo Padre Waldo Rubén Barrinuevo Ramírez, C.Ss.R., già Vicario Provinciale e Parroco, assegnan- dogli la sede titolare vescovile di Vulturara. L’Onu preoccupata per le violenze Migliaia di studenti protestano in Venezuela DAMASCO, 15. Sono finora 48 i mor- ti accertati, compresi tre bambini, e 150 i feriti per l’esplosione, ieri, di un’autobomba contro la moschea del villaggio siriano di Al Yaduda, nella provincia meridionale di Derā, quella dove scoppiò tre anni fa la rivolta armata contro il Governo del presidente Bashar Al Assad. La vettura carica di esplosivo è stata fatta saltare in aria durante la pre- ghiera islamica del venerdì, quando la moschea era particolarmente gre- mita. La strage è avvenuta poche ore dopo la conclusione, senza esito, della seconda tornata negoziale del- la conferenza Ginevra 2. Sempre ie- ri, Valerie Amos, la responsabile dell’Ocha, l’ufficio dell’Onu per il coordinamento degli interventi umanitari, ha lanciato un appello al Consiglio di sicurezza affinché ap- provi una risoluzione che imponga a Damasco di consentire un mag- giore accesso umanitario in Siria. Il vice ministro degli Esteri siriano, Faysal Miqdad, ha risposto parlan- do di alcune affermazioni inaccetta- bili da parte di Amos, la quale a suo giudizio «non riconosce che in Siria c’è il terrorismo e ci sono or- ganizzazioni terroristiche che osta- colano la circolazione delle merci e l’assistenza umanitaria in tante zone del Paese». Una bozza di risoluzio- ne in merito è in preparazione da parte di diversi Paesi, ma la Russia ha già annunciato il veto sostenen- do che il testo mirerebbe ad aprire la strada a operazioni militari con- tro il Governo di Damasco. Sulla questione è intervenuto an- che il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, annunciando nuove iniziative per esercitare pressioni a questo scopo su Damasco. Obama, che ha incontrato ieri in California re Abdullah II bin Hussein di Gior- dania, ha ammesso di non attende- re una soluzione della crisi nel bre- ve termine, ma ha aggiunto che gli Stati Uniti continueranno a riflette- re su come influire sulle strategie delle parti all’interno del Paese. Al tempo stesso, il presidente statuni- tense ha sottolineato l’importanza di sostenere la Giordania nello sfor- zo di assistere i rifugiati siriani. e mutilati, in una guerra civile dive- nuta sempre più aspra da quasi un anno, dopo il colpo di Stato del marzo scorso, quando il presidente François Bozizé fu rovesciato dagli ex ribelli della Seleka. La denuncia ha seguito di poche ore la scoperta nella capitale Bangui di una dozzina di corpi senza vita in una fossa co- mune nei pressi di una caserma che fino a poche settimane fa era servita da base alle milizie della Seleka, ori- ginariamente una coalizione di op- positori di Bozizé senza particolari connotazioni confessionali, ma da tempo formata in maggioranza da combattenti stranieri, in massima parte di matrice fondamentalista islamica, provenienti soprattutto da Sudan e Ciad. Alle violenze della Seleka sono seguite quelle delle mili- zie conosciute come antibalaka (ba- laka significa «machete» in lingua locale sango), contro i musulmani. Di una nuvola oscura di atrocità di massa e pulizia etnica che sovra- sta il Paese, ha parlato ieri il segreta- rio generale dell’Onu, Ban Ki- moon, che porterà martedì prossimo in Consiglio di Sicurezza le sue rac- comandazioni per contenere le vio- lenze e cercare di porre fine alla cri- si. «Linciaggi, mutilazioni, orrendi atti di violenza spargono il terrore: tutti gli abitanti musulmani e cristia- ni, sono colpiti ma di recente ci so- no stati attacchi su vasta scala in cit- tà come Bouali, Boyali, Bossemble dove non è stato possibile inviare ca- schi blu» ha denunciato Ban Ki- moon. CARACAS, 15. Migliaia di studenti universitari hanno partecipato a Caracas a una marcia diretta alla sede dell’Organizzazione degli Stati americani (Osa) per chiedere la liberazione dei loro compagni arrestati. La marcia, dove si sono registrati nuovi scontri, giunge do- po che mercoledì tre persone sono morte e 66 sono rimaste ferite in scontri fra studenti e polizia. Gli studenti hanno diffuso foto e vi- deo delle violenze contro i mani- festanti da parte della polizia e di gruppi armati vicini al Governo. L’alto commissariato delle Na- zioni Unite per i Diritti umani ha espresso la sua preoccupazione per la situazione in Venezuela e ha chiesto al Governo di garantire un’inchiesta imparziale sugli scon- tri di mercoledì scorso a Caracas e di non mettere a repentaglio la li- bertà di manifestare il dissenso e di informare liberamente su quan- to sta avvenendo nel Paese. Rupert Colville, delegato regiona- le dell’agenzia Onu, ha detto che i responsabili delle violenze «de- vono essere processati e condan- nati dopo una inchiesta imparzia- le» e che esiste «preoccupazione per le notizie di attacchi di uomi- ni armati che agiscono con totale impunità contro i manifestanti». Una Chiesa in stato permanente di missione Tra le piaghe dell’uomo di oggi Appello alla comunità internazionale dell’arcivescovo di Bangui L’ombra del genocidio PAGINA 6 Appello dei presuli del Venezuela dopo le sanguinose manifestazioni di protesta Il dialogo è la chiave di volta PAGINA 7 di GUALTIERO BASSETTI U no dei passaggi cruciali del messaggio di Papa France- sco per l’imminente quare- sima è indubbiamente la distinzio- ne tra povertà e miseria. La pover- tà — scrive il vescovo di Roma — è sempre un atteggiamento evangeli- co: è quella di Cristo, che «si è fat- to povero per arricchirci con la sua povertà»; è, in altre parole, il suo modo di amarci, «il suo farsi carne, il suo prendere su di sé le nostre debolezze, i nostri peccati, comuni- candoci la misericordia infinita di Dio». Tutt’altro è invece la miseria, che non coincide con la povertà, e del- la quale secondo il Papa si possono individuare almeno tre diverse ti- pologie: accanto alla miseria mate- riale vi è infatti quella morale a cui si combina, inestricabilmente, la miseria spirituale. Alla privazione materiale si intrecciano dunque sia una mancanza etica sia l’assenza di Dio. Ognuna è in relazione con l’altra. E tutte hanno un deficit di verità, nonostante l’amore sconfina- to di Cristo verso l’uomo. A tale stato di miseria, da sempre, la Chiesa offre il suo servizio «per guarire queste piaghe che deturpa- no il volto dell’umanità» sottolinea il vescovo di Roma. Piaghe di vario genere, che spes- so si trovano in penombra, senza venire alla luce, e che invece evi- denziano la drammatica fragilità, se non addirittura l’imbarbarimento, della società odierna. Richiamo so- lo due fenomeni inquietanti — e ovviamente se ne potrebbero ag- giungere moltissimi — che riguar- dano oggi l’Italia e che possono es- sere, però, facilmente riferiti al mondo intero. Innanzi tutto, l’or- mai endemica disoccupazione gio- vanile: secondo l’Istat, ci sarebbero più di due milioni di giovani, so- prattutto donne, che non lavorano e non studiano. Ed è il dato peg- giore dal 1977 a oggi. In secondo luogo, la ludopatia, cioè il gioco d’azzardo patologico, che riguarde- rebbe addirittura un milione e mezzo di italiani, i quali negli ulti- mi sei anni vi avrebbero dilapidato l’enorme cifra di oltre duecento mi- liardi di euro. Questi dati non sono solo nume- ri in mano a economisti o psicolo- gi. Sono spie di un disagio e di un malessere profondi. Segnali inequi- vocabili non soltanto di uno sradi- camento esistenziale, ma di uno stato di stagnazione sociale e di immobilismo, la cui causa primaria va rintracciata nell’evidente incrina- tura del patto generazionale tra giovani e adulti. È la lacerazione di quello scambio fondativo tra le ge- nerazioni che è condizione impre- scindibile di sussistenza per la sta- bilità della società. Come non capi- re che dietro queste statistiche ter- ribili si celano, non tanto e non so- lo dati socioeconomici, ma soprat- tutto un drammatico vuoto esisten- ziale e una funesta rottura antropo- logica nel rapporto di scambio tra genitori e figli? In questo contesto il messaggio del Papa rappresenta uno stimolo importantissimo per la Chiesa e per l’intera società contemporanea. Innanzi tutto perché esorta a vivere la quaresima in pienezza, senza ipocrisie e infingimenti, come un cammino autentico di conversione e di purificazione verso il mistero della risurrezione di Cristo. Un messaggio forte per superare i de- serti della mondanità, della religio- sità che si ammanta di buone in- tenzioni, della politica che stru- mentalizza la fede fino a trasfor- marla in un’ideologia e della tenta- zione ricorrente del potere e del carrierismo. Inoltre, al di là di ogni semplifi- cante lettura sociologica, questo messaggio di Papa Francesco è una grande riflessione d’amore sull’uo- mo. Sia per chi risiede al centro del mondo, nell’agio e nel benesse- re, ma ha perso l’anelito a guardare verso il cielo e nel profondo nel proprio cuore. Sia per chi vive nel- le periferie, nelle villas miserias o nelle banlieues, nei ranchitos o negli slums, a cui manca tutto, che ha smarrito ogni speranza e che non conosce — e forse non ha mai co- nosciuto — la gioia del Vangelo. A questo uomo sofferente, così appa- rentemente diverso ma anche così drammaticamente simile, la Chiesa oggi non può che donarsi total- mente, in uno «stato permanente di missione».
  • 2. L’OSSERVATORE ROMANOpagina 2 domenica 16 febbraio 2014 L’OSSERVATORE ROMANO GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt 00120 Città del Vaticano ornet@ossrom.va http://www.osservatoreromano.va GIOVANNI MARIA VIAN direttore responsabile Carlo Di Cicco vicedirettore Piero Di Domenicantonio caporedattore Gaetano Vallini segretario di redazione TIPOGRAFIA VATICANA EDITRICE L’OSSERVATORE ROMANO don Sergio Pellini S.D.B. direttore generale Segreteria di redazione telefono 06 698 83461, 06 698 84442 fax 06 698 83675 segreteria@ossrom.va Servizio vaticano: vaticano@ossrom.va Servizio internazionale: internazionale@ossrom.va Servizio culturale: cultura@ossrom.va Servizio religioso: religione@ossrom.va Servizio fotografico: telefono 06 698 84797, fax 06 698 84998 photo@ossrom.va www.photo.va Tariffe di abbonamento Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198 Europa: € 410; $ 605 Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665 America Nord, Oceania: € 500; $ 740 Abbonamenti e diffusione (dalle 8 alle 15.30): telefono 06 698 99480, 06 698 99483 fax 06 69885164, 06 698 82818, info@ossrom.va diffusione@ossrom.va Necrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675 Concessionaria di pubblicità Il Sole 24 Ore S.p.A System Comunicazione Pubblicitaria Alfonso Dell’Erario, direttore generale Romano Ruosi, vicedirettore generale Sede legale Via Monte Rosa 91, 20149 Milano telefono 02 30221/3003, fax 02 30223214 segreteriadirezionesystem@ilsole24ore.com Aziende promotrici della diffusione de «L’Osservatore Romano» Intesa San Paolo Ospedale Pediatrico Bambino Gesù Banca Carige Società Cattolica di Assicurazione Credito Valtellinese Mentre sta per scadere l’ultimatum del Governo per lo sgombero degli edifici pubblici occupati Rilasciati in Ucraina i manifestanti arrestati Lunedì visita dell’alto rappresentante per gli Affari esteri e la Politica di sicurezza dell’Ue Ancora proteste in Bosnia ed Erzegovina SARAJEVO, 15. Alcune centinaia di per- sone manifestano anche oggi a Saraje- vo, davanti alla sede della presidenza bosniaca, dove il traffico è bloccato, ma senza incidenti di rilievo. Si tratta per lo più di operai di aziende locali, privatizzate e poi fallite o ridotte sull’orlo del fallimento. Come riferiscono i media nella ca- pitale, per lunedì prossimo è atteso l’arrivo a Sarajevo dell’alto rappresen- tante per gli Affari esteri e la Politica di sicurezza dell’Unione europea, Catherine Ashton, e del commissario Ue all’Allargamento, Štefan Füle, in- tenzionati a mediare nel duro braccio di ferro fra politici e manifestanti, che chiedono le dimissioni in blocco dell’intero Governo della Federazione croato-musulmana, una delle due enti- tà che, con la Republika Srpska (enti- tà a maggioranza serba), compongono la Bosnia ed Erzegovina. La scintilla che ha scatenato le proteste di piazza è stata il fallimento di ben cinque fab- briche a Tuzla, un tempo principale polo industriale del Paese balcanico. Intanto, il consiglio cantonale di Tuzla ha approvato all’unanimità l’abolizione della normativa di legge, diffusa in tutto il Paese, secondo cui i parlamentari e i funzionari percepi- scono lo stipendio per un anno intero dopo la scadenza del mandato. Offensiva dell’esercito congolese contro la milizia ugandese Adf-Nalu Nuovi e sanguinosi combattimenti in Nord Kivu Nessuna alleanza delle forze d’opposizione in Costa d’Avorio YAMOUSSOUKRO, 15. Non c’è stata l’alleanza tra le diverse forze politi- che d’opposizione in Costa d’Avorio annunciata per questa settimana dal Fronte popolare ivoriano (Fpi), il partito dell’ex presidente Laurent Gbagbo. Si è infatti concluso ieri con un nulla di fatto il quarto in- contro tra la direzione dell’Fpi e i vertici di una decina di altre forma- zioni politiche di opposizione. Ne- gli ultimi mesi si sono moltiplicati i contatti tra il leader dell’Fpi, Pascal Affi Nguessan, e gli altri partiti mi- nori con l’intento di coalizzarsi con- tro il presidente Alassane Ouattara. Diversi osservatori locali avevano definito poco chiare le motivazioni e i criteri all’origine del tentativo dell’Fpi di unificare l’opposizione. Questa è attualmente è divisa in due blocchi: da una parte appunto l’Fpi e dall’altra 11 gruppi minori riuniti in un organismo chiamato Quadro permanente di dialogo di- retto, cinque dei quali hanno rifiuta- to un’alleanza organica con l’Fpi. Quest’ultimo, comunque, ha riallac- ciato di recente un dialogo diretto con il Governo dopo mesi di tensio- ni, sulla scia del rigurgito di guerra civile, costato almeno tremila morti, seguito tra l’autunno 2010 e la pri- mavera 2011 al rifiuto di Gbagbo di riconoscere la vittoria di Ouattara nelle presidenziali. Rapporti di esperti ne suggeriscono la proroga L’Onu valuta l’embargo sulle armi in Somalia Confermati i finanziamenti dell’Fmi alla Guinea NEW YORk, 15. Il Fondo mone- tario internazionale (Fmi) ha an- nunciato ieri lo sblocco di una nuova rata di finanziamenti alla Guinea. L’Fmi definisce soddi- sfacenti i risultati finora ottenuti nell’ambito del suo programma di aiuto finanziario avviato un anno fa. Questo nonostante la crisi sociale e politica nel Paese africano, che ha avuto ripercus- sioni pesanti sul piano economi- co, in un Paese già dal reddito medio bassissimo, di appena un dollaro al giorno per più della metà della popolazione. Un co- municato dell’Fmi ricorda infatti che l’economia della Guinea ha attraversato un periodo difficile, riflettendo la situazione sociale e politica e una forte contrazione degli investimenti nel settore mi- nerario. Secondo l’Fmi, la cre- scita economica della Guinea è stata nel 2013 del 2,5 per cento, contro il 4,5 per cento previsto. Il comunicato sottolinea però che l’inflazione è molto diminui- ta, pur restando oltre il 10 per cento. La cifra comunicata dal Fondo monetario internazionale per questa nuova rata è di 28,2 milioni di dollari. Il totale previ- sto, al termine del programma triennale stabilito dall’Fmi, è di 112,8 milioni di dollari. A causa del deterioramento della situazione politica I caschi blu restano in Burundi NEW YORK, 15. Il Consiglio di si- curezza delle Nazioni Unite si ap- presta a discutere sull’eventuale ri- mozione dell’embargo sulle armi in Somalia, sollecitata dal Governo di Mogadiscio, che la ritiene indi- spensabile per garantire la sicurez- za. Poco meno di un anno fa, nel marzo 2013, il Consiglio di sicurez- za aveva allentato l’embargo, ap- punto per un anno, per consentire di mettere l’esercito somalo in con- dizione di ristabilire l’autorita go- vernativa nelle zone dove sono tut- tora attivi i ribelli islamici di al Shabaab. L’embargo era stato im- posto dalla comunità internaziona- le fin dal 1992, quando con la ca- duta del dittatore Mohamed Siad Barre era incominciato il lungo pe- riodo di guerra civile in Somalia che, con diverse fasi e intensità va- riabile, si protrae dunque da oltre un ventennio e che non può dirsi ancora concluso. Una conferma della decisione del Consiglio di sicurezza di allen- tare l’embargo era data per quasi certa da molti osservatori fino a pochi giorni fa. Ieri, però, l’agen- zia di Stampa France Presse ha da- to notizia di un rapporto conse- gnato da esperti dell’Onu che sug- gerisce di agire in direzione oppo- sta. Nel rapporto, del quale la France Presse è entrata in possesso, si afferma infatti che l’allentamento dell’embargo ha prodotto come primo risultato un aumento del traffico d’armi in Somalia, a causa di quelli che vengono definiti abusi sistematici da parte dei diversi clan somali. Già un anno fa, diverse or- ganizzazioni internazionali per la difesa dei diritti umani avevano de- nunciato tale pericolo, nonostante le assicurazioni del Governo di Mogadiscio che le armi non sareb- bero finite in mani sbagliate. Proteste di manifestanti a Sarajevo (Reuters) Soldati dell’esercito congolese (Reuters) KIEV, 15. Tutti i 234 manifestanti an- tigovernativi detenuti nelle ultime settimane in Ucraina sono stati scar- cerati. Ma la tensione resta alta a Kiev: l’opposizione che da giorni picchetta molti edifici pubblici non è soddisfatta. Perché questo passag- gio — argomentano i manifestanti — non significa ancora che tutti siano liberi: non pochi restano infatti ai domiciliari, e le inchieste della giu- stizia ucraina pendono sulle loro te- ste come spade di Damocle pronte a trafiggerli se i palazzi occupati non saranno sgomberati entro lunedì prossimo, giorno in cui scade una sorta di ultimatum lanciato dal Go- verno per l’applicazione definitiva della contestata legge d’amnistia. La mossa delle autorità — annun- ciata ieri dal procuratore generale, Viktor Pshonka — mira comunque a stemperare le tensioni in un Paese che rischia di sprofondare nel bara- tro della guerra civile. Uno spettro che sta logorando la Repubblica ex sovietica da ormai quasi tre mesi. Rostislav Pavlenko, un deputato dell’opposizione, ha accusato le au- torità di aver solo «cambiato le mi- sure restrittive» sottolineando che molte «persone sono state scarcera- te, ma sono agli arresti domiciliari, e questo significa che i loro diritti so- no limitati e che le inchieste penali continuano a pendere sopra le loro teste. Questa non è un’amnistia ve- ra, non è la risposta alle richieste dell’opposizione». Del resto, l’amni- stia non è ancora stata applicata for- malmente, anche se il procuratore generale Pshonka ha assicurato che se i manifestanti libereranno le stra- de e gli edifici come previsto dalle condizioni poste dal testo approvato in Parlamento dalla maggioranza, le inchieste contro di loro saranno chiuse nel giro di un mese. L’opposizione comunque conti- nua a premere sul Governo e ha già annunciato l’ennesima manifestazio- ne di massa per domani. Nel frattempo però i manifestanti si sono detti disposti a sbloccare in parte e riaprire al traffico via Grushevski: la strada di Kiev che porta ai palazzi del potere e dove almeno quattro persone hanno per- so la vita nei disordini delle settima- ne scorse. La crisi ucraina continua ad avere pesanti ripercussioni anche nei rap- porti tra il Cremlino e l’Occidente. Mosca, che è critica nei confronti dell’Unione europea, non appare tuttavia a sua volta esente dal tenta- tivo di riportare Kiev sotto la pro- pria influenza, e negli ultimi mesi ha fatto di tutto per scongiurare — finora con successo — la firma di un accordo di associazione tra Ucraina e Ue. Ignorando apparentemente i rimproveri di Mosca, la cancelliera tedesca, Angela Merkel, riceverà martedì prossimo a Berlino due dei leader dell’opposizione di Kiev, Vi- tali Klitschko e Arseni Iatseniuk, per discutere della situazione nel Paese. Lasciando escluso — come spesso accade — solo il capo del partito ultranazionalista Svoboda, Oleg Tiaghnibok. BUJUMBURA, 15. A causa del deterio- ramento della situazione politica e dell’instabilità nel Burundi, il Consi- glio di sicurezza dell’Onu ha proro- gato fino al 31 dicembre il mandato della sua missione politica nel Paese africano, in scadenza oggi. I 15 Stati membri dell’organismo delle Nazioni Unite hanno inoltre dato il via libera a una missione di osservazione elettorale, incaricata di monitorare organizzazione, svolgi- mento e scrutinio delle elezioni ge- nerali del 2015. Il voto è considerato dagli analisti un test cruciale per la stabilità e medio e lungo termine. Nel testo approvato dal Consiglio vengono evidenziati i progressi im- portanti che hanno permesso al Pae- se di superare le grandi sfide del do- poguerra, ma anche dinamiche poli- tiche negative che potrebbero vanifi- care le conquiste ottenute. Al centro dell’aspro contenzioso politico ci sono la recente riforma agraria, la revisione della Costituzio- ne e la possibilità di un terzo man- dato per il presidente, Pierre Nkurunziza, in carica dal 2005. Gli esperti dell’Onu hanno altresì avvertito che la scena politica nel Paese dei Grandi Laghi è polarizza- ta tra il Governo, «che utilizza la sua maggioranza in Parlamento per varare leggi che restringono lo spa- zio politico», e le «minacce dell’op- posizione» nei confronti dell’Esecu- tivo. Minimizzando i problemi, per mesi il Governo di Bujumbura si è fermamente opposto al rinnovo del- la missione Onu, premendo, invece, per un suo ritiro in tempi stretti. Frattanto, Prosper Bazombanza, esponente di spicco del principale partito di opposizione tutsi Uprona, è stato eletto dal Parlamento bica- merale come nuovo primo vice pre- sidente. Ha ottenuto 82 voti su 84. L’elezione di Bazombanza — già go- vernatore della provincia centrale di Mwaro dal 2002 al 2005 — è stata poi confermata dalla maggioranza assoluta dei 33 senatori. Dimostranti antigovernativi in piazza a Kiev (Reuters) KINSHASA, 15. Almeno 230 ribelli ugandesi delle Forze alleate demo- cratiche - Esercito nazionale per la liberazione dell’Uganda (Adf-Nalu) sono stati uccisi dall’esercito congo- lese in Nord Kivu. Il bilancio dell’operazione Sokola (pulire in lingua locale), lanciata lo scorso 16 gennaio e tuttora in corso, è stato comunicato dal Governo di Kinsha- sa, secondo il quale nell’operazione, ancora in corso, hanno perso la vita 22 soldati e altri 68 sono stati feriti. La fuga dei miliziani delle Adf- Nalu nella confinante provincia Orientale congolese ha rallentato l’andamento dell’operazione. Tutta- via, l’esercito ha sostenuto ieri di aver ripreso, con gli ultimi e sangui- nosi combattimenti, il controllo di tutti i grandi bastioni della ribellio- ne ugandese nel territorio di Beni. «Da quando è cominciata l’opera- zione, possiamo dire che siamo già arrivati ai tre quarti del lavoro. Ab- biano ripreso con successo Nadwi, Mwalika, Chuchubo, Makoyova I e II» ha detto a Radio Okapi, l’emit- tente della Monusco, la missione dell’Onu, il colonnello Olivier Hamuli, il portavoce dell’esercito in Nord Kivu. Secondo Hamuli, que- sto dovrebbe consentire di riaprire in tempi brevi la strada che ricolle- ga Mbau a Kamango, zona che sarà successivamente rastrellata dai mili- tari. Dopo la sconfitta militare della ribellione interna del Movimento del 23 marzo, le Adf-Nalu sono in cima alla lista dei gruppi armati da sradicare dal Nord Kivu, insieme con gli hutu rwandesi delle Forze di liberazione del Rwanda, riparati in territorio congolese dopo il genoci- dio dei tutsi nel Paese confinante nel 1994. Sempre ieri, la Monusco ha co- municato la scoperta in tre villaggi della zona di fosse comuni con cor- pi che riportano segni di machete. Un’inchiesta è stata aperta per identificare il gruppo responsabile dei massacri. Fonti locali della so- cietà civile hanno inoltre denuncia- to rapimenti, attacchi ai danni dei civili, saccheggi di villaggi.
  • 3. L’OSSERVATORE ROMANOdomenica 16 febbraio 2014 pagina 3 Anche se resta lontana la prospettiva di un incontro dei due presidenti Segnali di disgelo tra Cina e Taiwan PECHINO, 15. Il segretario di Sta- to americano, John Kerry, ha de- finito ieri costruttivo l’incontro che ha avuto a Pechino con il presidente cinese, Xi Jinping. Si è trattato, ha affermato Kerry, di discussioni «molto costruttive, molto positive» che hanno con- sentito di «esaminare nel detta- glio alcune sfide poste dalla Co- rea del Nord». Il capo della diplomazia di Washington ha sollecitato Pechi- no a non minacciare la stabilità della regione collaudando in mo- do unilaterale la nuova zona di difesa aerea sul Mar della Cina orientale. L’area, infatti, si esten- de sopra le isole contese con il Giappone e, pur non affermando- ne formalmente la sovranità, le autorità cinesi hanno previsto che gli aerei che la sorvolano si iden- tifichino e mantengano costante- mente le comunicazioni con Pe- chino. «Abbiamo messo in chiaro — ha spiegato Kerry — che un’ini- ziativa unilaterale, non annuncia- ta e non graduale potrebbe costi- tuire una sfida ai popoli di quella regione e, in ogni caso, alla stabi- lità dell’area». Dal canto suo, Xi Jinping ha promesso l’impegno di Pechino per costruire un nuovo modello di relazioni bilaterali. «La Cina — ha detto il presidente cinese — è fermamente impegnata a costruire un nuovo modello delle relazioni bilaterali insieme alla parte statu- nitense e continuerà a rafforzare il dialogo, aumentare la fiducia reci- proca e la cooperazione e gestire correttamente le differenze nel nuovo anno, in modo da andare avanti con lo sviluppo sano e du- raturo dei legami». Costruttivi i colloqui di Kerry a Pechino I risicoltori thailandesi pronti a marciare su Bangkok BANGKOK, 15. Rimane molto tesa la situazione a Bangkok, capitale della Thailandia, dove da settima- ne i manifestanti assediano le sedi degli uffici governativi per chie- dere le dimissioni della premier, Yingluck Shinawatra. Ieri è stato sgomberato dalla polizia in modo pacifico il presi- dio della protesta più vicino al palazzo del Governo, rendendo così possibile un ritorno al fun- zionamento della importante struttura pubblica. Da tempo, gli incontri di Gabinetto si tengono nella sede del ministero della Di- fesa, di cui la premier è pure re- sponsabile. Ma altri edifici sono ancora sotto il controllo dei mani- festanti antigovernativi. A rendere più urgente una so- luzione alla crisi, la possibilità che si attui una saldatura tra i di- mostranti e i risicoltori, pronti a scendere in piazza lunedì contro il Governo, accusato di non avere rispettato i tempi di pagamento del riso consegnato ai magazzini statali. Un avvertimento è arriva- to da Daicharn Mata, uno dei leader degli agricoltori di tutte le 77 province del Paese asiatico. Daicharn ha però dichiarato che il movimento degli agricoltori non ha intenti politici. «Se sare- mo pagati torneremo a casa im- mediatamente» ha infatti precisa- to a un’emittente televisiva. Daicharn ha ricordato le condi- zioni drammatiche di molti agri- coltori, costretti a vendere i loro beni e a ricorrere a usurai per po- tersi sfamare. Lunedì, ha confer- mato, i risicoltori cercheranno un incontro con la premier nel tenta- tivo di trovare una soluzione. Insieme con Washington l’Alleanza atlantica critica Kabul per il mancato accordo sulla sicurezza Tensione tra Afghanistan e Nato Verso un’intesa da tre miliardi di dollari tra Egitto e Russia Dimostranti e polizia si scontrano al Cairo Miliziani di Al Qaeda evasi nello Yemen SAN’A, 15. È caccia all’uomo nello Yemen, dove ieri trenta detenuti, tra i quali diciannove fiancheggia- tori di Al Qaeda, sono evasi dal carcere di San’a. La fuga dei de- tenuti è stata provocata dal- l’esplosione di un’autobomba, che ha fatto crollare un muro dell’edi- ficio. Subito dopo, un gruppo di uomini armati ha attaccato le guardie carcerarie, consentendo ai trenta detenuti (sui circa 5.000 che si trovano nella struttura) di evadere. Un portavoce del Gover- no ha detto all’agenzia ufficiale Saba che si tratta di terroristi. Le forze dell’ordine hanno avviato una vasta operazione per cattura- re i fuggiaschi. Il portavoce ha incolpato dell’assalto al carcere i terroristi di Al Qaeda nella peni- sola araba. Durante l’operazione sono rimasti uccisi sette agenti e tre assalitori. Già in ottobre, le forze di sicurezza avevano impe- dito un tentativo di evasione da un altro carcere di San’a. La Libia resta in preda all’instabilità dopo lo spettro di un colpo di Stato Manifestazione di protesta a Tripoli e Bengasi Le delegazioni di Cina e Taiwan al tavolo delle trattative a Nanchino (Reuters) Dimostranti nel centro di Tripoli (Afp) IL CAIRO, 15. Un bambino di dodi- ci anni è rimasto ucciso negli scon- tri nella provincia di Minya, a sud del Cairo, tra forze di sicurezza egiziane e sostenitori del deposto presidente Mohammed Mursi. Lo hanno denunciato testimoni come riporta l’agenzia di stampa Anado- lu. Secondo la ricostruzione, il bambino, Arafa Saudi, era sul bal- cone della sua casa nella città di Samalout quando è stato raggiunto da proiettili a pallini esplosi duran- te le proteste. Una fonte della sicu- rezza, interpellata dalla Anadolu, ha accusato i manifestanti di essere responsabili per la morte del bam- bino, affermando che le forze di si- curezza hanno utilizzato «solo» la- crimogeni per disperdere i dimo- stranti. Altre due persone sono morte negli scontri con la polizia a Damietta. Almeno 23 dimostranti sono stati arrestati. Si è conclusa intanto la visita a Mosca del ministro della Difesa El Sissi, giunto nella capitale russa con il collega degli Esteri, Nabil Fahmy. Una visita che potrebbe se- gnare un nuovo inizio nei rapporti tra l’Egitto e Mosca nel campo del- la cooperazione militare. Durante l’incontro poi, riferiscono fonti di stampa, il presidente russo, Vladi- mir Putin, avrebbe dato il suo ap- poggio alla candidatura del mini- stro della Difesa e capo delle forze armate, il maresciallo Abdel Fattah El Sissi, a nuovo capo dello Stato. Nel corso della missione si è poi discusso dell’acquisto di armi russe da parte del Cairo per una cifra che ammonterebbe a circa 3 miliar- di di dollari. L’acquisto verrebbe finanziato dall’Arabia Saudita e da- gli Emirati Arabi Uniti. Le due parti — secondo quanto ha riferito una fonte governativa di Mosca — hanno già siglato o firmato con- tratti per l’acquisto da parte del Cairo di caccia Mig-29, sistemi di difesa aerea e costiera, elicotteri Mi-35 e armi di minori dimensioni. Attentato terroristico in Bahrein MANAMA, 15. Un poliziotto è morto e un altro è rimasto ferito in seguito a un attentato dina- mitardo avvenuto ieri sera in Bahrein, dove erano in corso manifestazioni di piazza per commemorare il terzo anniversa- rio della rivolta della maggio- ranza sciita contro la monarchia, espressione della minoranza sunnita. Secondo quanto riferito dal ministero dell’Interno, un attentato di matrice terroristica ha colpito i due agenti mentre stavano controllando i dimo- stranti a Dair, villaggio sciita si- tuato pochi chilometri a nord- est della capitale Manama. Qualche ora prima nella località di Dahi era stato attaccato un pullman della polizia, che era ri- masto lievemente danneggiato. Riforma della giustizia in Turchia ANKARA, 15. Il Parlamento turco ha approvato oggi il disegno di legge sulla riforma della giustizia, che mira a rafforzare il controllo della magistratura da parte del Governo. Lo riferisce la Cnn tur- ca. La proposta era stata presen- tata dal partito islamico Akp del primo ministro, Recep Tayyip Erdoğan, che ha la maggioranza assoluta in Parlamento. Il progetto prevede di sottopor- re il Consiglio supremo dei giudi- ci e dei procuratori (il Csm turco) all’autorità del ministro della Giu- stizia. Secondo l’opposizione, la legge mira a insabbiare le inchie- ste aperte per corruzione contro diverse personalità politiche. Intanto, riferisce la stampa tur- ca, i nuovi magistrati cui sono state affidate le inchieste anticor- ruzione dopo la rimozione dei pm titolari delle indagini iniziali, hanno ordinato la rimessa in li- bertà — in attesa del processo — di nove dei 52 accusati arrestati a dicembre. Fra le persone liberate c’è anche l’ex amministratore de- legato della banca pubblica Hal- kbank, Süleyman Aslan, conside- rato dagli inquirenti un elemento importante della rete di corruzio- ne legata al presunto traffico ille- gale di oro fra Turchia e Iran. PECHINO, 15. La Cina ritiene «non appropriato» un incontro tra il presidente, Xi Jinping, e la sua controparte di Taiwan, Ma Ying Jeou, durante il prossimo vertice dell’Apec, che si terrà a ottobre a Pechino. Lo ha dichiarato durante una conferenza stampa a Taipei il ministro taiwanese per i Rap- porti bilaterali, Wang Yu Chi, rientrato in patria dopo i tre giorni di colloqui di Nanchino con la controparte cinese, Zhang Zhijun. Nella giornata di ieri, ha spiegato Wang alla stampa, non si sarebbe arrivati a un accordo per fare incontrare i due presidenti all’Apec. I collo- qui di Nanchino sono stati comunque visti dagli osservatori come un momento dall’alto valore simbolico nei rapporti tra Cina e Taiwan, che già dal 1992 hanno allacciato rapporti informali a li- vello commerciale. Pechino e Taipei si sono dette d’accordo sulla necessità di istituire regolari uffici di comunica- zione tra i due lati dello stretto. L’incontro è il frutto di anni di sforzi per migliorare le relazioni bilaterali, anche se la Cina vede Taiwan come una «regione ribelle da ricongiungere alla madre- patria». Lunedì ci sarà un’altra missione in Cina di Lien Chan, presidente onorario del Kuomintang, il partito nazionalista uscito sconfitto nel 1949 dalla guerra civile contro le forze guidate da Mao Zedong. Lien è anche a capo dell’associazione per lo sviluppo di rapporti pacifici tra Cina e Taiwan. Il presidente onorario del Kuomintang aveva già incontrato il predecessore di Xi, Hu Jintao, nel 2005, e lo stesso Xi a Pechino, lo scorso anno. Da quando nel 2008 è stato eletto presidente a Tiawain il filocinese Ma, sono stati firmati tra le due parti diciannove accordi, che hanno reso possibile, tra l’altro, l’aumento dei voli tra Cina e Taiwan e reso più facili le transazioni bancarie. KABUL, 15. Dopo gli Stati Uniti, la Nato: l’Afghanistan si trova ora a dovere arginare le severe critiche dell’Alleanza atlantica in merito alla decisione di Kabul, presa in questi giorni, di liberare 65 talebani dete- nuti nelle carceri afghane. Si tratta dell’ennesima scarcerazione di mili- ziani nell’arco di qualche settimana. Gli Stati Uniti non hanno certo na- scosto il loro malcontento, sottoli- neando in particolare che i talebani liberati sono «molto pericolosi», avendo colpito in passato, con attac- chi mirati, obiettivi statunitensi. E sulla stessa lunghezza d’onda si è posta la Nato, rilevando che così fa- cendo l’Afghanistan va indietro, va- nificando i progressi fin qui compiu- ti, invece che avanti. Ecco allora che Kabul rischia di trovarsi, nel panorama della politica internazionale, sempre più isolata. Mentre, infatti, si va sempre più estendendo il solco tra Washington e Kabul, anche con la Nato i dissa- pori cominciano a manifestarsi con una certa evidenza. A mettere in evidenza la frattura fra gli intelocutori è stato, e conti- nua a essere, il mancato accordo sul- la sicurezza per il dopo 2014, quan- do sarà stato completato il ritiro del contingente internazionale. Gli Stati Uniti premono perché la firma dell’intesa sia posta subito, mentre il presidente afghano, Hamid Karzai, intende firmare l’accordo solo dopo le presidenziali del prossimo 5 aprile. In questa diatriba recentemente si è inserita anche la Nato: il segretario generale, Anders Fogh Rasmussen, ha sottolineato che l’accordo è nel pieno interesse dell’Afghanistan e, di conseguenza, il rinvio della firma non può che nuocere alla causa di Kabul. Di fronte all’intransigenza di Kar- zai sta dunque prendendo sempre più corpo l’ipotesi di mettere in campo l’opzione zero: ovvero, dopo il 2014 Wasghington non lascerà sul territorio afghano nessun soldato, neppure con compiti logistici. Ver- rebbe quindi accantonato l’originario piano di dispiegare un robusto nu- cleo di militari statunitensi per ren- dere meno traumatico il passaggio delle consegne alle forze locali. E in tutto questo scenario rimane come costante minaccia la presenza talebana. I miliziani, sottolineano gli analisti, potrebbero trarre vantaggio da una situazione così fluida e incer- ta per rilanciare su vasta scala la loro azione destabilizzante fatta di attac- chi e imboscate. E anche oggi sul territorio afghano si sono registrate nuove violenze. Un attentatore suici- da si è lanciato contro un automezzo militare, nel distretto di Khanabad, nella provincia settentrionale di Kunduz: due civili sono morti e altri otto sono rimasti feriti. TRIPOLI, 15. Migliaia di persone han- no manifestato ieri a Tripoli e a Ben- gasi contro il prolungamento del mandato del Congresso generale na- zionale (il Parlamento), scaduto il 7 febbraio. Il Congresso aveva deciso di prolungare il proprio mandato fino a dicembre 2014, nonostante l’opposi- zione di una parte della popolazione che lo accusa di non essere in grado di ristabilire l’ordine e di mettere fine all’anarchia e alla violenza delle mili- zie armate. Il Congresso ha anche adottato una Road Map che prevede elezioni generali alla fine dell’anno se la Commissione costituzionale — che verrà eletta il prossimo 20 febbraio — riuscirà ad adottare un progetto di Costituzione in quattro mesi. Se la Costituente non riuscirà a rispettare tale scadenza, il Congresso organizze- rà subito elezioni presidenziali e legi- slative per un nuovo periodo di tran- sizione di 18 mesi. La Libia si appresta a celebrare il terzo anniversario della rivolta contro Gheddafi. Ma la primavera libica non è mai sbocciata e il Paese resta in pre- da all’instabilità, alle violenze, alle in- filtrazioni qaediste e alle lotte di pote- re. Con lo spettro di un colpo di Sta- to, che ieri ha avvolto la capitale, poi smentito dalle autorità di Tripoli. «La situazione a Tripoli è sotto controllo» ha detto il premier, Ali Zeidan, che ha ordinato l’arresto del generale Haftar. «Non fa più parte dell’eserci- to» ha aggiunto, spiegando che gli era già stato chiesto di ritirarsi in pensione. Si è trattato, ha ribadito il premier libico, del «disperato tentati- vo di alcune persone» di impedire al popolo libico di raggiungere «la li- bertà e la democrazia».
  • 4. L’OSSERVATORE ROMANOpagina 4 domenica 16 febbraio 2014 Nei quadri di El Greco La grande bellezza di ANTONIO CAÑIZARES LLOVERA S ono già iniziate le celebra- zioni per commemorare il quarto centenario della morte di El Greco. Né la persona, né di conseguen- za l’opera di El Greco possono esse- re separate dalla sua dimensione reli- giosa. Tutto in lui riflette la grandez- za di un uomo spirituale con uno speciale tocco divino, capace di per- cepire e di plasmare, nei tratti ampi o nella stesura dei colori della sua singolare pittura, la Suprema Bellez- za, abisso infinito di armonia ine- guagliabile e sovrana. In tutta la sua opera, grande e unica, rispecchiò la parte più profonda della sua anima, immagine del Creatore che la pla- smò con il delicato tocco dei suoi “pennelli divini”. In essa appare sempre lo spirito sublime che ha contemplato e penetrato il Mistero, ne ha colto lo spessore e lo ha espresso con tutta l’elevazione dell’arte che scaturisce dal profondo dell’essere illuminato da questa espe- ignoranti e ai semplici dei misteri più abissali, catechizza, eleva, porta alla contemplazione, alla meraviglia, alla venerazione, alla preghiera nella supplica e nella lode; rende conto della fede e della speranza e mostra la sinfonia e l’armonia della loro bel- lezza, il loro radicamento e la loro espressione nella parte più viva e più genuina dell’essere umano. El Greco lo fece nel suo momento storico, ma la sua arte continua a parlare ancora oggi, con vivissima attualità, come in passato, perché a contare in essa non è la circostanza o il momento effimero che passa presto; esprime anzi realtà imperitu- re e lo fa a partire dal linguaggio della “punta dell’anima”, come di- rebbero i nostri mistici spagnoli. Parla con i pennelli e i colori da quel profondo centro dell’anima do- ve ogni uomo intende se stesso e si sente coinvolto, a qualunque genera- zione appartenga. ni, gli occhi, i volti, il movimento dei corpi dei personaggi, tutto, tutta la sua opera, è espressione di come egli vede l’uomo e il suo dramma: l’uo- mo che soffre e che ama, che vive il dramma dell’esistenza, il suo anelito di felicità, l’uomo caro a Dio, da Lui prio per questo, profondamente an- tropologica, umana, è la chiave fon- damentale per addentrarsi e immer- gersi nella ricchezza e nella grandez- za di El Greco. Le sue opere, come altre nate dalla fede cristiana, sono opere che non sono state spogliate — né si possono spogliare — della loro aura; ancora non sono diventate, e non vogliamo né permettiamo che lo diventino, per le loro qualità esteti- che formali, un puro e semplice og- getto del piacere, dell’erudizione de- gli esperti, della curiosità distratta dei visitatori in mostre e musei. Laddove si trovano il sacro e il credente, la bellezza è il fulgore del- la grazia, e la bellezza ci rimanda a qualcosa di “estraneo”, di cui non possiamo disporre, e che tuttavia ci attrae rasserenandoci e riconciliando- ci. Là, attraverso la bellezza, sgorga una forza che non schiaccia né sog- gioga, ma che sostiene. Là appare una libertà raccolta su uno sfondo da dove sgorga instancabilmente una libertà più grande che ci libera dal centro del nostro essere. Là, soprat- tutto, si fa strada la comunicazione del dono divino e dell’amore che in esso ci comunica; là si apre la spe- ranza e là si delinea il futuro di un’umanità nuova e di un’umanità con un futuro. Nel quarto centenario della morte Pubblichiamo in una nostra traduzione un articolo del cardinale prefetto della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, arcivescovo emerito di Toledo, pubblicato su «La Razón» del 6 febbraio. rienza che trascende lo sguardo su- perficiale, incapace di scalare le alte vette dello spirito. El Greco si è im- merso, con naturalezza e insieme ve- rità, nella profondità del Vangelo, nel mistero dell’incarnazione di Dio fatto uomo per gli uomini e offertosi per loro sulla croce, o nella vittoria sulla morte, così nemica dell’uomo, che la sua opera esprime con tanta Come uomo dalla radicata cristia- nità, e figlio del suo tempo, El Gre- co riflette, indivisibilmente, l’uomo, per il quale mostra una viva e singo- lare passione. Chi non vede questa passione nella Sepoltura del conte di Orgaz, o nella Spoliazione di Cristo, o nell’Apostolato della sacrestia della cattedrale toledana, o nel San Giu- seppe della stessa cattedrale? Le ma- Attraverso l’armonia di forme e colori sgorga una forza che non soggioga ma sostiene E dal centro del nostro essere appare una libertà più grande «Spoliazione di Cristo» (1577-1579 circa) «San Giovanni evangelista e San Francesco» (1600 circa, particolare) Gli insediamenti dei benedettini e degli olivetani nel cuore di Roma tra XV e XVIII secolo Pianificazione territorialedi MARIA ANTONIA NOCCO Nel cuore di Roma tra i Fori e le pendici del Campidoglio si concentrano rilevanti testi- monianze storiche, artistiche e architettoni- che relative a santa Francesca Romana e san Bernardo Tolomei. La religiosa romana ave- va fondato nel 1425 le oblate di Tor de’ Specchi, caratterizzate da un profondo lega- me con i valori della spiritualità benedettina e analogamente Bernardo Tolomei nei primi decenni del IV secolo aveva dato vita, a Sie- na, alla congregazione di Santa Maria di Monte Oliveto od olivetani, diramazione della Regola di san Benedetto da Norcia. L’accentramento in questa parte della città di edifici di culto, alloggi per il clero e sedi di rappresentanza, incluse le innumerevoli e manufatti del XV-XVIII secolo illustranti l’esperienza materiale e spirituale della santa romana è collegato alla basilica e al mona- stero di Santa Francesca Romana al Palati- no, ovvero la sede ufficiale degli olivetani di Bernardo Tolomei a Roma. Anch’essa con- serva importanti testimonianze a commemo- rare le azioni dei tre santi. Le strutture citate sono inoltre da porre in relazione con altre due chiese, al pari delle prime, geograficamente disposte tra il Foro e il Campo Vaccino: il Santissimo Nome di Maria alla Colonna Traiana (anticamente de- dicata a san Bernardo di Chiaravalle) e la ex chiesa di Santa Maria Liberatrice, ora Santa ta Maria de Curte (meglio nota nelle fonti come Cappella di sotto), il complesso con Santa Maria Liberatrice (demolita tra il 1899 ed il 1900 per fare emergere il sottostante edificio di età bizantina di Santa Maria An- tiqua) e, in parte, il Santissimo Nome di Maria nei pressi della Colonna Traiana. Sul portale del monastero che si affaccia lungo la via del Teatro di Marcello, dimora delle oblate che secondo la regola benedetti- na scandivano la loro esistenza tra virtù e carità, tra contemplazione e dedizione al prossimo, si può ammirare un affresco del XVIII secolo, con La Madonna e il Bambino tra i santi Benedetto e Francesca Romana se- guita dall’angelo. L’opera attribuita al pittore tardobarocco Nicolò Ricciolini rievoca, ben- ché in cattivo stato di conservazione, i due santi che unitamente a san Bernardo Tolo- mei rappresentano i pilastri dell’ordine. L’intero edificio di Tor de’ Specchi inglo- bante anche le due chiesette su citate con il consistente repertorio di dipinti, affreschi e testimonianza di Romolo Artioli, del 1900, contribuisce ad avvalorare la proposta di una pianificata convergenza topografica tra le diverse sedi dell’ordine benedettino-olive- tano in Roma. Su tale percorso inoltre si snodava, nei se- coli passati, la processione che accompagna- va l’urna con le spoglie di “Ceccolella” (il vezzeggiativo attribuito a Francesca Roma- na) attraverso il Campidoglio tra le due chiese a lei dedicate: il monastero di Tor de’ Specchi e la basilica di Santa Maria Nova. Tuttavia ciò non significa che in altre aree della città non vi fossero altri luoghi di culto dedicati alla santa, in particolare, anche da mana e ai santi dell’ordine, Bernardo Tolo- mei e Benedetto. In definitiva, un siffatto complesso di ele- menti — gli olivetani con le chiese e i mona- steri appartenenti all’ordine e anche la pre- senza ricorrente di alcuni artisti che gravita- vano intorno a tale apparato, come i pittori Nicolò e Michelangelo Ricciolini, Lorenzo Gramiccia e Sebastiano Ceccarini — si può spiegare attraverso la strategia adottata con- giuntamente da oblate e olivetani per glorifi- care i propri santi fondatori (Benedetto, Francesca Romana e Bernardo Tolomei) an- che attraverso una pianificazione e gestione del territorio: in particolar modo di quella regione, situata nel cuore della Roma antica, che ancora custodiva le tracce dell’esistenza terrena e degli eccezionali insegnamenti del- differenti ordini religiosi: negli anni tra il 1614 ed il 1616, in seguito alla canonizzazio- ne del 1604, i padri trinitari avevano infatti eretto sulla strada Felice, l’attuale via Sistina, un’altra chiesetta in suo onore poi demolita nel 1930 e co-titolata ai santi Giovanni Ne- pomuceno e Venceslao, ma di fatto è parti- colarmente qui, in seno alla città più antica, che si concentravano gli edifici sacri e le opere più rilevanti consacrate alla devota ro- verso un Breve Pontificio della Sacra Con- gregazione dei Riti con decreto di Urbano VIII che ne riconosceva il culto ab immemora- bili, il senese entrava pertanto di diritto, as- sieme a san Benedetto e a santa Francesca Romana, nella pratica di culto e di diffusio- ne iconografica promossa dall’Ordine qual- che tempo prima della canonizzazione della santa romana (29 maggio 1608) e rinvigorita in occasione della beatificazione del senese, la advocata urbis. Nella stessa area inoltre gli olivetani di Santa Ma- ria Nova mettevano in pratica e divulgavano con amorevole religiosità e spirito caritatevole gli am- maestramenti di Bernardo Tolomei. Beatificato il 25 novembre del 1644 attra- Maria Antiqua. L’associazione tra olivetani- benedettini e la chiesa del Santissimo Nome di Maria è certo più contenuta rispetto ai due casi precedenti ma non per questo meno significativa: essa fu eretta difatti nel luogo su cui sorgeva l’antica chiesa e confraternita di Sancti Bernardi ad Columnan Traiani di- strutta nel 1748; è probabile che proprio in tale circostanza i cistercensi, del ramo bene- dettino, avessero stabilito di rievocare l’anti- ca dedicazione, consacrando un altare a Ber- nardo di Chiaravalle, santo titolare cui era particolarmente legato Bernardo Tolomei. Proprio per la profonda devozione verso l’abate cistercense egli avrebbe sostituito il proprio nome di battesimo, Giovanni, in Bernardo. Per ciò che concerne il legame con Santa Maria Liberatrice al Foro Roma- no, va ricordato che sulle rovine dell’antica chiesa di Santa Maria Antiqua era sorto an- ticamente un monastero che ospitava monaci e monache benedettine (soprannominate Santuccie); a esso fu annessa in seguito una piccola cappella dedicata appunto a Maria Liberatrice che conservava anche il titolo dell’originaria chiesa di Santa Maria Anti- qua. Durante gli interventi di demolizione del- la chiesa, le oblate si erano preoccupate del trasporto di marmi e di altri reperti storici nel monastero di Tor de’ Specchi e inoltre, tra il 1748 e il 1749 suor Anna Amidei, presi- dente delle oblate, aveva deciso di adornare con affreschi, stucchi, marmi e con dipinti dei pittori Lorenzo Gramiccia, Sebastiano Ceccarini ed Étienne Parrocel, la cappella consacrata a Francesca Romana in quella chiesa. Le fonti narrano che in entrambe le chiese era intervenuto anche Nicolò Riccioli- ni, il medesimo autore dell’affresco sul por- tale di Tor de’ Specchi: nella prima cappella a sinistra del Santissimo Nome di Maria aveva realizzato la bella tela con L’Apparizio- ne della Vergine a san Bernardo mentre in Santa Maria Liberatrice viene citato in colla- borazione con il padre Michelangelo che, a sua volta, avrebbe altresì licenziato delle opere per il Monastero. Nicolò è inoltre associato a Francesca Ro- mana anche per la ristrutturazione della cap- pella che le era stata dedicata tra il 1611 e il 1612, in seguito alla canonizzazione, in San Bartolomeo all’Isola Tiberina, non lontano da Tor de’ Specchi. Filippo Titi narra che Nicolò aveva restaurato gli affreschi, di esito mediocre, di Antonio Carracci, autore delle scenette raffiguranti episodi della vita della Santa, ed in seguito avrebbe anche dovuto L’accentramento tra i Fori e il Campidoglio di edifici di culto e sedi di rappresentanza è tale da far ipotizzare una programmazione nella disposizione delle diverse strutture amato ed elevato, l’uomo salvato e chiamato a par- tecipare della sua gloria. Nella sua arte si riflet- te bene l’idea che «la gloria di Dio è l’uomo che vive» (sant’Ireneo di Lione). Tutta la sua ope- ra manifesta l’uomo, mo- stra com’è entrato nella profondità dell’umano; ma non come lo vedreb- be il pagano o il mero umanista. C’è una note- vole differenza: è quella che gli dà la visione di fede, che lo porta a guardare con uno sguar- do proprio. Dietro i volti o i corpi, le mani o gli occhi, i co- lori o le pieghe delle ve- sti o il movimento dei corpi, c’è la verità che professa la sua fede al di sopra dell’uomo. Tale fe- de, chiaramente cristiana e cristocentrica e, pro- bellezza e drammaticità in- sieme. Così, con una fede cri- stiana profondamente radi- cata, ben formata e capace di rendere conto della sua verità, El Greco, in tutta la sua opera pittorica, mostra realtà fondamentali della fede e insegna, parla agli pregiate opere d’arte in essi contenute, apparte- nenti all’ordine benedetti- no-olivetano è tale da far ipotizzare un collegamen- to planimetrico program- matico tra le diverse strutture. Se tale conver- genza topografica può apparire dapprima una circostanza del tutto oc- casionale, in realtà essa trova conferma nella ma- trice comune della com- mittenza di oblate e olive- tani, ai quali è possibile far risalire molti degli in- terventi architettonici e artistici nell’area: un vero e proprio quartier genera- le con il monastero e la chiesa di Santa Maria Nova (l’attuale Santa Francesca Romana) da una parte, la fabbrica di Tor de’ Specchi dall’altra con il monastero e le due chiese annesse della San- tissima Annunziata e San- che sarebbe poi stato canonizzato da Benedet- to XVI il 26 aprile del 2009. Nella produzione di immagini che si appron- tavano per la dedicazio- ne di altari, cappelle e chiese appartenenti agli olivetani, la rappresenta- zione di Francesca si as- socia di fatto a quella della Vergine Maria, di san Benedetto e del bea- to Bernardo Tolomei, abituali protettori della comunità religiosa di Monte Oliveto, come si può notare in particola- re nella rappresentazio- ne sul portale di Tor de’ Specchi e anche più dif- fusamente in numerose opere, tra tele e affre- schi, presenti nella chie- sa e nel monastero di Santa Francesca Roma- na che custodisce al suo interno una vera e pro- pria pinacoteca a illu- strare e celebrare le im- prese dei tre campioni dell’ordine. ridecorare ex novo la cappella, ma il progetto non fu mai portato a termine. Nel XVI secolo, con il concorso di nuove se- guaci era nata l’esigenza di affiancare nuove strutture al monastero originario delle oblate; pertanto le religiose ave- vano ottenuto da Bene- detto XIV la chiesa che affacciava su Campo Vaccino, vincolata alla sede di Tor de’ Specchi nel 1550, e anche un ter- reno contiguo su cui le osservanti avrebbero in- nalzato un edificio mo- derno. Da esso si dipar- tivano due strade, la via di San Teodoro e la via della Consolazione, che oltre a collegare Santa Maria Liberatrice (con la nuova struttura) al Colosseo avevano inol- tre la funzione di rac- cordo poiché avrebbero dovuto «unirla alla sua antica sorella, la chiesa di S. F. Romana»; tale Giosuè Meli, «Santa Francesca Romana e l’Angelo» (Roma, chiesa di Santa Francesca Romana, XIX secolo) Antoniazzo Romano, «Storie di Santa Francesca Romana» (Roma, monastero di Tor de’ Specchi, 1468)
  • 5. L’OSSERVATORE ROMANOdomenica 16 febbraio 2014 pagina 5 Cent’anni dopo la pubblicazione di «Dubliners» Quanti luoghi comuni su James Joyce Francesco di Assisi e Ildegarda di Bingen Fiabe per grandi e per piccini La cattura di Adolf Eichmann raccontata ai ragazzi La Storia nella sua complessità di ENRICO REGGIANI P er l’eredità culturale e let- teraria di James Joyce (1882-1941) l’inizio del ter- zo millennio è stato scop- piettante e persino vulca- nico. Lo dimostrano molte circostan- ze inconfutabili. Quando nel 2004 Stephen Joyce, nipote dello scrittore ed erede uni- versale dei diritti d’autore derivati dalle sue opere, cercò inutilmente di impedirne la pubblica lettura duran- te le celebrazioni di ReJoyce Dublin anno, sia che si tratti, ad esempio, della prima rappresentazione teatrale in inglese del Pygmalion di Shaw, dell’uscita dell’antologia imagista cu- rata da Ezra Pound o dell’edizione londinese dei racconti di The Prus- sian Officer and Other Stories. Sorge, tuttavia, spontaneo il se- guente interrogativo: un altro cente- nario saprà anche offrire efficaci oc- casioni di approfondimento e di re- visione rispetto a modalità di ap- proccio inadeguate e ad interpreta- zioni spesso sclerotizzate, ideologiz- zate e, comunque, non più sostenibi- li? Proprio cent’anni fa, infatti, nel 1914, oltre ad alcune puntate di A Portrait of the Artist as a Young Man — che appariranno sulla ri- vista letteraria The Egoist da febbraio di quell’anno, per poi vedere la luce in for- ma di libro nel 1916 — uscì presso l’editore lon- dinese Grant Richards, dopo una sequela appa- rentemente interminabile di quindici rifiuti, Dubliners. Questa raccolta di quindici rac- conti, scritti tra il 1904 ed il 1907, che costituisce con ogni probabilità l’unica e abituale esperienza joyciana dell’italico lettore medio, resta troppo spesso incatenata a una giovanile rimembranza sco- lastica e ad alcuni stereotipi interpretativi solo di rado superati da una più matura fruizione testuale (quella che pare non sfiorare mai Ulysses, la cui lettura è assai di frequente più snobistica- mente sbandierata che pra- ticata). Tra i più duri a mo- rire di tali stereotipi, quelli che dipingono Joyce come ultramodernista nemico del- la tradizione letteraria, co- no “l’anima di quella paralisi parzia- le [hemiplegia] o completa [paralysis] che molti considerano una città” precede qualunque ideologia cosmo- polita, foss’anche solo per “lo spe- ciale odore di corruzione che aleggia sulle mie storie” (come scrisse in al- cune lettere del 1907). Le parole di Joyce vanno ascoltate con rispetto soprattutto — ed è forse questo lo stereotipo interpretativo più resistente e patologicamente reci- divante — perché, se al venticinquen- ne cattolico irlandese James Joyce interessava scrivere «un capitolo del- la storia morale del mio Paese», non bisognerebbe eludere la questione della natura, delle radici e degli oriz- zonti di tale storia morale. Oggi, più in particolare, non se ne dovrebbe trascurare il rapporto — comunque lo si voglia aggettivare — con il cattolicesimo irlandese di quei giorni, possibilmente senza innescare pericolosi corto-circuiti tra ciò che ne dicono lo scrittore, il narratore ed i personaggi, senza interpretarli re- trospettivamente sulla base di quan- to si legge in opere successive e sen- za ricorrere ad armamentari critici ideologizzati e ormai spuntati. Restano, infatti, tuttora da verifi- care con reale acribia ermeneutica sia le matrici cattoliche di Dubliners, sia le loro innumerevoli tracce te- stuali, che Joyce dissemina nella sua rappresentazione della “settima città della Cristianità” e delle quali ogni lettura, anche la più distratta, non può che registrare e apprezzare l’irri- ducibile vitalità: tali sono, ad esem- pio, la sua contraddittoria popola- zione di fedeli e di consacrati; il suo reticolo, moralmente intricato, di chiese, campanili, conventi, scuole, abitazioni; le sue pratiche devozio- nali, liturgiche, ecclesiali ed ecclesia- stiche, talora improbabili ma talvolta sincere. l’anno buono per valorizzare le peculiarità di Dubliners nel recepire il cattolicesimo romano che Joyce conobbe, senza confonderlo con quello odierno (Geert Lernout, 2010), le sue fundamental attitudes to- wards man (William York Tyndall, 1959) e le sue implicazioni in mate- ria di social morality (Lee Oser, 2007). Andrew Gibson nel 2006 e, nell’anno in corso, Enrico Terrino- ni (Attraverso uno spec- chio oscuro. Irlanda e Inghilterra nell’Ulisse di James Joyce, Mantova, Universitas Studio- rum, 2014, pagine 202, euro 14) hanno compiuto, tra gli altri, sforzi apprezzabili per riproporre l’identità irlandese di Joyce co- me fondamento del suo ruolo di intellet- tuale europeo e co- smopolita. Chi scrive auspica che il 2014 possa essere anche 2004, il Parlamento irlandese appro- vò un disegno di legge che lo con- sentiva. Quando il 13 gennaio 2012 venne definitivamente disinnescato questo annoso impedimento col pas- saggio dei capolavori joyciani nel pubblico dominio, l’editoria italiana (ma non solo) non si fece trovare impreparata e sfornò nell’arco di po- chi mesi nuove edizioni apprezzabili (su tutte, la versione dell’Ulisse a cu- ra di Enrico Terrinoni, pubblicata da me individualista restio ai confronti di qualsivoglia comunità, come cosmopoli- ta irridente le proprie radici naziona- li, come ateo nemico di ogni espe- rienza religiosa, e così via. Eppure Joyce esplicitò chiaramen- te in più occasioni ciò che lo mosse nella creazione delle sue quindici stories dublinesi. Lo fece, ad esem- pio, in un celebre passo di una lette- ra all’editore Grant Richards (1906) che offre numerosi antidoti contro i tenaci stereotipi interpretativi di cui si è detto sopra: «La mia intenzione di RITANNA ARMENI La storia di san Francesco e il lu- po si può raccontare ai bambini anche dalla parte del lupo. Lo fa Chiara Frugoni, storica medievista, una vita dedicata alla ricerca su Francesco e Chiara, nello splendi- do volume San Francesco e il lupo. Un’altra storia (Milano, Feltrinelli, 2013, pagine 32, euro 15), con illu- strazioni di Felice Feltracco. Il lupo — racconta — non è cat- tivo, è solo vecchio, malato, è sta- to cacciato perché troppo debole dagli altri lupi più giovani e forti e ha bisogno di mangiare. France- sco lo cerca per parlargli, per con- vincerlo a non fare del male. Per questo il frate vagò tanto nei bo- schi, sotto la neve, finché esausto dell’adulto che pure sta narrando una storia che, in altre forme, già conosceva. L’odore della bontà ge- nera bontà, quello della fratellanza produce fratellanza, quello del- l’amore crea amore. E poi non ci sono cattivi, solo uomini, donne e animali che hanno bisogno di sen- tire l’odore della bontà. Frugoni ha trasformato la storia di Francesco quel tanto che basta per comprenderla meglio, per adattarla a tempi che sembrano re- frattari ai buoni sentimenti. L’ha davvero indirizzata solo ai bambi- ni? Perché ci sono fiabe per bam- bini che è bene che leggano o ri- leggano i grandi. E questa è una di loro. Come lo è la storia di Ildegarda di Bingen, Ildegarda e la ricetta da raccontarle. Elisa è salva, può dire con orgoglio alla maestra: «Non è vero che tutte le donne medievali vivevano nei castelli e trascorrevano il tempo ricamando, o erano serve della gleba o coltiva- vano i campi, c’era anche una mu- sicista famosissima, Ildegarda von Bingen che ha scritto centinaia di inni». Elisa conosce Ildegarda, deve conoscerla a fondo perché altri- menti la monaca non rientrerà nel libro e la storia senza di lei si fer- merà. Per questo entra nel suo mondo fatto di musica, sensibili- tà, cultura, e soprattutto tantissi- ma creatività in tutti i campi della conoscenza. Ildegarda insegna a Elisa che le idee sono dapper- tutto. «Possono nascere — conclu- de felice la bambina — guardando gli amici o la maestra, passeg- giando, sfogliando dei libri. E la mia vita si è riempita di musica! Sento note dappertutto: il para- brezza in movimento suona una canzone, gli insetti in giardino ballano un valzer, la catena della mia bicicletta canta un allegro motivetto. Persino lo sfrigolio delle uova nella padella calda produce dei suoni armoniosi. Ba- sta saperli ascoltare». Basta ascol- tare Ildegarda. Anche chi è adul- to è preso da un inspiegabile en- tusiasmo. di GIULIA GALEOTTI Insegnando la storia a scuola, specie negli anni dell’obbligo, si corre spesso il rischio di presentare fatti, eventi, pas- saggi e snodi in compartimen- ti stagni. Come se, girando la pagina tra un capitolo e l’al- tro, avanzando di anni e attra- versando frontiere, mancassero raccordi saldi, capaci di ri- percorrere la tela che si dipa- na tra l’altro ieri e ieri, tra qui e lì. Per questo è interessante il romanzo per ragazzi di Neal Bascomb, Nazi Hunters (Fi- renze, Giunti, 2014, pagine 220, euro 9,90), che — riper- correndo l’avventurosa cattura di Adolf Eichmann — racconta la Shoah, il problema del ri- torno alla normalità per vinci- tori e vinti, vittime e carnefi- ci, i complessi assetti edificati dalla guerra fredda, i rapporti di opportunità e calcolo tra Paesi, il confine tra memoria e ossessione, tra vendetta e giu- stizia. Sedici anni dopo essere sva- nito nel nulla, Adolf Ei- chmann viene rapito alla fer- mata di un autobus in Argen- tina da un gruppo scelto di agenti segreti. Trasportato di nascosto in Israele, sarà og- getto di uno dei processi più significativi contro criminali nazisti. Bascomb — giornalista e saggista autore del best sel- ler per adulti Hunting Ei- chmann (2009) — racconta qui, a un pubblico di giovanissimi, come tutto ciò sia avvenuto: il sopravvissuto Simon Wiesen- thal riapre il caso Eichmann, un argentino cieco e la figlia adolescente forniscono prezio- se informazioni, un gruppo di agenti segreti — tratteggiati con poche ma efficaci pennel- late — parte da Israele per ef- fettuare il rapimento. Attraverso l’avventuroso ro- manzo storico, il giovane let- tore scopre aspetti meno noti della storia. La psicologia dei nazisti; il destino di molti ge- rarchi a fine guerra, e la com- plicità di tante autorità inter- nazionali nella loro fuga all’estero; il disinteresse dei Paesi sulla caccia; l’impegno di Israele affinché l’Olocausto non venisse dimenticato; la fa- tica che è stata fatta per ricor- dare, e per tramandare. Per fare memoria. si addormentò. E il vecchio lupo lo trovò solo e indifeso sul ghiac- cio. «Gli girò intorno, e l’annusò. Sentì un odore magico, nuovissi- mo. Non somigliava affatto al- l’odore di carne e di sangue che tanto gli piaceva. Il lupo era sor- preso e sbalordito. All’improvviso capì che Francesco non voleva uc- ciderlo, come gli uomini che gli davano la caccia. Capì che France- sco gli avrebbe voluto bene. Si sdraiò accanto a lui e lo riscaldò col suo pelo». Da quel giorno stette insieme al frate, lo seguì dappertutto obbediente e affettuo- so, come un cane. Ma non è solo questo il lieto fi- ne. C’è, infatti, una domanda che il bambino, prima impaurito, poi attento e incantato, fa inevitabil- mente a chi gli narra la favola di san Francesco e il lupo. Se il lupo seguì Francesco perché non pote- va staccarsi dal suo odore, che odore era? Che cosa l’ha convinto a diventare mansueto e affettuoso e a dimenticare la cattiveria e il sangue? «Era l’odore di un uomo buono», spiega il narratore. Il messaggio arriva diritto e cen- tra in pieno il cuore del piccolo, ma inevitabilmente anche quello la sua fortissima immagine di li- bertà e cultura femminile. Di re- cente la lotta accanita di questa donna mistica, musicista, esperta di medicina alternativa, infaticabi- le organizzatrice la cui vita è dedi- cata alla realizzazione piena del disegno di Dio, è stata raccontata da Anna Lise Marstrand-Jugersen, La sognatrice (Sonzogno, 2012). E tuttavia il libro di Daniela Maniscalco aggiunge qualcosa di fresco e di inaspettato anche per chi quella storia la conosce e per Ildegarda nutre da tempo una se- greta devozione. La piccola Elisa si chiede: «Ma è proprio vero che la storia della musica è popolata solo da musici- sti uomini?». È delusa e arrabbiata perché lei vorrebbe fare la musici- sta e capisce che, se fino ad allora non c’è riuscita nessuna donna, è difficile che ci riesca lei. Poi incontra Ildegarda. La sco- pre in un misterioso e magico li- bro medievale che la nonna le ave- va proibito aprire e di sfogliare. Lei, invece, non sa resistere alla tentazione, disobbedisce e dal li- bro emerge la monaca con un abi- to lungo fino ai piedi, le scarpe a punta e tante cose nuove e strane della creatività (Paler- mo, Rueballu, 2013, pagine 80, euro 16,50) di Daniela Maniscal- co, illustrata da Chia- ra Carrer in cui si rac- conta ai più piccoli di una piccola monaca che entrò in convento a soli otto anni, sape- va prevedere il futuro, fu una straordinaria musicista e inventò persino una lingua per comunicare con le consorelle. Su Ildegarda sono state scritte molte bio- grafie e molti impor- tanti saggi per adulti. Al suo successo in li- breria, ha contribuito certamente la decisio- ne di Benedetto XVI di nominarla dottore della Chiesa, oltre che Ildegarda disegnata da Chiara Carrer Il lupo in un disegno di Felice Feltracco Secondo un membro della presidenza dello Yad Vashem Palatucci resta Giusto tra le Nazioni David Cassuto, della presidenza dello Yad Vashem di Gerusalemme, replica alle accuse del Primo Levi Center di New York e si dice «convinto piena- mente dell’eroismo e della grandezza del questore di Fiume, Giovanni Pala- tucci, e anche dello zio vescovo che lo aiutò a salvare gli ebrei». È quanto si legge in un articolo di Angelo Picariello pubblicato su «Avvenire» del 15 febbraio. «Non c’è nessuna novità, o presunta tale, che giustifichi un proces- so di revisione del riconoscimento di “Giusto fra le Nazioni” conferito a Giovanni Palatucci il 12 settembre 1990» afferma Cassuto in una lettera a Roberto Malini, storico e documentarista della Shoah, che gli aveva comu- nicato una sua intervista sul caso Palatucci rilasciata al portale Lo Schermo. Domande e risposte «convincono pienamente dell’eroismo e della grandezza dei Palatucci» commenta il membro della presidenza dello Yad Vashem, che associa nel giudizio la figura dello zio, monsignor Giuseppe Maria Palatuc- ci, vescovo di Campagna, in provincia di Salerno, il quale partecipò all’ope- ra di salvataggio «attraverso l’assistenza agli ebrei trattenuti nel campo di in- ternamento del suo paese». La raccolta di racconti uscì presso l’editore londinese Grant Richards Ma solo dopo una sequenza interminabile di ben quindici rifiuti Newton Compton) e altre più scon- tate e talora semplicemente rifritte. Altrettanto, ovviamente, fecero le ca- se editrici straniere con una miriade di iniziative di vario profilo e livello, tra le quali spicca nel 2013 la pubbli- cazione di Finn’s Hotel, dieci inedite little epics apparse per i raffinatissimi tipi di Ithys Press con un’introdu- zione dell’autorevolissimo Seamus Deane, ora tra i prestigiosi ispiratori del Keough-Naughton institute for Irish Studies presso la statunitense e cattolica University of Notre Dame. Il 2014 sarà un ennesimo annus mirabilis nell’esperienza contempora- nea dell’eredità joyciana. Non c’è partita con il 1914 joyciano per altri pur illuminanti eventi della cultura letteraria anglofona in quello stesso coeurianamente il suo “paradigma della condizione carnale e finita dell’uomo”, vanno ascoltate con cura e rispetto per almeno tre ragioni: perché, se si tratta di un capitolo, vuol dire che esiste un libro che lo contiene insieme alla tradizione di altre analoghe rappresentazioni lette- rarie; perché, se tale capitolo riguar- da “il mio Paese”, significa che è da- ta una comunità nazionale della quale vale la pena occuparsi e della quale Joyce si occuperà instancabil- mente a modo suo, per tutta la sua vita e lungo tutta la sua parabola creativa; perché, se Dublino è la si- neddoche urbana prescelta da Joyce per rappresentare il “mio Paese”, “nel mio specchio minuziosamente lucidato” (lettera, 1906), allora persi- era scrivere un capitolo della storia morale del mio Paese: ho scelto Dublino come scena perché quella città mi sembrava il centro del- la paralisi». Visto che in lettera- tura le parole sono pie- tre e che anche quelle di Joyce proiettano ri- James Joyce
  • 6. L’OSSERVATORE ROMANOpagina 6 domenica 16 febbraio 2014 Ultimata dopo trent’anni la traduzione del testo sacro in lingua locale La Bibbia che parla al Benin di JEAN-BAPTISTE SOUROU Ci sono voluti ben trent’anni, tanta pazienza e molta perseveranza per vedere la Bibbia tradotta anche nel- la lingua fon. Il fon, proveniente principalmente dal centro-sud del Benin, oltre al francese che è la lin- gua ufficiale, è uno degli idiomi più popolari e più usati nel Paese africa- no, anche perché molti commercian- ti e lavoratori del sud che emigrano verso il nord portano con sé la loro lingua e la loro cultura. Senza dire, poi, che la maggior parte delle isti- tuzioni statali di formazione, di educazione, di economia, di svilup- po e di cura fino a poco tempo fa avevano base nel sud del Paese, do- ve appunto domina il fon, per cui prima o poi, anche gli abitanti del nord erano in qualche modo “co- stretti” a impararlo. Il fon è anche la lingua liturgica in uso nelle diocesi di Cotonou e di Abomey. Per cui la si potrebbe dav- vero considerare come la seconda lingua per importanza dopo il fran- cese. E visto che pochi parlano e leggono il francese, una traduzione in fon dei testi biblici era quanto mai attesa. Si capisce allora la gioia e l’entu- siasmo delle migliaia di fedeli, reli- giose e religiosi, sacerdoti, autorità civili e militari venuti domenica 2 febbraio, solennità della Presenta- zione del Signore, nel palazzetto dello sport di Cotonou, dovè è stata presentata la prima versione della Bibbia in fon interamente tradotta in Benin da una squadra di biblisti di tutte le confessioni cristiane. In- fatti, l’idea è partita dall’Alliance Bi- blique du Bénin che aveva già tra- dotto i testi sacri in altre lingue lo- cali. Essa ha allora voluto unire tut- te le Chiese e le comunità ecclesiali per avere una versione completa della Bibbia in fon, una versione in- terconfessionale. Secondo il progetto, ogni Chiesa e comunità ecclesiale doveva dare il suo contributo. Ma dopo cinque an- ni, niente o quasi nulla era stato fat- to. Gli incontri si sono moltiplicati, in seguito. Ci è voluto allora corag- gio, tanta motivazione e aiuto reci- proco per superare le difficoltà. Gli scogli principali erano le espressioni proprie a ciascuna Chiesa e comuni- tà, e il tempo necessario per la con- cessione degli imprimatur. Ma dopo trent’anni, la Bibbia in fon è una realtà. E tra i membri dell’équipe dei traduttori molti hanno confidato che «è stato bello aver lavorato con i fratelli delle altre Chiese». Il momento più bello, della ceri- monia di domenica 2 febbraio è sta- to quando i volumi sono stati sco- perti dal rappresentante della Socie- tà bibblica olandese, assieme al pa- store Daniel Hounzandji, direttore dell’Alleanza biblica del Benin, e da monsignor Clet Feliho, vescovo di Kandi e presidente della Commis- sione episcopale per l’ecumenismo. La Bibbia in fon è stata realizzata in lingua corrente, con un vocabola- rio e una grammatica semplici per facilitarne l’uso ai fedeli. Essa esiste in due versioni: una con i libri deu- terocanonici e l’altra senza questi. «È una grande sfida che dovevamo affrontare. È una questione d’onore, di maturità per la Chiesa in Benin. La Parola ci è stata portata cento- cinquanta anni fa e non siamo stati capaci fin d’ora di tradurla nella no- stra lingua. Non l’avevamo allora ancora ben accolta, al punto di ap- propiarcene, di tradurla nella nostra lingua», ha dichiarato il coordinato- re dei lavori di traduzione per la Chiesa cattolica, padre Victor Noël Sogni. L’Alleanza biblica in Benin lavora per rendere la Parola di Dio accessi- bile a tutti, traducendola nelle lin- gue locali più popolari e si impegna anche a organizzare delle vere e proprie campagne di alfabetizzazio- ne perché se la gente non sa leggere e scrivere, non serve a niente tradur- re i testi sacri. Appello alla comunità internazionale dell’arcivescovo di Bangui Nella Repubblica Centroafricana l’ombra del genocidio BANGUI, 15. Nella Repubblica Cen- troafricana il rischio che si arrivi al genocidio è imminente. Ne è ferma- mente convinto l’arcivescovo di Bangui, monsignor Dieudonné Nza- palainga, che in diverse occasioni ha lanciato un appello alla comunità internazionale e alle Nazioni Unite affinché si intervenga al più presto per fermare l’ondata di violenza nel Paese africano. «Con appena quattro-cinquemila soldati — ha spiegato il presule alla Fondazione di diritto pontificio, Aiuto alla Chiesa che Soffre (Acs) — è impossibile restaurare la pace nell’intero Paese. Per proteggere la popolazione servono più uomini. La crisi ha ormai raggiunto proporzioni drammatiche e in Centroafrica po- trebbero regnare definitivamente il caos, l’anarchia e il disordine to- tale». Monsignor Nzapalainga ha rac- contato di un suo recente viaggio a Bodango, un piccolo villaggio a 190 chilometri dalla capitale Bangui. Ar- rivato sul luogo, il presule si è reso conto che erano scomparsi circa duecento musulmani che abitavano il piccolo centro e ha chiesto ad al- cuni militanti anti-balaka cosa fosse successo. «Mi hanno risposto che erano stati cacciati e si erano trasfe- riti nella capitale. Ma come poteva- no camminare per quasi duecento chilometri con donne, anziani e bambini? È chiaro che è andata di- versamente». L’arcivescovo ha sotto- lineato come, a differenza di quanto diffuso dai media internazionali, gli anti-balaka — che in lingua sango si- gnifica anti-machete — non sono mi- lizie cristiane. Un’estraneità più vol- te affermata dall’episcopato locale e ribadita nei giorni scorsi anche dal vescovo di Bangassou, monsignor Juan José Aguirre Muñoz. «Nessu- na milizia cristiana — ha dichiarato il presule — sta uccidendo i musul- mani in Centroafrica. Gli anti-bala- ka sono dei cittadini traumatizzati ed esaltati, che dopo aver subito per un anno violenze e soprusi da parte della Seleka, hanno deciso di vendi- carsi riversando il proprio odio con- tro la coalizione e contro i centrafri- cani di fede islamica che l’hanno so- stenuta». Intanto la popolazione continua a vivere nel terrore e ad assistere a scene che, ha sottolineato monsi- gnor Nzapalainga, «ricordano il ge- nocidio in Rwanda». L’arcivescovo si riferisce a quanto accaduto a Bohong, il piccolo villaggio cristia- no a quindici chilometri da Bouar attaccato dalla Seleka l’estate scorsa. «Persone arse vive, case bruciate, te- schi e ossa abbandonati tra le cene- ri. Avevo visto simili crudeltà — ha raccontato — solo nei documentari sull’olocausto rwandese. Oggi, il diavolo vive nel nostro Paese e se nessuno tratterrà la sua mano, il maligno riuscirà a raggiungere il suo obiettivo: uccidere e distrugge- re». La presenza dei missionari è uno dei pochi aiuti rimasti ai cen- trafricani. «Loro hanno scelto di ri- manere, non sono stati costretti. E nel coraggio di questi religiosi i cen- trafricani possono intravedere una luce nel buio della notte. Perché se i missionari sono ancora in Cen- trafrica, vuol dire che c’è ancora speranza». Secondo padre Federico Trinche- ro, missionario carmelitano scalzo, superiore e maestro degli studenti nel convento Notre Dame du Mont Carmel di Bangui, «la follia della guerra non ha risparmiato neppure le famiglie dei miei confratelli: a qualcuno è stato ucciso un parente, a qualcun altro è stata bruciata o saccheggiata la casa. Se i seleka, e chi li ha sostenuti, sono indubbia- mente all’origine della situazione in cui ci troviamo — ha dichiarato a Fi- des — gli anti-balaka hanno dimo- strato una violenza pari, se non su- periore, a chi li ha preceduti e pro- vocati. Gli anti-balaka, che non so- no musulmani, non possono dirsi cristiani. Se lo erano, le loro azioni dicono il contrario. Più volte i ve- scovi hanno denunciato questa vio- lenta reazione popolare, che i media hanno frettolosamente interpretato come cristiana. Ma, poiché non so- no musulmani — continua — la con- fusione è stata inevitabile. Ci conso- la la consapevolezza che, sebbene tutto ciò sia una vergogna sono stati centinaia, forse migliaia, i musulma- ni che hanno trovato rifugio nelle parrocchie e nei conventi sparsi nel Paese, salvandosi letteralmente la vi- ta. Ma l’esodo di questa minoranza è ormai cominciato. Tantissimi mu- sulmani sono stati costretti a lasciare il Paese, pur essendo nati qui. A ciò si aggiunge un effetto collaterale che renderà ancora più difficile la già fragile economia centroafricana. Le poche attività commerciali erano infatti in mano ai musulmani. Il fu- turo del Centroafrica, anche quello economico, è quindi una vera inco- gnita». Intanto, l’elezione del nuovo pre- sidente della Repubblica Centroafri- cana, Cathérine Samba Panza, avve- nuta il 20 gennaio scorso, ha dato un segnale di distensione poiché, a differenza di chi l’ha preceduta, go- de del favore popolare. Lettera pastorale della conferenza episcopale in vista delle elezioni generali Il Sud Africa e il dono prezioso della democrazia PRETORIA, 15. «Venti anni di demo- crazia. Il popolo di Dio e tutti gli uomini di buona volontà» è il titolo della lettera pastorale diffusa nei giorni scorsi dalla Conferenza epi- scopale del Sud Africa in occasione del ventesimo anniversario dell’af- fermarsi della democrazia nel Paese e in vista delle elezioni generali che si terranno il 7 maggio. Il documento sottolinea il valore del processo democratico, definito dai vescovi “un tesoro”, grazie al quale si sono potuti promuovere «i diritti di tutti e restaurare la dignità della maggioranza della popolazio- ne, negata dall’Apartheid». I presuli — riferisce Radio Vatica- na — hanno inoltre elogiato «il mi- glioramento delle condizioni di vita della popolazione apportato dalla democrazia» e riscontrabile nello sviluppo delle infrastrutture e dei servizi forniti dallo Stato, così come nell’attenzione alla situazione so- ciale. Tuttavia, a due decenni dall’ini- zio del processo democratico, il Sud Africa — fanno notare i vescovi — non conta solo le luci, ma anche le ombre. «Molte persone vivono ancora in condizioni intollerabili», scrivono i presuli, denunciando lo scarso valore che viene dato alla vi- ta umana, la presenza di atteggia- menti e comportamenti razzisti, «l’orrore degli abusi su minori e an- ziani, i rapimenti e le violenze do- mestiche». Di qui, l’esortazione a «ricostruire il Paese secondo i valori del Vangelo, lavorando tutti insie- me allo sradicamento dei crimini, del traffico di droga e della tratta di esseri umani per rendere il Sud Africa ospitale e bandire così la xe- nofobia ed il razzismo». Due i principi ai quali fare riferi- mento, hanno affermato ancora i vescovi sudafricani, ovvero «traspa- renza e responsabilità. Dobbiamo essere in grado — sostengono — di considerarci responsabili gli uni ri- spetto agli altri della nostra libertà e dell’uso delle risorse del nostro Paese». Altrettanto senso di responsabili- tà viene richiesto alle forze dell’or- dine, affinché «combattano il crimi- ne, agli insegnanti perché formino i loro alunni, ai genitori affinché amino e abbiano cura dei loro figli, e ai sacerdoti e religiosi affinché provvedano alla crescita spirituale della popolazione». Il tutto nell’ot- tica «della dignità e del rispetto re- ciproco». Il processo democratico, ribadisce ancora la Conferenza epi- scopale sudafricana, non riguarda solo i leader politici, ma «richiede il coinvolgimento di ciascuno affin- ché dia il suo contributo, anche grazie alle associazioni civili ed ec- clesiali». Inoltre, in vista delle elezioni, i vescovi indicano, nella lettera, alcu- ni criteri in base ai quali i fedeli so- no invitati a scegliere come votare: sacralità della vita e dignità di ogni essere umano; sostegno al matrimo- nio e alla famiglia; responsabilità sociale e rispetto del bene comune; equa condivisione delle risorse e della ricchezza; solidarietà con i po- veri e gli emarginati. Il testo insiste in particolare su questo ultimo pun- to, invitando «a votare per i partiti le cui politiche siano autenticamen- te al servizio di tutti e in particolare dei più poveri e vulnerabili. Dob- biamo respingere ogni forma di avi- dità, di etnicità, di corruzione e di arricchimento illecito». Infine, i vescovi invitano a rende- re grazie a Dio «per il prezioso do- no della democrazia e a pregare per il Paese. Possano le scelte che fac- ciamo portare speranza ai poveri, unità a tutto il nostro popolo e un futuro sicuro e pacifico per nostri figli». Il Consiglio ecumenico delle Chiese contro l’utilizzo dei droni Una seria minaccia per l’umanità GINEVRA, 15. Il Comitato esecutivo del Consiglio ecumenico delle Chie- se (Cec o World Council of Chur- ches) ha condannato l’uso dei droni o Unmanned Aerial Vehicles (gli ae- rei armati senza pilota comandati a distanza) poiché rappresentano «una seria minaccia per l’umanità e il diritto alla vita e creano pericolosi precedenti nelle relazioni tra gli Stati». Queste preoccupazioni sono state espresse nella dichiarazione conclu- siva del comitato del Cec riunitosi nei giorni scorsi presso il Centro ecumenico di Bossey, in Svizzera. Nel comunicato viene sottolineato che l’uso della tecnologia Uav at- tualmente sta permettendo a Paesi come gli Stati Uniti, Israele, Russia e Regno Unito, ad andare verso si- stemi sofisticati che danno la piena autonomia di combattimento a delle macchine telecomandate. L’uso dei droni, apparsi per la prima volta nella guerra dei Balcani, è andato via via aumentando in Afghanistan, Iraq, Yemen, Somalia e più recente- mente in Pakistan. Il Comitato ese- cutivo del Consiglio ecumenico del- le Chiese, pertanto, ha esortato i Governi a «rispettare e a riconosce- re il dovere di proteggere il diritto alla vita dei loro cittadini e di op- porsi alla violazione dei diritti uma- ni», mentre ha invitato la comunità internazionale a «opporsi alle politi- che e alle pratiche illegittime». Nella dichiarazione, inoltre, il Cec lancia un appello al Governo degli Stati Uniti affinché garantisca la giustizia alle vittime di attacchi con i droni e fornisca un accesso immediato ed efficace alle procedu- re di risarcimento e una protezione adeguata per la riabilitazione delle vittime degli attacchi. Lo scorso novembre anche l’arci- vescovo Silvano Maria Tomasi, Rap- presentante Permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite e altre Organizzazioni internazionali a Gi- nevra, in occasione dell’incontro an- nuale degli Stati Parte della Con- venzione sull’interdizione e limita- zione dell’uso di alcune armi con- venzionali che possono produrre ef- fetti traumatici eccessivi o indiscri- minati (Ccw), ha espresso preoccu- pazione sull’utilizzo dei droni. «Ne- gli ultimi anni — ha dichiarato l’ar- civescovo — l’uso di droni armati nei conflitti armati e in altre azioni ostili internazionali è aumentato in modo esponenziale. Per alcuni di coloro che prendono le decisioni, i fattori sociali, politici, economici e militari possono anche aver modifi- cato l’equazione riguardo all’uso dei droni armati, ma le preoccupazioni etiche e umanitarie continuano a es- sere grandi e, di fatto, si sono fatte più pressanti con l’aumento del loro impiego». La Nigeria e i pregiudizi anticristiani ABUJA, 15. «Non dobbiamo essere fagocitati dalle imposizioni dispo- tiche di alcuni Governi o di alcu- ne organizzazioni non governative che vogliono dettare le tendenze morali mondiali basate sui loro valori laicisti». È quanto ha di- chiarato monsignor Ignatius Ayau Kaigama, arcivescovo di Jos e pre- sidente della Conferenza episcopa- le della Nigeria, durante il semi- nario di lavoro dei medici e degli infermieri cattolici. Il presule — riferisce Fides — ha sottolineato che spesso le critiche alla posizione della Chiesa cattoli- ca su tematiche relative alla difesa della vita e alla morale sessuale derivano da posizioni pregiudizia- li, frutto della scarsa conoscenza degli insegnamenti cattolici. «La Chiesa — ha detto — è di frequen- te giudicata da persone alle quali non interessa conoscere quello in cui realmente crede. I pregiudizi hanno reso ciechi i critici della Chiesa, per cui molti di loro non sono in grado di essere obiettivi sulle tradizioni e sulle credenze dei cattolici. Senza un discerni- mento culturale o intellettuale cor- riamo il rischio di perdere i nostri valori».