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Intervista dott. Antonio Marchi Palladio Zannini
1. Palladio: una grande azienda che non ha perso la dimensione famigliare
Sessant'anni tra storia, lavoro e sport, nelle parole del presidente onorario Antonio
Marchi
Per compiere la traversata del Monte Bianco a 73 anni ci vogliono entusiasmo,
determinazione, fiducia in se stessi e nei compagni di spedizione. Tutte cose che
Antonio Marchi, oggi presidente onorario della Palladio Spa, ha messo nello zaino
che portava sulle spalle nel 1993, quando ha deciso di affrontare questa avventura.
Un bagaglio non difficile da preparare per un uomo che aveva fatto di questi valori i
cardini della sua vita, personale e professionale. Per cinquant'anni Antonio Marchi
ha vissuto l'azienda come una nuova famiglia: e ancora oggi lo si vede, nelle sue
frequenti visite, fermarsi con i dipendenti, raccogliere le loro parole come si fa con
figli e nipoti. Con questo spirito Antonio Marchi ha attraversato questi primi
sessant'anni di storia di Palladio.
È il 1946 quando la sua famiglia, già titolare di una rilevante realtà imprenditoriale
nel settore della seta, decide di diversificare la sua attività ed acquisisce quote della
Società Industriale Tipolitografica Andrea Palladio. Due anni dopo, quando i Marchi
diventano soci di maggioranza, il padre Girolamo assume la carica di presidente,
mentre Antonio è consigliere delegato. Impegnato da subito nel settore
commerciale, vive assieme al padre e ai fratelli il lungo percorso che l'azienda
compie, nei sempre nuovi orizzonti e sfide che il mondo pone al mercato e ai suoi
operatori. Negli anni Palladio si espande, si specializza nella produzione di
confezioni per le industrie farmaceutiche, si susseguono le innovazioni
tecnologiche. A non cambiare sono invece i valori che sono alla base del lavoro: e
che, oggi come allora, fanno di Palladio una grande famiglia.
“Per dirla con una battuta si può affermare che siamo partiti come azienda di
famiglia e così abbiamo proseguito: anche se oggi la famiglia si è allargata. Penso
che tutto sia merito del profondo legame che ha sempre contraddistinto i rapporti
con i miei fratelli e con i nostri genitori. Oggi la stessa cosa la vediamo accadere
con i nostri figli. In azienda è lo stesso: i dipendenti e i collaboratori sono di
famiglia, come figli o nipoti. Ancora oggi quando faccio il mio giro per i reparti molti
vengono a salutarmi, mi parlano dei loro problemi, mi chiedono un consiglio. Tra
tanti successi professionali, questo è uno dei risultati che più mi inorgogliscono.
Abbiamo costruito tanto, grazie al lavoro e a un pizzico di fortuna: ma non ci siamo
mai dimenticati delle persone”.
Ma come è possibile mantenere questo clima familiare anche nel 2006,
mentre il mondo, soprattutto quello economico, vive di velocità, competizione
e produttività?
Mio padre ci ha insegnato, attraverso il suo comportamento prima ancora che con
le parole, l'importanza del buon senso, della fiducia, della serietà nel lavoro.
Credeva molto ai rapporti personali. Erano tempi in cui la stretta di mano e la parola
valevano più di qualsiasi firma su un contratto. In famiglia siamo cresciuti con
questi valori, gli stessi che vedevamo indirizzare il lavoro in azienda. Negli anni non
2. abbiamo mai smesso di credere che costruire rapporti personali diretti e sinceri non
solo migliora la qualità della nostra vita, ma aiuta anche un'azienda. Pensi che,
anche quando non erano così in voga come oggi i principi della comunicazione
aziendale, era mio padre che consegnava ai dipendenti, uno per uno, i pacchi
natalizi. Oggi sono in molti a farlo, ma al tempo tanti imprenditori ne ridevano.
Lei è stato testimone e protagonista di questi 60 anni di vita di Palladio:
quante cose sono cambiate?
Quando nel '46 abbiamo acquistato le prime quote di Palladio, l'azienda contava
sette dipendenti e aveva sede nello storico palazzo Thiene, ancora danneggiato dai
bombardamenti. Oggi abbiamo 6 stabilimenti in Europa e, nel solo polo
cartotecnico, diamo lavoro a circa 350 persone. Ma non si tratta solo di una
questione numerica e di dimensioni: ciò che è più cambiato è il modo di lavorare.
Ho un po' di nostalgia per gli anni in cui, eravamo attorno al '54, il consigliere
delegato della Glaxo, con cui avevamo importanti rapporti commerciali, era un
inglese con grandi baffi che fissava gli appuntamenti sempre alle 17, per poter
sorseggiare assieme un buon the. Allora mi occupavo direttamente della funzione
commerciale, le aziende erano meno strutturate di adesso, si tenevano i rapporti
con una o due persone al massimo, i problemi si risolvevano con un colloquio
diretto. Oggi tutto è più impersonale e formale. Si guarda meno alla fiducia nelle
persone e nel lavoro e più ai parametri economici. Quello che è rimasto, e deve
rimanere anche in futuro, è la cura e la passione con cui realizziamo i nostri
prodotti.
Quali sono i passaggi principali della storia di Palladio?
Il nome della mia famiglia era da tempo legato alla seta. Un settore entrato in crisi
già prima della seconda guerra mondiale. Dopo che avevamo anche tentato una
prima riconversione verso il campo militare producendo paracadute, con la fine del
conflitto si è deciso di diversificare le attività. Nel 1946 abbiamo acquistato delle
quote della Società Industriale Tipolitografica Andrea Palladio, divenendone poi
azionisti di maggioranza nel 1948. Intanto accanto alla filanda di Arzignano è sorta
una cartiera, dove si fabbricava ondulato: è stato questo il primo vero passo verso
la cartotecnica, oltre a un esempio di ottimizzazione delle risorse, visto che con la
stessa caldaia alimentavamo due stabilimenti. Tra i primi clienti di questa nuova
avventura c'era la ZEF, una ditta per cui stampavamo gli astucci di uno sciroppo. Fu
il titolare di questa, il cav. Giovanni Ferrari, a suggerirmi di specializzarci nella
produzione di confezioni per le industrie farmaceutiche. Un’intuizione chiave per il
successo dell'azienda. Dopo la nascita di una prima succursale tra corso San
Felice e via Cattaneo, nel 1952 SITAP divenne Palladio Tipolitografia con una
nuova sede in viale della Pace. Vennero sottoscritte cambiali a due anni su
garanzia personale, che io avevo l'abitudine di barrare con due tratti di penna, a cui
aggiungevo il terzo al momento dell'estinzione. Avevamo intanto intrapreso un
importante progresso tecnologico: grazie agli aiuti del Piano Marshall fu acquistata
una macchina da stampa offset a 2 colori, cui successivamente se ne aggiunse una
seconda, sempre inglese. Nel 1957 viene assunto il ragioniere Livio Padrin, che
avrà un ruolo importante nello sviluppo dell'azienda. Nel 1972 abbiamo acquisito la
3. cartiera di Sarego e nel 1980 l’attuale sede di Dueville. Quest'ultima è per me una
data fondamentale perché coincide anche con l'entrata in azienda di mio figlio
Mauro. Da allora ho gradualmente ridotto il mio impegno operativo in Azienda, per
fare in modo che il passaggio generazionale fosse gestito e vissuto con la
necessaria calma e senza traumi.
Dalle difficoltà del dopoguerra ha, quindi, inizio la strada verso la
cartotecnica. L’esperienza bellica rappresenta anche per la sua vita un
importante momento di passaggio.
A fare da sottofondo al primo incontro con la donna che sarebbe diventata mia
moglie, Olga, sono state proprio le parole di Benito Mussolini che, attraverso gli
altoparlanti di tutta Italia, annunciava l'entrata in guerra del nostro Paese. Era il 10
giugno del 1940, eravamo in piazza Statuto ad Arzignano. Ci conoscemmo lì: allora
non lo sapevamo, ma quel momento avrebbe segnato la storia del nostro Paese e
allo stesso tempo la nostra storia personale. Dal quel primo incontro sono passati
sessantasei anni, e siamo ancora insieme. Olga è diventata mia moglie sei anni
dopo: nel mezzo c'è stata una guerra che, come per tutti quelli della mia età, non
può che essere ricca di ricordi. L'8 settembre prestavo servizio come ufficiale del
carristi a Vercelli, quando i Tedeschi hanno circondato la caserma. Mi sono buttato
dalla finestra e da lì è iniziata una fuga che, grazie all'aiuto di tante persone, mi ha
permesso di ritornare dalla famiglia e dalla fidanzata ad Arzignano. Prima della
Liberazione, poi, per una frase mal interpretata ho trascorso 15 giorni in carcere
dove ho incontrato i fratelli Fraccon, che finirono giustiziati, il professor Volpato e
altre autorevoli figure dell’antifascismo vicentino.
Tennis, sci, calcio. Lo sport è ancora oggi una delle sue principali passioni.
Sono sempre stato un grande sportivo. Ho giocato a tennis, a pallacanestro, nella
squadra della GIL di Arzignano, e a calcio, con la selezione Berretti del Valdagno
Calcio. Negli anni Cinquanta ho conosciuto lo sci e la montagna: passioni che ho
coltivato misurandomi con tutte le più belle piste dell’arco alpino e realizzando il
primo maggio del 1993, a 73 anni, la traversata del Monte Bianco. Nello sport
ritrovo quei valori di lealtà e rispetto, quella passione per le sfide con gli altri, ma
anche con se stessi, che da sempre mi sono stati insegnati e che hanno permeato
la mia famiglia. Nella vita e nell’attività imprenditoriale.
Abbiamo iniziato parlando di famiglia e concludiamo tornando a parlare di
famiglia.
Temo sia inevitabile, perché la dimensione della mia vita, la mia dimensione, è
questa. Ho da poco festeggiato i sessant'anni di matrimonio con mia moglie;
continuo a vivere un rapporto di stima e affetto reciproci con i miei fratelli, che vedo
regolarmente ogni settimana; sono molto orgoglioso di mio figlio Mauro, per l'uomo
che è diventato e per le sue capacità in campo professionale. È riuscito a gestire al
meglio l'azienda, a farla crescere ancora in un mondo più competitivo e difficile di
quello di un tempo. Mantenendo però sempre vivi i valori che ho provato a
insegnargli: quegli stessi valori che mio padre ha insegnato a me, più di mezzo