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INDICE
          Introduzione                                        pag. 1
     1.   La materia                                          pag. 2
          1.1   Il modello di Rutherford                      pag. 3
          1.2   Il modello di Bohr                            pag. 5
          1.3   Il modello quantistico                        pag. 5
          1.4   La configurazione elettronica degli atomi pag. 9
          1.5   La mole                                       pag. 10
2.   Il legame chimico                                        pag. 11
          2.1 L'elettronegatività ed il legame ionico         pag. 13
          2.2 Il legame covalente                             pag. 16
3.   Equilibri chimici                                        pag. 19
          3.1   Concetto di equilibrio                        pag. 18
          3.2   Acidi e basi                                  pag. 21
     4.   Le reazioni di ossido-riduzione (redox)             pag. 25
          4.1   Stato di ossidazione                          pag. 25
          4.2   Ossidante e riducente                         pag. 26
          4.3   Elettrochimica                                pag. 26
5.   La tavola periodica                            pag. 32
6.   La nomenclatura                                          pag. 35
          6.1   Cationi                                       pag. 36
          6.2   Anioni                                        pag. 36
          6.3   Acidi                                         pag. 37
          6.4   Basi                                          pag. 38
INTRODUZIONE
                                 ALLA GUIDA DI CHIMICA


È risaputo che in Italia, nonostante gli illustri scienziati del passato e del presente, non c’è una
grande e profonda cultura scientifica. Diffusa in tutti gli strati della società, questa lacuna è figlia di
uno studio precario, senza passione e con scarsi mezzi che ognuno di noi ha subito negli del periodo
scolastico.
Scarsa conoscenza procura una cattiva considerazione di ciò che non capiamo della scienza e delle
sue scoperte d’ogni giorno. Così pure anche la chimica, con i suoi nomi strampalati, le sostanze
pericolose, teorie e regole difficili, un linguaggio che assomiglia ad una vera e propria lingua; tutto
ciò fa sì che sia la facoltà di chimica sia quella che annovera i corsi universitari tra i meno seguiti.
Forse è arrivato il tempo di risolvere questa situazione, cercando di conquistare la gente comune
portandoli a conoscere gli aspetti più affascinanti della chimica, incominciando con entusiasmo
dalle scuole e dagli adulti di domani.
Ma che cos’è la chimica? Per definizione è la scienza che studia le trasformazioni della
materia. Questa semplice definizione nasconde un vasto universo che coinvolge diverse discipline
che si sovrappongo. Non esiste, infatti, una “sola chimica”, ma la chimica analitica, la chimica-
fisica, teorica, organica, inorganica, ecc. Questo sta ad indicare come il concetto di materia e natura
si sia evoluto di pari passo con il progresso tecnologico che offre, ogni giorno, nuovi strumenti e
stimola nuovi traguardi da raggiungere.
Lo scopo di questa guida è quello di presentare i concetti basi della chimica in maniera più
semplice, corretta e completa possibile. Un primo piccolo passo, per incominciare a camminare
incontro alla chimica ed alla sua scienza, e per imparare a muoversi dentro il vastissimo laboratorio
chimico che è il nostro mondo.




                                                     1
LA MATERIA

La materia è costituita da atomi, che aggregati insieme formano una molecola. Nel corso dei secoli
la filosofia e la scienza hanno continuamente cercato di carpire i segreti della materia e allargare la
visione dell’infinitamente piccolo, come una sfida continua dell’uomo verso la Natura. Oggi, con il
progresso scientifico e tecnologico possiamo, nel vero senso della parola, guardare in faccia agli
atomi (con la microscopia elettronica e le applicazioni informatiche); gli esperimenti complessi di
fisica della materia, inoltre, hanno permesso la scoperta di particelle ancora più piccole (sub-
atomiche) il cui studio è, ad oggi, portato avanti per le sue applicazioni astrofisiche (come la
comprensione di fenomeni stellari e del Big Bang) che, tuttavia, esulano dall’interesse di questo
corso.
La conoscenza della struttura dell’atomo è importante per poi procedere, dal basso verso l’alto, alla
comprensioni dei vari fenomeni chimici. Partendo dal XIX secolo, sono stati proposti vari modelli
atomici. Anche se alcuni di questi sono stati invalidati perché non confermati dalle evidenze
sperimentali, è da sottolineare che non sono stati soppiantati completamente, ma rivisti e corretti per
confermare, ogni volta, le prove sperimentali. Il punto di svolta è avvenuto con l’introduzione della
meccanica quantistica che ha introdotto un concetto del tutto nuovo e diverso della meccanica
detta “classica”, basata sulle leggi di Newton.


Una atomo è costituito da un nucleo di protoni (carica elettrica positiva, +1.60x10-19 Coulomb) e da
neutroni (carica elettrica neutra), presenti in numero uguale. Il numero di protoni è indicato come
numero atomico Z, mentre con numero di massa A, si indica il numero di protoni+numero di
neutroni. Attorno al nucleo girano confinati in zone dello spazio definite, gli elettroni (carica
elettrica negativa, -1.60x10-19 Coulomb).




                                       Fig. 1.1. Nucleo atomico


                                                   2
La massa di un elettrone è circa 1836 volte più piccola di quella del protone, rispettivamente pesano
9.109x10-28g e 1.627x10-24g. Il neutrone pesa 1.6482x10-24g. Allo stato fondamentale, un atomo
neutro per cui il numero di protoni è uguale al numero degli elettroni. Quando particolari
condizioni rendono l’atomo ricco di elettroni, diventa un anione (ione a carica elettrica globale
negativa). Diversamente, se l’atomo perde elettroni, la carica totale diventa positiva per il catione
(ione positivo). Tutti gli atomi di un elemento non sono uguali. Infatti, la massa determinata per un
elemento è data dalla distribuzione degli isotopi che lo compongono. Un isotopo è un atomo che ha
lo stesso numero atomico (Z, numero di protoni), ma differenti masse atomiche (Z,
protoni+neutroni). Quindi, isotopi diversi di uno stesso elemento differiscono per il loro numero di
neutroni. Un elemento è una miscela di isotopi ciascuno con una sua abbondanza caratteristica.



1.1 IL MODELLO DI RUTHERFORD
Un modello di atomo fu descritto dal fisico inglese Ernest Rutherford nel 1911 ed è noto, per la
particolare struttura ipotizzata, “modello a sistema solare”. La struttura estremamente semplice è
tuttora utilizzata per introdurre alla conoscenza della struttura atomica anche se è obsoleta non
corretta.
Un atomo elettricamente neutro, è costituito da un nucleo carico positivamente contenente
protoni( carica positiva) e neutroni (carica neutra), circondato da elettroni (carica negativa) in moto
attorno ad esso.




                               Fig. 1.2. Modello atomico di Rutherford.


Rutherford utilizzò le leggi della meccanica classica (sviluppate da Sir Isaac Newton) per illustrare
dal punto di vista fisico, il suo modello atomico. Il cardine del modello di Rutherford risiede nel
postulato che gli elettroni di un atomo possono occupare una delle infinite orbite.
Evidenze sperimentali hanno, successivamente, portato ad individuare alcune imperfezioni
confermate dalle evidenze sperimentali.

                                                   3
Poiché l’elettrone si muove su orbite circolari, secondo le leggi della elettrodinamica classica della
conservazione dell’energia, dovrebbe cambiare la velocità di rivoluzione, la sua direzione o
emettere una radiazione. Questo implicherebbe che ogni atomo è instabile in condizioni normali,
osservazione assolutamente sbagliata.




    Fig. 1.3. Secondo il modello di Rutherford, gli elettroni dovrebbero collassare verso il nucleo o
                       emettere radiazione per conservare l’energia del sistema.


La prova più significativa che portò al fallimento del modello di Rutherford fu l’osservazione di
bande spettroscopiche di alcuni elementi gassosi. Infatti, alcuni gas a basse pressioni emettono luce
in forma di bande di lunghezza d’onda discrete anche nel campo del visibile. Questa osservazione
ha portato a considerare l’orbita degli elettroni non distribuita in modo casuale nello spazio sub-
atomico ma localizzata a distanza precise, associata ad una determinata energia di livello.
Infatti, se gli elettroni sono orbitanti in maniera libera attorno al nucleo, la luce emessa dovrebbe
coprire l’intero campo di radiazioni elettromagnetiche.




       Bohr
   Fig. 1.4. In alto è rappresentato lo spettro di radiazioni nel campo del visibile. Sotto, le bande di
 emissione per l’idrogeno. Le bande corrispondono a transizioni elettroniche degli elettroni da orbite
                                   con determinati valori di energia.




                                                    4
1.2 IL MODELLO DI BOHR
Le bande osservate, inoltre, sono caratteristiche per ogni elemento poiché corrispondono alle
transizioni di ogni elemento che contiene un numero preciso e diverso di elettroni che occupano,
ognuno, diversamente i livelli energetici dell’atomo.
Per rispondere alle domande che il modello di Rutherford lasciava senza risposta, fu sviluppato un
nuovo modello dal fisico danese Niesl Bohr che propose la teoria della quantizzazione
dell’energia.
Ogni elettrone può occupare solo una certa orbita associata ad un valore preciso di energia. Quando
gli elettroni acquistano o cedono energia vanno ad occupare altri livelli energetici mediante
transizioni pari alla differenza di energia tra i livelli.
Bohr interpretò le bande di emissione dei gas come il prodotto delle transizioni elettroniche tra i
livelli.




 Fig. 1.5. L’interpretazione di Bohr delle bande spettroscopiche sta alla base del suo modello atomico .


Tuttora l’interpretazione di Bohr è ancora valida, sebbene riveduta e corretta con la teoria della
meccanica quantistica.



1.3 IL MODELLO QUANTISTICO
Schrodinger e Heisenberg gettarono le basi teorie di un nuovo strumento matematico: la
Meccanica Quantistica (MQ) od ondulatoria. Già nel 1923 De Broglie aveva postulato ad una
particella un dualismo onda–corpo, associando ai corpi una caratteristica propria delle onde
elettromagnetiche, la lunghezza d’onda λ, secondo l’espressione:

                                                       5
h
                λ =                    h= Costante di Planck pari a 6.6262*10-34 J s
                      m*v




                                         Fig. 1.6. Schröndiger


Questo dualismo servì come base teorica della meccanica quantistica che descrive l’elettrone con
una funzione d’onda Ψ, che descrive l’orbitale (porzione di spazio: x,y,z) in cui altamente
probabile che si trovi. Il concetto di probabilità della MQ è essenziale, ed è totalmente differente da
quanto ci si aspetta dalla MC, da come si ricava dal Principio d’indeterminazione di Heisemberg:


                                                           h
                                               ∆ x∆ p ≥
                                                          4π


che mette in luce che le informazioni sulle particelle non possono essere completamente certe. Ad
esempio, non si può conoscere simultaneamente posizione e velocità degli elettroni.
La funzione d’onda descrive l’orbitale specifico per l’elettrone, indicando una porzione di spazio in
cui è conservato il momento angolare orbitale, condizione che permette all’elettrone di ruotare
attorno al nucleo senza perdere energia, quindi di cadere sul nucleo per attrazione elettrostatica. Ne
consegue che l’elettrone può occupare determinati orbitali ricavati dalla risoluzione dell’Equazione
di Schrodinger:


                                               2m
                                      ∇ 2Ψ +      ( E − V )Ψ = 0
                                               2
                             con ∇ 2 =operatore matematico laplaciano


o più semplicemente:



                                                     6
EΨ = Η Ψ
                                  2
                       con H= −      ∇   2
                                             + V , operatore matematico hamiltoniano
                                  2m


Dunque, gli elettroni sono distribuiti attorno al nucleo in zone dello spazio chiamati orbitali. Lo
sviluppo dell’equazione di Schrodinger porta ad introdurre alcuni parametri fondamentali per
descrivere gli orbitali occupati dagli elettroni: i numeri quantici.
L’elettrone, secondo la teoria quantistica è descritto da 4 numeri quantici.


            Nome          Simbolo Valore                       Significato
          Principale         n     1,2,… Indica il livello e l’energia del livello
          Azimutale          l   0,1,…,n-1 Indica il sottolivello: s, p, d, f,…
        (o secondario)
          Magnetico         ml      l,l-1,…,-l Indica gli orbitali di un sottolivello
             Spin           ms        +½,-½ Descrive il momento di rotazione dell’eletrone




                                               Fig. 1.7. Orbitali s.


Gli orbitali s hanno struttura sferica., il punto nodale (punto in cui la funzione d’onda si annulla e
quindi non è possibile trovare l’elettrone) si trova al centro della sfera. Se si considera l’orbitale s di
un secondo livello (numero quantico principale, n=2) i nodi sono due.




                                                        7
Fig. 1.8. Orbitali p


Gli orbitali p, bilobati, sono di tre tipi (px, py, pz) secondo l’orientazione lungo gli assi delle nuvole
elettroniche con, all’origine degli assi, il nodo.




                                            Fig. 1.9. Orbitali d


Gli orbitali di tipo d tetralobati, sono di 5 tipi: dxy, dyx, dxz, dx2-y2 e dz2 e rivestono molta importanza
nella chimica dei metalli di transizione.




                                                     8
Fig. 1.10. La meccanica quantistica ha portato a considerare gli orbitali come porzioni di spazio con
                                       una particolare geometria.


Osservando la figura 1.10 si vede chiaramente come sia cambiato radicalmente il modello atomico
dal primo modello di Rutherford. Tuttavia, è interessante sottolineare che proprio il modello di
Rutherford sta alla base di tutte le teorie e modelli sviluppati successivamente.



1.4 LA CONFIGURAZIONE ELETTRONICA DEGLI ATOMI
Ad esclusione dell’idrogeno, tutti gli atomi possiedono più di un elettrone, ovvero sono atomi
multielettronici. L’impossibilità di risolvere l’equazione di Schrodinger in modo esatto ha portato i
teorici ad applicare le soluzioni per l’atomo di idrogeno applicato agli elementi multielettronici con
adeguate approssimazioni ed adattamenti. Diversamente da un atomo che possiede un solo
elettrone, gli altri elementi vedono fenomeni di attrazione nucleo-elettrone in competizione con altri
fenomeni di schermatura della carica nucleare fra gli elettroni degli altri livelli ed orbitali,
ridimensionando la carica efficace nucleare. Questo comporta la distribuzione, su una scala di
energie, dei livelli e degli orbitali atomici. Successive scoperte hanno permesso di conoscere in
quale maniera gli atomi dispongono gli elettroni per riempire gli orbitali. Il principio di esclusione
di Pauli costituisce una regola fondamentale in questo ambito. Esso afferma che un orbitale non
può essere occupato da più di due elettroni, e che questi devono avere spin appaiato. Lo spin è
una proprietà dell’elettrone che consiste nella rotazione dello stesso attorno al proprio asse, come
avviene per la Terra. Dopo evidenze sperimentali, l’esperimento di Stern-Gerlach ha permesso di
confermare la proprietà di spin e di assegnare all’elettrone un numero quantico di spin. Infatti,
facendo passare un fascio di elettroni attraverso un campo magnetico disomogeneo, si è rivelato su
una lastra fotografica posta in uscita dal campo lo sdoppiamento del fascio stesso. L’elettrone
possiede solo due stati di spin: +½ (↑) e -½ (↓), poiché lo spin può avere due sensi di
orientazione(orario, antiorario).


                                    CAMPO MAGNETICO


                           FASCIO                                     LASTRA
                        ELETTRONICO                                 FOTOGRAFICA




Fig. 1.11. Rappresentazione dell’esperimento di Stern-Gerlach. Il fascio di elettroni viene sdoppiato al
                             passaggio nel campo magnetico disomogeneo.

                                                   9
La configurazione elettronica di minima energia è prevista dal procedimento dettato dal principio di
Aufbau che consente di determinare la configurazione in base all’energia cinetica degli elettroni,
alla loro attrazione da parte del nucleo e dalla loro repulsione reciproca.


          1s < 2s < 2p < 3s < 3p < 4s < 3d                      per elementi con 1 < Z < 20
         1s < 2s < 2p < 3s < 3p < 3d < 4s < 4p < 5s < 4d              per elementi con Z < 20



1.5 LA MOLE
Date le ridotte dimensioni e pesi dell’atomo e delle molecole, quando si parla di quantità di materia,
non è pratico utilizzare le normali unità di misura come i grammi. Per ovviare a questo
inconveniente è stato introdotto il concetto di mole, che rappresenta l’unità di massa utilizzata in
chimica. Per definizione, una mole corrisponde ad un numero di atomi o molecole contenute in
esattamente 12g di uma (unità di massa atomica). L’uma è 1/12 della massa dell’atomo di carbonio-
12, e pesa esattamente: 1uma=1.6605x1024g. Quindi, la massa del carbonio-12 è 12 x 1uma=12 x
1.6605x1024g=     1.9926x1023g.     Ne    deriva    che    1   mole     contiene:   12g   atomi     di
carbonio/1.9926x1023g=6.022x1023 particelle. Questo numero è chiamato numero di Avogrado
(NA), in onore dello scienziato Lorenzo Romano Amedeo Carlo Avogadro, conte di Quaregna e
Cerreto (1776-1856).




                                                   10
2. IL LEGAME CHIMICO

Si è visto, dunque, che la meccanica quantistica e tutta la sua teoria è uno strumento potente ed
estremamente complesso che permette di descrivere molto bene l’atomo e la sua struttura. Ma non
finisce tutto qui! La teoria permette anche di razionalizzare i meccanismi di formazione dei legami
tra gli atomi. Il legame chimico è visto come una operazione matematica di somma algebrica delle
funzioni d’onda dei singoli orbitali atomici (OA) che si combinano per dar gli orbitali molecolari
(OM), che sono sempre porzioni di spazio in cui è probabile trovare gli elettroni, ma distribuiti
nella molecola. L’operazione matematica che permette la costruzione degli orbitali molecolari è
rappresentata dalla sovrapposizione delle nuvole elettroniche degli OA. In particolare, i lobi degli
orbitali p e d, convenzionalmente, sono polarizzati + e -. Gli orbitali s, essendo sferici, hanno una
sola polarizzazione. La sovrapposizione degli orbitali può quindi avvenire tra lobi con lo stesso
segno o con segni opposti. Nel primo caso, l’orbitale molecolare risultante è detto di legame
(bonding MO), viceversa, nel secondo caso si ottiene un OM di anti-legame (anti-bonding MO)
ad energia più elevata.




    Fig. 2.1. Schema degli orbitali molecolari e distribuzione energetica. Ad ogni OM di legame si
                                  contrappone uno di anti-legame.

                                                 11
Il legame che nasce dalla combinazione di due orbitali s è indicato con σ, come pure quello tra due
orbitali px (sovrapposizione frontale dei lobi). Gli orbitali py e pz possono solo combinarsi per
sovrapposizione laterale formando un legame indicato con π.




                                      Fig. 2.2. Schema legame π.


La combinazione degli OA non è casuale, ma risponde a precise regole di simmetria che fa in mode
tale che solo orbitali con identica classe di simmetria possono combinarsi.
Il legame chimico tra due atomi può essere paragonato ad una molla che tiene unite due sfere (gli
atomi). Infatti, come una molla, il legame oscilla attorno ad un valore di lunghezza di legame
preciso per ogni coppia di atomi senza spezzarsi.
Questo comportamento è descritto da una curva di energia potenziale del tutto analoga a quella
delle molle, nella quale al di sopra di una certa distanza il legame (la molla) si spezza. La lunghezza
tipica di legame equivale a quella corrisponde al punto di minimo della curva di energia potenziale.




             Fig.2.3. Curva di energia potenziale per il legame tra due atomi di idrogeno .




                                                    12
2.1 L’ELETTRONEGATIVITÀ ED IL LEGAME IONICO
Il legame ionico è l’attrazione che si stabilisce per effetto delle cariche opposte di cationi ed anioni,
ma prima è necessario definire il potenziale di ionizzazione e l'affinità elettronica.




   Fig. 2.4. Le cariche opposte delle nuvole elettroniche si attraggono secondo la forza di Coulomb.


Il potenziale di (prima) ionizzazione (P.I.) è l'energia minima necessaria per allontanare un
elettrone di un atomo a distanza infinita dal suo nucleo. L'unità di misura del P.I. è l'eV
(elettronvolt): 1eV=1.6 x 10-19 Joule =3.82 x 10-20 cal.




    Fig.2.5. Distribuzione del potenziale di prima ionizzazione per alcuni elementi. Si può notare la
                     periodicità dell’andamento all’interno della tavola periodica.


Per convenzione si considera positiva l'energia fornita al sistema. Osservando la tavola periodica, si
vede come questo parametro abbia un andamento preciso all’interno dei gruppi e dei periodi che
contengono gli elementi. La diminuzione del P.I. all'interno di un gruppo (colonna) è facilmente
comprensibile considerando che procedendo dall'alto in basso cresce la distanza dell'elettrone dal
nucleo. Inoltre, la schermatura degli elettroni più interni si fa sentire negli elementi con alto numero



                                                   13
atomico. L'aumento del P.I. lungo un periodo (riga) si spiega considerando che procedendo da
sinistra a destra aumenta la carica del nucleo.
Si definisce affinità elettronica (A.E.) l'energia che entra in gioco quando un atomo acquista un
elettrone. I valori dell'A.E. sono noti solo per pochi elementi a causa della difficoltà di
determinazione sperimentale. L'A.E. assume valori alti e positivi quasi esclusivamente negli
alogeni, mentre ha valori bassi o addirittura nulli negli altri elementi (specialmente i metalli
alcalini). Gli alogeni hanno una configurazione elettronica esterna s 2p5 che li rende facilmente
predisposti ad acquistare un elettrone per assumere la configurazione del gas nobile più vicino, che
è una configurazione di particolare stabilità (ottetto). Analogamente, O e S tenderanno ad acquistare
due eletrtoni; tuttavia l'A.E. per il 2° elettrone è negativa, a causa della repulsione elettrostatica per
l'acquisto di un elettrone da parte di uno ione negativo. I metalli alcalini (Li, Na, K, etc.) hanno
basso P.I. con A.E. trascurabile, quindi tenderanno facilmente a perdere un elettrone per diventare
ioni mono-positivi (cationi monovalenti). Diversamente, gli alogeni, hanno alti valori di P.I. e di
A.E., per cui si assiste alla cattura di un elettrone per diventare ioni mono-negativi (anioni
monovalenti). In entrambi i casi, ciò che governa questa tendenza è il fine di raggiungere la
configurazione elettronica del gas nobile più vicino: quello che precede, nel caso dei metalli, quello
che segue, nel caso degli alogeni.
Quando si ha un legame fra due atomi uguali, la coppia di elettroni risulta equamente condivisa fra
di essi. Si parla in questo caso di legame covalente puro o omopolare. Quando, invece, il legame
si stabilisce fra due atomi diversi, la coppia elettronica risulta spostata (mediamente nel tempo)
verso quello che ha maggior affinità elettronica e maggior potenziale di ionizzazione. In tal caso il
legame è definito eteropolare.




                   Fig.2.6. Distribuzione delle nuvole elettroniche nei legami chimici.


Nel caso del legame eteropolare, una molecola biatomica si comporta come un dipolo, poiché il
baricentro delle cariche positive non coincide con quello delle cariche negative. La molecola ha
un'estremità con parziale carica negativa e un'estremità con parziale carica positiva. Per dipolo si
intende un sistema costituito da due cariche elettriche dello stesso valore assoluto e di segno
contrario, poste a distanza "r" fra di loro. Ogni dipolo è caratterizzato da un "momento dipolare",
definito da µ= q x r, dove q indica l'intensità della carica. Nel caso di molecole poliatomiche, per
                                                   14
valutarne la polarità occorre considerare la geometria molecolare. Ad esempio, in CO 2 µ = 0 poiché
la molecola ha struttura lineare; in H2O µ ≠ 0 poiché la molecola ha struttura tetraedrica.
Il grado di polarità del legame è correlato con una proprietà degli atomi, detta elettronegatività; più
esattamente, è in relazione con la differenza di elettronegatività dei due atomi impegnati nel legame.
L'elettronegatività può essere definita concettualmente come la tendenza di un atomo ad
attrarre verso di sé gli elettroni di legame. Secondo Mulliken, l'elettronegatività può essere
espressa come la media del potenziale di ionizzazione e dell'affinità elettronica. Purtroppo la
formula di Mulliken consente di valutare l'elettronegatività solo di quegli elementi di cui sia nota
l'affinità elettronica che, come abbiamo osservato, sono piuttosto pochi a causa della difficoltà della
misura sperimentale di questo parametro. Successivamente, Linus Pauling propose per il calcolo
dell'elettronegatività un metodo di più ampia applicabilità, basato sul confronto delle energie di
legame in molecole biatomiche.




       Fig.2.7. Valori di elettronegatività nella tavola periodica, secondo Pauling (foto in alto).




                                                   15
Come l’affinità elettronica ed il potenziale di ionizzazione, anche l'elettronegatività è una proprietà
periodica degli elementi, proporzionale all'A.E. e al P.I. Essa tende a diminuire all'interno di un
gruppo procedendo dall'alto in basso, e all'interno di un periodo procedendo da destra a sinistra.
Dalla differenza di elettronegatività, ΔEN, dei due atomi impegnati in un legame è possibile risalire
alla % di carattere ionico del legame. Nella tabella che segue, è riportata la relazione fra questi due
parametri.




Questa valori sono, tuttavia, approssimativi in quanto ricavati da un'equazione empirica. L’uso è
riservato solo per valutare quanto è ionico un dato legame. È da sottolineare che questi valori non
possono essere utilizzati nel caso di solidi ionici, in quanto si otterrebbero dei grossi errori di
valutazione.



2.2 IL LEGAME COVALENTE
Quello covalente è un legame caratterizzato dalla condivisione di una o più coppie di elettroni tra
atomi. In questo modo, gli atomi possono completare gli orbitali esterni (di valenza) con gli
elettroni condivisi. Il legame covalente si forma preferibilmente tra atomi che possiedono un valore
comparabilmente elevato di elettronegatività. Diversamente da quanto accade per il legame ionico,
quello covalente è un legame fortemente orientato: possiede una determinata geometria, lunghezza,
angoli ed energia.




                                                  16
Fig.2.8. Esempi di tipiche lunghezze di legame.


Lo studio del legame covalente partì da Gilbert N. Lewis che introdusse la notazione conosciuta
con il suo nome nella quale gli elettroni dello strato esterno (valenza) sono rappresentati come punti
disposti attorno.




                                Fig.2.9. Esempi di notazione di Lewis.


Sebbene la rappresentazione di Lewis sia immediata e di facile comprensione, successivi studi di
meccanica quantistica sono stati necessari per andare più a fondo nell’interpretazione del legame
covalente. Furono Heitler and London che formularono la prima spiegazione quanto-meccanica
del legame nella molecola di idrogeno H2, assumendo che un legame è formato per effetto di una
sovrapposizione degli orbitali atomici.
Le coppie di elettroni condivise possono essere anche più di una, formando un legame con un
ordine superiore a 1. L’ordine di legame è un termine utilizzato per descrivere il numero di coppie
di elettroni condivisi tra gli atomi. Il legame singolo (ordine=1) è frutto della condivisione di 1
coppia elettronica. Ad esempio, nell’etene CH2=CH2, il legame C-C è di ordine 2, mente
nell’acetilene CH≡CH l’ordine è 3. ordini superiori sono molto rari.




                                                  17
3. EQUILIBRI CHIMICI


3.1 CONCETTO DI EQUILIBRIO
L’equilibrio chimico è presente in moltissime applicazioni anche industriali; pertanto conoscerne i
principi generali è di estrema utilità per comprendere altre reazioni chimiche di grande interesse
come la reazione di sintesi di sintesi dell’ammoniaca (processo Born-Haber):


                                          N2 + 3H2 → 2NH3


Questa reazione, ad elevata temperatura, porta alla reazione inversa, di decomposizione:


                                          2NH3 → N2 + 3H2


Si verifica, in particolari condizioni, una situazione nella quale le due reazioni decorrono con la
medesima velocità, instaurando l’equilibrio:


                                          N2 + 3H2 ↔ 2NH3


Per tale motivo, è necessario trovare le condizioni operative più opportune per favorire la
formazione di ammoniaca in maniera più favorevole possibile (temperatura, pressione, catalisi,
ecc.).
Matematicamente, la situazione è descritta dalla costante di equilibrio. Per una generica reazione:


                                        aA + bB ↔ cC + dD


le concentrazioni all’equilibrio devono soddisfare la relazione:


                                                              C c × Dd
                               Kc= costante di equilibrio =
                                                              Aa × B b


Dal punto di vista matematico, la costante di equilibrio non è altro che il rapporto delle equazioni di
velocità di formazione dei prodotti su la velocità di decomposizione dei reagenti:



                                                  18
v’= k’ [C]c[D]d
                                                                  Cc × Dd
                                                  v’/v”= (k /k”) × a
                                                            ’
                                                                  A × Bb
                      v”= k” [A]a[B]b


Ogni reazione possiede una costante di equilibrio caratteristica il cui valore è funzione della
temperatura (Kc è costante a temperatura costante). Qualunque sia la composizione della miscela di
reazione, essa tende all’equilibrio dettato dal valore di Kc. Un valore superiore all’unita della Kc
indica che l’equilibrio è favorito verso i prodotti; diversamente, se la costante inferiore ad 1, la
miscela di equilibrio contiene in misura maggiore i reagenti.




                         Fig. 3.1. Esempi di reazioni controllate da equilibrio.


Fino ad ora le costanti sono state calcolate considerando le concentrazioni di reagenti e prodotti. Se
la reazione coinvolge, ad esempio, dei gas si può esprimere la costante in funzione delle pressioni


                                                                                   ( PNH 3 ) 2
parziali, calcolando quindi una Kp: N2 (g) + 3H2(g) ↔ 2NH3(g)        K= Kp   =
                                                                               ( PN 2 ) × ( PH 2 ) 3
Nel caso di equilibri eterogenei, ovvero nei quali reagenti e prodotti sono presenti in stati della
materia differenti (liquidi, solidi,gassosi), la costante può essere espressa in una forma più
semplificata secondo lo stato fisico che è preso in considerazione. Esempio esplicativo è quello che
interessa la decomposizione del carbonato di calcio CaCO3:


                                   CaCO3 (s)→ CaO (s) + CO2 (g)



                                                   19
Poiché i solidi hanno concentrazione unitaria, la costante di equilibrio può essere calcolata con la
Kp= PCO2.


Visto in questo modo, sembra che di fronte ad una reazione all’equilibrio non ci sia modo di
intervenire per favorire o meno il decorso di unna reazione. Invece, si deve tener presente che gli
equilibri chimici sono dinamici; ovvero è possibile perturbarli in maniera tale da favorire, ad
esempio, la formazione dei prodotti. Questo è chiaramente espresso dal principio di Le Chatelier:




                        Quando si varia un parametro attivo su un sistema in equilibrio, questo
                        evolve nel verso in cui tende ad opporsi alla variazione del parametro.


                        Fig. 3.2 Le Chatelier


Riprendendo l’esempio della sintesi dell’ammoniaca, poiché la reazione sviluppa calore (è, quindi,
esotermica) gli aumenti di temperatura pregiudicano le rese di sintesi: la formazione di ammoniaca
è favorita dalle basse temperature. D’altra parte, aumenti della pressione del sistema fanno
incrementare le rese per la diminuzione di volume della reazione. Nelle tabelle seguenti sono
riassunti alcuni valori della costante di equilibrio alle varie temperature e delle rese in funzione
della pressione.


                                                   % NH3 all’equilibrio
                       T (°C) Kp (atm-2)
                                             10atm 50atm 100atm 600atm
                        200     6.60*10-1    50.66 74.38 81.54        95.37
                        400    1.38.6*10-2    3.85 15.27 25.12        65.20
                        600     1.51*10-3     0.49   2.26    4.52     23.10


3.2. ACIDI E BASI
Quanto appreso nel paragrafo precedente si applica agevolmente agli equilibri in soluzione acquosa
che coinvolgono acidi e basi. Nella vita di tutti i giorni siamo continuamente a contatto con equilibri
acido-base: la Coca Cola è una bevanda fortemente acida per aggiunta di CO 2 (anidride carbonica)
nell’acqua contenuta nella bevanda stessa; i saponi sono basici e per tale motivo formano con
l’acqua la schiuma che serve a rimuovere lo sporco grasso.
Inizialmente, per definire se una molecola o ione si comporta da acido o da base, si ricorre alla
definizione di Brønsted-Lowry:

                                                  20
-   Acido: molecola o ione che in soluzione acquosa si comporta come donatore di protoni:


                                    HA + H2O ↔ H3O+ + A-
            HCl + H2O ↔ H3O+ + Cl-                     H2SO4 + H2O ↔ H3O+ + HSO4-


-   Base: molecola o ione che in soluzione acquosa si comporta come accettore di protoni:


                                     B + H2O ↔ BH+ + OH-
           NaOH + H2O ↔ H3O+ + OH-                           NH3 + H2O ↔ NH4+ + OH-




                         Fig. 3.3. Brønsted (a sinistra) eLowry (a destra).


Negli equilibri considerati, un acido (HCl) si trova in equilibrio con la sua base coniugata (Cl-);
una base (NH3) è in equilibrio con il suo acido coniugato (NH4+).
Quella di Brønsted-Lowry risulta essere solo una definizione generale dell’equilibrio acido-
base, in quanto considera solo uno scambio di protoni. Esistono, infatti, equilibri che possono
essere considerati di neutralizzazione tra acido e base, che però non coinvolgono alcuno
scambio di H+:


                                      SO3 + CuO ↔ CuSO4


È quindi utile trovare una definizione di acido e base in modo tale da racchiudere tutti gli
esempi possibili. La definizione di Lewis soddisfa questa richiesta ed afferma che:
-   Acido: molecola o ione in grado di accettare una coppia elettronica;
-   Base: molecola o ione in grado di donare una coppia elettronica;




                                              21
Gli equilibri acido-base utilizzati più frequentemente (certamente più utilizzati nella chimica
applicata), coinvolgono molecole secondo la definizione di Brønsted-Lowry. Essendo equilibri,
sono descritti matematicamente da una costante di equilibrio caratteristica:



                   NH3 + H2O ↔ NH4 + OH  +    -
                                                           K=
                                                              [ NH ] × [OH ]4
                                                                                +         −


                                                                       [ NH 3 ] × [ H 2 O]
                                                                   c




Negli esempi proposti sopra si vede come l’acqua può fungere sia da acido che da base, per tale
motivo è definita una sostanza anfiprotica, in grado cioè di potendo cedere un protone da una
molecola d’acqua ad un'altra. Scrivendo l’equilibrio per l’acqua e la sua relativa costante di
equilibrio, si ottiene:



     H2O + H2O ↔ H3O + OH   +        -
                                             KW    =
                                                     [ H O ] × [OH ]
                                                       3
                                                               +            −

                                                                                    = 1x10-14 M2 a 25°C
    Acido1 base2    base1       acido2                     [ H 2 O]     2




                                         [ +    −
                                                  ][       ]
                   che riscritta KW = H 3 O x OH = 1x10-14 M2 a 25°C


La costante KW (di autoionizzazione o idrolisi dell’acqua) ed il suo valore sono fondamentali
nella trattazione degli equilibri in soluzione acquosa. Infatti, trasformando tutto in termini
logaritmici si ottiene:
                          pKW = - logKW = - log (1x10-14) = 14 = pH + pOH


Il termine pH è un altro parametro fondamentale nella chimica degli equilibri acido-base, e sta
ad indicare il grado di acidità di una soluzione (viceversa, il pOH indica il grado di basicità
di una soluzione). Ragionando in termini logaritmici, si ricava che una soluzione è acida se il
pH varia da 0 a 6,9 (con pOH varia da 14 a 7.1); viceversa una soluzione basica possiede un
pH tra 7.1 e 14 (pOH varia tra 6.9 e 0). Il valore di pH=pOH=7 indica una soluzione neutra.
Come per l’acqua, anche tutti gli acidi e le basi conosciute sono state studiate per valutare il loro
grado di dissociazione in soluzione acquosa per determinare la propria costate di dissociazione
acida (Ka per gli acidi) o basica (Kb per le basi). Dal valore di Ka o di Kb si può stilare una
tabella per valutare la scala degli acidi/basi forti e deboli:


                            ACIDO                 Formula    Ka                               pKa
                Il più acido Ac. tricloroacetico CCl3COOH 3.0x10-1                            0.52
                                                  22
Ac. Fosforico         H3PO4       7.6x10-3     2.12
                                 Ac. Acetico        CH3COOH       1.8x10-5     4.75
              Il meno acido    Ac. Cianidrico         HCN         4.9x10-10    9.31
                             BASE                    Formula         Kb        pKb
             Il meno basico          Urea           CO(NH2)2      1.3x10-14   13.90
                                  Morfina           C17H19O3N     1.6x10-6     5.79
                                Ammoniaca              NH3        1.8x10-5     4.75
               Il più basico     Etilammina          C2H5NH2      6.5x10-4     3.19




                Fig. 3.4. Esempi di acidi e basi comuni e del loro pH caratteristico.


Acidi come HCl, H2SO4, HNO3 sono acidi forti per i quali non è noto il valore di K a perché la
loro dissociazione in acqua è totale. Per il medesimo motivo, NaOH, KOH, CaO sono basi forti
che dissociano totalmente in acqua e per le quali non è determinabile la loro Kb.




                                               23
4. REAZIONI DI OSSIDO-RIDUZIONE (REDOX)

Nel capitolo precedente si è visto che alcune reazioni chimiche coinvolgono un trasferimento di
protoni (H+) e di ossidrili (OH-). Alternativamente, la materia si può trasformare attraverso reazioni
con scambio di elettroni da una molecola ad un’altra, come avviene nelle reazioni di ossido-
riduzione (dette anche redox).
Questo tipo di reazioni sono molto comuni nella normale vita di tutti giorni. Basti pensare che i
comuni fenomeni di corrosione non sono altro che reazioni di scambio di elettroni tra metalli con
differenti proprietà ossido-riduttive (il potenziale redox). Qualsiasi dispositivo elettronico che
funziona a pile, sfrutta una reazione di scambio di elettroni; questa corrente tra due metalli permette
il funzionamento di radio, cellulari, calcolatrici, ecc.

4.1 STATO DI OSSIDAZIONE
Per comprendere il concetto di ossidazione e riduzione, è utile incominciare da un parametro
fondamentale che è lo stato di ossidazione di un elemento. Osservando la tavola periodica,vediamo
che gli elementi sono disposti in ordine crescente di numero atomico lungo una riga (periodo).
Elementi disposti all’interno di una stessa colonna (gruppo) hanno la medesima disposizione degli
elettroni nell’orbitale più esterno. Una regola empirica prevede che un elemento raggiunge la
massima stabilità quando possiede 8 elettroni nel livello più esterno come la configurazione
elettronica dei gas perfetti, elementi che chiudono la serie di ogni periodo e che sono raggruppati
tutti in un unico gruppo (VIII). Quindi, tutti gli altri elementi nell’aggregarsi tra loro a formare le
molecole, tendono a raggiungere questo stato che è detto di ottetto. Il numero o stato di
ossidazione sta ad indicare quanti elettroni ci sono in più o in meno rispetto alla configurazione
elettronica caratteristica di quell’elemento. L’atomo di fluoro (F) possiede 7 elettroni nel livello più
esterno e quindi tende a raggiungere l’ottetto prendendo un elettrone. A “complicare” le cose, c’è il
fatto che man mano che il numero atomico cresce, aumenta anche la dimensione dell’atomo in
maniera tale coinvolgere anche effetti di ionizzazione e polarizzazione che permettono ad un
elemento di avere diversi stati di ossidazione possibili. Ad esempio, il cloro (Cl) può avere numero
di ossidazione –1, -3, -5, -7. Elementi che sono disposti nella tavoa periodica nei gruppi dei metalli,
possono avere numero di ossidazione positivi: magnesio (Mg) solo+2, ferro (Fe) +3, +2. Per tutti gli
elementi, allo stato fondamentale il numero di ossidazione è pari a zero.




                                                    24
4.2 OSSIDANTE E RIDUCENTE
Quindi, in una reazione redox, lo scambio di elettroni avviene da una molecola che contiene un
elemento “ricco” di elettroni ad una molecola con un elemento “povero” di elettroni. Un elemento
che cede elettroni si ossida, mentre chi riceve gli elettroni si riduce. La reazione di ossido-
riduzione avviene sempre tra una coppia redox: chi si ossida (è un riducente) e chi si riduce (è un
ossidante):


                  forma ossidata + elettroni → forma ridotta             RIDUZIONE
                  forma ridotta → forma ossidata + elettroni           OSSIDAZIONE
ad esempio:
                              Cu2+ + 2e- → Cu                RIDUZIONE
                            Zn → Zn2+ + 2e-                 OSSIDAZIONE


Il rame ione (Cu2+) ha numero di ossidazione +2, come pure lo ione zinco (Zn 2+). La somma delle
due semi-reazioni (ossidazione/riduzione):
                                        Cu2+ + Zn → Cu + Zn2+
                                     Forma ossidata/Forma ridotta



4.3 ELETTROCHIMICA
Richiamando i concetti di equilibrio chimico, se la costante di equilibrio indica la tendenza di una
reazione a decorrere verso i prodotti, così anche le reazioni redox hanno una costante di equilibrio
che determina quali coppie redox hanno la tendenza maggiore ad ossidarsi o ridursi. Questa
tendenza è espressa dal potenziale di cella, l’energia liberata da una reazione redox quando gli
elettroni scorrono attraverso il circuito cosituito da due elettrodi (due metalli, uno ossidante e l’altro
riducente) immersi in una soluzione e collegati fra loro.




                                                   25
Fig. 4.1. Cella elettrochimica. I due elettrodi sono sede delle reazioni di ossidazione (anodo) e riduzione
 (catodo). Gli ioni contenuti nel mezzo migrano verso gli elettrodi mentre gli elettroni scambiati nella
                                redox determinano il potenziale di cella.




 Fig. 4.2. Diverse celle elettrochimiche costituite da diverse coppie redox. La differenza di potenziale
                                      (ddp) è il potenziale di cella.


Una reazione è descritta dalla funzione energia libera ∆G, che è negativo per reazioni spontanee o
favorite, viceversa è negativo per reazioni non spontanee:




Per cui ∆G è proporzionale al potenziale di cella E (∆G ∝ -E) secondo la relazione:


                                              ∆ G = − nFE
                              con n= numero di moli di elettroni coinvolti
        F= costante di Faraday (96.485kC/mol) è la carica portata da una mole di elettroni


Ne consegue, sostituendo nella prima relazione:


                                                    26
La relazione prende il nome di equazione di Nernst:




Il parametro E° è il potenziale standard di cella, ovvero il potenziale misurato in condizioni in cui
la concentrazione di ciascuno ione è di 1mole/litro (1 molare) alla pressione di 1atm e 25°C
(condizioni standard). Poiché non è possibile misurare il potenziale di un solo elettrodo, si è
assegnato, arbitrariamente, un valore di riferimento E°=0 per l’elettrodo standard ad idrogeno
(ESI).




     Fig. 4.3. Elettrodo standard ad idrogeno. A sinistra, come viene misurato il potenziale della
                                 semireazione Zn2+/Zn (E°=-0.76V).


Per convenzione le semi-reazioni redox (reazione di riduzione o di ossidazione) sono riassunte e
ordinate come reazioni e potenziali di riduzione, in funzione del potenziale di riduzione standard
(2H+ + 2e- → H2) preso come riferimento con potenziale elettrochimico E0=0.00V. Ne risulta che la
semireazione in cima alla tabella rappresenta quella che avviene più facilmente rispetto a quella


                                                  27
posizione in fondo alla serie. Ovvero, la semireazione in cima alla serie rappresenta al coppia redox
(F2/F-) che tende a ridurre il fluoro (F2) a fluoruro (F-).



                                                              Ag+/Ag E°=0.80V
                                                              Cu2+/Cu E°=0.15V

                                                              Per cui, Cu si ossida e Ag si riduce.
                                                              La barretta di rame (anodo) rilascia
                                                              ione Cu2+ e simultaneamente si
                                                              ricopre di Ag metallico. Sistemi
                                                              come questi (qui semplificato) sono
                                                              alla    base     dei    processi   di
                                                              elettrodeposizione     dei     metalli
                                                              (ricoprimento di superfici) come la
                                                              placcatura.




Fig. 4.4. Pila Ag+/Ag  Cu2+/Cu.




                                                     28
Fig. 4.5. Serie elettrochimica delle più importanti coppie redox.


Come si vede dalla tabella dei potenziali chimici standard di riduzione, lo zinco è un buon
candidato come metallo per fornire protezione elettrochimica ad altri substrati metallici. Le
possibilità assolutamente peculiari garantite nel processo di rivestimento tramite la zincatura a caldo
derivano da significative doti dello zinco come la notevole affinità con l'ossigeno, la sua forte
elettronegatività ed il basso punto di fusione che agevola la tecnica di immersione prevista dal
processo.
Tali proprietà consentono di mettere a punto rivestimenti continui, di elevato spessore, garantendo
protezione per passivazione (formazione di uno strato di ossido che ricopre il metallo


                                                  29
proteggendolo, meccanicamente, dall’ossidazione), per effetto elettrolitico nonché protezione
meccanica per le proprietà della lega Fe-Zn che si forma nei primi strati della superficie.




 Fig. 4.6. Il pezzo a sinistra è stato zincato e mostra una notevole protezione alla corrosione rispetto al
                                      pezzo di destra, non trattato.


Un materiale che necessita di essere molto protetto dalla corrosione è l'acciaio; ognuno dei metalli
precedenti il ferro nella serie elettrochimica potrebbe essere impiegato come "metallo sacrificale".
Soltanto alcuni metalli, però, se sottoposti a processi metallurgici, sono in grado di formare
composti intermetallici con il supporto dell'acciaio.
Il materiale più usato per la protezione elettrolitica è di gran lunga lo zinco. Le ragioni di tale scelta
sono talvolta economiche, applicative, oppure possono essere legate alle singole condizioni di
impiego. Lo zinco è infatti l'unico metallo con cui possono essere ottenuti, a costi contenuti,
rivestimenti rispondenti alle condizioni di aderenza, impermeabilità, tenacità e flessibilità, sia per
particolari di pochi grammi che per componenti strutturali di grandi dimensioni.
Nel caso il rivestimento di zinco venga scalfito, la differenza di potenziale che si crea quando zinco
e acciaio entrano in contato preserva la struttura di acciaio a spese dello zinco che si corrode
"sacrificandosi". La protezione rimane attiva su una piccola area anche se il rivestimento non è più
uniforme, perché l'influsso della protezione elettromagnetica funziona anche a una certa distanza.
Può anche capitare che i residui della corrosione dello zinco siano duri e tenaci. Le scalfitture del
rivestimento vengono in genere riempite da ossidi e carbonati di zinco, che rallentano
l'avanzamento del processo corrosivo.




                                                    30
5. LA TAVOLA PERIODICA

Per un chimico o per chi studia chimica, la tavola periodica degli elementi è uno strumento
essenziale ed allo stesso tempo affascinante per la sua semplicità e praticità, che svela una notevole
potenzialità. Il merito di quest’invenzione (1869) si deve a Dmitri Ivanovich Mendeleev (1834–
1907) che dispose gli elementi allora noti, in uno schema di gruppi e periodi (colonne e righe) in
ordine di peso atomico crescente poiché il concetto di numero atomico non era ancora conosciuto.




                   Figura 5.1. Tavola periodica degli elementi di Mendeleev (1869).


Il fatto che il numero atomico (numero dei protoni=uguale al numero degli elettroni, in un elemento
allo stato fondamentale), cresca con il peso atomico ha permesso a Mendeleev di disporre,
inconsapevolmente, gli elementi con il numero di elettroni crescente. La tavola periodica è divisa in
blocchi (colonne) che individuano il tipo d’orbitale che è riempito lungo il periodo (righe).




                                                  31
Blocco d
Blocco s
                                                                                    Blocco p




                                                                                                       Blocco f




                      Figura 5.2. Tavola periodica degli elementi attualmente in uso.


  Il numero del periodo di un elemento corrisponde al numero quantico principale che individua il
  guscio elettronico di valenza dei suoi atomi. Tutti gli elementi di uno stesso gruppo hanno la
  medesima configurazione di valenza con valori crescenti di numero quantico principale.
  La forza straordinaria della tavola periodica risiede nel fatto che la periodicità della configurazione
  elettronica si riflette anche nella periodicità delle proprietà fisiche. Questo ha permesso a
  Mendeleev di prevedere le proprietà d’alcuni elementi mancanti (allora ancora non scoperti) con
  notevole precisione. Ad esempio, considerando i raggi ionici degli elementi, si vede che esso
  decresce da sinistra verso destra lungo un periodo ed aumenta dall’alto verso il basso all’interno di
  un gruppo. Ciò è il risultato dell’aumento dell’attrazione nucleo-elettroni via via che aumenta la
  carica nucleare. Invece, l’aumento all’interno del gruppo è dovuto al fatto che gli elettroni più
  esterni vanno ad occupare livelli che sono disposti via via più lontano del nucleo. Abbiamo già visto
  nel Paragrafo 2.1 come pure l’energia di ionizzazione e l’elettronegatività siano grandezze che
  variano in modo periodico all’interno della tavola degli elementi.
  Elementi dello stesso blocco possiedono proprietà chimiche simili fra loro. Ad esempio, i metalli
  alcalini (Li, Na, K, ecc.) o alcalino-terrosi (Be, Mg, Ca, ecc.) del blocco s, hanno bassi valori di
  energia di ionizzazione rendendoli molto reattivi man mano che si scende nel gruppo (i metalli di
  questo gruppo reagisco violentemente con l’acqua.




                                                    32
La facilità con la quale si possono preveder le caratteristiche chimiche degli elementi è sostenuta
dalla presenza di relazioni diagonali: una similitudine tra gli elementi adiacenti in diagonale nella
tavola periodica, che si osserva soprattutto negli elementi posti nella parte sinistra della tavola.




                                                   33
6. LA NOMENCLATURA

I composti chimici hanno generalmente due nomi: un nome comune che è quello di uso
“quotidiano” che non da informazioni sulla composizione della molecola (es. sale); nome
sistematico è un nome che indica quali elementi sono presenti nella molecola e che è definito in
base a precise norme e regole (es. cloruro di sodio secondo IUPAC).
I composti chimici sono comunemente suddivisi in: composti organici ed inorganici. I primi
contengono essenzialmente carbonio, idrogeno ed ossigeno a formare idrocarburi (alcani, alcheni,
alchini, comporti aromatici, ecc.). Tutti gli altri, sono detti inorganici. Composti semplici contenenti
carbonio ed ossigeno come l’anidride carbonica (nome sistematico=biossido di carbonio, CO 2) sono
trattati come inorganici.
Per lo scopo di questa guida, si farà riferimento ai soli composti inorganici.
In generale, gli elementi si suddividono in metalli e non metalli che possono formare molecole che
rientrano in classi ben definite:


                    + idrogeno         Idruro del metallo             NaH Idruro di sodio
                                                                 Ca(OH)2 idrossido di calcio (calce
                   + idrogeno +
                                        Idrossido o base                         “spenta”)
METALLO              ossigeno
                                                                  NaOH idrossido di sodio (soda)
                                         Ossido (ossido
                    + ossigeno                                  CaO ossido di calcio (calce “viva”)
                                             basico)

                                         Idruro del non
                    + idrogeno                                          HCl acido cloridrico
                                             metallo
   NON             + idrogeno +
                                       Ossiacido o acido               H3PO4 acido fosforico
METALLO              ossigeno
                                        Anidride (ossido        CO2 anidride carbonica, biossido di
                    + ossigeno
                                             acido)                              carbonio

Molto importante, per scrivere le formule chimiche e/o ricavare il nome da esse, è conoscere la
valenza (stato di ossidazione) degli elementi in gioco. Un semplice esempio, può spiegare meglio di
molte parole:
                              OSSIDO FERRICO                        Fe2O3
Fe (Ferro)      ha valenza 2 o 3      in questo caso –ico, valenza max (3)
O (Ossigeno) ha valenza 2

                                                  34
Fe                  O            Per saturare le valenze di
                                                              entrambi       gli   elementi,    è
                                                              necessario utilizzare 2 atomi di
                                                 O            Fe, 3 atomi i O.
                             Fe                               I coefficienti stechiometrici sono,
                                                              “uno la valenza dell’altro”
                                                 O

A grandi linee, le regole che determinano la nomenclatura sono facilmente comprensibili con gli
esempi che con le parole!

6.1 CATIONI
Si premette il nome “ione” al nome dell’elemento (es. ione sodio, Na+; ione alluminio, Al3+) nel
caso l’elemento abbia un solo stato di ossidazione caratteristico. Infatti, elementi del Gruppo I della
tavola periodica (metalli alcalini) hanno carica ionica caratteristica +1, per metalli alcalino-terrosi
(Gruppo II) +2. Se un elemento può formare più di un tipo di catione (es. rame, Cu+ e Cu2+) si indica
il numero dello stato di ossidazione (es, ione rame I oppure ione rame II). Tuttavia, un vecchio
sistema ancora in uso e più incisivo prevede l’introduzioni di suffissi o desinenze: nel nostro
esempio ione rame I diventa ione rameoso, ione rame II diventa ione rameico (desinenza –oso per
lo stato di ossidazione basso, desinenza –ico per lo stato d’ossidazione più alto).


                             Elemento Ione
                                      Co2+ Cobaltoso Cobalto II
                              Cobalto
                                      Co3+ Cobaltico Cobalto III
                                      Fe2+  Ferroso   Ferro II
                               Ferro     3+
                                      Fe     Ferrico  Ferro III
                                            Mercuros
                                      Hg2+           Mercurio II
                             Mercurio           o
                                      Hg3+ Mercurico Mercurio III


6.2 ANIONI
Per gli anioni ci sono da fare vari distinguo.
Per gli ioni monoatomici, si aggiunge il suffisso –uro alla redice del nome dell’elemento.


                             Elemento Radice       Ione
                                                                        AL




                              Fluoro  Fluor- Ione fluoruro F-

                                                  35
Cloro      Clor- Ione cloruro Cl-        O
                               Bromo      Brom- Ione bromuro Br-
                                                                        G
                                                                        E
                                                                        N
                               Iodio       Iod-       Ione ioduro I-
                                                                        U
                                                                        R
                                                                        I

Più condizioni sono necessarie per gli ossianioni (anioni con almeno un atomo di ossigeno). In
generale si aggiunge alla radice del nome dell’elemento diverso dall’ossigeno, il suffiso –ato: ione
carbonato CO32- (carbonio, C), ione solfato SO42- (zolfo, S).
Tuttavia, gli elementi che costituiscono gli ossianioni (carbonio, ma ancora meglio zolfo, cloro,
ecc.) possono avere vari numeri di valenza caratteristici che determinano diversi tipi di ossianioni.
                                        Elemento   Valenza
                                        Azoto N      +3, +5
                                        Cloro Cl +1, +3, +5, +7
                                         Zolfo S     +4, +6
                                       Cobalto Co    +2, +3

Si aggiunge il suffisso –oso per la valenza più bassa, mentre per la valenza più alta si aggiunge –ico.



6.3 ACIDI
L’acido solforico, H2SO4, proviene dall’ossianione solfato SO42-, che è ricavato dall’anidride
solforica SO3 utilizzando la valenza 6 dello zolfo. Quindi per scrivere gli acidi (es. acido solforico):
S (valenza 4, 6) utilizzo 6   S2O6 che è semplificato in SO3 perché si costruisce secondo lo
schema:


                                O
                                                  S              O
                                                  O




Alla SO3 “sommo” H2O ed ottengo H2SO4.


                                                   36
Il caso del cloro è ancora più istruttivo, in quanto l’elemento possiede 4 valenze diverse: +1, +3, +5,
+7. se si utilizza la più bassa (+1) alla radice dell’elemento si antepone ipo- e si aggiunge il suffisso
–oso (ipocloroso); se si utilizza la valenza più alta (+7) alla radice dell’elemento si antepone per- e
si aggiunge il suffisso –ico (perclorico).


                      Valenza        Ossido o anidride                   Acido
                                       Anidride                         Acido
              Cloro      +1      Cl2O                          HClO
                                       ipoclorosa                    ipocloroso
                         +3      Cl2O3 Anidride clorosa        HClO2 Acido cloroso
                Cl       +5      Cl2O5 Anidride clorica        HClO3 Acido clorico
                         +7      Cl2O7 Anidride perclorica     HClO4 Acido perclorico


6.4 BASI
Abbiamo visto che le basi si formano quando i metalli si combinano con idrogeno ed ossigeno. In
particolare, idrogeno ed ossigeno si legano a formare lo ione ossidrile OH- che ha valenza 1. Quindi,
quando si lega con i metalli del Gruppo I uno ione metallico si combina con uno ione ossidrile.


          Basi con elementi del Gruppo I        Basi con elementi del Gruppo II
        NaOH     idrossido di sodio (soda)  Ca(OH)2 idrossido di calcio (calce “spenta”)
        KOH idrossido di potassio (potassa) Ba(OH)2 idrossido di bario (acqua di barite)

Gli elementi del Gruppo II, invece, hanno valenza 2 per cui due ioni ossidrili devono combinarsi
con uno ione metallico a dare la base corrispondente.




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  • 1. 1
  • 2. INDICE Introduzione pag. 1 1. La materia pag. 2 1.1 Il modello di Rutherford pag. 3 1.2 Il modello di Bohr pag. 5 1.3 Il modello quantistico pag. 5 1.4 La configurazione elettronica degli atomi pag. 9 1.5 La mole pag. 10 2. Il legame chimico pag. 11 2.1 L'elettronegatività ed il legame ionico pag. 13 2.2 Il legame covalente pag. 16 3. Equilibri chimici pag. 19 3.1 Concetto di equilibrio pag. 18 3.2 Acidi e basi pag. 21 4. Le reazioni di ossido-riduzione (redox) pag. 25 4.1 Stato di ossidazione pag. 25 4.2 Ossidante e riducente pag. 26 4.3 Elettrochimica pag. 26 5. La tavola periodica pag. 32 6. La nomenclatura pag. 35 6.1 Cationi pag. 36 6.2 Anioni pag. 36 6.3 Acidi pag. 37 6.4 Basi pag. 38
  • 3. INTRODUZIONE ALLA GUIDA DI CHIMICA È risaputo che in Italia, nonostante gli illustri scienziati del passato e del presente, non c’è una grande e profonda cultura scientifica. Diffusa in tutti gli strati della società, questa lacuna è figlia di uno studio precario, senza passione e con scarsi mezzi che ognuno di noi ha subito negli del periodo scolastico. Scarsa conoscenza procura una cattiva considerazione di ciò che non capiamo della scienza e delle sue scoperte d’ogni giorno. Così pure anche la chimica, con i suoi nomi strampalati, le sostanze pericolose, teorie e regole difficili, un linguaggio che assomiglia ad una vera e propria lingua; tutto ciò fa sì che sia la facoltà di chimica sia quella che annovera i corsi universitari tra i meno seguiti. Forse è arrivato il tempo di risolvere questa situazione, cercando di conquistare la gente comune portandoli a conoscere gli aspetti più affascinanti della chimica, incominciando con entusiasmo dalle scuole e dagli adulti di domani. Ma che cos’è la chimica? Per definizione è la scienza che studia le trasformazioni della materia. Questa semplice definizione nasconde un vasto universo che coinvolge diverse discipline che si sovrappongo. Non esiste, infatti, una “sola chimica”, ma la chimica analitica, la chimica- fisica, teorica, organica, inorganica, ecc. Questo sta ad indicare come il concetto di materia e natura si sia evoluto di pari passo con il progresso tecnologico che offre, ogni giorno, nuovi strumenti e stimola nuovi traguardi da raggiungere. Lo scopo di questa guida è quello di presentare i concetti basi della chimica in maniera più semplice, corretta e completa possibile. Un primo piccolo passo, per incominciare a camminare incontro alla chimica ed alla sua scienza, e per imparare a muoversi dentro il vastissimo laboratorio chimico che è il nostro mondo. 1
  • 4. LA MATERIA La materia è costituita da atomi, che aggregati insieme formano una molecola. Nel corso dei secoli la filosofia e la scienza hanno continuamente cercato di carpire i segreti della materia e allargare la visione dell’infinitamente piccolo, come una sfida continua dell’uomo verso la Natura. Oggi, con il progresso scientifico e tecnologico possiamo, nel vero senso della parola, guardare in faccia agli atomi (con la microscopia elettronica e le applicazioni informatiche); gli esperimenti complessi di fisica della materia, inoltre, hanno permesso la scoperta di particelle ancora più piccole (sub- atomiche) il cui studio è, ad oggi, portato avanti per le sue applicazioni astrofisiche (come la comprensione di fenomeni stellari e del Big Bang) che, tuttavia, esulano dall’interesse di questo corso. La conoscenza della struttura dell’atomo è importante per poi procedere, dal basso verso l’alto, alla comprensioni dei vari fenomeni chimici. Partendo dal XIX secolo, sono stati proposti vari modelli atomici. Anche se alcuni di questi sono stati invalidati perché non confermati dalle evidenze sperimentali, è da sottolineare che non sono stati soppiantati completamente, ma rivisti e corretti per confermare, ogni volta, le prove sperimentali. Il punto di svolta è avvenuto con l’introduzione della meccanica quantistica che ha introdotto un concetto del tutto nuovo e diverso della meccanica detta “classica”, basata sulle leggi di Newton. Una atomo è costituito da un nucleo di protoni (carica elettrica positiva, +1.60x10-19 Coulomb) e da neutroni (carica elettrica neutra), presenti in numero uguale. Il numero di protoni è indicato come numero atomico Z, mentre con numero di massa A, si indica il numero di protoni+numero di neutroni. Attorno al nucleo girano confinati in zone dello spazio definite, gli elettroni (carica elettrica negativa, -1.60x10-19 Coulomb). Fig. 1.1. Nucleo atomico 2
  • 5. La massa di un elettrone è circa 1836 volte più piccola di quella del protone, rispettivamente pesano 9.109x10-28g e 1.627x10-24g. Il neutrone pesa 1.6482x10-24g. Allo stato fondamentale, un atomo neutro per cui il numero di protoni è uguale al numero degli elettroni. Quando particolari condizioni rendono l’atomo ricco di elettroni, diventa un anione (ione a carica elettrica globale negativa). Diversamente, se l’atomo perde elettroni, la carica totale diventa positiva per il catione (ione positivo). Tutti gli atomi di un elemento non sono uguali. Infatti, la massa determinata per un elemento è data dalla distribuzione degli isotopi che lo compongono. Un isotopo è un atomo che ha lo stesso numero atomico (Z, numero di protoni), ma differenti masse atomiche (Z, protoni+neutroni). Quindi, isotopi diversi di uno stesso elemento differiscono per il loro numero di neutroni. Un elemento è una miscela di isotopi ciascuno con una sua abbondanza caratteristica. 1.1 IL MODELLO DI RUTHERFORD Un modello di atomo fu descritto dal fisico inglese Ernest Rutherford nel 1911 ed è noto, per la particolare struttura ipotizzata, “modello a sistema solare”. La struttura estremamente semplice è tuttora utilizzata per introdurre alla conoscenza della struttura atomica anche se è obsoleta non corretta. Un atomo elettricamente neutro, è costituito da un nucleo carico positivamente contenente protoni( carica positiva) e neutroni (carica neutra), circondato da elettroni (carica negativa) in moto attorno ad esso. Fig. 1.2. Modello atomico di Rutherford. Rutherford utilizzò le leggi della meccanica classica (sviluppate da Sir Isaac Newton) per illustrare dal punto di vista fisico, il suo modello atomico. Il cardine del modello di Rutherford risiede nel postulato che gli elettroni di un atomo possono occupare una delle infinite orbite. Evidenze sperimentali hanno, successivamente, portato ad individuare alcune imperfezioni confermate dalle evidenze sperimentali. 3
  • 6. Poiché l’elettrone si muove su orbite circolari, secondo le leggi della elettrodinamica classica della conservazione dell’energia, dovrebbe cambiare la velocità di rivoluzione, la sua direzione o emettere una radiazione. Questo implicherebbe che ogni atomo è instabile in condizioni normali, osservazione assolutamente sbagliata. Fig. 1.3. Secondo il modello di Rutherford, gli elettroni dovrebbero collassare verso il nucleo o emettere radiazione per conservare l’energia del sistema. La prova più significativa che portò al fallimento del modello di Rutherford fu l’osservazione di bande spettroscopiche di alcuni elementi gassosi. Infatti, alcuni gas a basse pressioni emettono luce in forma di bande di lunghezza d’onda discrete anche nel campo del visibile. Questa osservazione ha portato a considerare l’orbita degli elettroni non distribuita in modo casuale nello spazio sub- atomico ma localizzata a distanza precise, associata ad una determinata energia di livello. Infatti, se gli elettroni sono orbitanti in maniera libera attorno al nucleo, la luce emessa dovrebbe coprire l’intero campo di radiazioni elettromagnetiche. Bohr Fig. 1.4. In alto è rappresentato lo spettro di radiazioni nel campo del visibile. Sotto, le bande di emissione per l’idrogeno. Le bande corrispondono a transizioni elettroniche degli elettroni da orbite con determinati valori di energia. 4
  • 7. 1.2 IL MODELLO DI BOHR Le bande osservate, inoltre, sono caratteristiche per ogni elemento poiché corrispondono alle transizioni di ogni elemento che contiene un numero preciso e diverso di elettroni che occupano, ognuno, diversamente i livelli energetici dell’atomo. Per rispondere alle domande che il modello di Rutherford lasciava senza risposta, fu sviluppato un nuovo modello dal fisico danese Niesl Bohr che propose la teoria della quantizzazione dell’energia. Ogni elettrone può occupare solo una certa orbita associata ad un valore preciso di energia. Quando gli elettroni acquistano o cedono energia vanno ad occupare altri livelli energetici mediante transizioni pari alla differenza di energia tra i livelli. Bohr interpretò le bande di emissione dei gas come il prodotto delle transizioni elettroniche tra i livelli. Fig. 1.5. L’interpretazione di Bohr delle bande spettroscopiche sta alla base del suo modello atomico . Tuttora l’interpretazione di Bohr è ancora valida, sebbene riveduta e corretta con la teoria della meccanica quantistica. 1.3 IL MODELLO QUANTISTICO Schrodinger e Heisenberg gettarono le basi teorie di un nuovo strumento matematico: la Meccanica Quantistica (MQ) od ondulatoria. Già nel 1923 De Broglie aveva postulato ad una particella un dualismo onda–corpo, associando ai corpi una caratteristica propria delle onde elettromagnetiche, la lunghezza d’onda λ, secondo l’espressione: 5
  • 8. h λ = h= Costante di Planck pari a 6.6262*10-34 J s m*v Fig. 1.6. Schröndiger Questo dualismo servì come base teorica della meccanica quantistica che descrive l’elettrone con una funzione d’onda Ψ, che descrive l’orbitale (porzione di spazio: x,y,z) in cui altamente probabile che si trovi. Il concetto di probabilità della MQ è essenziale, ed è totalmente differente da quanto ci si aspetta dalla MC, da come si ricava dal Principio d’indeterminazione di Heisemberg: h ∆ x∆ p ≥ 4π che mette in luce che le informazioni sulle particelle non possono essere completamente certe. Ad esempio, non si può conoscere simultaneamente posizione e velocità degli elettroni. La funzione d’onda descrive l’orbitale specifico per l’elettrone, indicando una porzione di spazio in cui è conservato il momento angolare orbitale, condizione che permette all’elettrone di ruotare attorno al nucleo senza perdere energia, quindi di cadere sul nucleo per attrazione elettrostatica. Ne consegue che l’elettrone può occupare determinati orbitali ricavati dalla risoluzione dell’Equazione di Schrodinger: 2m ∇ 2Ψ + ( E − V )Ψ = 0 2 con ∇ 2 =operatore matematico laplaciano o più semplicemente: 6
  • 9. EΨ = Η Ψ 2 con H= − ∇ 2 + V , operatore matematico hamiltoniano 2m Dunque, gli elettroni sono distribuiti attorno al nucleo in zone dello spazio chiamati orbitali. Lo sviluppo dell’equazione di Schrodinger porta ad introdurre alcuni parametri fondamentali per descrivere gli orbitali occupati dagli elettroni: i numeri quantici. L’elettrone, secondo la teoria quantistica è descritto da 4 numeri quantici. Nome Simbolo Valore Significato Principale n 1,2,… Indica il livello e l’energia del livello Azimutale l 0,1,…,n-1 Indica il sottolivello: s, p, d, f,… (o secondario) Magnetico ml l,l-1,…,-l Indica gli orbitali di un sottolivello Spin ms +½,-½ Descrive il momento di rotazione dell’eletrone Fig. 1.7. Orbitali s. Gli orbitali s hanno struttura sferica., il punto nodale (punto in cui la funzione d’onda si annulla e quindi non è possibile trovare l’elettrone) si trova al centro della sfera. Se si considera l’orbitale s di un secondo livello (numero quantico principale, n=2) i nodi sono due. 7
  • 10. Fig. 1.8. Orbitali p Gli orbitali p, bilobati, sono di tre tipi (px, py, pz) secondo l’orientazione lungo gli assi delle nuvole elettroniche con, all’origine degli assi, il nodo. Fig. 1.9. Orbitali d Gli orbitali di tipo d tetralobati, sono di 5 tipi: dxy, dyx, dxz, dx2-y2 e dz2 e rivestono molta importanza nella chimica dei metalli di transizione. 8
  • 11. Fig. 1.10. La meccanica quantistica ha portato a considerare gli orbitali come porzioni di spazio con una particolare geometria. Osservando la figura 1.10 si vede chiaramente come sia cambiato radicalmente il modello atomico dal primo modello di Rutherford. Tuttavia, è interessante sottolineare che proprio il modello di Rutherford sta alla base di tutte le teorie e modelli sviluppati successivamente. 1.4 LA CONFIGURAZIONE ELETTRONICA DEGLI ATOMI Ad esclusione dell’idrogeno, tutti gli atomi possiedono più di un elettrone, ovvero sono atomi multielettronici. L’impossibilità di risolvere l’equazione di Schrodinger in modo esatto ha portato i teorici ad applicare le soluzioni per l’atomo di idrogeno applicato agli elementi multielettronici con adeguate approssimazioni ed adattamenti. Diversamente da un atomo che possiede un solo elettrone, gli altri elementi vedono fenomeni di attrazione nucleo-elettrone in competizione con altri fenomeni di schermatura della carica nucleare fra gli elettroni degli altri livelli ed orbitali, ridimensionando la carica efficace nucleare. Questo comporta la distribuzione, su una scala di energie, dei livelli e degli orbitali atomici. Successive scoperte hanno permesso di conoscere in quale maniera gli atomi dispongono gli elettroni per riempire gli orbitali. Il principio di esclusione di Pauli costituisce una regola fondamentale in questo ambito. Esso afferma che un orbitale non può essere occupato da più di due elettroni, e che questi devono avere spin appaiato. Lo spin è una proprietà dell’elettrone che consiste nella rotazione dello stesso attorno al proprio asse, come avviene per la Terra. Dopo evidenze sperimentali, l’esperimento di Stern-Gerlach ha permesso di confermare la proprietà di spin e di assegnare all’elettrone un numero quantico di spin. Infatti, facendo passare un fascio di elettroni attraverso un campo magnetico disomogeneo, si è rivelato su una lastra fotografica posta in uscita dal campo lo sdoppiamento del fascio stesso. L’elettrone possiede solo due stati di spin: +½ (↑) e -½ (↓), poiché lo spin può avere due sensi di orientazione(orario, antiorario). CAMPO MAGNETICO FASCIO LASTRA ELETTRONICO FOTOGRAFICA Fig. 1.11. Rappresentazione dell’esperimento di Stern-Gerlach. Il fascio di elettroni viene sdoppiato al passaggio nel campo magnetico disomogeneo. 9
  • 12. La configurazione elettronica di minima energia è prevista dal procedimento dettato dal principio di Aufbau che consente di determinare la configurazione in base all’energia cinetica degli elettroni, alla loro attrazione da parte del nucleo e dalla loro repulsione reciproca. 1s < 2s < 2p < 3s < 3p < 4s < 3d per elementi con 1 < Z < 20 1s < 2s < 2p < 3s < 3p < 3d < 4s < 4p < 5s < 4d per elementi con Z < 20 1.5 LA MOLE Date le ridotte dimensioni e pesi dell’atomo e delle molecole, quando si parla di quantità di materia, non è pratico utilizzare le normali unità di misura come i grammi. Per ovviare a questo inconveniente è stato introdotto il concetto di mole, che rappresenta l’unità di massa utilizzata in chimica. Per definizione, una mole corrisponde ad un numero di atomi o molecole contenute in esattamente 12g di uma (unità di massa atomica). L’uma è 1/12 della massa dell’atomo di carbonio- 12, e pesa esattamente: 1uma=1.6605x1024g. Quindi, la massa del carbonio-12 è 12 x 1uma=12 x 1.6605x1024g= 1.9926x1023g. Ne deriva che 1 mole contiene: 12g atomi di carbonio/1.9926x1023g=6.022x1023 particelle. Questo numero è chiamato numero di Avogrado (NA), in onore dello scienziato Lorenzo Romano Amedeo Carlo Avogadro, conte di Quaregna e Cerreto (1776-1856). 10
  • 13. 2. IL LEGAME CHIMICO Si è visto, dunque, che la meccanica quantistica e tutta la sua teoria è uno strumento potente ed estremamente complesso che permette di descrivere molto bene l’atomo e la sua struttura. Ma non finisce tutto qui! La teoria permette anche di razionalizzare i meccanismi di formazione dei legami tra gli atomi. Il legame chimico è visto come una operazione matematica di somma algebrica delle funzioni d’onda dei singoli orbitali atomici (OA) che si combinano per dar gli orbitali molecolari (OM), che sono sempre porzioni di spazio in cui è probabile trovare gli elettroni, ma distribuiti nella molecola. L’operazione matematica che permette la costruzione degli orbitali molecolari è rappresentata dalla sovrapposizione delle nuvole elettroniche degli OA. In particolare, i lobi degli orbitali p e d, convenzionalmente, sono polarizzati + e -. Gli orbitali s, essendo sferici, hanno una sola polarizzazione. La sovrapposizione degli orbitali può quindi avvenire tra lobi con lo stesso segno o con segni opposti. Nel primo caso, l’orbitale molecolare risultante è detto di legame (bonding MO), viceversa, nel secondo caso si ottiene un OM di anti-legame (anti-bonding MO) ad energia più elevata. Fig. 2.1. Schema degli orbitali molecolari e distribuzione energetica. Ad ogni OM di legame si contrappone uno di anti-legame. 11
  • 14. Il legame che nasce dalla combinazione di due orbitali s è indicato con σ, come pure quello tra due orbitali px (sovrapposizione frontale dei lobi). Gli orbitali py e pz possono solo combinarsi per sovrapposizione laterale formando un legame indicato con π. Fig. 2.2. Schema legame π. La combinazione degli OA non è casuale, ma risponde a precise regole di simmetria che fa in mode tale che solo orbitali con identica classe di simmetria possono combinarsi. Il legame chimico tra due atomi può essere paragonato ad una molla che tiene unite due sfere (gli atomi). Infatti, come una molla, il legame oscilla attorno ad un valore di lunghezza di legame preciso per ogni coppia di atomi senza spezzarsi. Questo comportamento è descritto da una curva di energia potenziale del tutto analoga a quella delle molle, nella quale al di sopra di una certa distanza il legame (la molla) si spezza. La lunghezza tipica di legame equivale a quella corrisponde al punto di minimo della curva di energia potenziale. Fig.2.3. Curva di energia potenziale per il legame tra due atomi di idrogeno . 12
  • 15. 2.1 L’ELETTRONEGATIVITÀ ED IL LEGAME IONICO Il legame ionico è l’attrazione che si stabilisce per effetto delle cariche opposte di cationi ed anioni, ma prima è necessario definire il potenziale di ionizzazione e l'affinità elettronica. Fig. 2.4. Le cariche opposte delle nuvole elettroniche si attraggono secondo la forza di Coulomb. Il potenziale di (prima) ionizzazione (P.I.) è l'energia minima necessaria per allontanare un elettrone di un atomo a distanza infinita dal suo nucleo. L'unità di misura del P.I. è l'eV (elettronvolt): 1eV=1.6 x 10-19 Joule =3.82 x 10-20 cal. Fig.2.5. Distribuzione del potenziale di prima ionizzazione per alcuni elementi. Si può notare la periodicità dell’andamento all’interno della tavola periodica. Per convenzione si considera positiva l'energia fornita al sistema. Osservando la tavola periodica, si vede come questo parametro abbia un andamento preciso all’interno dei gruppi e dei periodi che contengono gli elementi. La diminuzione del P.I. all'interno di un gruppo (colonna) è facilmente comprensibile considerando che procedendo dall'alto in basso cresce la distanza dell'elettrone dal nucleo. Inoltre, la schermatura degli elettroni più interni si fa sentire negli elementi con alto numero 13
  • 16. atomico. L'aumento del P.I. lungo un periodo (riga) si spiega considerando che procedendo da sinistra a destra aumenta la carica del nucleo. Si definisce affinità elettronica (A.E.) l'energia che entra in gioco quando un atomo acquista un elettrone. I valori dell'A.E. sono noti solo per pochi elementi a causa della difficoltà di determinazione sperimentale. L'A.E. assume valori alti e positivi quasi esclusivamente negli alogeni, mentre ha valori bassi o addirittura nulli negli altri elementi (specialmente i metalli alcalini). Gli alogeni hanno una configurazione elettronica esterna s 2p5 che li rende facilmente predisposti ad acquistare un elettrone per assumere la configurazione del gas nobile più vicino, che è una configurazione di particolare stabilità (ottetto). Analogamente, O e S tenderanno ad acquistare due eletrtoni; tuttavia l'A.E. per il 2° elettrone è negativa, a causa della repulsione elettrostatica per l'acquisto di un elettrone da parte di uno ione negativo. I metalli alcalini (Li, Na, K, etc.) hanno basso P.I. con A.E. trascurabile, quindi tenderanno facilmente a perdere un elettrone per diventare ioni mono-positivi (cationi monovalenti). Diversamente, gli alogeni, hanno alti valori di P.I. e di A.E., per cui si assiste alla cattura di un elettrone per diventare ioni mono-negativi (anioni monovalenti). In entrambi i casi, ciò che governa questa tendenza è il fine di raggiungere la configurazione elettronica del gas nobile più vicino: quello che precede, nel caso dei metalli, quello che segue, nel caso degli alogeni. Quando si ha un legame fra due atomi uguali, la coppia di elettroni risulta equamente condivisa fra di essi. Si parla in questo caso di legame covalente puro o omopolare. Quando, invece, il legame si stabilisce fra due atomi diversi, la coppia elettronica risulta spostata (mediamente nel tempo) verso quello che ha maggior affinità elettronica e maggior potenziale di ionizzazione. In tal caso il legame è definito eteropolare. Fig.2.6. Distribuzione delle nuvole elettroniche nei legami chimici. Nel caso del legame eteropolare, una molecola biatomica si comporta come un dipolo, poiché il baricentro delle cariche positive non coincide con quello delle cariche negative. La molecola ha un'estremità con parziale carica negativa e un'estremità con parziale carica positiva. Per dipolo si intende un sistema costituito da due cariche elettriche dello stesso valore assoluto e di segno contrario, poste a distanza "r" fra di loro. Ogni dipolo è caratterizzato da un "momento dipolare", definito da µ= q x r, dove q indica l'intensità della carica. Nel caso di molecole poliatomiche, per 14
  • 17. valutarne la polarità occorre considerare la geometria molecolare. Ad esempio, in CO 2 µ = 0 poiché la molecola ha struttura lineare; in H2O µ ≠ 0 poiché la molecola ha struttura tetraedrica. Il grado di polarità del legame è correlato con una proprietà degli atomi, detta elettronegatività; più esattamente, è in relazione con la differenza di elettronegatività dei due atomi impegnati nel legame. L'elettronegatività può essere definita concettualmente come la tendenza di un atomo ad attrarre verso di sé gli elettroni di legame. Secondo Mulliken, l'elettronegatività può essere espressa come la media del potenziale di ionizzazione e dell'affinità elettronica. Purtroppo la formula di Mulliken consente di valutare l'elettronegatività solo di quegli elementi di cui sia nota l'affinità elettronica che, come abbiamo osservato, sono piuttosto pochi a causa della difficoltà della misura sperimentale di questo parametro. Successivamente, Linus Pauling propose per il calcolo dell'elettronegatività un metodo di più ampia applicabilità, basato sul confronto delle energie di legame in molecole biatomiche. Fig.2.7. Valori di elettronegatività nella tavola periodica, secondo Pauling (foto in alto). 15
  • 18. Come l’affinità elettronica ed il potenziale di ionizzazione, anche l'elettronegatività è una proprietà periodica degli elementi, proporzionale all'A.E. e al P.I. Essa tende a diminuire all'interno di un gruppo procedendo dall'alto in basso, e all'interno di un periodo procedendo da destra a sinistra. Dalla differenza di elettronegatività, ΔEN, dei due atomi impegnati in un legame è possibile risalire alla % di carattere ionico del legame. Nella tabella che segue, è riportata la relazione fra questi due parametri. Questa valori sono, tuttavia, approssimativi in quanto ricavati da un'equazione empirica. L’uso è riservato solo per valutare quanto è ionico un dato legame. È da sottolineare che questi valori non possono essere utilizzati nel caso di solidi ionici, in quanto si otterrebbero dei grossi errori di valutazione. 2.2 IL LEGAME COVALENTE Quello covalente è un legame caratterizzato dalla condivisione di una o più coppie di elettroni tra atomi. In questo modo, gli atomi possono completare gli orbitali esterni (di valenza) con gli elettroni condivisi. Il legame covalente si forma preferibilmente tra atomi che possiedono un valore comparabilmente elevato di elettronegatività. Diversamente da quanto accade per il legame ionico, quello covalente è un legame fortemente orientato: possiede una determinata geometria, lunghezza, angoli ed energia. 16
  • 19. Fig.2.8. Esempi di tipiche lunghezze di legame. Lo studio del legame covalente partì da Gilbert N. Lewis che introdusse la notazione conosciuta con il suo nome nella quale gli elettroni dello strato esterno (valenza) sono rappresentati come punti disposti attorno. Fig.2.9. Esempi di notazione di Lewis. Sebbene la rappresentazione di Lewis sia immediata e di facile comprensione, successivi studi di meccanica quantistica sono stati necessari per andare più a fondo nell’interpretazione del legame covalente. Furono Heitler and London che formularono la prima spiegazione quanto-meccanica del legame nella molecola di idrogeno H2, assumendo che un legame è formato per effetto di una sovrapposizione degli orbitali atomici. Le coppie di elettroni condivise possono essere anche più di una, formando un legame con un ordine superiore a 1. L’ordine di legame è un termine utilizzato per descrivere il numero di coppie di elettroni condivisi tra gli atomi. Il legame singolo (ordine=1) è frutto della condivisione di 1 coppia elettronica. Ad esempio, nell’etene CH2=CH2, il legame C-C è di ordine 2, mente nell’acetilene CH≡CH l’ordine è 3. ordini superiori sono molto rari. 17
  • 20. 3. EQUILIBRI CHIMICI 3.1 CONCETTO DI EQUILIBRIO L’equilibrio chimico è presente in moltissime applicazioni anche industriali; pertanto conoscerne i principi generali è di estrema utilità per comprendere altre reazioni chimiche di grande interesse come la reazione di sintesi di sintesi dell’ammoniaca (processo Born-Haber): N2 + 3H2 → 2NH3 Questa reazione, ad elevata temperatura, porta alla reazione inversa, di decomposizione: 2NH3 → N2 + 3H2 Si verifica, in particolari condizioni, una situazione nella quale le due reazioni decorrono con la medesima velocità, instaurando l’equilibrio: N2 + 3H2 ↔ 2NH3 Per tale motivo, è necessario trovare le condizioni operative più opportune per favorire la formazione di ammoniaca in maniera più favorevole possibile (temperatura, pressione, catalisi, ecc.). Matematicamente, la situazione è descritta dalla costante di equilibrio. Per una generica reazione: aA + bB ↔ cC + dD le concentrazioni all’equilibrio devono soddisfare la relazione: C c × Dd Kc= costante di equilibrio = Aa × B b Dal punto di vista matematico, la costante di equilibrio non è altro che il rapporto delle equazioni di velocità di formazione dei prodotti su la velocità di decomposizione dei reagenti: 18
  • 21. v’= k’ [C]c[D]d Cc × Dd v’/v”= (k /k”) × a ’ A × Bb v”= k” [A]a[B]b Ogni reazione possiede una costante di equilibrio caratteristica il cui valore è funzione della temperatura (Kc è costante a temperatura costante). Qualunque sia la composizione della miscela di reazione, essa tende all’equilibrio dettato dal valore di Kc. Un valore superiore all’unita della Kc indica che l’equilibrio è favorito verso i prodotti; diversamente, se la costante inferiore ad 1, la miscela di equilibrio contiene in misura maggiore i reagenti. Fig. 3.1. Esempi di reazioni controllate da equilibrio. Fino ad ora le costanti sono state calcolate considerando le concentrazioni di reagenti e prodotti. Se la reazione coinvolge, ad esempio, dei gas si può esprimere la costante in funzione delle pressioni ( PNH 3 ) 2 parziali, calcolando quindi una Kp: N2 (g) + 3H2(g) ↔ 2NH3(g) K= Kp = ( PN 2 ) × ( PH 2 ) 3 Nel caso di equilibri eterogenei, ovvero nei quali reagenti e prodotti sono presenti in stati della materia differenti (liquidi, solidi,gassosi), la costante può essere espressa in una forma più semplificata secondo lo stato fisico che è preso in considerazione. Esempio esplicativo è quello che interessa la decomposizione del carbonato di calcio CaCO3: CaCO3 (s)→ CaO (s) + CO2 (g) 19
  • 22. Poiché i solidi hanno concentrazione unitaria, la costante di equilibrio può essere calcolata con la Kp= PCO2. Visto in questo modo, sembra che di fronte ad una reazione all’equilibrio non ci sia modo di intervenire per favorire o meno il decorso di unna reazione. Invece, si deve tener presente che gli equilibri chimici sono dinamici; ovvero è possibile perturbarli in maniera tale da favorire, ad esempio, la formazione dei prodotti. Questo è chiaramente espresso dal principio di Le Chatelier: Quando si varia un parametro attivo su un sistema in equilibrio, questo evolve nel verso in cui tende ad opporsi alla variazione del parametro. Fig. 3.2 Le Chatelier Riprendendo l’esempio della sintesi dell’ammoniaca, poiché la reazione sviluppa calore (è, quindi, esotermica) gli aumenti di temperatura pregiudicano le rese di sintesi: la formazione di ammoniaca è favorita dalle basse temperature. D’altra parte, aumenti della pressione del sistema fanno incrementare le rese per la diminuzione di volume della reazione. Nelle tabelle seguenti sono riassunti alcuni valori della costante di equilibrio alle varie temperature e delle rese in funzione della pressione. % NH3 all’equilibrio T (°C) Kp (atm-2) 10atm 50atm 100atm 600atm 200 6.60*10-1 50.66 74.38 81.54 95.37 400 1.38.6*10-2 3.85 15.27 25.12 65.20 600 1.51*10-3 0.49 2.26 4.52 23.10 3.2. ACIDI E BASI Quanto appreso nel paragrafo precedente si applica agevolmente agli equilibri in soluzione acquosa che coinvolgono acidi e basi. Nella vita di tutti i giorni siamo continuamente a contatto con equilibri acido-base: la Coca Cola è una bevanda fortemente acida per aggiunta di CO 2 (anidride carbonica) nell’acqua contenuta nella bevanda stessa; i saponi sono basici e per tale motivo formano con l’acqua la schiuma che serve a rimuovere lo sporco grasso. Inizialmente, per definire se una molecola o ione si comporta da acido o da base, si ricorre alla definizione di Brønsted-Lowry: 20
  • 23. - Acido: molecola o ione che in soluzione acquosa si comporta come donatore di protoni: HA + H2O ↔ H3O+ + A- HCl + H2O ↔ H3O+ + Cl- H2SO4 + H2O ↔ H3O+ + HSO4- - Base: molecola o ione che in soluzione acquosa si comporta come accettore di protoni: B + H2O ↔ BH+ + OH- NaOH + H2O ↔ H3O+ + OH- NH3 + H2O ↔ NH4+ + OH- Fig. 3.3. Brønsted (a sinistra) eLowry (a destra). Negli equilibri considerati, un acido (HCl) si trova in equilibrio con la sua base coniugata (Cl-); una base (NH3) è in equilibrio con il suo acido coniugato (NH4+). Quella di Brønsted-Lowry risulta essere solo una definizione generale dell’equilibrio acido- base, in quanto considera solo uno scambio di protoni. Esistono, infatti, equilibri che possono essere considerati di neutralizzazione tra acido e base, che però non coinvolgono alcuno scambio di H+: SO3 + CuO ↔ CuSO4 È quindi utile trovare una definizione di acido e base in modo tale da racchiudere tutti gli esempi possibili. La definizione di Lewis soddisfa questa richiesta ed afferma che: - Acido: molecola o ione in grado di accettare una coppia elettronica; - Base: molecola o ione in grado di donare una coppia elettronica; 21
  • 24. Gli equilibri acido-base utilizzati più frequentemente (certamente più utilizzati nella chimica applicata), coinvolgono molecole secondo la definizione di Brønsted-Lowry. Essendo equilibri, sono descritti matematicamente da una costante di equilibrio caratteristica: NH3 + H2O ↔ NH4 + OH + - K= [ NH ] × [OH ]4 + − [ NH 3 ] × [ H 2 O] c Negli esempi proposti sopra si vede come l’acqua può fungere sia da acido che da base, per tale motivo è definita una sostanza anfiprotica, in grado cioè di potendo cedere un protone da una molecola d’acqua ad un'altra. Scrivendo l’equilibrio per l’acqua e la sua relativa costante di equilibrio, si ottiene: H2O + H2O ↔ H3O + OH + - KW = [ H O ] × [OH ] 3 + − = 1x10-14 M2 a 25°C Acido1 base2 base1 acido2 [ H 2 O] 2 [ + − ][ ] che riscritta KW = H 3 O x OH = 1x10-14 M2 a 25°C La costante KW (di autoionizzazione o idrolisi dell’acqua) ed il suo valore sono fondamentali nella trattazione degli equilibri in soluzione acquosa. Infatti, trasformando tutto in termini logaritmici si ottiene: pKW = - logKW = - log (1x10-14) = 14 = pH + pOH Il termine pH è un altro parametro fondamentale nella chimica degli equilibri acido-base, e sta ad indicare il grado di acidità di una soluzione (viceversa, il pOH indica il grado di basicità di una soluzione). Ragionando in termini logaritmici, si ricava che una soluzione è acida se il pH varia da 0 a 6,9 (con pOH varia da 14 a 7.1); viceversa una soluzione basica possiede un pH tra 7.1 e 14 (pOH varia tra 6.9 e 0). Il valore di pH=pOH=7 indica una soluzione neutra. Come per l’acqua, anche tutti gli acidi e le basi conosciute sono state studiate per valutare il loro grado di dissociazione in soluzione acquosa per determinare la propria costate di dissociazione acida (Ka per gli acidi) o basica (Kb per le basi). Dal valore di Ka o di Kb si può stilare una tabella per valutare la scala degli acidi/basi forti e deboli: ACIDO Formula Ka pKa Il più acido Ac. tricloroacetico CCl3COOH 3.0x10-1 0.52 22
  • 25. Ac. Fosforico H3PO4 7.6x10-3 2.12 Ac. Acetico CH3COOH 1.8x10-5 4.75 Il meno acido Ac. Cianidrico HCN 4.9x10-10 9.31 BASE Formula Kb pKb Il meno basico Urea CO(NH2)2 1.3x10-14 13.90 Morfina C17H19O3N 1.6x10-6 5.79 Ammoniaca NH3 1.8x10-5 4.75 Il più basico Etilammina C2H5NH2 6.5x10-4 3.19 Fig. 3.4. Esempi di acidi e basi comuni e del loro pH caratteristico. Acidi come HCl, H2SO4, HNO3 sono acidi forti per i quali non è noto il valore di K a perché la loro dissociazione in acqua è totale. Per il medesimo motivo, NaOH, KOH, CaO sono basi forti che dissociano totalmente in acqua e per le quali non è determinabile la loro Kb. 23
  • 26. 4. REAZIONI DI OSSIDO-RIDUZIONE (REDOX) Nel capitolo precedente si è visto che alcune reazioni chimiche coinvolgono un trasferimento di protoni (H+) e di ossidrili (OH-). Alternativamente, la materia si può trasformare attraverso reazioni con scambio di elettroni da una molecola ad un’altra, come avviene nelle reazioni di ossido- riduzione (dette anche redox). Questo tipo di reazioni sono molto comuni nella normale vita di tutti giorni. Basti pensare che i comuni fenomeni di corrosione non sono altro che reazioni di scambio di elettroni tra metalli con differenti proprietà ossido-riduttive (il potenziale redox). Qualsiasi dispositivo elettronico che funziona a pile, sfrutta una reazione di scambio di elettroni; questa corrente tra due metalli permette il funzionamento di radio, cellulari, calcolatrici, ecc. 4.1 STATO DI OSSIDAZIONE Per comprendere il concetto di ossidazione e riduzione, è utile incominciare da un parametro fondamentale che è lo stato di ossidazione di un elemento. Osservando la tavola periodica,vediamo che gli elementi sono disposti in ordine crescente di numero atomico lungo una riga (periodo). Elementi disposti all’interno di una stessa colonna (gruppo) hanno la medesima disposizione degli elettroni nell’orbitale più esterno. Una regola empirica prevede che un elemento raggiunge la massima stabilità quando possiede 8 elettroni nel livello più esterno come la configurazione elettronica dei gas perfetti, elementi che chiudono la serie di ogni periodo e che sono raggruppati tutti in un unico gruppo (VIII). Quindi, tutti gli altri elementi nell’aggregarsi tra loro a formare le molecole, tendono a raggiungere questo stato che è detto di ottetto. Il numero o stato di ossidazione sta ad indicare quanti elettroni ci sono in più o in meno rispetto alla configurazione elettronica caratteristica di quell’elemento. L’atomo di fluoro (F) possiede 7 elettroni nel livello più esterno e quindi tende a raggiungere l’ottetto prendendo un elettrone. A “complicare” le cose, c’è il fatto che man mano che il numero atomico cresce, aumenta anche la dimensione dell’atomo in maniera tale coinvolgere anche effetti di ionizzazione e polarizzazione che permettono ad un elemento di avere diversi stati di ossidazione possibili. Ad esempio, il cloro (Cl) può avere numero di ossidazione –1, -3, -5, -7. Elementi che sono disposti nella tavoa periodica nei gruppi dei metalli, possono avere numero di ossidazione positivi: magnesio (Mg) solo+2, ferro (Fe) +3, +2. Per tutti gli elementi, allo stato fondamentale il numero di ossidazione è pari a zero. 24
  • 27. 4.2 OSSIDANTE E RIDUCENTE Quindi, in una reazione redox, lo scambio di elettroni avviene da una molecola che contiene un elemento “ricco” di elettroni ad una molecola con un elemento “povero” di elettroni. Un elemento che cede elettroni si ossida, mentre chi riceve gli elettroni si riduce. La reazione di ossido- riduzione avviene sempre tra una coppia redox: chi si ossida (è un riducente) e chi si riduce (è un ossidante): forma ossidata + elettroni → forma ridotta RIDUZIONE forma ridotta → forma ossidata + elettroni OSSIDAZIONE ad esempio: Cu2+ + 2e- → Cu RIDUZIONE Zn → Zn2+ + 2e- OSSIDAZIONE Il rame ione (Cu2+) ha numero di ossidazione +2, come pure lo ione zinco (Zn 2+). La somma delle due semi-reazioni (ossidazione/riduzione): Cu2+ + Zn → Cu + Zn2+ Forma ossidata/Forma ridotta 4.3 ELETTROCHIMICA Richiamando i concetti di equilibrio chimico, se la costante di equilibrio indica la tendenza di una reazione a decorrere verso i prodotti, così anche le reazioni redox hanno una costante di equilibrio che determina quali coppie redox hanno la tendenza maggiore ad ossidarsi o ridursi. Questa tendenza è espressa dal potenziale di cella, l’energia liberata da una reazione redox quando gli elettroni scorrono attraverso il circuito cosituito da due elettrodi (due metalli, uno ossidante e l’altro riducente) immersi in una soluzione e collegati fra loro. 25
  • 28. Fig. 4.1. Cella elettrochimica. I due elettrodi sono sede delle reazioni di ossidazione (anodo) e riduzione (catodo). Gli ioni contenuti nel mezzo migrano verso gli elettrodi mentre gli elettroni scambiati nella redox determinano il potenziale di cella. Fig. 4.2. Diverse celle elettrochimiche costituite da diverse coppie redox. La differenza di potenziale (ddp) è il potenziale di cella. Una reazione è descritta dalla funzione energia libera ∆G, che è negativo per reazioni spontanee o favorite, viceversa è negativo per reazioni non spontanee: Per cui ∆G è proporzionale al potenziale di cella E (∆G ∝ -E) secondo la relazione: ∆ G = − nFE con n= numero di moli di elettroni coinvolti F= costante di Faraday (96.485kC/mol) è la carica portata da una mole di elettroni Ne consegue, sostituendo nella prima relazione: 26
  • 29. La relazione prende il nome di equazione di Nernst: Il parametro E° è il potenziale standard di cella, ovvero il potenziale misurato in condizioni in cui la concentrazione di ciascuno ione è di 1mole/litro (1 molare) alla pressione di 1atm e 25°C (condizioni standard). Poiché non è possibile misurare il potenziale di un solo elettrodo, si è assegnato, arbitrariamente, un valore di riferimento E°=0 per l’elettrodo standard ad idrogeno (ESI). Fig. 4.3. Elettrodo standard ad idrogeno. A sinistra, come viene misurato il potenziale della semireazione Zn2+/Zn (E°=-0.76V). Per convenzione le semi-reazioni redox (reazione di riduzione o di ossidazione) sono riassunte e ordinate come reazioni e potenziali di riduzione, in funzione del potenziale di riduzione standard (2H+ + 2e- → H2) preso come riferimento con potenziale elettrochimico E0=0.00V. Ne risulta che la semireazione in cima alla tabella rappresenta quella che avviene più facilmente rispetto a quella 27
  • 30. posizione in fondo alla serie. Ovvero, la semireazione in cima alla serie rappresenta al coppia redox (F2/F-) che tende a ridurre il fluoro (F2) a fluoruro (F-). Ag+/Ag E°=0.80V Cu2+/Cu E°=0.15V Per cui, Cu si ossida e Ag si riduce. La barretta di rame (anodo) rilascia ione Cu2+ e simultaneamente si ricopre di Ag metallico. Sistemi come questi (qui semplificato) sono alla base dei processi di elettrodeposizione dei metalli (ricoprimento di superfici) come la placcatura. Fig. 4.4. Pila Ag+/Ag  Cu2+/Cu. 28
  • 31. Fig. 4.5. Serie elettrochimica delle più importanti coppie redox. Come si vede dalla tabella dei potenziali chimici standard di riduzione, lo zinco è un buon candidato come metallo per fornire protezione elettrochimica ad altri substrati metallici. Le possibilità assolutamente peculiari garantite nel processo di rivestimento tramite la zincatura a caldo derivano da significative doti dello zinco come la notevole affinità con l'ossigeno, la sua forte elettronegatività ed il basso punto di fusione che agevola la tecnica di immersione prevista dal processo. Tali proprietà consentono di mettere a punto rivestimenti continui, di elevato spessore, garantendo protezione per passivazione (formazione di uno strato di ossido che ricopre il metallo 29
  • 32. proteggendolo, meccanicamente, dall’ossidazione), per effetto elettrolitico nonché protezione meccanica per le proprietà della lega Fe-Zn che si forma nei primi strati della superficie. Fig. 4.6. Il pezzo a sinistra è stato zincato e mostra una notevole protezione alla corrosione rispetto al pezzo di destra, non trattato. Un materiale che necessita di essere molto protetto dalla corrosione è l'acciaio; ognuno dei metalli precedenti il ferro nella serie elettrochimica potrebbe essere impiegato come "metallo sacrificale". Soltanto alcuni metalli, però, se sottoposti a processi metallurgici, sono in grado di formare composti intermetallici con il supporto dell'acciaio. Il materiale più usato per la protezione elettrolitica è di gran lunga lo zinco. Le ragioni di tale scelta sono talvolta economiche, applicative, oppure possono essere legate alle singole condizioni di impiego. Lo zinco è infatti l'unico metallo con cui possono essere ottenuti, a costi contenuti, rivestimenti rispondenti alle condizioni di aderenza, impermeabilità, tenacità e flessibilità, sia per particolari di pochi grammi che per componenti strutturali di grandi dimensioni. Nel caso il rivestimento di zinco venga scalfito, la differenza di potenziale che si crea quando zinco e acciaio entrano in contato preserva la struttura di acciaio a spese dello zinco che si corrode "sacrificandosi". La protezione rimane attiva su una piccola area anche se il rivestimento non è più uniforme, perché l'influsso della protezione elettromagnetica funziona anche a una certa distanza. Può anche capitare che i residui della corrosione dello zinco siano duri e tenaci. Le scalfitture del rivestimento vengono in genere riempite da ossidi e carbonati di zinco, che rallentano l'avanzamento del processo corrosivo. 30
  • 33. 5. LA TAVOLA PERIODICA Per un chimico o per chi studia chimica, la tavola periodica degli elementi è uno strumento essenziale ed allo stesso tempo affascinante per la sua semplicità e praticità, che svela una notevole potenzialità. Il merito di quest’invenzione (1869) si deve a Dmitri Ivanovich Mendeleev (1834– 1907) che dispose gli elementi allora noti, in uno schema di gruppi e periodi (colonne e righe) in ordine di peso atomico crescente poiché il concetto di numero atomico non era ancora conosciuto. Figura 5.1. Tavola periodica degli elementi di Mendeleev (1869). Il fatto che il numero atomico (numero dei protoni=uguale al numero degli elettroni, in un elemento allo stato fondamentale), cresca con il peso atomico ha permesso a Mendeleev di disporre, inconsapevolmente, gli elementi con il numero di elettroni crescente. La tavola periodica è divisa in blocchi (colonne) che individuano il tipo d’orbitale che è riempito lungo il periodo (righe). 31
  • 34. Blocco d Blocco s Blocco p Blocco f Figura 5.2. Tavola periodica degli elementi attualmente in uso. Il numero del periodo di un elemento corrisponde al numero quantico principale che individua il guscio elettronico di valenza dei suoi atomi. Tutti gli elementi di uno stesso gruppo hanno la medesima configurazione di valenza con valori crescenti di numero quantico principale. La forza straordinaria della tavola periodica risiede nel fatto che la periodicità della configurazione elettronica si riflette anche nella periodicità delle proprietà fisiche. Questo ha permesso a Mendeleev di prevedere le proprietà d’alcuni elementi mancanti (allora ancora non scoperti) con notevole precisione. Ad esempio, considerando i raggi ionici degli elementi, si vede che esso decresce da sinistra verso destra lungo un periodo ed aumenta dall’alto verso il basso all’interno di un gruppo. Ciò è il risultato dell’aumento dell’attrazione nucleo-elettroni via via che aumenta la carica nucleare. Invece, l’aumento all’interno del gruppo è dovuto al fatto che gli elettroni più esterni vanno ad occupare livelli che sono disposti via via più lontano del nucleo. Abbiamo già visto nel Paragrafo 2.1 come pure l’energia di ionizzazione e l’elettronegatività siano grandezze che variano in modo periodico all’interno della tavola degli elementi. Elementi dello stesso blocco possiedono proprietà chimiche simili fra loro. Ad esempio, i metalli alcalini (Li, Na, K, ecc.) o alcalino-terrosi (Be, Mg, Ca, ecc.) del blocco s, hanno bassi valori di energia di ionizzazione rendendoli molto reattivi man mano che si scende nel gruppo (i metalli di questo gruppo reagisco violentemente con l’acqua. 32
  • 35. La facilità con la quale si possono preveder le caratteristiche chimiche degli elementi è sostenuta dalla presenza di relazioni diagonali: una similitudine tra gli elementi adiacenti in diagonale nella tavola periodica, che si osserva soprattutto negli elementi posti nella parte sinistra della tavola. 33
  • 36. 6. LA NOMENCLATURA I composti chimici hanno generalmente due nomi: un nome comune che è quello di uso “quotidiano” che non da informazioni sulla composizione della molecola (es. sale); nome sistematico è un nome che indica quali elementi sono presenti nella molecola e che è definito in base a precise norme e regole (es. cloruro di sodio secondo IUPAC). I composti chimici sono comunemente suddivisi in: composti organici ed inorganici. I primi contengono essenzialmente carbonio, idrogeno ed ossigeno a formare idrocarburi (alcani, alcheni, alchini, comporti aromatici, ecc.). Tutti gli altri, sono detti inorganici. Composti semplici contenenti carbonio ed ossigeno come l’anidride carbonica (nome sistematico=biossido di carbonio, CO 2) sono trattati come inorganici. Per lo scopo di questa guida, si farà riferimento ai soli composti inorganici. In generale, gli elementi si suddividono in metalli e non metalli che possono formare molecole che rientrano in classi ben definite: + idrogeno Idruro del metallo NaH Idruro di sodio Ca(OH)2 idrossido di calcio (calce + idrogeno + Idrossido o base “spenta”) METALLO ossigeno NaOH idrossido di sodio (soda) Ossido (ossido + ossigeno CaO ossido di calcio (calce “viva”) basico) Idruro del non + idrogeno HCl acido cloridrico metallo NON + idrogeno + Ossiacido o acido H3PO4 acido fosforico METALLO ossigeno Anidride (ossido CO2 anidride carbonica, biossido di + ossigeno acido) carbonio Molto importante, per scrivere le formule chimiche e/o ricavare il nome da esse, è conoscere la valenza (stato di ossidazione) degli elementi in gioco. Un semplice esempio, può spiegare meglio di molte parole: OSSIDO FERRICO Fe2O3 Fe (Ferro) ha valenza 2 o 3 in questo caso –ico, valenza max (3) O (Ossigeno) ha valenza 2 34
  • 37. Fe O Per saturare le valenze di entrambi gli elementi, è necessario utilizzare 2 atomi di O Fe, 3 atomi i O. Fe I coefficienti stechiometrici sono, “uno la valenza dell’altro” O A grandi linee, le regole che determinano la nomenclatura sono facilmente comprensibili con gli esempi che con le parole! 6.1 CATIONI Si premette il nome “ione” al nome dell’elemento (es. ione sodio, Na+; ione alluminio, Al3+) nel caso l’elemento abbia un solo stato di ossidazione caratteristico. Infatti, elementi del Gruppo I della tavola periodica (metalli alcalini) hanno carica ionica caratteristica +1, per metalli alcalino-terrosi (Gruppo II) +2. Se un elemento può formare più di un tipo di catione (es. rame, Cu+ e Cu2+) si indica il numero dello stato di ossidazione (es, ione rame I oppure ione rame II). Tuttavia, un vecchio sistema ancora in uso e più incisivo prevede l’introduzioni di suffissi o desinenze: nel nostro esempio ione rame I diventa ione rameoso, ione rame II diventa ione rameico (desinenza –oso per lo stato di ossidazione basso, desinenza –ico per lo stato d’ossidazione più alto). Elemento Ione Co2+ Cobaltoso Cobalto II Cobalto Co3+ Cobaltico Cobalto III Fe2+ Ferroso Ferro II Ferro 3+ Fe Ferrico Ferro III Mercuros Hg2+ Mercurio II Mercurio o Hg3+ Mercurico Mercurio III 6.2 ANIONI Per gli anioni ci sono da fare vari distinguo. Per gli ioni monoatomici, si aggiunge il suffisso –uro alla redice del nome dell’elemento. Elemento Radice Ione AL Fluoro Fluor- Ione fluoruro F- 35
  • 38. Cloro Clor- Ione cloruro Cl- O Bromo Brom- Ione bromuro Br- G E N Iodio Iod- Ione ioduro I- U R I Più condizioni sono necessarie per gli ossianioni (anioni con almeno un atomo di ossigeno). In generale si aggiunge alla radice del nome dell’elemento diverso dall’ossigeno, il suffiso –ato: ione carbonato CO32- (carbonio, C), ione solfato SO42- (zolfo, S). Tuttavia, gli elementi che costituiscono gli ossianioni (carbonio, ma ancora meglio zolfo, cloro, ecc.) possono avere vari numeri di valenza caratteristici che determinano diversi tipi di ossianioni. Elemento Valenza Azoto N +3, +5 Cloro Cl +1, +3, +5, +7 Zolfo S +4, +6 Cobalto Co +2, +3 Si aggiunge il suffisso –oso per la valenza più bassa, mentre per la valenza più alta si aggiunge –ico. 6.3 ACIDI L’acido solforico, H2SO4, proviene dall’ossianione solfato SO42-, che è ricavato dall’anidride solforica SO3 utilizzando la valenza 6 dello zolfo. Quindi per scrivere gli acidi (es. acido solforico): S (valenza 4, 6) utilizzo 6 S2O6 che è semplificato in SO3 perché si costruisce secondo lo schema: O S O O Alla SO3 “sommo” H2O ed ottengo H2SO4. 36
  • 39. Il caso del cloro è ancora più istruttivo, in quanto l’elemento possiede 4 valenze diverse: +1, +3, +5, +7. se si utilizza la più bassa (+1) alla radice dell’elemento si antepone ipo- e si aggiunge il suffisso –oso (ipocloroso); se si utilizza la valenza più alta (+7) alla radice dell’elemento si antepone per- e si aggiunge il suffisso –ico (perclorico). Valenza Ossido o anidride Acido Anidride Acido Cloro +1 Cl2O HClO ipoclorosa ipocloroso +3 Cl2O3 Anidride clorosa HClO2 Acido cloroso Cl +5 Cl2O5 Anidride clorica HClO3 Acido clorico +7 Cl2O7 Anidride perclorica HClO4 Acido perclorico 6.4 BASI Abbiamo visto che le basi si formano quando i metalli si combinano con idrogeno ed ossigeno. In particolare, idrogeno ed ossigeno si legano a formare lo ione ossidrile OH- che ha valenza 1. Quindi, quando si lega con i metalli del Gruppo I uno ione metallico si combina con uno ione ossidrile. Basi con elementi del Gruppo I Basi con elementi del Gruppo II NaOH idrossido di sodio (soda) Ca(OH)2 idrossido di calcio (calce “spenta”) KOH idrossido di potassio (potassa) Ba(OH)2 idrossido di bario (acqua di barite) Gli elementi del Gruppo II, invece, hanno valenza 2 per cui due ioni ossidrili devono combinarsi con uno ione metallico a dare la base corrispondente. 37