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News 52/SA/2016
Lunedì, 26 Dicembre 2016
Sistema di Allerta Rapido europeo per Alimenti e Mangimi Pesticidi
Nella settimana n.52 del 2016 le segnalazioni diffuse dal Sistema rapido di allerta
europeo per alimenti e mangimi (Rasff) sono state 81 (13 quelle inviate dal Ministero
della salute italiano).
Tra i lotti respinti alla frontiera si segnalano: notificato dall’Italia per migrazione di
cromo, nickel e manganese e livello troppo alto di migrazione globale da prepara
cappuccino proveniente dalla Cina e per aflatossine in nocciole sgusciate
provenienti dalla Turchia; nonché per arachidi in guscio provenienti dall’Egitto
infestate da larve di insetti (6 morte); notificato dall’Olanda per ocratossina A in
albicocche secche provenienti dalla Turchia; notificato dalla Germania per
aflatossine in pistacchi provenienti dall’Iran; notificato dall’Ungheria per norovirus in
lamponi congelati provenienti dalla Serbia; notificato dal Belgio per aflatossine in
fichi secchi provenienti dalla Turchia; notificato dalla Croazia per deterioramento
delle caratteristiche organolettiche (strano odore) di cibo in conttato con bottiglia
di plastica proveniente dalla Bosnia Erzegovina.
Allerta notificati dall’Italia per: salmonella typhimurium in spezzatino di cinghiale
congelato proveniente dalla Polonia; solfiti non dichiarati in code di gambero rosa
scottate congelate provenienti dal Regno Unito, con materia prima proveniente
dall’India; salmonella enteritidis in anatre eviscerate congelate senza frattaglie
provenienti dall’Ungheria; dimetoato in arance provenienti dall’ Italia; per solfiti non
dichiarati in pasta di acciughe proveniente dall’Italia.
Allerta notificati: dal Regno Unito per latte come ingrediente non dichiarato in
biscotti con scaglie di cioccolato provenienti dagli Usa e per oggetto non
commestibile (piccole batterie a bottone) in cioccolati al latte a forma di santa
provenienti dalla Germania; dall’Irlanda per Listeria monocytogenes in salmone
affumicato proveniente dall’Irlanda; dalla Germania per corpo estraneo (frammenti
di legno) in ajvar (gusto peperone rosso) proveniente dalla Bosnia Erzegovina;
dall’Ungheria per Listeria monocytogenes in filetti di salmone affumicato congelato
(Salmo salar) provenienti dalla Serbia; dall’Austria per Escherichia coli produttrice di
shiga tossina in carne di cervo refrigerata proveniente dall’ Austria.
Nella lista delle informative troviamo notificate: notificata dall’ Italia per salmonella
Saintpaul in filetti congelati di petto di tacchino provenienti dalla Polonia,
Salmonella Livingstone in pasto di carne proveniente dalla Polonia, per aflatossine in
arachidi in guscio provenienti dall’ Egitto, nonché per Salmonella in pasto di carne
proveniente dalla Spagna e per infestazione da parassiti con Anisakis di sgombro
refrigerato (Scomber scombrus) proveniente dalla Francia; notificata dalla Svizzera
per Listeria monocytogenes in salmone refrigerato affumicato proveniente dalla
Germania; notificato dalla Danimarca per clorpirifos in rape provenienti dalla
Francia, via Germania; notificato dalla Lituania per Salmonella in tacchino fresco
tritato proveniente dalla Polonia; notificato dalla Repubblica Ceca per migrazione
di formaldeide da melamina di piatto fondo decorato proveniente dalla Cina; dalla
Norvegia per Vibrio cholerae in gamberetti congelati cotti PUD provenienti
dall’India.
Fonte: rasff.eu
Speciale bisfenolo A (BPA).
Il 6 ottobre 2016 il Parlamento europeo ha approvato con 346 voti a favore e 239
contrari un emendamento alla risoluzione sui materiali destinati a venire a contatto
con gli alimenti per chiedere alla Commissione UE di vietare l’utilizzo di bisfenolo A
(BPA) in tutti i Food Contact Materials (FCM).
Secondo il Parlamento Europeo, le valutazioni condotte dall’Autorità europea per la
sicurezza alimentare (EFSA), nell’ultimo decennio, “non hanno efficacemente
affrontato tutte le preoccupazioni in materia di salute legate a questa sostanza”.
Tale richiesta non è che l’ennesimo tassello di un puzzle che si sta piano piano
delineando e che porterà, con tutta probabilità, all’abbandono di questa sostanza
in ambito MOCA (Materiali ed oggetti a contatto con alimenti) entro i prossimi anni.
Infatti, nonostante l’EFSA abbia confermato con proprio parere del gennaio 2015
che l’esposizione delle persone al bisfenolo A (BPA) attraverso il cibo e altre fonti non
alimentari (polveri, cosmetici e carta termica) si può considerare al di sotto della
dose giornaliera tollerabile (DGT), e non si ravvisano perciò rischi per la salute dei
consumatori, molti Stati europei hanno adottato legislazioni nazionali per la
salvaguardia dei consumatori. Così come in USA, Cina e America meridionale.
Rischio tossicità per l’apparato riproduttivo (e non solo)
Le ragioni alla base delle misure di salvaguardia adottate in molti Paesi per eliminare
il bisfenolo A risiedono nella natura di questa sostanza, classificata come interferente
endocrino. Il BPA può interferire con alcune fasi particolari del ciclo vitale, alterando
l’equilibrio ormonale e influenzando negativamente lo sviluppo, la crescita, la
riproduzione e il comportamento sia nell’uomo che nelle specie animali.
La caratteristica degli interferenti endocrini, più in generale, è quella di
“accendere”, “spegnere” o modificare i normali segnali inviati dagli ormoni. I loro
effetti sono preoccupanti poiché insidiosi e difficili da misurare nel medio-lungo
termine.
“La ricerca scientifica contemporanea ha in prevalenza caratteristiche mercantili,
non è interessata a perseguire studi come quelli eziologici che, verificandone la
nocività, potrebbero arrestare la vendita dei prodotti; anche in campo medico ad
esempio, difficilmente persegue ricerche su cosa produce le neoplasie o sulle
piccole dosi di inquinanti che, spesso considerate normali, agiscono nel tempo e in
modo diffusivo sulla salute della popolazione” (Tomatis, 2007)
L’impiego di BPA attualmente consentito in UE
La vigente disciplina europea consente l’impiego del bisfenolo A nella produzione di
imballaggi e materiali a contatto con alimenti (esclusi i biberon in policarbonato),
entro determinati limiti di migrazione (0,6 mg per ogni Kg di alimento).
La proposta di regolamento della Commissione europea è volta a ridurre il limite di
migrazione specifica (LMS) per il BPA da materiali a contatto con alimenti in plastica,
in linea con il parere dell’EFSA pubblicato nel gennaio 2015. Di conseguenza, sarà
modificato il regolamento (UE) n. 10/2011 sui materiali e oggetti di plastica destinati
a venire a contatto con gli alimenti.
Lo stesso limite di migrazione del BPA sarà inoltre applicato alle vernici e ai
rivestimenti applicati a materiali e oggetti a contatto con alimenti.
Consumatori, precauzione fai-da-te?
Di fronte alla frammentazione legislativa in atto nei diversi Paesi, alle evidenze
scientifiche confermate da fonti autorevoli e successivamente smentite da fonti
altrettanto autorevoli, il consumatore attento alla salute propria e dei propri cari si
trova di fatto a dover adottare in proprio il tanto agognato “Principio di
precauzione”.
Tale principio – che a livello politico richiede un approccio prudenziale sulle decisioni
che attengono a rischi connotati da incertezza scientifica – si traduce in pratica
nella ricerca del consumatore di etichette recanti il logo “BPA free” o la scritta
“Senza Bisfenolo A”.
La domanda più ovvia da porsi è “Perché questa sostanza è bandita in alcuni Paesi
mentre in altri può essere utilizzata? Se si tratta veramente di una sostanza
pericolosa, dovrebbe essere vietata dappertutto”
Prospettiva aziendale, è tempo di abbandonare il BPA
I produttori di MOCA/FCM a loro volta si trovano ora ad affrontare un ‘legal
environment’ frastagliato e non privo di incertezze, già nel Mercato interno oltreché
nei contesti internazionali. In UE, a dispetto di una legislazione europea armonizzata
(il citato regolamento 10/2011 della Commissione europea) sulle plastiche a
contatto con alimenti, la questione BPA costringe gli operatori a un aggiornamento
continuo tra le norme di Paesi che lo vietano ‘in toto’, Paesi che ne delimitano
l’utilizzo in taluni contesti e altri che ne permettono l’impiego senza vincoli.
La soluzione ottimale, se pure in apparenza svantaggiosa in termini di costi ai fini
della commercializzazione nei contesti meno vincolati, sembra quella di uniformare
la produzione di articoli MOCA a livelli “BPA free”.
Le possibili alternative sono descritte nel rapporto dell’ANSES (l’Agenzia francese per
la sicurezza alimentare).
Conclusioni
Il bisfenolo A è davvero pericoloso? Desta preoccupazione? La presa di posizione di
parecchie autorità sanitarie del pianeta non lascia spazio a interpretazioni meno
prudenziali rispetto a quelle di recente espresse dal Parlamento Europeo.
Mancano evidenze scientifiche sufficienti a confermare l’effettiva sussistenza di un
rischio? Nel dubbio dovrebbe venire adottato il principio di precauzione, a maggior
ragione tenuto conto delle vulnerabilità specifiche di alcune categorie di
consumatori (neonati e bambini, donne incinte, anziani).
Esistono soluzioni, esistono materiali che possono sostituire i polimeri a base di
bisfenolo A. Nonostante la sostituzione possa richiedere uno sforzo da parte delle
aziende produttrici, è necessario che questo passo venga fatto, poiché è in gioco la
salute dei consumatori (e di conseguenza tra l’altro, la reputazione delle aziende).
Certo è che, in attesa di evoluzioni legislative che limitino la presenza di bisfenolo A
in tutti i materiali e gli imballaggi a contatto con alimenti, al consumatore non resta
che tenere gli occhi aperti. Anche se spesso questo potrebbe non essere sufficiente.
(Articolo di Luca Foltran, Dario Dongo)
Fonte: http://www.foodagriculturerequirements.com
Pasta Garofalo e Carrefour Selection, il produttore è lo stesso ma cambiano il prezzo
e anche le miscele.
Il parametro più importante sull’etichetta della pasta utile per valutare il livello
qualitativo è il contenuto in proteine. Il valore è infatti direttamente correlato alla
formazione del glutine e quindi alla tenuta in cottura. Di solito la pasta venduta con
il marchio dei supermercati ha un contenuto proteico variabile dal 12,0 al 12,5%, in
linea con il prodotto Barilla considerato leader di mercato. Le regole del mercato
prevedono che quanto più il tenore proteico cresce rispetto allo standard di
riferimento (Barilla) tanto più aumenta il prezzo. In questi casi si parla di pasta di
categoria premium o top e il riferimento sono marche come De Cecco, Voiello e
Garofalo.
Sugli scaffali, i supermercati propongono oltre alla pasta standard con il proprio
marchio che fa “concorrenza a Barilla” , anche linee premium o di specialità. In
genere si tratta di formati di pasta speciali o regionali meno conosciuti rispetto alle
confezioni di spaghetti, penne o fusilli. Per esempio sugli scaffali di Carrefour si può
trovare la linea Carrefour Selection, che comprende formati speciali ed è
caratterizzata da una lavorazione diversa (trafilatura al bronzo, superficie ruvida,
processo di essiccazione lenta) rispetto alla pasta standard. Carrefour affida la
preparazione di questa pasta top a Garofalo, considerato uno dei marchi più noti di
pasta premium.
Il Fatto Alimentare ha confrontato la pasta calamarata della linea Carrefour
Selection con l’analogo formato di Garofalo per cercare di capire se si tratta dello
stesso prodotto o se esistono delle differenze. In prima battuta varia il prezzo*: la
pasta con il marchio dell’insegna costa 1,19 euro rispetto a 1,82 euro di Garofalo,
circa il 50% in più. L’altro elemento che balza all’occhio è la percentuale di
proteine, si passa dal 13,0% di Carrefour Selection al 14,0% di Garofalo. Ma le
differenze tra i due prodotti non si fermano qui.
Come spiega Garofalo, il prodotto fornito a Carrefour è eccellente, ma non è
confrontabile direttamente con la pasta con il marchio aziendale. Si parla infatti di
miscele e materie prime differenti. La semola usata per la pasta Garofalo non è
utilizzata per altre produzioni diverse. La materia di prima scelta per Carrefour
Selection è comunque di alta qualità, e viene scelta sulla base delle esigenze
espresse nel capitolato. In entrambi i casi della materia prima è ottenuta da una
miscela di grano estero e italiano, con percentuali diverse a seconda dei lotti che
arrivano in azienda.
I capitolati dei clienti della grande distribuzione sono riservati per cui non vengono
divulgati, ma lo stesso discorso si può fare per la pasta Garofalo “frutto di una
miscela unica”, creata dall’azienda sulla base di decenni di esperienza. Garofalo
mette a disposizione dei clienti che richiedono pasta con il marchio privato come
Carrefour, impianti e know-how e poi stabilisce una ricetta in base alle richieste.
Difficile dire di più. Il consiglio che possiamo dare è quello di valutare i due tipi di
pasta assaggiandoli ma soprattutto di prestate attenzione alle promozioni, che nel
mercato della pasta coinvolgono quasi il 50% dei volumi e riguardano molto spesso
le grandi marche rispetto a quelle del distributore. (Articolo di Claudio Troiani)
Il confronto tra la pasta di semola (formato calamarata) di Carrefour Selection e Garofalo*
(*) Prezzi rilevati in un supermercato in provincia di Torino nel mese di dicembre 2016
Fonte: www.ilfattoalimentare.it
Etichetta nutrizionale obbligatoria, l’avvocato Dario Dongo illustra le nuove regole.
Diventa obbligatoria per tutti la dichiarazione nutrizionale in etichetta
A cinque anni di distanza dall’entrata in vigore del regolamento (UE) 1169/11 , é
finalmente giunta l’ora di inserire la dichiarazione nutrizionale sulle etichette della
quasi totalità degli alimenti confezionati. Quando però si passa dalla teoria
all’applicazione pratica, sorgono sempre dubbi che proviamo a chiarire ponendo
alcune domande inviate dai lettori all’avvocato Dario Dongo esperto di diritto
alimentare.
1) Quali alimenti sono soggetti alla dichiarazione nutrizionale obbligatoria?
L’obbligo si applica solo ai prodotti alimentari ‘preimballati’ destinati alla vendita al
consumatore finale (nonché alle cosiddette collettività, ad esempio bar, esercizi
pubblici e di ristorazione, catering). Si noti bene, tuttavia, che nel caso di alimenti
destinati alla vendita a operatori commerciali – come le anzidette collettività – la
tabella nutrizionale non deve necessariamente venire stampata sull’etichetta, ma è
sufficiente sia trasmessa al cliente nei documenti commerciali (es. schede tecniche),
che devono in ogni caso accompagnare o precedere la spedizione.
Sono perciò esclusi i prodotti ‘preincartati per la vendita diretta’ (es. formaggi
esposti in banco-frigo, avvolti nel cellophane con etichetta adesiva del
supermercato), gli alimenti venduti sfusi ’(es. legumi esposti nel sacco per la
pesatura fai-da-te) e i cibi somministrati dalle collettività. Che però sono sempre e
comunque soggetti alle indicazioni obbligatorie e specifiche degli ingredienti
allergenici (si veda articolo ‘Indicazione degli allergeni. Regole e sanzioni per
catering, mense, bar, pubblici esercizi‘).
Una deroga di carattere generale è stabilita a favore di una serie di prodotti (reg. UE
1169/11, Allegato V) come gli alimenti non trasformati (che appartengano a
un’unica categoria di ingredienti, esempio insalate in busta), gli alimenti trasformati
sottoposti solo a stagionatura (unica categoria di ingredienti, es. stoccafisso), le
farine, le acque minerali, le micro confezioni (quelle cioè la cui superficie più ampia
sia inferiore a 25 cm²), aromi, spezie, erbe, dolcificanti, gelatine, enzimi, gomma da
masticare, bottiglie di vetro (marcate in modo indelebile), integratori alimentari. E
soprattutto, i prodotti realizzati da microimprese (meno di 10 dipendenti e meno di
<2 milioni di fatturato), venduti a ‘livello locale’ (1)
2) Dove recuperare i valori nutrizionali da inserire nella tabella nutrizionale?
I ‘valori medi’ da dichiarare possono venire ricavati, sotto la libera e responsabile
scelta dell’operatore, da tre fonti:
– analisi di laboratorio condotte dal produttore
– calcolo ‘effettuato a partire da valori medi (noti o effettivi) relativi agli ingredienti
utilizzati‘,
– computo sulla base di dati ‘generalmente stabiliti e accettati‘ (la banca dati CRA,
ad esempio).
Vale la pena, tuttavia, annotare come il calcolo sulla base degli ingredienti possa
risultare falsato dai processi di lavorazione (es. lievitazione, cottura, stagionatura). E il
ricorso alle banche dati a sua volta risulta poco attendibile su alimenti soggetti a
variazione di ricetta (es. pasta ripiena, prodotti da forno, margarine, snack e
merendine, gelati).
3) Come compilare la tabella?
La fantasia non è ammessa, la dichiarazione nutrizionale deve seguire un lessico e
un ordine tassativo:
– energia (kJ, kcal),
– grassi,
– di cui acidi grassi saturi,
– carboidrati,
– di cui zuccheri,
– fibre (su base volontaria),
– proteine,
– sale (inteso come sodio, di qualsiasi fonte, per 2,5).
La dichiarazione va sempre riferita ai 100 grammi o millilitri di prodotto, con facoltà
di aggiungere i dati per porzione, purché essa sia chiaramente espressa e si riporti
altresì il numero di porzioni contenute nell’unità di vendita. Per gli arrotondamenti e
le tolleranze, ci si riferisce alle linee guida della Commissione europea, riprese dal
Ministero della Salute con nota 16.6.2016. Si noti bene che l’energia deve venire
sempre espressa per unità (senza decimali) e il suo valore non è oggetto di
tolleranze, poiché i calcoli vanno eseguiti sulla base dei nutrienti dichiarati –
separatamente, per kcal e kJ – e devono risultare corretti.
Per ulteriori dettagli tecnici sui criteri da adottare per la compilazione e il controllo
della tabella nutrizionale, si veda l’articolo ‘Dichiarazione nutrizionale obbligatoria, al
via il 14.12.16. L’ABC delle norme da applicare‘. (Articolo di Dario Dongo)
Note:
‘Dichiarazione nutrizionale, esenzioni PMI e artigiani, la circolare ministeriale‘, ‘Dichiarazione
nutrizionale, l’esenzione alle micro-imprese deve valere anche per l’ecommerce. Ecco perché‘
Fonte: www.ilfattoalimentare.it
– proteine,
– sale (inteso come sodio, di qualsiasi fonte, per 2,5).
La dichiarazione va sempre riferita ai 100 grammi o millilitri di prodotto, con facoltà
di aggiungere i dati per porzione, purché essa sia chiaramente espressa e si riporti
altresì il numero di porzioni contenute nell’unità di vendita. Per gli arrotondamenti e
le tolleranze, ci si riferisce alle linee guida della Commissione europea, riprese dal
Ministero della Salute con nota 16.6.2016. Si noti bene che l’energia deve venire
sempre espressa per unità (senza decimali) e il suo valore non è oggetto di
tolleranze, poiché i calcoli vanno eseguiti sulla base dei nutrienti dichiarati –
separatamente, per kcal e kJ – e devono risultare corretti.
Per ulteriori dettagli tecnici sui criteri da adottare per la compilazione e il controllo
della tabella nutrizionale, si veda l’articolo ‘Dichiarazione nutrizionale obbligatoria, al
via il 14.12.16. L’ABC delle norme da applicare‘. (Articolo di Dario Dongo)
Note:
‘Dichiarazione nutrizionale, esenzioni PMI e artigiani, la circolare ministeriale‘, ‘Dichiarazione
nutrizionale, l’esenzione alle micro-imprese deve valere anche per l’ecommerce. Ecco perché‘
Fonte: www.ilfattoalimentare.it

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  • 1. News 52/SA/2016 Lunedì, 26 Dicembre 2016 Sistema di Allerta Rapido europeo per Alimenti e Mangimi Pesticidi Nella settimana n.52 del 2016 le segnalazioni diffuse dal Sistema rapido di allerta europeo per alimenti e mangimi (Rasff) sono state 81 (13 quelle inviate dal Ministero della salute italiano). Tra i lotti respinti alla frontiera si segnalano: notificato dall’Italia per migrazione di cromo, nickel e manganese e livello troppo alto di migrazione globale da prepara cappuccino proveniente dalla Cina e per aflatossine in nocciole sgusciate provenienti dalla Turchia; nonché per arachidi in guscio provenienti dall’Egitto infestate da larve di insetti (6 morte); notificato dall’Olanda per ocratossina A in albicocche secche provenienti dalla Turchia; notificato dalla Germania per aflatossine in pistacchi provenienti dall’Iran; notificato dall’Ungheria per norovirus in lamponi congelati provenienti dalla Serbia; notificato dal Belgio per aflatossine in fichi secchi provenienti dalla Turchia; notificato dalla Croazia per deterioramento delle caratteristiche organolettiche (strano odore) di cibo in conttato con bottiglia di plastica proveniente dalla Bosnia Erzegovina. Allerta notificati dall’Italia per: salmonella typhimurium in spezzatino di cinghiale congelato proveniente dalla Polonia; solfiti non dichiarati in code di gambero rosa scottate congelate provenienti dal Regno Unito, con materia prima proveniente dall’India; salmonella enteritidis in anatre eviscerate congelate senza frattaglie provenienti dall’Ungheria; dimetoato in arance provenienti dall’ Italia; per solfiti non dichiarati in pasta di acciughe proveniente dall’Italia. Allerta notificati: dal Regno Unito per latte come ingrediente non dichiarato in biscotti con scaglie di cioccolato provenienti dagli Usa e per oggetto non commestibile (piccole batterie a bottone) in cioccolati al latte a forma di santa provenienti dalla Germania; dall’Irlanda per Listeria monocytogenes in salmone affumicato proveniente dall’Irlanda; dalla Germania per corpo estraneo (frammenti di legno) in ajvar (gusto peperone rosso) proveniente dalla Bosnia Erzegovina; dall’Ungheria per Listeria monocytogenes in filetti di salmone affumicato congelato
  • 2. (Salmo salar) provenienti dalla Serbia; dall’Austria per Escherichia coli produttrice di shiga tossina in carne di cervo refrigerata proveniente dall’ Austria. Nella lista delle informative troviamo notificate: notificata dall’ Italia per salmonella Saintpaul in filetti congelati di petto di tacchino provenienti dalla Polonia, Salmonella Livingstone in pasto di carne proveniente dalla Polonia, per aflatossine in arachidi in guscio provenienti dall’ Egitto, nonché per Salmonella in pasto di carne proveniente dalla Spagna e per infestazione da parassiti con Anisakis di sgombro refrigerato (Scomber scombrus) proveniente dalla Francia; notificata dalla Svizzera per Listeria monocytogenes in salmone refrigerato affumicato proveniente dalla Germania; notificato dalla Danimarca per clorpirifos in rape provenienti dalla Francia, via Germania; notificato dalla Lituania per Salmonella in tacchino fresco tritato proveniente dalla Polonia; notificato dalla Repubblica Ceca per migrazione di formaldeide da melamina di piatto fondo decorato proveniente dalla Cina; dalla Norvegia per Vibrio cholerae in gamberetti congelati cotti PUD provenienti dall’India. Fonte: rasff.eu Speciale bisfenolo A (BPA). Il 6 ottobre 2016 il Parlamento europeo ha approvato con 346 voti a favore e 239 contrari un emendamento alla risoluzione sui materiali destinati a venire a contatto con gli alimenti per chiedere alla Commissione UE di vietare l’utilizzo di bisfenolo A (BPA) in tutti i Food Contact Materials (FCM). Secondo il Parlamento Europeo, le valutazioni condotte dall’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA), nell’ultimo decennio, “non hanno efficacemente affrontato tutte le preoccupazioni in materia di salute legate a questa sostanza”. Tale richiesta non è che l’ennesimo tassello di un puzzle che si sta piano piano delineando e che porterà, con tutta probabilità, all’abbandono di questa sostanza in ambito MOCA (Materiali ed oggetti a contatto con alimenti) entro i prossimi anni. Infatti, nonostante l’EFSA abbia confermato con proprio parere del gennaio 2015 che l’esposizione delle persone al bisfenolo A (BPA) attraverso il cibo e altre fonti non alimentari (polveri, cosmetici e carta termica) si può considerare al di sotto della dose giornaliera tollerabile (DGT), e non si ravvisano perciò rischi per la salute dei
  • 3. consumatori, molti Stati europei hanno adottato legislazioni nazionali per la salvaguardia dei consumatori. Così come in USA, Cina e America meridionale. Rischio tossicità per l’apparato riproduttivo (e non solo) Le ragioni alla base delle misure di salvaguardia adottate in molti Paesi per eliminare il bisfenolo A risiedono nella natura di questa sostanza, classificata come interferente endocrino. Il BPA può interferire con alcune fasi particolari del ciclo vitale, alterando l’equilibrio ormonale e influenzando negativamente lo sviluppo, la crescita, la riproduzione e il comportamento sia nell’uomo che nelle specie animali. La caratteristica degli interferenti endocrini, più in generale, è quella di “accendere”, “spegnere” o modificare i normali segnali inviati dagli ormoni. I loro effetti sono preoccupanti poiché insidiosi e difficili da misurare nel medio-lungo termine. “La ricerca scientifica contemporanea ha in prevalenza caratteristiche mercantili, non è interessata a perseguire studi come quelli eziologici che, verificandone la nocività, potrebbero arrestare la vendita dei prodotti; anche in campo medico ad esempio, difficilmente persegue ricerche su cosa produce le neoplasie o sulle piccole dosi di inquinanti che, spesso considerate normali, agiscono nel tempo e in modo diffusivo sulla salute della popolazione” (Tomatis, 2007) L’impiego di BPA attualmente consentito in UE La vigente disciplina europea consente l’impiego del bisfenolo A nella produzione di imballaggi e materiali a contatto con alimenti (esclusi i biberon in policarbonato), entro determinati limiti di migrazione (0,6 mg per ogni Kg di alimento). La proposta di regolamento della Commissione europea è volta a ridurre il limite di migrazione specifica (LMS) per il BPA da materiali a contatto con alimenti in plastica, in linea con il parere dell’EFSA pubblicato nel gennaio 2015. Di conseguenza, sarà modificato il regolamento (UE) n. 10/2011 sui materiali e oggetti di plastica destinati a venire a contatto con gli alimenti. Lo stesso limite di migrazione del BPA sarà inoltre applicato alle vernici e ai rivestimenti applicati a materiali e oggetti a contatto con alimenti.
  • 4. Consumatori, precauzione fai-da-te? Di fronte alla frammentazione legislativa in atto nei diversi Paesi, alle evidenze scientifiche confermate da fonti autorevoli e successivamente smentite da fonti altrettanto autorevoli, il consumatore attento alla salute propria e dei propri cari si trova di fatto a dover adottare in proprio il tanto agognato “Principio di precauzione”. Tale principio – che a livello politico richiede un approccio prudenziale sulle decisioni che attengono a rischi connotati da incertezza scientifica – si traduce in pratica nella ricerca del consumatore di etichette recanti il logo “BPA free” o la scritta “Senza Bisfenolo A”. La domanda più ovvia da porsi è “Perché questa sostanza è bandita in alcuni Paesi mentre in altri può essere utilizzata? Se si tratta veramente di una sostanza pericolosa, dovrebbe essere vietata dappertutto” Prospettiva aziendale, è tempo di abbandonare il BPA I produttori di MOCA/FCM a loro volta si trovano ora ad affrontare un ‘legal environment’ frastagliato e non privo di incertezze, già nel Mercato interno oltreché nei contesti internazionali. In UE, a dispetto di una legislazione europea armonizzata (il citato regolamento 10/2011 della Commissione europea) sulle plastiche a contatto con alimenti, la questione BPA costringe gli operatori a un aggiornamento continuo tra le norme di Paesi che lo vietano ‘in toto’, Paesi che ne delimitano l’utilizzo in taluni contesti e altri che ne permettono l’impiego senza vincoli. La soluzione ottimale, se pure in apparenza svantaggiosa in termini di costi ai fini della commercializzazione nei contesti meno vincolati, sembra quella di uniformare la produzione di articoli MOCA a livelli “BPA free”. Le possibili alternative sono descritte nel rapporto dell’ANSES (l’Agenzia francese per la sicurezza alimentare). Conclusioni Il bisfenolo A è davvero pericoloso? Desta preoccupazione? La presa di posizione di parecchie autorità sanitarie del pianeta non lascia spazio a interpretazioni meno prudenziali rispetto a quelle di recente espresse dal Parlamento Europeo. Mancano evidenze scientifiche sufficienti a confermare l’effettiva sussistenza di un rischio? Nel dubbio dovrebbe venire adottato il principio di precauzione, a maggior
  • 5. ragione tenuto conto delle vulnerabilità specifiche di alcune categorie di consumatori (neonati e bambini, donne incinte, anziani). Esistono soluzioni, esistono materiali che possono sostituire i polimeri a base di bisfenolo A. Nonostante la sostituzione possa richiedere uno sforzo da parte delle aziende produttrici, è necessario che questo passo venga fatto, poiché è in gioco la salute dei consumatori (e di conseguenza tra l’altro, la reputazione delle aziende). Certo è che, in attesa di evoluzioni legislative che limitino la presenza di bisfenolo A in tutti i materiali e gli imballaggi a contatto con alimenti, al consumatore non resta che tenere gli occhi aperti. Anche se spesso questo potrebbe non essere sufficiente. (Articolo di Luca Foltran, Dario Dongo) Fonte: http://www.foodagriculturerequirements.com Pasta Garofalo e Carrefour Selection, il produttore è lo stesso ma cambiano il prezzo e anche le miscele. Il parametro più importante sull’etichetta della pasta utile per valutare il livello qualitativo è il contenuto in proteine. Il valore è infatti direttamente correlato alla formazione del glutine e quindi alla tenuta in cottura. Di solito la pasta venduta con il marchio dei supermercati ha un contenuto proteico variabile dal 12,0 al 12,5%, in linea con il prodotto Barilla considerato leader di mercato. Le regole del mercato prevedono che quanto più il tenore proteico cresce rispetto allo standard di riferimento (Barilla) tanto più aumenta il prezzo. In questi casi si parla di pasta di categoria premium o top e il riferimento sono marche come De Cecco, Voiello e Garofalo. Sugli scaffali, i supermercati propongono oltre alla pasta standard con il proprio marchio che fa “concorrenza a Barilla” , anche linee premium o di specialità. In genere si tratta di formati di pasta speciali o regionali meno conosciuti rispetto alle confezioni di spaghetti, penne o fusilli. Per esempio sugli scaffali di Carrefour si può trovare la linea Carrefour Selection, che comprende formati speciali ed è caratterizzata da una lavorazione diversa (trafilatura al bronzo, superficie ruvida, processo di essiccazione lenta) rispetto alla pasta standard. Carrefour affida la preparazione di questa pasta top a Garofalo, considerato uno dei marchi più noti di pasta premium. Il Fatto Alimentare ha confrontato la pasta calamarata della linea Carrefour Selection con l’analogo formato di Garofalo per cercare di capire se si tratta dello
  • 6. stesso prodotto o se esistono delle differenze. In prima battuta varia il prezzo*: la pasta con il marchio dell’insegna costa 1,19 euro rispetto a 1,82 euro di Garofalo, circa il 50% in più. L’altro elemento che balza all’occhio è la percentuale di proteine, si passa dal 13,0% di Carrefour Selection al 14,0% di Garofalo. Ma le differenze tra i due prodotti non si fermano qui. Come spiega Garofalo, il prodotto fornito a Carrefour è eccellente, ma non è confrontabile direttamente con la pasta con il marchio aziendale. Si parla infatti di miscele e materie prime differenti. La semola usata per la pasta Garofalo non è utilizzata per altre produzioni diverse. La materia di prima scelta per Carrefour Selection è comunque di alta qualità, e viene scelta sulla base delle esigenze espresse nel capitolato. In entrambi i casi della materia prima è ottenuta da una miscela di grano estero e italiano, con percentuali diverse a seconda dei lotti che arrivano in azienda. I capitolati dei clienti della grande distribuzione sono riservati per cui non vengono divulgati, ma lo stesso discorso si può fare per la pasta Garofalo “frutto di una miscela unica”, creata dall’azienda sulla base di decenni di esperienza. Garofalo mette a disposizione dei clienti che richiedono pasta con il marchio privato come Carrefour, impianti e know-how e poi stabilisce una ricetta in base alle richieste. Difficile dire di più. Il consiglio che possiamo dare è quello di valutare i due tipi di pasta assaggiandoli ma soprattutto di prestate attenzione alle promozioni, che nel mercato della pasta coinvolgono quasi il 50% dei volumi e riguardano molto spesso le grandi marche rispetto a quelle del distributore. (Articolo di Claudio Troiani) Il confronto tra la pasta di semola (formato calamarata) di Carrefour Selection e Garofalo* (*) Prezzi rilevati in un supermercato in provincia di Torino nel mese di dicembre 2016 Fonte: www.ilfattoalimentare.it
  • 7. Etichetta nutrizionale obbligatoria, l’avvocato Dario Dongo illustra le nuove regole. Diventa obbligatoria per tutti la dichiarazione nutrizionale in etichetta A cinque anni di distanza dall’entrata in vigore del regolamento (UE) 1169/11 , é finalmente giunta l’ora di inserire la dichiarazione nutrizionale sulle etichette della quasi totalità degli alimenti confezionati. Quando però si passa dalla teoria all’applicazione pratica, sorgono sempre dubbi che proviamo a chiarire ponendo alcune domande inviate dai lettori all’avvocato Dario Dongo esperto di diritto alimentare. 1) Quali alimenti sono soggetti alla dichiarazione nutrizionale obbligatoria? L’obbligo si applica solo ai prodotti alimentari ‘preimballati’ destinati alla vendita al consumatore finale (nonché alle cosiddette collettività, ad esempio bar, esercizi pubblici e di ristorazione, catering). Si noti bene, tuttavia, che nel caso di alimenti destinati alla vendita a operatori commerciali – come le anzidette collettività – la tabella nutrizionale non deve necessariamente venire stampata sull’etichetta, ma è sufficiente sia trasmessa al cliente nei documenti commerciali (es. schede tecniche), che devono in ogni caso accompagnare o precedere la spedizione. Sono perciò esclusi i prodotti ‘preincartati per la vendita diretta’ (es. formaggi esposti in banco-frigo, avvolti nel cellophane con etichetta adesiva del supermercato), gli alimenti venduti sfusi ’(es. legumi esposti nel sacco per la pesatura fai-da-te) e i cibi somministrati dalle collettività. Che però sono sempre e comunque soggetti alle indicazioni obbligatorie e specifiche degli ingredienti
  • 8. allergenici (si veda articolo ‘Indicazione degli allergeni. Regole e sanzioni per catering, mense, bar, pubblici esercizi‘). Una deroga di carattere generale è stabilita a favore di una serie di prodotti (reg. UE 1169/11, Allegato V) come gli alimenti non trasformati (che appartengano a un’unica categoria di ingredienti, esempio insalate in busta), gli alimenti trasformati sottoposti solo a stagionatura (unica categoria di ingredienti, es. stoccafisso), le farine, le acque minerali, le micro confezioni (quelle cioè la cui superficie più ampia sia inferiore a 25 cm²), aromi, spezie, erbe, dolcificanti, gelatine, enzimi, gomma da masticare, bottiglie di vetro (marcate in modo indelebile), integratori alimentari. E soprattutto, i prodotti realizzati da microimprese (meno di 10 dipendenti e meno di <2 milioni di fatturato), venduti a ‘livello locale’ (1) 2) Dove recuperare i valori nutrizionali da inserire nella tabella nutrizionale? I ‘valori medi’ da dichiarare possono venire ricavati, sotto la libera e responsabile scelta dell’operatore, da tre fonti: – analisi di laboratorio condotte dal produttore – calcolo ‘effettuato a partire da valori medi (noti o effettivi) relativi agli ingredienti utilizzati‘, – computo sulla base di dati ‘generalmente stabiliti e accettati‘ (la banca dati CRA, ad esempio). Vale la pena, tuttavia, annotare come il calcolo sulla base degli ingredienti possa risultare falsato dai processi di lavorazione (es. lievitazione, cottura, stagionatura). E il ricorso alle banche dati a sua volta risulta poco attendibile su alimenti soggetti a variazione di ricetta (es. pasta ripiena, prodotti da forno, margarine, snack e merendine, gelati). 3) Come compilare la tabella? La fantasia non è ammessa, la dichiarazione nutrizionale deve seguire un lessico e un ordine tassativo: – energia (kJ, kcal), – grassi, – di cui acidi grassi saturi, – carboidrati, – di cui zuccheri, – fibre (su base volontaria),
  • 9. – proteine, – sale (inteso come sodio, di qualsiasi fonte, per 2,5). La dichiarazione va sempre riferita ai 100 grammi o millilitri di prodotto, con facoltà di aggiungere i dati per porzione, purché essa sia chiaramente espressa e si riporti altresì il numero di porzioni contenute nell’unità di vendita. Per gli arrotondamenti e le tolleranze, ci si riferisce alle linee guida della Commissione europea, riprese dal Ministero della Salute con nota 16.6.2016. Si noti bene che l’energia deve venire sempre espressa per unità (senza decimali) e il suo valore non è oggetto di tolleranze, poiché i calcoli vanno eseguiti sulla base dei nutrienti dichiarati – separatamente, per kcal e kJ – e devono risultare corretti. Per ulteriori dettagli tecnici sui criteri da adottare per la compilazione e il controllo della tabella nutrizionale, si veda l’articolo ‘Dichiarazione nutrizionale obbligatoria, al via il 14.12.16. L’ABC delle norme da applicare‘. (Articolo di Dario Dongo) Note: ‘Dichiarazione nutrizionale, esenzioni PMI e artigiani, la circolare ministeriale‘, ‘Dichiarazione nutrizionale, l’esenzione alle micro-imprese deve valere anche per l’ecommerce. Ecco perché‘ Fonte: www.ilfattoalimentare.it
  • 10. – proteine, – sale (inteso come sodio, di qualsiasi fonte, per 2,5). La dichiarazione va sempre riferita ai 100 grammi o millilitri di prodotto, con facoltà di aggiungere i dati per porzione, purché essa sia chiaramente espressa e si riporti altresì il numero di porzioni contenute nell’unità di vendita. Per gli arrotondamenti e le tolleranze, ci si riferisce alle linee guida della Commissione europea, riprese dal Ministero della Salute con nota 16.6.2016. Si noti bene che l’energia deve venire sempre espressa per unità (senza decimali) e il suo valore non è oggetto di tolleranze, poiché i calcoli vanno eseguiti sulla base dei nutrienti dichiarati – separatamente, per kcal e kJ – e devono risultare corretti. Per ulteriori dettagli tecnici sui criteri da adottare per la compilazione e il controllo della tabella nutrizionale, si veda l’articolo ‘Dichiarazione nutrizionale obbligatoria, al via il 14.12.16. L’ABC delle norme da applicare‘. (Articolo di Dario Dongo) Note: ‘Dichiarazione nutrizionale, esenzioni PMI e artigiani, la circolare ministeriale‘, ‘Dichiarazione nutrizionale, l’esenzione alle micro-imprese deve valere anche per l’ecommerce. Ecco perché‘ Fonte: www.ilfattoalimentare.it