2. MATERIALI E METODI DI COSTRUZIONE
I Romani per costruire utilizzarono molti materiali: pietra, sabbia, inerti,
calce, pozzolana, argilla, legno, furono i principali materiali da
costruzione.
Molto usati furono anche il tufo e il travertino delle cave di Tibur,
oggi Bagni di Tivoli, centroitaliani; mentre, per costruzioni più ricche e
prestigiose, usarono il marmo bianco importato dalla Grecia e dall'Asia
Minore o, a partire dall'epoca di Cesare, da Luni, vicino a Carrara; marmi
multicolori giungevano inoltre a Roma da tutto il mondo antico, usati
spesso per rivestire muri realizzati con materiali più economici.
Infatti alla base del sistema tecnico-costruttivo romano non vi era
l’uso, come in Grecia, del duro ed elegante marmo squadrato, ma sin
dall’inizio si adoperarono soprattutto materiali poveri che, però, non
venivano più messi in opera solo a secco, ma venivano messi in opera
con l’uso della malta.
2
3. Il tufo, il travertino, l’argilla sono i materiali di cui i Romani
dispongono in gran quantità:
questi materiali vengono adesso impiegati a piccoli blocchi,
di dimensioni molto più piccole di quelle che avevano nelle
costruzioni greche, e che vengono tenuti assieme grazie
all’uso della malta, usata dai Romani per la prima volta,
permettendo di realizzare anche forme nuove:
l’invenzione della malta, infatti, consentì alle
strutture murarie di svincolarsi dalle forme più
elementari.
Ai Romani si deve, quindi, la realizzazione di una
architettura grandiosa realizzata con l’uso di materiale
povero, grazie soprattutto all’invenzione dei costruttori
romani, prima della malta, e dopo del calcestruzzo.
3
4. Non si può parlare di un’arte romana vera e propria se non a partire dal II
sec. a.C.
Nei primi 500 anni della sua storia la civiltà romana non ha prodotto
un’arte propria, ma l’ha importata sia attraverso i bottini di guerra, sia
attraverso le relazioni che Roma intratteneva con la Grecia e, ancor
prima, tramite le colonie greche dell’Italia meridionale. (ORACOLO DI
DELFI)
Fino al I sec. a.C. la cultura artistica romana non ebbe una propria
fisionomia, ma si configurò come momento di intersezione tra la
tradizione etrusca e quella ellenistica.
Infatti, i Romani inizialmente si servirono di maestranze etrusche ed
italiche e furono poco interessati alle tecniche di costruzione perché
erano soprattutto impegnati in una vita tesa alla lotta e alla conquista .
In questa prima fase il popolo romano aveva mirato ad affermarsi come
potenza militare, si era dato ordinamenti sociali e modelli politici, ma non
si era mai impegnato artisticamente.
Il cittadino romano era prima di tutto un soldato e un politico, per cui
l’arte manuale non era degna a lui: l’arte era un’attività indegna, soltanto
la letteratura acquistò considerazione anche da parte dei membri delle
classi dominanti, che prima consideravano la letteratura un’attività da
schiavi.
4
5. Solo dopo la conquista della Magna Grecia, della Sicilia e dell’Asia
minore, che fece giungere a Roma una gran quantità di opere d’arte di
artisti greci, l’atteggiamento nei confronti dell’arte cominciò a cambiare.
Inoltre, furono soprattutto dalle esigenze stesse della conquista che
emerse la necessità di costruire ponti, strade, città, templi, fori, porti,
acquedotti: tutto ciò portò i Romani a dovere necessariamente avere una
notevole produzione costruttiva.
Partendo dalla ruvida solidità delle costruzioni di pubblica utilità,
cominciò ad emergere una estetica romana, prima in architettura, poi
nella scultura e nella pittura, considerate ancora complementari all’architettura.
I modelli delle altre civiltà furono riproposti in maniera passiva, ma con
mezzi per esprimere messaggi tipicamente romani: orgoglio nazionale,
eroismo militare, virtù civili.
Tutto questo avveniva durante i primi due periodi, quello Monarchico e
quello Repubblicano.
5
6. Nel periodo Imperiale Roma organizza sotto di sé popoli molto
diversi, a cui offre una stessa lingua (il latino), un identico sistema di
leggi, un notevole sistema amministrativo.
E’ solo a partire da questo periodo che comincia ad esistere un’arte
romana: a partire dal II secolo a.C.
Si costruiscono le più imponenti e complesse architetture, nelle quali i
Romani dimostrano di aver raggiunto una grandissima abilità nelle
tecniche costruttive, che diffondono anche lontano da Roma e
dall’Italia, in tutta l’estensione dell’Impero: in gran parte dell’Europa, nelle
regioni dell’Africa, in Asia, dove si diffusero le forme architettoniche
romane.
6
7. LA MALTA
DELL’ANTICA ROMA
La malta è un impasto plastico che può essere composto
da:
1.un legante (es. calce) + acqua + sabbia = malta
aerea semplice (malta a base di grassello di calce,
che fa presa solamente in aria);
2. un legante (es. calce, pozzolana, cocciopesto,
cemento) + acqua + sabbia = malta idraulica
composta: malta a base di grassello di calce, da
rendere idraulica aggiungendo i seguenti inerti o
agglomeranti:
- pozzolana (legante idraulico)
- cocciopesto: argilla cotta (polvere di mattone)
(legante idraulico)
La malta idraulica fa presa e indurisce anche quando
viene posta in opera all’aria, in luoghi umidi o in
ambiente sommerso.
7
8. La malta è stata usata nelle costruzioni edilizie, sin
dall’epoca dei Romani, i quali riuscirono a realizzare una
malta resistentissima, che consentiva una presa
eccezionale.
I Romani, infatti, dopo aver scoperto e
sperimentato la malta aerea (acqua, calce e
sabbia), successivamente scoprirono che
aggiungendo alla sabbia normale una sabbia di
origine vulcanica - tipo quella esistente presso
Pozzuoli, detta pulvis puteolana - la malta
diventava idraulica, era in grado, cioè, di indurire
anche sotto acqua e di raggiungere una maggiore
resistenza meccanica.
Si può, quindi, definire pozzolanica una sabbia
capace di trasformare una malta da aerea in
idraulica nonostante il legante impiegato (calce) sia
di per sé stesso aereo.
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9. LA MALTA DELL’ANTICA
ROMA
acqua
MALTA AEREA
1 calce
SEMPLICE
2 sabbia
acqua
MALTA 1 calce
IDRAULICA 2 sabbia
COMPOSTA 3 pozzolana
o
cocciopesto
9
10. CALCE
La realizzazione della malta
è scaturita dalla necessità di collegare in modo stabile e solido
elementi in pietra o laterizio, ha spinto l’uomo ad utilizzare
leganti minerali di varia natura, che combinati con l'acqua
fossero in grado di fare presa e successivamente indurire.
Tra i materiali più antichi utilizzati come leganti un posto di
primo piano spetta, sicuramente alla calce.
La calce è una materia prima estremamente versatile.
Fu largamente utilizzata prima dai Fenici, poi dai Greci e dai
Romani, i quali, divenuti maestri nell’arte del costruire, ne
perfezionarono le tecniche produttive, utilizzandola insieme ad
altri materiali per costruire imponenti infrastrutture tra cui
strade, ponti, acquedotti oltre a monumenti e ville.
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11. Descrizione:
La calce è un cementante che i Romani ottenevano per cottura
già alla temperatura di 400-600 °C, della Pietra Calcarea (roccia
sedimentaria, largamente diffusa in natura): ottenendo la
cosiddetta calce viva;
tale materiale veniva dopo macinato, spento in acqua (calce
spenta) e stagionato.
FASI DI PRODUZIONE DELLA CALCE
La materia prima per la fabbricazione della calce è la roccia
calcarea: tutti gli autori dei trattati tecnici antichi e moderni sono
concordi nell’affermare che la calce è tanto migliore quanto più
bianco è il calcare.
Infatti, la roccia deve presentare un colore bianco brillante,
omogeneo, senza venature terrose o patine di alterazione.
11
12. 1. L’estrazione consisteva nell’apertura di cave di monte allo
scoperto: dopo l’eliminazione del terreno di copertura e delle parti
rocciose alterate, si procedeva con la coltivazione della cava a
piani inclinati.
2. A questo punto si procedeva alla calcinazione: la pietra
calcarea veniva calcinata (cotta) in appositi forni, ad una
temperatura che poteva arrivare fino i 950°C.
Durante la cottura della pietra calcarea, il carbonato di
calcio alla cottura libera anidride carbonica, che fuoriesce
dal forno, e resta l’ossido di calcio, detto calce viva (CaO),
provocando un calo ponderale del 44% circa.
La cottura deve essere “dolce”, perché se il calcare è
sottoposto ad una temperatura eccessiva, si crea una
diminuzione della reattività della calce, che non reagisce
più con l’acqua, perde la proprietà di spegnersi e non è più
adatta per confezionare malte (malta cotta a morte).
12
13. 3. Dopo la calcinazione si procedeva, infatti, allo
“spegnimento” della calce viva.
La calce viva, per poter essere utilizzata, va sottoposta
ad un processo di spegnimento: solo così si ottiene un
prodotto plastico e lavorabile che, in presenza di aria,
tende ad indurire.
Combinando la calce con l’acqua, si genera calore
(combinazione esotermica): la calce si spappola e
diviene idrossido di calcio, chiamato calce spenta o
calce idrata.
In questo processo di spegnimento della calce, il
composto di calce viva + acqua veniva continuamente
rimescolato per frantumare tutti i granuli e ottenere un
prodotto fluido.
Dopo qualche giorno, infatti, si trasforma in una pasta di
colore bianco, con consistenza morbida e untuosa, dotata
già di proprietà adesive.
13
14. Questa pasta, che già i Romani producevano, è
il grassello di calce, denso e untuoso, utilizzato come
legante nella produzione della malta;
inoltre i Romani ricavavano anche:
il latte di calce, col 20-30% d’acqua, utilizzato per la
tinta;
l’acqua di calce, limpida e disinfettante, utilizzata in
medicina.
Il completamento delle proprietà del grassello di calce si
raggiunge, però, in base alla durata del periodo di
stagionatura.
Gli antichi Romani avevano già capito l'importanza
dell'invecchiamento della calce spenta, poiché il tempo ne
migliora la qualità: la calce finisce di idratarsi, si condensa,
l’acqua in eccesso evapora.
La durata della stagionatura necessita un tempo minimo di
due mesi, che può arrivare anche fino ai tre anni, a
seconda dell’uso che si deve fare.
14
15. Tipologie
Le calci si suddividono in 2 categorie:
1. calce aerea: molto porosa, è un legante aereo perché
una volta mescolato con l’acqua, può indurire
solo se esposto all’aria per l’assorbimento
dell’anidride carbonica.
2. calce idraulica: Allo stato naturale si presenta come
una polvere di colore nocciola o grigio chiaro
ed estremamente fine, di ridotta porosità.
Indurisce anche in assenza di aria,
all’umido ed anche se immersa in acqua,
perché si ottiene aggiungendo alla calce aerea
materiali che producono effetti idraulici, come la
pozzolana e il cocciopesto.
Il cocciopesto è un'argilla composta da silicato di
alluminio cotto e frantumato.
15
16. I Romani furono i primi a sperimentare le miscele
idrauliche a base di calce aerea e di pozzolana o
cocciopesto, con cui confezionavano una malta in grado di
indurire anche sott’acqua.
Il cocciopesto, per esempio, veniva usato dai Romani per
realizzare interventi in presenza di acqua: acquedotti,
fogne, porti, ecc., e come impermeabilizzante di
coperture.
La calce idraulica deve, quindi, il suo nome alla capacità
di fare presa e indurire anche se non esposta all’aria.
16
17. POZZOLANA
La pozzolana è un materiale naturale di origine vulcanica,
diffusa in varie località del Lazio, della Campania e della Sicilia,
che contiene dei costituenti che, combinandosi con la calce, a
temperatura ordinaria ed in presenza di acqua, forma dei
composti stabili, inattaccabili dall'umidità.
In pratica, la pozzolana era un legante idraulico
molto simile al cemento Portland, inventato all'inizio
del XIX secolo (1820) da Joseph Aspidin: questo cemento
prese questo nome perché aveva un colore azzurrognolo
molto simile alla pietra da costruzione della località di
Portland in Inghilterra.
17
18. I Romani col termine “pozzolana” indicavano un
materiale di origine argillosa – sabbia vulcanica –
proveniente da Pozzuoli.
Infatti, la pozzolana, inizialmente estratta dalle cave di
Pozzuoli (lapilli), è un prodotto di origine vulcanica:
si forma durante le eruzioni vulcaniche esplosive.
Il magma liquido polverizzato dall’esplosione subisce un
brusco raffreddamento che blocca la sua struttura
disordinata ed impedisce la cristallizzazione.
I gas che continuano a liberarsi durante il
raffreddamento del liquido divenuto denso, lasciano
all’interno dei vuoti in modo che, dopo la solidificazione, si
ottiene un materiale incoerente costituito da silice, alluminio
e alcali.
18
19. DESTINAZIONE E PRESTAZIONI della
POZZOLANA
La pozzolana ha la caratteristica di idraulicizzare la
malta, aumentando le resistenze meccaniche.
Le malte di calce confezionate con pozzolana hanno la
caratteristica di avere un alto potere di adesione a
qualsiasi tipo di supporto anche su murature con forte
presenza di umidità.
Infatti, per le caratteristiche della pozzolana, le malte a
base di grassello di calce e pozzolana sono idonee anche
per combattere l’umidità di risalita nelle murature;
combattono la formazione di sali.
La pozzolana ed il cocciopesto combinandosi con
calce e acqua, danno origine a malte idrauliche che
hanno proprietà cementanti.
19
20. I Romani, infatti, dopo aver realizzato la malta aerea,
successivamente capirono che sostituendo la sabbia
normale con una sabbia di origine vulcanica - tipo la
pozzolana esistente presso Pozzuoli, che loro chiamarono
pulvis puteolana - la malta reagendo con la calce
diventava idraulica, era in grado, cioè, di indurire anche
sotto acqua e di raggiungere una maggiore resistenza
meccanica.
La pozzolana, quindi, è una sabbia capace di trasformare
una malta da aerea in idraulica, nonostante che il legante
impiegato (calce) sia di per sé stesso aereo.
L’impiego sia della pozzolana che del cocciopesto, grazie
alla loro composizione reattiva, consentono alla malta
aerea:
di diventare idraulica
di acquisire caratteristiche meccaniche superiori
di ridurre i tempi di indurimento che, normalmente,
sono abbastanza lunghi.
20
21. IL CALCESTRUZZO dell’antica ROMA
Una volta scoperta la malta i Romani riuscirono a realizzare
il calcestruzzo, che ha rivoluzionato la storia dell'architettura:
si tratta di un conglomerato a base di acqua, calce,
pozzolana, sabbia e inerti (ghiaia) detto dai Romani
“structura caementicia” = MATERIA + CEMENTA.
MATERIA = MALTA = 2 sabbia + 1 calce spenta
3 pozzolana + 1 calce spenta
CAEMENTA= INERTI = pietre grezze: scaglie, scapoli
ciottoli.
Ottenuta la malta, i Romani aggiunsero a questa miscela:
pietrisco e frammenti di laterizi, riuscendo a realizzare una vera
roccia artificiale che ha sfidato i secoli
La scelta dei materiali, la composizione e le modalità di messa in
opera del calcestruzzo utilizzato all’epoca dell’Impero Romano
21
22. vengono dettagliatamente riportate da Vitruvio nei suoi 10 libri del
Trattato De Architectura.
Grazie al calcestruzzo fu superato il tradizionale linearismo dello
stile classico, basato sul sistema trilitico (a pilastri e architravi in
pietra).
Infatti, l’introduzione del calcestruzzo ha permesso ai
Romani di costruire archi e volte di dimensioni eccezionali,
che, di conseguenza, permettevano di costruire edifici prima
impensabili: grandi anfiteatri e terme, cupole come quella del
Pantheon.
Le volte in calcestruzzo dei Romani erano molto più resistenti e
anche molto più leggere di quelle realizzate in pietra: questo
consentiva, quindi, di coprire luci notevoli su muri meno spessi.
Inoltre, erano più facili da realizzare, perché non richiedevano la
sagomazione dei singoli conci, ma si potevano realizzare anche
mediante un’unica gettata di calcestruzzo (tipi di volte semplici).
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Poiché le armature entro cui si colava il calcestruzzo
potevano avere forma varia, gli architetti furono spinti a
sperimentare configurazioni irregolari che rendessero più mossi
gli interni.
22
23. L’uso del calcestruzzo fu utile anche per la realizzazione di
nuove strutture murarie, permettendo il passaggio dalle
cosiddette murature “a secco” a quelle cosiddette “a sacco”:
l'abbinamento di struttura in calcestruzzo e paramento in
marmo o mattoni (OPUS CAEMENTICIUM) divenne molto
frequente per grandi edifici, complessi abitativi, terme e
magazzini.
I muri avevano una struttura interna di calcestruzzo, che poteva
essere rivestita con materiali diversi: inizialmente furono usati
marmo e travertino, in epoca imperiale si usò soprattutto il
mattone, in particolar modo per le facciate.
L’architettura che ne deriva non ha certamente la
nitidezza del marmo, ma è leggera, elastica, flessibile:
può raggiungere grandi altezze
sopportare grandi carichi
cingere ampi spazi vuoti.
E’ soprattutto l’architettura più adatta a uno sviluppo
formale per linee e superfici curve: infatti,
nell’architettura romana, a differenza di quella greca tutta
imposta su linee rette, la curva è il principio formale
23
24. di tutta la costruzione, fino alla composizione
urbanistica.
L’impiego del laterizio, e successivamente del calcestruzzo
alternato con membrature in laterizio, consentirà di
realizzare coperture di ambienti di notevoli dimensioni,
permettendo di approdare a realizzazioni del tutto nuove
tipologicamente, il cui significato è da ricercare nella
spazialità interna.
A differenza dei Greci, i Romani costruivano soprattutto per
conformare degli spazi interni: questi vanno valutati
dall’ampiezza atmosferica, dalle luci e dalle ombre che vi si
creavano, per effetto delle bucature che si aprivano
24
25. all’esterno, dalla decorazione delle pareti, se in rivestimenti
marmorei o ad affreschi su intonaci.
I Romani, quindi, hanno aperto un filone del tutto nuovo
nell’architettura – la poetica dello spazio – definendo una serie
notevole di mutazioni tipologiche.
25
26. I LATERIZI
I laterizi crudi seccati al sole o appena cotti erano detti
“LATERES”.
I laterizi cotti al forno, invece, erano detti
LATERES COCTI
e si ottenevano dalla cottura dell’argilla.
I laterizi costituiscono gli elementi da sempre riconosciuti
per la realizzazione di murature portanti e non portanti, a
partire dalle costruzioni in mattoni cotti risalenti all'epoca
dell'impero romano.
26
27. Le prime tracce di costruzioni in mattone crudo plasmato a
mano ed essiccato al sole risalgono al VI millennio a.C.
Mentre risalgono al IV secolo a.C. le prime costruzioni in
mattoni crudi costituiti in forme definite.
La produzione di mattoni è documentata sin dalle epoche
più antiche: Egiziani e Greci li facevano essiccare al sole,
mentre i Romani, per realizzare costruzioni a più piani che
richiedevano materiali più resistenti, cominciarono a
cuocerli in apposite fornaci, con una pratica rimasta
sostanzialmente immutata fino alla Rivoluzione Industriale.
I Greci ne fanno un largo impiego.
Furono proprio loro ad importare l’uso del rivestimento in terra
cotta nei grandi edifici sacri a partire dal VII sec. a.C.
27
29. I Romani ne esaltano le prestazioni sviluppandone le
tecnologie.
L’uso del mattone, in forme tipizzate e con il marchio della
fornace per garantire il prodotto, impiegato per uso
strutturale e decorativo, si diffonde.
Tutti gli elementi della grande architettura romana sono
realizzati con mattoni e pezzi speciali di cotto.
29
30. LA FABBRICAZIONE dei manufatti in argilla
Il primo laterizio realizzato in argilla è stato il mattone.
Il mattone è così antico che ha accompagnato la storia
dell’uomo sin dagli albori arrivando fino ai nostri giorni
pressoché immutato nella geometria e subendo una lenta
evoluzione tecnologica.
Gran parte della storia dell'architettura vede come
assoluto protagonista il mattone: è questo infatti
l'elemento base delle costruzioni romane,
romaniche, gotiche, rinascimentali, barocche e
neoclassiche, ecc.
Le sue caratteristiche vincenti - l'economicità e il
facile impiego - lo imposero in pressoché tutte le
civiltà del mondo.
30
31. I laterizi prodotti dai Romani erano fabbricati con argilla
impastata con acqua e spesso con sabbia, paglia o
pozzolana fine.
L'impasto veniva compresso a mano in una forma di legno.
Messi ad asciugare all’ombra, venivano fatti essiccare per
parecchio tempo al coperto, in ambienti ventilati, venivano
rigirati spesso perché non si accartocciassero.
Infine, appilati di taglio, cuocevano nella fornace a una
temperatura sugli 800 gradi.
I laterizi così ottenuti, prodotti in formati standardizzati
vennero usati come elementi strutturali in costruzioni
murarie, come elementi per manti di copertura, come
materiale di riempimento.
31
32. L’arte di lavorare l’argilla fu una delle prime attività a
impegnare l’uomo faber, in quanto richiedeva soltanto l’abilità
delle mani e il calore del sole per essiccare i manufatti.
Questa priorità fu dovuta sicuramente anche all’abbondanza
delle argille sul nostro pianeta, ovunque diffuse in grande
quantità sia a livello di veri giacimenti dai quali viene estratta
(cave), sia sotto forma di terreni argillosi o terra comune con una
percentuale di argilla superiore al 15%.
Il grande uso che fu fatto sin dalla preistoria dell’argilla è
giustificato anche dalla proprietà plastica di questo materiale, che
unito all’acqua assume la capacità di adattarsi a qualsiasi forma
in cui venga modellato.
Le argille sono delle particolari rocce generate dalla
degenerazione o alterazione di altre rocce (rocce feldspatiche).
Più propriamente le argille sono miscele naturali di vari minerali,
argillosi e non argillosi.
Le caratteristiche strutturali dei minerali argillosi sono quelle che
determinano le caratteristiche tecnologiche quali la plasticità e
l’indurimento per cottura.
32
33. Estrazione argilla
Le cave di argilla erano quasi esclusivamente a cielo
aperto.
Una volta scavata, l’argilla veniva trasportata, senza
ricorrere all’ausilio di macchine, accanto alla “piazza” –
una superficie di terreno pianeggiante dove i laterizi
venivano messi ad asciugare prima della cottura.
L’argilla rimaneva là ammucchiata in cumuli alti al
massimo 1 m e veniva lasciata esposta alle varie
condizioni atmosferiche: il gelo, con la forza di
dilatazione dell’acqua, disaggregava le zolle e così
l’argilla assorbiva con più facilità l’acqua, diventando più
malleabile.
33
34. Maturazione dell’argilla
Dopo l’estrazione dell’argilla, prima di ogni forma di
lavorazione, l’argilla veniva fatta “maturare”
all’aperto (ibernazione), per un periodo che durava
normalmente 3-4 mesi.
Formatura laterizi
In un secondo tempo si procedeva alla formatura dei
laterizi, che dava al laterizio l’aspetto definitivo che
veniva fissato con la successiva fase di cottura che
veniva eseguita alle fornaci.
34
35. Essiccamento laterizi
Nella fase successiva, prima però della cottura, vi
era la fase intermedia dell’essiccamento: che
consentiva una graduale e non violenta
eliminazione dell’acqua dell’impasto.
Questa operazione implicava un certo ritiro dovuto
all’evaporazione dell’acqua.
Con la perdita dell’acqua i manufatti perdevano
elasticità, rendendo possibile la cottura successiva.
Questa operazione doveva essere lenta, per non
provocare ritiri e deformazioni notevoli che
potevano portare alla rottura dei manufatti.
L’essicamento veniva effettuato ad una
temperatura non superiore a 120 ° C: in questo
modo si perdeva solo l’acqua dell’impasto, mentre
con la successiva fase di cottura nelle fornaci si
completa l’opera.
35
37. Cottura laterizi
Le fornaci per la cottura dei laterizi venivano
generalmente costruite accanto alle cave di argilla,
che erano quasi esclusivamente a cielo aperto, e ai
boschi da cui ricavare la legna per la cottura.
I forni per la cottura dei materiali fittili ha avuto
una evoluzione: dall’iniziale cottura eseguita a cielo
aperto (forno scoperto a letto di tizzoni e ricoperto
di sole fascine), i Romani pervennero ad un forno
cui era possibile accedere internamente per
sistemare convenientemente il materiale da
cuocere, con divisione tra camera del fuoco e
camera di cottura.
37
38. I ritrovamenti archeologici hanno permesso di
ricostruire le tipologie delle fornaci romane, che
erano costruite con pianta di forma variabile
(circolare, ellittica, quadrata, rettangolare,
trapezoidale) e camera di combustione scavata nel
terreno per conservare meglio il calore, con uno o
due ingressi a tunnel (prefurnio).
Tra la zona di combustione e la camera di cottura
era interposto un piano forato sostenuto da pilastri
oppure da un sistema di archi e muri; il piano era
ricoperto dalla camera di cottura con forma a
cupola e struttura non sempre fissa, ma con pareti
e tetto costruiti ogni volta intorno ai laterizi da
cuocere, impiegando anche i materiali di scarto
derivati da precedenti lavorazioni.
Sul piano forato veniva accatastato il laterizio
disposto in modo che il calore circolasse
liberamente; i gas della combustione che
fuoriuscivano dal basso venivano diretti verso
un’apertura ricavata nella parte superiore del forno.
38
39. A. Camera di combustione
B. Porta per l’alimentazione del combustibile
C. Piano forato
D. Mattoni accatastati
E. Porta (totalmente murata durante la cottura)
F. Riserva di combustibile
G. Strutture laterali, fatte di mattoni e di pietre, che hanno un ruolo
isotermico.
39
40. I MANUFATTI IN COTTO
I manufatti in argilla già in epoca romana contano
un vasto repertorio costituito da mattoni, tegole,
tavelle da solaio, tubi fittili a sezione circolare
per lo smaltimento delle acque, anfore per
l’esecuzione di coperture e volte.
Le operazioni di formatura a mano permisero di
creare una vasta gamma di prodotti, tanto che
furono realizzati degli abachi per le misure dei
materiali cotti, con il campione reale di ciascuna
forma di laterizio.
Il fatto che le dimensioni dei laterizi variasse
spesso, sicuramente era dovuto all’uso di vendere
questi prodotti a numero, e non a peso:
diminuendo le dimensioni si poteva avere un
maggior ricavo economico per i venditori.
40
42. MATTONE
Il MATTONE fin dalle origini ha avuto una forma
quadrata, pur subendo nei secoli numerose
mutazioni dimensionali.
In epoca romana la produzione dei mattoni cotti si
normalizza su alcuni tipi ben precisi di dimensioni
differenti ma di forma quadrata con lato
proporzionale alla misura del piede romano, pari a
29,6 cm:
bessales: lato di 19.7 cm (equivalente a 2/3 di
piede)
pedales: lato di 29,6 cm (equivalente a 1 piede)
sesquipedales: lato di 44,4 cm (equivalente a
1/2 piede)
bipedales: lato di 59,2 cm (equivalente a 2
piedi)
La misura che è variata maggiormente è sempre
stata quella dello spessore, variabile tra 2,5 cm e
4,5 cm, secondo i diversi periodi di fabbricazione.
42
43. Testimonianza dell'attività dei primi fornaciai è il
mattone manubriato, chiamato così per la
fessura utilizzata come presa per renderlo più
maneggevole. Le sue misure erano cm 29,5 x
45 x 6,5 e il peso kg 16.
La pratica del mattone quadrato e sottile ha
permesso notevoli espressioni costruttive,
specialmente se usato in forma triangolare dopo la
spaccatura in cantiere, con la martellina,
dell’elemento quadrato in due parti triangolari
uguali: si ottenevano così i semilateres.
Si usò anche mescolare, a volte, all’argilla
dell’impasto il tufo pesto, per cui i mattoni da giallo
suolo, con la cottura diveniva rossiccio (mattone
rosso Severiano)
43
46. TIPI DI MATTONI
Le dimensioni del mattone sono legate alla mano dell’uomo: sono quindi simili in tutto
il mondo; tuttavia sussistono differenze geometriche non solo tra le diverse nazioni,
ma anche tra regione e regione, dovute ad usi e consuetudini locali, che i tentativi di
unificazione non sono riusciti a cancellare.
I mattoni si distinguono inoltre per le modalità di produzione e per la presenza o
meno di fori: ogni tipologia ha un suo impiego preferenziale e consente specifiche
soluzioni che meglio ne valorizzano le caratteristiche di base.
MODULARITÀ DEL MATTONE
La necessità di concatenare i mattoni per realizzare muri dello spessore di due o più
teste fa sì che larghezza e lunghezza del mattone siano fra loro rigorosamente
coordinate.
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51. TEGOLE
Gli Assiro-Babilonesi, gli Ittiti e i Fenici, per proteggere l'interno
delle abitazioni dagli agenti atmosferici e dall'irraggiamento
solare, ponevano sulle coperture piane delle loro case uno
spesso strato di argilla che veniva successivamente essiccata dal
sole.
Una migliore tenuta all'acqua si otteneva posando, in tempi
successivi, anche delle lastre smaltate di terracotta, fissate con
sostanze bituminose che ne sigillavano i giunti.
I Greci usavano impostare questo strato di argilla sopra una
orditura orizzontale in legno, con uno spessore decrescente in
modo da ottenere una certa pendenza della falda.
Anche il rivestimento e l'impermeabilizzazione di questo tipo di
tetti erano in genere realizzati con tegole di terracotta molto simili
ai nostri coppi.
Dallo strato di protezione in argilla e lastre in cotto alle tegole in
laterizio il passo fu breve.
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52. Il sistema delle tegole greche fu poi adottato e fatto
proprio dai Romani.
Presso gli antichi Romani, invece, era molto impiegato
un particolare tipo di tegola piana denominata embricus
(lunga circa 43 cm e larga da 25 a 28 cm), di forma
rettangolare o trapezoidale (rastremata nel senso della
lunghezza per consentirne la sovrapposizione l'una
sull'altra) caratterizzate da alette laterali; mentre la
tenuta fra tegole adiacenti era realizzata grazie alla
messa in opera di un elemento a canale, simile al coppo,
con la concavità rivolta verso il basso.
Già allora questi prodotti da costruzione, piuttosto
pregiati, portavano, in molti casi, stampigliato sulla
superficie, il nome del produttore, sistema precursore dei
moderni Marchi di Origine e di Qualità.
Lo sviluppo maggiore delle coperture in cotto si ebbe
proprio sotto l'Impero Romano, durante il quale furono
impiegati elementi a sezione semicircolare da porre lungo
le linee di colmo.
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56. TUBI FITTILI
Meno comuni dei mattoni, ma estremamente
interessanti per la funzione svolta sono i tubi fittili
per la conduzione delle acque bianche e nere.
Noti sin dai tempi dei Romani, erano realizzati
rivestendo un tronco di legno leggermente conico in
modo da facilitare lo sfilamento a formatura
eseguita.
Presentavano alle estremità i due innesti per i pezzi
successivi a maschio e femmine.
Spesso elementi di questo tipo sono stati ritrovati
nelle aree archeologiche.
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