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ARCHITETTURA
CONTEMPORANEA
High Tech
R. PIANO
R. ROGERS
N. FOSTER
B. FULLER
Architettura high-tech
Storia
L'high-tech (dall'espressione generica high-tech, "alta tecnologia") è uno stile
architettonico sviluppatosi negli anni settanta.
Prese il suo nome da High-Tech: The Industrial Style and Source Book for The
Home, un libro pubblicato nel 1978 da Joan Kron e Suzanne Slesin. Il libro così
come lo stile si avvalse pesantemente di materiali industriali come coperture di
pavimento di fabbrica.
Un altro termine per identificare questo stile è tardo modernismo, infatti,
inizialmente l'architettura High Tech sembrò una rivisitazione del Modernismo; uno
sviluppo delle idee precedenti supportate da una maggiore innovazione nei supporti
tecnologici.
Questo periodo fa da ponte tra il Modernismo ed Postmodernismo; si insinua in uno
di quei periodi grigi come ogni volta che finisce un periodo e ne inizia un altro.
Gli edifici high-tech fanno largo uso di strutture in vetro e acciaio, prendendo
esempio dall'architettura moderna e dagli edifici commerciali di Mies van der Rohe.
C'era una disillusione crescente nell'architettura moderna.
La realizzazione delle piante di sviluppo urbano di Le Corbusier, condusse a città
terribilmente monotone. Molte case erano realizzate con forme standardizzate.
Questo ebbe un grande ruolo nella monotonia. L'entusiasmo per l'edificio economico
condusse a costruzioni con finiture di qualità estremamente bassa. Molti dei quartieri
residenziali disegnati degenerarono in bassifondi. Come conseguenza la gente si
disilluse nei confronti di questo progresso e l'occidente cominciò a dare credito a
questo fallimento.
Nonostante lo sviluppo dell'Architettura Moderna, la società si annoiò dell'estetica
moderna.
L'High Tech è una risposta a questo, portando il modernismo ad altri estremi e nel
farlo, crea, un'estetica più nuova: glorificandosi del fascino delle innovazioni
tecnologiche.
L'architettura high-tech ha sviluppato un linguaggio tecnico libero dagli ornamenti
storicisti dell'architettura moderna.
Scopi
L'architettura High Tech si sviluppò su molti dei temi propri dell'Architettura Moderna,
dei quali si appropriò rielaborandoli e sviluppandoli in base alle ultime tendenze. Gli
scopi principali dell'architettura High Tech sono quelli di scioccare, creare qualcosa di
nuovo ed evidenziarne le sue complessità tecniche.
L'Architettura Moderna si sforzò nel ribellarsi contro le norme prestabilite per creare
una nuova estetica. L'architettura High Tech continua quel atteggiamento ribelle.
Nel libro High-Tech: The Industrial Style and Source Book for The Home, quando
Joan Kron e Suzanne Slesin discussero riguardo l'estetica High-Tech, enfatizzarono
utilizzando espressioni come your parents might find insulting (NDT è probabile che i
tuoi genitori lo trovino insultante). Questo spirito dimostra così adeguatamente
l'atteggiamento ribelle.
Kron e Slesin andarono ancora più avanti (quando coniarono il nome del movimento
nel libro) spiegando il termine High Tech come quello usato nei circoli architettonici
per descrivere un numero sempre maggiore di residenze e di edifici pubblici con un
aspetto crudamente tecnologico (NDT nuts-and-bolts-exposed-pipes technological
look).
L'edificio high-tech
In architettura l'edificio high-tech può essere considerato un "contenitore" la cui
forma è indipendente dalla funzione svolta al suo interno.
L'edificio high-tech permette di compiere molteplici e differenti funzioni al suo
interno. Questo perché lo spazio interno viene suddiviso, sia orizzontalmente che
verticalmente, seguendo una griglia modulare che permette il controllo di tutto
l'edificio (pianta libera).
Oltre alla flessibilità interna, l'edificio high-tech è studiato per essere ripetuto
modularmente (cioè nelle dimensioni) sia longitudinalmente che
trasversalmente, con la ripetizione del piano o della facciata. Vi è una disposizione
relativamente ordinata ed un uso frequente di elementi prefabbricati. I moduli di
servizio affiancano le unità spaziali principali e contengono quei servizi ed impianti
che, se disposti all'interno dell'involucro principale, ne comprometterebbero la
funzionalità.
La funzione dell'edificio inoltre è stata elaborata per non essere impostata. Questa
flessibilità significa che l'edificio dovrebbe essere un catalizzatore, i servizi tecnici
devono essere forniti ma stabilmente definiti
Un'importante peculiarità dell'architettura high-tech è la trasparenza dell'involucro.
Nell'approccio tecnologico, infatti, si ritiene necessario mostrare con chiarezza
l'organizzazione costruttiva seguendo il concetto: "è high-tech se si vede". Vi è
quindi l'esposizione dei componenti tecnici e funzionali della costruzione.
Un altro aspetto dell'architettura High Tech era quello di una rinnovata fiducia nelle
potenzialità della tecnologia nel migliorare il mondo. Ciò è particolarmente evidente
nei progetti per costruzioni tecnicamente sofisticate di Kenzo Tange da realizzarsi in
Giappone durante il boom edilizio negli anni sessanta. Pochi di questi progetti si
sono realmente trasformati in edifici.
Quando si parla di architettura high-tech si possono individuare almeno 4 forme
tipologiche:
1. La maglia - Esempi: Stabilimento Renault, Hong Kong and Shangai Bank
di Norman Foster
2. Il tunnel monodirezionale - Sainsbury Center di Foster - dove si esplica la
totale continuità tra parete orizzontale e parete verticale: il tunnel si può
ampliare in entrambe le direzioni (es. aeroporto di Osaka di Renzo Piano);
3. La cupola geodetica, costruita con aste d'alluminio ideate e sperimentate da
Fuller. Lo spazio all'interno è completamente libero, si parla di flessibilità
d'uso e ampliabilità nel senso che non si può aumentare di diametro,
però si possono assemblare altri spazi.
4. L'edificio in altezza, nato per applicare in verticale lo stesso principio del
tunnel. Anche in questa soluzione i servizi sono al di fuori dello spazio servito,
in modo tale da non essere vincolanti. (es. Sede di Lloyd's nella City di Londra,
di Richard Rogers e Century Tower a Tokio, di Foster).
Gli interni
Per quanto riguarda l'interior design c'era la tendenza ad usare quelli che erano
elementi di tipo industriale come oggetti familiari; ad esempio: recipienti usati
dall'industria chimica come vasi da fiori. Questo perché un obiettivo era l'uso
dell'estetica industriale, in parte perché la gente si spostava verso spazi
precedentemente industriali per andarci a vivere. Il movimento ha mirato a dare a
tutto un'apparenza industriale.
Gli elementi tecnici in mostra per generare l'estetica industriale non erano solamente
lì per fini estetici ma anche funzionali. Rispondono ad un'esigenza progettuale
risolvendo problemi di design. Sono comunque funzionali. Ciò è una rielaborazione
del funzionalismo del Movimento Moderno. Tuttavia, gli elementi industriali
mantengono in gran parte un'apparenza ed uno scopo funzionali.
Architetti
R. Piano - R. Rogers - N. Foster - B. Fuller
RICHARD ROGERS
Richard Rogers è un architetto inglese.
Nel 1964 fonda insieme alla moglie Sue e ai coniugi Wendy e Norman Foster, il Team 4, a cui si
deve la realizzazione della fabbrica Reliance Controls Factory (1967) e altre opere di minore
notorietà.
Sempre nel 1967 Rogers ha rappresentato gli architetti inglesi alla biennale di Parigi, tenendo corsi
universitari a Cambridge e a Londra.
Alla fine del decennio, insieme alla moglie, realizzò una casa leggera e flessibile, costituita da
elementi in plastica.
Nel 1968-69 costruì la sua casa a Wimbledon, utilizzando acciaio e materiali sintetici.
Dal 1969 è diventato professore al MIT, Yale, Princeton.
Durante un incontro con Renzo Piano è nata una collaborazione da cui sono nati progetti mai
eseguiti.
Nel 1971 i due, insieme a Gianfranco Franchini, vincono il concorso per il Centre Pompidou.
Elemento caratteristico di questo edificio è il fatto di evidenziare la tecnologia, intento che traspare
evidente dal reticolato strutturale della facciata.
Nel 1977 apre uno studio autonomo nella città a Londra dove progetta il complesso della Lloyd's
Bank.
I progetti più recenti sono il Palazzo della Corte Europea, il Palazzo di Giustizia a Bordeaux e il
Millennium Dome.
RENZO PIANO
Renzo Piano è un architetto italiano.
È tra i più noti e attivi architetti a livello internazionale, vincitore del Premio Pritzker consegnatogli
dal Presidente degli Stati Uniti Bill Clinton alla Casa Bianca nel 1998.
Nel 2006 diventa il primo italiano inserito dal TIME nella Time 100, l'elenco delle 100 personalità
più influenti del mondo, nonché tra le dieci più importanti del mondo nella categoria Arte ed
intrattenimento.
Nel 1981 Piano fonda il Renzo Piano Building Workshop (RPBW), con uffici a Genova, Parigi e
New York.
Nel 2010 il Renzo Piano Building Workshop è il primo studio di Architettura per fatturato sia in
Francia, con 45 milioni e 785 mila euro, sia in Italia, con 11 milioni e 294 mila euro dichiarati.
Nel 1988 il comune di Genova gli affida l'incarico di ristrutturare il Porto Antico, in vista delle
Celebrazioni Colombiane (Expo '92 Genova), festeggiamento dei 500 anni della scoperta
dell'America. Il progetto riqualifica l'area dei Magazzini del Cotone e del Millo, a cui si aggiungono
nuove costruzioni, come l'Acquario di Genova e il Bigo, l'ascensore panoramico. L'area ha
subito un nuovo intervento di riqualificazione nel 2001, sempre ad opera di Piano, in occasione del
G8.
Nel 1994 vince il concorso internazionale per il nuovo Auditorium Parco della Musica di Roma,
inaugurato nel 2002.
Nel 2004 porta a compimento la Chiesa di Padre Pio a San Giovanni Rotondo.
Nel 2008 viene inaugurata poi la California Academy of Sciences di San Francisco. Tra gli edifici
più eco-sostenibili al mondo per la ricercatezza con cui sono stati scelti i materiali.
Il 5 luglio 2012 a Londra viene inaugurato The Shard (La Scheggia), di cui Renzo Piano è
progettista, che con i suoi 310 metri risulta, al momento, il più alto grattacielo d'Europa e 45esimo
al mondo.
Il Centro nazionale d'arte e di cultura Georges Pompidou si trova a Parigi, in Rue
Beaubourg 19: è conosciuto, in francese, anche come Beaubourg.
L'edificio è opera degli architetti Richard Rogers e Renzo Piano.
Il Centro è nato dalla volontà di Georges Pompidou, presidente della repubblica
francese dal 1969 al 1974, che volle creare nel cuore di Parigi un'istituzione culturale
interamente dedicata all'arte moderna e contemporanea a cui si affiancassero anche
libri, design, musica, cinema.
Per questo il Centro comprende una grande biblioteca pubblica, la Bibliothèque
publique d'information, il Musée national d'art moderne, e IRCAM, un centro,
quest'ultimo, dedicato alla musica e alle ricerche acustiche.
Collocato all'interno dell'edificio è anche il Centro del design industriale.
Il Centre Georges Pompidou a Parigi di Piano e Roger evidenzia tutte quelle che
sono le caratteristiche dell'architettura high-tech.
La struttura portante, i condotti di ventilazione, le scale mobili, tutto a vista:100mila
mq di esposizione libera.
Tutto ciò fu rivoluzionario, poiché ad esempio i condotti di ventilazione, in
precedenza, normalmente sarebbero stati una componente nascosta della
costruzione.
Anche l'ingresso e i percorsi sono all'esterno, facendo permeare anche chi entra
dall'esterno.
Gli edifici high-tech fanno largo uso di strutture in vetro e acciaio, prendendo
esempio dall'architettura moderna e dagli edifici commerciali di Mies van der Rohe.
Gli architetti Renzo Piano e Richard Rogers realizzano l’edificio con una tecnica
all’avanguardia per l’epoca: un grande parallelepipedo alto 42 metri, lungo 166 metri
e largo 60, sostenuto da una struttura in acciaio a forti colori e da pareti in vetro.
E’ particolare l’attenzione decorativa praticamente assente nell’edificio, infatti si
presenta come un groviglio di travi metalliche il cui aspetto, simile ad una scultura
surrealista.
Gli elementi portanti, le scale, gli ascensori, le scale mobili, le gallerie di circolazione,
i tubi di ventilazione e riscaldamento, le condutture per l’acqua ed il gas sono stati
collocati all’esterno delle facciate (ciascun tubo dell’esterno è dipinto in un colore
differente, poiché ogni colore corrisponde ad una diversa funzione: il blu corrisponde
all’impianto di climatizzazione, il giallo a quello elettrico, il rosso alla circolazione e il
verde ai circuiti dell’acqua.), il che ha consentito di creare ad ogni piano una
superficie libera di 7500 mq.
Centre Pompidou - Beaubourg (Piano - Rogers)
PIANO - ROGERS
Centre Pompidou - Beaubourg
NORMAN FOSTER
Hong Kong and Shangai Bank
Hong Kong and Shangai Bank è uno dei primi esempi di edificio intelligente,
disponendo di un sistema centralizzato di controllo; in particolare un sistema di
microprocessori gestisce un insieme di specchi mobili, posti esternamente alla
copertura, così da seguire il movimento del sole durante il giorno, permettendo una
costante illuminazione delle zone più interne dell'atrio.
Foster disegnò un’intelaiatura che parte da cinque enormi strutture, sostenute
da otto gruppi di quattro colonne d’acciaio ricoperte di alluminio. In sostanza
si tratta di una struttura “appesa”, i cui piani pendono dall’alto anziché salire
dal basso.
Questo disegno permise di svuotare il nucleo centrale dell’edificio,
permettendo di realizzare un atrio gigantesco, di dimensioni e luminosità
impressionanti.
Ulteriore luce naturale proviene dall’uso di specchi, regolati dal computer, che
riflettono la luce nell’atrio.
Sono visibili ingranaggi, motori, catene e altre parti mobili degli ascensori e
delle scale mobili (per questo è stato soprannominato “robot building”).
Buckminster FULLER - La cupola geodetica
Le cupole geodetiche progettate da Fuller tra gli anni ‘50 e ‘60 del secolo scorso erano costruzioni
sferiche in grado di coprire spazi di grandi dimensioni, costituite da elementi modulari metallici a
forma di esaedro o ottaedro.
La Cupola di Montreal (US Pavilion for the 1967 International and Universal Exposition in
Montreal, 1967), che i visitatori potevano ammirare attraversando il padiglione su una monorotaia,
misurava 76 m di diametro e 41,5 m di altezza.
Sebbene un buon numero di progetti di Fuller non raggiunsero mai il successo industriale e di
pubblico, alcuni ancora esistono. Molte cupole geodetiche sono state costruite e sono ancora in
uso: secondo il Buckminster Fuller Institute oggi ne esistono di diametro superiore ai 200 metri.
Le principali si trovano in Giappone e Stati Uniti.
In Italia e precisamente all'ingresso sud di Spoleto c'è una cupola geodetica opera di Fuller,
donata alla città nel 1967. Il 21 dicembre del 2008, grazie all'idea dell'architetto spoletino Giorgio
Flamini e all'intervento dei fratelli Zefferino e Maria Flora Monini, la cupola è stata dotata di un
sistema di illuminazione affatto invasivo e formato da circa 105.000 luci a led bianche che la
rendono "viva" anche nelle ore di buio facendo diventare l'opera di Fuller uno dei simboli della città.
Le strutture geodetiche non ebbero il successo previsto da Fuller nel mercato delle abitazioni,
soprattutto a causa della difficoltà nell'adattarvi strutture pensate per case tradizionali (finestre,
impianti elettrici, camini), e soprattutto per la non convenzionalità della forma.
Il grande merito di Fuller fu quello di spingere un'intera generazione di studenti e professionisti a
pensare "fuori dagli schemi" e a mettere in dubbio le concezioni finora date per scontate. Fuller
ispirò altri designer e architetti come Norman Foster e Steve Baer che portarono avanti lo studio
delle costruzioni in forme innovative diverse dai classici rettangoli.
La prima cupola geodetica propriamente detta fu progettata poco dopo la prima guerra mondiale
da Walter Bauersfeld, ingegnere capo delle industrie ottiche Carl Zeiss, per alloggiare il proiettore
di un planetario: la cupola fu brevettata e costruita nel 1922 dalla ditta Dykerhoff and Wydmann sul
tetto degli impianti Zeiss di Jena, in Germania, e aperta al pubblico nello stesso anno.
Circa trent'anni dopo R. Buckminster Fuller riscoprì l'idea apparentemente da solo e battezzo la
cupola "geodetica" dopo una serie di esperimenti sul campo con Kenneth Snelson e altri al Black
Mountain College nei tardi anni 40.
Sebbene non si possa affermare che Fuller sia l'inventore della cupola geodetica egli sfruttò e
sviluppò l'idea, ricevendo un brevetto americano.
La cupola geodetica affascinò Fuller perché era estremamente resistente rispetto al proprio peso,
perché la sua struttura "omnitriangolare" era intrinsecamente stabile e perché racchiudeva il
massimo volume possibile con la minima superficie; sperava che la sua cupola contribuisse a
risolvere la crisi degli alloggi postbellica.
Infatti da un punto di vista ingegneristico le cupole geodetiche sono molto superiori alle tradizionali
costruzioni parallelepipedali formate da pilastri, travi e solai: le costruzioni tradizionali usano i
materiali in modo molto meno efficiente, sono molto più pesanti, molto meno stabili e dipendono
dalla gravità per restare in piedi.
Una cupola geodetica è una struttura emisferica composta da una rete di travi
giacenti su cerchi massimi (geodetiche).
Le geodetiche si intersecano formando elementi triangolari che giacciono
approssimativamente sulla superficie di una sfera; i triangoli sono tutti molto simili
tra loro ed essendo rigidi garantiscono la robustezza locale, mentre le geodetiche
formate dai loro lati distribuiscono gli sforzi locali sull'intera struttura. La cupola
geodetica è l'unica struttura costruita dall'uomo che diventa proporzionalmente più
resistente all'aumentare delle dimensioni.
Quando la struttura forma una sfera completa, viene detta sfera geodetica.
Fra tutte le strutture costruite con elementi lineari, la cupola geodetica è quella con il
massimo rapporto fra volume e peso racchiuso: strutturalmente sono molto più forti
di quanto sembrerebbe guardando le travi che le costituiscono. Durante la
costruzione di una nuova cupola geodetica c'è un momento in cui la struttura
raggiunge la "massa critica" necessaria e si assesta verso l'alto, sollevando i
ponteggi ad essa fissati.
Il progetto di una cupola geodetica è molto complesso, in parte perché non esistono
progetti standard di cupole geodetiche pronti, da scalare dimensionalmente secondo
le necessità, ma ogni cupola deve essere progettata da zero in base alle dimensioni,
alla forma e ai materiali.
Esistono dei criteri di progettazione basati sull'adattamento di solidi platonici, come
l'icosaedro: essenzialmente consistono nel proiettare le facce del solido sulla
superficie della sfera che lo circoscrive.
Non c'è un modo perfetto di eseguire una simile operazione, perché non è possibile
conservare contemporaneamente i lati e gli angoli originali, e il risultato è una
soluzione di compromesso basata su triangoli e geodetiche solo
approssimativamente regolari.
Il progetto di geodetiche si può estendere a superfici di forma qualsiasi, purché curva
e convessa; in questi casi però si rende necessario calcolare separatamente ogni
trave della struttura, facendo lievitare i costi. A causa delle difficoltà di progetto delle
cupole geodetiche i costruttori tendono a standardizzarle e a costruire solo pochi
modelli di dimensioni prefissate.
La Cupola di Montreal (US Pavilion for the 1967 International and Universal
Exposition in Montreal, 1967)
IL NUOVO CLASSICISMO
V. GREGOTTI
M. BOTTA
A. ROSSI
Vittorio Gregotti
Vittorio Gregotti si laurea in Architettura al Politecnico di Milano nel 1950.
Inizia la sua carriera collaborando con la storica rivista Casabella, diretta da Ernesto
Nathan Rogers, che in seguito dirige per 14 anni a partire dal 1982.
Dal 1953 al 1968 ha svolto la sua attività in collaborazione con Ludovico Meneghetti
e Giotto Stoppino (Architetti Associati).
Nel 1974 crea il suo studio professionale Gregotti Associati International, che da
allora ha realizzato opere in una ventina di paesi.
La sua opera si lega inizialmente a quei movimenti come il Neoliberty di reazione al
Movimento moderno ed alla sua interpretazione italiana definita Razionalismo
italiano, di questo genere l'esempio più significativo è il Palazzo per uffici a Novara
del 1960.
Giungerà poi, a progettare una Megastruttura architettonica per le Università di
Palermo(1969), Firenze (1972) e della Calabria (1974).
La sua capacità creativa è molto apprezzata, anche se non mancano sue
progettazioni controverse come quella del quartiere ZEN di Palermo o del
"Progetto Bicocca" a Milano.
L'ateneo calabrese venne istituito il 12 marzo del 1968.
In principio, l'università era costituita da un unico imponente edificio, il
Polifunzionale, attualmente sede della facoltà di Farmacia e di Scienze Politiche.
L'idea alla base dell’UNICAL riguardava la realizzazione di un centro residenziale
fornito di strutture autonome (teatro, centro sportivo, centro sanitario, centri sociali,
etc.).
Il significativo aumento della domanda di iscrizioni e l'apertura di nuovi corsi di
laurea, ha reso necessario la costruzione di nuove strutture che potessero
soddisfare le esigenze di didattica e ricerca.
Le nuove strutture, ideate da Vittorio Gregotti sono state pensate per soddisfare le
prospettive di crescita futura dell'università e per adattarsi alla conformazione nel
territorio costituito perlopiù da colline (pochi sono infatti i tratti pianeggianti).
Lo ZEN (acronimo di Zona Espansione Nord; nome ufficiale: San Filippo Neri) è la
quarantasettesima unità di primo livello di Palermo, parte della VII circoscrizione, che
ospita circa 16.000 abitanti.
Il quartiere, interamente costituito da fabbricati di edilizia popolare, si suddivide in
due aree, con diverse caratteristiche costruttive, comunemente definite come "Zen 1"
e "Zen 2".
Sorge a partire dal 1969 per opera dell'IACP palermitano su progetto dell'architetto
Vittorio Gregotti, oltre la cerchia della periferia urbana allora in piena espansione, a
tutt'oggi risulta un'entità separata rispetto alle aree circostanti. I fabbricati si
caratterizzano per la loro peculiare struttura architettonica (cosiddette insulae).
Alla vastità e all'intensività dell'insediamento di edilizia popolare, si aggiunsero ritardi
burocratici e disattenzione politica che portarono ad una occupazione non legittima
degli alloggi ed alla mancata realizzazione di molte fondamentali opere di
infrastrutturazione primaria e secondaria: in gran parte del quartiere mancano perfino
le fognature. A ben poco è servito l'insediamento nel quartiere di una struttura
sportiva (velodromo "Paolo Borsellino") e il cambiamento di denominazione negli
anni novanta.
Il quartiere è afflitto da gravi problemi di degrado architettonico (per la quasi totale
assenza di manutenzione sui fabbricati) specchio del pesante degrado sociale, con
alti tassi di dispersione scolastica, microcriminalità e infiltrazioni mafiose.
Nonostante le varie denunce dei media e l'impegno delle istituzioni scolastiche,
religiose e del volontariato, la situazione del quartiere rimane allarmante, tanto da
spingere il noto architetto Massimiliano Fuksas a proporne la demolizione, assieme
agli altri agglomerati periferici degradati d'Italia (come Corviale a Roma, o le Vele di
Scampia).
Vittorio Gregotti
L’Universita’ della Calabria
QUARTIERE ZEN - PALERMO
QUARTIERE BIVCOCCA - MILANO
Mario Botta
Mario Botta è un architetto svizzero, una delle maggiori figure dell'architettura contemporanea.
Laureatosi nel 1969 avvia la propria attività professionale aprendo uno studio a Lugano: le sue
prime costruzioni sono già caratterizzate da un'accurata ricerca di stili e materiali che meglio
riescono a esprimere la funzione e la personalità della struttura architettonica da progettare.
A partire dal 1970, al lavoro di progettazione affianca un'intensa attività d'insegnamento e di
ricerca, tenendo conferenze, seminari e corsi di architettura in varie scuole europee, asiatiche e
americane.
La sua architettura molto influenzata da Le Corbusier, Carlo Scarpa e Louis Kahn risulta
caratterizzata da un notevole pragmatismo e dalla creazione di uno Spazio architettonico forte e
geometrico, spesso rivestito di mattoni in cotto edificati con un attento disegno del particolare
architettonico.
Assai personale è la concezione d'architettura che il progettista svizzero ha sviluppato nel corso
della sua attività: un'architettura concepita sia come arte capace di fondersi in maniera armoniosa
con la natura, le culture e le storie dei territori, sia come testimone concreta dei vissuti storici e
delle aspirazioni umane.
Il materiale che meglio sorregge questa personale visione artistica è il laterizio, elemento
privilegiato da Mario Botta per quelle caratteristiche di flessibilità, solidità ed espressività che esso
è in grado di imprimere agli edifici.
Nelle sue numerose costruzioni è comunque presente un impiego di materiali variegati come la
pietra grigia di Riveo, il marmo bianco di Peccia, il marmo nero, la pietra rossa di Verona, le lastre
di porfido, gli strati vetrati e le strutture metalliche e cementizie. Elementi che, combinati insieme,
sanno creare effetti chiaroscurali e cromatici di suggestivo impatto visivo.
Anche la progettazione degli spazi architettonici aderisce a questo canone di varietà. Nelle
realizzazioni di Botta forme cilindriche ed ellittiche si affiancano a impianti rettangolari, archi
rampanti o a tutto sesto si contrappongono a volumi squadrati e a pietre impilate, superfici oblique
sovrastano perimetri a base rettangolare, coperture voltate fanno da contrappunto a murature
traforate e colonnati.
"La natura deve essere parte dell'architettura così come l'architettura deve essere parte della
natura; i due termini sono reciprocamente complementari. L'architettura descrive il progetto
dell'uomo, l'organizzazione dello spazio di vita e quindi è un atto di ragione, di pensiero, di lavoro.
Proprio per questo è sempre "dialogo" e confronto con la natura.
Io credo che l'architettura porti con sé l'idea del sacro, nel senso che è espressione del lavoro
dell'uomo. L'architettura non è solo un'organizzazione materiale; anche la più povera delle capanne
ha una sua storia, una sua dignità, una sua etica che testimonia di un vissuto, di una memoria,
parla delle più segrete aspirazioni dell'uomo. L'architettura è una disciplina dove - più che in altri
settori - la memoria gioca un ruolo fondamentale; dopo anni di lavoro mi sembra di capire come il
territorio su cui opera l'architetto si configuri sempre più come "spazio della memoria"; il territorio
fisico parla di una storia geologica, antropologica, ma anche di una memoria più umile legata al
lavoro dell'uomo. Ecco che allora, da questo punto di vista, l'architettura porta con sé un potenziale
di sacro perché‚ testimonia una saggezza "del fare" con gioie e fatiche che trasmettono sentimenti
ed emozioni che appartengono alla sfera spirituale. Di fronte ad una casa o ad una chiesa
proviamo un'emozione che non è solo data dal fatto costruttivo in sé‚ ma dai significati simbolici e
metaforici.
Sono, quindi, caratteristici della sua architettura l'utilizzo del mattone e della pietra e gli edifici
costituiti da volumi puri, tagliati e traforati da grandi spaccature, tra i quali gli edifici a cilindro tronco
che trovano la prima realizzazione nella chiesa di San Giovanni Battista a Mogno trova e il
Per esempio, costruire una chiesa vuole anche dire confrontarsi con il tema della durata, della
solidità, vuol dire creare un manufatto come presenza fisica fra terra e cielo.
... L'uomo porta con sé il bisogno primario dell'abitare, la voglia di costruirsi uno spazio di
protezione, di difesa, una sorta di utero materno; quindi da questo punto di vista l'architettura ha un
sicuro avvenire. D'altro canto, se analizzo i processi in atto nella cultura occidentale c'è poco da
stare allegri: l'uomo sa adeguarsi a tutto, e non importa in quale spazio, e così finisce per adattarsi
anche al peggio.
... Il laterizio è uno degli strumenti che adopero: mi affascina la sua povertà. Il fatto che sia terra -
cotta. È un elemento prefabbricato molto flessibile nell'uso e al tempo stesso anche economico; è
un materiale essenziale e forse per questo molto espressivo. Una lastra di acciaio inossidabile ha
un processo produttivo molto più complesso. Attraverso il mio laviro cerco di esprimere al meglio
anche il materiale apparentemente meno interessante. Poi c'è l'aspetto della durata. Il mattone è
uno dei materiali che invecchia meglio, anzi migliora con il tempo.
Ed infine esiste l'aspetto autobiografico. Io sono nato ai bordi della pianura padana; è quindi
evidente che la pietra della montagna resti per me più lontana; sono attratto dal colore e dall'odore
della creta.
Già da tanti anni uso il laterizio come materiale "portato" e non "portante"; questo mi ha attirato
molte critiche poiché‚ è pensiero comune usare unicamente questo materiale come elemento
‘"strutturale".
Credo invece che sia possibile usare il mattone anche "portato". Si tratta di esprimere questa
condizione staccandolo dalla struttura, con onestà e chiarezza.
È chiaro che la sua vocazione primaria, per dirla con Louis Khan, è quella di "trasformarsi in arco".
Personalmente mi sono preso la libertà di usarlo anche come elemento portato così come l'hanno
fatto in precedenza altri architetti, Peter Behrens e altri maestri. Questo significa che ci sono molte
possibilità per rendere omaggio ad un materiale bello e povero come il laterizio.
Sull'architettura
"La natura deve essere parte dell'architettura così come l'architettura deve essere parte della
natura; i due termini sono reciprocamente complementari. L'architettura descrive il progetto
dell'uomo, l'organizzazione dello spazio di vita e quindi è un atto di ragione, di pensiero, di lavoro.
Proprio per questo è sempre "dialogo" e confronto con la natura". (Mario Botta)
"Io credo che l'architettura porti con sé l'idea del sacro, nel senso che è espressione del lavoro
dell'uomo. L'architettura non è solo un'organizzazione materiale; anche la più povera delle capanne
ha una sua storia, una sua dignità, una sua etica che testimonia di un vissuto, di una memoria,
parla delle più segrete aspirazioni dell'uomo. L'architettura è una disciplina dove - più che in altri
settori - la memoria gioca un ruolo fondamentale; dopo anni di lavoro mi sembra di capire come il
territorio su cui opera l'architetto si configuri sempre più come "spazio della memoria"; il territorio
fisico parla di una storia geologica, antropologica, ma anche di una memoria più umile legata al
lavoro dell'uomo". (Mario Botta)
Sull'architettura del sacro
"Disegnare uno spazio rivolto al sacro dopo avere condiviso le emozioni offerte dai tratti intimisti di
Klee, o le provocazioni delle gesta sovrumane di Picasso, può apparire ingenuo, impossibile dentro
la precarietà del nostro essere: un compito fuori misura all'interno della povertà espressiva che ci è
Sull'architettura del sacro
"Disegnare uno spazio rivolto al sacro dopo avere condiviso le emozioni offerte dai tratti intimisti di
Klee, o le provocazioni delle gesta sovrumane di Picasso, può apparire ingenuo, impossibile dentro
la precarietà del nostro essere: un compito fuori misura all'interno della povertà espressiva che ci è
data. Eppure è anche compito urgente e vivo dal quale non possiamo sottrarci se ancora crediamo
nella possibilità di affermare alcuni valori fondamentali". (Mario Botta)
"Disegnare uno spazio rivolto al sacro può risultare allora anche un modo per riappacificarci con il
nostro tempo e riconoscere una nuova diversa legittimità alla città sociale e civile". (Mario Botta)
Sulla luce e gli spazi in architettura
"Nell'opera di architettura la luce genera lo spazio: senza luce non esiste spazio. La luce naturale
dà corpo alle forme plastiche, modella le superfici dei materiali, controlla ed equilibra i tracciati
geometrici. Lo spazio generato dalla luce è l'anima del fatto architettonico. I volumi costruiti
concorrono alla definizione degli spazi che nel progetto architettonico restano l'obiettivo finale; è il
vuoto che detta le relazioni spaziali e funzionali, che controlla i tracciati visivi, che genera possibili
emozioni, attese, interpretazioni". (Mario Botta)
"La luce, per l'architetto, è il segno visibile del rapporto che esiste tra l'opera di architettura e i valori
cosmici dell'intorno, è l'elemento che modella l'opera nello specifico contesto ambientale, ne
descrive la latitudine e l'orientamento, relaziona il manufatto con le particolarità ambientali". (Mario
Botta)
La cilindrica chiesa di San Giovanni Battista, esempio di architettura moderna
in granito e marmo, venne eretta tra il 1994 e il 1996, sui resti di una chiesa
precedente, distrutta da una valanga nel 1986.
La presenza di questa piccola chiesa di montagna, situata nell'alta Valle Maggia, si inserisce
delicatamente nel paesaggio costruito. L'idea di base che ha portato al disegno di questo
progetto nasce dalla condizione eccezionale di azzeramento del contesto dovuto alla calamità
naturale di una valanga che nel 1986 ha distrutto parte del villaggio e la vecchia chiesa
seicentesca. L'approccio a questo tema è perciò particolare, essendo stato generato dalla
riflessione sul rapporto tra la costruzione, come espressione della fatica quotidiana dell'uomo
e della sua presenza nel territorio, contro la smisurata forza della natura. Il sottile dualismo tra
il volume della muratura in pietra e la leggerezza in vetro della copertura testimonia la
sopravvivenza del manufatto, che si erge a baluardo del villaggio sfidando la montagna. La
spessa massa muraria di pietra della base caratterizza l'intero impianto ed è sapientemente
alleggerita dal progressivo rastremarsi dei corsi, che digradano fino alla sommità. La pianta
interna è ottenuta da un rettangolo inscritto in un'ellisse esterna che successivamente, in
corrispondenza del tetto, si trasforma in un cerchio. Lo spazio della chiesa è orientato
secondo la direttrice dell'asse minore dell'ellisse che a livello della copertura, opportunamente
inclinata, diventa un cerchio. La poderosa struttura dei due archi rampanti, che collegano la
parete a valle con quella a monte, enfatizza il carattere di resistenza richiesto all'architettura
che deve rispondere alla durezza del clima e della natura. Il sistema costruttivo sottolinea, con
le sue fasce alternate bicrome, la stratificazione tipica della costruzione in pietra, e ne marca i
lavoro a gravità che è proprio di questa tecnica. Questa architettura, con l'insistere del proprio
asse geometrico nella ricostruzione della vecchia chiesa distrutta, sottolinea una
sedimentazione storica che nella nuova configurazione si arricchisce dell'invenzione
geometrica, trasformando una struttura ellittica di base nella figura circolare di copertura
l'inquietudine della dimensione umana a terra, con la forma perfetta circolare nel cielo.
Casa di Pregassona, Svizzera
Su una collina a nord di Lugano a Pregassona (Ticino) è collocata questa casa
esempio del prototipo svilupato da Botta: un solido compatto, pur se squarciato da
incavi profondi che rivelano la disposizione interna.
È una forma semplice : un cubo, mostrano la povertà nuda dei materiali, l' assenza
assoluta di ogni decoro.
È del 1979 e anche l' ultima di dodici progettate nei ventenni di 1961-1981.
Le piante sono simmetriche e razionali. Questo si riflette nelle quattro facciate -
anche simmetriche- con le grandi vetrate talora arretrate rispetto ai muri perimetrali,
da dove entra la luce: unico decoro insieme al lucernario della facciata, il quale é
diventato un leit-motiv delle sue opere.
Al piano terreno vi sono l'ingresso, il corpo scala e due camere di servizi; al primo
piano la cucina, la sala da pranzo, il soggiorno col camino e il bagno; nel secondo
piano la camera da letto matrimoniale, la camera dei figli, due logge, un closet e il
bagno.
Casa rotonda a Stabio, Svizzera (1980)
"Ho immaginato un edificio a pianta circolare, tagliato sul suo asse nord-sud da una fenditura dalla
quale scende la luce zenitale. Un volume organizzato su tre livelli, una sorta di torre o meglio di un
oggetto disegnato e ritagliato su se stesso. L'intento era di non offrire occasione di confronto e/o
affermare un contrasto con l'edilizia circostante e di ricercare invece rapporti spaziali con il
paesaggio e l'orizzonte lontani. Con un volume cilindrico ho voluto evitare prospetti da dover
necessariamente confrontare con le facciate delle case esistenti. Un corpo edilizio così articolato
trova la propria ragion d'essere nello spazio teso tra la terra (alla quale si aggancia
perimetralmente) e il cielo (sul quale la copertura si apre zenitalmente con il lucernario).
Attorno a questo spazio verticale ho organizzato le varie funzioni abitative con il piano terreno
ideato come spazio di transizione fra interno ed esterno, il primo livello pensato come piano
catalizzatore delle differenti attività (zona giorno) e il secondo livello proposto come luogo di
maggiore privacy (zona notte). La ricerca della forma e della organizzazione spaziale costruttiva
secondo quegli intenti ha motivato il mio lavoro intorno al progetto. Mi ha sorretto la convinzione di
dover proporre oggi una diversa condizione ambientale capace di raccogliere le esigenze primarie
e costanti dell'abitare e di commisurarle alla nuova sensibilità e alle nuove aspirazioni determinate
dall'attuale cultura. Nel progetto della casa rotonda, come d'altronde in altri, questa condizione ha
riproposto il mio lavoro di architetto come una continua revisione dei codici e delle certezze che ho
maturato ed acquisito nei precedenti progetti".
Mario Botta, "La casa rotonda", a cura di Roberto Trevisiol, L'Erba Voglio, Milano, 1982
SFMoMA, museo d'arte moderna a San
Francisco, USA
La collocazione dell'edificio in un lotto confinante con tre edifici alti ha suggerito la scelta di
un'immagine particolarmente forte, che tuttavia sfuggisse a un confronto diretto certamente
perdente con le emergenze al contorno. Tre gli obiettivi dichiarati dell'intervento:
• l'illuminazione con luce naturale, nonostante lo sfavorevole rapporto di un quarto tra la superficie
dei lotto e la superficie dei programma edilizio;
• la creazione di una immagine unitaria all'interno;
• la realizzazione di una superficie esterna che viceversa, come una crosta, negasse un volto
all'edificio e stimolasse il visitatore ad entrarvi.
Il fronte anteriore gradonato raccoglie l'insieme degli spazi espositivi, che vengono illuminati
zenitalmente. Al centro esso si apre rivelando il corpo cilindrico di un volume che, emergendo dalla
copertura con un piano obliquo trasparente alberato al perimetro, richiude, illuminandola, l'ampia
cavità presente al centro dell'edificio, sulla quale si affacciano i percorsi di accesso ai diversi
ambienti.
Centro benessere Tschuggen Berg Oase a Arosa, Svizzera
Sul sito che già ospitava l'hotel, l'architetto ticinese ha immaginato e realizzato
un'architettura dal forte impatto visivo, collocandola nel parco che si sviluppa tra la
struttura alberghiera e la montagna
Qui, l'intero centro benessere si sviluppa a livello ipogeo; ciò che è visibile all'esterno
è soltanto la spettacolare copertura dalle geometriche forme vegetali. Simili a grandi
foglie, questi inediti lucernari lasciano passare la luce che, bianchissima nelle
giornate di neve, regala un'atmosfera davvero magica agli ambienti sotterranei.
Una soluzione dalla forte personalità, quindi, ma fatta anche di rispetto verso il
villaggio circostante: il centro benessere non si vede, se non nei suoi
"prolungamenti" fatti di trasparenza e di geometrie vegetali.
In questo "bosco" l'architettura sembra davvero voler imitare ciò che la circonda,
assumendo le forme ancestrali di una vegetazione spigolosa. All'interno lo spazio è
organizzato in modo flessibile, attraverso una serie di moduli inseriti in un unico
grande spazio.
I vari settori del Bergoase sono infatti caratterizzati da un ininterrotto rapporto
reciproco e comunicano con l'esterno attraverso gli alti lucernari. La superficie
complessiva è di 5300 metri quadri e comprende anche spazi esterni, come il
solarium e la piscina che, raggiungibili direttamente dall'area delle piscine interne, si
trovano su un terrazzamento privilegiato, completamente circondato dalla natura.
A collegare il centro benessere con l'albergo è una passerella in vetro e acciaio,
concepita anch'essa per enfatizzare la leggerezza e la trasparenza del complesso.
Un grande muro in pietra naturale risolve invece il rapporto con il terreno, creando
anche lo spazio necessario per i posti auto.
In questo panorama mozzafiato, la spa Bergoase si configura come una vera e
propria oasi montana, con camere e suite rimodernate per offrire il massimo comfort,
nonché con la comodità di un impianto di risalita privato. Ricordiamo infatti che il
Tschuggen Grand Hotel è membro dei "The Leading Hotels of the World", un
consorzio alberghiero di lusso operante a livello internazionale da ben 78 anni. In
questo luogo dall'atmosfera fiabesca, l'invito a sognare e a rilassarsi inizia, già prima
di entrare, di fronte a alla magia dell'architettura.
Arosa offre una straordinaria configurazione geografica di conca naturale, di spazio
delimitato dalle montagne. Uno spazio dove il confronto fra uomo e natura è una costante
sottolineata da un potente paesaggio. Ad Arosa riaffiora lo spirito della lotta ancestrale fra
l'uomo e la montagna.
Il sito dato per la costruzione della nuova struttura "Berg Oase" è un luogo che si
caratterizza, a fianco del grande albergo, come spazio libero e come parco alla base della
montagna retrostante.
Abbiamo immaginato di costruire senza costruire, di affermare la presenza del nuovo
attraverso dei corpi emergenti (foglie, alberi, lucernari con una propria geometria) e lasciare
interrato il grande volume con il programma funzionale.
La copertura degli spazi ipogei si trasforma così in un palcoscenico segnato da presenze
geometriche vegetali, segni che incuriosiscono il visitatore e portano una forte luce negli
spazi sottostanti durante il giorno e che irradiano luce durante la notte.
Questo contesto particolare ci ha quindi suggerito una soluzione intrigante, di forte
immagine e soprattutto di grande rispetto nel rapporto con il villaggio circostante. Quello
che normalmente verrebbe considerato come un grande volume scompare nella terra
lasciando emergere solo queste "antenne" vegetali e meccaniche nel contempo che,
nell'economia del villaggio, diventano segnali di una struttura a carattere ricreativo e
collettivo.
Lo spazio interno si presenta come un unico grande ambiente terrazzato che segue
l'andamento del pendio per limitare le opere di scavo. Il disegno della pianta è pensato in
modo modulare così da permettere la massima flessibilità nella dislocazione delle varie
funzioni che, nel progetto presentato, seguono le indicazioni date dalla committenza. I vari
settori del "Berg Oase" sono caratterizzati dal rapporto continuo tra loro e da un rapporto
privilegiato e suggestivo rispetto all'ambiente esterno attraverso le grandi "antenne" che ne
garantiscono l'illuminazione naturale e una straordinaria vista verso l'atmosfera e il
paesaggio montano.
Lo spazio interno si divide in quattro piani: il piano terra (1856.51 s.l.m.) accoglie la maggior
parte delle attrezzature per il fitness, parte della zona tecnica e il guardaroba per gli utenti
esterni che accedono direttamente a questo piano. Il primo piano (1859.81 s.l.m) ospita i
settori tecnici e le zone di trattamento: centrale HLZ, settore tecnico piscine, cabine per il
trattamento del corpo e cabine di bellezza, solarium, parrucchiere, negozio, toilette,
magazzini. Al secondo piano (1859.11 s.l.m) si trovano la connessione al Tschuggen Hotel
attraverso un ponte vetrato, la reception, gli spazi per il personale, i guardaroba per gli
utenti, toilette, e il "mondo sauna" con la relativa area rilassamento. Il terzo piano (1866.11
s.l.m) accoglie il "mondo acquatico" con diverse vasche per nuotare e rilassarsi, toilette,
spazio rilassamento, magazzini.
Gli spazi esterni (sauna, solarium, piscina) sono raggiungibili direttamente dal settore delle
piscine interne e posti su un terrazzamento privilegiato, immerso nella natura.
L'accesso alla nuova struttura avviene, attraverso una passerella vetrata ("promenade
architecturale"d), direttamente dall'albergo esistente, così come (per i visitatori esterni) dal
livello di entrata all'albergo.
La nuova edificazione oltre allo spazio "non costruito" delle "foglie" risolve il rapporto con
l'albergo esistente e con il suolo attraverso un grande muro in pietra naturale. Lo spazio
pubblico esterno viene così ridisegnato per creare un ambiente accogliente e risolvere il
problema dei posti auto, che vengono integrati in modo discreto nel progetto.
http://www.archimagazine.com/galleria/botta/gbotta.htm
Galleria d'arte contemporanea Watari-um a Tokyo, Giappone
L'edificio sfrutta la geometria regolare di un lotto triangolare, posto all'incontro tra una
strada principale e un percorso secondario laterale. Il vuoto, che denuncia la
presenza di una fascia di servizi allineati sul lato posteriore, distacca il fronte
principale dal suo retro, individuando anche nella base l'accesso al nuovo edificio. Il
lungo taglio, che interrompe al centro la facciata e si conclude alla base con una
grande vetrina rettangolare, diviene l'unico riferimento all'organizzazione interna
dell'edificio che si articola su sei piani con funzioni differenti: ai piani terra e interrato,
una libreria; ai piani primo, secondo e terzo, lo spazio espositivo di una galleria
d'arte; al quarto piano, la residenza del proprietario e ai piani quinto e sesto, spazi
per uffici.
Aldo Rossi (Milano, 3 maggio 1931 – Milano, 4 settembre 1997) è stato un architetto italiano.
Nato a Milano, durante la seconda guerra mondiale si trasferisce sul Lago di Como.
Nel 1949 si iscrive alla facoltà di architettura al Politecnico di Milano e si laurea nel 1959,
presentando una tesi con Piero Portaluppi come relatore.
Nel 1955 ha cominciato a collaborare come redattore alla rivista di architettura "Casabella-
continuità", diretta da Ernesto Nathan Rogers. La collaborazione è terminata nel 1964 quando la
rivista ha chiuso.
La pratica giornalistica continua però all'interno delle redazioni di "Società" e "Il contemporaneo",
che fanno di Rossi uno dei partecipanti più attivi al fervente dibattito culturale. I primi articoli
riguardano architetti come Alessandro Antonelli, Mario Ridolfi, August Perret ed Emil Kaufmann.
Inizia l'attività professionale presso lo studio di Ignazio Gardella nel 1956, passando poi per lo
studio di Marco Zanuso.
Nel 1963 inizia anche l'attività didattica: prima è assistente di Ludovico Quaroni (1963) presso la
scuola di urbanistica di Arezzo, successivamente di Carlo Aymonino all'Istituto di Architettura di
Venezia.
Nel 1965 è nominato professore al Politecnico di Milano e l'anno seguente, nel 1966, pubblica
L'architettura della città, presto divenuto un classico della letteratura architettonica.
La sua attività professionale, inizialmente dedicata alla teoria architettonica e a piccoli interventi
edilizi compie un salto di qualità quando Carlo Aymonino gli fa realizzare parte del complesso
"Monte Amiata" nel quartiere Gallaratese a Milano.
Nel 1971 vince il concorso di progettazione per l’ampliamento del cimitero San Cataldo a
Modena che gli donerà la fama internazionale.
La storia dell’architettura, Architettura contemporanea, pubblicata 5 anni più tardi da Manfredo
Tafuri e Francesco Dal Co, si chiude proprio con il progetto del giovane architetto milanese.
Dopo la sospensione dall'insegnamento insegna progettazione architettonica presso il Politecnico
federale di Zurigo, cattedra che occuperà dal 1971 al 1975.
Nel 1973 dirige la sezione internazionale di architettura alla XV Triennale di Milano, dove presenta,
tra gli altri, il suo allievo Arduino Cantafora.
Nel 1975 viene reintegrato nella professione didattica, torna a Venezia dove è docente del corso di
Composizione architettonica.
Nel 1979 diventa Accademico della prestigiosa Accademia nazionale di San Luca.
Intanto l'attività internazionale si fa più intensa: è Direttore del Seminario internazionale di Santiago
de Compostela, insegna in diverse università degli Stati Uniti, tra cui la Cooper Union di New York
e la Cornell University di Ithaca (New York) e collabora con l'Institute for Architecture and Urban
Studies, viaggia in oriente (Cina e Hong Kong) e tiene conferenze in Sud America.
ALDO ROSSI
Nel 1981 ottiene il primo premio al concorso internazionale per il progetto di un isolato,
precisamente il n° 10, tra la Kochstrasse e la Friedrichstrasse a Berlino.
Nel 1983 ottiene da Paolo Portoghesi l'incarico di direttore della sezione architettura alla Biennale
di Venezia, incarico che manterrà fino al 1984. L'anno successivo vince il concorso per il restauro
del Teatro Carlo Felice di Genova.
Negli anni seguenti cura le sue personali a Torino, Mosca, York, Londra, Madrid e a villa Farsetti
per la Biennale di Venezia.
Nel 1987 vince due concorsi internazionali: uno a Parigi per la Villette l'altro a Berlino per il
Deutsches Historisches Museum a Berlino.
Nel 1990 gli viene assegnato il Premio Pritzker, primo italiano a vincerlo e primo di una lunga serie
di riconoscimenti. Vince l'Aia Honor Award e il premio città di Fukuoka grazie al progetto del
complesso alberghiero “Il Palazzo”; il premio “Campione d'Italia nel mondo” e il premio “1991
Thomas Jefferson Medal in Architecture”. A questi prestigiosi riconoscimenti seguono le mostre al
Centre Georges Pompidou di Parigi, alla Borsa di Amsterdam, alla Berlinische Galerie di Berlino e
al Museo di arte contemporanea di Gand.
Nel 1996 diviene membro onorario dell'American Academy of Arts and Letters e l'anno successivo
riceve il Premio speciale Cultura per il settore “Architettura e Design” della Presidenza del
Consiglio dei ministri.
Muore a Milano il 4 settembre 1997, a seguito di un incidente automobilistico.
Postuma è l'aggiudicazione nel 1999 della gara (dopo aver vinto il ricorso) per la ricostruzione del
Teatro La Fenice di Venezia inaugurato nel 2004.
Il lavoro di Aldo Rossi rappresenta un superamento delle metodologie del Movimento Moderno,
appartenendo inizialmente alla corrente architettonica del Neoliberty, prima reazione al
razionalismo con richiami più o meno espliciti all'Art Nouveau.
Successivamente è approdato, al Post-Modern nel variato panorama Italiano di questo movimento,
che in lui ha assunto una rigorosità esemplare, che taluni hanno definito Neo-Novecento.Rossi fu
uno dei più grande rinnovatori ideologici e plastici dell'architettura contemporanea, con la sua
poesia metafisica ed il culto che professò nella stessa misura verso la geometria e la memoria.
Gli archetipi
Aldo Rossi ha sviluppato una concezione della città totalmente nuova rispetto all'idea di Le
Corbusier, idea che aveva dominato tutto il primo '900: Rossi la vedeva come la somma di tutte le
epoche, di tutti gli stili architettonici fino ad allora presenti. Non potendo "rompere" totalmente con il
passato come facevano gli architetti dell'international style, egli pertanto si trovava a dover rendere
la sua costruzione "organica" all'interno della città.
La sua soluzione è stato l'utilizzo degli Archetipi. Questi sono delle forme ricorrenti nella storia
dell'architettura, forme che vanno a costituire un vero e proprio richiamo alla cittadina esistente,
rendendo il proprio risultato nello stesso tempo innovativo e tradizionale. Molti sono stati gli
archetipi utilizzati da Rossi nel corso della sua carriera, e la loro bellezza sta nella facile
riconoscibilità da parte di tutti, sia dall'esperto che dal ragazzino.
Schizzi preparatori
Particolarità di Aldo Rossi sono i suoi schizzi preparatori. Da essi si rimane affascinati, concentrato
unico di ironia e contemporaneamente di studio profondo.
CIMITERO SAN CATALDO A MODENA
Nuovo cimitero di San Cataldo, Aldo Rossi tra gli anni ’70 e ’80
Una tipologia sepolcrale che s’innesta nella struttura neoclassica e ottocentesca
preesistente, come corpo straniato e visivamente pregnante per i cromatismi diversi
e brillanti che connotano le superfici murarie, moderno e monumentale, aperto ad un
dialogo disinibito con la storia.
Nel Cimitero di Modena, progettato a partire dal 1971 in relazione alla città e al suo
tracciato, la forma diventa archetipo, modello immutabile, simbolo del rapporto civile
della collettività con la morte.
Percorsi rettilinei porticati, assialità, simmetria, ripetizione e ritmo costituiscono la
sintassi architettonica elementare, da cui traspare l’ammirazione per le forme pure
degli illuministi francesi, Boullée e Ledoux, per il pensiero di Adolf Loos e le
geometrie sospese della metafisica italiana.
La pianta cimiteriale di Modena è di questo tipo: una struttura perimetrale regolare,
con all’interno percorsi ortogonali e tracciati retttilinei, che conducono al cubo rosso e
sovradimensionato del Sacrario, scandito da aperture geometriche, quasi fosse
un’architettura dechirichiana, passando per gli Ossari collocati al centro dell’area
come una serie di parallelepipedi in successione iscritti in un triangolo, per arrivare
alle Fosse Comuni all’onirico tronco di cono, che sembra tanto una vecchia
ciminiera.
Museo Bonnefanten e Museo d'Arte Moderna a Maastricht, Paesi Bassi
Perugia, Centro Direzionale Fontivegge, 2007, (Arch. Aldo Rossi)
Casa Aurora, Torino
IL DECOSTRUTTIVISMO
F. O. GEHRY
ZAHA HADID
DECOSTRUTTIVISMO
Il decostruttivismo è un movimento architettonico spesso contrapposto al movimento
postmoderno.
I suoi metodi, in reazione al razionalismo architettonico, vogliono de-costruire ciò che
è costruito.
Il teorico del decostruttivismo è il filosofo francese Jacques Derrida e la nascita del
fenomeno è avvenuta con una mostra organizzata a New York nel 1988 da Philip
Johnson, nella quale per la prima volta appare il nome di questa nuova tendenza
architettonica, che fu definita “Deconstructivist Architecture”.
Alla mostra di New York furono esposti progetti di Frank O. Gehry, Daniel Libeskind,
Rem Koolhaas, Peter Eisenman, Zaha Hadid, Bernard Tschumi e del gruppo
Coop Himmelb(l)au.
In questa esposizione veniva estrapolata un'architettura "senza geometria" (la
geometria euclidea), piani ed assi, con la mancanza di quelle strutture e particolari
architettonici, che sono sempre stati visti come parte integrante di quest'arte. Una
non architettura, quindi, che si avvolgeva e svolgeva su sé stessa con l'evidenza e la
plasticità dei suoi volumi. La sintesi di ciò è una nuova visione dell'ambiente costruito
e dello spazio architettonico, dove è il caos, se così si può dire, l'elemento
ordinatore. Le opere decostruttiviste sono caratterizzate da una geometria instabile
con forme pure e disarticolate e decomposte, costituite da frammenti, volumi
deformati, tagli, asimmetrie e un'assenza di canoni estetici tradizionali. I metodi del
decostruttivismo sono indirizzati a "decostruire" ciò che è costruito, una
destrutturazione delle linee dritte che si inclinano senza una precisa necessità.
Siamo davanti a un'architettura dove ordine e disordine convivono. Si arriva a
costruire oggetti d'uso quotidiano come edifici come nell'edificio Chiat Day Mojo di
Gehry.
Comune alla ricerca dei decostruttivisti è l'interesse per l'opera dei costruttivisti russi
degli anni venti del Novecento, che per primi infransero l'unità, l'equilibrio e la
gerarchia della composizione classica per creare una geometria instabile con forme
pure disarticolate e decomposte. È questo il precedente storico di quella
“destabilizzazione della purezza formale” che gli architetti decostruttivisti esasperano
nelle loro opere attuando così un completamento del radicalismo avanguardistico
costruttivista. Da ciò scaturisce la cifra “de” anteposta al termine costruttivismo, che
sta a indicare la “deviazione” dall'originaria corrente architettonica presa a
riferimento.
Molti critici annoverano tra i maggiori architetti decostruttivisti Frank O. Gehry, noto
per il Guggenheim Museum di Bilbao, anche se Gehry stesso ha sempre
dichiarato di non sentirsi decostruttivista.
Il decostruttivismo è forse l'ultimo, in ordine di tempo, degli "stili internazionali" in
architettura.
Frank Owen Goldenberg, noto come Frank O. Gehry (nel 1954 cambiò il cognome in
Gehry) (Toronto, 28 febbraio 1929), è un architetto canadese.
È uno dei più importanti architetti contemporanei, noto per il suo approccio scultoreo
e organico alla progettazione. Ebreo, vive e lavora negli Stati Uniti.
Il museo Guggenheim
Il Guggenheim di Bilbao è il progetto che ha portato Frank Gehry alla popolarità
grazie alle sue forme nuove e allo splendore dato dal rivestimento in titanio.
La progettazione e la realizzazione di una struttura così complessa è stata resa
possibile grazie all'utilizzo dei più moderni software di progettazione e di calcolo (il
programma usato è lo stesso che viene adoperato in Francia per la progettazione
degli aerei militari).
Oltre ad aver radicalmente cambiato il volto della città basca, il Museo Guggenheim
è indiscutibilmente una pietra miliare dell'architettura contemporanea e del nuovo
modo di concepire il rapporto tra contenitore e contenuto negli edifici museali,
diventando anch’esso opera d’arte.
Resta quindi un esemplare notevole dell'architettura contemporanea inserendosi
perfettamente nel contesto ambientale seppur in forte contrasto a causa del
rivestimento.
Le esposizioni nel museo cambiano frequentemente, e sono per lo più opere
realizzate durante il XX secolo, infatti le opere pittoriche e scultoree classiche
sono una piccolissima parte della collezione, in confronto ad altri tipi di
installazioni artistiche. Alcuni esperti d'arte considerano l'edificio di gran lunga
più interessante delle opere che contiene.
Rapidamente il museo si è rivelato come uno dei più spettacolari edifici del decostruttivismo. Il
Museo occupa complessivamente 24.000 metri quadri, di cui 10.600 sono spazi espositivi, e risulta
composto da una serie di volumi complessi, interconnessi in modo spettacolare. L'impatto con
l'ambiente circostante risulta certamente forte, ma al tempo stesso non tale da fornire disturbo,
anzi l'imponente struttura si sposa con il contesto grazie alla sua sobria eleganza dovuta anche ai
materiali di cui è rivestita.
Il disegno del museo e la sua costruzione seguono perfettamente lo stile e i metodi di Frank Gehry.
Come molti dei suoi lavori precedenti la struttura principale è radicalmente scolpita seguendo
contorni quasi organici. Il museo, affermano i progettisti, non possiede una sola superficie piana in
tutta la struttura. Parte dell'edificio è attraversata da un ponte elevato, e all'esterno è ricoperto da
piastre di titanio e blocchi di una pietra molto difficile da trovarsi (si è riusciti a reperirla solo in
Andalusia), la stessa utilizzata per la costruzione dell'Università di Deusto.
L'edificio, visto dal fiume, sembra avere la forma di una nave, rendendo così omaggio alla città
portuale nella quale si trova. I pannelli brillanti assomigliano alle squame di un pesce, e ricordano
le influenze delle forme organiche presenti in molte opere di Gehry. Visto dall'alto l'edificio mostra
senza ombra di dubbio la forma di un fiore. Per la progettazione il team di Gehry ha utilizzato
intensamente simulazioni computerizzate delle strutture, riuscendo così a ideare forme che
solamente qualche anno prima sarebbero risultate impossibili anche solo da immaginare.
Se dal livello del fiume il museo domina le viste della zona, il suo aspetto dal livello superiore della
strada è molto più modesto e riesce a non stonare con tutti gli edifici più tradizionali che gli sorgono
intorno.
FRANK GEHRY
Descrizione
La struttura si riflette sulle acque del Nerviòn e su quelle di un laghetto artificiale situato ai suoi
piedi ad un livello leggermente più alto di quello del fiume, che fa parte anch’esso dello spazio
espositivo.
Al livello dell'acqua sono qui collocati dei bruciatori, dotati di fori per fare entrare l'aria che si
mescola al gas, e da alcuni bocchettoni fuoriescono fiamme colorate miste a spruzzi d'acqua, che
rendono ancora più suggestiva una visita serale al Museo.
Una rampa collega la passeggiata a fiume con una torre dalla forma irregolare, dotata di una scala
interna che permette di salire sul ponte. La torre funge dunque da collegamento tra il museo ed il
Ponte de La Salve, una delle principali vie d'ingresso alla città e l’edificio risulta così integrato
all’area urbana, indicando il desiderio di integrazione del Museo con il resto della regione.
L'entrata principale si trova a conclusione di una delle strade principali della città, che si svolge in
diagonale e che collega il centro urbano al Museo ed è posta sei metri sotto il livello stradale. La
struttura interna dell'edificio si sviluppa in tre livelli, che contengono le sale espositive, a cui si
aggiunge un ulteriore livello, per i sistemi di condizionamento. Il fulcro compositivo dell’intero
edificio è composto da un atrio, di 650 metri quadri, e di 50 metri di altezza, dal quale prendono
luce anche i tre piani che vi si affacciano. Questo spazio viene illuminato sia dalla luce naturale che
penetra lateralmente dalle grandi vetrate che danno sul fiume, sia dalla vetrata che costituisce la
copertura del punto più alto dell'edificio da cui la luce proviene zenitalmente. Dall'atrio, inoltre, si
accede alla terrazza che si affaccia sul laghetto artificiale ed è coperta da una gigantesca tettoia
sorretta da un unico pilastro in pietra.
Ci sono, inoltre, 19 gallerie che si raccordano su questo spazio grazie ad un sistema di passerelle
curvilinee sospese, di ascensori a vetro e di torri di scale, destinate ad ospitare a rotazione le
collezioni della fondazione Guggenheim, le opere della collezione permanente, ma anche alcuni
percorsi espositivi dedicati ad artisti baschi e spagnoli contemporanei. Alcune gallerie presentano
una volumetria tradizionale e la loro forma è espressa all'esterno dai volumi in pietra, altre invece
presentano una spiccata irregolarità e sono identificabili all'esterno dal rivestimento in titanio. Molte
gallerie sono illuminate da lucernari che regolano l'intensità della luce naturale grazie ad un
sistema di tende motorizzate. Le sale interne destinate ad accogliere le opere, sono state
concepite partendo proprio dalle caratteristiche delle opere che erano destinate ad accogliere,
alcune delle quali di grandissime dimensioni.
Particolare cura è riservata alla manutenzione del museo, affinché le lamine di titanio conservino
sempre il loro splendore; spesso è infatti possibile vedere operai che sospesi con dei cavi,
puliscono o riparano il rivestimento con estrema competenza.
I materiali
Il titanio è uno dei protagonisti di quest'opera, poiché ricopre gran parte delle superfici esterne (si
tratta infatti di trentatremila lastre, realizzate per durare cent’anni). Il titanio è stato estratto in
Australia, fuso in Francia, laminato a Pittsburg, decappato in Gran Bretagna e assemblato a Milano
ed ha uno spessore di 0,3 mm per lamina. Altre parti dell’edificio, invece, sono rivestite da lastre di
pietra calcarea, proveniente dalle cave di Granada, con spessore di 50 mm, e tutte lucidate al
momento della posa. Duemilacinquecento lastre di cristallo costituiscono invece le parti trasparenti
dell'edificio, strutturate in doppio cristallo termico tale da proteggere l'interno dal calore e dalle
irradiazioni solari.
Progetto
La Solomon R. Guggenheim Foundation è la proprietaria di una grande collezione d'arte e del
Guggenheim Museum di New York.
Thomas Krens è stato il direttore di questa organizzazione, e la sua politica di espansione era
basata nel mandare fondi itineranti con il fine di creare esposizioni temporanee in differenti luoghi.
Volle anche costruire due centri d'arte in Europa, per questo scopo vennero scelte due città:
Berlino e Bilbao. Per quest'ultima sede venne pensato di riabilitare un vecchio museo d'arte
preesistente, e venne chiesto a Frank Gehry di ristrutturare la sede del museo, visto l'ottimo lavoro
svolto dall'architetto per la collezione temporanea di arte contemporanea. Per motivi puramenti
legali, nel 1990 fu indetto un concorso internazionale che durò dieci giorni. Parteciparono Isozaki,
lo studio Coop Himmelb(l)au e Gehry. La vittoria scontata di quest'ultimo lo portò a elaborare l'idea
di non ristrutturare la vecchia sede scelta dalla fondazione.
Gehry preferì disegnare un edificio "ex novo". La progettazione e la realizzazione di una struttura
così complessa è stata resa possibile grazie all'utilizzo dei più moderni software di progettazione e
di calcolo (il programma usato è lo stesso che viene adoperato in Francia per la progettazione degli
aerei militari). La sua collocazione fu scelta a nord del centro urbano, a lato de la ría de Bilbao.
Scelse questo posto perché da qui il museo sarebbe stato visibile da tre punti strategici della città,
sul luogo di un vecchio terreno industriale, in quanto parte di un piano di rivalutazione urbanistica
della città, iniziato nel 1989, che include un palazzo dei congressi, un aeroporto internazionale, una
nuova metropolitana e un piano di sistemazione delle rive del Nervion. Il 18 ottobre 1997 venne
celebrato il galà d'inaugurazione al quale accorsero importantissimi architetti, personalità varie del
mondo della cultura, e perfino il re di Spagna. Inoltre da questa festa partì una campagna
mediatica per lanciare il museo sul palcoscenico internazionale.
Il progetto ha ricevuto il Premio Internazionale Puente de Alcantara nel 1998.
Guggenheim Museum, Bilbao, 1993-1997
Walt Disney Concert Hall, Los Angeles
Il Walt Disney Concert Hall è situato a Los Angeles, su Bunker Hill ed è stato
inaugurato nell’Ottobre 2003.
E’ un edificio dedicato alla Los Angeles Philharmonic.
L’edificio è collocato all’interno della maglia regolare di Los Angeles, ma subito la
rompe ponendo gli ingressi sui quattro angoli, invece che sugli assi principali del
lotto; ogni ingresso è differenziato dall’altro sia per forma che per funzione: a Nord
Ovest la Sala Soci Fondatori, a Sud Est la Cascada, a Sud Ovest il giardino
musicisti, a Nord Est l’ingresso principale foyer. Da qui traspare la poetica
architettonica di Gehry che affianca elementi compiuti dell’edificio progettati
separatamente e pensati per poter vivere da soli sia funzionalmente che
staticamente.
Il progetto
Fu Lilian Disney (la vedova di Walt Disney) a gettare le basi, nel 1987, per
quest’opera, attraverso la donazione di 50 milioni di dollari. Lillian Disney intendeva
regalare alla Los Angeles Philharmonic, diventata una delle migliori orchestre del
mondo, una sala all'altezza.
Nel 1989 venne bandito il concorso e vi parteciparono 72 concorrenti, tra cui molti
architetti di fama internazionale. Fu la stessa Lillian Disney a scegliere il progetto di
Frank Gehry, quando era ancora un architetto conosciuto solo a Los Angeles per le
sue residenze fatte di zinco e lastre di compensato con strane forme
antigravitazionali. Il bando stabiliva gli aspetti fondamentali sviluppati poi nel progetto
dell’architetto americano: un ingresso principale aperto, un sereno rapporto con il
vicino Chandler Pavilion (l’attuale Music Center adibita a sala per opere e concerti),
una facciata pedonale lungo Grand Avenue e un’area all’aperto riservata ai musicisti.
L’esterno ondulato dell’edificio ricorda i petali di una rosa aperta (fiore tanto amato
dalla vedova Disney), ma è l’architetto stesso a definire la sua opera come una
barca a vela con il vento in poppa.
Struttura
L’edificio è collocato all’interno della maglia regolare di Los Angeles, ma subito la rompe
ponendo gli ingressi sui quattro angoli, invece che sugli assi principali del lotto; ogni
ingresso è differenziato dall’altro sia per forma che per funzione: a nordovest la Sala Soci
Fondatori, a sudest la Cascada, a sudovest il giardino musicisti, a nordest l’ingresso
principale del foyer.
Il problema con cui Gehry ha dovuto subito fare i conti, vista la dislocazione del progetto, è
l’integrazione con il contesto urbano in cui il teatro è inserito: due strade si incrociano e
danno luogo ad una piazza d’ingresso, che entra in contatto con il Music Center; una
seconda piazza posta sul retro circonda l’edificio posto al centro del lotto. Tutto ciò ha
suggerito al progettista di realizzare dei percorsi a zig-zag, apparentemente casuali,
suggeriti dalla pavimentazione, che conducono il visitatore, attraverso una serie di colonne,
all’interno del teatro, uno spazio puro ed ermetico dove regna la simmetria.
Quest’edificio, infatti, è una continua contraddizione non solo tra la simmetria interna e
l’asimmetria esterna, ma anche tra i volumi chiusi (interni) e gli spazi permeabili (esterni)
che creano una tensione spaziale; gli spazi esterni, inoltre, mirano a far dialogare il Walt
Disney Concert Hall con il Music Center posizionato dall’altra parte della strada. Proprio
per questo è attentamente studiata la collocazione del foyer che si snoda lungo la strada,
che non è mai delimitato da pareti, ma da elementi architettonici ben precisi, che servono
per lo svolgimento di molteplici attività come conferenze, dibattiti legati agli spettacoli,
programmi educativi, spettacoli improvvisati durante l’arco della giornata e tutto ciò che
porti il visitatore a percepire il senso della globalità.
Dal punto di vista costruttivo, l’intera struttura risulta dalla fusione di due sistemi costruttivi:
quello interno, regolare a maglia con pilastri in cemento ad interasse costante e un sistema
a setti, e quello esterno, rivestito di calcare francese e acciaio inossidabile.
Tutto il progetto gira intorno alla sala concerti che contiene 2265 posti, la cui forma interna
è dettata da parametri acustici (messi a punto da Yosushisa Toyota), uno spazio
simmetrico in opposizione all'asimmetria degli elementi che lo circondano.
Le forme del tetto e l’intelaiatura della cassa di risonanza all’esterno risultano date da un
movimento in proiezione scientifica. Anche per la realizzazione di questo progetto Gerhy si
è avvalso di un programma usato dall’aeronautica militare, per poter eseguire i calcoli su
una struttura così complicata.
La costruzione
La costruzione della sala concerti, il cui avvio era previsto per il 1991, si fermò dal 1994 al
1996 per cercare dei fondi. I fondi richiesti aumentarono, per un errato conto tra i costi di
produzione iniziale e quelli effettivamente necessari. Il progetto fu rivisitato, furono cambiati
alcuni particolari, come la facciata esterna: inizialmente prevista in pietra, fu realizzata in
metallo, nettamente più economica.
I lavori ripresero nel 1996 e si arrestarono nel 1999, vennero completati definitivamente nel
2003; il costo complessivo è stimato in 274 milioni di dollari, incluso il garage. Si stima che
la famiglia Disney donò 84,5 milioni di dollari e altri 25 milioni arrivarono dalla The Walt
Disney Company. Il resto delle donazioni venne fatto da privati.
F. O. GEHRY
Walt Disney Concert Hall, Los Angeles
Casa danzante
La Casa danzante (Tančící dům) è il soprannome dato ad un edificio per uffici nel
centro di Praga, Repubblica ceca, all'indirizzo Rašínovo nábřeží 80, 120 00 Praha 2.
Fu progettata dall'architetto croato, nato nella Repubblica Ceca, Vlado Milunić in
cooperazione con il canadese Frank Gehry.
La posizione scelta era un posto vacante sul lungofiume. L'edificio che occupava
precedentemente quel luogo era stato distrutto durante i bombardamenti di Praga
nel 1945.
La costruzione ebbe inizio nel 1994 e terminò nel 1996.
Lo stile fortemente non convenzionale creò delle controversie al tempo della
costruzione. Il presidente ceco Václav Havel, che visse per decenni vicino al sito, ha
supportato il progetto, sperando che l'edificio divenisse un centro di attività culturali.
Originalmente chiamato Fred and Ginger (da Fred Astaire e Ginger Rogers) la casa
ricorda vagamente una coppia di ballerini. Lo stile costruttivo sta tra il Neobarocco, il
Neogotico e l'Art Nouveau, stili architettonici per i quali Praga è famosa.
Il piano originale che proponeva un centro culturale non venne realizzato. Al settimo
piano si trova un ristorante francese con una magnifica vista della città. Tra gli altri
occupanti la casa alcune compagnie multinazionali. Data la collocazione su di una
strada molto trafficata l'edificio è dotato di una circolazione forzata d'aria, che rende
l'interno più confortevole per gli occupanti.
Casa danzante, Praga, Repubblica Ceca (1995)
Lou Ruvo Brain Institute
Il Lou Ruvo Center for Brain Health, ufficialmente Cleveland Clinic Lou
Ruvo Center for Brain Health, è un centro di Salute Mentale destinato a
fornire servizi correlati a tutti gli aspetti della cura del paziente, della
ricerca e dell'istruzione sui temi dell’Alzheimer, del Parkinson e dei disturbi
della memoria. Inaugurato il 13 luglio 2009 a Las Vegas, Nevada, è
gestito dalla Cleveland Clinic ed è stato progettato dall'architetto di fama
mondiale Frank Gehry.
Chiat Day Building (1985-91)
Una delle opere di architettura contemporanea da visitare è il “binocolo” di GEHRY:
il Chiat Day Building del 1985-91 ha visto l’architetto collaborare con Oldenburg e
van Bruggen.
La particolarità dell’edificio è l’entrata a forma di binocolo.
L’intenzione originaria era di far realizzare l’interno dell’edificio da dieci artisiti, ma
alla fine prevalsero due sale per conferenze progettate da Mike Kelly.
Il “binocolo” alto circa 20 metri, quale portale di ingresso ad un garage posto nei
pressi di un centro commerciale a Venice, California, nasce dalla collaborazione
dell’artista Claes Oldenburg con l’Arch. F.O.Gehry, il padre del decostruttivismo:
l’immagine è emblematica per innescare un dibattito sulla sperimentazione in ambito
architettonico, nel momento in cui le problematiche presenti nel mondo attuale dal
punto di vista della qualità della vita sono tali da doverci costringere a elaborare
soluzioni alternative e intelligenti.
Nel titolo sono indicate alcune correnti, tra le più recenti, che dimostrano la tendenza
di far prevalere l’aspetto artistico rispetto a quello architettonico propriamente detto,
per cui, da un punto di vista concettuale, dare maggior spazio all’immagine
ispirandosi ai diversi linguaggi artistici già conosciuti, vedi dada, pop-art, op-art,
ecc.; il dubbio nasce da qui: quanto la commistione tra il mero gesto artistico e
l’architettura legata ai suoi principi fondanti quali l’armonia compositiva, la funzione, il
rispetto dell’ambiente, la scelta dei materiali in rapporto al contesto in cui si va ad
operare ecc., sia giustificata.
Già con il decostruttivismo è presente questa tendenza, in quanto la funzione a cui è
destinata l’opera da realizzarsi è subordinata al suo aspetto scultoreo. Infatti
l’architetto Mark Wigley, docente a Princeton, autore di importanti saggi nei quali
sono presenti i caratteri distintivi del decostruttivismo, afferma che: <<la
decostruzione non è semplicemente architettonica. E’ piuttosto una sostituzione del
concetto tradizionale di architettura>>. Nel documentario prodotto da Sidney Pollack
intitolato “Frank Gehry, creatore di sogni”, appare evidente il diverso approccio che
l’architetto-artista ha con il progetto: la casualità con cui prende forma l’oggetto in
miniatura che, dopo diversi aggiustamenti dei suoi collaboratori sotto il suo comando,
secondo il proprio indiscutibile giudizio estetico, si trasformerà successivamente in
una scultura gigantesca. Il Guggenheim di Bilbao ne è un esempio dei più eclatanti:
l’immenso edificio sconvolge per le ardite forme che si avviluppano, si incastrano,
aggettano in un continuo susseguirsi di pieni e di vuoti: è un museo di sé stesso e
siamo talmente attratti dal contenitore da dimenticarci del contenuto.
Zaha Hadid
Il MAXXI - Museo nazionale delle arti del XXI secolo è un museo di arte
contemporanea, sostenuto dall'omonima fondazione costituita dal Ministero per i Beni e le Attività
Culturali.
Il museo è stato pensato come un luogo pluridisciplinare destinato alla sperimentazione e
all’innovazione nel campo delle arti e dell’architettura. Nel MAXXI risiedono due istituzioni museali,
il MAXXI arte e il MAXXI architettura, le cui collezioni permanenti sono incrementate sia attraverso
l’acquisizione diretta di opere che tramite progetti di committenza, concorsi tematici, premi rivolti
alle giovani generazioni, donazioni, affidamenti.
Oltre ai due musei il MAXXI ospita un auditorium, una biblioteca e una mediateca specializzate,
una libreria, una caffetteria e un bar/ristorante, gallerie per esposizioni temporanee, performance,
iniziative educational.
La grande piazza che disegna gli spazi esterni può accogliere opere ed eventi dal vivo.
La sede del MAXXI è stata progettata dall'architetto Zaha Hadid e si trova nel quartiere Flaminio di
Roma. Il complesso architettonico – con i suoi 27mila mq circa – costituisce un nuovo spazio
urbano articolato e “permeabile” al passaggio. Un percorso pedonale esterno segue la sagoma
dell'edificio e si apre in una grande piazza che, ripristinando un collegamento urbano interrotto per
quasi un secolo dal precedente impianto militare, offre ai visitatori un luogo di sosta.
All'interno una grande hall a tutta altezza conduce ai servizi di accoglienza, alla caffetteria e al
bookshop, all'auditorium e alle gallerie destinate a ospitare a rotazione le collezioni permanenti dei
due musei, le mostre e gli eventi culturali.
L'articolazione funzionale, strutturata in aree con connotazioni precise, percorsi e zone polivalenti e
flessibili, prevede sostanzialmente i due musei – MAXXI arte e MAXXI architettura – che ruotano
intorno alla grande hall a tutta altezza attraverso la quale si accede ai servizi di accoglienza, alla
caffetteria e al bookshop, ai laboratori didattici, all'auditorium e alle sale per eventi dal vivo e per
convegni, alle gallerie dedicate alle esposizioni temporanee e alle collezioni di grafica e fotografia.
Il progetto si confronta con il sistema urbano delle caserme, adottandone il profilo contenuto e
orizzontale. La circolazione interna confluisce in quella urbana, sovrapponendo più strati di percorsi
intrecciati e di spazi aperti alle condizioni specifiche del luogo. Le complessità delle forme, il variare
e l'intrecciarsi delle quote determinano una trama spaziale di grande complessità. L'andamento
rigato della copertura contiene una memoria degli shed dei capannoni preesistenti. Il percorso
pedonale – che all'interno diverrà museale – attraversa il sito seguendo la sagoma arrotondata del
museo e scivolando sotto i volumi in aggetto degli edifici. Il progetto sembra alludere alle
stratificazioni storiche e archeologiche della città di Roma che si presentano con la metafora dei
layers digitali.
L'idea progettuale sul piano architettonico presenta un segno deciso che predomina negli spazi
all'aria aperta, segnati dai volumi in aggetto, e negli ambienti di accoglienza, poi contraddetto dalla
spazialità più sobria delle gallerie destinate a ospitare le collezioni dei due musei. Con differenti
gradi di permeabilità, flessibilità e trasparenza, le diverse gallerie sono connotate dal controllo delle
condizioni ambientali e di luce. Arte, architettura e spazi per eventi dal vivo convivono in una
sequenza scenografica di suites caratterizzate da un uso modulato e zenitale della luce naturale.
Lo spazio non si identifica esclusivamente in un percorso lineare, ma offre una gamma di scelte
alternative per far sì che il visitatore non torni mai sui propri passi, godendo di suggestivi scorci
panoramici sull'architettura, le opere e la città.
Il cantiere
Il cantiere è stato esso stesso luogo di sperimentazione costruttiva per affrontare le prestazioni
strutturali e la resa estetica dei materiali protagonisti del progetto: il calcestruzzo, l'acciaio, il
vetro.
Sono in calcestruzzo le pareti che caratterizzano la forma e la struttura del MAXXI, come pure le
superfici orizzontali, le lame di copertura, interamente rivestite in cemento fibrorinforzato (GRC), e
gran parte delle finiture (superfici a vista, pavimenti, arredi).
La necessità di garantire la continuità della produzione del calcestruzzo e la qualità della miscela
hanno reso necessario l'impianto di una centrale di betonaggio nell'area di cantiere. L'esigenza di
controllare la resa estetica delle superfici in cemento faccia a vista, pensate da Zaha Hadid di
colore chiaro, lisce e appena segnate dai fori degli elementi di connessione delle due facce del
cassero, ha portato all'impiego di casseformi particolari, di dimensioni fuori standard. I casseri
devono sopportare le enormi spinte esercitate dal calcestruzzo nella fase di getto. Il loro
coefficiente di reimpiego è di poco superiore all'unità. La miscela utilizzata, del tipo
autocompattante per garantire una superficie compatta e liscia, permette di realizzare le pareti a
geometria complessa del MAXXI con getti di grandi dimensioni. L'impiego dell'acciaio è destinato ai
collegamenti verticali e ad altri elementi architettonici come le travi di collegamento tra le pareti in
calcestruzzo e i pilotis che sostengono i volumi in aggetto.
Il carattere fondamentale del progetto architettonico e strutturale è contenuto nell'idea di parete,
intesa come elemento ordinatore dello spazio. Gli spazi interni delle gallerie sono racchiusi da
coppie di pareti che corrono parallele secondo la configurazione spaziale dell'edificio.
Generalmente cieche, queste pareti superano la distinzione tra struttura portante e tamponatura
riassumendole in un unico elemento architettonico in calcestruzzo armato.
Il sistema di copertura - elemento complesso sotto il profilo tecnologico e impiantistico - è
interamente prodotto fuori opera: integra gli elementi di serramento, i dispositivi di controllo
dell'illuminazione naturale, gli apparecchi per l'illuminazione artificiale, i meccanismi per il
contenimento del calore da irraggiamento solare. Composto da una doppia vetrata superiore e da
un'ulteriore vetrata inferiore, è protetto all'esterno da un frangisole costituito da griglie metalliche
che, oltre a schermare la luce, diventano passerelle percorribili a fini manutentivi.
Il MAXXI architettura
Il MAXXI architettura è il primo museo nazionale di architettura presente in Italia. Il
suo interesse è centrato tanto sull’architettura “d’autore” quanto su quella cosiddetta
“anonima”. Nel museo convivono due anime distinte, quella che procede verso la
storicizzazione dell’architettura del XX secolo e quella contemporanea che vuole
rispondere agli interrogativi del presente, interpretando le aspettative della società
attuale. museo storico e museo contemporaneo, pur possedendo caratteri e
prospettive di sviluppo decisamente distinte, determinano una dimensione multipla e
trasversale. Il MAXXI architettura si pone come interlocutore delle altre istituzioni
culturali italiane del settore (quali la Biennale di Venezia o la Triennale di Milano), nel
campo della formazione secondaria e universitaria e della rete dei centri e archivi di
architettura. A livello internazionale, il MAXXI architettura aderisce e condivide gli
obiettivi dell’ICAM, la Confederazione dei Musei d'Architettura.
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  • 2. High Tech R. PIANO R. ROGERS N. FOSTER B. FULLER
  • 3. Architettura high-tech Storia L'high-tech (dall'espressione generica high-tech, "alta tecnologia") è uno stile architettonico sviluppatosi negli anni settanta. Prese il suo nome da High-Tech: The Industrial Style and Source Book for The Home, un libro pubblicato nel 1978 da Joan Kron e Suzanne Slesin. Il libro così come lo stile si avvalse pesantemente di materiali industriali come coperture di pavimento di fabbrica. Un altro termine per identificare questo stile è tardo modernismo, infatti, inizialmente l'architettura High Tech sembrò una rivisitazione del Modernismo; uno sviluppo delle idee precedenti supportate da una maggiore innovazione nei supporti tecnologici. Questo periodo fa da ponte tra il Modernismo ed Postmodernismo; si insinua in uno di quei periodi grigi come ogni volta che finisce un periodo e ne inizia un altro. Gli edifici high-tech fanno largo uso di strutture in vetro e acciaio, prendendo esempio dall'architettura moderna e dagli edifici commerciali di Mies van der Rohe. C'era una disillusione crescente nell'architettura moderna. La realizzazione delle piante di sviluppo urbano di Le Corbusier, condusse a città terribilmente monotone. Molte case erano realizzate con forme standardizzate. Questo ebbe un grande ruolo nella monotonia. L'entusiasmo per l'edificio economico condusse a costruzioni con finiture di qualità estremamente bassa. Molti dei quartieri residenziali disegnati degenerarono in bassifondi. Come conseguenza la gente si disilluse nei confronti di questo progresso e l'occidente cominciò a dare credito a questo fallimento. Nonostante lo sviluppo dell'Architettura Moderna, la società si annoiò dell'estetica moderna. L'High Tech è una risposta a questo, portando il modernismo ad altri estremi e nel farlo, crea, un'estetica più nuova: glorificandosi del fascino delle innovazioni tecnologiche. L'architettura high-tech ha sviluppato un linguaggio tecnico libero dagli ornamenti storicisti dell'architettura moderna.
  • 4. Scopi L'architettura High Tech si sviluppò su molti dei temi propri dell'Architettura Moderna, dei quali si appropriò rielaborandoli e sviluppandoli in base alle ultime tendenze. Gli scopi principali dell'architettura High Tech sono quelli di scioccare, creare qualcosa di nuovo ed evidenziarne le sue complessità tecniche. L'Architettura Moderna si sforzò nel ribellarsi contro le norme prestabilite per creare una nuova estetica. L'architettura High Tech continua quel atteggiamento ribelle. Nel libro High-Tech: The Industrial Style and Source Book for The Home, quando Joan Kron e Suzanne Slesin discussero riguardo l'estetica High-Tech, enfatizzarono utilizzando espressioni come your parents might find insulting (NDT è probabile che i tuoi genitori lo trovino insultante). Questo spirito dimostra così adeguatamente l'atteggiamento ribelle. Kron e Slesin andarono ancora più avanti (quando coniarono il nome del movimento nel libro) spiegando il termine High Tech come quello usato nei circoli architettonici per descrivere un numero sempre maggiore di residenze e di edifici pubblici con un aspetto crudamente tecnologico (NDT nuts-and-bolts-exposed-pipes technological look). L'edificio high-tech In architettura l'edificio high-tech può essere considerato un "contenitore" la cui forma è indipendente dalla funzione svolta al suo interno. L'edificio high-tech permette di compiere molteplici e differenti funzioni al suo interno. Questo perché lo spazio interno viene suddiviso, sia orizzontalmente che verticalmente, seguendo una griglia modulare che permette il controllo di tutto l'edificio (pianta libera). Oltre alla flessibilità interna, l'edificio high-tech è studiato per essere ripetuto modularmente (cioè nelle dimensioni) sia longitudinalmente che trasversalmente, con la ripetizione del piano o della facciata. Vi è una disposizione relativamente ordinata ed un uso frequente di elementi prefabbricati. I moduli di servizio affiancano le unità spaziali principali e contengono quei servizi ed impianti che, se disposti all'interno dell'involucro principale, ne comprometterebbero la funzionalità. La funzione dell'edificio inoltre è stata elaborata per non essere impostata. Questa flessibilità significa che l'edificio dovrebbe essere un catalizzatore, i servizi tecnici devono essere forniti ma stabilmente definiti Un'importante peculiarità dell'architettura high-tech è la trasparenza dell'involucro. Nell'approccio tecnologico, infatti, si ritiene necessario mostrare con chiarezza l'organizzazione costruttiva seguendo il concetto: "è high-tech se si vede". Vi è quindi l'esposizione dei componenti tecnici e funzionali della costruzione. Un altro aspetto dell'architettura High Tech era quello di una rinnovata fiducia nelle potenzialità della tecnologia nel migliorare il mondo. Ciò è particolarmente evidente nei progetti per costruzioni tecnicamente sofisticate di Kenzo Tange da realizzarsi in Giappone durante il boom edilizio negli anni sessanta. Pochi di questi progetti si sono realmente trasformati in edifici.
  • 5. Quando si parla di architettura high-tech si possono individuare almeno 4 forme tipologiche: 1. La maglia - Esempi: Stabilimento Renault, Hong Kong and Shangai Bank di Norman Foster 2. Il tunnel monodirezionale - Sainsbury Center di Foster - dove si esplica la totale continuità tra parete orizzontale e parete verticale: il tunnel si può ampliare in entrambe le direzioni (es. aeroporto di Osaka di Renzo Piano); 3. La cupola geodetica, costruita con aste d'alluminio ideate e sperimentate da Fuller. Lo spazio all'interno è completamente libero, si parla di flessibilità d'uso e ampliabilità nel senso che non si può aumentare di diametro, però si possono assemblare altri spazi. 4. L'edificio in altezza, nato per applicare in verticale lo stesso principio del tunnel. Anche in questa soluzione i servizi sono al di fuori dello spazio servito, in modo tale da non essere vincolanti. (es. Sede di Lloyd's nella City di Londra, di Richard Rogers e Century Tower a Tokio, di Foster). Gli interni Per quanto riguarda l'interior design c'era la tendenza ad usare quelli che erano elementi di tipo industriale come oggetti familiari; ad esempio: recipienti usati dall'industria chimica come vasi da fiori. Questo perché un obiettivo era l'uso dell'estetica industriale, in parte perché la gente si spostava verso spazi precedentemente industriali per andarci a vivere. Il movimento ha mirato a dare a tutto un'apparenza industriale. Gli elementi tecnici in mostra per generare l'estetica industriale non erano solamente lì per fini estetici ma anche funzionali. Rispondono ad un'esigenza progettuale risolvendo problemi di design. Sono comunque funzionali. Ciò è una rielaborazione del funzionalismo del Movimento Moderno. Tuttavia, gli elementi industriali mantengono in gran parte un'apparenza ed uno scopo funzionali. Architetti R. Piano - R. Rogers - N. Foster - B. Fuller
  • 6. RICHARD ROGERS Richard Rogers è un architetto inglese. Nel 1964 fonda insieme alla moglie Sue e ai coniugi Wendy e Norman Foster, il Team 4, a cui si deve la realizzazione della fabbrica Reliance Controls Factory (1967) e altre opere di minore notorietà. Sempre nel 1967 Rogers ha rappresentato gli architetti inglesi alla biennale di Parigi, tenendo corsi universitari a Cambridge e a Londra. Alla fine del decennio, insieme alla moglie, realizzò una casa leggera e flessibile, costituita da elementi in plastica. Nel 1968-69 costruì la sua casa a Wimbledon, utilizzando acciaio e materiali sintetici. Dal 1969 è diventato professore al MIT, Yale, Princeton. Durante un incontro con Renzo Piano è nata una collaborazione da cui sono nati progetti mai eseguiti. Nel 1971 i due, insieme a Gianfranco Franchini, vincono il concorso per il Centre Pompidou. Elemento caratteristico di questo edificio è il fatto di evidenziare la tecnologia, intento che traspare evidente dal reticolato strutturale della facciata. Nel 1977 apre uno studio autonomo nella città a Londra dove progetta il complesso della Lloyd's Bank. I progetti più recenti sono il Palazzo della Corte Europea, il Palazzo di Giustizia a Bordeaux e il Millennium Dome. RENZO PIANO Renzo Piano è un architetto italiano. È tra i più noti e attivi architetti a livello internazionale, vincitore del Premio Pritzker consegnatogli dal Presidente degli Stati Uniti Bill Clinton alla Casa Bianca nel 1998. Nel 2006 diventa il primo italiano inserito dal TIME nella Time 100, l'elenco delle 100 personalità più influenti del mondo, nonché tra le dieci più importanti del mondo nella categoria Arte ed intrattenimento. Nel 1981 Piano fonda il Renzo Piano Building Workshop (RPBW), con uffici a Genova, Parigi e New York. Nel 2010 il Renzo Piano Building Workshop è il primo studio di Architettura per fatturato sia in Francia, con 45 milioni e 785 mila euro, sia in Italia, con 11 milioni e 294 mila euro dichiarati. Nel 1988 il comune di Genova gli affida l'incarico di ristrutturare il Porto Antico, in vista delle Celebrazioni Colombiane (Expo '92 Genova), festeggiamento dei 500 anni della scoperta dell'America. Il progetto riqualifica l'area dei Magazzini del Cotone e del Millo, a cui si aggiungono nuove costruzioni, come l'Acquario di Genova e il Bigo, l'ascensore panoramico. L'area ha subito un nuovo intervento di riqualificazione nel 2001, sempre ad opera di Piano, in occasione del G8. Nel 1994 vince il concorso internazionale per il nuovo Auditorium Parco della Musica di Roma, inaugurato nel 2002. Nel 2004 porta a compimento la Chiesa di Padre Pio a San Giovanni Rotondo. Nel 2008 viene inaugurata poi la California Academy of Sciences di San Francisco. Tra gli edifici più eco-sostenibili al mondo per la ricercatezza con cui sono stati scelti i materiali. Il 5 luglio 2012 a Londra viene inaugurato The Shard (La Scheggia), di cui Renzo Piano è progettista, che con i suoi 310 metri risulta, al momento, il più alto grattacielo d'Europa e 45esimo al mondo.
  • 7. Il Centro nazionale d'arte e di cultura Georges Pompidou si trova a Parigi, in Rue Beaubourg 19: è conosciuto, in francese, anche come Beaubourg. L'edificio è opera degli architetti Richard Rogers e Renzo Piano. Il Centro è nato dalla volontà di Georges Pompidou, presidente della repubblica francese dal 1969 al 1974, che volle creare nel cuore di Parigi un'istituzione culturale interamente dedicata all'arte moderna e contemporanea a cui si affiancassero anche libri, design, musica, cinema. Per questo il Centro comprende una grande biblioteca pubblica, la Bibliothèque publique d'information, il Musée national d'art moderne, e IRCAM, un centro, quest'ultimo, dedicato alla musica e alle ricerche acustiche. Collocato all'interno dell'edificio è anche il Centro del design industriale. Il Centre Georges Pompidou a Parigi di Piano e Roger evidenzia tutte quelle che sono le caratteristiche dell'architettura high-tech. La struttura portante, i condotti di ventilazione, le scale mobili, tutto a vista:100mila mq di esposizione libera. Tutto ciò fu rivoluzionario, poiché ad esempio i condotti di ventilazione, in precedenza, normalmente sarebbero stati una componente nascosta della costruzione. Anche l'ingresso e i percorsi sono all'esterno, facendo permeare anche chi entra dall'esterno. Gli edifici high-tech fanno largo uso di strutture in vetro e acciaio, prendendo esempio dall'architettura moderna e dagli edifici commerciali di Mies van der Rohe. Gli architetti Renzo Piano e Richard Rogers realizzano l’edificio con una tecnica all’avanguardia per l’epoca: un grande parallelepipedo alto 42 metri, lungo 166 metri e largo 60, sostenuto da una struttura in acciaio a forti colori e da pareti in vetro. E’ particolare l’attenzione decorativa praticamente assente nell’edificio, infatti si presenta come un groviglio di travi metalliche il cui aspetto, simile ad una scultura surrealista. Gli elementi portanti, le scale, gli ascensori, le scale mobili, le gallerie di circolazione, i tubi di ventilazione e riscaldamento, le condutture per l’acqua ed il gas sono stati collocati all’esterno delle facciate (ciascun tubo dell’esterno è dipinto in un colore differente, poiché ogni colore corrisponde ad una diversa funzione: il blu corrisponde all’impianto di climatizzazione, il giallo a quello elettrico, il rosso alla circolazione e il verde ai circuiti dell’acqua.), il che ha consentito di creare ad ogni piano una superficie libera di 7500 mq. Centre Pompidou - Beaubourg (Piano - Rogers)
  • 8. PIANO - ROGERS Centre Pompidou - Beaubourg
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  • 14. NORMAN FOSTER Hong Kong and Shangai Bank
  • 15. Hong Kong and Shangai Bank è uno dei primi esempi di edificio intelligente, disponendo di un sistema centralizzato di controllo; in particolare un sistema di microprocessori gestisce un insieme di specchi mobili, posti esternamente alla copertura, così da seguire il movimento del sole durante il giorno, permettendo una costante illuminazione delle zone più interne dell'atrio. Foster disegnò un’intelaiatura che parte da cinque enormi strutture, sostenute da otto gruppi di quattro colonne d’acciaio ricoperte di alluminio. In sostanza si tratta di una struttura “appesa”, i cui piani pendono dall’alto anziché salire dal basso. Questo disegno permise di svuotare il nucleo centrale dell’edificio, permettendo di realizzare un atrio gigantesco, di dimensioni e luminosità impressionanti. Ulteriore luce naturale proviene dall’uso di specchi, regolati dal computer, che riflettono la luce nell’atrio. Sono visibili ingranaggi, motori, catene e altre parti mobili degli ascensori e delle scale mobili (per questo è stato soprannominato “robot building”).
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  • 19. Buckminster FULLER - La cupola geodetica Le cupole geodetiche progettate da Fuller tra gli anni ‘50 e ‘60 del secolo scorso erano costruzioni sferiche in grado di coprire spazi di grandi dimensioni, costituite da elementi modulari metallici a forma di esaedro o ottaedro. La Cupola di Montreal (US Pavilion for the 1967 International and Universal Exposition in Montreal, 1967), che i visitatori potevano ammirare attraversando il padiglione su una monorotaia, misurava 76 m di diametro e 41,5 m di altezza. Sebbene un buon numero di progetti di Fuller non raggiunsero mai il successo industriale e di pubblico, alcuni ancora esistono. Molte cupole geodetiche sono state costruite e sono ancora in uso: secondo il Buckminster Fuller Institute oggi ne esistono di diametro superiore ai 200 metri. Le principali si trovano in Giappone e Stati Uniti. In Italia e precisamente all'ingresso sud di Spoleto c'è una cupola geodetica opera di Fuller, donata alla città nel 1967. Il 21 dicembre del 2008, grazie all'idea dell'architetto spoletino Giorgio Flamini e all'intervento dei fratelli Zefferino e Maria Flora Monini, la cupola è stata dotata di un sistema di illuminazione affatto invasivo e formato da circa 105.000 luci a led bianche che la rendono "viva" anche nelle ore di buio facendo diventare l'opera di Fuller uno dei simboli della città. Le strutture geodetiche non ebbero il successo previsto da Fuller nel mercato delle abitazioni, soprattutto a causa della difficoltà nell'adattarvi strutture pensate per case tradizionali (finestre, impianti elettrici, camini), e soprattutto per la non convenzionalità della forma. Il grande merito di Fuller fu quello di spingere un'intera generazione di studenti e professionisti a pensare "fuori dagli schemi" e a mettere in dubbio le concezioni finora date per scontate. Fuller ispirò altri designer e architetti come Norman Foster e Steve Baer che portarono avanti lo studio delle costruzioni in forme innovative diverse dai classici rettangoli. La prima cupola geodetica propriamente detta fu progettata poco dopo la prima guerra mondiale da Walter Bauersfeld, ingegnere capo delle industrie ottiche Carl Zeiss, per alloggiare il proiettore di un planetario: la cupola fu brevettata e costruita nel 1922 dalla ditta Dykerhoff and Wydmann sul tetto degli impianti Zeiss di Jena, in Germania, e aperta al pubblico nello stesso anno. Circa trent'anni dopo R. Buckminster Fuller riscoprì l'idea apparentemente da solo e battezzo la cupola "geodetica" dopo una serie di esperimenti sul campo con Kenneth Snelson e altri al Black Mountain College nei tardi anni 40. Sebbene non si possa affermare che Fuller sia l'inventore della cupola geodetica egli sfruttò e sviluppò l'idea, ricevendo un brevetto americano. La cupola geodetica affascinò Fuller perché era estremamente resistente rispetto al proprio peso, perché la sua struttura "omnitriangolare" era intrinsecamente stabile e perché racchiudeva il massimo volume possibile con la minima superficie; sperava che la sua cupola contribuisse a risolvere la crisi degli alloggi postbellica. Infatti da un punto di vista ingegneristico le cupole geodetiche sono molto superiori alle tradizionali costruzioni parallelepipedali formate da pilastri, travi e solai: le costruzioni tradizionali usano i materiali in modo molto meno efficiente, sono molto più pesanti, molto meno stabili e dipendono dalla gravità per restare in piedi.
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  • 22. Una cupola geodetica è una struttura emisferica composta da una rete di travi giacenti su cerchi massimi (geodetiche). Le geodetiche si intersecano formando elementi triangolari che giacciono approssimativamente sulla superficie di una sfera; i triangoli sono tutti molto simili tra loro ed essendo rigidi garantiscono la robustezza locale, mentre le geodetiche formate dai loro lati distribuiscono gli sforzi locali sull'intera struttura. La cupola geodetica è l'unica struttura costruita dall'uomo che diventa proporzionalmente più resistente all'aumentare delle dimensioni. Quando la struttura forma una sfera completa, viene detta sfera geodetica. Fra tutte le strutture costruite con elementi lineari, la cupola geodetica è quella con il massimo rapporto fra volume e peso racchiuso: strutturalmente sono molto più forti di quanto sembrerebbe guardando le travi che le costituiscono. Durante la costruzione di una nuova cupola geodetica c'è un momento in cui la struttura raggiunge la "massa critica" necessaria e si assesta verso l'alto, sollevando i ponteggi ad essa fissati. Il progetto di una cupola geodetica è molto complesso, in parte perché non esistono progetti standard di cupole geodetiche pronti, da scalare dimensionalmente secondo le necessità, ma ogni cupola deve essere progettata da zero in base alle dimensioni, alla forma e ai materiali. Esistono dei criteri di progettazione basati sull'adattamento di solidi platonici, come l'icosaedro: essenzialmente consistono nel proiettare le facce del solido sulla superficie della sfera che lo circoscrive. Non c'è un modo perfetto di eseguire una simile operazione, perché non è possibile conservare contemporaneamente i lati e gli angoli originali, e il risultato è una soluzione di compromesso basata su triangoli e geodetiche solo approssimativamente regolari. Il progetto di geodetiche si può estendere a superfici di forma qualsiasi, purché curva e convessa; in questi casi però si rende necessario calcolare separatamente ogni trave della struttura, facendo lievitare i costi. A causa delle difficoltà di progetto delle cupole geodetiche i costruttori tendono a standardizzarle e a costruire solo pochi modelli di dimensioni prefissate.
  • 23. La Cupola di Montreal (US Pavilion for the 1967 International and Universal Exposition in Montreal, 1967)
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  • 25. IL NUOVO CLASSICISMO V. GREGOTTI M. BOTTA A. ROSSI
  • 26. Vittorio Gregotti Vittorio Gregotti si laurea in Architettura al Politecnico di Milano nel 1950. Inizia la sua carriera collaborando con la storica rivista Casabella, diretta da Ernesto Nathan Rogers, che in seguito dirige per 14 anni a partire dal 1982. Dal 1953 al 1968 ha svolto la sua attività in collaborazione con Ludovico Meneghetti e Giotto Stoppino (Architetti Associati). Nel 1974 crea il suo studio professionale Gregotti Associati International, che da allora ha realizzato opere in una ventina di paesi. La sua opera si lega inizialmente a quei movimenti come il Neoliberty di reazione al Movimento moderno ed alla sua interpretazione italiana definita Razionalismo italiano, di questo genere l'esempio più significativo è il Palazzo per uffici a Novara del 1960. Giungerà poi, a progettare una Megastruttura architettonica per le Università di Palermo(1969), Firenze (1972) e della Calabria (1974). La sua capacità creativa è molto apprezzata, anche se non mancano sue progettazioni controverse come quella del quartiere ZEN di Palermo o del "Progetto Bicocca" a Milano. L'ateneo calabrese venne istituito il 12 marzo del 1968. In principio, l'università era costituita da un unico imponente edificio, il Polifunzionale, attualmente sede della facoltà di Farmacia e di Scienze Politiche. L'idea alla base dell’UNICAL riguardava la realizzazione di un centro residenziale fornito di strutture autonome (teatro, centro sportivo, centro sanitario, centri sociali, etc.). Il significativo aumento della domanda di iscrizioni e l'apertura di nuovi corsi di laurea, ha reso necessario la costruzione di nuove strutture che potessero soddisfare le esigenze di didattica e ricerca. Le nuove strutture, ideate da Vittorio Gregotti sono state pensate per soddisfare le prospettive di crescita futura dell'università e per adattarsi alla conformazione nel territorio costituito perlopiù da colline (pochi sono infatti i tratti pianeggianti).
  • 27. Lo ZEN (acronimo di Zona Espansione Nord; nome ufficiale: San Filippo Neri) è la quarantasettesima unità di primo livello di Palermo, parte della VII circoscrizione, che ospita circa 16.000 abitanti. Il quartiere, interamente costituito da fabbricati di edilizia popolare, si suddivide in due aree, con diverse caratteristiche costruttive, comunemente definite come "Zen 1" e "Zen 2". Sorge a partire dal 1969 per opera dell'IACP palermitano su progetto dell'architetto Vittorio Gregotti, oltre la cerchia della periferia urbana allora in piena espansione, a tutt'oggi risulta un'entità separata rispetto alle aree circostanti. I fabbricati si caratterizzano per la loro peculiare struttura architettonica (cosiddette insulae). Alla vastità e all'intensività dell'insediamento di edilizia popolare, si aggiunsero ritardi burocratici e disattenzione politica che portarono ad una occupazione non legittima degli alloggi ed alla mancata realizzazione di molte fondamentali opere di infrastrutturazione primaria e secondaria: in gran parte del quartiere mancano perfino le fognature. A ben poco è servito l'insediamento nel quartiere di una struttura sportiva (velodromo "Paolo Borsellino") e il cambiamento di denominazione negli anni novanta. Il quartiere è afflitto da gravi problemi di degrado architettonico (per la quasi totale assenza di manutenzione sui fabbricati) specchio del pesante degrado sociale, con alti tassi di dispersione scolastica, microcriminalità e infiltrazioni mafiose. Nonostante le varie denunce dei media e l'impegno delle istituzioni scolastiche, religiose e del volontariato, la situazione del quartiere rimane allarmante, tanto da spingere il noto architetto Massimiliano Fuksas a proporne la demolizione, assieme agli altri agglomerati periferici degradati d'Italia (come Corviale a Roma, o le Vele di Scampia).
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  • 30. QUARTIERE ZEN - PALERMO
  • 32. Mario Botta Mario Botta è un architetto svizzero, una delle maggiori figure dell'architettura contemporanea. Laureatosi nel 1969 avvia la propria attività professionale aprendo uno studio a Lugano: le sue prime costruzioni sono già caratterizzate da un'accurata ricerca di stili e materiali che meglio riescono a esprimere la funzione e la personalità della struttura architettonica da progettare. A partire dal 1970, al lavoro di progettazione affianca un'intensa attività d'insegnamento e di ricerca, tenendo conferenze, seminari e corsi di architettura in varie scuole europee, asiatiche e americane. La sua architettura molto influenzata da Le Corbusier, Carlo Scarpa e Louis Kahn risulta caratterizzata da un notevole pragmatismo e dalla creazione di uno Spazio architettonico forte e geometrico, spesso rivestito di mattoni in cotto edificati con un attento disegno del particolare architettonico. Assai personale è la concezione d'architettura che il progettista svizzero ha sviluppato nel corso della sua attività: un'architettura concepita sia come arte capace di fondersi in maniera armoniosa con la natura, le culture e le storie dei territori, sia come testimone concreta dei vissuti storici e delle aspirazioni umane. Il materiale che meglio sorregge questa personale visione artistica è il laterizio, elemento privilegiato da Mario Botta per quelle caratteristiche di flessibilità, solidità ed espressività che esso è in grado di imprimere agli edifici. Nelle sue numerose costruzioni è comunque presente un impiego di materiali variegati come la pietra grigia di Riveo, il marmo bianco di Peccia, il marmo nero, la pietra rossa di Verona, le lastre di porfido, gli strati vetrati e le strutture metalliche e cementizie. Elementi che, combinati insieme, sanno creare effetti chiaroscurali e cromatici di suggestivo impatto visivo. Anche la progettazione degli spazi architettonici aderisce a questo canone di varietà. Nelle realizzazioni di Botta forme cilindriche ed ellittiche si affiancano a impianti rettangolari, archi rampanti o a tutto sesto si contrappongono a volumi squadrati e a pietre impilate, superfici oblique sovrastano perimetri a base rettangolare, coperture voltate fanno da contrappunto a murature traforate e colonnati. "La natura deve essere parte dell'architettura così come l'architettura deve essere parte della natura; i due termini sono reciprocamente complementari. L'architettura descrive il progetto dell'uomo, l'organizzazione dello spazio di vita e quindi è un atto di ragione, di pensiero, di lavoro. Proprio per questo è sempre "dialogo" e confronto con la natura. Io credo che l'architettura porti con sé l'idea del sacro, nel senso che è espressione del lavoro dell'uomo. L'architettura non è solo un'organizzazione materiale; anche la più povera delle capanne ha una sua storia, una sua dignità, una sua etica che testimonia di un vissuto, di una memoria, parla delle più segrete aspirazioni dell'uomo. L'architettura è una disciplina dove - più che in altri settori - la memoria gioca un ruolo fondamentale; dopo anni di lavoro mi sembra di capire come il territorio su cui opera l'architetto si configuri sempre più come "spazio della memoria"; il territorio fisico parla di una storia geologica, antropologica, ma anche di una memoria più umile legata al lavoro dell'uomo. Ecco che allora, da questo punto di vista, l'architettura porta con sé un potenziale di sacro perché‚ testimonia una saggezza "del fare" con gioie e fatiche che trasmettono sentimenti ed emozioni che appartengono alla sfera spirituale. Di fronte ad una casa o ad una chiesa proviamo un'emozione che non è solo data dal fatto costruttivo in sé‚ ma dai significati simbolici e metaforici. Sono, quindi, caratteristici della sua architettura l'utilizzo del mattone e della pietra e gli edifici costituiti da volumi puri, tagliati e traforati da grandi spaccature, tra i quali gli edifici a cilindro tronco che trovano la prima realizzazione nella chiesa di San Giovanni Battista a Mogno trova e il
  • 33. Per esempio, costruire una chiesa vuole anche dire confrontarsi con il tema della durata, della solidità, vuol dire creare un manufatto come presenza fisica fra terra e cielo. ... L'uomo porta con sé il bisogno primario dell'abitare, la voglia di costruirsi uno spazio di protezione, di difesa, una sorta di utero materno; quindi da questo punto di vista l'architettura ha un sicuro avvenire. D'altro canto, se analizzo i processi in atto nella cultura occidentale c'è poco da stare allegri: l'uomo sa adeguarsi a tutto, e non importa in quale spazio, e così finisce per adattarsi anche al peggio. ... Il laterizio è uno degli strumenti che adopero: mi affascina la sua povertà. Il fatto che sia terra - cotta. È un elemento prefabbricato molto flessibile nell'uso e al tempo stesso anche economico; è un materiale essenziale e forse per questo molto espressivo. Una lastra di acciaio inossidabile ha un processo produttivo molto più complesso. Attraverso il mio laviro cerco di esprimere al meglio anche il materiale apparentemente meno interessante. Poi c'è l'aspetto della durata. Il mattone è uno dei materiali che invecchia meglio, anzi migliora con il tempo. Ed infine esiste l'aspetto autobiografico. Io sono nato ai bordi della pianura padana; è quindi evidente che la pietra della montagna resti per me più lontana; sono attratto dal colore e dall'odore della creta. Già da tanti anni uso il laterizio come materiale "portato" e non "portante"; questo mi ha attirato molte critiche poiché‚ è pensiero comune usare unicamente questo materiale come elemento ‘"strutturale". Credo invece che sia possibile usare il mattone anche "portato". Si tratta di esprimere questa condizione staccandolo dalla struttura, con onestà e chiarezza. È chiaro che la sua vocazione primaria, per dirla con Louis Khan, è quella di "trasformarsi in arco". Personalmente mi sono preso la libertà di usarlo anche come elemento portato così come l'hanno fatto in precedenza altri architetti, Peter Behrens e altri maestri. Questo significa che ci sono molte possibilità per rendere omaggio ad un materiale bello e povero come il laterizio. Sull'architettura "La natura deve essere parte dell'architettura così come l'architettura deve essere parte della natura; i due termini sono reciprocamente complementari. L'architettura descrive il progetto dell'uomo, l'organizzazione dello spazio di vita e quindi è un atto di ragione, di pensiero, di lavoro. Proprio per questo è sempre "dialogo" e confronto con la natura". (Mario Botta) "Io credo che l'architettura porti con sé l'idea del sacro, nel senso che è espressione del lavoro dell'uomo. L'architettura non è solo un'organizzazione materiale; anche la più povera delle capanne ha una sua storia, una sua dignità, una sua etica che testimonia di un vissuto, di una memoria, parla delle più segrete aspirazioni dell'uomo. L'architettura è una disciplina dove - più che in altri settori - la memoria gioca un ruolo fondamentale; dopo anni di lavoro mi sembra di capire come il territorio su cui opera l'architetto si configuri sempre più come "spazio della memoria"; il territorio fisico parla di una storia geologica, antropologica, ma anche di una memoria più umile legata al lavoro dell'uomo". (Mario Botta) Sull'architettura del sacro "Disegnare uno spazio rivolto al sacro dopo avere condiviso le emozioni offerte dai tratti intimisti di Klee, o le provocazioni delle gesta sovrumane di Picasso, può apparire ingenuo, impossibile dentro la precarietà del nostro essere: un compito fuori misura all'interno della povertà espressiva che ci è
  • 34. Sull'architettura del sacro "Disegnare uno spazio rivolto al sacro dopo avere condiviso le emozioni offerte dai tratti intimisti di Klee, o le provocazioni delle gesta sovrumane di Picasso, può apparire ingenuo, impossibile dentro la precarietà del nostro essere: un compito fuori misura all'interno della povertà espressiva che ci è data. Eppure è anche compito urgente e vivo dal quale non possiamo sottrarci se ancora crediamo nella possibilità di affermare alcuni valori fondamentali". (Mario Botta) "Disegnare uno spazio rivolto al sacro può risultare allora anche un modo per riappacificarci con il nostro tempo e riconoscere una nuova diversa legittimità alla città sociale e civile". (Mario Botta) Sulla luce e gli spazi in architettura "Nell'opera di architettura la luce genera lo spazio: senza luce non esiste spazio. La luce naturale dà corpo alle forme plastiche, modella le superfici dei materiali, controlla ed equilibra i tracciati geometrici. Lo spazio generato dalla luce è l'anima del fatto architettonico. I volumi costruiti concorrono alla definizione degli spazi che nel progetto architettonico restano l'obiettivo finale; è il vuoto che detta le relazioni spaziali e funzionali, che controlla i tracciati visivi, che genera possibili emozioni, attese, interpretazioni". (Mario Botta) "La luce, per l'architetto, è il segno visibile del rapporto che esiste tra l'opera di architettura e i valori cosmici dell'intorno, è l'elemento che modella l'opera nello specifico contesto ambientale, ne descrive la latitudine e l'orientamento, relaziona il manufatto con le particolarità ambientali". (Mario Botta)
  • 35. La cilindrica chiesa di San Giovanni Battista, esempio di architettura moderna in granito e marmo, venne eretta tra il 1994 e il 1996, sui resti di una chiesa precedente, distrutta da una valanga nel 1986. La presenza di questa piccola chiesa di montagna, situata nell'alta Valle Maggia, si inserisce delicatamente nel paesaggio costruito. L'idea di base che ha portato al disegno di questo progetto nasce dalla condizione eccezionale di azzeramento del contesto dovuto alla calamità naturale di una valanga che nel 1986 ha distrutto parte del villaggio e la vecchia chiesa seicentesca. L'approccio a questo tema è perciò particolare, essendo stato generato dalla riflessione sul rapporto tra la costruzione, come espressione della fatica quotidiana dell'uomo e della sua presenza nel territorio, contro la smisurata forza della natura. Il sottile dualismo tra il volume della muratura in pietra e la leggerezza in vetro della copertura testimonia la sopravvivenza del manufatto, che si erge a baluardo del villaggio sfidando la montagna. La spessa massa muraria di pietra della base caratterizza l'intero impianto ed è sapientemente alleggerita dal progressivo rastremarsi dei corsi, che digradano fino alla sommità. La pianta interna è ottenuta da un rettangolo inscritto in un'ellisse esterna che successivamente, in corrispondenza del tetto, si trasforma in un cerchio. Lo spazio della chiesa è orientato secondo la direttrice dell'asse minore dell'ellisse che a livello della copertura, opportunamente inclinata, diventa un cerchio. La poderosa struttura dei due archi rampanti, che collegano la parete a valle con quella a monte, enfatizza il carattere di resistenza richiesto all'architettura che deve rispondere alla durezza del clima e della natura. Il sistema costruttivo sottolinea, con le sue fasce alternate bicrome, la stratificazione tipica della costruzione in pietra, e ne marca i lavoro a gravità che è proprio di questa tecnica. Questa architettura, con l'insistere del proprio asse geometrico nella ricostruzione della vecchia chiesa distrutta, sottolinea una sedimentazione storica che nella nuova configurazione si arricchisce dell'invenzione geometrica, trasformando una struttura ellittica di base nella figura circolare di copertura l'inquietudine della dimensione umana a terra, con la forma perfetta circolare nel cielo.
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  • 38. Casa di Pregassona, Svizzera Su una collina a nord di Lugano a Pregassona (Ticino) è collocata questa casa esempio del prototipo svilupato da Botta: un solido compatto, pur se squarciato da incavi profondi che rivelano la disposizione interna. È una forma semplice : un cubo, mostrano la povertà nuda dei materiali, l' assenza assoluta di ogni decoro. È del 1979 e anche l' ultima di dodici progettate nei ventenni di 1961-1981. Le piante sono simmetriche e razionali. Questo si riflette nelle quattro facciate - anche simmetriche- con le grandi vetrate talora arretrate rispetto ai muri perimetrali, da dove entra la luce: unico decoro insieme al lucernario della facciata, il quale é diventato un leit-motiv delle sue opere. Al piano terreno vi sono l'ingresso, il corpo scala e due camere di servizi; al primo piano la cucina, la sala da pranzo, il soggiorno col camino e il bagno; nel secondo piano la camera da letto matrimoniale, la camera dei figli, due logge, un closet e il bagno.
  • 39. Casa rotonda a Stabio, Svizzera (1980) "Ho immaginato un edificio a pianta circolare, tagliato sul suo asse nord-sud da una fenditura dalla quale scende la luce zenitale. Un volume organizzato su tre livelli, una sorta di torre o meglio di un oggetto disegnato e ritagliato su se stesso. L'intento era di non offrire occasione di confronto e/o affermare un contrasto con l'edilizia circostante e di ricercare invece rapporti spaziali con il paesaggio e l'orizzonte lontani. Con un volume cilindrico ho voluto evitare prospetti da dover necessariamente confrontare con le facciate delle case esistenti. Un corpo edilizio così articolato trova la propria ragion d'essere nello spazio teso tra la terra (alla quale si aggancia perimetralmente) e il cielo (sul quale la copertura si apre zenitalmente con il lucernario). Attorno a questo spazio verticale ho organizzato le varie funzioni abitative con il piano terreno ideato come spazio di transizione fra interno ed esterno, il primo livello pensato come piano catalizzatore delle differenti attività (zona giorno) e il secondo livello proposto come luogo di maggiore privacy (zona notte). La ricerca della forma e della organizzazione spaziale costruttiva secondo quegli intenti ha motivato il mio lavoro intorno al progetto. Mi ha sorretto la convinzione di dover proporre oggi una diversa condizione ambientale capace di raccogliere le esigenze primarie e costanti dell'abitare e di commisurarle alla nuova sensibilità e alle nuove aspirazioni determinate dall'attuale cultura. Nel progetto della casa rotonda, come d'altronde in altri, questa condizione ha riproposto il mio lavoro di architetto come una continua revisione dei codici e delle certezze che ho maturato ed acquisito nei precedenti progetti". Mario Botta, "La casa rotonda", a cura di Roberto Trevisiol, L'Erba Voglio, Milano, 1982
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  • 42. SFMoMA, museo d'arte moderna a San Francisco, USA La collocazione dell'edificio in un lotto confinante con tre edifici alti ha suggerito la scelta di un'immagine particolarmente forte, che tuttavia sfuggisse a un confronto diretto certamente perdente con le emergenze al contorno. Tre gli obiettivi dichiarati dell'intervento: • l'illuminazione con luce naturale, nonostante lo sfavorevole rapporto di un quarto tra la superficie dei lotto e la superficie dei programma edilizio; • la creazione di una immagine unitaria all'interno; • la realizzazione di una superficie esterna che viceversa, come una crosta, negasse un volto all'edificio e stimolasse il visitatore ad entrarvi. Il fronte anteriore gradonato raccoglie l'insieme degli spazi espositivi, che vengono illuminati zenitalmente. Al centro esso si apre rivelando il corpo cilindrico di un volume che, emergendo dalla copertura con un piano obliquo trasparente alberato al perimetro, richiude, illuminandola, l'ampia cavità presente al centro dell'edificio, sulla quale si affacciano i percorsi di accesso ai diversi ambienti.
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  • 46. Centro benessere Tschuggen Berg Oase a Arosa, Svizzera
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  • 49. Sul sito che già ospitava l'hotel, l'architetto ticinese ha immaginato e realizzato un'architettura dal forte impatto visivo, collocandola nel parco che si sviluppa tra la struttura alberghiera e la montagna Qui, l'intero centro benessere si sviluppa a livello ipogeo; ciò che è visibile all'esterno è soltanto la spettacolare copertura dalle geometriche forme vegetali. Simili a grandi foglie, questi inediti lucernari lasciano passare la luce che, bianchissima nelle giornate di neve, regala un'atmosfera davvero magica agli ambienti sotterranei. Una soluzione dalla forte personalità, quindi, ma fatta anche di rispetto verso il villaggio circostante: il centro benessere non si vede, se non nei suoi "prolungamenti" fatti di trasparenza e di geometrie vegetali. In questo "bosco" l'architettura sembra davvero voler imitare ciò che la circonda, assumendo le forme ancestrali di una vegetazione spigolosa. All'interno lo spazio è organizzato in modo flessibile, attraverso una serie di moduli inseriti in un unico grande spazio. I vari settori del Bergoase sono infatti caratterizzati da un ininterrotto rapporto reciproco e comunicano con l'esterno attraverso gli alti lucernari. La superficie complessiva è di 5300 metri quadri e comprende anche spazi esterni, come il solarium e la piscina che, raggiungibili direttamente dall'area delle piscine interne, si trovano su un terrazzamento privilegiato, completamente circondato dalla natura. A collegare il centro benessere con l'albergo è una passerella in vetro e acciaio, concepita anch'essa per enfatizzare la leggerezza e la trasparenza del complesso. Un grande muro in pietra naturale risolve invece il rapporto con il terreno, creando anche lo spazio necessario per i posti auto. In questo panorama mozzafiato, la spa Bergoase si configura come una vera e propria oasi montana, con camere e suite rimodernate per offrire il massimo comfort, nonché con la comodità di un impianto di risalita privato. Ricordiamo infatti che il Tschuggen Grand Hotel è membro dei "The Leading Hotels of the World", un consorzio alberghiero di lusso operante a livello internazionale da ben 78 anni. In questo luogo dall'atmosfera fiabesca, l'invito a sognare e a rilassarsi inizia, già prima di entrare, di fronte a alla magia dell'architettura.
  • 50. Arosa offre una straordinaria configurazione geografica di conca naturale, di spazio delimitato dalle montagne. Uno spazio dove il confronto fra uomo e natura è una costante sottolineata da un potente paesaggio. Ad Arosa riaffiora lo spirito della lotta ancestrale fra l'uomo e la montagna. Il sito dato per la costruzione della nuova struttura "Berg Oase" è un luogo che si caratterizza, a fianco del grande albergo, come spazio libero e come parco alla base della montagna retrostante. Abbiamo immaginato di costruire senza costruire, di affermare la presenza del nuovo attraverso dei corpi emergenti (foglie, alberi, lucernari con una propria geometria) e lasciare interrato il grande volume con il programma funzionale. La copertura degli spazi ipogei si trasforma così in un palcoscenico segnato da presenze geometriche vegetali, segni che incuriosiscono il visitatore e portano una forte luce negli spazi sottostanti durante il giorno e che irradiano luce durante la notte. Questo contesto particolare ci ha quindi suggerito una soluzione intrigante, di forte immagine e soprattutto di grande rispetto nel rapporto con il villaggio circostante. Quello che normalmente verrebbe considerato come un grande volume scompare nella terra lasciando emergere solo queste "antenne" vegetali e meccaniche nel contempo che, nell'economia del villaggio, diventano segnali di una struttura a carattere ricreativo e collettivo. Lo spazio interno si presenta come un unico grande ambiente terrazzato che segue l'andamento del pendio per limitare le opere di scavo. Il disegno della pianta è pensato in modo modulare così da permettere la massima flessibilità nella dislocazione delle varie funzioni che, nel progetto presentato, seguono le indicazioni date dalla committenza. I vari settori del "Berg Oase" sono caratterizzati dal rapporto continuo tra loro e da un rapporto privilegiato e suggestivo rispetto all'ambiente esterno attraverso le grandi "antenne" che ne garantiscono l'illuminazione naturale e una straordinaria vista verso l'atmosfera e il paesaggio montano. Lo spazio interno si divide in quattro piani: il piano terra (1856.51 s.l.m.) accoglie la maggior parte delle attrezzature per il fitness, parte della zona tecnica e il guardaroba per gli utenti esterni che accedono direttamente a questo piano. Il primo piano (1859.81 s.l.m) ospita i settori tecnici e le zone di trattamento: centrale HLZ, settore tecnico piscine, cabine per il trattamento del corpo e cabine di bellezza, solarium, parrucchiere, negozio, toilette, magazzini. Al secondo piano (1859.11 s.l.m) si trovano la connessione al Tschuggen Hotel attraverso un ponte vetrato, la reception, gli spazi per il personale, i guardaroba per gli utenti, toilette, e il "mondo sauna" con la relativa area rilassamento. Il terzo piano (1866.11 s.l.m) accoglie il "mondo acquatico" con diverse vasche per nuotare e rilassarsi, toilette, spazio rilassamento, magazzini. Gli spazi esterni (sauna, solarium, piscina) sono raggiungibili direttamente dal settore delle piscine interne e posti su un terrazzamento privilegiato, immerso nella natura. L'accesso alla nuova struttura avviene, attraverso una passerella vetrata ("promenade architecturale"d), direttamente dall'albergo esistente, così come (per i visitatori esterni) dal livello di entrata all'albergo. La nuova edificazione oltre allo spazio "non costruito" delle "foglie" risolve il rapporto con l'albergo esistente e con il suolo attraverso un grande muro in pietra naturale. Lo spazio pubblico esterno viene così ridisegnato per creare un ambiente accogliente e risolvere il problema dei posti auto, che vengono integrati in modo discreto nel progetto. http://www.archimagazine.com/galleria/botta/gbotta.htm
  • 51. Galleria d'arte contemporanea Watari-um a Tokyo, Giappone L'edificio sfrutta la geometria regolare di un lotto triangolare, posto all'incontro tra una strada principale e un percorso secondario laterale. Il vuoto, che denuncia la presenza di una fascia di servizi allineati sul lato posteriore, distacca il fronte principale dal suo retro, individuando anche nella base l'accesso al nuovo edificio. Il lungo taglio, che interrompe al centro la facciata e si conclude alla base con una grande vetrina rettangolare, diviene l'unico riferimento all'organizzazione interna dell'edificio che si articola su sei piani con funzioni differenti: ai piani terra e interrato, una libreria; ai piani primo, secondo e terzo, lo spazio espositivo di una galleria d'arte; al quarto piano, la residenza del proprietario e ai piani quinto e sesto, spazi per uffici.
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  • 56. Aldo Rossi (Milano, 3 maggio 1931 – Milano, 4 settembre 1997) è stato un architetto italiano. Nato a Milano, durante la seconda guerra mondiale si trasferisce sul Lago di Como. Nel 1949 si iscrive alla facoltà di architettura al Politecnico di Milano e si laurea nel 1959, presentando una tesi con Piero Portaluppi come relatore. Nel 1955 ha cominciato a collaborare come redattore alla rivista di architettura "Casabella- continuità", diretta da Ernesto Nathan Rogers. La collaborazione è terminata nel 1964 quando la rivista ha chiuso. La pratica giornalistica continua però all'interno delle redazioni di "Società" e "Il contemporaneo", che fanno di Rossi uno dei partecipanti più attivi al fervente dibattito culturale. I primi articoli riguardano architetti come Alessandro Antonelli, Mario Ridolfi, August Perret ed Emil Kaufmann. Inizia l'attività professionale presso lo studio di Ignazio Gardella nel 1956, passando poi per lo studio di Marco Zanuso. Nel 1963 inizia anche l'attività didattica: prima è assistente di Ludovico Quaroni (1963) presso la scuola di urbanistica di Arezzo, successivamente di Carlo Aymonino all'Istituto di Architettura di Venezia. Nel 1965 è nominato professore al Politecnico di Milano e l'anno seguente, nel 1966, pubblica L'architettura della città, presto divenuto un classico della letteratura architettonica. La sua attività professionale, inizialmente dedicata alla teoria architettonica e a piccoli interventi edilizi compie un salto di qualità quando Carlo Aymonino gli fa realizzare parte del complesso "Monte Amiata" nel quartiere Gallaratese a Milano. Nel 1971 vince il concorso di progettazione per l’ampliamento del cimitero San Cataldo a Modena che gli donerà la fama internazionale. La storia dell’architettura, Architettura contemporanea, pubblicata 5 anni più tardi da Manfredo Tafuri e Francesco Dal Co, si chiude proprio con il progetto del giovane architetto milanese. Dopo la sospensione dall'insegnamento insegna progettazione architettonica presso il Politecnico federale di Zurigo, cattedra che occuperà dal 1971 al 1975. Nel 1973 dirige la sezione internazionale di architettura alla XV Triennale di Milano, dove presenta, tra gli altri, il suo allievo Arduino Cantafora. Nel 1975 viene reintegrato nella professione didattica, torna a Venezia dove è docente del corso di Composizione architettonica. Nel 1979 diventa Accademico della prestigiosa Accademia nazionale di San Luca. Intanto l'attività internazionale si fa più intensa: è Direttore del Seminario internazionale di Santiago de Compostela, insegna in diverse università degli Stati Uniti, tra cui la Cooper Union di New York e la Cornell University di Ithaca (New York) e collabora con l'Institute for Architecture and Urban Studies, viaggia in oriente (Cina e Hong Kong) e tiene conferenze in Sud America. ALDO ROSSI
  • 57. Nel 1981 ottiene il primo premio al concorso internazionale per il progetto di un isolato, precisamente il n° 10, tra la Kochstrasse e la Friedrichstrasse a Berlino. Nel 1983 ottiene da Paolo Portoghesi l'incarico di direttore della sezione architettura alla Biennale di Venezia, incarico che manterrà fino al 1984. L'anno successivo vince il concorso per il restauro del Teatro Carlo Felice di Genova. Negli anni seguenti cura le sue personali a Torino, Mosca, York, Londra, Madrid e a villa Farsetti per la Biennale di Venezia. Nel 1987 vince due concorsi internazionali: uno a Parigi per la Villette l'altro a Berlino per il Deutsches Historisches Museum a Berlino. Nel 1990 gli viene assegnato il Premio Pritzker, primo italiano a vincerlo e primo di una lunga serie di riconoscimenti. Vince l'Aia Honor Award e il premio città di Fukuoka grazie al progetto del complesso alberghiero “Il Palazzo”; il premio “Campione d'Italia nel mondo” e il premio “1991 Thomas Jefferson Medal in Architecture”. A questi prestigiosi riconoscimenti seguono le mostre al Centre Georges Pompidou di Parigi, alla Borsa di Amsterdam, alla Berlinische Galerie di Berlino e al Museo di arte contemporanea di Gand. Nel 1996 diviene membro onorario dell'American Academy of Arts and Letters e l'anno successivo riceve il Premio speciale Cultura per il settore “Architettura e Design” della Presidenza del Consiglio dei ministri. Muore a Milano il 4 settembre 1997, a seguito di un incidente automobilistico. Postuma è l'aggiudicazione nel 1999 della gara (dopo aver vinto il ricorso) per la ricostruzione del Teatro La Fenice di Venezia inaugurato nel 2004. Il lavoro di Aldo Rossi rappresenta un superamento delle metodologie del Movimento Moderno, appartenendo inizialmente alla corrente architettonica del Neoliberty, prima reazione al razionalismo con richiami più o meno espliciti all'Art Nouveau. Successivamente è approdato, al Post-Modern nel variato panorama Italiano di questo movimento, che in lui ha assunto una rigorosità esemplare, che taluni hanno definito Neo-Novecento.Rossi fu uno dei più grande rinnovatori ideologici e plastici dell'architettura contemporanea, con la sua poesia metafisica ed il culto che professò nella stessa misura verso la geometria e la memoria. Gli archetipi Aldo Rossi ha sviluppato una concezione della città totalmente nuova rispetto all'idea di Le Corbusier, idea che aveva dominato tutto il primo '900: Rossi la vedeva come la somma di tutte le epoche, di tutti gli stili architettonici fino ad allora presenti. Non potendo "rompere" totalmente con il passato come facevano gli architetti dell'international style, egli pertanto si trovava a dover rendere la sua costruzione "organica" all'interno della città. La sua soluzione è stato l'utilizzo degli Archetipi. Questi sono delle forme ricorrenti nella storia dell'architettura, forme che vanno a costituire un vero e proprio richiamo alla cittadina esistente, rendendo il proprio risultato nello stesso tempo innovativo e tradizionale. Molti sono stati gli archetipi utilizzati da Rossi nel corso della sua carriera, e la loro bellezza sta nella facile riconoscibilità da parte di tutti, sia dall'esperto che dal ragazzino. Schizzi preparatori Particolarità di Aldo Rossi sono i suoi schizzi preparatori. Da essi si rimane affascinati, concentrato unico di ironia e contemporaneamente di studio profondo.
  • 59. Nuovo cimitero di San Cataldo, Aldo Rossi tra gli anni ’70 e ’80 Una tipologia sepolcrale che s’innesta nella struttura neoclassica e ottocentesca preesistente, come corpo straniato e visivamente pregnante per i cromatismi diversi e brillanti che connotano le superfici murarie, moderno e monumentale, aperto ad un dialogo disinibito con la storia. Nel Cimitero di Modena, progettato a partire dal 1971 in relazione alla città e al suo tracciato, la forma diventa archetipo, modello immutabile, simbolo del rapporto civile della collettività con la morte. Percorsi rettilinei porticati, assialità, simmetria, ripetizione e ritmo costituiscono la sintassi architettonica elementare, da cui traspare l’ammirazione per le forme pure degli illuministi francesi, Boullée e Ledoux, per il pensiero di Adolf Loos e le geometrie sospese della metafisica italiana. La pianta cimiteriale di Modena è di questo tipo: una struttura perimetrale regolare, con all’interno percorsi ortogonali e tracciati retttilinei, che conducono al cubo rosso e sovradimensionato del Sacrario, scandito da aperture geometriche, quasi fosse un’architettura dechirichiana, passando per gli Ossari collocati al centro dell’area come una serie di parallelepipedi in successione iscritti in un triangolo, per arrivare alle Fosse Comuni all’onirico tronco di cono, che sembra tanto una vecchia ciminiera.
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  • 61. Museo Bonnefanten e Museo d'Arte Moderna a Maastricht, Paesi Bassi
  • 62. Perugia, Centro Direzionale Fontivegge, 2007, (Arch. Aldo Rossi)
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  • 68. IL DECOSTRUTTIVISMO F. O. GEHRY ZAHA HADID
  • 69. DECOSTRUTTIVISMO Il decostruttivismo è un movimento architettonico spesso contrapposto al movimento postmoderno. I suoi metodi, in reazione al razionalismo architettonico, vogliono de-costruire ciò che è costruito. Il teorico del decostruttivismo è il filosofo francese Jacques Derrida e la nascita del fenomeno è avvenuta con una mostra organizzata a New York nel 1988 da Philip Johnson, nella quale per la prima volta appare il nome di questa nuova tendenza architettonica, che fu definita “Deconstructivist Architecture”. Alla mostra di New York furono esposti progetti di Frank O. Gehry, Daniel Libeskind, Rem Koolhaas, Peter Eisenman, Zaha Hadid, Bernard Tschumi e del gruppo Coop Himmelb(l)au. In questa esposizione veniva estrapolata un'architettura "senza geometria" (la geometria euclidea), piani ed assi, con la mancanza di quelle strutture e particolari architettonici, che sono sempre stati visti come parte integrante di quest'arte. Una non architettura, quindi, che si avvolgeva e svolgeva su sé stessa con l'evidenza e la plasticità dei suoi volumi. La sintesi di ciò è una nuova visione dell'ambiente costruito e dello spazio architettonico, dove è il caos, se così si può dire, l'elemento ordinatore. Le opere decostruttiviste sono caratterizzate da una geometria instabile con forme pure e disarticolate e decomposte, costituite da frammenti, volumi deformati, tagli, asimmetrie e un'assenza di canoni estetici tradizionali. I metodi del decostruttivismo sono indirizzati a "decostruire" ciò che è costruito, una destrutturazione delle linee dritte che si inclinano senza una precisa necessità. Siamo davanti a un'architettura dove ordine e disordine convivono. Si arriva a costruire oggetti d'uso quotidiano come edifici come nell'edificio Chiat Day Mojo di Gehry. Comune alla ricerca dei decostruttivisti è l'interesse per l'opera dei costruttivisti russi degli anni venti del Novecento, che per primi infransero l'unità, l'equilibrio e la gerarchia della composizione classica per creare una geometria instabile con forme pure disarticolate e decomposte. È questo il precedente storico di quella “destabilizzazione della purezza formale” che gli architetti decostruttivisti esasperano nelle loro opere attuando così un completamento del radicalismo avanguardistico costruttivista. Da ciò scaturisce la cifra “de” anteposta al termine costruttivismo, che sta a indicare la “deviazione” dall'originaria corrente architettonica presa a riferimento. Molti critici annoverano tra i maggiori architetti decostruttivisti Frank O. Gehry, noto per il Guggenheim Museum di Bilbao, anche se Gehry stesso ha sempre dichiarato di non sentirsi decostruttivista. Il decostruttivismo è forse l'ultimo, in ordine di tempo, degli "stili internazionali" in architettura.
  • 70. Frank Owen Goldenberg, noto come Frank O. Gehry (nel 1954 cambiò il cognome in Gehry) (Toronto, 28 febbraio 1929), è un architetto canadese. È uno dei più importanti architetti contemporanei, noto per il suo approccio scultoreo e organico alla progettazione. Ebreo, vive e lavora negli Stati Uniti. Il museo Guggenheim Il Guggenheim di Bilbao è il progetto che ha portato Frank Gehry alla popolarità grazie alle sue forme nuove e allo splendore dato dal rivestimento in titanio. La progettazione e la realizzazione di una struttura così complessa è stata resa possibile grazie all'utilizzo dei più moderni software di progettazione e di calcolo (il programma usato è lo stesso che viene adoperato in Francia per la progettazione degli aerei militari). Oltre ad aver radicalmente cambiato il volto della città basca, il Museo Guggenheim è indiscutibilmente una pietra miliare dell'architettura contemporanea e del nuovo modo di concepire il rapporto tra contenitore e contenuto negli edifici museali, diventando anch’esso opera d’arte. Resta quindi un esemplare notevole dell'architettura contemporanea inserendosi perfettamente nel contesto ambientale seppur in forte contrasto a causa del rivestimento. Le esposizioni nel museo cambiano frequentemente, e sono per lo più opere realizzate durante il XX secolo, infatti le opere pittoriche e scultoree classiche sono una piccolissima parte della collezione, in confronto ad altri tipi di installazioni artistiche. Alcuni esperti d'arte considerano l'edificio di gran lunga più interessante delle opere che contiene. Rapidamente il museo si è rivelato come uno dei più spettacolari edifici del decostruttivismo. Il Museo occupa complessivamente 24.000 metri quadri, di cui 10.600 sono spazi espositivi, e risulta composto da una serie di volumi complessi, interconnessi in modo spettacolare. L'impatto con l'ambiente circostante risulta certamente forte, ma al tempo stesso non tale da fornire disturbo, anzi l'imponente struttura si sposa con il contesto grazie alla sua sobria eleganza dovuta anche ai materiali di cui è rivestita. Il disegno del museo e la sua costruzione seguono perfettamente lo stile e i metodi di Frank Gehry. Come molti dei suoi lavori precedenti la struttura principale è radicalmente scolpita seguendo contorni quasi organici. Il museo, affermano i progettisti, non possiede una sola superficie piana in tutta la struttura. Parte dell'edificio è attraversata da un ponte elevato, e all'esterno è ricoperto da piastre di titanio e blocchi di una pietra molto difficile da trovarsi (si è riusciti a reperirla solo in Andalusia), la stessa utilizzata per la costruzione dell'Università di Deusto. L'edificio, visto dal fiume, sembra avere la forma di una nave, rendendo così omaggio alla città portuale nella quale si trova. I pannelli brillanti assomigliano alle squame di un pesce, e ricordano le influenze delle forme organiche presenti in molte opere di Gehry. Visto dall'alto l'edificio mostra senza ombra di dubbio la forma di un fiore. Per la progettazione il team di Gehry ha utilizzato intensamente simulazioni computerizzate delle strutture, riuscendo così a ideare forme che solamente qualche anno prima sarebbero risultate impossibili anche solo da immaginare. Se dal livello del fiume il museo domina le viste della zona, il suo aspetto dal livello superiore della strada è molto più modesto e riesce a non stonare con tutti gli edifici più tradizionali che gli sorgono intorno. FRANK GEHRY
  • 71. Descrizione La struttura si riflette sulle acque del Nerviòn e su quelle di un laghetto artificiale situato ai suoi piedi ad un livello leggermente più alto di quello del fiume, che fa parte anch’esso dello spazio espositivo. Al livello dell'acqua sono qui collocati dei bruciatori, dotati di fori per fare entrare l'aria che si mescola al gas, e da alcuni bocchettoni fuoriescono fiamme colorate miste a spruzzi d'acqua, che rendono ancora più suggestiva una visita serale al Museo. Una rampa collega la passeggiata a fiume con una torre dalla forma irregolare, dotata di una scala interna che permette di salire sul ponte. La torre funge dunque da collegamento tra il museo ed il Ponte de La Salve, una delle principali vie d'ingresso alla città e l’edificio risulta così integrato all’area urbana, indicando il desiderio di integrazione del Museo con il resto della regione. L'entrata principale si trova a conclusione di una delle strade principali della città, che si svolge in diagonale e che collega il centro urbano al Museo ed è posta sei metri sotto il livello stradale. La struttura interna dell'edificio si sviluppa in tre livelli, che contengono le sale espositive, a cui si aggiunge un ulteriore livello, per i sistemi di condizionamento. Il fulcro compositivo dell’intero edificio è composto da un atrio, di 650 metri quadri, e di 50 metri di altezza, dal quale prendono luce anche i tre piani che vi si affacciano. Questo spazio viene illuminato sia dalla luce naturale che penetra lateralmente dalle grandi vetrate che danno sul fiume, sia dalla vetrata che costituisce la copertura del punto più alto dell'edificio da cui la luce proviene zenitalmente. Dall'atrio, inoltre, si accede alla terrazza che si affaccia sul laghetto artificiale ed è coperta da una gigantesca tettoia sorretta da un unico pilastro in pietra. Ci sono, inoltre, 19 gallerie che si raccordano su questo spazio grazie ad un sistema di passerelle curvilinee sospese, di ascensori a vetro e di torri di scale, destinate ad ospitare a rotazione le collezioni della fondazione Guggenheim, le opere della collezione permanente, ma anche alcuni percorsi espositivi dedicati ad artisti baschi e spagnoli contemporanei. Alcune gallerie presentano una volumetria tradizionale e la loro forma è espressa all'esterno dai volumi in pietra, altre invece presentano una spiccata irregolarità e sono identificabili all'esterno dal rivestimento in titanio. Molte gallerie sono illuminate da lucernari che regolano l'intensità della luce naturale grazie ad un sistema di tende motorizzate. Le sale interne destinate ad accogliere le opere, sono state concepite partendo proprio dalle caratteristiche delle opere che erano destinate ad accogliere, alcune delle quali di grandissime dimensioni. Particolare cura è riservata alla manutenzione del museo, affinché le lamine di titanio conservino sempre il loro splendore; spesso è infatti possibile vedere operai che sospesi con dei cavi, puliscono o riparano il rivestimento con estrema competenza. I materiali Il titanio è uno dei protagonisti di quest'opera, poiché ricopre gran parte delle superfici esterne (si tratta infatti di trentatremila lastre, realizzate per durare cent’anni). Il titanio è stato estratto in Australia, fuso in Francia, laminato a Pittsburg, decappato in Gran Bretagna e assemblato a Milano ed ha uno spessore di 0,3 mm per lamina. Altre parti dell’edificio, invece, sono rivestite da lastre di pietra calcarea, proveniente dalle cave di Granada, con spessore di 50 mm, e tutte lucidate al momento della posa. Duemilacinquecento lastre di cristallo costituiscono invece le parti trasparenti dell'edificio, strutturate in doppio cristallo termico tale da proteggere l'interno dal calore e dalle irradiazioni solari.
  • 72. Progetto La Solomon R. Guggenheim Foundation è la proprietaria di una grande collezione d'arte e del Guggenheim Museum di New York. Thomas Krens è stato il direttore di questa organizzazione, e la sua politica di espansione era basata nel mandare fondi itineranti con il fine di creare esposizioni temporanee in differenti luoghi. Volle anche costruire due centri d'arte in Europa, per questo scopo vennero scelte due città: Berlino e Bilbao. Per quest'ultima sede venne pensato di riabilitare un vecchio museo d'arte preesistente, e venne chiesto a Frank Gehry di ristrutturare la sede del museo, visto l'ottimo lavoro svolto dall'architetto per la collezione temporanea di arte contemporanea. Per motivi puramenti legali, nel 1990 fu indetto un concorso internazionale che durò dieci giorni. Parteciparono Isozaki, lo studio Coop Himmelb(l)au e Gehry. La vittoria scontata di quest'ultimo lo portò a elaborare l'idea di non ristrutturare la vecchia sede scelta dalla fondazione. Gehry preferì disegnare un edificio "ex novo". La progettazione e la realizzazione di una struttura così complessa è stata resa possibile grazie all'utilizzo dei più moderni software di progettazione e di calcolo (il programma usato è lo stesso che viene adoperato in Francia per la progettazione degli aerei militari). La sua collocazione fu scelta a nord del centro urbano, a lato de la ría de Bilbao. Scelse questo posto perché da qui il museo sarebbe stato visibile da tre punti strategici della città, sul luogo di un vecchio terreno industriale, in quanto parte di un piano di rivalutazione urbanistica della città, iniziato nel 1989, che include un palazzo dei congressi, un aeroporto internazionale, una nuova metropolitana e un piano di sistemazione delle rive del Nervion. Il 18 ottobre 1997 venne celebrato il galà d'inaugurazione al quale accorsero importantissimi architetti, personalità varie del mondo della cultura, e perfino il re di Spagna. Inoltre da questa festa partì una campagna mediatica per lanciare il museo sul palcoscenico internazionale. Il progetto ha ricevuto il Premio Internazionale Puente de Alcantara nel 1998.
  • 74.
  • 75. Walt Disney Concert Hall, Los Angeles Il Walt Disney Concert Hall è situato a Los Angeles, su Bunker Hill ed è stato inaugurato nell’Ottobre 2003. E’ un edificio dedicato alla Los Angeles Philharmonic. L’edificio è collocato all’interno della maglia regolare di Los Angeles, ma subito la rompe ponendo gli ingressi sui quattro angoli, invece che sugli assi principali del lotto; ogni ingresso è differenziato dall’altro sia per forma che per funzione: a Nord Ovest la Sala Soci Fondatori, a Sud Est la Cascada, a Sud Ovest il giardino musicisti, a Nord Est l’ingresso principale foyer. Da qui traspare la poetica architettonica di Gehry che affianca elementi compiuti dell’edificio progettati separatamente e pensati per poter vivere da soli sia funzionalmente che staticamente. Il progetto Fu Lilian Disney (la vedova di Walt Disney) a gettare le basi, nel 1987, per quest’opera, attraverso la donazione di 50 milioni di dollari. Lillian Disney intendeva regalare alla Los Angeles Philharmonic, diventata una delle migliori orchestre del mondo, una sala all'altezza. Nel 1989 venne bandito il concorso e vi parteciparono 72 concorrenti, tra cui molti architetti di fama internazionale. Fu la stessa Lillian Disney a scegliere il progetto di Frank Gehry, quando era ancora un architetto conosciuto solo a Los Angeles per le sue residenze fatte di zinco e lastre di compensato con strane forme antigravitazionali. Il bando stabiliva gli aspetti fondamentali sviluppati poi nel progetto dell’architetto americano: un ingresso principale aperto, un sereno rapporto con il vicino Chandler Pavilion (l’attuale Music Center adibita a sala per opere e concerti), una facciata pedonale lungo Grand Avenue e un’area all’aperto riservata ai musicisti. L’esterno ondulato dell’edificio ricorda i petali di una rosa aperta (fiore tanto amato dalla vedova Disney), ma è l’architetto stesso a definire la sua opera come una barca a vela con il vento in poppa.
  • 76. Struttura L’edificio è collocato all’interno della maglia regolare di Los Angeles, ma subito la rompe ponendo gli ingressi sui quattro angoli, invece che sugli assi principali del lotto; ogni ingresso è differenziato dall’altro sia per forma che per funzione: a nordovest la Sala Soci Fondatori, a sudest la Cascada, a sudovest il giardino musicisti, a nordest l’ingresso principale del foyer. Il problema con cui Gehry ha dovuto subito fare i conti, vista la dislocazione del progetto, è l’integrazione con il contesto urbano in cui il teatro è inserito: due strade si incrociano e danno luogo ad una piazza d’ingresso, che entra in contatto con il Music Center; una seconda piazza posta sul retro circonda l’edificio posto al centro del lotto. Tutto ciò ha suggerito al progettista di realizzare dei percorsi a zig-zag, apparentemente casuali, suggeriti dalla pavimentazione, che conducono il visitatore, attraverso una serie di colonne, all’interno del teatro, uno spazio puro ed ermetico dove regna la simmetria. Quest’edificio, infatti, è una continua contraddizione non solo tra la simmetria interna e l’asimmetria esterna, ma anche tra i volumi chiusi (interni) e gli spazi permeabili (esterni) che creano una tensione spaziale; gli spazi esterni, inoltre, mirano a far dialogare il Walt Disney Concert Hall con il Music Center posizionato dall’altra parte della strada. Proprio per questo è attentamente studiata la collocazione del foyer che si snoda lungo la strada, che non è mai delimitato da pareti, ma da elementi architettonici ben precisi, che servono per lo svolgimento di molteplici attività come conferenze, dibattiti legati agli spettacoli, programmi educativi, spettacoli improvvisati durante l’arco della giornata e tutto ciò che porti il visitatore a percepire il senso della globalità. Dal punto di vista costruttivo, l’intera struttura risulta dalla fusione di due sistemi costruttivi: quello interno, regolare a maglia con pilastri in cemento ad interasse costante e un sistema a setti, e quello esterno, rivestito di calcare francese e acciaio inossidabile. Tutto il progetto gira intorno alla sala concerti che contiene 2265 posti, la cui forma interna è dettata da parametri acustici (messi a punto da Yosushisa Toyota), uno spazio simmetrico in opposizione all'asimmetria degli elementi che lo circondano. Le forme del tetto e l’intelaiatura della cassa di risonanza all’esterno risultano date da un movimento in proiezione scientifica. Anche per la realizzazione di questo progetto Gerhy si è avvalso di un programma usato dall’aeronautica militare, per poter eseguire i calcoli su una struttura così complicata. La costruzione La costruzione della sala concerti, il cui avvio era previsto per il 1991, si fermò dal 1994 al 1996 per cercare dei fondi. I fondi richiesti aumentarono, per un errato conto tra i costi di produzione iniziale e quelli effettivamente necessari. Il progetto fu rivisitato, furono cambiati alcuni particolari, come la facciata esterna: inizialmente prevista in pietra, fu realizzata in metallo, nettamente più economica. I lavori ripresero nel 1996 e si arrestarono nel 1999, vennero completati definitivamente nel 2003; il costo complessivo è stimato in 274 milioni di dollari, incluso il garage. Si stima che la famiglia Disney donò 84,5 milioni di dollari e altri 25 milioni arrivarono dalla The Walt Disney Company. Il resto delle donazioni venne fatto da privati.
  • 77. F. O. GEHRY Walt Disney Concert Hall, Los Angeles
  • 78. Casa danzante La Casa danzante (Tančící dům) è il soprannome dato ad un edificio per uffici nel centro di Praga, Repubblica ceca, all'indirizzo Rašínovo nábřeží 80, 120 00 Praha 2. Fu progettata dall'architetto croato, nato nella Repubblica Ceca, Vlado Milunić in cooperazione con il canadese Frank Gehry. La posizione scelta era un posto vacante sul lungofiume. L'edificio che occupava precedentemente quel luogo era stato distrutto durante i bombardamenti di Praga nel 1945. La costruzione ebbe inizio nel 1994 e terminò nel 1996. Lo stile fortemente non convenzionale creò delle controversie al tempo della costruzione. Il presidente ceco Václav Havel, che visse per decenni vicino al sito, ha supportato il progetto, sperando che l'edificio divenisse un centro di attività culturali. Originalmente chiamato Fred and Ginger (da Fred Astaire e Ginger Rogers) la casa ricorda vagamente una coppia di ballerini. Lo stile costruttivo sta tra il Neobarocco, il Neogotico e l'Art Nouveau, stili architettonici per i quali Praga è famosa. Il piano originale che proponeva un centro culturale non venne realizzato. Al settimo piano si trova un ristorante francese con una magnifica vista della città. Tra gli altri occupanti la casa alcune compagnie multinazionali. Data la collocazione su di una strada molto trafficata l'edificio è dotato di una circolazione forzata d'aria, che rende l'interno più confortevole per gli occupanti.
  • 79. Casa danzante, Praga, Repubblica Ceca (1995)
  • 80.
  • 81. Lou Ruvo Brain Institute Il Lou Ruvo Center for Brain Health, ufficialmente Cleveland Clinic Lou Ruvo Center for Brain Health, è un centro di Salute Mentale destinato a fornire servizi correlati a tutti gli aspetti della cura del paziente, della ricerca e dell'istruzione sui temi dell’Alzheimer, del Parkinson e dei disturbi della memoria. Inaugurato il 13 luglio 2009 a Las Vegas, Nevada, è gestito dalla Cleveland Clinic ed è stato progettato dall'architetto di fama mondiale Frank Gehry.
  • 82. Chiat Day Building (1985-91)
  • 83.
  • 84. Una delle opere di architettura contemporanea da visitare è il “binocolo” di GEHRY: il Chiat Day Building del 1985-91 ha visto l’architetto collaborare con Oldenburg e van Bruggen. La particolarità dell’edificio è l’entrata a forma di binocolo. L’intenzione originaria era di far realizzare l’interno dell’edificio da dieci artisiti, ma alla fine prevalsero due sale per conferenze progettate da Mike Kelly. Il “binocolo” alto circa 20 metri, quale portale di ingresso ad un garage posto nei pressi di un centro commerciale a Venice, California, nasce dalla collaborazione dell’artista Claes Oldenburg con l’Arch. F.O.Gehry, il padre del decostruttivismo: l’immagine è emblematica per innescare un dibattito sulla sperimentazione in ambito architettonico, nel momento in cui le problematiche presenti nel mondo attuale dal punto di vista della qualità della vita sono tali da doverci costringere a elaborare soluzioni alternative e intelligenti. Nel titolo sono indicate alcune correnti, tra le più recenti, che dimostrano la tendenza di far prevalere l’aspetto artistico rispetto a quello architettonico propriamente detto, per cui, da un punto di vista concettuale, dare maggior spazio all’immagine ispirandosi ai diversi linguaggi artistici già conosciuti, vedi dada, pop-art, op-art, ecc.; il dubbio nasce da qui: quanto la commistione tra il mero gesto artistico e l’architettura legata ai suoi principi fondanti quali l’armonia compositiva, la funzione, il rispetto dell’ambiente, la scelta dei materiali in rapporto al contesto in cui si va ad operare ecc., sia giustificata. Già con il decostruttivismo è presente questa tendenza, in quanto la funzione a cui è destinata l’opera da realizzarsi è subordinata al suo aspetto scultoreo. Infatti l’architetto Mark Wigley, docente a Princeton, autore di importanti saggi nei quali sono presenti i caratteri distintivi del decostruttivismo, afferma che: <<la decostruzione non è semplicemente architettonica. E’ piuttosto una sostituzione del concetto tradizionale di architettura>>. Nel documentario prodotto da Sidney Pollack intitolato “Frank Gehry, creatore di sogni”, appare evidente il diverso approccio che l’architetto-artista ha con il progetto: la casualità con cui prende forma l’oggetto in miniatura che, dopo diversi aggiustamenti dei suoi collaboratori sotto il suo comando, secondo il proprio indiscutibile giudizio estetico, si trasformerà successivamente in una scultura gigantesca. Il Guggenheim di Bilbao ne è un esempio dei più eclatanti: l’immenso edificio sconvolge per le ardite forme che si avviluppano, si incastrano, aggettano in un continuo susseguirsi di pieni e di vuoti: è un museo di sé stesso e siamo talmente attratti dal contenitore da dimenticarci del contenuto.
  • 85. Zaha Hadid Il MAXXI - Museo nazionale delle arti del XXI secolo è un museo di arte contemporanea, sostenuto dall'omonima fondazione costituita dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Il museo è stato pensato come un luogo pluridisciplinare destinato alla sperimentazione e all’innovazione nel campo delle arti e dell’architettura. Nel MAXXI risiedono due istituzioni museali, il MAXXI arte e il MAXXI architettura, le cui collezioni permanenti sono incrementate sia attraverso l’acquisizione diretta di opere che tramite progetti di committenza, concorsi tematici, premi rivolti alle giovani generazioni, donazioni, affidamenti. Oltre ai due musei il MAXXI ospita un auditorium, una biblioteca e una mediateca specializzate, una libreria, una caffetteria e un bar/ristorante, gallerie per esposizioni temporanee, performance, iniziative educational. La grande piazza che disegna gli spazi esterni può accogliere opere ed eventi dal vivo. La sede del MAXXI è stata progettata dall'architetto Zaha Hadid e si trova nel quartiere Flaminio di Roma. Il complesso architettonico – con i suoi 27mila mq circa – costituisce un nuovo spazio urbano articolato e “permeabile” al passaggio. Un percorso pedonale esterno segue la sagoma dell'edificio e si apre in una grande piazza che, ripristinando un collegamento urbano interrotto per quasi un secolo dal precedente impianto militare, offre ai visitatori un luogo di sosta. All'interno una grande hall a tutta altezza conduce ai servizi di accoglienza, alla caffetteria e al bookshop, all'auditorium e alle gallerie destinate a ospitare a rotazione le collezioni permanenti dei due musei, le mostre e gli eventi culturali.
  • 86. L'articolazione funzionale, strutturata in aree con connotazioni precise, percorsi e zone polivalenti e flessibili, prevede sostanzialmente i due musei – MAXXI arte e MAXXI architettura – che ruotano intorno alla grande hall a tutta altezza attraverso la quale si accede ai servizi di accoglienza, alla caffetteria e al bookshop, ai laboratori didattici, all'auditorium e alle sale per eventi dal vivo e per convegni, alle gallerie dedicate alle esposizioni temporanee e alle collezioni di grafica e fotografia. Il progetto si confronta con il sistema urbano delle caserme, adottandone il profilo contenuto e orizzontale. La circolazione interna confluisce in quella urbana, sovrapponendo più strati di percorsi intrecciati e di spazi aperti alle condizioni specifiche del luogo. Le complessità delle forme, il variare e l'intrecciarsi delle quote determinano una trama spaziale di grande complessità. L'andamento rigato della copertura contiene una memoria degli shed dei capannoni preesistenti. Il percorso pedonale – che all'interno diverrà museale – attraversa il sito seguendo la sagoma arrotondata del museo e scivolando sotto i volumi in aggetto degli edifici. Il progetto sembra alludere alle stratificazioni storiche e archeologiche della città di Roma che si presentano con la metafora dei layers digitali. L'idea progettuale sul piano architettonico presenta un segno deciso che predomina negli spazi all'aria aperta, segnati dai volumi in aggetto, e negli ambienti di accoglienza, poi contraddetto dalla spazialità più sobria delle gallerie destinate a ospitare le collezioni dei due musei. Con differenti gradi di permeabilità, flessibilità e trasparenza, le diverse gallerie sono connotate dal controllo delle condizioni ambientali e di luce. Arte, architettura e spazi per eventi dal vivo convivono in una sequenza scenografica di suites caratterizzate da un uso modulato e zenitale della luce naturale. Lo spazio non si identifica esclusivamente in un percorso lineare, ma offre una gamma di scelte alternative per far sì che il visitatore non torni mai sui propri passi, godendo di suggestivi scorci panoramici sull'architettura, le opere e la città. Il cantiere Il cantiere è stato esso stesso luogo di sperimentazione costruttiva per affrontare le prestazioni strutturali e la resa estetica dei materiali protagonisti del progetto: il calcestruzzo, l'acciaio, il vetro. Sono in calcestruzzo le pareti che caratterizzano la forma e la struttura del MAXXI, come pure le superfici orizzontali, le lame di copertura, interamente rivestite in cemento fibrorinforzato (GRC), e gran parte delle finiture (superfici a vista, pavimenti, arredi). La necessità di garantire la continuità della produzione del calcestruzzo e la qualità della miscela hanno reso necessario l'impianto di una centrale di betonaggio nell'area di cantiere. L'esigenza di controllare la resa estetica delle superfici in cemento faccia a vista, pensate da Zaha Hadid di colore chiaro, lisce e appena segnate dai fori degli elementi di connessione delle due facce del cassero, ha portato all'impiego di casseformi particolari, di dimensioni fuori standard. I casseri devono sopportare le enormi spinte esercitate dal calcestruzzo nella fase di getto. Il loro coefficiente di reimpiego è di poco superiore all'unità. La miscela utilizzata, del tipo autocompattante per garantire una superficie compatta e liscia, permette di realizzare le pareti a geometria complessa del MAXXI con getti di grandi dimensioni. L'impiego dell'acciaio è destinato ai collegamenti verticali e ad altri elementi architettonici come le travi di collegamento tra le pareti in calcestruzzo e i pilotis che sostengono i volumi in aggetto. Il carattere fondamentale del progetto architettonico e strutturale è contenuto nell'idea di parete, intesa come elemento ordinatore dello spazio. Gli spazi interni delle gallerie sono racchiusi da coppie di pareti che corrono parallele secondo la configurazione spaziale dell'edificio. Generalmente cieche, queste pareti superano la distinzione tra struttura portante e tamponatura riassumendole in un unico elemento architettonico in calcestruzzo armato. Il sistema di copertura - elemento complesso sotto il profilo tecnologico e impiantistico - è interamente prodotto fuori opera: integra gli elementi di serramento, i dispositivi di controllo dell'illuminazione naturale, gli apparecchi per l'illuminazione artificiale, i meccanismi per il contenimento del calore da irraggiamento solare. Composto da una doppia vetrata superiore e da un'ulteriore vetrata inferiore, è protetto all'esterno da un frangisole costituito da griglie metalliche che, oltre a schermare la luce, diventano passerelle percorribili a fini manutentivi.
  • 87. Il MAXXI architettura Il MAXXI architettura è il primo museo nazionale di architettura presente in Italia. Il suo interesse è centrato tanto sull’architettura “d’autore” quanto su quella cosiddetta “anonima”. Nel museo convivono due anime distinte, quella che procede verso la storicizzazione dell’architettura del XX secolo e quella contemporanea che vuole rispondere agli interrogativi del presente, interpretando le aspettative della società attuale. museo storico e museo contemporaneo, pur possedendo caratteri e prospettive di sviluppo decisamente distinte, determinano una dimensione multipla e trasversale. Il MAXXI architettura si pone come interlocutore delle altre istituzioni culturali italiane del settore (quali la Biennale di Venezia o la Triennale di Milano), nel campo della formazione secondaria e universitaria e della rete dei centri e archivi di architettura. A livello internazionale, il MAXXI architettura aderisce e condivide gli obiettivi dell’ICAM, la Confederazione dei Musei d'Architettura.