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Presidenza del Consiglio dei MinistriMINISTRO PER GLI AFFARI REGIONALI E LE AUTONOMIE
AUDIZIONE MINISTRO LANZETTA
nell’ambito dell’indagine conoscitiva in materia di “federalismo differenziato”
dinanzi alla Commissione parlamentare per le questioni regionali
Roma, 28 maggio 2014 ore 15.00
Innanzitutto, ringrazio sentitamente per l’opportunità di poter esprimere in questa
sede, in maniera più ampia di quanto abbia potuto fare in occasione dell’audizione
generale, la mia visione e i miei intendimenti in materia di cosiddetto “federalismo
differenziato”. Si tratta di un ambito che, con particolare riferimento ai rapporti con le
Regioni a Statuto speciale, rappresenta una parte assai rilevante delle funzioni a me
delegate e che, come avrò modo di illustrare, è mia intenzione valorizzare ulteriormente.
Ritengo, infatti, sia auspicabile, nella stagione di riforme che si sta intraprendendo,
superare l’attuale assetto eccessivamente uniforme quanto alle competenze attribuite
alle regioni a statuto ordinario – tra i fattori secondo molti dell’ulteriore divario che
nell’ultimo decennio si è prodotto tra regioni meridionali e settentrionali – a favore di
modelli più rispondenti alle reali caratteristiche e capacità dei diversi territori.
Mi soffermerò, in particolare, sul tema delle Regioni a statuto speciale e su quello
dei meccanismi di attribuzione di funzioni ulteriori per le altre.
L’esperienza delle Regioni a Statuto speciale
Per quanto riguarda il primo argomento, è noto come il riconoscimento di forme
speciali di autonomia ad alcune regioni sia stato determinato nell’immediato dopoguerra
da risalenti ragioni storiche e identitarie, nonché di diritto internazionale per quanto
2
riguarda la Provincia di Bolzano. A più di sessant’anni dall’adozione della maggior parte
degli statuti “speciali”, un bilancio del loro funzionamento è comunque da ritenersi
positivo, anche se con differenze tra le diverse esperienze.
Infatti, sia in termini di sviluppo ed effettivo esercizio dei profili di autonomia che
di crescita economica, i risultati più rilevanti appaiono essere stati raggiunti nelle tre
regioni settentrionali. E’ questo un dato su cui è giusto interrogarsi per comprenderne le
cause ed individuare specifiche modalità di intervento.
Negli ultimi anni, inoltre, a seguito in particolare della difficile situazione
economica, si è sviluppata una riflessione sulla persistenza delle ragioni di tale specialità.
Al riguardo, ritengo che un mantenimento dell’attuale situazione di differenziazione
sia condivisibile, pur in un quadro complessivo di riduzione delle spese pubbliche e nel
rispetto di quello che il Presidente Balduzzi in precedenti audizioni ha giustamente
definito “doveri costituzionali di solidarietà”.
Come emerso, infatti, anche nel corso di questa indagine conoscitiva, la natura
speciale non può essere di per sé giustificazione per una sovradotazione di risorse, ma
occorre ragionare in termini di “equità nazionale”, assicurando a tutti i cittadini della
Repubblica – a parità di altre condizioni – uguale ammontare di risorse pubbliche solo
diversamente distribuite tra interventi diretti dello Stato e risorse gestite dalle autonomie.
E’ questa, del resto, la strada intrapresa negli ultimi anni, in cui le regioni a statuto
speciale stanno contribuendo in maniera consistente alla riduzione della spesa pubblica.
Peraltro, nel generale processo di riforme in corso, sarebbe fortemente auspicabile
una nuova “stagione statutaria”, anche in considerazione delle novità che deriverebbero
dall’approvazione della riforma costituzionale all’esame del Senato, che ridefinisca,
aggiornandolo, il quadro di riferimento degli statuti speciali, nella direzione di quella che
è stata anche in questa sede definita la “specialità responsabile”. Una nuova “stagione
statutaria”, frutto di una rinnovata concertazione bilaterale tra Stato e singole regioni a
statuto speciale, volta, da un lato, a superare alcuni assetti oramai antiquati – penso,
ad esempio, alla figura del Commissario di Governo ancora previsto per la Regione
Siciliana – e, dall’altro, a promuovere ulteriori competenze e funzioni, per cosi dire “al
passo con i tempi”.
Segnalo, peraltro, con l’occasione, ad ulteriore riprova della rilevanza che il
Governo in generale ed io personalmente attribuiamo al confronto con tali regioni, che
proprio in questi giorni si sta completando la ridefinizione della composizione delle
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commissioni paritetiche, incaricate di predisporre la normativa di attuazione degli statuti
speciali.
Il nuovo “federalismo differenziato”
Per quanto, invece, riguarda l’attribuzione di competenze ulteriori alle Regioni a
statuto ordinario, è noto che con la riforma del 2001 – peraltro riprendendo indicazioni
risalenti ai lavori della Commissione bicamerale per le riforme istituzionali presieduta
dall’On. D’Alema – è stata prevista al terzo comma dell’articolo 116 la possibilità che
anche le Regioni a “Statuto ordinario” possano negoziare con lo Stato ulteriori
forme e condizioni di autonomia con riguardo alle materie di legislazione concorrente e
ad alcune materie di legislazione esclusiva statale.
Purtroppo tale norma non ha sinora conosciuto attuazione, nonostante alcuni
tentativi in questo senso: delle regioni Toscana, Piemonte e, soprattutto, tra il 2006 e il
2008, Lombardia e Veneto. Ciò è avvenuto in parte a causa della tortuosità del
procedimento delineato, prevedendosi un’iniziativa della Regione interessata, il
coinvolgimento degli enti locali, un’intesa tra Stato e Regione interessata e
l’approvazione di una legge a maggioranza assoluta dei componenti delle Camere. Ma,
soprattutto, ciò è a mio avviso accaduto per responsabilità della politica, che è stata
incapace di cogliere l’opportunità offerta dal testo costituzionale, a causa in primo luogo
del clima conflittuale dell’ultimo decennio, che non ha favorito un più sereno confronto
tra livelli di governo. Un errore assolutamente da non ripetere.
In questa prospettiva e nonostante la mancata attuazione della disposizione in
esame, il Governo Renzi ha inteso proseguire con rinnovata convinzione per la
strada del “federalismo differenziato”, prevedendo nel testo di riforma costituzionale
attualmente all’esame del Senato la facoltà di delegare a una o più regioni l’esercizio
della funzione legislativa nelle materie di competenza esclusiva statale, con eventuale
attribuzione anche di ulteriori competenze amministrative. Peraltro, su tale
disposizione (attuale quinto comma dell’art. 117 della proposta governativa) è in corso
una riflessione, alla quale anch’io sto contribuendo, finalizzata a definirne una
formulazione che, senza eccessivi aggravamenti procedurali, consenta la massima
estensione possibile.
Come, infatti, dimostrano alcuni esempi internazionali, ed in primo luogo
l’esperienza spagnola, con gli eccellenti risultati avuti anche in termini di crescita
economica in alcune regioni, ritengo condivisibile il modello di una “federalismo
asimmetrico”, che, secondo i principi costituzionali di differenziazione ed adeguatezza,
consenta di svolgere le funzioni pubbliche al livello più efficiente per i cittadini. In questa
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prospettiva, è giusto che le regioni che sono in grado possano richiedere allo Stato di
svolgere da sé funzioni ulteriori, magari delegandole ai propri comuni.
E’, però, d’altro canto vero – ed è questa in un certo senso l’altra faccia del
“federalismo differenziato” - che per le regioni in difficoltà è dovere dello Stato, oltre
che interesse generale per una crescita collettiva, intervenire con azioni di ausilio e
sostegno, non solo economico. Penso, in particolare, in alcuni territori, ad azioni di
tutela della legalità, ma anche di “assistenza tecnica” e affiancamento in ambito
amministrativo.
Conclusioni
In conclusione, penso che quella delle riforma costituzionale in discussione sia
un’occasione da non perdere per ridisegnare un riparto di competenze tra Stato e varie
regioni più adeguato alle specifiche situazioni. Un modello caratterizzato da maggiore
flessibilità, in cui i territori più dinamici siano lasciati liberi di gestire direttamente,
come recentemente avvenuto per la delega di funzioni in materia di agenzie fiscali
prevista dall’ultima legge di stabilità, ma quelli più deboli non siano lasciati soli.
Vi ringrazio per l’attenzione.

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Federalismo differenziato: Audizione Ministro Affari Regionali

  • 1. 1 Presidenza del Consiglio dei MinistriMINISTRO PER GLI AFFARI REGIONALI E LE AUTONOMIE AUDIZIONE MINISTRO LANZETTA nell’ambito dell’indagine conoscitiva in materia di “federalismo differenziato” dinanzi alla Commissione parlamentare per le questioni regionali Roma, 28 maggio 2014 ore 15.00 Innanzitutto, ringrazio sentitamente per l’opportunità di poter esprimere in questa sede, in maniera più ampia di quanto abbia potuto fare in occasione dell’audizione generale, la mia visione e i miei intendimenti in materia di cosiddetto “federalismo differenziato”. Si tratta di un ambito che, con particolare riferimento ai rapporti con le Regioni a Statuto speciale, rappresenta una parte assai rilevante delle funzioni a me delegate e che, come avrò modo di illustrare, è mia intenzione valorizzare ulteriormente. Ritengo, infatti, sia auspicabile, nella stagione di riforme che si sta intraprendendo, superare l’attuale assetto eccessivamente uniforme quanto alle competenze attribuite alle regioni a statuto ordinario – tra i fattori secondo molti dell’ulteriore divario che nell’ultimo decennio si è prodotto tra regioni meridionali e settentrionali – a favore di modelli più rispondenti alle reali caratteristiche e capacità dei diversi territori. Mi soffermerò, in particolare, sul tema delle Regioni a statuto speciale e su quello dei meccanismi di attribuzione di funzioni ulteriori per le altre. L’esperienza delle Regioni a Statuto speciale Per quanto riguarda il primo argomento, è noto come il riconoscimento di forme speciali di autonomia ad alcune regioni sia stato determinato nell’immediato dopoguerra da risalenti ragioni storiche e identitarie, nonché di diritto internazionale per quanto
  • 2. 2 riguarda la Provincia di Bolzano. A più di sessant’anni dall’adozione della maggior parte degli statuti “speciali”, un bilancio del loro funzionamento è comunque da ritenersi positivo, anche se con differenze tra le diverse esperienze. Infatti, sia in termini di sviluppo ed effettivo esercizio dei profili di autonomia che di crescita economica, i risultati più rilevanti appaiono essere stati raggiunti nelle tre regioni settentrionali. E’ questo un dato su cui è giusto interrogarsi per comprenderne le cause ed individuare specifiche modalità di intervento. Negli ultimi anni, inoltre, a seguito in particolare della difficile situazione economica, si è sviluppata una riflessione sulla persistenza delle ragioni di tale specialità. Al riguardo, ritengo che un mantenimento dell’attuale situazione di differenziazione sia condivisibile, pur in un quadro complessivo di riduzione delle spese pubbliche e nel rispetto di quello che il Presidente Balduzzi in precedenti audizioni ha giustamente definito “doveri costituzionali di solidarietà”. Come emerso, infatti, anche nel corso di questa indagine conoscitiva, la natura speciale non può essere di per sé giustificazione per una sovradotazione di risorse, ma occorre ragionare in termini di “equità nazionale”, assicurando a tutti i cittadini della Repubblica – a parità di altre condizioni – uguale ammontare di risorse pubbliche solo diversamente distribuite tra interventi diretti dello Stato e risorse gestite dalle autonomie. E’ questa, del resto, la strada intrapresa negli ultimi anni, in cui le regioni a statuto speciale stanno contribuendo in maniera consistente alla riduzione della spesa pubblica. Peraltro, nel generale processo di riforme in corso, sarebbe fortemente auspicabile una nuova “stagione statutaria”, anche in considerazione delle novità che deriverebbero dall’approvazione della riforma costituzionale all’esame del Senato, che ridefinisca, aggiornandolo, il quadro di riferimento degli statuti speciali, nella direzione di quella che è stata anche in questa sede definita la “specialità responsabile”. Una nuova “stagione statutaria”, frutto di una rinnovata concertazione bilaterale tra Stato e singole regioni a statuto speciale, volta, da un lato, a superare alcuni assetti oramai antiquati – penso, ad esempio, alla figura del Commissario di Governo ancora previsto per la Regione Siciliana – e, dall’altro, a promuovere ulteriori competenze e funzioni, per cosi dire “al passo con i tempi”. Segnalo, peraltro, con l’occasione, ad ulteriore riprova della rilevanza che il Governo in generale ed io personalmente attribuiamo al confronto con tali regioni, che proprio in questi giorni si sta completando la ridefinizione della composizione delle
  • 3. 3 commissioni paritetiche, incaricate di predisporre la normativa di attuazione degli statuti speciali. Il nuovo “federalismo differenziato” Per quanto, invece, riguarda l’attribuzione di competenze ulteriori alle Regioni a statuto ordinario, è noto che con la riforma del 2001 – peraltro riprendendo indicazioni risalenti ai lavori della Commissione bicamerale per le riforme istituzionali presieduta dall’On. D’Alema – è stata prevista al terzo comma dell’articolo 116 la possibilità che anche le Regioni a “Statuto ordinario” possano negoziare con lo Stato ulteriori forme e condizioni di autonomia con riguardo alle materie di legislazione concorrente e ad alcune materie di legislazione esclusiva statale. Purtroppo tale norma non ha sinora conosciuto attuazione, nonostante alcuni tentativi in questo senso: delle regioni Toscana, Piemonte e, soprattutto, tra il 2006 e il 2008, Lombardia e Veneto. Ciò è avvenuto in parte a causa della tortuosità del procedimento delineato, prevedendosi un’iniziativa della Regione interessata, il coinvolgimento degli enti locali, un’intesa tra Stato e Regione interessata e l’approvazione di una legge a maggioranza assoluta dei componenti delle Camere. Ma, soprattutto, ciò è a mio avviso accaduto per responsabilità della politica, che è stata incapace di cogliere l’opportunità offerta dal testo costituzionale, a causa in primo luogo del clima conflittuale dell’ultimo decennio, che non ha favorito un più sereno confronto tra livelli di governo. Un errore assolutamente da non ripetere. In questa prospettiva e nonostante la mancata attuazione della disposizione in esame, il Governo Renzi ha inteso proseguire con rinnovata convinzione per la strada del “federalismo differenziato”, prevedendo nel testo di riforma costituzionale attualmente all’esame del Senato la facoltà di delegare a una o più regioni l’esercizio della funzione legislativa nelle materie di competenza esclusiva statale, con eventuale attribuzione anche di ulteriori competenze amministrative. Peraltro, su tale disposizione (attuale quinto comma dell’art. 117 della proposta governativa) è in corso una riflessione, alla quale anch’io sto contribuendo, finalizzata a definirne una formulazione che, senza eccessivi aggravamenti procedurali, consenta la massima estensione possibile. Come, infatti, dimostrano alcuni esempi internazionali, ed in primo luogo l’esperienza spagnola, con gli eccellenti risultati avuti anche in termini di crescita economica in alcune regioni, ritengo condivisibile il modello di una “federalismo asimmetrico”, che, secondo i principi costituzionali di differenziazione ed adeguatezza, consenta di svolgere le funzioni pubbliche al livello più efficiente per i cittadini. In questa
  • 4. 4 prospettiva, è giusto che le regioni che sono in grado possano richiedere allo Stato di svolgere da sé funzioni ulteriori, magari delegandole ai propri comuni. E’, però, d’altro canto vero – ed è questa in un certo senso l’altra faccia del “federalismo differenziato” - che per le regioni in difficoltà è dovere dello Stato, oltre che interesse generale per una crescita collettiva, intervenire con azioni di ausilio e sostegno, non solo economico. Penso, in particolare, in alcuni territori, ad azioni di tutela della legalità, ma anche di “assistenza tecnica” e affiancamento in ambito amministrativo. Conclusioni In conclusione, penso che quella delle riforma costituzionale in discussione sia un’occasione da non perdere per ridisegnare un riparto di competenze tra Stato e varie regioni più adeguato alle specifiche situazioni. Un modello caratterizzato da maggiore flessibilità, in cui i territori più dinamici siano lasciati liberi di gestire direttamente, come recentemente avvenuto per la delega di funzioni in materia di agenzie fiscali prevista dall’ultima legge di stabilità, ma quelli più deboli non siano lasciati soli. Vi ringrazio per l’attenzione.