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Riflessioni e valutazioni sullo stato delle procedure volte a garantire continuità aziendale. Prospettive
Andrea Zoppini

SOMMARIO: 1. Premessa – 2. Impresa cooperativa e diritto fallimentare – 3. Interventi legislativi
attuati – 4. … ed auspicati - 5. Gli organi societari nelle situazioni di crisi – 6. Considerazioni
conclusive

1.- Premessa
L’analisi dello stato di attuazione delle procedure volte a garantire continuità aziendale necessita di
una riflessione metodologica preliminare. Vale a dire, occorre essere consapevoli che il diritto fallimentare
risulta essere oggetto di numerose e frequenti integrazioni legislative, qualificandosi come un vero e
proprio cantiere aperto. Ciò non deve indurre ad una considerazione patologica degli interventi del
legislatore, poiché il sistema delle procedure concorsuali è una macchina complessa che richiede
aggiustamenti costanti e puntuali.
Il diritto fallimentare italiano ha subito, negli ultimi anni, importanti modifiche finalizzate a
determinare un cambiamento della concezione della crisi di impresa e delle modalità della sua gestione. Al
riguardo vale la pena segnalare che, ancor prima delle modifiche da ultimo apportate con il Decreto
Sviluppo ( dl 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134), le
procedure concorsuali sono state oggetto di una riforma “organica”. La riforma delle procedure concorsuali
attuata con modifiche al R.D. n. 267/1942 e realizzata in tre tempi - dl 14 marzo 2005 n. 35 (convertito della
legge 14 maggio 2005 n. 80), d.lgs 9 gennaio 2006 n. 5 e con il d.lgs 12 settembre 2007 n. 169 - ha
rappresentato un passo significativo verso la modernizzazione della disciplina della crisi di impresa, i cui
obiettivi erano essenzialmente di: i) incentivare l’emersione precoce della crisi di impresa, riducendone i
costi e garantendo una tutela diretta del ceto creditorio; ii) offrire procedure alternative per la risoluzione
preventiva e stragiudiziale della crisi; iii) garantire una gestione rapida ed efficiente della crisi d’impresa. In
questa prospettiva il concordato preventivo ha vissuto un profondo stravolgimento ed è divenuto l’istituto
centrale per favorire l’emersione anticipata della crisi e la continuazione dell’attività d’impresa. Inoltre,
l’introduzione di nuove soluzioni concordate, quali gli accordi di ristrutturazione dei debiti e i piani attestati
di risanamento, ha conferito un ruolo fondamentale all’autonomia contrattuale nella composizione e
gestione della crisi.

2.- Impresa cooperativa e diritto fallimentare
Appare, ora, necessario interrogarsi sui rapporti che intercorrono tra il diritto fallimentare e
l’impresa coopertiva. Mi pare che l’attenzione da parte del mondo delle cooperative al diritto fallimentare,
da un lato possa considerarsi alla stregua di una conseguenza della situazione economica attuale, dall’altro
costituisce un indice del fatto che l’impresa cooperativa non è più un’impresa diversa dalle altre. Pur
considerando l’impresa cooperativa come un’impresa a tutti gli effetti, permangono in capo a questi
soggetti, peculiari caratteristiche che tendono soprattutto ad emergere nelle fasi di crisi. A sostegno di
quest’ultima asserzione, basti pensare che per l’impresa in esame è sempre esistita una strada autonoma
della cooperazione all’insolvenza, costituita appunto dalla liquidazione coatta amministrativa ( art 2 l. f.).
Rispetto all’impostazione chiaramente sanzionatoria della legge fallimentare del 1942, la liquidazione
coatta amministrativa ha carattere di specialità. Per le imprese cooperative, l’applicazione di una disciplina
di esenzione o il fatto di essere destinatari di una procedura di esenzione ha, a lungo, costituito un
privilegio. Ecco, questo dato per taluni aspetti si è completamente ribaltato perché, oggi, l’esenzione dalle
procedure fallimentari non è vista più come un privilegio, quanto intesa come un’opportunità mancata e
come, semmai, un deficit.
Incidentalmente, occorre registrare che a seguito della Legge 27 gennaio 2012, n. 3 - come
modificata dal decreto Sviluppo-bis (dl 18 ottobre 2012, n. 179, convertito con modificazioni, dalla legge 17
dicembre 2012, n. 221 - chiunque sia “sovraindebitato” (cioè incapace di ripagare i propri debiti), ha
davanti a sé due opzioni, in precedenza non disponibili se non alle imprese medio-grandi: offrire il proprio
intero patrimonio per la liquidazione, oppure proporre un accordo per il pagamento anche solo parziale dei
propri debiti, che se accettato dalla maggioranza dei creditori vincolerà tutti, anche i dissenzienti.
In entrambi i casi, infatti, la procedura riguarda tutti i creditori di uno stesso debitore. In più, il
debitore,se si tratta di una persona fisica, può godere della esdebitazione o “fresh start”, liberandosi dei
debiti non soddisfatti e potendo così reinserirsi nella società senza dover più fuggire dai propri creditori. Si
tratta di un intervento normativo ponderoso, i cui effetti sull’economia e sulla società potrebbero essere
rilevanti.
La grande attenzione, oggi, da parte dei soggetti tradizionalmente non fallibili ( persone fisiche, enti
non lucrativi) per le procedure fallimentari e la grande attenzione che emerge dal movimento cooperativo
per la disciplina fallimentare, si lega essenzialmente al fatto che il diritto fallimentare contiene tutta una
serie di strumenti, che fungono da ausili per gestire e amministrare la crisi.
3.- Interventi legislativi attuati
Il Decreto Legge 83/2012, convertito in l. 134/2012, ha definito una serie di strumenti per
assicurare la continuità aziendale in presenza di situazioni di crisi. Tra le misure adottate possono enuclearsi
il concordato in continuità (art. 186 bis l.f.), ovverosia la proposta concordataria in cui la soddisfazione dei
creditori è basata sui flussi derivanti dalla continuazione dell’attività e non sui proventi della liquidazione
dei cespiti (fermo restando la facoltà per il debitore di porre in essere la liquidazione di cespiti non
strategici per il business della società), e il concordato in “bianco” o preconcordato (art 161 l.f.).
Quest’ultimo istituto attribuisce al debitore la facoltà di depositare, presso la cancelleria del Tribunale
competente, un ricorso per l’ammissione alla procedura di concordato preventivo, riservandosi di produrre
successivamente, nel termine fissato con decreto dal giudice, la proposta e il piano concordatario e i
documenti in allegato previsti dall’articolo 161 l.f.. Da parte di molti giudici fallimentari ma anche a detta di
Confindustria, il ricorso soverchio al meccanismo del concordato in “ bianco” è stato salutato come un dato
patologico che mostra il fianco a numerose criticità. Occorre, piuttosto, una prudente valutazione delle
conseguenze scaturenti dalla domanda di concordato in “bianco”, riguardanti principalmente la condotta
che dovranno possedere gli organi gerenti in pendenza di questa speciale procedura concordataria, al fine
di non incorrere in forme di responsabilità civile od anche penale.
Segnalazioni critiche da parte di Confindustria hanno riguardato anche il concordato in continuità.
Più esattamente, l’organo confederale ha acceso una spia d’attenzione, molto rilevante, riguardo gli assai
modesti livelli di soddisfazione previsti per i creditori. Per contrastare ciò, era stata ventilata la proposta,
rimasta fortunatamente tale, di predeterminare soglie fisse dei creditori, per poter accedere al concordato
in continuità.

4.- …ed auspicati
Pur riconoscendo il significativo aggiornamento della materia fallimentare attraverso gli istituti
testé menzionati, sarebbero auspicabili alcuni interventi legislativi riguardo due profili determinati.
Ovvero, occorrerebbe definire una disciplina concorsuale dei gruppi di società. Nell’ipotesi in cui
un’impresa economicamente unitaria sia frammentata in una pluralità di centri di imputazione societaria,
l’idea di accedere ad un’unica procedura che rapidamente assorba tutte le società, è un profilo di disciplina
che ancora manca. Pur non negando la sussistenza di problemi concorsuali molto delicati, perché in questo
caso l’impresa unica è scomposta in una serie di masse distinte che hanno i propri diritti e che
naturalmente non vanno confusi, un intervento legislativo di tal fatta sarebbe auspicabile.
Un altro profilo sul quale è opportuno intervenire, è quello del prestito da soci (art. 2467 c.c).
Questa disciplina, sostanzialmente mutuata dall’ordinamento tedesco, ha una sua logica in una situazione
di continuità aziendale, mentre può essere prodromica di numerose problematiche nel momento in cui
interviene una crisi, in quanto l’idea della postergazione dei crediti dei soci obiettivamente crea una sorta di
cortocircuito che è difficilmente gestibile. Allora, un primo correttivo potrebbe essere quello di sottrarre
alla disciplina del codice civile la materia dei prestiti dei soci quando si faccia affluire nuova finanza alle
imprese in crisi che abbiano predisposto un piano di risanamento ovvero proposto un concordato con
continuità aziendale. Pertanto, un intervento adattativo della normativa, che potrebbe nuovamente
ispirarsi al modello tedesco, dovrebbe prefigurare un trasferimento di questa disciplina nell’alveo del diritto
fallimentare, espungerla dal diritto sostanziale e prevedere una sorta di revocatoria automatica (chiarendo
però in modo molto preciso le condizioni di ammissibilità).

5.- Gli organi societari nelle situazioni di crisi
Focalizzando, ora, l’attenzione sul versante soggettivo, ritengo che sia presente tra gli
amministratori delle società lucrative ma anche di quelle non lucrative, così come anche tra gli organi di
controllo, un’attitudine mentale fondata sul paradigma binario: capitalizzazione del liquido e regime di
continuità e discontinuità aziendale. Contrariamente a questa radicalizzazione ideale, nel diritto americano,
è stata elaborata la teoria dell’ “emerging insolvency”. Siamo in presenza di una terza area, che, pur non
presentando tecnicamente i parametri dello stato di insolvenza, né quelli della discontinuità aziendale,
risulti comunque caratterizzata da indici tipici dell’insorgere di una crisi che può, ove non trattata in
maniera adeguata, diventare non recuperabile.
Si osserva, a tal riguardo, che la più recente scienza aziendalistica, e i principi di revisione in
particolare, individuano con ragionevole attendibilità gli indici sintomatici ( tra cui ad esempio ad esempio
la perdita di manager chiave difficilmente sostituibili, la perdita di spazi in mercati fondamentali, la
pendenza di un rilevante contenzioso con l’erario di cui è prevedibile l’insuccesso nelle commissioni
tributarie) che consentono di diagnosticare una situazione di crisi, imponendo quindi al consiglio di
amministrazione, e poi agli altri organi, di attivare un sistema di controllo idoneo a rilevare, e a
efficacemente gestire, tale situazione.
Proprio per questa ragione, si è argomentato che, nella fase di emersione dell’insolvenza, possa
essere rilevato in capo agli amministratori un qualche dovere fiduciario, non solo nei confronti dei soci, ma
anche nei confronti dei creditori. Credo che, a questo riguardo, alcuni indici normativi del diritto
fallimentare riformato abbiano un valore sistematico molto rilevante. Mi riferisco, ad esempio, alle norme
che esonerano dalla responsabilità per bancarotta semplice e bancarotta fraudolenta gli amministratori che
adempiono ai piani di risanamento e agli strumenti previsti tipicamente dal legislatore per superare la crisi;
ovvero, ancora, alla norma che rinvia alla riduzione del capitale sociale, tradizionalmente considerato come
campanello di allarme di un potenziale pregiudizio alla continuità dell’impresa.

6.- Considerazioni conclusive
In ultima analisi, credo che oltre ad eventuali correttivi legislativi riguardo il concordato in
continuità ed il concordato in “ bianco”, la vera necessità, come emerge da parte della dottrina, sia
garantire la previsione di uno schema normativo che favorisca l’emersione anticipata della crisi ripensando
il più generale tema dell’allerta. Sul punto, un utile riferimento per l’analisi deriva da una proposta
normativa rimasta nella penna del legislatore. Tale norma, a seguito di una codificazione dei doveri che già
oggi incombono in capo agli organi di vigilanza per la verifica dell’adeguatezza dell’assetto organizzativo
della società, propone una disciplina dalla portata del tutto innovativa, consistente in una procedura di
allerta nella quale l’organo di controllo ha il potere di nominare un professionista indipendente che accerti
e verifichi l’effettiva situazione di crisi, rappresentando quindi con apposita relazione se sussiste lo stato di
crisi e la prevedibile evoluzione della gestione. Si tratta, quindi, di una procedura di allerta dal contenuto
essenzialmente informativo e di agevole applicazione, nel senso che conferisce un potere di stimolo
all’organo di controllo, non invasivo della gestione, e che non trasferisce al giudice poteri di accertamento
dell’emersione della crisi. Viene in tal modo promossa una dialettica virtuosa tra amministrazione e
controllo volta a garantire che l’emersione anticipata della crisi sia portata tempestivamente a conoscenza
dei soggetti che entrano in contatto con l’impresa.
Riprendendo l’assunto iniziale per cui l’impresa cooperativa è un’impresa ad ogni effetto, appare
manifesto che l’ente in questione abbia le stesse esigenze, ad esempio sul piano dell’interlocuzione con i
creditori finanziari, che hanno le altre imprese. Ciò non pregiudica talune specificità, anche con riguardo
alla disciplina del finanziamento dei soci, che il diritto fallimentare può e deve riconoscere. Ciononostante,
una riflessione sulla crisi di impresa e sulle regole che governano i processi di composizione delle stesse,
non può escludere le realtà cooperative.

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Andrea zoppini procedure_garantire_continuita_aziendale

  • 1. Riflessioni e valutazioni sullo stato delle procedure volte a garantire continuità aziendale. Prospettive Andrea Zoppini SOMMARIO: 1. Premessa – 2. Impresa cooperativa e diritto fallimentare – 3. Interventi legislativi attuati – 4. … ed auspicati - 5. Gli organi societari nelle situazioni di crisi – 6. Considerazioni conclusive 1.- Premessa L’analisi dello stato di attuazione delle procedure volte a garantire continuità aziendale necessita di una riflessione metodologica preliminare. Vale a dire, occorre essere consapevoli che il diritto fallimentare risulta essere oggetto di numerose e frequenti integrazioni legislative, qualificandosi come un vero e proprio cantiere aperto. Ciò non deve indurre ad una considerazione patologica degli interventi del legislatore, poiché il sistema delle procedure concorsuali è una macchina complessa che richiede aggiustamenti costanti e puntuali. Il diritto fallimentare italiano ha subito, negli ultimi anni, importanti modifiche finalizzate a determinare un cambiamento della concezione della crisi di impresa e delle modalità della sua gestione. Al riguardo vale la pena segnalare che, ancor prima delle modifiche da ultimo apportate con il Decreto Sviluppo ( dl 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134), le procedure concorsuali sono state oggetto di una riforma “organica”. La riforma delle procedure concorsuali attuata con modifiche al R.D. n. 267/1942 e realizzata in tre tempi - dl 14 marzo 2005 n. 35 (convertito della legge 14 maggio 2005 n. 80), d.lgs 9 gennaio 2006 n. 5 e con il d.lgs 12 settembre 2007 n. 169 - ha rappresentato un passo significativo verso la modernizzazione della disciplina della crisi di impresa, i cui obiettivi erano essenzialmente di: i) incentivare l’emersione precoce della crisi di impresa, riducendone i costi e garantendo una tutela diretta del ceto creditorio; ii) offrire procedure alternative per la risoluzione preventiva e stragiudiziale della crisi; iii) garantire una gestione rapida ed efficiente della crisi d’impresa. In questa prospettiva il concordato preventivo ha vissuto un profondo stravolgimento ed è divenuto l’istituto centrale per favorire l’emersione anticipata della crisi e la continuazione dell’attività d’impresa. Inoltre, l’introduzione di nuove soluzioni concordate, quali gli accordi di ristrutturazione dei debiti e i piani attestati di risanamento, ha conferito un ruolo fondamentale all’autonomia contrattuale nella composizione e gestione della crisi. 2.- Impresa cooperativa e diritto fallimentare Appare, ora, necessario interrogarsi sui rapporti che intercorrono tra il diritto fallimentare e l’impresa coopertiva. Mi pare che l’attenzione da parte del mondo delle cooperative al diritto fallimentare, da un lato possa considerarsi alla stregua di una conseguenza della situazione economica attuale, dall’altro costituisce un indice del fatto che l’impresa cooperativa non è più un’impresa diversa dalle altre. Pur considerando l’impresa cooperativa come un’impresa a tutti gli effetti, permangono in capo a questi soggetti, peculiari caratteristiche che tendono soprattutto ad emergere nelle fasi di crisi. A sostegno di quest’ultima asserzione, basti pensare che per l’impresa in esame è sempre esistita una strada autonoma della cooperazione all’insolvenza, costituita appunto dalla liquidazione coatta amministrativa ( art 2 l. f.). Rispetto all’impostazione chiaramente sanzionatoria della legge fallimentare del 1942, la liquidazione coatta amministrativa ha carattere di specialità. Per le imprese cooperative, l’applicazione di una disciplina di esenzione o il fatto di essere destinatari di una procedura di esenzione ha, a lungo, costituito un privilegio. Ecco, questo dato per taluni aspetti si è completamente ribaltato perché, oggi, l’esenzione dalle procedure fallimentari non è vista più come un privilegio, quanto intesa come un’opportunità mancata e come, semmai, un deficit.
  • 2. Incidentalmente, occorre registrare che a seguito della Legge 27 gennaio 2012, n. 3 - come modificata dal decreto Sviluppo-bis (dl 18 ottobre 2012, n. 179, convertito con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221 - chiunque sia “sovraindebitato” (cioè incapace di ripagare i propri debiti), ha davanti a sé due opzioni, in precedenza non disponibili se non alle imprese medio-grandi: offrire il proprio intero patrimonio per la liquidazione, oppure proporre un accordo per il pagamento anche solo parziale dei propri debiti, che se accettato dalla maggioranza dei creditori vincolerà tutti, anche i dissenzienti. In entrambi i casi, infatti, la procedura riguarda tutti i creditori di uno stesso debitore. In più, il debitore,se si tratta di una persona fisica, può godere della esdebitazione o “fresh start”, liberandosi dei debiti non soddisfatti e potendo così reinserirsi nella società senza dover più fuggire dai propri creditori. Si tratta di un intervento normativo ponderoso, i cui effetti sull’economia e sulla società potrebbero essere rilevanti. La grande attenzione, oggi, da parte dei soggetti tradizionalmente non fallibili ( persone fisiche, enti non lucrativi) per le procedure fallimentari e la grande attenzione che emerge dal movimento cooperativo per la disciplina fallimentare, si lega essenzialmente al fatto che il diritto fallimentare contiene tutta una serie di strumenti, che fungono da ausili per gestire e amministrare la crisi. 3.- Interventi legislativi attuati Il Decreto Legge 83/2012, convertito in l. 134/2012, ha definito una serie di strumenti per assicurare la continuità aziendale in presenza di situazioni di crisi. Tra le misure adottate possono enuclearsi il concordato in continuità (art. 186 bis l.f.), ovverosia la proposta concordataria in cui la soddisfazione dei creditori è basata sui flussi derivanti dalla continuazione dell’attività e non sui proventi della liquidazione dei cespiti (fermo restando la facoltà per il debitore di porre in essere la liquidazione di cespiti non strategici per il business della società), e il concordato in “bianco” o preconcordato (art 161 l.f.). Quest’ultimo istituto attribuisce al debitore la facoltà di depositare, presso la cancelleria del Tribunale competente, un ricorso per l’ammissione alla procedura di concordato preventivo, riservandosi di produrre successivamente, nel termine fissato con decreto dal giudice, la proposta e il piano concordatario e i documenti in allegato previsti dall’articolo 161 l.f.. Da parte di molti giudici fallimentari ma anche a detta di Confindustria, il ricorso soverchio al meccanismo del concordato in “ bianco” è stato salutato come un dato patologico che mostra il fianco a numerose criticità. Occorre, piuttosto, una prudente valutazione delle conseguenze scaturenti dalla domanda di concordato in “bianco”, riguardanti principalmente la condotta che dovranno possedere gli organi gerenti in pendenza di questa speciale procedura concordataria, al fine di non incorrere in forme di responsabilità civile od anche penale. Segnalazioni critiche da parte di Confindustria hanno riguardato anche il concordato in continuità. Più esattamente, l’organo confederale ha acceso una spia d’attenzione, molto rilevante, riguardo gli assai modesti livelli di soddisfazione previsti per i creditori. Per contrastare ciò, era stata ventilata la proposta, rimasta fortunatamente tale, di predeterminare soglie fisse dei creditori, per poter accedere al concordato in continuità. 4.- …ed auspicati Pur riconoscendo il significativo aggiornamento della materia fallimentare attraverso gli istituti testé menzionati, sarebbero auspicabili alcuni interventi legislativi riguardo due profili determinati. Ovvero, occorrerebbe definire una disciplina concorsuale dei gruppi di società. Nell’ipotesi in cui un’impresa economicamente unitaria sia frammentata in una pluralità di centri di imputazione societaria, l’idea di accedere ad un’unica procedura che rapidamente assorba tutte le società, è un profilo di disciplina che ancora manca. Pur non negando la sussistenza di problemi concorsuali molto delicati, perché in questo caso l’impresa unica è scomposta in una serie di masse distinte che hanno i propri diritti e che naturalmente non vanno confusi, un intervento legislativo di tal fatta sarebbe auspicabile.
  • 3. Un altro profilo sul quale è opportuno intervenire, è quello del prestito da soci (art. 2467 c.c). Questa disciplina, sostanzialmente mutuata dall’ordinamento tedesco, ha una sua logica in una situazione di continuità aziendale, mentre può essere prodromica di numerose problematiche nel momento in cui interviene una crisi, in quanto l’idea della postergazione dei crediti dei soci obiettivamente crea una sorta di cortocircuito che è difficilmente gestibile. Allora, un primo correttivo potrebbe essere quello di sottrarre alla disciplina del codice civile la materia dei prestiti dei soci quando si faccia affluire nuova finanza alle imprese in crisi che abbiano predisposto un piano di risanamento ovvero proposto un concordato con continuità aziendale. Pertanto, un intervento adattativo della normativa, che potrebbe nuovamente ispirarsi al modello tedesco, dovrebbe prefigurare un trasferimento di questa disciplina nell’alveo del diritto fallimentare, espungerla dal diritto sostanziale e prevedere una sorta di revocatoria automatica (chiarendo però in modo molto preciso le condizioni di ammissibilità). 5.- Gli organi societari nelle situazioni di crisi Focalizzando, ora, l’attenzione sul versante soggettivo, ritengo che sia presente tra gli amministratori delle società lucrative ma anche di quelle non lucrative, così come anche tra gli organi di controllo, un’attitudine mentale fondata sul paradigma binario: capitalizzazione del liquido e regime di continuità e discontinuità aziendale. Contrariamente a questa radicalizzazione ideale, nel diritto americano, è stata elaborata la teoria dell’ “emerging insolvency”. Siamo in presenza di una terza area, che, pur non presentando tecnicamente i parametri dello stato di insolvenza, né quelli della discontinuità aziendale, risulti comunque caratterizzata da indici tipici dell’insorgere di una crisi che può, ove non trattata in maniera adeguata, diventare non recuperabile. Si osserva, a tal riguardo, che la più recente scienza aziendalistica, e i principi di revisione in particolare, individuano con ragionevole attendibilità gli indici sintomatici ( tra cui ad esempio ad esempio la perdita di manager chiave difficilmente sostituibili, la perdita di spazi in mercati fondamentali, la pendenza di un rilevante contenzioso con l’erario di cui è prevedibile l’insuccesso nelle commissioni tributarie) che consentono di diagnosticare una situazione di crisi, imponendo quindi al consiglio di amministrazione, e poi agli altri organi, di attivare un sistema di controllo idoneo a rilevare, e a efficacemente gestire, tale situazione. Proprio per questa ragione, si è argomentato che, nella fase di emersione dell’insolvenza, possa essere rilevato in capo agli amministratori un qualche dovere fiduciario, non solo nei confronti dei soci, ma anche nei confronti dei creditori. Credo che, a questo riguardo, alcuni indici normativi del diritto fallimentare riformato abbiano un valore sistematico molto rilevante. Mi riferisco, ad esempio, alle norme che esonerano dalla responsabilità per bancarotta semplice e bancarotta fraudolenta gli amministratori che adempiono ai piani di risanamento e agli strumenti previsti tipicamente dal legislatore per superare la crisi; ovvero, ancora, alla norma che rinvia alla riduzione del capitale sociale, tradizionalmente considerato come campanello di allarme di un potenziale pregiudizio alla continuità dell’impresa. 6.- Considerazioni conclusive In ultima analisi, credo che oltre ad eventuali correttivi legislativi riguardo il concordato in continuità ed il concordato in “ bianco”, la vera necessità, come emerge da parte della dottrina, sia garantire la previsione di uno schema normativo che favorisca l’emersione anticipata della crisi ripensando il più generale tema dell’allerta. Sul punto, un utile riferimento per l’analisi deriva da una proposta normativa rimasta nella penna del legislatore. Tale norma, a seguito di una codificazione dei doveri che già oggi incombono in capo agli organi di vigilanza per la verifica dell’adeguatezza dell’assetto organizzativo della società, propone una disciplina dalla portata del tutto innovativa, consistente in una procedura di allerta nella quale l’organo di controllo ha il potere di nominare un professionista indipendente che accerti e verifichi l’effettiva situazione di crisi, rappresentando quindi con apposita relazione se sussiste lo stato di crisi e la prevedibile evoluzione della gestione. Si tratta, quindi, di una procedura di allerta dal contenuto
  • 4. essenzialmente informativo e di agevole applicazione, nel senso che conferisce un potere di stimolo all’organo di controllo, non invasivo della gestione, e che non trasferisce al giudice poteri di accertamento dell’emersione della crisi. Viene in tal modo promossa una dialettica virtuosa tra amministrazione e controllo volta a garantire che l’emersione anticipata della crisi sia portata tempestivamente a conoscenza dei soggetti che entrano in contatto con l’impresa. Riprendendo l’assunto iniziale per cui l’impresa cooperativa è un’impresa ad ogni effetto, appare manifesto che l’ente in questione abbia le stesse esigenze, ad esempio sul piano dell’interlocuzione con i creditori finanziari, che hanno le altre imprese. Ciò non pregiudica talune specificità, anche con riguardo alla disciplina del finanziamento dei soci, che il diritto fallimentare può e deve riconoscere. Ciononostante, una riflessione sulla crisi di impresa e sulle regole che governano i processi di composizione delle stesse, non può escludere le realtà cooperative.