1. “Raccontare in maniera personalizzatauna storia di gente emigrata nel periodo del dopo guerra”.
Pezzi di vita quotidiana
2. Prefazione
La storia narra la vita quotidiana della famiglia Lupara di origini Siciliane, chefu costretta a trasferirsi in
Russia andando via dalla propria terra tanto amata per via della povertà ormai dilagante e di un
incessante pericolodettato su quei territori dalla mafia del dopoguerra.
3. La famiglia Lupara, ormai lontanadalla sua amata Messina egiunta dopo giorni di viaggio a Gzhel un piccolo
paesino russodimenticato da Dio, in uno scenario fatto di steppagli lunghi chilometri, si mise subito alla
ricerca di una abitazione e di un lavoro.
Fortunatamente i Lupara come tutti i nullatenenti italiani avevano fervida immaginazione nel creare giorno
per giorno il modo con cui campare. Erano nove bocche da sfamare ma nonostante ciò il papà Girolamo e i
suoi figli maggiorierano persone piene di vita con tanta voglia di fare, quindi il numero di persone da
sfamare non li spaventava.
Il risveglio, al mattino, avveniva soprattutto per crampi allo stomaco, che risultavano più efficaci del trillo
della sveglia. La colazione consisteva in una fetta di pane condita con olio o accompagnata da fichi secchi.
La domenica Vincenzo, il terzo figlio, con i due fratelli più grandi si alzava all’alba per andare a prendere il
siero dalle masserie e fornire la colazione per tutta la famiglia; un giorno,mentre eranodiretti verso la
masseria di un vecchio emigrante pugliese, Don Elia, il quale aveva trovatola sua fortuna in quei posti,
carichi di un mix di speranza e fame, chiesero al proprietario terriero qualcosa per poter sfamare in
maniera quasi “lussuosa” la propria famiglia in quelle fredde domeniche primaverili. Alle volte alzarsi
all’alba non serviva, infatti i poveri Lupara tornavano a casa a mani vuote in quanto erano stati preceduti da
altri ragazzi; invece, quando la fortuna sorrideva loro, tornavano a casa portando con sélatte fumante con
frammenti di ricotta galleggiante. Un vero giorno di festa!
Tutti, nella famiglia Lupara, si davano da fare: Raffaele aiutava il padre nelle riparazioni delle case, Gaetano
andava con la madre a lavorare i campi, Vincenzo, più portato degli altri, si occupava dei lavori domestici e
dell’accudimento dei gemelli Vittorio e Maurizio. Crescevano denutriti al punto che i genitori, preoccupati
che avessero il verme solitario, li fecero visitare dal dottore del posto, di origini campane, il dottor Portacci.
Questi sentenziò: “E’ la fame signò” .
Durante la primavera, contadini e piccoli proprietariterrieri, coltivando le terre, riuscivano a portare a casa
il necessario per cibarsi e fare provviste per l’inverno. Purtroppo la famiglia Lupara non aveva di questa
possibilità , in quanto il papà Girolamo sapeva il fatto suo nei lavori di muratura, ma nonostante questo non
4. si aveva grande possibilità di lavorare , anche se c’era molto da ricostruire visto i danni provocati dalla
guerra. Quindi per tirare avanti faceva l’imbianchino, lavoro grazie al quale riusciva a portare a casa qualche
soldo o qualche sacco di cereali.
La famiglia Lupara non aveva minimamente voglia di abbattersi, infatti il loro motto era: “mettiamoci
all’opera”. Tant’è che i figli della coppia si arrangiavano adattando il lavoro e lo spirito di intraprendenza
alle stagioni e al prodotto che si raccoglieva. Infatti d’inverno andavano furtivamente durante la notte alla
raccolta di frumento, sperando che qualche cane da guardianon desse l’allarme rivelando al padrone la
presenza dei giovani intrusi. Alle volte accadeva che qualche proprietario era riuscito a sorprenderli nei loro
furtarelli e in tal caso quando accadeva erano costretti a correre lasciando i sacchi stracolmi di frumento
perdendo come si diceva dalle loro parti “Filippu cu tuttu lu panaro”. Una volta tornati a casa, sudati e
pieni di paura e preoccupazione per il grosso pericolo che avevano corso, andavano dritti sotto le coperte
sperando che quelle fragili lenzuola potessero dare loro un minimo di riparo dal “cattivo” agricoltore che li
aveva spaventanti.
La fame era così tanta,che nonostante la paura dovuta al furtarello andato male, i fratelli si mettevano
nuovamente all’opera con i loro furti,due massimo tre per ogni stagione e ogni raccolta.
Il papà vedendo tutta questa abbondanza di roba dentro casa si accorse che non poteva essere frutto
dell’umile lavoro nei campi dei suoi due figli. Allora prima di additare qualcuno fece finta di andare a letto
presto come ogni sera, ma stavolta invece di addormentarsi tenne d’occhio la finestra per accorgersi se
qualcuno usciva. Giunte le undici di sera, con la faccia ormai spenta dal sonno, il papà soddisfatto dal fatto
che i suoi figlioli non erano dei ladruncoli se ne stava per andare a letto, quando ad un certo punto vide uno
strano movimento in giardino. Si accorse che erano Gaetano e Raffaele che prendevano le loro biciclette.
Girolamo con il volto corrugato dall’amarezza perché ci aveva visto giusto su suoi figli, senza cambiarsi e
montando in bicicletta, andò a pescare sul fatto i due giovani. I due figli, vedendo il papà, sbiancarono come
se avessero visto un fantasma,sapendo ciò che li avrebbe aspettati a casa. Tornando verso casa scortati dal
padre e una volta varcata la porta dell’abitazione, Vincenzo e Raffaele pensavano nella loro mente alle
5. peggiori reazioni da parte del padre: botte, rimproveri a squarcia gola. Girolamo non fece nulla se non
guardare i due ragazzi con i suoi occhi grandi e neri, comunicandotutta la vergogna che provava verso di
loroper avere scoperto che i suoi figli avevano calpestato l’onestà che più di ogni altra cosa egli teneva a
trasmettere.
Al mattino dopo Gaetano e Raffaele, passata una notte in biancopoiché avevano capito il motivo della
vergogna provata dal padre nei loro confronti, si misero all’opera spinti dal voler riguadagnare la stima del
loro padre, che pur non essendo chissà quale dotto aveva insegnato loro a saper vivere in modo onesto, in
qualunque condizione l’amaro mondo li avesse posti. Arrivato Giugno, mese del grano, i due giovani si
misero a lavorare duramente presso più proprietari terrieri del posto; lavori grazie ai quali fecero passare
un mese di sazietà e felicità alla loro famiglia. In tal modo i due ragazzi riuscirono a riguadagnare la stima
del loro padre.
Al paese si avviò la pratica da parte dei commercianti ambulanti di comprare materiale vecchio. Di
conseguenza, ifigli Lupara animati dalla loro solita voglia di fare, si misero all’opera; infatti pur di avere
qualche soldo in tasca iniziarono a percorrere chilometri girando tra le campagne e le innumerevoli
discariche di maceriecreatesi dopo la guerra. I materiali raccolti erano messi in un sacco e una volta tornati
a casa spargevano tutto nell’orto e partizionavano i materiali tra materiali ferrosi e vetro. Tra le leghe
ferrose cercavano di accaparrarsi più rame, stagno e ottone possibile perché erano quelli che valevano di
più.
Anche questa attività andò scemando visto l’esaurimento dei materiali da cercare causatadalla moltitudine
di ragazzi che si davano a tale pratica,ragion per cui in breve tempo non rimase più niente da cercare.
Quello che stavano vedendo nascere i ragazzi, a loro insaputa, con le loro pratiche di racimolare rifiuti, non
era altro che la pratica da parte dell’ URSS di bonificare il territorio e riciclare i materiali risparmiando
sull’acquisto di nuove materie prime e offrendo ai ragazzi un motivo di guadagno.
Gaetano, Raffaele e Vincenzo cercarono in ogni dove per trovare metallo da vendere ma non fecero altro
che collezionare barattoli di latta che purtroppo non erano richiesti dal mercato; fino a che Raffaele non si
6. accorse che parte della latta era saldata con dello stagno. A questo punto il ragazzo con gli occhi a forma di
denaro vide una larga prospettiva di guadagno, infatti mise i barattoli a riscaldare sciogliendo lo stagno,
operazione che fece tantissime volte per recuperare lo stagno da tutti i barattoli. Infine fece un'unica
billetta di stagno e la portòal commerciante. Il negoziante, una volta appurata attraverso pesatura la
purezza del metallo, gli diede una cifra molto elevata, elevata a tal punto che la somma del denaro di tutti
gli oggetti venduti in passato non si avvicinava minimamente alla cifra avuta quel giorno.
Visto che la pratica della fusione dello stagno andò bene si decise di ripetere l’esperimento di vendita, ma
stavolta i ragazzi si fecero prendere dall’avidità e decisero di aggiungere all’interno del lingotto di latta fuso
dei pallini di piombo. Il venditore di esperienza non si fece imbrogliare dal giochetto dei ragazzi e li punì
decidendo di non accettare più merce che provenisse da loro. La loro furbizia fu punita e quindi si misero di
nuovo all’opera per cercare altri espedienti per vivere; i due giovani allora si rimboccarono le maniche e
passarono a un lavoro poco gratificante ma molto redditizio, cioè la raccolta dello sterco di cavallo per
concimare le terre efu in tale occasione che i ragazzi rammentarono una frase che il loro nonno, rimasto in
Sicilia, diceva spesso: “Do ste merda ste abbundanza”. Ormai ogni cavallo della zona era tenuto d’occhio dai
giovani Lupara, la “merce” di vendita era disposta in un angolo del giardino emanando un odore
nauseabondo, motivo di tanti litigi con la mamma Anna che purtroppo non poteva lamentarsi più di tanto
visto che la sostanza in questione portava a casa una buona parte dei soldi che entravano a casa a fine
mese.
Un giorno i giovani ragazzi si svegliarono spaventati dal suono di strumenti pensando che fosse l’allarme di
un’ imminente guerra. I tre furono subito rassicurati dalla mamma, dicendo loro che sicuramente una
guerra non è sentenziata dal suono di chitarre e organetti con suono festoso.
Allora i giovani si affacciarono subito alla finestra e videro un capanno enorme; quindi decisero subito di
cambiarsi e vedere cosa fosse contenuto in questo enorme edificio fatto di teloni. Man mano che si
avvicinavano, un odore molto sgradevole si faceva sempre più forte. Giunti all’ingresso sbirciarono
all’interno del capannone e videro reti appese ed impalcature. Ma ancora non capirono da dove venisse
7. quello strano odore, allora i tre deciserodi aggirare l’enorme struttura e alle spalle di questa scoprirono
tantissimi animali in gabbia e nella mente dei ragazzi si creò l’idea che quello fosse il circo, che purtroppo
non avevano mai avuto occasione di vedere a causa delle guerre che si erano scatenate negli anni
precedenti. Vedendo tigri, elefanti, scimmie e ogni sorta di animale di cui avevano sentito parlare solo nelle
favole, ai ragazzi balzò subito l’idea di riuscire a vedere quello spettacolo. Raffaele, il più vivace tra i tre
fratelli, cosciente di non poter acquistare il biglietto, si rese subito disponibile procurando paglia pulita per
il giaciglio degli animali e segatura per la pista. In tal modo entrò subito in confidenza col personale del
circo, divenendo punto di riferimento per questo genere di prestazioni. Fu quello il modo per ottenere
libero ingresso agli spettacoli per lui e i suoi fratelli.
Rimasti sbalorditi dalle mirabolanti piroette aeree degli acrobati e dei giochi fatti con gli animali, decisero
di riprovare a fare la stessa cosa per ottenere il biglietto per un altro circo che era in zona, purtroppo però
altri ragazzi ci pensarono prima di loro, ma Raffaele non era un tipo che si scoraggiava perciò tirò fuori dal
cappello un’altra delle sue geniali trovate. Ordinò a Vincenzo e Gaetano di prendere un sacco e di andare a
caccia di ratti e uccelli; inizialmente i due fratelli minori non capirono cosa avesse in mente Raffaele, ma i
due eseguirono ugualmente e alla perfezione i suoi ordini. I due individuarono un topo, che fu subito
catturato. Preso il topo, i due andarono da Raffaele che era all’ingresso del circo vicino al domatore di leoni,
a quel punto Gaetano e Vincenzo capirono, all’istante, che per tre ingressi stavano barattando quel povero
topo come cena per latigre.
Finalmente una buona notizia rasserenò casa Lupara, infatti Girolamo fu assunto come muratore da
un’importante dittaper la costruzione di una diga. Tutte le mattine, con una bicicletta attrezzata solo con
l’indispensabile, percorreva la strada selciata per raggiungere il cantiere. Affrontava il freddo del primo
mattino e al ritorno anche il buio.
Ogni sera la famiglia lo aspettava con ansia, e quando ritardava, cresceva la preoccupazione perché
temevano che gli fosse successo qualcosa o ci fosse stato un guasto alla bici. Spesso i ragazzi lo vedevano
rientrare con il mezzo in spalle per rottura di catena o di cerchioni.
8. La povera cena non era certamente piacevole per la famiglia, in quanto provava dispiacere nell’ascoltare gli
improperi o nell’osservare i mugugni del padre dovuti ad una stancante giornata di lavoro. Poiché al
mattino seguente doveva essere, comunque, in orario sul posto di lavoro, i figli trascorrevano la nottata in
piedi, per aiutarlo a riparare la bicicletta.
Dopo alcuni mesi il cantiere chiuse battente per alterne vicende della guerra. Per Girolamo il lavoro finì. Ma
ovviamente non finirono certamente i bisogni della famiglia.
Spinto dalle continue sollecitazioni di sua moglie Anna e dall’incessante richiesta di cibo della prole,
Girolamopensò di sfruttare l’amicizia di un guardiano del cantiere. Questi gli aveva fornito piccoli
quantitativi di soda caustica, abbandonata in magazzino, che Girolamo utilizzòper creare sapone necessario
a soddisfare le esigenze della famiglia. Potendo disporre della soda senza pagarla, cominciò di nascosto, in
casa, a fabbricare sapone anche per gli altri. Invece Raffaele, Gaetano e Vincenzo andavano a raccogliere
olio fritto filtrato che veniva aggiunto alla soda e ad un quantitativo di acqua calda. Il tutto veniva poi
amalgamato con un bastone in un catino di argilla. Tale composto si lasciava riposare per una notte intera.
Quando la miscela, coagulando, prendeva consistenza, si tagliava a pezzi e si metteva ad asciugare al sole
per farla indurire. Era l’uovo di Colombo! Gaetano sopperì al lavoro con questo geniale stratagemma.
Tutto andava a gonfie vele. Il sapone si vendeva come il pane, tanto che l’azienda di famiglia non riusciva a
soddisfare le continue richieste. Ma un brutto giorno al fornitore di soda di Girolamo fu affidato un altro
incarico e quindi non poté più disporre del prodotto abbandonato in magazzino.
La bella favola finì sul nascere e la famiglia Lupara si ritrovo ad affrontare i problemi di sempre.
Poco tempo dopo Gaetano venne assunto come muratore da un noto impresario locale di origini polacche;
per via del matrimonio di sua figlia l’impresario decise di organizzare una festa nella sua lussuosa casa. A
questa festa furono invitati militari graduati e alcuni dipendenti tra cui Gaetano, che aveva avuto l’ordine di
invitare alla festa la moglie e i figli. La moglie Anna non voleva partecipare sia per non lasciare i bambini da
soli nelle ore notturne, ma anche perché non aveva un vestito decente da indossare. Alla fine Gaetano la
9. convinse dicendo che sarebbe stata una buona occasione per prendere qualche dolce particolare da far
assaggiare ai propri piccoli. Gaetano e Anna si avvicinarono ai tre figli più grandi dicendo di tenere d’occhio
i due piccoli gemellini, di non aprire la porta e di restare al letto fino al loro ritorno. Dopo aver messo i
piccoli gemelli a dormire nella culla, Vincenzo, Raffaele e Gaetano aprirono di qualche centimetro l’imposta
della porta per curiosare. Videro arrivare auto lussuose, dalle quali scendere belle donne incappellate e
ricoperte di piume e pellicce. Intanto più chiare e decise, all’apertura della porta della villa in cui vi era la
festa, che si svolgeva proprio dinanzi a casa dei Lupara, sopraggiungevano musiche alle orecchie dei tre
ragazzi, canzoni come Lily Marleen e il ritmo travolgente del Boogie Woogie che i suonatori e la cantante,
animatori della serata, proponevano a più riprese.
La fantasia, compagna immancabile dei tre ragazzi permetteva loro di immaginare ora vivande e bevande
che per l’occasione venivano servite, ora i movimenti degli invitati festanti. Improvvisamente il rombo di
un’ auto ruppe l’incantesimo. Il cigolio delle portiere fece percepire che qualcuno stesse per scendere,
infatti i tre ragazzi spiarono e videro che era proprio così. Quattro militari , parlottando tra loro in una
lingua che per i tre ragazzi era incomprensibile, si avvicinarono verso la casa della festa. I tre ragazzi
imitarono i soldati nel loro linguaggio, pronunciando altrettante parole incomprensibili che li inducevano a
grosse risate.
Poco dopo aprirono l’uscio della porta e… meraviglia! Davanti alla loro casa videro parcheggiata una jeep.
Dapprima l’osservarono timorosi; poi pian piano, e sicuri che ormai nessuno potesse disturbarli, salirono a
bordo prendendo confidenza con i comandi. Saltarono allegri sui sedili soffici e molleggiati, fino a diventare
padroni del mezzo. Aprirono la custodia degli attrezzi e scorsero una pistola che subito trafugarono e
nascosero in una buca che scavarono nel terreno del loro orticello. A Raffaele piacque anche il sedile allora
decise di prenderlo e nasconderlo sul tetto della loro abitazione. Dopo aver compiuto questa grande
impresa per la loro piccola età i tre giovani si misero a letto pensando al valore della refurtiva. Il sonno
stava per impadronirsi dei tre ragazzi quando sentirono risate e schiamazzi provenire dai quattro militari,
che ripartirono con la jeep quasi senza rendersi conto dell’assenza di qualcosa.
10. L’alba uggiosa e invernale rischiarava appena le case, quando un frastuono misto a invettive fece
sobbalzare dal letto i ragazzi. Due soldati con fucile spianato entrarono in casa intimando ai genitori
assonnati dei ragazzi, increduli e ignari per quanto avveniva, di rendere ciò che apparteneva loro, facendo
domande con tono di voce severo e minaccioso. Alzarono i materassi per ispezionare e guardarono sotto al
letto. Dopo un giro negli angoli della spoglia casa, andarono via. Che incubo! I tre ragazzi uscirono dal loro
rifugio come coniglietti spaventati e finalmente rivelarono ai loro genitori l’audace operazione notturna.
Seguì un forte rimprovero e poiché non conveniva denunciare il fatto, gettarono la refurtiva in una
campagna.
Dopo mesi di permanenza in Russia e dopo il susseguirsi di vari episodi, la famiglia Lupara capì che qui non
aveva trovato la fortuna che tempo prima aveva sperato di trovare. I Lupara si resero conto che la vera
ricchezza non era quella materiale, ma piuttosto era quella che avevano lasciato in Sicilia, ovvero i loro
affetti, il loro mare e il sole emigrando in un paese che aveva fatto perdere loro tutto questo e che era a
loro totalmente estraneo. Rendendosi conto di ciò decisero di ritornare a casa, accontentandosi di quel
poco che avrebbero guadagnato ma ritrovando quello che di più apparteneva a loro.