3. I dati Istat sull'occupazione ci consegnano un quadro
sempre più drammatico. In un solo mese il numero
assoluto dei disoccupati è aumentato del 2.3 %. 62 mila
persone hanno perso il lavoro e si aggiungono ai 2 milioni
774 mila già conteggiati. Il tasso di disoccupazione è
prossimo all' 11% mentre quello giovanile è oltre il 35%.
4. La definizione di “Riforme strutturali” non è originale ma risponde
esattamente all'apparato teorico concettuale contenuto nel Rapporto Ocse
del 1994, successivamente acquisito dal Fondo Monetario Internazionale e
poi dalla Bce.
L'indagine Ocse, in sostanza, assumeva che solo un mercato del lavoro
perfettamente flessibile, in un contesto neutrale di politiche
macroeconomiche, avrebbe ridotto la disoccupazione.
Il rapporto suggeriva di ridurre la rigidità in uscita, cioè rendere i licenziamenti
più facili, e legare i salari alla produttività. La traduzione pratica è
contenuta in due ricette: libertà di licenziamento e aumento dell'orario di
lavoro a parità di salario.
5. Il mantra, ripetuto ossessivamente nei citati documenti, è che l'eccessiva rigidità del
mercato del lavoro italiano (di cui la tutela in materia di licenziamenti sarebbe la
massima espressione) scoraggerebbe gli investimenti esteri nel nostro paese.
Inoltre rappresenterebbe la causa principale della precarietà e della
disoccupazione. In questo clima «culturale» il diritto del lavoro appare solo una
forma di regolazione dei rapporti sociali come altre, che deve rispettare, e
possibilmente esprimere, le leggi del mercato (Garofalo, 1999a).
Il diritto del lavoro ha una funzione diversa: correggere e controbilanciare i rapporti
di potere intrinseci in un contratto asimmetrico come quello che vede da una
parte il prestatore e dall'altra colui che offre il lavoro e pretende di organizzarlo
esercitando una autorità.
Il contratto di lavoro infatti presuppone una finta uguaglianza tra le parti.
6. E' grazie alle codificazioni borghesi che i lavoratori passano dallo status di servi ad
attori negoziali. Ciò avviene attraverso una finzione.
L'unico modo per legittimare la posizione di potere e di subordinazione in una società
che il pensiero liberale voleva di uguali era lo schema negoziale che presiede allo
scambio di merci. Il lavoro merce viene scambiato con la retribuzione. Il lavoro
però non è una merce ma espressione della persona umana come riconosciuto
nella nostra costituzione. Per questa ragione Il contratto individuale che legittima
lo scambio ineguale è corretto da altre fonti eteronome: la costituzione, la legge, e
la contrattazione collettiva.
“Il lavoro è soltanto un altro nome per un’attività umana che si accompagna alla vita
stessa la quale a sua volta non è prodotta per essere venduta”
K. Polanyi, La grande trasformazione, Le origini e economiche e politiche della nostra
epoca, Einaudi, Torino 1974.
7. Le valutazioni del rapporto Ocse e degli altri documenti che ne riprendono lo
spirito sono di natura politica e ideologica.
Un dato comparatistico: le migliori esperienze europee quanto a performance
occupazionali hanno in comune una elevata imposizione fiscale, impegnative
politiche di formazione professionale ed elevati investimenti in R&S; non bassi
salari e licenziamenti facili.
Gran Bretagna, Svezia e Danimarca , ma anche la Germania negli ultimi anni hanno
«regimi di protezione dell'impiego» completamente diversi. Si passa dall'ampia
libertà di licenziamento tipica del sistema danese, alle regole di protezione deboli
dell'ordinamento britannico fino all'estremo opposto, rappresentato dal sistema
svedese di tutela contro il licenziamento ingiustificato, paragonabile al nostro per
intensità protettiva. Senza dimenticare il modello tedesco di coderminazione
fondato su relazioni industriali ancora relativamente solide nonostante la crisi.
.
8. La stessa Ocse ha prodotto negli anni indagini decisamente contraddittorie. Nel
1998 l’Employment Outlook aveva affermato che né la teoria economica né le
analisi econometriche sono state in grado di determinare l’influenza sui livelli
occupazionali di discipline legali o contrattuali sui minimi salariali, così come
non vi sarebbero prove del fatto che riducendo la protezione contro il
licenziamento e indebolendo i contratti di lavoro standard si possa agevolare
la crescita dell'occupazione (Ocse, 1998).
Si rivelerà sbagliato l'indice di rigidità dell'impiego elaborato per il nostro paese
dalla stessa agenzia nel 1999, che includeva, erroneamente, il trattamento di
fine rapporto fra i costi monetari del licenziamento, mentre – com’è noto –
rappresenta una quota differita della retribuzione. Nel rapporto viene,
incredibilmente, confuso con una indennità per il licenziamento.
9. E' in questo contesto ideologico che si inserisce la legge 92/2012
Infatti durante l'iter parlamentare è stato esplicitamente
affermato che il disegno di legge pur centrato sull'allentamento
della “rigidità in uscita” avrebbe contenuto misure di
“riequilibrio” rappresentate da norme di limitazione del
precariato e di tutela contro gli abusi di contratti non standard.
L'intervento più rilevante riguarda infatti più che le flessibilità in
entrata la disciplina dei licenziamenti che era il vero obiettivo.
Non si tratta di una grande riforma del lavoro ma di una
manutenzione ideologicamente orientata e nel solco della
legge 276 2003.
11. Nel nostro ordinamento esistono due regimi di tutela in relazione al recesso
datoriale riconosciuto illegittimo: l’alternativa tra riassunzione e risarcimento del
danno ex legge 604 del 1966 (tutela obbligatoria); la reintegrazione nel posto di
lavoro (tutela reale), qualora sussistano determinati limiti dimensionali, prevista
dall’art. 18 dalla legge 300 del 1970.
L'art. 18 legge 300 del 1970 è diretto , attraverso una complessa combinazione di
tecniche (invalidante dell'atto, inibitorio, restitutoria, risarcitoria), alla
reintegrazione nel posto di lavoro, e ha una funzione di prevenzione generale
contro i licenziamenti illegittimi pur interessando un numero non elevato di
lavoratori. Il tessuto produttivo italiano è infatti composto prevalentemente da
aziende che hanno meno di 15 dipendenti.
12. Nelle semplificazioni giornalistiche e nella retorica prevalente
del discorso pubblico questa disciplina viene presentata
come un «privilegio di pochi», assolutamente incoerente
con lo sviluppo di un paese moderno.
Le cose stanno diversamente. La tutela reale corrisponde a
uno sviluppo coerente della nostra civiltà giuridica, non solo
nei rapporti di lavoro.
Anzi, è la legge del 1966 che si discosta dal diritto comune, dal
diritto dei contratti.
13. La reintegrazione in forma specifica è un rimedio previsto dal codice civile in
quanto diritto all'esatto adempimento se giuridicamente e materialmente
possibile. La tutela risarcitoria è una alternativa secondaria.
Inoltre sempre più, soprattutto nel settore della produzione di beni e servizi e
della tutela del consumatore, si vanno diffondendo, sia a livello comunitario
sia nella legislazione nazionale, strumenti analoghi.
Quest’esigenza assume un rilievo particolare nel diritto del lavoro, dove
l'adempimento della prestazione lavorativa non è soltanto l'esecuzione di
un obbligo nell’ambito di un contratto a prestazioni corrispettive, ma è
anche un mezzo di espressione della personalità, costituzionalmemte
tutelato.
14. Lo svolgimento dell’attività lavorativa è connesso a diritti
fondamentali, tra i quali la libertà di espressione nel luogo di
lavoro, la libertà di costituire associazioni sindacali, di svolgere
attività sindacali e di esercitare i diritti garantiti dallo Statuto
dei lavoratori che la tutela reale rende esigibili. La scelta tra i
due tipi di tutela è quindi squisitamente politica. Sono in gioco
due interessi contratrapposti quello del datore di lavoro
all'esercizio dell'autorità e quello del lavoratore all'espressione
della propria personalità oltre che al reddito.
15. Nel nostro paese la maggior parte delle aziende dove trova
applicazione l’art. 18 si colloca in quelle aree geografiche
dove registriamo livelli occupazionali pari alle migliori
performance europee e dove si producono i beni a più alto
valore aggiunto, quelli che maggiormente esportiamo. In
queste aziende, non a caso forse, il livelli di precarietà si
sono mantenuti negli anni su tassi fisiologici.
16. L'articolo 18 dopo la legge 92 2012.
Obiettivo iniziale del governo: prevedere come “risposta
dell'ordinamento” ad un licenziamento ingiustificato
l'indennizzo monetario in tutti i casi tranne quelli di
licenziamento discriminatorio. Realizzare la prevalenza della
libertà di iniziativa economica sulla stabilità del posto di
lavoro.
17. Dopo la legge 92 qualora manchino giusta causa
(comportamento intenzionale del lavoratore che incide sul
rapporto fiduciario) o giustificato motivo soggettivo (grave
inadempimento), al di fuori delle ipotesi discriminatorie
(licenziamento per ragioni di razza, religione, politiche,
sindacali) la tutela reale cioè il reintegro potrà avvenire
solo se i motivi concreti addotti dal datore di lavoro
motivo siano del tutto inesistenti.
Nella casisitica giudiziaria, fino ad oggi, generalmente il fatto
sussiste ma il giudice non lo valuta così grave da giustificare
il licenziamento.
18. Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo (ragioni
economiche o organizzative) non prevede più il reintegro
automatico.
Il giudice può disporre il reintegro nell'ipotesi in cui accerti la manifesta
insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato
motivo oggettivo.
Al giudice viene riconosciuto un ampio potere discrezionale anche perchè
l'uso del verbo potere sembra attribuire una mera facoltà anche in caso
di “manifesta insussistenza”.
Del resto è quanto affermato da Monti in data 8 Aprile 2012 in replica al
Wall Street Journal: “ Per il motivo economico non è più previsto il
reintegro. Solo nel caso in cui il fatto sia considerato manifestamente
insussistente il giudice può, e non deve, come chiedevano il PD e certi
sindacati decidere per il reintegro”.
19. La reintegrazione è solo una eventualità.
L'aggettivo che dovrebbe caratterizzare l'insussistenza desta
molte perplessità: quando ci si propone di scongiurare gli abusi
non si può pretendere che chi pone in essere una condotta
illegittima lo faccia in modo manifesto. Gli imprenditori furbi che
decideranno di ricorrere a tale causale per liberarsi di un
dipendente sgradito si guarderanno bene dal confessarlo e
conseguentemente cercheranno di nascondere e mascherare
l'illegittimità della loro condotta. In altre parole di renderla
occulta e non manifesta.
21. L'intervento principale assieme a quello sui
licenziamenti riguarda i contratti “flessibili”.
Non si introduce alcun contratto unico di ingresso
e si mantengono le svariate tipologie esistenti
operando una manutenzione in alcuni casi
anche rilevante.
L'obiettivo è incentivare le scelte aziendali verso
alcuni tipi contrattuali.
22. Lavoro a tempo indeterminato 14.253.628
Lavoro a tempo determinato 1.075.122
Contratto formazione lavoro (CFL) 133.822 12,2
Apprendistato 346.912
Contratto d’inserimento 180.425 11,1
Lavoro interinale o a somministrazione 147.575
Job sharing o lavoro ripartito 8.876
Lavoro intermittente o a chiamata 157.950 17,6
Collaborazioni coordinate e continuative (Co.Co.Co.) 375.176
Collaborazione occasionale (Ritenuta d’acconto) 358.661
Lavoro a progetto 559.561
Associati in partecipazione 63.810
Partita IVA 1.641.244
Stage, Alternanza scuola – lavoro 33.988
Pratica professionale 55.970 17,4
Tirocinio 33.666
23. Il contratto a termine nella legge 92/2012
Il pendolo legislativo si sposta verso una
maggiore flessibilità di utilizzo grazie
all'introduzione del contratto a-causale.
Diventa ammissibile un’assunzione a tempo
determinato del tutto priva di qualsiasi ragione
di carattere tecnico, produttivo, organizzativo
o sostitutivo.
24. Il rischio di un continuo turn-over fra rapporti a-causali,
intercorrenti con diversi lavoratori, tutti assunti a termine
per una prima ed unica volta è elevato.
Manca un espresso divieto di riassumere con un contratto a-
causale lo stesso lavoratore, mentre è senz’altro chiaro il
divieto di prorogare tale contratto.
Diventerà molto più appetibile di una assunzione a tempo
indeterminato con patto di prova (generalmente di 6
mesi).
25. L’unica vera stretta è quella economica, consistente
nell’aggravio contributivo (senza alcun beneficio retributivo
per il lavoratore) fissato nella misura dell’1,4% della
retribuzione imponibile ai fini previdenziali con esclusione
di due “categorie” di lavoratori a termine (quelli assunti in
sostituzione di lavoratori assenti e i cosiddetti ‘stagionali’),
nonché degli apprendisti e dei dipendenti pubblici.
Si prevede la restituzione del contributo addizionale in caso di
trasformazione del contratto a tempo indeterminato entro
6 mesi dalla cessazione del precedente rapporto di lavoro a
termine.
26. A conti fatti, in fase di prima assunzione, non vi
è più alcuna convenienza ad offrire al
lavoratore un contratto a tempo
indeterminato (e non si comprende, quindi,
come questo potrà risultare ‘dominante’), al
netto di eventuali benefici economici
connessi.
27. Le restrizioni in materia di lavoro autonomo.
La nuova legge rende ancora più strette la maglie
del lavoro a progetto per contrastare le
persistenti pratiche abusive consistenti nella
dissimulazione di veri e propri rapporti di lavoro
subordinato.
28. Per prima cosa la legge restringe il campo del
lavoro a progetto eliminando i riferimenti a
“programma di lavoro o fase di esso”.
Inoltre chiarisce che il progetto non può
consistere nell'oggetto sociale dell'impresa.
Attraverso questi due varchi infatti sono stati
commessi abusi sistematici della fattispecie.
Il progetto è ora l'oggetto del contratto.
Si cerca di evitare il famoso contratto a progetto
per fare fotocopie.
29. Si conferma la sanzione della conversione
automatica in lavoro subordinato in caso di
mancanza del progetto che tuttavia opera se
l’apporto del collaboratore si sostanzi in
«prestazioni di elevata professionalità»
La scelta legislativa ha alla base una doppia
equivalenza tra lavoro professionalizzato e
lavoro autonomo, da un lato, e tra lavoro
dequalificato e lavoro subordinato, dall’altro, che
non soltanto non è sempre vera in fatto, ma è
certamente infondata in diritto.
30. Sul piano giuridico non esiste alcuna connessione
tra professionalità elevata e lavoro autonomo.
Qualsiasi attività concreta suscettibile di
valutazione economica può essere
indifferentemente oggetto di un contratto di
lavoro subordinato o autonomo.
Non rileva infatti il contenuto materiale della
prestazione bensì soltanto l’assoggettamento o
meno del lavoratore alle direttive altrui.
31. Il corrispettivo. Uno dei principali problemi problemi dei
lavoratori autonomi.
Oggi deve essere definito dalla contrattazione collettiva che
per ciascun settore di attività dovrebbe contenere
specifiche previsioni riguardanti i collaboratori a progetto.
Incredibilmente i compensi dei lavoratori a progetto
impegnati nei call- center outbound sono svincolati da
qualunque parametrazione.
32. Partite iva◦
si prospetta la presunzione di lavoro svolto in
collaborazione a progetto (la quale a sua
volta,mancando il progetto, potrà essere
considerata lavoro subordinato), qualora si
verifichino congiuntamente due su tre
condizioni: prevalenza nel fatturato di un
committente, postazione di lavoro fissa, durata
di 8 mesi in due anni con lo stesso committente.
33. La stretta non opera per coloro che che registrano un reddito lordo
annuo oltre i 18.000 Euro.
Contemporaneamente è stato disposto un innalzamento delle
aliquote contributive per tutti i parasubordinati di quasi 6 punti
percentuali: significa compensi netti ancora più magri per le
p.iva, dato che chi lavora con questa modalità contrattuale è
costretto a farsene interamente carico senza ripartire l’onere coi
committenti.
34. Gli ammortizzatori sociali avrebbero dovuto rappresentare l'altro
grande capitolo della riforma: l’Aspi (associazione sociale per
l'impiego) era stata annunciata come l’ammortizzatore sociale
universale, esclude i parasubordinati e molti dipendenti a tempo
determinato per i quali i requisiti di accesso rimangono gli stessi della
vecchia indennità di disoccupazione.
La legge prevede una Una tantum per i collaboratori a progetto.
Questo strumento si rivolge ai soli collaboratori a progetto,
escludendo tutto il resto del mondo precario non subordinato e
prevede requisiti di accesso iper-restrittivi. Non è un ammortizzatore
sociale, perché non è finanziato su base contributiva e non
accompagna il periodo di disoccupazione. Benchè finanziata dalla
fiscalità generale, tuttavia, non è neanche una misura universalistica
di welfare, tipo reddito di base, perché si rivolge ad una categoria
molto specifica del mondo del lavoro, solo nel caso di non rinnovo di
un contratto. Somiglia, in fin dei conti, a un’elemosina.
36. Cosa serviva davvero in questa fase?
Un sistema di sostegno al reddito rivolto anche a coloro che
oggi ne sono esclusi: alle lavoratrici e ai lavoratori
parasubordinati; a chi presta la sua opera con p.iva e vede
una drastica diminuzione del proprio reddito a causa della
perdita di gran parte dei suoi committenti; a tutti i
lavoratori a tempo determinato che oggi non vi posso
accedere.
Meccanismi di tipo strettamente contributivo potrebbero non
essere capaci di sostenere il fabbisogno di protezione di
soggetti altamente esposti al rischio disoccupazione quindi
prevedere un progressivo spostamento verso la fiscalità
generale attraverso la costituzione di un reddito di base.
37. Allo stesso tempo riformare il sistema pensionistico nel senso vero
del termine. L'allungamento generalizzato dell'età pensionabile
(fino a 5 anni) non è stato compensato da alcun vero intervento a
vantaggio degli intermittenti.
I bassi compensi e buchi contributivi mettono a rischio l'intero
sistema previdenziale oltre a garantire al massimo pensioni da
300 euro in media ai lavoratori parasubordinati
E’ su questi aspetti, dunque, che bisogna intervenire: garantendo
compensi adeguati con dei veri minimi salariali; contributi
figurativi, una ripartizione del carico contributivo anche per i
lavoratori indipendenti, magari attraverso l’obbligatorietà, la
deducibilità e l’adeguamento in termini di entità del diritto di
rivalsa. Ed è necessario che comunque lo stato assicuri a chi ha
lavorato una vita, ancor più se precario, una pensione che
permetta una vita dignitosa
38. In prospettiva un “vero” contratto unico.
La disponibilità «giuridica» dei contratti di lavoro autonomo utilizzati in
sostituzione del lavoro dipendente, economicamente convenienti in
quanto poco tutelati, a iniziare dai minimi salariali, ha reso possibile
una vera e propria fuga non tanto dalla subordinazione, ma dallo
statuto «protettivo» del lavoro subordinato.
In realtà è la stessa distinzione netta tra lavoro autonomo e lavoro
subordinato che oggi non ha senso.
margini crescenti di autonomia esistono in tutti i lavori.
Può accadere che nel lavoro autonomo fuori dall'impresa organizzata la
dipendenza economica sia più forte che nel lavoro subordinato.
39. Riscrivere il contratto di lavoro superando l'attuale
bipartizione ripartendo dagli studi di Massimo
D'Antona.
Graduare i diritti in relazione alla misura
dell'integrazione nell'organizzazione del lavoro e
allargare gli strumenti di sostegno al reddito nelle
fasi di non lavoro.
Porre al centro del contratto la collaborazione al fine
di realizzare un progetto e il diritto dovere alla
formazione e all'autoformazione.
40. Una politica industriale per cambiare il
nostro sistema produttivo e puntare ad
uno sviluppo fondato su innovazione
ricerca.
41. In realtà i problemi del lavoro sono quelli del nostro sistema produttivo che punta
prevalentemente a ridurne il costo. Non esiste legge sul lavoro che possa da sola
invertire questa tendenza. Le ragioni della nostra scarsa competitività hanno
motivazioni ben diverse. Il punto vero è modificare la specializzazione produttiva.
L'andamento della produttività nella nostra industria (manifatturiera in particolare)
segue una traiettoria ascendente dagli anni cinquanta fino alla prima metà degli
anni settanta, per poi iniziare un progressivo declino, finendo col precipitare dalla
seconda metà degli anni novanta in avanti. Nello stesso periodo i tassi di crescita
delle retribuzioni reali per unità di lavoro hanno seguito una linea di tendenza
negativa e, in particolare dalla prima metà degli anni novanta in poi, sono
aumentati i contratti atipici.
L'Italia ha implementato negli anni un modello di crescita senza ricerca e innovazione.
42. Tuttavia se fino alla fine degli anni ’80 ancora quel sistema poteva reggere, l’irruzione
della globalizzazione e contestualmente la conquistata stabilità monetaria hanno
fatto venire meno alcune delle condizioni di fondo su cui si basava la nostra
residua capacità competitiva. L'avvento dell'euro ha messo fine alle svalutazioni
competitive che offrivano una apparente scappatoia consentendo per un po' di
galleggiare senza correggere i nostri difetti ancestrali.
L'Italia, in sostanza, non ha reagito in alcun modo al mutamento delle condizioni
strutturali dei mercati internazionali restando ancorata al modello che abbiamo
descritto.
Oggi le retribuzioni medie lorde dell’industria in senso stretto (imprese con almeno
10 addetti) sono tra le più basse della zona euro.
E' il lavoro il problema ?
43. Negli ultimi 10 anni l'Italia ha registrato una sostanzale persistenza del tradizionale
modello di specializzazione manifatturiera. Si consolida, infatti, la specializzazione
nei settori a medio-bassa tecnologia mentre, ad esempio Germania e Austria
rafforzano la specializzazione nelle industrie manifatturiere ad alta tecnologia e
Svezia, Polonia e Repubblica Ceca riducono in modo rilevante la loro
despecializzazione in questo settore.
La Francia si conferma poi leader nei servizi tecnologici ad elevata conoscenza che
comprendono le telecomunicazioni, i servizi informatici e la ricerca e sviluppo.
Si tratta delle produzioni a più alto valore aggiunto che determinano la maggiore
produttività di questi paesi.
Alla debolezza del settore manifatturiero si accompagna inoltre e non a caso una
analoga debolezza nel settore dei servizi.
44.
45. Il vero limite della nostra competitività è la produttività che dipende dal basso valore
aggiunto dei nostri prodotti e dalla propensione di una parte consistente delle
nostre imprese a sfruttare i vantaggi comparati ereditati da innovazioni del
passato o incorporati in un saper fare individuale frutto anch'esso di stratificazioni
storiche piuttosto che rinnovare il vantaggio competitivo attraverso la ricerca di
rapporti con il mondo della scienza e della conoscenza (come ci ricorda Fabrizio
Barca).
Nella classifica (eurostat) delle imprese innovatrici sul totale delle imprese su 12 paesi
siamo undicesimi, prima la Germania. Tre su 500 sono le aziende italiane inserite
nella classifica annuale technology fast di Deloitte. A guidare la classifica è la
Francia con 93 aziende. In linea con noi ci sono Portogallo e Bulgaria.
46.
47. Si tratta della conseguenza inevitabile della ridotta spesa in
ricerca da parte delle nostre imprese. Il problema non è però
l'avarizia dei nostri imprenditori in questo campo ma il
trascinarsi di una cultura che riflette le caratteristiche del
nostro modello produttivo.
Ciò è confermato dal fatto che se il confronto con gli altri paesi
viene fatto a parità di struttura dimensionale e specializzazione
produttiva la spesa risulterà analoga.
Il nodo è quello della debolezza tecnologica dell'Italia in ragione
della bassa specializzazione produttiva nei settori ad alta
intensità di ricerca che a livello internazionale beneficiano tra
l'altro di una più elevata dinamica della domanda.
48.
49. Ciò naturalmente ha effetti sulla qualità del lavoro.
L'industria senza ricerca e innovazione richiede qualifiche
professionali basse, ritiene poco importante il titolo di
studio e ignora alcune capacità professionali legate a
percorsi di studio. Non è un caso infatti che abbiamo un
numero di laureati impiegati nel mondo del lavoro tra i più
bassi d'Europa per non parlare dei dottori di ricerca. Altro
che economia della conoscenza.
52. Senza modificare la specializzazione produttiva concentrandola su beni ad alto valore
di conoscenza e senza proseguire nelle innovazioni di processo che hanno
caratterizzato anche le nostre produzioni prevalenti negli anni passati ci
limiteremo a gestire un progressivo impoverimento.
Cosa serve?
Uno Stato che si concentri sulla domanda di innovazione attraverso la cura delle
infrastrutture fondamentali e dei beni comuni. Ciò naturalmente richiede una
diversa politica europea che deve ripartire dalle intuizioni di Delors. Il fiscal
compact è il primo nemico dello sviluppo. Serve UNA POLITICA INDUSTRIALE
53. Per concludere.
Le competenze e le conoscenze sono questione centrale dei processi di sviluppo in
ogni paese ma nel nostro, per le ragioni sommariamente esposte, più che in altri.
Le politiche di intervento finalizzate a realizzare un nuovo sviluppo non possono
quindi prescindere dall'accumulazione di “capitale immateriale” cioè investimenti
nelle persone che lavorano all'interno del sistema ricerca e università.
Da qui si deve partire anche per cambiare la struttura occupazionale del nostro
Paese.
54. F ig . 3 .1 4 - Il p e r s o n a le r ic e r c a to r e d e lle u n iv e r s ità in r a p p o r to a g li o c c u p a ti in a lc u n i p a e s i d e ll’ O c s e e d e l re s to
del m ondo, 2007
F F i inn l laa nn dd ii aa 0 ,4 9
AA uu ss tt rr aa ll ii aa (( aa )) 0 ,4 8
R Re eg gn n oo UU nn ii tt oo 0 ,4 8
BB ee ll gg ii oo 0 ,3 5
N N o o r rvv ee gg ii aa 0 ,3 3
D D a an n i imm aa rr cc aa 0 ,3 3
SS vv e z i a 0 ,3 3
S S vv ii zz zz ee rr aa (( aa )) 0 ,2 9
G G i ia a pp pp o n e 0 ,2 9
SS pp a g n aa 0 ,2 9
FF rr aa n c i a 0 ,2 6
69 UU e - 2 7 0 ,2 6
CC a n a dd aa ( a ) 0 ,2 5
AA uu s t r i a 0 ,2 5
I Irr ll aa n d a 0 ,2 3
P Pa ae es si i BB aa s s i 0 ,2 0
G G e er rmm aa n i a 0 ,1 8
CC o r e a 0 ,1 6
I ITT A L II AA 0 ,1 5
F e Fd e ed rea r za iz oi on ne e RR uu ss s a 0 ,1 1
C i n aa 0 ,0 3
00 ,, 00 00% ,, 33 00 ,, 66 %
N o te : (a ) 2 0 0 6 .
F o n te : E la b o ra z io n e d e l C e ris -C n r s u d a ti O c s e .
55. I beni si possono importare o esportare, mentre queste “capacità” sono intrinseche
ad ogni paese. Allo stesso tempo sono il presupposto dell'unico sviluppo che ci
interessa quello che si misura in relazione ai livelli di libertà effettivamente
conseguiti dalle persone come direbbe Amartya Sen.
La seconda repubblica è stata disastrosa per i settori della conoscenza e per il lavoro
speriamo nella terza anche se i dubbi per ora sono molti.
56. • L’Italia continua ad avere un numero di laureati tra i
più bassi d’Europa. Si tratta del 15% di laureati se
consideriamo la fascia d’età tra i 26 e i 64 anni, contro il
31% (media EU) , mentre nella fascia d’età tra i 25 e i 34
anni si tratta del 21% di laureati contro il 38% media EU,
dato che la colloca al 34/37
• Il livello delle immatricolazioni in Italia continua a
scendere, e questo dato è aggravato dalla situazione
del mercato del lavoro: il tasso di occupabilità aumenta
con l’aumentare dell’istruzione in maniera ridotta rispetto
alla media europea.
• Il rapporto Almalaurea 2012 evidenzia addirittura come
il guadagno mensile netto a un anno dalla laurea sia
maggiore per un laureato triennale rispetto a uno
studente che ha conseguito la laurea specialistica.
57.
58.
59. Associazione in partecipazione :
questo istituto era stato riconosciuto da tutte le rappresentanze sociali come
particolarmente a rischio di un utilizzo improprio ed elusivo, pertanto nel
documento riassuntivo del confronto, approvato "salvo intese" dal Consiglio
dei Ministri del 20 marzo si leggeva che "si prevede di preservare l’istituto
solo in caso di associazioni tra familiari entro il 1° grado o coniugi.”
Invece il testo del disegno di legge prevede che “ il numero degli associati non
può essere superiore a tre, …, con l'unica eccezione nel caso in cui gli associati
siano legati all'associante da un rapporto coniugale, di parentela entro il terzo
grado e di affinità entro il secondo.” Inoltre si prevede che le eventuali
associazioni in partecipazione la cui legittimità sia stata oggetto di
certificazione (art. 75 e sg. D.Lgs. 276/03 ) restino valide fino alla scadenza
della loro durata. La sanzione per le associazioni illegittime è la conversione in
lavoro subordinato, a meno che esse non siano riconducibili alle prestazioni
rese con partita Iva come modificate da questa legge.
60. è un caso eclatante di smentita delle dichiarazioni del
Governo di contrastare la "cattiva flessibilità". L'area
salvaguardata (fino a tre associati più coniugi e parenti
illimitati) corrisponde esattamente alla descrizione dei
soggetti, prevalentemente catene commerciali e turistiche
in franchising, che sono stati i più grandi utilizzatori di
questa fattispecie
61. L'ASpI è un'indennità di disoccupazione, che si vuole universale, e
pertanto sostituisce, con una transizione tra il 2013 e il 2016, le
indennità di disoccupazione, ordinaria e con requisiti ridotti, l'indennità
di mobilità e le indennità speciali in edilizia. Destinatari del trattamento
sono i lavoratori subordinati che hanno perso l'impiego, compresi gli
apprendisti, gli artisti dipendenti, i soci di cooperativa con rapporto di
dipendenza, i lavoratori a tempo determinato della Pubblica
Amministrazione .
In caso del solo versamento previdenziale di 13 settimane, è possibile
accedere ad un'indennità che sostituisce la previgente indennità con
requisiti ridotti (MiniASpI). Essa è calcolata allo stesso modo dell'ASpI,
e viene erogata direttamente a domanda, anziché l'anno successivo
come l'indennità con requisiti ridotti.
62. Il licenziamento discriminatorio è quello determinato
(nei fatti) per ragioni di credo politico o fede
religiosa, razziali, di appartenenza ad un sindacato,
di partecipazione all'attività sindacale, di adesione
ad uno sciopero, di lingua, di sesso, intimato nel
periodo di gravidanza.