Presented at Asolo's ArtFilmFestival 2011 on 23 August, this paper (in Italian) deals with the issue of obsolescence of digital documentation in museums (and beyond them...). A presentation, running under a similar title has been now uploaded in an English translation here on SlideShare.
1. Musei Domani – Lo Spettro della Memoria
Alessandro Califano1
“Uno spettro si aggira per i musei, lo spettro della memoria – totale, fedele, eterna.”
Così, parafrasando uno scritto d’altri tempi, potremmo in un certo senso descrivere l’ansia che
assale i colleghi della professione museale (ma anche archivistica e, perché no, bibliotecaria) al
pensiero di esser chiamati a preservare per i posteri la memoria storica degli oggetti e dei contesti
della cui conservazione e documentazione si occupano. Vasto proposito, per la verità – e davvero
tale da far tremar le vene e i polsi.
Occorre allora forse, prima di tutto, provare a smascherare questo spettro per ciò che esso è: un
mito. Ovvero, se si preferisce, una linea di tendenza cui orientarsi, pur con la coscienza di mai
poterla raggiungere.
Anche oggi – e forse si dovrebbe confessare: soprattutto oggi – ove la memoria storica tende a farsi
sempre più digitale, essa è ben lungi dall’essere e totale, e davvero fedele, e eterna. Molti dei
supporti non cartacei utilizzati per tramandarla, del resto, hanno una esplicita durata. Così, ad
esempio, la fotografia o i negativi, così i microfilm e le microfiche, così i supporti magnetici od
ottici di diverso tipo – dai nastri ai floppy, dagli hard disk alle flash memories, dai videodischi ai
CD, ai DVD. Mischio volutamente, nell’elenco, supporti a tutti noti e ancora in uso ad altri, che
fanno ormai parte del retaggio archeologico delle tecniche di conservazione, pur essendo da noi non
più lontani di quindici, venti, trent’anni al massimo.
Per alcuni di essi – penso ad esempio alle fotografie stampate con particolare cura, adottando
materiali, supporti e procedure di grande qualità, ovvero ai microfilm (sempreché la conservazione
di essi avvenga a temperature ed umidità costanti nel tempo, in un ambiente protetto) – la durata
può oltrepassare i cinquant’anni, giungere magari a superare il secolo. Per altri, la volatilità del
contenuto, e del supporto stesso, è assai maggiore, non promettendo – e sempreché si osservino
particolari condizioni di registrazione e di conservazione – di durare oltre qualche anno. Altri
ancora hanno una durata ancora indefinita – che non significa però affatto infinita o illimitata, ma
semplicemente non ancora sufficientemente testata per avere standard di riferimento affidabili.
Da questa, che indubbiamente costituisce una brutta notizia per chi è chiamato ad avvalersi proprio
di tali supporti per preservare la memoria storica affidatagli, nasce tuttavia anche un fatto positivo:
la procedura di salvaguardia – necessariamente dinamica, e protratta nel tempo – dei supporti stessi,
che deve inevitabilmente prevedere la periodica “migrazione” delle informazioni da un supporto
materiale a un altro, e (almeno talvolta, se non spesso) da una concezione sistemica a un’altra.
Parlare di migrazione “totale” dei dati, o di assoluta fedeltà di una versione a un’altra, è – in questo
contesto – un nonsenso. Per un esempio banale, basti pensare al fatto che il passaggio di un file di
scrittura o di archiviazione da una data versione ad una di troppo successiva di un programma di
lettura e modifica dei dati in esso contenuti espone alla forte probabilità che alcune caratteristiche di
formattazione, precedentemente implementate, non lo siano più, o lo siano in maniera diversa.
L’interoperabilità tra versioni successive di un dato sistema, per non parlare poi dell’interoperabilità
intersistemica, è molto spesso abbondantemente perfettibile – quando non si riduca ad essere un
mero “wishful thinking”…
AsoloArtFilmFestival 2011
Presentazione di un progetto pilota di formulario su audio-visivi e nuove tecnologie in ambito
museale – 23.08.2011
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2. Se quanto sin qui detto può far già emergere l’inevitabilità di una trasformazione – se non vogliamo
accogliere il termine troppo crudo di “deteriorarsi” – della memoria, un’ulteriore considerazione ne
renderà ancor più evidente la caratteristica che la accomuna al destino della specie che la esprime:
la caratteristica della sua inevitabile finibilità. E ciò, fondamentalmente, per due ordini di motivi.
Il primo – storicamente dato – è legato al sorgere, evolversi e tramontare delle civiltà. E’ appena il
caso di ricordare come il tracollo (ma già la precedente crisi) dell’impero romano d’occidente abbia
portato alla perdita di buona parte delle opere letterarie dell’antichità, solo in parte recuperate –
secoli dopo – grazie all’opera degli studiosi islamici. Allo stesso modo, la catastrofica pandemia a
noi nota come la Peste Nera, apportò una stasi e un regresso – sia pure in parte poi recuperati – alla
civiltà tardo medioevale e a parte di quello che noi oggi definiremmo il suo patrimonio immateriale:
di tecniche, saperi, tradizioni – cancellate dall’oggi al domani assieme a chi li deteneva. E quanto
altro, di materiale e immateriale, è andato perduto con le guerre e le devastazioni nel secolo scorso?
Quante biblioteche di Alessandria? Quante Merv?
Il secondo ordine di motivi è, invece, intrinseco – vorremmo dire, ontologico. Conservare in modo
“totale” un corpus di informazioni relativo ad un oggetto artistico, architettonico (ma così pure
letterario), affinché esso si conservi scavalcando il solco tra le generazioni e le varianti successive
in seno ad una stessa civiltà è opera quasi impossibile. E ciò, semplicemente perché nel registrare e
tramandare le informazioni, molte – del tutto ovvie a chi mette insieme i dati in un determinato
momento storico, ma non necessariamente a chi viene dopo – verranno date per scontate ed omesse.
Proprio tali omissioni, però – che sarebbero prive d’importanza, se le civiltà fossero fenomeni
cristallizzati, immutabili – renderanno il contesto di riferimento progressivamente sempre più
fumoso, fino a rendere la memoria storica stessa quasi inintelligibile.
Eppure, non sarebbe del tutto corretto chiudere con una chiave di lettura solo di questo tipo,
ingenerante magari considerazioni di rinuncia di fronte all’inevitabile fallimento – a lungo termine
– di un compito inane. Al contrario, quanto è stato sin qui detto deve spronarci a ben operare nel
presente, senza riposare sugli allori di un primo obiettivo raggiunto, ma affinando via via i nostri
risultati, man mano che l’evolversi della tecnologia e le nuove opportunità documentarie ce lo
consentiranno.
Qualcosa – è inevitabile – si perderà, forse anche molto. Ma avere coscienza della fallibilità dei
nostri strumenti e della finibilità della nostra opera sarà al tempo stesso la migliore delle garanzie
per testarne la validità, e per assicurare ad essa una ragionevole durata nel tempo.
1
Alessandro Califano (1953), fotografo, museologo, orientalista – è Curatore presso il CRDAV (Centro
Ricerca e Documentazione Arti Visive) di Roma dal 1999, nonché Cultural Consultant dell'UNESCO in
Afghanistan. Membro della Canadian Museums Association, di ICOM Italia e di ICOMOS-UK, fa parte
della Commissione Nazionale Grandi Rischi per i Beni Culturali e, a partire dal 1981, si occupa di tecnologie
avanzate applicate ai musei e alle altre istituzioni del patrimonio culturale.
AsoloArtFilmFestival 2011
Presentazione di un progetto pilota di formulario su audio-visivi e nuove tecnologie in ambito
museale – 23.08.2011
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