Considerazioni sulla strategia energetica nazionale. Per un documento organico e approfondito sul tema: http://www.fire-italia.it/primopiano/osservazioni%20FIRE%20su%20SEN.pdf
2. Stampa | Staffetta Quotidiana 25/05/12 11:30
Sul fronte della generazione distribuita abbiamo i tentativi regolatori di gestire le connessioni
selvagge che continuano a infrangersi sulla giustizia amministrativa e i sistemi efficienti d'utenza – i
SEU introdotti perché producono benefici energetici e ambientali – che sono difficilissimi da usare, fra
distributori che approfittano della mancata definizione di alcune regole e Agenzia delle Dogane che
ritiene non possa esserci autoconsumo sul fronte delle accise. Molto più agevole la vita di RIU e SAAE.
Da notare che più il sistema apporta benefici, più diventa difficile farvi ricorso.
Insomma, in dieci anni abbiamo sì stravolto il sistema energetico, ma non proprio secondo le
logiche e gli indirizzi decantati all'inizio.
Poi c'è l'efficienza energetica negli usi finali, da sempre la soluzione migliore del mondo sotto tutti i
punti di vista e dunque prioritaria per tutti i governi, i politici e le istituzioni. Peccato che quando si tratta
di passare ai fatti i decreti collegati arrivino sempre per ultimi, a valle di tutto il resto. Dunque le priorità
reali non coincidono con quelle dichiarate, e questo andrebbe anche bene, se le prime fossero più utili
delle seconde, cosa di cui si può ragionevolmente dubitare. Chi vince, dove non si fondano le scelte sui
dati, sono le lobby più forti.
Almeno si potesse dire che tanta rappresentanza lobbistica aiuta chi ce l'ha! Le lobby raramente
ragionano in un'ottica di sistema e ancora più raramente sanno proporre soluzioni meditate e ragionate,
col risultato che la traduzione parlamentare dei loro desideri quando va bene richiede grandi sforzi per
essere attuata e quando va male può addirittura sortire effetti opposti alle aspettative. In ogni caso il
gioco consiste nell'intervenire il più frequentemente possibile, pronti a sistemare quanto prodotto spesso
solo pochi mesi prima dal gruppo di interesse antagonista. I ministeri e le autorità preposte passano di
conseguenza il loro tempo a fare e disfare provvedimenti, la maggior parte dei quali si ferma allo stato di
bozza (senza parlare dei ricorsi alla giustizia amministrativa, che flagellano in particolare le autorità),
con grande dispendio di energia e pochi effetti utili.
La domanda che mi pongo è: cosa succederebbe se le associazioni di categoria fossero una per
ambito (meno direttori e amministrativi, più “tecnici”), dedicassero un po' di risorse a studi di mercato e
di settore seri (aiutate dallo Stato, capace di promuovere anche le misure di supporto e
accompagnamento, e non solo gli incentivi all'installazione delle tecnologie), offrissero più servizi agli
associati per aiutarli a operare nel mondo esistente, rinunciando a cercare sempre e solo più soldi del
necessario, invece di eliminare gli ostacoli e le storture di mercato? E se il Parlamento, perché stimolato
da lobby più mature, evitasse di cambiare direzione persino all'interno della stessa legislatura,
rinunciasse ai commi miracolosi sparsi su provvedimenti dedicati a tutt'altro – raramente utili perché non
inseriti in un contesto organico di modifiche – e consentisse così ai ministeri e alle autorità di lavorare su
regole più stabili, ordinate e basate su studi di mercato e di settore e su indirizzi di medio periodo? E se
gli operatori e gli utenti finali potessero perdere meno tempo nel seguire estenuanti modifiche e
potessero costruire di più?
Non credo sia solo un'utopia. Di meglio potremmo fare. Perché il vero problema, mentre ogni tanto
qualcuno sostiene che in Italia si lavora poco per le troppe festività, è che lavoriamo troppo, ma per fare
niente. Rispetto a dieci anni fa il ritmo è cresciuto, ma non la produttività, che è diminuita, perché
avendo meno tempo per pensare e capire ciò che si fa, si finisce per agire a casaccio, cambiando
spesso idea e facendo perdere tempo a chi ci circonda, sia un collega o un terzo. La continua
ridefinizione degli obiettivi e delle vie per raggiungerli, tipica di chi non ha capito chi è e cosa vuole fare
da grande, ci rende sempre meno capaci di combinare qualcosa di concreto e di costruttivo. E anzi
genera un malcontento crescente perché si lavora male, perché gli altri ci lasciano senza contratti chiusi
dopo mesi di trattative e noi facciamo lo stesso con altri ancora, tutti colpevoli pur essendolo sempre di
meno.
Questa non è politica energetica, sono d'accordo. Ma se non sapremo liberare le energie che
abbiamo dentro dalle resistenze crescenti che le dissipano inutilmente, fra qualche anno saremo dei
poveretti. E questo è un problema che trascende il nostro settore.
Facciamolo questo piano energetico nazionale di cui molti parlano. Ma prima creiamo le condizioni
per poterlo scrivere e rendere applicabile: investiamo in conoscenza e fermiamoci a meditare sul nostro
modello di lavoro. Applichiamo i principi dei sistemi di gestione aziendale al nostro modo di fare.
Troviamo il modo di mettere in discussione il diluvio di attività improduttive quotidiane per dedicare un
po' di tempo a pensare. La tanto invocata crescita non potrà derivare da norme o slogan politici di
movimenti vecchi o nuovi, ma da persone che sapranno dare spazio alle idee, valorizzare le capacità
umane e incanalarle verso la costruzione. Le capacità per fare molto di più le abbiamo in questo Paese,
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