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SOCRATE
Socrate nacque ad Atene nel 469 a.C. da Sofronisco,
scultore, e da Fenarete, levatrice. Si avvicinò
giovanissimo alla filosofia e conobbe Anassagora ed i
Sofisti.
Combatté in varie battaglie (Potidea, Delo, Anfilopi)
dimostrando particolare coraggio e forza d'animo. Si
dedicò quindi completamente alla ricerca filosofica e,
in breve tempo, ebbe molti discepoli (fra cui Platone).
nel 399 a.C. Anito, Meleto e Licone accusarono
Socrate di corrompere i giovani di Atene e di
introdurre la credenza in nuovi dèi. Al processo, dopo
una difesa appassionata da parte di Socrate che ci
verrà tramandata da Platone nella “Apologia di
Socrate”, venne condannato a morte. Dopo un mese
di detenzione, durante il quale Socrate rifiutò di
fuggire per non trasgredire la legge, la sentenza
venne eseguita: fu condannato a bere la cicuta.
ANASSAGORA
Anassagora di Clazomene (nato verso il 500 a.C.) ritiene che di nessuna cosa si
possa dire che nasca o muoia, ma solo che si compone e si separa. Gli
elementi non sono per Anassagora solo le quattro radici, bensì tutte le cose
presenti in ogni cosa, sotto forma di particelle invisibili che egli chiama semi
(spermata) o omeomerie in quanto sono simili al tutto che costituiscono. La
differenza tra le cose è determinata dal prevalere dei semi di un certo tipo
rispetto ad altri tipi. Spiegata la molteplicità con la prevalenza di omeomerie
dello stesso tipo, Anassagora spiega il divenire come dispersione e
ricomposizione delle unioni di omeomerie. Quando le omeomerie si raccolgono
sono visibili ai nostri sensi, quando invece si disperdono, si sottraggono alla
visione. A presiedere la composizione e scomposizione delle omeomerie
Anassagora pone una Mente (Noùs) che è l’unico ente in cui non vi è
mescolanza e, per questa sua purezza, può conoscere e dominare il tutto.
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I SOFISTI
I Sofisti (dalla parola sophistés, che vuol dire "colui che fa
professione di sapienza") sono attivi nel mondo greco tra la
metà e la fine del V sec. a.C. Essi sono portatori di una
profonda rivoluzione culturale poiché concentrano sull'uomo
i loro interessi: essi non accettano più la sacralità delle
tradizioni e sciolgono così il legame tra l'uomo e il cosmo, che
tutta la riflessione filosofica precedente aveva avuto cura di
mantenere.
Con loro si ha anche una svolta importante nella concezione
dell'educazione: non basta più conoscere Omero, Esiodo,
Solone, né avere pratica di una singola attività. Occorre
rendere l'uomo, per mezzo di una formazione culturale nuova,
capace di dominare i suoi simili con l'intelligenza, con una
superiore abilità: ecco dunque il ricorso a tecniche retoriche
ed eristiche (ragionamenti sottili), come i sofismi, per
persuadere o dimostrare qualunque cosa. Si tratta ormai di far
passare il discorso più debole a quello più forte, cioè far
passare l'opinione meno utile e dannosa ad opinione più utile e
sana. I Sofisti propongono quindi loro stessi come i maestri,
dietro pagamento, adatti a formare una nuova classe politica in
possesso di tali capacità.
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IL PENSIERO FILOSOFICO
La filosofia era vista da Socrate come
un dialogo continuo, un esame
incessante di sé e degli altri e non un
insieme di teorie preconfezionate. Lo
scopo della filosofia è quello di aiutare
l'uomo a venire in chiaro a se stesso,
portarlo al riconoscimento dei suoi limiti
e renderlo giusto, cioè solidale con gli
altri. Perciò Socrate prese come suo
motto ciò che era scritto sul frontone
del tempio di Apollo a Delfi, e cioè gnoti
sauton, "conosci te stesso". Per
conoscere noi stessi, la prima
condizione è quella di riconoscere le
proprie possibilità ed i propri limiti, cioè
liberarci dalla vana presunzione di
sapere tutto (come sostenevano i
Sofisti). Per arrivare a ciò, Socrate si
serviva di un particolare metodo che ha
i suoi punti salienti nella ironia e nella
maieutica.
L’IRONIA
L'ironia (dissimulazione, finzione) è
l‘insieme di domande, interrogativi,
provocazioni paradossali di cui Socrate si
serviva per distruggere la presunzione di
sapere del discepolo, per far quindi
sorgere il dubbio sulle proprie conoscenze
riconoscendone la fragilità, e per
impegnare successivamente il discepolo
nella ricerca della verità libero ormai da
pregiudizi e illusioni.
Indietro
LA MAIEUTICA
Dopo aver distrutto il sapere fittizio del
discepolo, Socrate non vuole però che egli
si appropri delle teorie eventuali del
maestro. Socrate non vuole dare al
discepolo una sua dottrina, bensì lo vuole
stimolare nella ricerca della sua,
personale verità. Questo modo di
procedere è la maieutica, l'arte della
levatrice, che la madre di Socrate,
Fenarete, esercitava; come la levatrice
aiuta le donne a partorire i figli, così
Socrate vuole aiutare il discepolo a
partorire da solo la verità.
LA VIRTU’ COME
CONOSCENZA DEL BENE
La ricerca della verità è, al tempo stesso, la ricerca del
vero sapere e del modo migliore di vivere. Infatti l'uomo
non può che tendere a scoprire quello che è e quello che
deve fare per vivere nel modo migliore. Ma questo vuol
dire che colui che conoscesse il bene, dovrebbe agire di
conseguenza e vivere secondo virtù. Si tratta soltanto di
sapere che cosa è veramente il bene. Il bene per
l'uomo è ciò che fa sì che egli diventi quello che la sua
natura più profonda esige. Se io rifletto, potrò giungere a
scoprirlo, per cui è proprio il sapere, la conoscenza,
che permette all'uomo di conoscere se stesso e quindi
di conoscere qual è il modo più adatto per vivere felice.
La vera felicità pretesa da Socrate è quella duratura, la
quale non può essere la felicità del corpo ma soltanto
quella dell'anima, che è immortale. Egli era convinto che
l'uomo deve impegnarsi a fondo nella conoscenza, anche
se non potrà raggiungere un sapere perfetto. E' questo il
mezzo migliore per raggiungere la felicità, giacché "una
vita senza ricerca non è vita umana" (Apologia, 38 a).
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PLATONE
Platone nacque ad Atene da famiglia aristocratica nel 428 a.C.;
a vent'anni cominciò a frequentare Socrate; avrebbe voluto
dedicarsi alla vita politica ma la morte di Socrate lo dissuase.
Negli anni seguenti, si recò a Megara presso Euclide, poi in
Egitto, a Cirene e nell'Italia meridionale, a Taranto, dove venne
a contatto con la comunità pitagorica di Archita, e a Siracusa
dove strinse amicizia con Dione, parente e consigliere del tiranno
Dionisio il Vecchio. Entrato in conflitto con Dionisio, fu venduto
come schiavo sul mercato di Egina. Riscattato da Anniceride di
Cirene, ritornò ad Atene, dove fondò nel 387 l'Accademia che
fu organizzata sul modello delle comunità pitagoriche come
un'associazione religiosa, un tìaso. Alla morte di Dionisio,
Platone fu richiamato a Siracusa da Dione alla corte del nuovo
tiranno Dionisio il Giovane, per guidarlo nella riforma dello Stato
in conformità con il suo ideale politico. Ma l'urto fra Dionisio e
Dione, che fu esiliato, rese sterile ogni tentativo di Platone.
Alcuni anni dopo, Dionisio stesso lo chiamò alla sua corte e
Platone vi si recò nel 361, ma nessun accordo fu raggiunto e
Platone, dopo essere stato trattenuto per un certo tempo, lasciò
Siracusa e ritornò ad Atene. Qui egli trascorse il resto della sua
vita, dedito solo all'insegnamento. Morì a 81 anni, nel 347 a.C.
LA TEORIA DELLE IDEE
La teoria delle Idee ha per Platone un profondo
significato etico, cioè serve a fornire all'uomo un
criterio di comportamento in vista della
realizzazione della sua perfezione (areté). Infatti,
affinché sia possibile la virtù e quindi sia possibile
un'etica, è necessario che esistano dei valori
oggettivi, immutabili e universali. Dunque le Idee di
tali valori esistono, sono immutabili perché sempre
uguali e in più vengono riconosciuti come tali da
tutti, e sono quindi universali. Tra tutte le Idee, la
più alta realtà esistente è l'Idea del Bene: essa è il
principio di tutte le Idee che risiedono
nell’Iperuranio. Le cose che noi crediamo concrete e
reali sono in realtà delle copie o imitazioni delle
Idee stesse, le quali appunto vivono in una realtà
diversa da quella sensibile e sono concepite da
Platone come delle realtà oggettive, delle sostanze
eterne ed immutabili, separate e autonome rispetto
al mondo delle apparenze sensibili.
IL MITO DI ER
Il mito di Er affronta il problema del destino umano. Er è
un guerriero morto in battaglia che ritorna in vita
dopo dodici giorni trascorsi nell'aldilà. Egli racconta
appunto quel che succede dopo la morte. Vi sono le tre
Parche (Cloto, il presente, che fila il filo della vita;
Lachesi, il passato, lo distribuisce; Atropo, il futuro, lo
taglia) che sono presenti al momento della scelta, da
parte delle anime, del prossimo corpo in cui reincarnarsi.
Ogni anima può scegliere il modello di vita ad essa più
adatto e, in genere, sceglie in base a quella che è stata
la vita precedente. Ciò implica che la scelta fatta
dall'anima sia comunque libera e ciò vuol dire che
ognuno è responsabile del proprio destino mentre la
divinità non c'entra. Platone conclude dicendo che già in
questa vita bisogna prepararsi alla scelta del proprio
destino. Man mano che l'uomo procede nelle vita,
sceglie di volta in volta il bene e il male, dunque
determina il proprio destino.
IL MITO DELLA BIGA ALATA
Nel mito l'anima è paragonata ad una coppia di cavalli
alati tirati da un auriga. Un cavallo è bianco ed è
eccellente, l'altro è nero ed è pessimo. Compito dell'auriga
è indirizzare verso l’Iperuranio la coppia di animali. Il cavallo
pessimo cerca sempre di tirare verso il basso in modo che
l'auriga riesca a contemplare poco il mondo delle Idee.
Quando poi l'anima si appesantisce (o per colpa o per
dimenticanza), perde le ali dei cavalli e va ad incarnarsi in un
corpo che sarà tale quale essa lo rende. L'anima che è riuscita
a vedere di più il mondo delle idee, andrà nel corpo di un
uomo che si dedicherà alla sapienza e all'amore, mentre
l'anima che ha visto di meno andrà a finire in un corpo dedito
solo alle sollecitazioni più egoistiche. Nell'uomo il ricordo delle
realtà ideali è risvegliato proprio dalla bellezza. L'uomo non
può fare a meno di riconoscere la bellezza e, al suo richiamo,
risponde con l'amore. L'amore è quindi la guida dell'anima
(è psicagogo) verso il mondo dell'essere e della verità. L'eros
si trasforma nella ricerca filosofica che è,
contemporaneamente, ricerca della verità ed unione delle
anime nello sforzo comune di apprendere qual è la vera realtà.
Ecco l'autentico significato di quello che viene
tradizionalmente chiamato l’"amore platonico".
IL MITO DELLA CAVERNA
Platone immagina gli uomini chiusi in una caverna, incatenati,
impossibilitati a volgere lo sguardo indietro, dove, dietro un
muro, arde un fuoco e alcuni uomini parlano, portano oggetti,
si affaccendano nella vita di tutti i giorni. Gli uomini
incatenati non possono conoscere la vera esistenza degli
uomini sulla strada poiché ne percepiscono solo l'ombra
proiettata dal fuoco sulla parete di fronte e l'eco delle voci,
che scambiano per la realtà. Se un uomo incatenato
potesse finalmente liberarsi dalle catene potrebbe volgere lo
sguardo e vedere finalmente il fuoco, venendo così a
conoscenza dell'esistenza degli uomini dietro il muricciolo di
cui prima intendeva solo le ombre. In un primo momento
l'uomo liberato,uscendo dalla caverna,verrebbe abbagliato
dalla luce della conoscenza e,guardando prima il riflesso
delle idee nelle acque,poi le costellazioni, gradualmente
arriverebbe alla contemplazione dell’idea del bene, il
sole. Se in un primo momento fosse tentato nel rimanere
fuori avrebbe comunque il dovere di mettere al corrente i
compagni incatenati. Questi riderebbero di lui e
infastiditi dal suo tentativo di liberarli, lo ucciderebbero.
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  • 1. SOCRATE Socrate nacque ad Atene nel 469 a.C. da Sofronisco, scultore, e da Fenarete, levatrice. Si avvicinò giovanissimo alla filosofia e conobbe Anassagora ed i Sofisti. Combatté in varie battaglie (Potidea, Delo, Anfilopi) dimostrando particolare coraggio e forza d'animo. Si dedicò quindi completamente alla ricerca filosofica e, in breve tempo, ebbe molti discepoli (fra cui Platone). nel 399 a.C. Anito, Meleto e Licone accusarono Socrate di corrompere i giovani di Atene e di introdurre la credenza in nuovi dèi. Al processo, dopo una difesa appassionata da parte di Socrate che ci verrà tramandata da Platone nella “Apologia di Socrate”, venne condannato a morte. Dopo un mese di detenzione, durante il quale Socrate rifiutò di fuggire per non trasgredire la legge, la sentenza venne eseguita: fu condannato a bere la cicuta.
  • 2. ANASSAGORA Anassagora di Clazomene (nato verso il 500 a.C.) ritiene che di nessuna cosa si possa dire che nasca o muoia, ma solo che si compone e si separa. Gli elementi non sono per Anassagora solo le quattro radici, bensì tutte le cose presenti in ogni cosa, sotto forma di particelle invisibili che egli chiama semi (spermata) o omeomerie in quanto sono simili al tutto che costituiscono. La differenza tra le cose è determinata dal prevalere dei semi di un certo tipo rispetto ad altri tipi. Spiegata la molteplicità con la prevalenza di omeomerie dello stesso tipo, Anassagora spiega il divenire come dispersione e ricomposizione delle unioni di omeomerie. Quando le omeomerie si raccolgono sono visibili ai nostri sensi, quando invece si disperdono, si sottraggono alla visione. A presiedere la composizione e scomposizione delle omeomerie Anassagora pone una Mente (Noùs) che è l’unico ente in cui non vi è mescolanza e, per questa sua purezza, può conoscere e dominare il tutto. Indietro
  • 3. I SOFISTI I Sofisti (dalla parola sophistés, che vuol dire "colui che fa professione di sapienza") sono attivi nel mondo greco tra la metà e la fine del V sec. a.C. Essi sono portatori di una profonda rivoluzione culturale poiché concentrano sull'uomo i loro interessi: essi non accettano più la sacralità delle tradizioni e sciolgono così il legame tra l'uomo e il cosmo, che tutta la riflessione filosofica precedente aveva avuto cura di mantenere. Con loro si ha anche una svolta importante nella concezione dell'educazione: non basta più conoscere Omero, Esiodo, Solone, né avere pratica di una singola attività. Occorre rendere l'uomo, per mezzo di una formazione culturale nuova, capace di dominare i suoi simili con l'intelligenza, con una superiore abilità: ecco dunque il ricorso a tecniche retoriche ed eristiche (ragionamenti sottili), come i sofismi, per persuadere o dimostrare qualunque cosa. Si tratta ormai di far passare il discorso più debole a quello più forte, cioè far passare l'opinione meno utile e dannosa ad opinione più utile e sana. I Sofisti propongono quindi loro stessi come i maestri, dietro pagamento, adatti a formare una nuova classe politica in possesso di tali capacità. Indietro
  • 4. IL PENSIERO FILOSOFICO La filosofia era vista da Socrate come un dialogo continuo, un esame incessante di sé e degli altri e non un insieme di teorie preconfezionate. Lo scopo della filosofia è quello di aiutare l'uomo a venire in chiaro a se stesso, portarlo al riconoscimento dei suoi limiti e renderlo giusto, cioè solidale con gli altri. Perciò Socrate prese come suo motto ciò che era scritto sul frontone del tempio di Apollo a Delfi, e cioè gnoti sauton, "conosci te stesso". Per conoscere noi stessi, la prima condizione è quella di riconoscere le proprie possibilità ed i propri limiti, cioè liberarci dalla vana presunzione di sapere tutto (come sostenevano i Sofisti). Per arrivare a ciò, Socrate si serviva di un particolare metodo che ha i suoi punti salienti nella ironia e nella maieutica.
  • 5. L’IRONIA L'ironia (dissimulazione, finzione) è l‘insieme di domande, interrogativi, provocazioni paradossali di cui Socrate si serviva per distruggere la presunzione di sapere del discepolo, per far quindi sorgere il dubbio sulle proprie conoscenze riconoscendone la fragilità, e per impegnare successivamente il discepolo nella ricerca della verità libero ormai da pregiudizi e illusioni. Indietro
  • 6. LA MAIEUTICA Dopo aver distrutto il sapere fittizio del discepolo, Socrate non vuole però che egli si appropri delle teorie eventuali del maestro. Socrate non vuole dare al discepolo una sua dottrina, bensì lo vuole stimolare nella ricerca della sua, personale verità. Questo modo di procedere è la maieutica, l'arte della levatrice, che la madre di Socrate, Fenarete, esercitava; come la levatrice aiuta le donne a partorire i figli, così Socrate vuole aiutare il discepolo a partorire da solo la verità.
  • 7. LA VIRTU’ COME CONOSCENZA DEL BENE La ricerca della verità è, al tempo stesso, la ricerca del vero sapere e del modo migliore di vivere. Infatti l'uomo non può che tendere a scoprire quello che è e quello che deve fare per vivere nel modo migliore. Ma questo vuol dire che colui che conoscesse il bene, dovrebbe agire di conseguenza e vivere secondo virtù. Si tratta soltanto di sapere che cosa è veramente il bene. Il bene per l'uomo è ciò che fa sì che egli diventi quello che la sua natura più profonda esige. Se io rifletto, potrò giungere a scoprirlo, per cui è proprio il sapere, la conoscenza, che permette all'uomo di conoscere se stesso e quindi di conoscere qual è il modo più adatto per vivere felice. La vera felicità pretesa da Socrate è quella duratura, la quale non può essere la felicità del corpo ma soltanto quella dell'anima, che è immortale. Egli era convinto che l'uomo deve impegnarsi a fondo nella conoscenza, anche se non potrà raggiungere un sapere perfetto. E' questo il mezzo migliore per raggiungere la felicità, giacché "una vita senza ricerca non è vita umana" (Apologia, 38 a). Indietro
  • 8. PLATONE Platone nacque ad Atene da famiglia aristocratica nel 428 a.C.; a vent'anni cominciò a frequentare Socrate; avrebbe voluto dedicarsi alla vita politica ma la morte di Socrate lo dissuase. Negli anni seguenti, si recò a Megara presso Euclide, poi in Egitto, a Cirene e nell'Italia meridionale, a Taranto, dove venne a contatto con la comunità pitagorica di Archita, e a Siracusa dove strinse amicizia con Dione, parente e consigliere del tiranno Dionisio il Vecchio. Entrato in conflitto con Dionisio, fu venduto come schiavo sul mercato di Egina. Riscattato da Anniceride di Cirene, ritornò ad Atene, dove fondò nel 387 l'Accademia che fu organizzata sul modello delle comunità pitagoriche come un'associazione religiosa, un tìaso. Alla morte di Dionisio, Platone fu richiamato a Siracusa da Dione alla corte del nuovo tiranno Dionisio il Giovane, per guidarlo nella riforma dello Stato in conformità con il suo ideale politico. Ma l'urto fra Dionisio e Dione, che fu esiliato, rese sterile ogni tentativo di Platone. Alcuni anni dopo, Dionisio stesso lo chiamò alla sua corte e Platone vi si recò nel 361, ma nessun accordo fu raggiunto e Platone, dopo essere stato trattenuto per un certo tempo, lasciò Siracusa e ritornò ad Atene. Qui egli trascorse il resto della sua vita, dedito solo all'insegnamento. Morì a 81 anni, nel 347 a.C.
  • 9. LA TEORIA DELLE IDEE La teoria delle Idee ha per Platone un profondo significato etico, cioè serve a fornire all'uomo un criterio di comportamento in vista della realizzazione della sua perfezione (areté). Infatti, affinché sia possibile la virtù e quindi sia possibile un'etica, è necessario che esistano dei valori oggettivi, immutabili e universali. Dunque le Idee di tali valori esistono, sono immutabili perché sempre uguali e in più vengono riconosciuti come tali da tutti, e sono quindi universali. Tra tutte le Idee, la più alta realtà esistente è l'Idea del Bene: essa è il principio di tutte le Idee che risiedono nell’Iperuranio. Le cose che noi crediamo concrete e reali sono in realtà delle copie o imitazioni delle Idee stesse, le quali appunto vivono in una realtà diversa da quella sensibile e sono concepite da Platone come delle realtà oggettive, delle sostanze eterne ed immutabili, separate e autonome rispetto al mondo delle apparenze sensibili.
  • 10. IL MITO DI ER Il mito di Er affronta il problema del destino umano. Er è un guerriero morto in battaglia che ritorna in vita dopo dodici giorni trascorsi nell'aldilà. Egli racconta appunto quel che succede dopo la morte. Vi sono le tre Parche (Cloto, il presente, che fila il filo della vita; Lachesi, il passato, lo distribuisce; Atropo, il futuro, lo taglia) che sono presenti al momento della scelta, da parte delle anime, del prossimo corpo in cui reincarnarsi. Ogni anima può scegliere il modello di vita ad essa più adatto e, in genere, sceglie in base a quella che è stata la vita precedente. Ciò implica che la scelta fatta dall'anima sia comunque libera e ciò vuol dire che ognuno è responsabile del proprio destino mentre la divinità non c'entra. Platone conclude dicendo che già in questa vita bisogna prepararsi alla scelta del proprio destino. Man mano che l'uomo procede nelle vita, sceglie di volta in volta il bene e il male, dunque determina il proprio destino.
  • 11. IL MITO DELLA BIGA ALATA Nel mito l'anima è paragonata ad una coppia di cavalli alati tirati da un auriga. Un cavallo è bianco ed è eccellente, l'altro è nero ed è pessimo. Compito dell'auriga è indirizzare verso l’Iperuranio la coppia di animali. Il cavallo pessimo cerca sempre di tirare verso il basso in modo che l'auriga riesca a contemplare poco il mondo delle Idee. Quando poi l'anima si appesantisce (o per colpa o per dimenticanza), perde le ali dei cavalli e va ad incarnarsi in un corpo che sarà tale quale essa lo rende. L'anima che è riuscita a vedere di più il mondo delle idee, andrà nel corpo di un uomo che si dedicherà alla sapienza e all'amore, mentre l'anima che ha visto di meno andrà a finire in un corpo dedito solo alle sollecitazioni più egoistiche. Nell'uomo il ricordo delle realtà ideali è risvegliato proprio dalla bellezza. L'uomo non può fare a meno di riconoscere la bellezza e, al suo richiamo, risponde con l'amore. L'amore è quindi la guida dell'anima (è psicagogo) verso il mondo dell'essere e della verità. L'eros si trasforma nella ricerca filosofica che è, contemporaneamente, ricerca della verità ed unione delle anime nello sforzo comune di apprendere qual è la vera realtà. Ecco l'autentico significato di quello che viene tradizionalmente chiamato l’"amore platonico".
  • 12. IL MITO DELLA CAVERNA Platone immagina gli uomini chiusi in una caverna, incatenati, impossibilitati a volgere lo sguardo indietro, dove, dietro un muro, arde un fuoco e alcuni uomini parlano, portano oggetti, si affaccendano nella vita di tutti i giorni. Gli uomini incatenati non possono conoscere la vera esistenza degli uomini sulla strada poiché ne percepiscono solo l'ombra proiettata dal fuoco sulla parete di fronte e l'eco delle voci, che scambiano per la realtà. Se un uomo incatenato potesse finalmente liberarsi dalle catene potrebbe volgere lo sguardo e vedere finalmente il fuoco, venendo così a conoscenza dell'esistenza degli uomini dietro il muricciolo di cui prima intendeva solo le ombre. In un primo momento l'uomo liberato,uscendo dalla caverna,verrebbe abbagliato dalla luce della conoscenza e,guardando prima il riflesso delle idee nelle acque,poi le costellazioni, gradualmente arriverebbe alla contemplazione dell’idea del bene, il sole. Se in un primo momento fosse tentato nel rimanere fuori avrebbe comunque il dovere di mettere al corrente i compagni incatenati. Questi riderebbero di lui e infastiditi dal suo tentativo di liberarli, lo ucciderebbero. Indietro