1. Florindo Russo
New economy & digital divide – 2002
NEW ECONOMY & DIGITAL DIVIDE
La nostra economia è caratterizzata da profondi cambiamenti strutturali
che influenzano, ed influenzeranno sempre più, il nostro modo di
concepire la realtà socio-economica e le dinamiche comportamentali che
ad essa soggiacciono. Questa nuova economy idea è stata definita
weghtless economy, anche descritta come knowledge economy, intangible
economy, immaterial economy o più semplicemente new economy.
Quali allora le dimensioni da considerare per comprendere un fenomeno di
così ampia portata capace di rendere inefficaci e inefficienti i tradizionali
modelli di analisi economica.
La dottrina in materia parla di 4 key words: 1) the information and
communications technology (ICT) e Internet; 2) intellectual property; 3)
electronic libraries, databases e new media; 4) biotechnology. Questi sono
certamente gli elementi trainanti della new economy che considera sempre
più il knowledge management come un fattore critico di successo, per
trasmettere tutte le capacità intellettuali di un’azienda ai knowledge
workers e collegare le persone al patrimonio aziendale di conoscenze.
L’interfaccia chiave con l’ambiente è costituita da business intelligence
tools per comprendere e reagire rapidamente alle dinamiche di mercato.
Negroponte, direttore del Media Lab del MIT di Boston, con una metafora
assai ardita afferma che stiamo per entrare nella “società dei bit”; una
società in cui le principali risorse scambiate avranno forma digitale
(saranno cioè rappresentate da bit), a differenza della società preesistente
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in cui le risorse avevano una consistenza fisica, per cui si poteva parlare
della “società degli atomi”. Mentre l’economia della società degli atomi è
basata essenzialmente sulla produzione di beni fisici, quella della società
dei bit è fondata sulla produzione di informazione e di conoscenza.
Fino ai primi anni ’60, com’è noto, la teoria economica assumeva che il
mercato di concorrenza perfetta operasse in condizioni di assoluta
trasparenza e a costi nulli; inoltre si pensava che gli operatori economici,
nell’ipotesi di conoscenza non perfetta delle variabili rilevanti per le loro
decisioni, si adattassero passivamente alle condizioni di incertezza. In tale
contesto si ha riferimento ad un processo di convergenza economica nel
quale le regioni più povere crescono a tassi maggiori di quelle inizialmente
più ricche (la cosiddetta beta-convergenza). Nel lungo periodo questo
processo dovrebbe portare ad un’eguaglianza nei livelli di ricchezza pro
capite tra i vari sistemi economici. Si tratta pertanto di un puro
meccanismo di mercato che non lascia spazio alle azioni di politica
economica di riequilibrio territoriale, essendo capace di portare
automaticamente all’eliminazione dei divari economici.
Oggi le economie industrializzate sono guidate dal sapere, knowledge
based economics, come sottolinea l’OCSE nel suo rapporto del 1998, con
implicazioni notevoli per le politiche industriali. La conoscenza
costituisce, infatti, il maggior input del processo produttivo ed una delle
variabili fondamentali nel sentiero di espansione di un’impresa. La carenza
di adeguate informazioni ostacola pertanto il processo innovativo e dunque
la crescita delle imprese. Inoltre, la rivoluzione informatica, ha segnato il
passaggio da un’economia, per così dire, manifatturiera ad un’economia
della conoscenza, in cui diviene predominante, in una prospettiva di
innovazione aziendale, il possesso e la diffusione di informazioni.
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Allora nell’attuale contesto economico gli approcci tradizionali di
convergenza “assoluta” sembrano inadeguati per una profonda e reale
analisi del sistema.
La maggior parte delle verifiche empiriche ha, infatti, mostrato l’esistenza
di una convergenza di tipo “condizionato”, secondo la quale i diversi
sistemi economici – caratterizzati da profonde differenze nelle condizioni
di partenza – tendono a convergere, non verso un identico livello di
prodotto pro capite, bensì verso un proprio stato stazionario determinato
appunto dalle specificità di ciascuna economia. E’ evidente che questo
secondo approccio apre ampie prospettive ad un intervento pubblico che si
ponga l’obiettivo di incidere sui fattori “condizionanti”.
Peraltro gli sviluppi analitici della cosiddetta new economy geography si
pongono in alternativa rispetto alla tradizionale ipotesi di convergenza
“assoluta”. Esternalità positive localizzate legate ad una agglomerazione
delle attività produttive implicherebbero, al progredire di un processo di
integrazione commerciale e liberalizzazione dei movimenti di capitale, una
tendenza "centripeta" all'attrazione dei fattori mobili, con rischio di
"svuotamento progressivo" delle aree periferiche.
In tali sub-sistemi periferici si osserva una forte carenza d’acquisizione e
trasferimento d’informazione tra le imprese, che si accompagna ad una
scarsa capacità, delle stesse, di instaurare rapporti di collaborazione, anche
con agenti esterni. Siamo in presenza di una modesta propensione ad
innovare proprio perché le conoscenze, quasi sempre “tacite” e di carattere
tradizionale, si trasferiscono prevalentemente by doing, ossia attraverso
l’attività svolta in azienda, ostacolando l’avvio di quel processo
d’apprendimento dinamico che - come più volte osservato – dà luogo a
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nuove conoscenze e dunque a nuove tecnologie, fondamentali per lo
sviluppo locale.
La carenza d’adeguate informazioni, potrebbe essere colmata attraverso
interventi di politica economica finalizzati da una parte, ad accrescere
l’attività informativa – l’innovazione culturale è, infatti, una risorsa che va
alimentata e distribuita – e dall’altra, a sviluppare a livello locale quel
capitale di fiducia su cui si basano l’attività di cooperazione tra le imprese
e la creazione di network imprenditoriali learning by interacting da cui,
successivamente, scaturiscono i processi innovativi.
Se le nuove tecnologie della comunicazione portano con sé grandi
possibilità di crescita culturale, di democrazia e magari anche di ricchezza,
allora tutti devono poterne usufruire, anzi specialmente coloro che per
collocazione di censo o per etnia, o per geografia, sono stati finora esclusi
dai grandi benefici della società moderna. Si delinea insomma, in tale
filone di pensiero, questa consequenzialità: 1) le tecnologie della
comunicazione sono un bene sociale; 2) proprio per questo non devono
esserci discriminazioni di fatto nelle possibilità d’accesso, altrimenti il
fossato, che già oggi esiste, si allargherà ulteriormente; 3) la massiccia
diffusione di tali tecnologie può essere addirittura uno strumento di
progresso sociale, eventualmente capace di ridurre le differenze esistenti e
di svolgere dunque una funzione positiva di riequilibrio.
Digital divide: questo è il fossato, il fossato digitale che separa “chi ha” e
“chi non ha” accesso alle nuove reti telematiche (gli Have's e i Not
Have's).
“Chiunque abbia osservato l'espressione di una persona sopra i
cinquant'anni di fronte a un computer che naviga su Internet sa che cosa
significa l'espressione esclusione digitale” (Censis). E' la nuova forma di
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segregazione moderna, quel digital divide che ha colpito l'America e che
sta per colpire anche l'Italia, che, come tutti i paesi occidentali, da una
parte fatica a portare le nuove tecnologie alla portata di tutti, dall'altra si
dispera cercando tecnici in grado di dominarle. Digital divide: chi è dentro,
è dentro! Chi è fuori, è fuori! Dal processo produttivo, ma anche dal
tessuto sociale. E' questo il rischio che corriamo, sottolinea il Censis nel
capitolo dedicato alla comunicazione e ad Internet del suo
trentaquattresimo rapporto annuale sull'Italia.
Studi hanno rilevato che tra gli Americani si delineano due tendenze di
fondo. Da un lato, vi è un gruppo costituito da individui che sono connessi
fra di loro in modo sempre più intenso – tramite telefono o Internet;
dall’altro un insieme di soggetti che si allontana da questo fenomeno di
integrazione socio-economica. Queste analisi indicano che gli Have's
stanno diventando sempre più ricchi di informazioni mentre i Not Have's
sembrano essere condannati ad una forma di “impoverimento informativo”
che determina fenomeni di isolamento sociale. Gli elementi che guidando
questo digital divide sembrano essere costituiti dall’istruzione e dal
reddito, dimensioni chiavi che hanno sempre caratterizzato i processi di
sviluppo e che influenzano profondamente i divari culturali.
Digital divide in una digital society, dove le aziende comunicheranno con i
propri fornitori in forma digitale creando un continuum tra il mercato di
sbocco e la fonte degli approvvigionamenti: la cosiddetta supply chain sarà
resa più snella ed efficiente. La produzione ed il consumo di informazioni
e di conoscenze rappresenteranno l’attività economica prevalente della
società del futuro. Ogni elemento di conoscenza potrà avere un suo prezzo
e chi naviga in Internet pagherà le informazioni che desidera ottenere.
Nella digital society molte attività economiche verranno svolte in forma
elettronica. Per indicare le nuove modalità secondo cui tali attività
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verranno svolte si usa l’espressione electronic business. Questa
espressione di tipo generico fa riferimento a una molteplicità di attività che
potranno essere svolte in modo digitale con notevoli incrementi di
efficacia ed efficienza. Una panoramica delle aree che presentano
maggiori opportunità di sviluppo dell’e-business è rappresentata dalle
digital news, l’e-commerce, il virtual banking, la virtual supply chain,
l’entertainment, il telework, la distant education e la telemedicina.
Si è detto che siamo senza ombra di dubbio in presenza di un forte
“sviluppo economico”: ma verso quale direzione? Quali sono gli orizzonti
che si aprono dinanzi ai giovani di tutto il mondo? Possiamo parlare di
reali ICT opportunities? E se la risposta è positiva chi saranno i soggetti
che si avvantaggeranno di ciò?
Spesso si perde di vista quel concetto di “sviluppo sociale” che dovrebbe
essere alla base di ogni cultura che si ritenga civile, uno “sviluppo” che
abbracci ogni campo della scienza, del sapere, ed ogni individuo in quanto
tale. Uno “sviluppo” che sia capace di soddisfare sì i bisogni di natura
economica, ma, e soprattutto, che sappia far fronte alle esigenze personali
e sociali di una collettività nell’ottica di una crescita integrale dell’”essere
uomo”, mirata alla cooperazione fra le diverse comunità ed
all’integrazione delle minoranze.
Tutte persone appartenenti alla medesima realtà, tutti aventi una pari
dignità, quella Umana.
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Riferimenti:
Paci R., Convergenza e divergenza tra le regioni europee.
Implicazioni per lo sviluppo in Sardegna, 2000 (Università di
Cagliari e CRENOS)
Piacenti P., Investimenti, produttività e occupazione nelle regioni
europee: evidenze ed interpretazioni da una analisi di “cluster”,
2000 (Università di Cagliari e CRENOS)
Masumeci M., Informazione e processi di apprendimento nello
sviluppo locale, 2000 (Università di Cagliari e CRENOS)
Paci R., Pigliaro F., Pugno M., Disparities in economic growth and
unemployement across the european regions: a cectorial
perspective, 2001 (Università di Cagliari e CRENOS)
Lynn Margherio, The emergine digital economy, 2001
Schizzerotto A., Trivellato P., Le disuguaglianza di fronte
all’istruzione, 2000
NTIA – US Department of commerce, Falling through the net:
defining the digital divide, 1999
http://www.repubblica.it/online/lf_new_economy/001201monitor8/
monitor8/monitor8.html
http://www.comune.prato.it/tempi/prospet/htm/carli.htm
http://firstmonday.org/issues/issue4_2/gurstein/index.html
http://www.crenos.unica.it/
http://www.unesco.org/courier/1998_12/uk/dossier/intro11.htm
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