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Rassegna stampa per Autoreverse
di
Francesco Forlani


Radio 3 - Fahrenheit forlani ( 9-01-2009)
Francesco Forlani, Autoreverse, L'ancora del Mediterraneo
Pp.160, Euro13,50
                                                 ascolta


"Ho trentadue anni e sono napoletano di Caserta, più precisamente di Casapulla. Cioè, lo ero,
visto che adesso vivo a Torino". Cosi si presenta uno dei due protagonisti, nonché una delle
voci narranti di Autoreverse, il romanzo del casertano Francesco Forlani che racconta
dell'incontro tra Angelo, che fa il portiere di notte e François, scrittore francese che sceglie
l'Hotel Roma per la sua ultima notte in Italia. Non è casuale il loro incontro perché l'Hotel
Roma è l'albergo dove si uccise Cesare Pavese, e François ha chiesto proprio "la camera di
Pavese". Autoreverse costruito sull'alternanza delle due voci dei protagonisti finisce sempre per
focalizzarsi su Pavese, sulla sua opera, sulla sua vita, su Costance Dowling, l'attrice americana
con cui lo scrittore fu legato. Nel farsi del romanzo il fantasma di Pavese diventa sempre più
presente, sembra addirittura dialogare con le vite di tutti gli ospiti dell'ultimo hotel della sua
vita.


Voci nuove
Ricordando Pavese
di Craig Martucci
("Il Sole 24 ore", 8 marzo 2009)




Perché rileggere Pavese oggi? Perché è un grande ingiustamente passato di moda. Perché
appare ancora un maestro di stile in un'epoca, come la nostra, senza stile. Perché infine alcuni fra
i suoi romanzi, primo fra tutti Il diavolo in collina, costituicono incontri irripetibili per qualsiasi
appassionato di letteratura.


Francesco Forlani, nato a Caserta nel 1967, ma trapiantato a Torino, ha riletto a suo modo alcuni
aspetti della figura di Pavese nel piccolo romanzo Autoreverse. Ambientato, una notte, al bancone
del bar dell'Hotel Roma, l'albergo torinese dove lo scrittore si suicidò nell'agosto 1950. Lì, ai nostri
giorni, il portiere di notte, Angelo, casertano - laurea in Lettere moderne inutilizzata - e François,
intellettuale e scrittore arrivato dalla Francia e intenzionato a dormire nella camera del suo autore
preferito, si incontrano per caso, simpatizzano, si mettono a parlare liberamente di se stessi e della
propria vita, così come della vita di Pavese, dei suoi amori e della sua morte. L'ossessione di
François - un autodistruttivo tentato di suicidarsi, a sua volta, nella stanza del suicidio di Pavese -,
è soprattutto quella della voce dello scrittore. Che non ha mai sentito, anche perché non gli
risultano esistano registrazioni sopravvissute agli anni. O forse una, chissà... Come se dalla voce,
più che dall'opera, o dal vario materiale biografico, compresi i pettegolezzi, raccolti su Pavese,
potesse emergere la fisionomia autentica dell'uomo e dell'autore. Assieme alla verità sul suo
rapporto con la bellissima inafferrabile attrice americana Costance Dowling: forse tutt'altro che
platonico, come invece dicono i biografi.


Con qualche ingenuità nel finale, troppo fitto di colpi di scena, Autoreverse è un buon pastiche
romantico su speranze e disinganni dell'esistere. È l'amore a salvare entrambi i personaggi,
Angelo e François. Lo stesso amore che sfiorò la vita di quell'altro romantico che, nonostante le
molte maschere, appare oggi Pavese.


Francesco Forlani, «Autoreverse», l'ancora del mediterraneo, Napoli-Roma, pagg. 160, euro
13,50.
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Da corriere del mezzogiorno
Ci sono culture che vegetano a un gradino inferiore della storia e per esse il
problema di maturare, di assurgere a quel virile tragico istante che è l’equilibrio
dell’individuale e del collettivo, è lo stesso che per l’anarchico ribelle in calzoni corti
il problema di crescere tragico eroe, consapevole della storia. (Cesare Pavese)




Biagio Cepollaro, Su Autoreverse di Francesco Forlani, L’ancora del
mediterraneo,2008

Le indicazioni di copertina sull’autore Francesco Forlani sono tanto scarne
quanto precise: Forlani, viene detto, è scrittore, cabarettista e performer.
Le scarne indicazioni di copertina centrano, senza darlo a vedere, un tema
fondamentale del romanzo che è quello della voce. Della voce in rapporto
al libro, alla scrittura, al corpo dell’autore, alla posizione del lettore,
ascoltatore, spettatore, della voce come interpretazione generale della
letteratura, luogo intermedio tra verità di una persona e concretezza
dell’opera, segno di vitalità e certificazione di senso della letteratura non
museificata.

Il romanzo si presenta come un’inchiesta-saggio sul suicidio di Pavese. Ma
poi si presenta anche come spaccato della Torino post-industriale, dei
lavori precari, della polarizzazione della ricchezza e della nuova
emigrazione. E ancora si presenta come una storia di amicizia e di amore,
come una microstoria di una microsocietà, quella di un albergo, lo stesso
della morte di Pavese.
Eppure fondamentalmente il tema del romanzo è il senso della letteratura.
L’altezza e anche l’enormità del tema permettono a Forlani di crearsi uno
spazio di divagazione entro cui far muovere personaggi e registri
linguistici guidati dalla voce. La voce come oggetto di ricerca
dell’inchiesta sull’esistenza di registrazioni pavesiane, la voce come ordine
del parlato che viene trascritto, la voce che permette anche al testo scritto
di descrivere paesaggi come può fare il testo scritto. E’ insomma la
dimensione orale che assorbe la scrittura e la restituisce.
Il senso della letteratura è quello archetipico, quello de Le mille e una
notte.

Qualsiasi sperimentazione linguistica dovrà discendere da quel senso che
viene attualizzato: le storie possono salvare la vita. Le storie poi sono tutte
dentro la voce. E’ lei che dice in sintesi le acquisizioni umane e culturali.
E’ lei che tiene in vita perché dà la parola al desiderio ed evita il gorgo
muto. Pavese, nel corso dell’ultima notte, pare abbia fatto delle telefonate.
Sarebbe bastata forse una voce dall’altra parte…

Il senso della letteratura non è il mito della letteratura. Hanno bisogno di
costruire miti coloro che mistificano la letteratura e ne fanno gossip ante
litteram. Chi è dentro la voce non ha bisogno di inventare miti di vita e
morte di scrittori, sta ai testi, sta alla voce. Si spiega così il senso del
performativo di Forlani che dando corpo alla scrittura ne ribalta le
gerarchie: la scrittura torna ad essere fondamentalmente un mezzo di
memorizzazione, o una pura potenzialità. Dalla potenza si passa all’atto
solo dando voce, cioè respiro a ciò che si pensa e si sente. Allora ciò che si
pensa e si sente diventa visibile: questa è la performance. Essa stessa una
domanda sull’utilità della letteratura per la vita.

Fare a meno dei miti è possibile, insegnano i personaggi orali di
Autoreverse. Basta vivere e dar vita alle storie. Comunicare le storie è già
infinito trattenimento, è già differimento della morte. La museificazione
del libro ne è invece anticipazione.

Il linguaggio di Forlani è ricco di calembours, bisticci, equivoci nominali.
Ma queste figure retoriche vengono mostrate non come artificio di
linguaggio ma come contraddizioni della realtà. Non è l’invenzione della
parola a creare paradosso ma è la realtà stessa ad essere paradossale. O
anche comica, grottesca, semplicemente ridicola. A cominciare
dall’ambiguità della toponomastica, della decisione amministrativa di dare
origine ad un nome, ad una nascita, una provenienza. Il cabaret si nutre di
questo sguardo che acutamente coglie le bizzarrie della vita presunta
normale e ne mostra l’arbitrio e anche la violenza, talvolta.
I rapporti di potere, di classe, si sarebbe detto una volta, sono denunciati da
questi piccoli dettagli, dal fatto che alle parole non corrispondono le cose.
E le cose sono quelle che si esperiscono in vite sottopagate, costrette a
ruoli buffoneschi per divertire i signori. L’intera produzione culturale
sembra rientrare sotto questo segno clownesco. Il mito serve anche a
coprire la nuda realtà di potere. Il cabarettista scopre il gioco infantile e
truffaldino dello scrittore.
La commedia dell’arte e l’avanspettacolo di tradizione dialettale sono
chiamati a suggerire una nuova arte di arrangiarsi da espediente in
espediente: non è più arguzia teatrale ma concretezza della sopravvivenza
in una città (in un Paese) in dismissione. Il sovversivo si stempera nel
tirare a campare e non c’è esultanza consolidata ma solo una felicità
discreta costretta a smobilitare per restare tale.

Lo scrittore è l’altra faccia del portiere di notte, alter ego nel romanzo, lo
scrittore non può separarsi da queste radici vitali, immerse sempre in un
adesso, in una condizione servile e nella necessità di uscirne. E d’altra
parte il portiere di notte vive solo attraverso la narrazione che raccoglie e
distribuisce.

Dunque se la retorica con le sue figure sembra avere dignità ontologica,
essere in re, si capisce perché non c’è niente da poetizzare con la scrittura,
si tratta solo di rilevare, notare con precisione, montare con efficacia.
E soprattutto restituire opere come storie, cioè raccontarle, dirle.
Il pastiche linguistico non è costruzione di laboratorio ma è
contaminazione di fatto, è già dentro il discorso sociale, nella sua
dialogicità. La sperimentazione linguistica anche qui è costruzione di
realismo, di effetti di realtà.

Il romanzo si chiude quasi con una conclusione utopica perché è resa
possibile da una sorta di non ideologico esproprio proletario: i ricchi
dimenticano anche ciò che posseggono in sopravanzo e per chi non ha
nulla anche le loro briciole sono pietre su cui costruire una vita decente, sia
pure casualmente.
Non sembra esserci un’altra via, un altro modo, un modo normale,
astrattamente onesto, per superare quell’indegnità, che in altri modi e in
altri contesti, aveva fermato il flusso della vita di Pavese.

Il caso è all’inizio e alla fine del libro ma il caso sarebbe nullo se non vi
fosse una sorta di qualità boccaccesca di saper cogliere a volo
l’opportunità, liberandosi da una morale tanto ipocrita quanto
quotidianamente sconfessata dai suoi predicatori. Disincanto e passione
vanno insieme, smascheramento dei falsi miti e creazione di una reale
narrazione (intessuta cioè di vita) anche queste vanno insieme e, in
definitiva, sono la stessa cosa.

Lo scrittore Forlani ha fatto del suo cabaret di personaggi una
performance narrativa. Ma anche: il cabarettista Forlani ha fatto della sua
scrittura una performance. E infine il performer Forlani ha performato il
suo cabaret in scrittura narrativa, piegandolo alle sue figure, alle sue
strutture e, insieme, stravolgendo tutto questo come in un calembour
vivente..
GIOVEDÌ, 12 FEBBRAIO 2009

Autoreverse

di Francesco Forlani, L’Ancora del Mediterraneo (Napoli, 2008), pag. 157,
euro 13.50.

Un dialogo per Pavese. Due storie e tante storie per Cesare Pavese. Angelo
e François sono due personaggi in qualche modo entrambi in cerca di
Pavese. L’ambientazione di Autoreverse, romanzo dello scrittore dandy
Francesco Forlani, è quel torinese albergo Roma che ancora oggi
incuriosisce : fu il luogo, la “location” della morte prematura dello
scrittore Cesare Pavese. Forlani, quasi sulla stessa lunghezza d’onda di
autori che utilizzano l’inserimento nel fulcro delle vicende di momenti
d’autobiografia, inventa il personaggio dello scrittore in cerca della voce di
Pavese : un’affascinante riflesso della persona che ha un grande obiettivo e
che vuole portarlo a compimento. François si da maledettamente da fare
per terminare un libro, e ha bisogno di scovare ancora cose e cose su
Pavese. E’ come una dannazione. Un’urgenza. E innanzitutto deve scoprire
che il numero della stanza famosa non è più lo stesso. Ma è cambiato per
una ristrutturazione dell’hotel. S’ imbatte nel bellissimo portiere, che è
quella persona arrivata dal Sud e che vive sul pezzo di terra torinese e che
sa di Torino e dei torinesi e che ha dovuto sapere di tutte le storie
sull’albergo in qualsiasi maniera collegate alla morte di Cesare Pavese.
Autoreverse è scritto in una lingua che sarà eternamente scolpita
nell’animo dei lettori . Francesco Forlani inserisce situazioni teatrali in
tanti angoli dell’opera, e lo fa con maestria, con la sua scrittura rigata di
guizzi ironici e divertissement d’alta qualità. Come un nastro. Il romanzo
si sviluppa su due lati, è diviso in capitoli indicati con la trovata “lato A” e
“lato B”. Le storie s’incrociano. Perché da una parte racconta il portiere,
dall’altra lo scrittore. Quest’ultimo è più ricercato, ma per fortuna né
pedante e non pesante. Dall’altra, invece, il portiere Angelo Cocchione è
diretto. La forza di questo romanzo sta, a mio parere, nella trama,
anzi, nell’idea di fondo del libro. In Autoreverse l’autore è bravo quanto
attento a sviluppare passo per passo ogni intrigo e sperimentare un
percorso senza lasciarsi trasportare dall’emozione della posa. Non sono
neppure le vite raccontate a dare le più grandi suggestioni. Pavese stesso e
tutta la sua forza conferisce bellezza aggiunta al romanzo. L’opera ha
qualcosa in più del volume interessante, ha elementi indefinibili, piani di
lettura sovrapposti, è un’opera che rapisce ed è rapita da questa voce che
c’è e non c’è. Un libro da leggere un sacco di volte.



                                                                              NUNZIO FESTA

     Sono molto contenta di ospitare questa recensione perché questo romanzo è così singolarmente
       spiazzante e affascinante che pone il lettore continuamente di fronte a una sfida, che depista,
          rallegra, accarezza , imbarazza, stupisce, eccita, destabilizza. Segnalo su Letteratitudine le
 “recensioni incrociate“, formula interessante con la quale Massimo Maugeri fa parlare di libri due
autori che si scambiano il loro ultimo lavoro in un ideale specchiarsi, e in questo caso Lidia Riviello
    scrive di Autoreverse una recensione a mio parere efficace, appasionata, che tenta. E scrivere di
      libri deve voler essere una seduzione, una tentazione( quando ne vale la pena), deve essere un
      malizioso gesto verso qualcosa, un chiamare all’abisso, al riflesso che potrebbe accecare, allo
 straniamento , a complessa stratificazione di storie, che in qualche modo ci riguarda, ci darà in più
                                                            qualcosa, ci sposterà da dove ci troviamo.

 Autore molto presente in rete, segnalo il maginifico Diario di un torinese sul sito di Ibridamenti e
qui alcune note biografiche




AUTOREVERSE” di Francesco Forlani - L’Ancora del Mediterraneo, 2008 - euro
13,50 - pagg. 157

recensione di Lidia Riviello



E’ il 1948, quando con lo swing all’italiana Addormentarmi cosi’, le signorine pallide che
indossano gonnelline di pura lana “italica, mugugnano teneri sensi di colpa, diventando
rosse come mai erano state le loro madri ( forse meno…?) ai primi contatti “bocca a
bocca”, “morendo insieme” al compagno di balera, “labbra sulla labbra”. Chi aveva voce
cantava per configurare un paese che ancora non c’era, chi non l’aveva stava a guardare
un’Italia fatta di guerra che non riusciva a dormire. E poi c’era chi, di voce, ne aveva avuta
in quantità “esistenziale” per parlare e soprattutto per scrivere, ma forse in parte se ne
vergognava e due anni dopo se ne sarebbe andato via da quel mondo “senza finire
l’anno”. Questi era Cesare Pavese.E’ il duemilasette, quando Francesco Forlani indossa
una vita, quella del sopradetto e sempre discusso, Cesare Pavese, e va alla ricerca della
sua viva voce, in un romanzo, “Autoreverse” che sconvolge i canoni della rituale e
convenzionale biografia. Spesso le biografie sono gonfie, come se l’autore, identificandosi
nel personaggio di cui “tradisce” la storia/vita, si sostituisse a questi, provocando
fuoriuscite di altre vite che bloccano il traffico delle parole. Sottolineando contorni che il
“bio-grafato” aveva impiegato tutta la vita ad assottigliare, oppure trascurando, con
narcisistica interpretazione, l’essenziale esistenziale cosi’ essenziale per quella vita/opera.
Forlani non occulta nessuna vita di poeta, sa che tutto è stato scritto ma nulla è stato
ancora ascoltato. La voce del poeta è inascoltata, perché dice quello che non sempre
scrive, sfugge ai recintori, scusate, recensori, ed è piena di errori. Sgrammaticata, perché
vorrebbe solo cantare, tradisce l’immaginario dei lettori/uditori che vorrebbe le voci dei
poeti sempre in “stato di grazia” ed invece eccole nella permanente resistenza alla
idealizzazione, al plagio. Eccole in serie le voci dei poeti: rauche, sofferenti, sgraziate,
piene di tosse, riottose, che dicono no, infantili, stridule, oppure cosi’ mute da lasciarti
senza poesia. E piene di una vita di cui la poesia è solo al servizio.La voce è quel corpo
che non cede al tempo, contraria all’immagine convenzionale, allo streotipo in vita e in
morte, al “pettegolezzo” che tanto Pavese temeva, perché quelle del pettegolezzo, della
mondanità reiterante, sono le voci del campo, del cortile. La sua era una voce fuori
campo. Ed è questa che cerca Francois, lo scrittore che viene da Parigi, che Forlani
sceglie come suo “alter reggo” giocoso, intuitivo, gentile, ma che non ha remore a
effettuare incursioni a sorpresa ovunque vi sia sentore di un Pavese mai sentito prima, di
un altro Cesare. Cerca la voce originale, autentica, l’unica registrazione, forse persa, del
poeta, un documento, dunque, ma presto si rende conto che per arrivare a trovare la voce
di Pavese deve attraversare tutta Torino, città che ti sfugge e ti “stanca”, che se non la
tieni ti lascia. Senza ansia di protagonismo ma con una sete struggente segue le tracce
che partono dalla sua idea di Pavese, che è piu’ di un’idea, è un desiderio. Mosso da
desiderio arriva in un profondo Nord fatto di un profondo Sud all’ Hotel Roma di Torino,
dove Pavese si suicido’ nel 1950 e dove Francois vuole passare la sua notte. Nella stanza
313 udrà forse “la voce di dentro” di Cesare? Dentro una sola stanza Moby Dick, La bella
estate, La luna e i falo’, il cinema, la “spassosa musica americana”, le donne che nascono
da dentro e che prendono forma lasciando sguardi di approdo.All’Hotel Roma ci lavora un
uomo semplice, diretto ed enigmatico allo stesso tempo, l’altro alter reggo di Forlani,
Angelo di Casapulla (Caserta) che ha “la voce di fuori”, le chiavi in mano. E’ il portiere di
notte dell’albergo, che subito smitizza lo slancio figurativo e l’identificazione fra finzione
letteraria e condizione umana di Francois: la stanza non è piu’ la 313, quella in cui il poeta
si lascio’, ma la 346. La ricerca, “uaglio’ ” è lunga, la strada afosa, il poeta senza voce. Fra
i due s’instaura una istintiva complicità, un dialogo fino al termine della notte, un intreccio
di due opposte e cosi’ animate vite. Nonostante le due ricerche si snodino autonome, sul
disco dell’epoca nostra e dell’epoca di Pavese, suonano le loro narrazioni in prima
persona.In realtà anche Francois e Angelo cercano la loro voce disseminata nelle caotiche
pulsioni dell’Esperienza. Le donne, le avventure del dialogo, la conoscenza dell’altro.
Francois segue corsi d’inglese, punta la luce sul volto di una donna, cerca attraverso
documenti, amici di Pavese, lettere del poeta stesso, ricostruzioni, registrazioni del premio
Strega (che Pavese vinse nel 1950) di rintracciarne il corpo vitale . Tutto questo con
desiderio ma anche discrezione, perché Pavese è imprendibile. Tutti parlavano di lui e lui
non si è fatto “prendere”.Angelo ama il corpo delle cose, si disfa delle cose che non lo
appassionano, sa di affaracci e crimini e misfatti della sua terra e si ritrova dentro un giallo
vero e proprio, e s’innamora pure della bellezza, della straniera, di un’altra voce che non lo
nasconda ma lo accolga cosi’ com’è: Angelo Cocchinone, ed è il primo a dire che questo
Hotel Roma, noto per la morte del poeta, è un luogo di cui liberarsi e liberare Pavese, ché
su questo dramma si è fatto del marketing. Sia Francois che Angelo devono liberarsi e
liberare, attraverso il racconto in prima persona, una terza persona: Cesare.Ma chi aiuterà
infine Francois a trovare ( se la trovera’) la voce di Pavese incisa su nastro?La Rai teche?
La storia letta dai giornalisti? L’editore che attende lo scoop? Pavese stesso? Francois
riporta Pavese dentro casa, fuori dalla stanza del dolore. Lo libera dallo stereotipo dagli
inde-fessi critici annoiati del tempo, dalle attrici americane volubili. Come la Dowling,
Constance senza sostanza.“Se mai riuscirò a sentire la voce di Pavese come farò a
descriverla?”. Sarà questa domanda che il nostro si porra’ infine al termine della notte di
questo romanzo. Difficile Francois, difficile. Perchè quando lo scrittore cerca l’uomo trova
ancora, sempre, il poeta.Lidia Riviello


Tags: autoreverse, francesco forlani, l039ancora del mediterraneo, lidia riviello, neon 80,
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Scritto Venerdì, 23 Gennaio 2009 alle 5:47 pm nella categoria RECENSIONI INCROCIATE.
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Caserta, che successo al Tequila per il libro di
Forlani! Musica e parole unite in spettacolo
eco di caserta, Scritto da Luca Malese, foto di Chiara Perna,
Pubblicato in : , NOTTE&GIORNO

CASERTA - All'ora dell' aperitivo, quando la Milano da bere si muove
dagli uffici ai bar, quando a Roma enormi tavole vengono imbastite di
pietanze per " l' happy hour", quando mi viene in mente una canzone
in cui De Andrè si augurava di vivere in una città in cui a quell'ora non
ci fossero "spargimenti di sangue o di detersivo", a Caserta, all'ora
dell'aperitivo, appunto, c'era la presentazione di un libro...in un pub!?

Il Tequila pubblic house, storico meeting point in piazza Pitesti, ha
aperto le sue porte alla letteratura.

Francesco Forlani casertano di Napoli, o viceversa, o francese di
Torino, ha scelto di presentare il suo ultimo libro, Autoreverse, in un
pub.

Sul lato destro del locale, una pedana che praticamente è diventata
subito palco, un quartetto musicale composto da clarinetto, chitarra,
violoncello e batteria, alias i Ringe Ringe Raja, davano sfoggio della
loro arte canora. Subito la sala si è riempita di un calore e un
coinvolgimento...teatrale!

"La platea era colma di gente: intellettuali, ignoranti, scrittori, semplici
avventori, ed alcolisti, l'emozione dietro le quinte si tagliava con il
coltello! Ad un tratto qualcuno scostò leggermente il sipario per una
sbirciatina alla sala".
A presentare l'evento, il giornalista Luigi Ferraiuolo.

Il clarinetto parte con un breve assolo dopo di che gli altri strumenti
iniziano ad andargli dietro in un ritmo balcano. Lo spettacolo è
cominciato dalla fine recitando appunto un "autoreverse", dall' ultimo
capitolo, effeffe nelle vesti di attore-direttore d'orchestra.



Magnifico!!!

La musica (magistrale) che accompagnava la lettura dei capitoli del
libro, riusciva a scandire la punteggiatura dei versi sotto la direzione
dell'autore. Il primo atto si è concluso con un omaggio all'opera di
Forlani dell'amico "oste dell'osteria" (così ama definirsi) nonché (non
me ne voglia) scrittore (secondo me geniale, tant'è che non lo capisco)
Gianni Campi ed uno scroscio di applausi supportati dai ritmi
coinvolgenti dei musicanti.

Un cognac per l'autore franco-torinese- napoletanodicaserta, io bevo
un americano e via con la parte finale della serata che in ordine di
successione rispetto a come l'ho vissuta era la terza parte che come
diceva un noto "filosofo" napoletano, Mario Merola, "è bella e le a
verè!!!"

A questo punto Forlani si scatena, scende in platea tra la gente, sale
su un tavolo quasi come su di una tavola da surf e il pubblico è in
delirio, i musicanti incalzano e si fermano ad ogni cenno del corpo di
effeffe che usava come la bacchetta di Riccardo Muti.

La chiusa dei Ringe Ringe Raja, un omaggio all'udito."

A Caserta, il 17 gennaio 2009 all'ora dell'aperitivo al Tequila hanno
servito il drink che più inebria la mente e il cuore. La ricetta è questa:
¾ d'oncia di Ringe Ringe Raja, 1oncia e ¼ di effeffe Forlani, guarnito
con una scorza di un buon amico che ti omaggia ed ecco pronto il "dry
Forlani"!




Lettera di Giorgio Morale a Francesco Forlani su Autoreverse.


                                             [Qui alcune pagine tratte dal romanzo.]
Caro effeffe,


“Quel che mi affascina del mare è il suo essere una immensa superficie senza cui
non ci sarebbe profondità”: è pensando a queste parole del tuo precedente libro, Il

comunista dandy, che ho cominciato a leggere Autoreverse. Cercando sotto la

superficie “il segreto… l’unica chiave che può aprire molte porte”.

Il tuo libro comincia con il perentorio “Mi chiamo Angelo Cocchinone”, aperto
richiamo al Moby Dick amato e tradotto da Pavese. Pavesiana è anche la

sensibilità per i luoghi, sia i paesi della provincia di Caserta, citati con una sorta di
odio-amore che vorrebbe rinnegarli e reinventare il passato, sia Torino e le colline
che la circondano in cui ricorrono atmosfere più propriamente pavesiane. Se non
fosse che a un certo punto, come avviene a chi ha molto viaggiato, le strade di
Torino si confondono con quelle di Parigi e di tutte le città da te visitate o sognate, e
la pagina sembra assorbire le atmosfere dei poeti parigini, primo tra tutti
Baudelaire.

E non è anche l’emigrazione un tema pavesiano? “Quando si va via di casa, dalle
nostre parti, si emigra” dice Angelo, quasi come un’eco allo “scappare di casa” di
Lavorare stanca. E non è lo “scappare di casa” un tema tipicamente meridionale e

tuo stesso? E sapessi quanto questo tema è anche mio, caro effeffe, quale
squarcio queste parole aprono in me e nella mia storia di partenze e ritorni.

E pavesiano è il ritmo della pagina d’apertura, che con registro fortemente mimetico
riproduce il linguaggio di Angelo, che inizialmente appare come un paria, come
l’Anguilla de La luna e i falò alle prese con il tema dell’origine. Come pavesiano è il

tema della solitudine: come dimenticare la figura dell’“uomo solo” di Lavorare

stanca e il bisogno di “fermare una donna/e parlarle e deciderla a vivere insieme”?


Tutti questi richiami sono esibiti, elusi, variati, in un gioco sottile, controllato e
cristallino, tra superficie e profondità. Offerti con una scrittura colta, lucida, leggera,
di quella leggerezza che ti porge parole e idee togliendo gravità al segno che le
conduce.

***


Autoreverse si presenta quindi come una quête. Lo scrittore François come un

cavaliere ariostesco è alla perenne ricerca di qualcosa: la voce di Pavese
probabilmente introvabile, l’amicizia nella Torino che un giudizio corrente dice
essere la città più chiusa d’Italia; la letteratura, che a sua volta rimanda a una
possibilità altra, a “un’altra vita”, rincorsa nelle conversazioni notturne con Angelo
Cocchinone, suo conterraneo e portiere di notte nell’albergo in cui Pavese si tolse
la vita. E ancora: il vagheggiamento dei paesi del sogno: l’America, Parigi. E la
ricerca di “una risposta che… impedisca l’atto estremo”, un amore che consenta di
vincere la solitudine che ammazza, il pensiero fisso della morte, questo “il vizio
assurdo” da cui anche François è tentato.

Ma il filo rosso della vicenda è fornito dalla ricerca della voce di Pavese, la voce
come accesso al mistero della vita e della morte dello scrittore, la voce che
restituisca l’odore, la corporeità, la fisicità dell’uomo e dell’autore.

In questa ricerca tu porti François in una sorta di biblioteca borgesiana che assume
le sembianze dell’archivio dello studio fotografico Harcourt e degli archivi Rai. È
una ricerca in cui si mescolano tratti realissimi, perfino storici ed eruditi, ma trattati
in modo fantastico; riflessioni su ciò che meriterebbe di essere ricordato ma che
viene divorato dal tempo; e fantasie su “Un posto irraggiungibile, che le rovine in
cui ti imbatti possono soltanto evocare”. E lì pare che come François anche tu, caro
effeffe, “tenti il salto, il guizzo fantastico dell’Ariosto, come Astolfo alla ricerca del
senno di Orlando, e cerchi nelle stalle della mente il cavallo che indossa le ali e a
briglia sciolta ti condurrà dove riposano i sogni”.

Anche Angelo Cocchinone, portiere di notte che poi si rivela laureato in Lettere
moderne, sospira “se si potesse recuperare la voce”, poiché “Pare che la
centralinista avesse lavorato parecchio quella sera (la sera del suicidio) per
passargli una dopo l’altra le telefonate. Numeri di donne, per lo più”. E commenta, il
Cocchinone, “Se solamente qualcuno gli avesse risposto, se almeno una delle
ragazze invocate gli fosse venuta incontro”.

Appare fittissimo il gioco di citazioni e di specchi. Angelo è un alter ego di François,
e ambedue dell’Autore. E Pavese, loro comune riferimento, diventa figura
archetipica, essa stessa uno di quei miti pavesiani, figure o eventi originari a cui
tocca essere riconosciuti come un destino.

***


Ma sotto questa storia se ne svolge un’altra, che riguarda “la verità che giace al
fondo” e che è introdotta dall’asserzione: “Cesare Pavese non si è ucciso per
amore”. Confermata più avanti: “le sorelle Dowling non c’entrano nulla con la morte
di Pavese. Semmai con la vita”. Da quando mi sono imbattuto in questa frase, la
mia lettura è stata guidata dalla ricerca della risposta, è stata questa per me la vera
ricerca, “la verità che giace al fondo” che cercavo dall’inizio.

Forse la dicotomia tra superficie e profondità si può collegare a quella tra distanza
e abbandono. François reclama per sé “l’estetica della distanza e l’etica
dell’abbandono”. L’abbandono è, per dirla con Baudelaire, “un fuoco latente che si
lascia indovinare, che potrebbe ma non vuole divampare” (Il pittore della vita

moderna). Anche Massimo Mila, parlando di Pavese, dice che per lo scrittore “i

sentimenti veri non fa bisogno di dirli, e che quando si cerca di manifestarli con
parole si sgualciscono sempre un poco”.

E come spesso succede, la verità è davanti agli occhi di tutti, come La lettera

rubata di Poe. E come in tutti i gialli che si rispettino, anche in Autoreverse la

rivelazione arriva all’ultima pagina: “La questione chiave non è l’incontro con una
donna, con l’amore, ma esserne degno”.

Così sono rimandato a Pavese e all’opera su cui lo scrittore ha lasciato il suo ultimo
messaggio prima di morire, a L’isola dei Dialoghi con Leucò e alla sua splendida

chiusura: “Quello che cerco l’ho nel cuore, come te”. E così l’individuo è riportato a
se stesso e il tuo romanzo diventa un viaggio alla ricerca di sé e una riabilitazione
di Constance Dowling e, con lei, della figura della donna, e un omaggio alla donna.

Nella chiusura di Autoreverse però le vicende di François e di Pavese divergono: lo

scrittore François scrive per sé un epilogo diverso da quello consumato da Pavese
in quello stesso Hotel Roma. François riesce a vedere l’alba della sua “notte
oscura”, come Sherazade nelle Mille e una notte, grazie a quel raccontare storie

che può salvare la vita.

All’alba “Adesso che l’ho incontrata, non la perderò per nulla al mondo” dice
François di una donna che ha incontrato e a cui decide di telefonare. Il male di
vivere e gli incontri mancati trovano un senso nell’altro e nell’abbandono, nella
consapevolezza che “è una maledizione condita di buona educazione che
impedisce alla gente di esprimere i propri sentimenti”.

E quando quasi meccanicamente compone il numero del telefono, sente la donna
che dice: “Ti aspettavo”. Così Francois sfugge al destino che si era figurato
venendo nell’Hotel Roma, di ripetere ciò che sembrava già scritto. Per lui non vale il
vaticinio di Calipso a Odisseo ne L’isola: “Quello che fai, lo farai sempre” e si libera

del mito di Pavese nel momento in cui dà piena risposta alla domanda sulla sua
morte.

***


Infine mi preme mettere in evidenza il senso da dare alla scrittura come emerge da
Autoreverse. “Oggi la vocazione è un lusso” proclama Angelo, ma François dirà che

fare lo scrittore per lui “È una vocazione…”, anche se subito dopo si corregge,
minimizza, dissimula: “Ma non parlerei di vocazione, diciamo che la mia è una
ricerca. In una vocazione si è chiamati da qualcosa o qualcuno, a me invece
nessuno mi ha chiamato. Sono io che chiamo”.

Ricordo, caro effeffe, le parole dell’amato Baudelaire dei Saloon: “Discredito

dell’immaginazione, dispregio del grande… pratica esclusiva del mestiere, tali
sono, a mio avviso, quanto all’artista, le cause principali della sua decadenza”.

In un periodo in cui la pratica della scrittura tende a essere concepita come una
professione totalmente sottomessa alle leggi del mercato, reclamante diritti ma
sganciata da doveri, mi piace la tua rivendicazione del carattere vocazionale – e
quindi in un certo senso dilettantesco e appassionato – della creazione artistica.

E anche il suo configurarsi come un dialogo con sé e con il lettore. Il tema del
dialogo e dell’incontro con l’altro infatti impronta la struttura stessa di Autoreverse. Il

libro alterna tre tipi di capitoli: lato a con la voce narrante di Angelo, lato b con la
voce narrante di Francois, intervallati da entracte, in cui i due sono a dialogo tra
loro al bar dell’Albergo Roma.

L’uso del dialogo, che ancora una volta richiama i pavesiani Dialoghi con Leucò, è

funzionale alla duplice necessità: all’esercizio della distanza e alla pratica
dell’abbandono. Nel dialogo il narratore riduce la sua presenza al minimo, appena
un accenno all’ambiente, all’ora, per il resto la parola spetta direttamente agli attori.
Così come sono gli attori che via via superano la distanza e si abbandonano.
Parola – e voce – come ponte tra i personaggi, tra il mondo dei personaggi e quello
del lettore, a realizzare un incontro in atto. Perché dove non c’è il dialogo, sono le
singole voci narranti a venire in primo piano e a continuare il dialogo con il lettore. E
attraverso i personaggi, che sono una sorta di tuo alter ego, sei tu stesso che
incontri il lettore. E questo, si potrebbe proseguire, immette alla vita fuori dalla
pagina, dove tu stesso, scrittore e performer, attore e personaggio, ti muovi sul
ciglio tra distanza e abbandono.

Pavese e l’hotel dei destini incrociatidi Francesco De Core

Piccole storie individuali risucchiate nell’alveo mitico della vicenda
dello scrittore

Ventisette agosto 1950. Cesare Pavese chiude il libro della vita in
una stanza dell’albergo Roma, la 313, a Torino. Uccidendosi con i
barbiturici. Nulla di cruento, tutto studiato. La morte arriva,
cercata, voluta: l’ultimo demone si sfilaccia in poche frasi, in versi
disperati. Sui Dialoghi con Leucò annota: «Perdono tutti e a tutti
chiedo perdono. Va bene? Non fate troppi pettegolezzi». Nel diario,
otto giorni prima, si era consegnato: «Tutto questo fa schifo. Non
parole. Un gesto. Non scriverò più». Nelle poesie, ultime, il senso
disperato di una storia d’amore, quella con la glaciale e lunatica
Constance Dowling, americana, sorella di Doris, attrice in Riso
amaro, il film che forse più di ogni altro ha segnato il primo
dopoguerra, la pellicola delle mondine, di Vallone e Gassman, della
tenebrosa, superba Mangano.

Finisce Pavese, con tragica grandezza, e il mito sboccia per non
tramontare mai più. Talmente grande, anzi ingombrante, da
bloccare le porte all’opera, da annichilirla, da farne talvolta
appendice all’epica biografica. Anche per questo il romanzo
«sporco» di Francesco Forlani, Autoreverse (ancora del
mediterraneo, pagg. 157, euro 13,50…) - sporco perché contiene
ampi passaggi saggistici ben integrati e armonizzati nella struttura
narrativa - è anzitutto un omaggio al Pavese scrittore, non solo
all’uomo drammaticamente incompiuto. Francois - uno dei
protagonisti del libro, alter ego dello scrittore-performer casertano,
che vive e opera proprio lungo un percorso che dalla Campania
porta a Parigi passando per Torino - scende dalla Francia all’albergo
Roma per dare forma a una ossessione, quella della voce di Pavese.
Voce che sarebbe contenuta in una registrazione mai trovata,
sepolta chissà dove. Per altri aspetti e altre visioni, magari meno
poetiche ma non meno spontanee, anche Angelo Cocchinone da
Casapulla, Caserta, dipendente dell’hotel, ha caratteri che l’autore
si porta dentro: ovvero quel senso genuino della provincia che non
si è smarrito neppure nei meandri di una Torino post-industriale e
post-einaudiana, sempre più grigia, orfana della Fiat che fu, della
grandeur agnelliana e dell’operaismo spinto. Le piccole storie
individuali sembrano risucchiate nell’alveo della Grande Vicenda
pavesiana, calamita, polo d’attrazione, imbuto. Il mito, appunto:
tanto che tutti cercano la celebre stanza 313 e nessuno sa che
invece la camera del suicidio, dopo la ristrutturazione, è diventata
la 346.

Nell’esistenza di Angelo, come in quella del suo capo, Giuseppe
Mastroianni - «originario di Casapulla pure lui», altra sagoma di
provincia che paga pegno altissimo ai meccanismi della metropoli -
sono proprio l’amarezza e l’infelicità dell’autore della Bella estate a
comparire talvolta come tormento e marchio. Nell’albergo Roma ci
sono destini passeggeri, relazioni che si incrociano: il racconto di
Forlani non perde mai il filo dell’ironia, della levità, con intrecci e
sovrapposizioni costanti. Le pulsioni di Pavese - i suoi amori, le sue
disillusioni - appaiono nel bel mezzo di un dialogo; la sua figura
piena è spesso rievocata dando senso a eventi in apparenza poco
significativi e consistenza a dialoghi quotidiani. Con un originale
registro narrativo, Autoreverse ci porta dietro le quinte di una
leggenda, regalandoci sprazzi di vita vissuta e di profonda umanità.
Con il passato che si incastra a sorpresa nel presente. Anche
attaccandosi a un vecchio nastro, che ci scorta nel cuore di un
destino amaro.(Il Mattino, 28 dicembre 2008)



Cocchinone l' emigrato portiere all' hotel Roma
Repubblica — 07 gennaio 2009 pagina 1 sezione: NAPOLI

«Ho trentadue anni e sono napoletano di Caserta, più precisamente di Casapulla.
Cioè, lo ero, visto che adesso vivo a Torino». «Laureato e portiere di notte in un
albergo», precisamente all' hotel Roma, Angelo Cocchinone ancora non ne
conosce il segreto: da molti anni sempre la solita richiesta alla reception, «non
capivo perché volevano a tutti i costi la camera 313». è un bell' esordio nel
romanzo, quello del casertano Francesco Forlani, classe 1967, "scrittore
cabarettista e performer" si legge nella sua stringata biografia in copertina; in realtà
Forlani è anche uno dei redattori storici di "Nazione Indiana", blog letterario tra i più
prestigiosi in ambito italiano: si possono già supporre, dunque, vaste letture e
spirito storico-critico. Che però spesso non sono condizioni propizie per la
costruzione di un romanzo, vedi la narrativa in genere algida dei professori di ogni
tempo e dove. Ma alla prima prova col romanzo ("Autoreverse", Francesco Forlani,
L' ancora del Mediterraneo, 2008, pagine 157, euro 13,50) Forlani decide di
metterci del suo, e fa bene: il protagonista Cocchinone, emigrato precario, svogliato
e filosofeggiante, si conquista immediatamente la simpatia del lettore, col suo
parlato meridionale, portato sulla pagina da un autore ricco di sacrosanta
autoironia. Dunque all' hotel Roma Angelo, immigrato dal Sud, conosce Helena,
immigrata dall' Est, e tra loro è scintilla. Ma anche l' albergo ha una storia sua, e
che storia: vi è venuto a passare la sua ultima notte lo scrittore Cesare Pavese, per
poi suicidarsi con un gesto cult. è da quel lontano 1950 che la stanza 313 è meta di
pellegrinaggi di romantici fans, tanto che per evitare emulazioni il proprietario del
Roma ogni 27 agosto fa occupare la camera da una sua misteriosa amica,
Madame~ Non pago di già tanta carne messa al fuoco, Forlani aggiunge un
secondo binario narrativo, il racconto in prima persona dello scrittore Francois, che
da Parigi arriva a Torino, anche lui all' hotel Roma, in cerca di una registrazione
forse neanche più esistente della voce di Pavese, morto appena prima della nascita
della televisione italiana e degli archivi radiofonici (indagine che fa tornare alla
mente il veneziano "Carteggio Aspern" di Henry James). Le voci dei due
protagonisti si alternano e raccontano due figure rovesce. Angelo cerca di
"scomparire" e far dimenticare persino la sua provenienza dalla odiata Casapulla
(«Se fossi nato al numero centoquaranta della Nazionale (~), ora sui documenti ci
sarebbe scritto Casagiove. Avevo sentito parlare di morti ridicole, ma una nascita
stronza proprio a me doveva capitare?»), in un albergo dove anche il portiere di
giorno ha cancellato dalla carta d' identità la sua provenienza meridionale, e dove
Amehd il voiturier, di Marrakesh, si fa chiamare Mauro e il fratello Fuad invece
Fred. E dove «Helena è di Lecce, anzi, di Otranto. In verità è albanese ed è
sbarcata con la famiglia in Puglia». Persino il cuoco di sera diventa un altro.
«Quando lascia il servizio se ne va tutto vestito di pelle nera e con una coda che gli
arriva al culo»: fa concerti con la sua band, «Cocina Clandestina Brass Group. Tutti
cuochi». Tutti a rifarsi l' identità, tutti ad aggiustarsi la vita, a smarcarsi da identità
troppo strette e/o troppo tristi, in una città perfetta per morirci: «Ue regà, in fondo a
Torino non si sta così male. Qui si sono suicidati i più grandi scrittori italiani,
Pavese, Salgari, Primo Levi, il più grande filosofo di tutti i tempi è impazzito».
Mentre insomma Angelo tenta di eludere la verità per immergersi in un caos urbano
forse salvifico, Francois lo studioso è invece in cerca di una verità, di natura
letteraria, che lo porta a indagare sull' attrice americana Costance Dowling, ultima
ossessione di Pavese. («Per lei, solo per lei, Pavese aveva coniato l' espressione
"Viso di primavera". In realtà «arrivista, glaciale, egoista», «assolutamente
insensibile alla poesia e ai poeti», «Costance Dowling era perfetta per recitare la
parte dell' assassina, bella e cattiva la garce, la malafemmina»). Ma in un dialogo a
più capitoli tra Angelo e Francois si capirà che la verità letteraria di cui è in cerca lo
studioso non è meno personale ed esistenziale. E, nel finale, ad una soluzione
della prima risponderà un po' di luce anche per l' altra. Stavolta la maledizione di
Pavese non ha istigato un suicidio nella stanza 313 dell' hotel Roma, ma un
romanzo ricco e strano, e affascinante, e pieno di riso e di pianto. Gioia e dolore, il
mix che si trova sempre quando si è scavato in profondità. - MASSIMILIANO
PALMESE




Francesco Forlani, Autoreverse

pp. 160, l’ancora del mediterraneo, euro 13,50

Il 27 agosto del 1950, in una dimessa stanza dell’Hotel Roma di
Torino, Cesare Pavese decise di togliersi la vita consegnando alla
futura memoria di migliaia di lettori quel solitario e autodistruttivo
simulacro che ancora oggi avvolge senza rimedio la sua figura
artistica e umana. Un albergo che esiste tuttora – a due passi dalla
stazione ferroviaria Porta Nuova – e che dopo quell’ultimo gesto
non ha avuto molte difficoltà a tramutarsi in meta per devoti
pellegrinaggi da parte di quanti in Pavese hanno voluto scoprire non
solo l’artefice di romanzi e poesie intramontabili, ma anche
l’essenza di un disperante e fanciullesco mito della letteratura
mondiale. Ed è proprio nel luogo in cui l’autore piemontese si
suicidò 58 anni fa che Francesco Forlani immagina l’incontro tra
Angelo e François, romantico concierge notturno il primo, ossessivo
e scrupoloso scrittore il secondo. I complici destini dei due si
incrociano proprio lì, al bancone della stessa reception che più di
mezzo secolo prima aveva accolto la firma di Pavese, e che ora
insiste a collezionare il solito perpetuo avvicendarsi di viaggiatori
senza meta, amanti clandestini, cameriere discrete e tanti altri
mostri senza patria né nome. Ne scaturisce un lungo, fitto e
altalenante dialogo in cui trovano spazio racconti di vita, sogni
infranti, ricordi legati a esistenze errabonde fatte di migrazioni,
fughe e segreti nascosti in anfratti oscuri; ma soprattutto, tra una
parola e l’altra, continua a insinuarsi l’inquieto spettro di un’anima
in pena, l’anima, per l’appunto, di un uomo morto sotto quello
stesso tetto molti anni prima. Un uomo che spese ogni energia al
servizio della scrittura, della cruciale affezione per le Lettere, e che
tuttavia non riuscì a gestire la potenza dei furori amorosi, maligni e
impietosi nemici capaci di vanificare un’esistenza in mezzo battito di
ciglia. La fallimentare resa di Pavese, a quanto pare, ebbe (anche)
un nome di donna, Costance Dowling, ed è dietro questo nome che
vollero guadagnare spazio la forma e l’essenza dei suoi fallimenti,
della sua morte. E’ il nome dolce e ammaliante dell’attrice
americana che lo abbandonò dopo un intenso teatrino seduttivo, e
la cui presenza, ai limiti della morbosità, è testimoniata da lettere,
versi, e scomposte annotazioni tracciate nel celebre Mestiere di
vivere. Impossibile non provare tenerezza di fronte a un sentimento
tanto feroce, buio e irrimediabilmente impari, così come appare
impensabile l’idea di scindere la costernazione esistenziale di
Pavese dal dato biografico, o almeno da ciò che di esso trapela
attraverso le cronache più intime e scabrose giunte fino a noi,
proprio quei fastidiosi pettegolezzi, per inciso, che vennero chiamati
in causa nell’ultimo messaggio d’addio scritto sul frontespizio dei
Dialoghi con Leucò. Ma un’ossessione è un’ossessione, e come tale
consente licenze che travalicano etica, scrupoli morali e remore, da
cui ne consegue la necessità di osservare le cose nel loro
complesso: ed è qui che inizia a farsi strada l’inevitabile confronto
con gli scomodi scheletri nascosti nell’armadio del nostro anti-eroe,
nell’irrefrenabile impulso che costringe i suoi esegeti a seguirne
ogni traccia, ogni testimonianza, anche la più piccola, anche la più
insignificante. Traccia che, nel caso di Forlani, gioca a esistere e a
non esistere traducendosi in qualcosa di più, qualcosa che, almeno
in potenza, supererebbe di gran lunga qualunque altro feticcio
testimoniante; dettaglio ulteriore, tessera assente, ecco ciò che
davvero manca alla ideale biografia di un simbolo eterno: la sua
eterea, ultraterrena voce di uomo. Perché in una voce – come
annota François a un certo punto – ci sono scariche elettriche, e
quel che ti illumina di un discorso è proprio il tono con cui vengono
dette le cose. Peccato che Pavese se ne sia andato prima che il
progresso sistemasse telecamere in ogni dove, praticamente a due
passi dalla nascita della televisione, degli archivi radiofonici e delle
infinite tecnologie di incamerazione dati che giusto un attimo dopo
iniziarono a proliferare come funghi fino a raggiungere i parossismi
informatici dei giorni nostri. Insomma della sua voce pare non
esista traccia, e tanto basta per far nascere nel cuore di François
l’ansia per una ricerca bulimica e inaudita, con ogni probabilità
votata a desolanti rese. Ma è pur vero che cercando qualcosa, alla
fine si rischia di trovare altro, e ripercorrere i solchi scavati da una
chimerica preda significa in qualche modo sfiorarla, starle
comunque vicino, e infine assimilarne i gesti e grazie a loro
incontrare nuovi mondi, altri fratelli, insperate amicizie come quella
di un portiere notturno rintracciato per caso. Ed è forse questo il
senso definitivo dell’oscura indagine disegnata in Autoreverse:
comprendere che anche una voce perduta per sempre può ostinarsi
a parlarci, a costruire avventure mai esistite, insomma a inventare
altri pianeti, altre storie.

Pubblicato su Liberazione, 14 dicembre 2008


La voce di Pavese
Di
Graziano Graziani
(critico letterario, Carta)


«Autoreverse», da poco nelle librerie, è il nuovo libro di Francesco Forlani. Ma forse
sarebbe più giusto dire che si tratta del suo nuovo disco. Sì, perché sia nella forma che
nella sostanza imbattersi in «Autoreverse» è un’esperienza che assomiglia molto a quella
che si fa con i dischi. Non i compact disc, però, ma gli Lp, i vecchi long playing. Perché
l’atmosfera sonora a cui si richiama la scrittura di Forlani appartiene all’epoca del vinile, o
al massimo a quella dei nastri magnetici – come il titolo suggerisce, meccanismo
modernista del registratore a cassetta – e per l’esattezza ricorda un particolare tipo di
prodotto musicale di quell’epoca, il concept album, un’opera musicale in grado di
connettere una o più storie all’interno di un’unica narrazione, che passa però per singoli
momenti di poesia autosufficienti.Del vinile, «Autorverse», ha anche le fattezze: la storia si
snoda alternandosi tra un lato A e un lato B, e inoltre la copertina della bella edizione
realizzata dall’editore, L’Ancora del Mediterraneo, ha un foro circolare giusto al centro
della copertina, proprio come quelli che servono per posizionare i dischi sul piatto.Non si
tratta di un caso. Sonorità e musicalità sono due aspetti centrali di questo libro.La
musicalità dei versi di Cesare Pavese (fulcro della storia), la sua lingua semplice ma
scorrevole e piena. E anche la musicalità della scrittura di Forlani, vero trait d’union in
grado di tenere assieme le tante anime della sua prosa, fatta di una lingua piana, ma che
non disdegna assonanze e sconfinamenti nella poesia; l’uso repentino dell’ironia, la
ricerca continua della battuta, proprio come nei dialoghi tra amici, tra membri di una stessa
confraternita, quella di Pavese e quella del protagonista del libro; e infine lo sconfinamento
nel dialetto, che è poi il modo per riappropriarsi di una tonalità, un’inflessione della lingua
che suona più vera, più autentica (non a caso gli inserti dialettali sono quelli che più hanno
a che fare con i sentimenti).Poi c’è la voce di Pavese, elemento sonoro da tramandare ai
posteri nell’era della documentazione audiovisiva (il Novecento), perché come ripete più
volte François – il protagonista di uno dei due lati del libro, quello alla ricerca di Pavese –
uno scrittore, e a maggior ragione un poeta, è la sua opera ma è anche la sua voce.
Eppure, della voce di Pavese sembra non se ne conservi registrazione alcuna, un
paradosso nell’epoca della riproducibilità tecnica non solo dell’opera d’arte, ma anche
dell’artista. Un’epoca che è però in grado di restituire, a chi non l’ha vista per limiti
biografici, l’immagine dello scrittore piemontese: una faccia fatta di volti che in foto non
sorridono mai.
È da qui che si snoda l’altro grande tarlo del romanzo di Forlani, che riguarda la
costruzione del mito di Pavese, il rimpallarsi del suo cadavere che ne fecero
commentatori, amici ed ex amici all’indomani della sua morte. Una morte, la sua, tanto
mistificata da essere persino ricordata con una dinamica che non le appartiene, quella del
colpo di pistola, che fa più Hollywood – mentre il poeta preferì andarsene ingerendo una
grande dose di sonniferi.Un mito che è dunque quanto di più lontano possa darsi
dall’indole schiva di Pavese, di autore che “odiava i premi letterari” e che lasciò scritto
prima di morire, quasi in forma di preghiera che sa di non poter essere esaudita, “non fate
troppi pettegolezzi” – altra frase che rimbalza come un’eco lungo tutto il romanzo. Un mito
che sconfina nel feticismo dei turisti curiosi, che vanno all’Hotel Roma – dove lavora
Angelo, protagonista del lato principale del romanzo – e chiedono di soggiornare nella
stanza 313, quella dove Pavese si tolse la vita, ignari del fatto che in realtà, a causa di una
ristrutturazione, quella stanza fatidica è diventata la 346.Ecco allora che il fantasma di
Pavese si rivela per quello che è: un’ossessione collettiva per l’evento, per l’accaduto, il
mito che realizzandosi emana se stesso nei luoghi che ne sono stato il “teatro degli
accadimenti”. Un’emanazione che, nel suo risvolto morboso e feticista, non ha neppure
bisogno che la stanza sia davvero quella di Pavese, basta che sopra la porta – come nella
più classica delle ricostruzioni televisive – ci sia il numero giusto.
Ma la voce è qualcosa di diverso. La voce non si può contraffare. Perché la voce è già di
per se un fantasma vivente, qualcosa che c’è ma è inafferrabile, eppure inconfondibile,
capace per questa sua doppia caratteristica di arrivare dritta al cuore. Come la voce di
Tina Pizzarda, uno dei primi tarli amorosi di Pavese, che sarà per sempre ricordata come
“la donna dalla voce rauca” a cui sono dedicati dei versi in «Lavorare stanca».La ricerca
della voce di Pavese che compie François, allora, è allo stesso tempo la ricerca di un
risvolto che sia il più autentico possibile in una ipotetica ricostruzione della vita del poeta,
che tanto più si avvicina ad essere un’autobiografia e tanto più rischia di sconfinare in quei
pettegolezzi da cui Pavese chiedeva di essere dispensato. È un attestato di curiosità che
ha a che vedere con l’affetto, più che con il feticismo mediatico. Un affetto verso Pavese
che non è solo di François, ovviamente, ma anche dello stesso Forlani. Per questo
«Autoreverse» è un continuo interrogarsi sulle possibilità e sui vicoli ciechi dell’amore.
Come è possibile parlare della morte di Pavese senza parlare anche dell’amore? Come
parlarne, senza citare Costance Dowling, a cui Pavese dedicò i celebri versi di “verrà la
morte e avrà i tuoi occhi”? Ma come parlare di tutto questo intreccio senza scadere nel
pettegolezzo detestato da Pavese?Forlani ci riesce grazie a un delicato gioco di specchi,
di storie che si riflettono in altre storie, e così facendo recuperano la dimensione umana
della morte di Pavese, attraverso la calcificazione del mito, un’incrostazione così ostinata
da far sì che il nome stesso dell’hotel torinese “teatro degli accadimenti” sia mutuabile con
“quello del suicidio di Pavese” (e a suggellare la cosa, una mostra d’arte contemporanea
di recente ha esposto immagini dell’albergo proprio in quanto quello dove si verificò la
famosa morte).
Così François vuole raccogliere materiali su Pavese e la sua morte, sì, ma per parlare di
Costance e di sua sorella Doris, l’attrice di «Riso Amaro»; per parlare cioè di amore,
l’amore da cui si fugge, quello che finisce come è per François, che si rispecchia in un
altro amore che inizia, quello tra Angelo ed Helena, esuberante e limpido, ma anch’esso
circondato dal fantasma di Pavese.Ma è anche Torino, la città “rumorosa e caotica” della
produzione industriale, quella che Pavese amava assai più delle Langhe e di Santo
Stefano Belbo, che si rispecchia nei figli del Sud che ne hanno fatto una città ricca con la
fatica del proprio lavoro: emigrati come Angelo, che viene da Caserta, più precisamente
da Casapulla, ma è meglio dire Casagiove (leit motiv dell’incipit, che nella comicità della
“nascita stronza” che si oppone alla morte ridicola lascia intravedere un omaggio a
Kundera). Ma il Sud si rispecchia in Torino anche nelle facce dei figli degli emigrati, una
nuova genia dai tratti meridionali e dall’accento piemontese, vero sangue che scorre nelle
vene di questa città, una città non bella ma in grado di farsi amare, una città che – come
dice Franco Lacecla – sogna altre città, capitali come Vienna o Parigi, e che è in grado di
replicarne a tratti la bellezza. E poi ci sono gli altri emigrati, quelli di oggi, gli “irregolari”,
ma anche quelli che il permesso di soggiorno ce l’hanno, come Helena, ragazza albanese
arrivata con la prima grande ondata che attraversò l’Adriatico. E la sua immigrazione che
si rispecchia in quella di Angelo.E ancora le storie di Angelo e di François che si
rispecchiano l’una nell’altra, lato A nel lato B, la ricerca cosciente, analitica, che si riflette
in quella casuale, affettiva, due strade che alla fine si incontreranno nell’unico posto che la
vita moderna ancora concede all’incontro tra anime (quell’incontro, cioè, in grado di saltare
i tempi delle convenzioni e i costrutti delle parole): il bancone di un bar.Di notte, il bancone
del bar dell’albergo, diventa uno squarcio nello spazio-tempo delle tante vite e storie che si
rincorrono nel libro, ma anche l’unica possibile ricucitura tra i diversi piani temporali, quelli
sfalzati dei due protagonisti, e quello di Pavese ancora più lontano, che si riconnettono
ognuno a modo suo con un ulteriore piano, quello del mito del poeta, o del mito della sua
morte, fuori dal tempo dell’esistenza ma niente affatto fuori della storia.E così si può
proseguire in un gioco potenzialmente infinito di rifrazioni. Come quello della confraternita
di Angelo, che rispecchia quella di Pavese, ed entrambe che si rovesciano nella solitudine
di François. E infine i dialoghi tra Angelo e François, quello spessore millesimale del disco,
che non è né il lato A né il lato B ma ne costituisce l’incontro e la fusione, e dove è più
facile leggere in filigrana quella che è la voce autentica dell’autore, a sua volta soggetto
attraversato da molteplici identità che si riverberano nel testo: figlio del Sud, parigino
d’adozione, torinese per elezione, scrittore per volontà, performer per vocazione, umorista
per natura.
Questo romanzo di Forlani si inscrive in una dimensione della letteratura che utilizza la
scrittura, per così dire, come una “riparazione”. Una riparazione rispetto al destino di
Pavese; non tanto a ciò che gli è successo, ma a come questo destino è trasfigurato
passando di bocca in bocca, di penna in penna. E ciò è tanto vero per il destino di Pavese
vivo, che si incrocia con le considerazioni dei protagonisti sull’amore, che per il destino
Pavese morto, alle prese con la genesi di un mito che non lo riguarda, attraverso quei
“pettegolezzi” che voleva lontani da sé.Nella sua ricerca François – e questo è un aspetto
fortemente simbolico – non entrerà mai nei luoghi del mito: non entra nella casa di
Pavese, come non entra nella camera d’albergo, la 313 o la 346 che sia. François non
“consuma” la full experience del macabro turismo letterario. Preferirà starsene ai margini,
sul confine, senza però oltrepassarlo, rispettando quel sentimento di pudore caro allo
scrittore piemontese. Per avvicinarsi alla sua vita, non quella raccontata, ma quella vissuta
davvero dal poeta, è necessario operare uno scarto rispetto alla sua immagine, bisogna
stare al margine del racconto ufficiale, del mito. E nel farlo, occorre usare la pazienza e la
delicatezza che ci sono voluti nel recuperare i manoscritti di Pavese dal fango che li aveva
inghiottiti a causa di un alluvione, per evitare che l’acqua ne sciogliesse l’inchiostro.Allo
stesso modo, sottrarre la sua morte al mito, standone al margine, significa recuperare la
sua vita, sottraendola al fango del chiacchiericcio dal sapore di celluloide, che trasforma
persino la morte di una Costance Dowling malata in un romantico schianto automobilistico
alla Thelma e Louise. Sottrarre. Sottrarre dall’ombra del pettegolezzo per illuminare quella
esperienza umana con un senso di tragica ma dolce inevitabilità, quello che si scorge tra
le parole che aprono il biglietto di commiato lasciato da Pavese, la frase interrogativa che
precede il monito sui pettegolezzi e che Forlani sceglie di non riportare mai nel suo libro:
“Perdono tutti e a tutti chiedo perdono. Va bene?”
Questo tentativo di riparazione di stampo benjaminiano che pervade il romanzo, dove il
progresso (evocato dallo stesso Forlani) avanza schiacciando ciò che c’è di prezioso
lungo il cammino, non si limita alla figura di pavese, ma si estende alle varie rifrazioni della
storia, alle moltepolici storie, ai molteplici personaggi. Non si tratta però di un’ansia di
ricostruzione impossibile e dal piglio moralizzante, ma un delicato tentativo di riparazione,
di guardarsi indietro pur sospinti in avanti, e cercare così, per chi è rimasto indietro, un
riscatto.Lo sanno bene i personaggi più “popolari” del romanzo di Forlani, la confraternita
di Angelo, nuova classe operaia di un’epoca in cui la classe operaia non esiste più. È da
quelle riflessioni conviviali e picaresche che esce l’idea, meglio, la sensazione, che oggi i
poveri svolgono un ruolo rinnovato per i ricchi, non solo servono a produrre, ma li aiutano
ad essere felici. Sono dei moderni intrattenitori, in questa società dello spettacolo diffuso.
Un tempo gli operai si riconoscevano dalle facce incazzate, scrive Forlani; noi, invece,
moriremo ridendo.
[testo letto alla presentazione del libro, al Tuma's book bar di Roma, il 13 dicembre 2008]

SABATO 6 DICEMBRE 2008
Autoreverse di Francesco Forlani


"Ma se 'tacere è la nostra virtù', come avvertiva nella prima poesia di
Lavorare stanca, perché andare alla ricerca della sua voce? Non sono
mai finite le strade che conducono a Pavese, a questo o a quel cimelio
d’asfalto o di polvere, all’uomo o allo scrittore, o, chissà, all’uomo e allo
scrittore. Ultima scommessa, fresca di stampa, nel centenario della
nascita, Autoreverse di Francesco Forlani (L’ancora del
Mediterraneo). Un esordio che ha la forma di una inchiesta
romanzesca, dove i documenti si intrecciano con l’invenzione, talvolta di
claudicante respiro (il giallo architettato intorno ai gioielli). Qui si narra di
un portiere d’albergo - non comune l’albergo, il Roma in piazza Carlo
Felice, a Torino, dove l’autore della Bella estate ingollò un tubetto di
barbiturici il 27 agosto 1950 - in dialogo con un bricoleur francese alla
ricerca della 'mitica' favella, di un nastro che ne custodisca il timbro.
Esiste? Riuscirà nell’impresa, magari tentennando in una città che non gli
si spalanca, che lo depista, capitale com’è della dissimulazione? C’è
almeno un motivo per conservare Autoreverse, a modo suo un
divertissement, un appetibile 'collage'. (Si pensa, avanzando, a una
composizione di Flavio Costantini: Moby Dick, la chitarra di Pablo, gli
occhiali di Cesare ...). E’ la pagina di diario, finora inedita, di Massimo
Mila, in arrivo dall’Archivio di Stato, la cronaca del funerale di Pavese:
'Quando tutte le corone sono ammucchiate sul tumulo, Einaudi, Giolitti e
Bobbio insistono ancora perché dica qualcosa ...'. Non dimenticando la
testimonianza di Dada Grimaldi (che lavorò con Visconti ai dialoghi di
Ossessione): 'La sera prima del terribile gesto era venuto da noi, (...) poi
aveva assolutamente voluto leggere un passo dal Macbeth di
Shakespeare. Quello che si conclude con la celebre formula 'tomorrow
and tomorrow and tomorrow' (lo Shakespeare che offre l’epigrafe di
La luna e i falò: 'Ripeness is all'). 'Tomorrow', scendendo nel gorgo
muto, come un contadino di Santo Stefano Belbo. 'Facciamo come
voleva lui e ricordiamolo in silenzio', ancora rintocca la voce di Massimo
Mila, oratore malgré lui in quell’ultima, estrema estate." (da Bruno
Quaranta, L'inedito addio di Mila a Pavese, "TuttoLibri", "La Stampa",
06/12/'08)


PAGINE DI NATALE IN LIBRERIA CON DIECI FIRME


La lista raccomandati dei
I prescelti? Carteggi amorosi e
autobiografie di comici romanzi on the road
e versi da imparare a memoria



Consigli doc «senza invidia». Abbiamo chiesto a dieci noti autori, in libreria
con i loro nuovi titoli, di suggerire come regalo il libro di un collega scelto fra
quelli usciti nell' ultima stagione. Ecco che cosa ci hanno risposto... Pagine di
Natale In libreria con dieci firme La Szymborska a chi studia lingue «Il mio
caduto, il mio tornato polvere / assunto l' aspetto che ha nella fotografia...», è
la grande voce di Wislawa Szymborska. Curato da Pietro Marchesani è uscito
Opere (Adelphi), con tutte le poesie, alcune prose e un' intervista. Testo
polacco a fronte: lo regalerei a chi studia le lingue partendo dalla poesia.
Paolo Nori Consiglio Milano fantasma di Michele Mari e Velasco Vitali, (Edt)
perché i dipinti di Vitali delineano il profilo di una città fantasmatica, mentre
gli scritti di Mari hanno un sapore surreale, quasi buzzatiano. Un libro adatto
ai sognatori senza età e a chi ama la Milano dei vecchi tempi, quella cantata
da Jannacci. Monologo poetico per mia mamma Scelgo La fondazione di
Raffaello Baldini (Einaudi), piccolo capolavoro di uno dei più grandi poeti
italiani. Protagonista del monologo è un signore che non butta via niente, una
mania che lo ha fatto rimanere solo. Sta per morire e si chiede «Dove la metto
tutta sta roba?» e sogna di aprire una fondazione. Forse lo regalerò a mia
madre. Sandrone Dazieri Come fare felice l' amico cinefilo Non perdete Io,
ciccione di Jerry Stahl (Mondadori), finta autobiografia di Roscoe «Ciccione»
Arbuckle, comico molto popolare intorno agli anni Venti. Una lettura
commovente e un ottimo spaccato del periodo del cinema muto. Se avete un
amico cinefilo, ecco il regalo che fa per voi. Andrea Vitali È difficile parlare d'
amore senza essere banali, ma in Storia di un matrimonio (Adelphi) Adrew
Greer ci riesce. Siamo in tanti a non rassegnarci all' idea che la persona che ci
è più vicina sia quella che conosciamo di meno. Da regalare all' amato. Vivian
Lamarque Milano surreale quasi buzzatiana Gianni Biondillo Piccole case
editrici nascondono tesori Autoreverse di Francesco Forlani (Ancora del
Mediterraneo) è una storia appassionante costruita attorno all' incontro tra il
portiere di notte dell' Hotel Roma di Torino, dove si uccise Cesare Pavese, e
un letterato specializzato nell' opera dello scrittore piemontese. È l' occasione
per scoprire i «tesori» delle piccole case editrici. Giuseppe Genna Fantastico
esordio stile Márquez Regalerei Il tempo materiale di Giorgio Vasta
(Minimum Fax): l' autore, 38enne, possiede una capacità di scrittura e uno
stile formidabili. Ricorda García Márquez ma in una chiave «infernale». Tre
ragazzini nella Sicilia di fine anni ' 70 decidono di formare una banda armata.
Per chi non vuole perdersi uno dei migliori esordi dell' anno. Tiziano Scarpa Il
cuore della poesia da Catullo ai Salmi Consiglio Trafitture di tenerezza
(Einaudi) di Guido Ceronetti perché in questo libro ha scelto le sue migliori
traduzioni di poesia, da Catullo ai Salmi, alla Bibbia. In poco più di un
centinaio di pagine c' è il nocciolo della poesia che lo ha attraversato e di cui
lui è stato il filtro. Un libro raro, scopri che la poesia è tutta contemporanea.
Benedetta Cibrario Lettere d' amore negli anni Trenta Certi libri sono belli fin
dal titolo: è il caso di Una parentesi luminosa di Marella Caracciolo Chia
(Adelphi), che nasce dalla scoperta del carteggio e della breve ma intensa
storia d' amore tra Vittoria Colonna e Umberto Boccioni. Il libro ha un'
incantevole leggerezza di tocco nel ritrarre lo scorcio di un' epoca stretta tra
due guerre. Antonio Scurati Tema apocalittico ma è un capolavoro Incoraggio
la lettura di un capolavoro del genere apocalittico, il celebre La strada di
Cormac McCarthy (Einaudi). Un padre e un figlio viaggiano in un mondo
ridotto in cenere, trascinando con loro tutto ciò che ha ancora valore: come il
cibo o la pistola con cui difendersi. E, soprattutto, il loro reciproco, disperato
amore. Chiara Gamberale Quanti misteri tra moglie e marito Hanno
collaborato Alessandro Beretta, Severino Colombo, Carlotta Niccolini

Niccolini Carlotta

Pagina 15(20 dicembre 2008) - Corriere della Sera

“..e Cesare perduto nella pioggiasta aspettando da sei ore il suo amore
ballerinae rimane lì a bagnarsi ancora un po'e il tram di mezzanotte se
ne vama tutto questo Alice non lo sa”

Francesco De Gregori, 1973

in una strofa di questo brano De Gregori canta la prima delusione
amorosa di un Cesare Pavese che, ancora diciassettenne, aspetta invano
sotto la pioggia l'arrivo della sua Pucci.

Poi prenderà il tram, zuppo di pioggia e delusione ... ma questo, Alice,
non lo sa.



                    Autoreverse di Francesco Forlani
                L’ancora del mediterraneo Odisseo, 2008
In libreria in una di quelle visite in cui vorresti trovare mille
argomenti per non andar via, tra gli scaffali, per caso, lo
sguardo s’insinua nel foro circolare di una copertina bianca,
dietro la quale un vecchio telefono a muro invita
tacitamente nel passato: è un attimo, un tuffo, siete
nell’Autoreverse.
Lato A

“Mi chiamo Angelo Cocchinone e sono di Casapulla, per
poco.”

Una voce, la prima, ne percepisci subito la musicalità
dell’accento: “napoletano di Caserta”.

Il linguaggio è semplice: frasi brevi, ironiche, incisive,
miniature di paesaggi che si materializzano davanti agli
occhi e capisci subito che sarà Angelo che ti condurrà sulla
soglia del mistero, alla porta di quella stanza dove tutti
vogliono pernottare, all’Hotel Roma, a Torino, dove Pavese
volle lasciare alla reception il suo ultimo autografo.

Lato B

Una donna: Juliette, di Montepellier, al telefono dialoga
con un uomo – François – un intreccio di voci, un’unica
ossessione, trovare “… la voce di Pavese”.

Dall’intreccio di questi due Lati, approfonditi / alleggeriti
dai cinque dialoghi dall’autore posti come “entracte”, non
solo si ascolta/assiste alla ricostruzione di alcuni aspetti e
momenti della vita dello scrittore e del destino delle sue
opere nella lettura che di esse fanno magistralmente i
personaggi, quanto del suo carattere, ove per carattere
non intendiamo solo temperamento e stile, ma quel tratto
unico che lo contraddistingue e che lo fa essere
irrimediabilmente se stesso, ciò che Forlani chiama
inequivocabilmente “la voce”, la “sua”.

I personaggi infatti non giocano soltanto il ruolo all’interno
della propria storia, ma insieme interpretano Pavese nelle
“figure” a lui più care, come quella dell’espatriato, in cerca
di fortuna lontano dalle proprie origini e che trova solo in
esse, amate e misconosciute, ricordi e legami. Così Angelo,
annoiato dalla solitudine della grande città, che imparerà
ad amare come “doppiamente casa … perché l’avrai
deciso”, trova negli amici, migranti come lui, sfogo
all’immenso desiderio di comunicare, attraverso il dialogo,
la musica, il racconto, la complicità nel segreto, il calore
dell’amore.

Una costante, l’amore, che attraversa come una lama
l’intera vita di Pavese: “Non ci si uccide per amore di una
donna. Ci si uccide perché un amore, qualunque amore, ci
rivela nella nostra nudità, miseria, inermità, nulla” – una
costante non trascurata neppure dal nostro autore, che per
dare “calore” ad una voce dai più ricordata come:
“sommessa, oserei dire persino monotona, senza toni alti.
(…)” – con discrezione suggerisce immagini, dai colori e
dalle sfumature diverse, per aiutarci a coglierne, ancora
una volta, la vera, ricca ed intensa, irriducibile, tonalità.

“La questione chiave non è l’incontro con una donna, con
l’amore, ma esserne degno”:

“E’ sparita ed era giusto. Che cosa ne avrei fatto tanto?
[…]. Se la più bella delle donne che mi passano accanto per
la strada volesse me, me me solo, che cosa ne farei tanto?
Io non so cosa sia questa maledizione che ho indosso.
Questa domanda che non mi lascia adorare in pace più
nulla e nessuno.”

In questo costante restituire la parola a Pavese
l’autoreverse assolve in modo esemplare il proprio
compito: non chiacchiere di salotti, non “pettegolezzi”
sterili, ma ascolto, sguardo, su qualcosa che si delinea
come inafferrabile e che nel suo volerlo essere e rimanere,
viene rispettata fino in fondo.

Così l’autoreverse si conclude con la stessa immagine che
ci rapì all’inizio e ci immerse nel “nastro”, un telefono, non
ormai irrimediabilmente silente, ma una voce, un amore, la
speranza, la vita, una possibilità di riscrivere le proprie
origini, di salvarsi dall’oscurità della notte, nel racconto e
grazie ad esso:

“La vera sfida in verità è stata un’altra – dirà François - ma
in quel momento non ne ero consapevole. Mi sono salvato
dalla notte che mi voleva assassino, per una serie di
circostanze. Grazie ad una persona sola. Alle storie che una
persona porta in sé.”

Con questa frase l’autore restituisce ancora una volta la
parola al poeta … un passo indietro, non si può mai
descrivere del tutto una voce, definire un’identità, risolvere
un mistero, così come non si può farlo con un profumo, ci
si può semplicemente inebriare.
Filosofipercaso


[Sempre vieni dal mare]

Sempre vieni dal mare e ne hai la voce roca, sempre hai occhi segreti
d'acqua viva tra i rovi, e fronte bassa, come cielo basso di nubi. Ogni
volta rivivi come una cosa antica e selvaggia, che il cuoregià sapeva e si
serra. Ogni volta è uno strappo, ogni volta è la morte. Noi sempre
combattemmo. Chi si risolve all'urto ha gustato la morte e la porta nel
sangue. Come buoni nemici che non s'odiano piùnoi abbiamo una stessa
voce, una stessa pena e viviamo affrontati sotto povero cielo. Tra noi
non insidie, non inutili cose - combatteremo sempre. Combatteremo
ancora, combatteremo sempre, perché cerchiamo il sonnodella morte
affiancati, e abbiamo voce roca fronte bassa e selvaggiae un identico
cielo. Fummo fatti per questo. Se tu od io cede all'urto, segue una notte
lunga che non è pace o tregua e non è morte vera. Tu non sei più. Le
braccia si dibattono invano. Fin che ci trema il cuore. Hanno detto un tuo
nome. Ricomincia la morte. Cosa ignota e selvaggia sei rinata dal mare.

C. Pavese


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falso d’autore
inediti dell'apparenza

Francesco Forlani : Autoreverse
Febbraio 16, 2009 in conversazioni, letture | Tags: autoreverse, f.forlani, letture, pavese




Io in una camera d’albergo ci sono nata. La numero 16. E sotto c’era il mare.
Mi è sempre piaciuto pensare che l’appuntamento fra quell’evento insolito e il
mare avesse un significato, che in qualche modo dovesse incidere sul corso
della mia esistenza,o forse che la mia stessa esistenza potesse essere la
ricerca di quel senso. Ma questo ancora non lo so. Ora quella camera è un
ristorantino dal romantico nome “Rendez-vous”. Appuntamento. Anche
“Autoreverse “sembra segnato dagli incontri. Infatti tutto inizia in un albergo,
quello dove Pavese decide di togliersi la vita. Strano per me pensare anche a
questo incontro fra il nascere e il morire che si consumano entrambi in una
camera di un hotel, luogo che più di ogni altro dà un’idea di provvisorietà, di
transito, in cui la vita diventa per l’uno e per l’altro quella cosa che non c’è, un
tempo che accadrà o che non accade più.In realtà sia il romanzo sia ciò che ne
ha preceduto la mia lettura sembra accompagnato da una sorta di segnali di
predestinazione. Il primo risale ad alcuni mesi fa, prima ancora che il libro
uscisse nelle librerie. In quel periodo rileggevo “Lavorare stanca” e scrivevo
cose del tipo “leggo Pavese senza un perché solo per mettermi dentro l’aria e
non sentire le voci dei muri…” e più o meno nello stesso periodo mi capitò di
leggere uno stralcio del romanzo che Francesco Forlani aveva pubblicato in
rete. Mi colpì che fosse la voce di Pavese e la sua ricerca, da parte dell’autore-
personaggio, ad essere il perno intorno al quale la storia ruotava.La voce è una
di quelle cose che più somigliano allo scrivere. Ognuno ascolta e riconosce la
propria voce, ma non quella che gli altri percepiscono. E nella voce di un poeta
è forse racchiuso il segreto più intimo della sua poesia. Mi colpì di quel brano
anche la scrittura quasi tenera, sospesa, come se volesse cercare di non
violare la morte con quel suo scavare - non fate troppi pettegolezzi-Quando
qualche giorno fa ho iniziato a leggere “Autoreverse” però mi prende una sorta
di delusione, che non è una vera e propria delusione, ma piuttosto un mettermi
sulla difensiva.Il primo capitolo si apre infatti con una presentazione. Angelo
Cocchinone inizia a parlare di sé. In modo quasi istantaneo nella mia testa la
“voce” di Angelo inizia a risuonare con una marcata inflessione napoletana.
Che l’autore avesse origini campane non era un mistero per me e in questo
nulla di male c’è, lo sono anch’io tra l’altro, ma mi spiazza in un primo tempo il
pensiero di essermi sbagliata e di ritrovarmi fra le mani l’ennesimo libro che
cavalca l’onda di una certa napoletanità che trainata dagli ultimi successi di
Antonio Pascale sembra essersi scatenata fra gli scrittori campani. La mia
momentanea apnea è dovuta alle perplessità che nutro a volte di fronte ad un
tipo di linguaggio che a mio avviso si presta a cedere nel tempo, non perché
manchi d’intensità o spessore ma perché quella stessa struttura linguistica
finisce col formare come un velo trasparente attraverso il quale è possibile
seguire la narrazione ma impedisce di penetrarla oltre la superficie. Ma forse
questa è solo una mia idiosincrasia.Comunque continuo la lettura anche perché
Angelo fa il suo ingresso e mi introduce al romanzo in modo ironico, divertente
e quasi un po’ timido laddove fa un breve accenno alla sua Helena, altro
personaggio che si aggiungerà alla narrazione in seguito, che mi ricorda, con
quel suo rallentare quando la incontra sul suo tragitto, la strategia disegnata
da Pessoa per stare più a lungo con l’amata.Angelo è il portiere di notte
dell’Hotel Roma. Francois ha prenotato la camera di Pavese per la sua ultima
notte in Italia. Francois è uno scrittore. Francois è alla ricerca di quella voce,
quella di Pavese, quasi volesse trovare in essa il senso di quella morte.Ho
accennato all’inizio di essere nata in una camera d’albergo e più precisamente
in quello gestito da mio nonno, quindi lì ho trascorso anche gran parte della
mia infanzia. Conosco il fascino delle portinerie, di come da dietro i banconi di
legno tutto appare diverso, so l’odore che si respira ai piani quando le donne
vanno su e giù per riordinare le stanze, i rumori delle cucine.È un universo che
vive parallelo e sconosciuto a quello che vive per chi vi soggiorna da cliente.Ed
è in questo mondo che si muovono i personaggi di Autoreverse, giunti lì, prima
ancora che da una Torino che incombe fuori con le sue linee rette e che quasi
sfugge, da altri luoghi più o meno a Torino distanti.Sono tutti emigranti, tutti
lontani dagli affetti, dalle mura familiari, sospesi, anche chi scrive e indaga e
cerca.Ed ecco che ritorna il tema dell’incontro. L’Hotel Roma si fa crocevia, e è
qui che gli eventi si dipanano in equilibrio fra questi due mondi gemelli. Due
angolazioni, due lati, uno a e l’altro b della stessa storia. Come un nastro da
sbobinare.Ma come entra Pavese in tutto questo?Credo che il punto di partenza
del romanzo sia proprio in quelle ultime righe che Pavese scrive nella stanza
313, prima di togliersi la vita - non fate troppi pettegolezzi -Poche parole,
ingenue quasi, di sicuro semplici. Proprio come questi personaggi che si
ritrovano a condividere il peso di quella morte ma anche a proteggere quelle
ultime volontà, quasi a prendersi cura di lui, Pavese, come fosse un cliente che
ha semplicemente lasciato la camera lasciando qualcosa che gli era
appartenuta.In quella camera Francois non entrerà. La camera stessa, a cui è
stato cambiato il numero diventando la 346, nel corso del romanzo diventa
così essenza di un luogo che è stato protagonista casuale di un evento, ma che
nella sua oggettiva anonimità perde ogni incidenza su quella morte, ma
permeerà gli amori, le delusioni, le amicizie, perfino i segreti dei personaggi
che cercheranno invece di preservarla dallo sciocco fanatismo.Pavese, con i
suoi tormenti, i suoi amori, la sua scrittura, entra nelle loro vite come una
presenza, sì inquieta, ma non come un’assenza nel vuoto di una stanza e alla
quale si debba trovare una giustificazione, ed è ascoltandone le storie, fra
presente e passato, che l’autore percorre gli ultimi giorni di Pavese.Il respiro
delle loro vite diventa quello di Pavese, e forse quello dello stesso autore che
crea un tessuto narrativo in cui di volta in volta assume il ruolo di personaggio
e di autore del romanzo stesso, ma le sue mille sfaccettature ne fanno una
sorta di alter- ego di tutti i personaggi, e la ricerca della registrazione della
voce di Pavese, passando attraverso l’incontro con quell’universo parallelo che
orbita fra la portineria e i piani dell’Hotel Roma, diventa la ricerca di
quell’innocenza che quella voce racchiude e che appartiene alla scrittura stessa
di Pavese, diventando così pretesto per la ricerca della propria innocenza sia
come scrittore che come uomo.




http://www.ibs.it/code/9788883252389/forlani-francesco/autoreverse.html




http://www.anobii.com/books/Autoreverse/9788883252389/01bb84eb44862c
5b20/
5




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 la solitudine affocata della bella estate
libro imperfetto ma vitale, divagazioni tra romanzesco e cronaca nell'hotel
dove si suicidò Cesare Pavese. La ricerca vana della sua voce, i documenti, le
lettere, qualche pettegolezzo."Martedì 29 agosto 1950. Oggi sepoltura di
Pavese. Partiti alle quattro dagli uffici Einaudi. Gran corteo a piedi per via
Arsenale, con sosta sotto la sede della Casa editrice, fino a piazza San Carlo.
Poi
P     in auto al cimitero".
                                                                 T
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― aleciccio detto il Jan 7, 2009 | 3 feedback
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Libro scorrevole e semplice, una lettura piacevole da poter fare
tranquillamente dovunque.Scrittura ironica e coinvolgente, ricchezza di
particolari sia nella descrizione dei luoghi sia in quella dei personaggi che si
susseguono nell'albergo.Un vortice di emozioni, voci e volti. In questo libro si
intrecciano le vite dei due protagonisti: Angelo, immigrato del meridione,
portiere di notte all'Hotel Roma a Torino, dove lo scrittore Cesare Pavese si è
tolto la vita e François, uno scrittore francese che a conclusione della ricerca
di una registrazione della voce dello scrittore, decide di passare la notte nella
"camera di Pavese".Apparentemente i due protagonisti non hanno nulla in
comune, discutono di molte cose, ma alla fine i loro discorsi si ricollegano a
Lui."svegliarsi a Torino è un atto di volontà, un gesto dovuto ma non
desiderato, una bestemmi lanciata a Dio e ai padroni.C'è perfino una
specialità di dolci che si chiamano crumiri.Allora sai che ti dico?Buongiorno,
governo
g          ladro."
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― tittin@ detto il Nov 30, 2008 | 2 feedback
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Da leggere!
Si tratta di un libro molto ben costruito, due storie parallele e tante storie
nella storia, tanti dialetti, tante voci. La storia ti prende fin da subito e ti
sorprende fino alla fine. Così che alla fine vien voglia di visitare un certo
ristorante
r            in collina, o di ascoltare davvero una certa voce.
                                                                         T
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― Loredana detto il Jan 6, 2009 | 1 feedback
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le voci di dentro e le voci di fuori

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                                A
― geppi detto il Dec 28, 2008 | Aggiungi la tua opinione
.
il dono della parola
una costellazione disperata e serena un piccolo mare al quale la scrittura parla
come fosse un cuorei silenzi non vanidi ritmo e respiroun respiro amico che
risale
r        incredibile dal tempo andatoun piccolo grande dono
                                                                         Ti è d'aiuto questo?
― Doarki detto il Dec 17, 2008 | Aggiungi la tua opinione




FUORI ORARIO - Ore 22Taneto di Gattatico MODENA CITY RAMBLERSGiornata del
raduno nazionale dei fans della Grande Famiglia - Possibilità di pernottare gratuitamente
in palestra. Prenotarsi chiamando lo 0522.671970 in orari d'ufficio Ore 19 - sala stazione:
Aperitivo con le prelibatezze del Fuori Orario in compagnia dei MCR Un libro per aperitivo:
"Autoreverse", L'ancora del Mediterraneo" di e con Francesco Forlani. Andrea Inglese
presenterà il libro di poesia La distrazione (Sossella, Roma, 2008). Ore 20,30 Apertura
punto ristoro. Per prenotare: 0522.671970 Ore 22 Sala treni Concerto dei MODENA CITY
RAMBLERS Dalle 01,00 si balla con : sala stazione Marco Pipitone - sala treni - Robby -
area binari - Tano




Questa sera alla Loggia
presentazione di "Autoreverse"
Questa sera alla Loggia de Banchi, nel centro storico cittadino, verrà presentato il
libro "Autoreverse" di Francesco Forlani, edito da L'Ancora Mediterraneo (€ 13.50).
Angelo e François, al bancone del bar, parlano e bevono. Si sono conosciuti alla
reception dell'Hotel Roma, l'albergo dove Cesare Pavese si è suicidato. Lì Angelo,
immigrato meridionale, fa il portiere di notte e François ha prenotato per la sua
ultima notte in Italia la camera "di Pavese": era qui alla ricerca dell'unica
registrazione, forse dispersa, con la voce dello scrittore. I due fanno amicizia e,
come in un vecchio nastro, le loro voci si alternano e si incrociano: si raccontano dei
rispettivi paesi, delle loro vite, delle occasioni avute e di quelle perse... ma i loro
discorsi tornano sempre a lui, a Pavese, alla sua scrittura, ai suoi amori infelici.
Come quello per Constance Dowling, l'attrice americana alla quale fu legato e la cui
figura è divenuta per François altrettanto ossessionante della voce dello scrittore. E
poco per volta la vita di Pavese diventa sempre più presente nella quotidianità
dell'albergo, permeando le storie di dipendenti e ospiti, tra amori e matrimoni,
eventi apparentemente misteriosi, speranze e tradimenti... Con una scrittura ironica
e coinvolgente, il romanzo diventa l'invenzione di un registro narrativo originale
dove in un gioco delle parti storie e personaggi si intrecciano in continuazione.
Sarà presente l'autore, presenterà la serata Marco Rovelli e Giambo.

22/01/2009 15:42:15
Redazione
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“Autoreverse” a Milano
Posted by lapoesiaelospirito on February 15, 2009



Lunedì 16 febbraio alle ore 18.30 presso la Libreria Equilibri, via
Rodolfo Farneti 11 (MM Lima), a Milano, Helena Janeczek e Giorgio
Morale presentano Autoreverse (ed. L’ancora del Mediterraneo
2008) di Francesco Forlani.


Libreria Odradek Via principe Eugenio 2820155 Milano02
3
314948odradekmilano@tele2.it

http://www.odradek.it/html/librerie/libreriamilano.html

V
Venerdì 27 febbraio, alle ore 18Andrea Inglese e Francesco
Forlani discutono i propri libri La distrazione (Luca Sossella editore) e
Autoreverse (L'Ancora del Mediterraneo).




Giovedì 25 Dicembre 2008
Francesco Forlani presenta il libro “Autoreverse”

LIBRI | S.Maria C.V. – Uno scrittore, ma anche cabarettista e performer. Un
secondo scrittore. Uno stilista. Il ricordo di Cesare Pavese. La vita di un portiere
d'albergo laureato. L'ossessione di un giornalista. Donne belle e algide. Ragazze
appassionate. Casapulla, Casagiove, Caserta, Torino e Parigi. La stanza 313
dell'Hotel Roma. La stoffa su cui s'incidono le trame di tante storie legate da un filo
rosso. Sono questi e molti altri gli ingredienti della serata "Autoreverse", dal libro di
Francesco Forlani (appena pubblicato dall'ancora del mediterraneo), che sarà
protagonista lunedì 29 dicembre alle 19.00 nella libreria Spartaco-Interno4 di via
Martucci a Santa Maria Capua Vetere. Suo "supporter spirituale" lo scrittore Paolo
Mastroianni; a Giovanni Battista Orsi, stilista della casa di moda Valentino, il
compito di ordire trame destinate a lasciare traccia.La performance di Forlani e la
presentazione del suo libro fresco di stampa saranno l'occasione per brindare ai due
anni della libreria e per scambiare gli auguri di buon anno con gli amici di
"Spartaco" e gli amanti della buona lettura. Il libroAngelo e François, al bancone del
bar, parlano e bevono. Si sono conosciuti alla reception dell'Hotel Roma, l'albergo
dove Cesare Pavese si è suicidato. Lì Angelo, immigrato meridionale, fa il portiere di
notte e François ha prenotato per la sua ultima notte in Italia la camera "di Pavese":
era qui alla ricerca dell'unica registrazione, forse dispersa, con la voce dello
scrittore. I due fanno amicizia e, come in un vecchio nastro, le loro voci si alternano
e si incrociano: si raccontano dei rispettivi paesi, delle loro vite, delle occasioni
avute e di quelle perse... ma i loro discorsi tornano sempre a lui, a Pavese, alla sua
scrittura, ai suoi amori infelici. Come quello per Constance Dowling, l'attrice
americana alla quale fu legato e la cui figura è divenuta per François altrettanto
ossessionante della voce dello scrittore. E poco per volta la vita di Pavese diventa
sempre più presente nella quotidianità dell'albergo, permeando le storie di
dipendenti e ospiti, tra amori e matrimoni, eventi apparentemente misteriosi,
speranze e tradimenti... Con una scrittura ironica e coinvolgente, il romanzo diventa
l'invenzione di un registro narrativo originale dove in un gioco delle parti storie e
personaggi si intrecciano in continuazione. L'autoreFrancesco Forlani (Caserta
1967) vive e lavora a Torino. Autore del "Manifesto del comunista dandy" (Camera
verde), è uno dei redattori storici di Nazione Indiana.
Fonte : comunicato stampa



Eventi alla Libreria Guida di Capua: Febbraio
19 febbraio
Incontro con Francesco Forlani, scrittore e straordinario performer, per la
presentazione di "Autoreverse", accompagnato dalla musica dei Ringe Ringe
Raja, e con la moderazione di Marilena Lucente Libreria Guida Capua e Ex Libris
caffè-ristorante

Lunedì 2 febbraio, a partire dalle ore 21.00 – presso il B ART, Alzaia Naviglio Grande
54, Milano – B ART e MacchiaUmana presentano:
CARTA CANTA E FONDALI DI BOTTIGLIE
Parolerie, letture, gesti inconsulti e squarci dalla narrativa contemporanea.Ogni due
lunedì, tra performance vocali e musicali, in compagnia di autori e urlatori da bar, e la
prospettiva di una sana e prolungata ebbrezza, si darà una sbirciata a quanto di più
interessante si muove nel magma editoriale italiano.
Lunedì 2 febbraio secondo appuntamento con:
VOIX OFF
Concerto a più voci di Autoreverse un romanzo di Francesco Forlani - ed. Ancora del
Mediterraneo.
Musica: Luigi Carrozzo - Parole: Francesco Forlani e Fernando Coratelli.
Un concerto romanzato sconsigliato vivamente a bambini, astemi e deboli di cuore.
Per informazioni:bart@bartspace.euinfo@macchiaumana.com
                  b

 11 marzo con Stefano Zangrando Libreria Rovereto Blu
Via Dei Portici
38068 Rovereto

Tel.: (+39) 0464425363

10 marzo con Massimo Rizzante

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  • 1. Rassegna stampa per Autoreverse di Francesco Forlani Radio 3 - Fahrenheit forlani ( 9-01-2009) Francesco Forlani, Autoreverse, L'ancora del Mediterraneo Pp.160, Euro13,50 ascolta "Ho trentadue anni e sono napoletano di Caserta, più precisamente di Casapulla. Cioè, lo ero, visto che adesso vivo a Torino". Cosi si presenta uno dei due protagonisti, nonché una delle voci narranti di Autoreverse, il romanzo del casertano Francesco Forlani che racconta dell'incontro tra Angelo, che fa il portiere di notte e François, scrittore francese che sceglie l'Hotel Roma per la sua ultima notte in Italia. Non è casuale il loro incontro perché l'Hotel Roma è l'albergo dove si uccise Cesare Pavese, e François ha chiesto proprio "la camera di Pavese". Autoreverse costruito sull'alternanza delle due voci dei protagonisti finisce sempre per focalizzarsi su Pavese, sulla sua opera, sulla sua vita, su Costance Dowling, l'attrice americana con cui lo scrittore fu legato. Nel farsi del romanzo il fantasma di Pavese diventa sempre più presente, sembra addirittura dialogare con le vite di tutti gli ospiti dell'ultimo hotel della sua vita. Voci nuove Ricordando Pavese di Craig Martucci ("Il Sole 24 ore", 8 marzo 2009) Perché rileggere Pavese oggi? Perché è un grande ingiustamente passato di moda. Perché appare ancora un maestro di stile in un'epoca, come la nostra, senza stile. Perché infine alcuni fra i suoi romanzi, primo fra tutti Il diavolo in collina, costituicono incontri irripetibili per qualsiasi appassionato di letteratura. Francesco Forlani, nato a Caserta nel 1967, ma trapiantato a Torino, ha riletto a suo modo alcuni aspetti della figura di Pavese nel piccolo romanzo Autoreverse. Ambientato, una notte, al bancone del bar dell'Hotel Roma, l'albergo torinese dove lo scrittore si suicidò nell'agosto 1950. Lì, ai nostri giorni, il portiere di notte, Angelo, casertano - laurea in Lettere moderne inutilizzata - e François, intellettuale e scrittore arrivato dalla Francia e intenzionato a dormire nella camera del suo autore
  • 2. preferito, si incontrano per caso, simpatizzano, si mettono a parlare liberamente di se stessi e della propria vita, così come della vita di Pavese, dei suoi amori e della sua morte. L'ossessione di François - un autodistruttivo tentato di suicidarsi, a sua volta, nella stanza del suicidio di Pavese -, è soprattutto quella della voce dello scrittore. Che non ha mai sentito, anche perché non gli risultano esistano registrazioni sopravvissute agli anni. O forse una, chissà... Come se dalla voce, più che dall'opera, o dal vario materiale biografico, compresi i pettegolezzi, raccolti su Pavese, potesse emergere la fisionomia autentica dell'uomo e dell'autore. Assieme alla verità sul suo rapporto con la bellissima inafferrabile attrice americana Costance Dowling: forse tutt'altro che platonico, come invece dicono i biografi. Con qualche ingenuità nel finale, troppo fitto di colpi di scena, Autoreverse è un buon pastiche romantico su speranze e disinganni dell'esistere. È l'amore a salvare entrambi i personaggi, Angelo e François. Lo stesso amore che sfiorò la vita di quell'altro romantico che, nonostante le molte maschere, appare oggi Pavese. Francesco Forlani, «Autoreverse», l'ancora del mediterraneo, Napoli-Roma, pagg. 160, euro 13,50.
  • 3. QuickTimeª e un decompressore TIFF (Non compresso) sono necessari per visualizzare quest'immagine.
  • 4. QuickTimeª e un decompressore TIFF (Non compresso) sono necessari per visualizzare quest'immagine. Da corriere del mezzogiorno
  • 5. Ci sono culture che vegetano a un gradino inferiore della storia e per esse il problema di maturare, di assurgere a quel virile tragico istante che è l’equilibrio dell’individuale e del collettivo, è lo stesso che per l’anarchico ribelle in calzoni corti il problema di crescere tragico eroe, consapevole della storia. (Cesare Pavese) Biagio Cepollaro, Su Autoreverse di Francesco Forlani, L’ancora del mediterraneo,2008 Le indicazioni di copertina sull’autore Francesco Forlani sono tanto scarne quanto precise: Forlani, viene detto, è scrittore, cabarettista e performer. Le scarne indicazioni di copertina centrano, senza darlo a vedere, un tema fondamentale del romanzo che è quello della voce. Della voce in rapporto al libro, alla scrittura, al corpo dell’autore, alla posizione del lettore, ascoltatore, spettatore, della voce come interpretazione generale della letteratura, luogo intermedio tra verità di una persona e concretezza dell’opera, segno di vitalità e certificazione di senso della letteratura non museificata. Il romanzo si presenta come un’inchiesta-saggio sul suicidio di Pavese. Ma poi si presenta anche come spaccato della Torino post-industriale, dei lavori precari, della polarizzazione della ricchezza e della nuova emigrazione. E ancora si presenta come una storia di amicizia e di amore, come una microstoria di una microsocietà, quella di un albergo, lo stesso della morte di Pavese. Eppure fondamentalmente il tema del romanzo è il senso della letteratura. L’altezza e anche l’enormità del tema permettono a Forlani di crearsi uno spazio di divagazione entro cui far muovere personaggi e registri linguistici guidati dalla voce. La voce come oggetto di ricerca dell’inchiesta sull’esistenza di registrazioni pavesiane, la voce come ordine del parlato che viene trascritto, la voce che permette anche al testo scritto di descrivere paesaggi come può fare il testo scritto. E’ insomma la dimensione orale che assorbe la scrittura e la restituisce. Il senso della letteratura è quello archetipico, quello de Le mille e una
  • 6. notte. Qualsiasi sperimentazione linguistica dovrà discendere da quel senso che viene attualizzato: le storie possono salvare la vita. Le storie poi sono tutte dentro la voce. E’ lei che dice in sintesi le acquisizioni umane e culturali. E’ lei che tiene in vita perché dà la parola al desiderio ed evita il gorgo muto. Pavese, nel corso dell’ultima notte, pare abbia fatto delle telefonate. Sarebbe bastata forse una voce dall’altra parte… Il senso della letteratura non è il mito della letteratura. Hanno bisogno di costruire miti coloro che mistificano la letteratura e ne fanno gossip ante litteram. Chi è dentro la voce non ha bisogno di inventare miti di vita e morte di scrittori, sta ai testi, sta alla voce. Si spiega così il senso del performativo di Forlani che dando corpo alla scrittura ne ribalta le gerarchie: la scrittura torna ad essere fondamentalmente un mezzo di memorizzazione, o una pura potenzialità. Dalla potenza si passa all’atto solo dando voce, cioè respiro a ciò che si pensa e si sente. Allora ciò che si pensa e si sente diventa visibile: questa è la performance. Essa stessa una domanda sull’utilità della letteratura per la vita. Fare a meno dei miti è possibile, insegnano i personaggi orali di Autoreverse. Basta vivere e dar vita alle storie. Comunicare le storie è già infinito trattenimento, è già differimento della morte. La museificazione del libro ne è invece anticipazione. Il linguaggio di Forlani è ricco di calembours, bisticci, equivoci nominali. Ma queste figure retoriche vengono mostrate non come artificio di linguaggio ma come contraddizioni della realtà. Non è l’invenzione della parola a creare paradosso ma è la realtà stessa ad essere paradossale. O anche comica, grottesca, semplicemente ridicola. A cominciare dall’ambiguità della toponomastica, della decisione amministrativa di dare origine ad un nome, ad una nascita, una provenienza. Il cabaret si nutre di questo sguardo che acutamente coglie le bizzarrie della vita presunta normale e ne mostra l’arbitrio e anche la violenza, talvolta. I rapporti di potere, di classe, si sarebbe detto una volta, sono denunciati da questi piccoli dettagli, dal fatto che alle parole non corrispondono le cose. E le cose sono quelle che si esperiscono in vite sottopagate, costrette a ruoli buffoneschi per divertire i signori. L’intera produzione culturale
  • 7. sembra rientrare sotto questo segno clownesco. Il mito serve anche a coprire la nuda realtà di potere. Il cabarettista scopre il gioco infantile e truffaldino dello scrittore. La commedia dell’arte e l’avanspettacolo di tradizione dialettale sono chiamati a suggerire una nuova arte di arrangiarsi da espediente in espediente: non è più arguzia teatrale ma concretezza della sopravvivenza in una città (in un Paese) in dismissione. Il sovversivo si stempera nel tirare a campare e non c’è esultanza consolidata ma solo una felicità discreta costretta a smobilitare per restare tale. Lo scrittore è l’altra faccia del portiere di notte, alter ego nel romanzo, lo scrittore non può separarsi da queste radici vitali, immerse sempre in un adesso, in una condizione servile e nella necessità di uscirne. E d’altra parte il portiere di notte vive solo attraverso la narrazione che raccoglie e distribuisce. Dunque se la retorica con le sue figure sembra avere dignità ontologica, essere in re, si capisce perché non c’è niente da poetizzare con la scrittura, si tratta solo di rilevare, notare con precisione, montare con efficacia. E soprattutto restituire opere come storie, cioè raccontarle, dirle. Il pastiche linguistico non è costruzione di laboratorio ma è contaminazione di fatto, è già dentro il discorso sociale, nella sua dialogicità. La sperimentazione linguistica anche qui è costruzione di realismo, di effetti di realtà. Il romanzo si chiude quasi con una conclusione utopica perché è resa possibile da una sorta di non ideologico esproprio proletario: i ricchi dimenticano anche ciò che posseggono in sopravanzo e per chi non ha nulla anche le loro briciole sono pietre su cui costruire una vita decente, sia pure casualmente. Non sembra esserci un’altra via, un altro modo, un modo normale, astrattamente onesto, per superare quell’indegnità, che in altri modi e in altri contesti, aveva fermato il flusso della vita di Pavese. Il caso è all’inizio e alla fine del libro ma il caso sarebbe nullo se non vi fosse una sorta di qualità boccaccesca di saper cogliere a volo l’opportunità, liberandosi da una morale tanto ipocrita quanto quotidianamente sconfessata dai suoi predicatori. Disincanto e passione
  • 8. vanno insieme, smascheramento dei falsi miti e creazione di una reale narrazione (intessuta cioè di vita) anche queste vanno insieme e, in definitiva, sono la stessa cosa. Lo scrittore Forlani ha fatto del suo cabaret di personaggi una performance narrativa. Ma anche: il cabarettista Forlani ha fatto della sua scrittura una performance. E infine il performer Forlani ha performato il suo cabaret in scrittura narrativa, piegandolo alle sue figure, alle sue strutture e, insieme, stravolgendo tutto questo come in un calembour vivente.. GIOVEDÌ, 12 FEBBRAIO 2009 Autoreverse di Francesco Forlani, L’Ancora del Mediterraneo (Napoli, 2008), pag. 157, euro 13.50. Un dialogo per Pavese. Due storie e tante storie per Cesare Pavese. Angelo e François sono due personaggi in qualche modo entrambi in cerca di Pavese. L’ambientazione di Autoreverse, romanzo dello scrittore dandy Francesco Forlani, è quel torinese albergo Roma che ancora oggi incuriosisce : fu il luogo, la “location” della morte prematura dello scrittore Cesare Pavese. Forlani, quasi sulla stessa lunghezza d’onda di autori che utilizzano l’inserimento nel fulcro delle vicende di momenti d’autobiografia, inventa il personaggio dello scrittore in cerca della voce di Pavese : un’affascinante riflesso della persona che ha un grande obiettivo e che vuole portarlo a compimento. François si da maledettamente da fare per terminare un libro, e ha bisogno di scovare ancora cose e cose su Pavese. E’ come una dannazione. Un’urgenza. E innanzitutto deve scoprire che il numero della stanza famosa non è più lo stesso. Ma è cambiato per una ristrutturazione dell’hotel. S’ imbatte nel bellissimo portiere, che è quella persona arrivata dal Sud e che vive sul pezzo di terra torinese e che sa di Torino e dei torinesi e che ha dovuto sapere di tutte le storie sull’albergo in qualsiasi maniera collegate alla morte di Cesare Pavese. Autoreverse è scritto in una lingua che sarà eternamente scolpita nell’animo dei lettori . Francesco Forlani inserisce situazioni teatrali in tanti angoli dell’opera, e lo fa con maestria, con la sua scrittura rigata di
  • 9. guizzi ironici e divertissement d’alta qualità. Come un nastro. Il romanzo si sviluppa su due lati, è diviso in capitoli indicati con la trovata “lato A” e “lato B”. Le storie s’incrociano. Perché da una parte racconta il portiere, dall’altra lo scrittore. Quest’ultimo è più ricercato, ma per fortuna né pedante e non pesante. Dall’altra, invece, il portiere Angelo Cocchione è diretto. La forza di questo romanzo sta, a mio parere, nella trama, anzi, nell’idea di fondo del libro. In Autoreverse l’autore è bravo quanto attento a sviluppare passo per passo ogni intrigo e sperimentare un percorso senza lasciarsi trasportare dall’emozione della posa. Non sono neppure le vite raccontate a dare le più grandi suggestioni. Pavese stesso e tutta la sua forza conferisce bellezza aggiunta al romanzo. L’opera ha qualcosa in più del volume interessante, ha elementi indefinibili, piani di lettura sovrapposti, è un’opera che rapisce ed è rapita da questa voce che c’è e non c’è. Un libro da leggere un sacco di volte. NUNZIO FESTA Sono molto contenta di ospitare questa recensione perché questo romanzo è così singolarmente spiazzante e affascinante che pone il lettore continuamente di fronte a una sfida, che depista, rallegra, accarezza , imbarazza, stupisce, eccita, destabilizza. Segnalo su Letteratitudine le “recensioni incrociate“, formula interessante con la quale Massimo Maugeri fa parlare di libri due autori che si scambiano il loro ultimo lavoro in un ideale specchiarsi, e in questo caso Lidia Riviello scrive di Autoreverse una recensione a mio parere efficace, appasionata, che tenta. E scrivere di libri deve voler essere una seduzione, una tentazione( quando ne vale la pena), deve essere un malizioso gesto verso qualcosa, un chiamare all’abisso, al riflesso che potrebbe accecare, allo straniamento , a complessa stratificazione di storie, che in qualche modo ci riguarda, ci darà in più qualcosa, ci sposterà da dove ci troviamo. Autore molto presente in rete, segnalo il maginifico Diario di un torinese sul sito di Ibridamenti e qui alcune note biografiche AUTOREVERSE” di Francesco Forlani - L’Ancora del Mediterraneo, 2008 - euro
  • 10. 13,50 - pagg. 157 recensione di Lidia Riviello E’ il 1948, quando con lo swing all’italiana Addormentarmi cosi’, le signorine pallide che indossano gonnelline di pura lana “italica, mugugnano teneri sensi di colpa, diventando rosse come mai erano state le loro madri ( forse meno…?) ai primi contatti “bocca a bocca”, “morendo insieme” al compagno di balera, “labbra sulla labbra”. Chi aveva voce cantava per configurare un paese che ancora non c’era, chi non l’aveva stava a guardare un’Italia fatta di guerra che non riusciva a dormire. E poi c’era chi, di voce, ne aveva avuta in quantità “esistenziale” per parlare e soprattutto per scrivere, ma forse in parte se ne vergognava e due anni dopo se ne sarebbe andato via da quel mondo “senza finire l’anno”. Questi era Cesare Pavese.E’ il duemilasette, quando Francesco Forlani indossa una vita, quella del sopradetto e sempre discusso, Cesare Pavese, e va alla ricerca della sua viva voce, in un romanzo, “Autoreverse” che sconvolge i canoni della rituale e convenzionale biografia. Spesso le biografie sono gonfie, come se l’autore, identificandosi nel personaggio di cui “tradisce” la storia/vita, si sostituisse a questi, provocando fuoriuscite di altre vite che bloccano il traffico delle parole. Sottolineando contorni che il “bio-grafato” aveva impiegato tutta la vita ad assottigliare, oppure trascurando, con narcisistica interpretazione, l’essenziale esistenziale cosi’ essenziale per quella vita/opera. Forlani non occulta nessuna vita di poeta, sa che tutto è stato scritto ma nulla è stato ancora ascoltato. La voce del poeta è inascoltata, perché dice quello che non sempre scrive, sfugge ai recintori, scusate, recensori, ed è piena di errori. Sgrammaticata, perché vorrebbe solo cantare, tradisce l’immaginario dei lettori/uditori che vorrebbe le voci dei poeti sempre in “stato di grazia” ed invece eccole nella permanente resistenza alla idealizzazione, al plagio. Eccole in serie le voci dei poeti: rauche, sofferenti, sgraziate, piene di tosse, riottose, che dicono no, infantili, stridule, oppure cosi’ mute da lasciarti senza poesia. E piene di una vita di cui la poesia è solo al servizio.La voce è quel corpo che non cede al tempo, contraria all’immagine convenzionale, allo streotipo in vita e in morte, al “pettegolezzo” che tanto Pavese temeva, perché quelle del pettegolezzo, della mondanità reiterante, sono le voci del campo, del cortile. La sua era una voce fuori campo. Ed è questa che cerca Francois, lo scrittore che viene da Parigi, che Forlani sceglie come suo “alter reggo” giocoso, intuitivo, gentile, ma che non ha remore a effettuare incursioni a sorpresa ovunque vi sia sentore di un Pavese mai sentito prima, di un altro Cesare. Cerca la voce originale, autentica, l’unica registrazione, forse persa, del
  • 11. poeta, un documento, dunque, ma presto si rende conto che per arrivare a trovare la voce di Pavese deve attraversare tutta Torino, città che ti sfugge e ti “stanca”, che se non la tieni ti lascia. Senza ansia di protagonismo ma con una sete struggente segue le tracce che partono dalla sua idea di Pavese, che è piu’ di un’idea, è un desiderio. Mosso da desiderio arriva in un profondo Nord fatto di un profondo Sud all’ Hotel Roma di Torino, dove Pavese si suicido’ nel 1950 e dove Francois vuole passare la sua notte. Nella stanza 313 udrà forse “la voce di dentro” di Cesare? Dentro una sola stanza Moby Dick, La bella estate, La luna e i falo’, il cinema, la “spassosa musica americana”, le donne che nascono da dentro e che prendono forma lasciando sguardi di approdo.All’Hotel Roma ci lavora un uomo semplice, diretto ed enigmatico allo stesso tempo, l’altro alter reggo di Forlani, Angelo di Casapulla (Caserta) che ha “la voce di fuori”, le chiavi in mano. E’ il portiere di notte dell’albergo, che subito smitizza lo slancio figurativo e l’identificazione fra finzione letteraria e condizione umana di Francois: la stanza non è piu’ la 313, quella in cui il poeta si lascio’, ma la 346. La ricerca, “uaglio’ ” è lunga, la strada afosa, il poeta senza voce. Fra i due s’instaura una istintiva complicità, un dialogo fino al termine della notte, un intreccio di due opposte e cosi’ animate vite. Nonostante le due ricerche si snodino autonome, sul disco dell’epoca nostra e dell’epoca di Pavese, suonano le loro narrazioni in prima persona.In realtà anche Francois e Angelo cercano la loro voce disseminata nelle caotiche pulsioni dell’Esperienza. Le donne, le avventure del dialogo, la conoscenza dell’altro. Francois segue corsi d’inglese, punta la luce sul volto di una donna, cerca attraverso documenti, amici di Pavese, lettere del poeta stesso, ricostruzioni, registrazioni del premio Strega (che Pavese vinse nel 1950) di rintracciarne il corpo vitale . Tutto questo con desiderio ma anche discrezione, perché Pavese è imprendibile. Tutti parlavano di lui e lui non si è fatto “prendere”.Angelo ama il corpo delle cose, si disfa delle cose che non lo appassionano, sa di affaracci e crimini e misfatti della sua terra e si ritrova dentro un giallo vero e proprio, e s’innamora pure della bellezza, della straniera, di un’altra voce che non lo nasconda ma lo accolga cosi’ com’è: Angelo Cocchinone, ed è il primo a dire che questo Hotel Roma, noto per la morte del poeta, è un luogo di cui liberarsi e liberare Pavese, ché su questo dramma si è fatto del marketing. Sia Francois che Angelo devono liberarsi e liberare, attraverso il racconto in prima persona, una terza persona: Cesare.Ma chi aiuterà infine Francois a trovare ( se la trovera’) la voce di Pavese incisa su nastro?La Rai teche? La storia letta dai giornalisti? L’editore che attende lo scoop? Pavese stesso? Francois riporta Pavese dentro casa, fuori dalla stanza del dolore. Lo libera dallo stereotipo dagli inde-fessi critici annoiati del tempo, dalle attrici americane volubili. Come la Dowling, Constance senza sostanza.“Se mai riuscirò a sentire la voce di Pavese come farò a
  • 12. descriverla?”. Sarà questa domanda che il nostro si porra’ infine al termine della notte di questo romanzo. Difficile Francois, difficile. Perchè quando lo scrittore cerca l’uomo trova ancora, sempre, il poeta.Lidia Riviello Tags: autoreverse, francesco forlani, l039ancora del mediterraneo, lidia riviello, neon 80, zona Scritto Venerdì, 23 Gennaio 2009 alle 5:47 pm nella categoria RECENSIONI INCROCIATE. Puoi seguire i commenti a questo post attraverso il feed RSS 2.0. Puoi lasciare un commento, o fare un trackback dal tuo sito. Caserta, che successo al Tequila per il libro di Forlani! Musica e parole unite in spettacolo eco di caserta, Scritto da Luca Malese, foto di Chiara Perna, Pubblicato in : , NOTTE&GIORNO CASERTA - All'ora dell' aperitivo, quando la Milano da bere si muove dagli uffici ai bar, quando a Roma enormi tavole vengono imbastite di pietanze per " l' happy hour", quando mi viene in mente una canzone in cui De Andrè si augurava di vivere in una città in cui a quell'ora non ci fossero "spargimenti di sangue o di detersivo", a Caserta, all'ora dell'aperitivo, appunto, c'era la presentazione di un libro...in un pub!? Il Tequila pubblic house, storico meeting point in piazza Pitesti, ha aperto le sue porte alla letteratura. Francesco Forlani casertano di Napoli, o viceversa, o francese di Torino, ha scelto di presentare il suo ultimo libro, Autoreverse, in un pub. Sul lato destro del locale, una pedana che praticamente è diventata subito palco, un quartetto musicale composto da clarinetto, chitarra, violoncello e batteria, alias i Ringe Ringe Raja, davano sfoggio della loro arte canora. Subito la sala si è riempita di un calore e un coinvolgimento...teatrale! "La platea era colma di gente: intellettuali, ignoranti, scrittori, semplici avventori, ed alcolisti, l'emozione dietro le quinte si tagliava con il coltello! Ad un tratto qualcuno scostò leggermente il sipario per una sbirciatina alla sala".
  • 13. A presentare l'evento, il giornalista Luigi Ferraiuolo. Il clarinetto parte con un breve assolo dopo di che gli altri strumenti iniziano ad andargli dietro in un ritmo balcano. Lo spettacolo è cominciato dalla fine recitando appunto un "autoreverse", dall' ultimo capitolo, effeffe nelle vesti di attore-direttore d'orchestra. Magnifico!!! La musica (magistrale) che accompagnava la lettura dei capitoli del libro, riusciva a scandire la punteggiatura dei versi sotto la direzione dell'autore. Il primo atto si è concluso con un omaggio all'opera di Forlani dell'amico "oste dell'osteria" (così ama definirsi) nonché (non me ne voglia) scrittore (secondo me geniale, tant'è che non lo capisco) Gianni Campi ed uno scroscio di applausi supportati dai ritmi coinvolgenti dei musicanti. Un cognac per l'autore franco-torinese- napoletanodicaserta, io bevo un americano e via con la parte finale della serata che in ordine di successione rispetto a come l'ho vissuta era la terza parte che come diceva un noto "filosofo" napoletano, Mario Merola, "è bella e le a verè!!!" A questo punto Forlani si scatena, scende in platea tra la gente, sale su un tavolo quasi come su di una tavola da surf e il pubblico è in delirio, i musicanti incalzano e si fermano ad ogni cenno del corpo di effeffe che usava come la bacchetta di Riccardo Muti. La chiusa dei Ringe Ringe Raja, un omaggio all'udito." A Caserta, il 17 gennaio 2009 all'ora dell'aperitivo al Tequila hanno servito il drink che più inebria la mente e il cuore. La ricetta è questa: ¾ d'oncia di Ringe Ringe Raja, 1oncia e ¼ di effeffe Forlani, guarnito con una scorza di un buon amico che ti omaggia ed ecco pronto il "dry Forlani"! Lettera di Giorgio Morale a Francesco Forlani su Autoreverse. [Qui alcune pagine tratte dal romanzo.]
  • 14. Caro effeffe, “Quel che mi affascina del mare è il suo essere una immensa superficie senza cui non ci sarebbe profondità”: è pensando a queste parole del tuo precedente libro, Il comunista dandy, che ho cominciato a leggere Autoreverse. Cercando sotto la superficie “il segreto… l’unica chiave che può aprire molte porte”. Il tuo libro comincia con il perentorio “Mi chiamo Angelo Cocchinone”, aperto richiamo al Moby Dick amato e tradotto da Pavese. Pavesiana è anche la sensibilità per i luoghi, sia i paesi della provincia di Caserta, citati con una sorta di odio-amore che vorrebbe rinnegarli e reinventare il passato, sia Torino e le colline che la circondano in cui ricorrono atmosfere più propriamente pavesiane. Se non fosse che a un certo punto, come avviene a chi ha molto viaggiato, le strade di Torino si confondono con quelle di Parigi e di tutte le città da te visitate o sognate, e la pagina sembra assorbire le atmosfere dei poeti parigini, primo tra tutti Baudelaire. E non è anche l’emigrazione un tema pavesiano? “Quando si va via di casa, dalle nostre parti, si emigra” dice Angelo, quasi come un’eco allo “scappare di casa” di Lavorare stanca. E non è lo “scappare di casa” un tema tipicamente meridionale e tuo stesso? E sapessi quanto questo tema è anche mio, caro effeffe, quale squarcio queste parole aprono in me e nella mia storia di partenze e ritorni. E pavesiano è il ritmo della pagina d’apertura, che con registro fortemente mimetico riproduce il linguaggio di Angelo, che inizialmente appare come un paria, come l’Anguilla de La luna e i falò alle prese con il tema dell’origine. Come pavesiano è il tema della solitudine: come dimenticare la figura dell’“uomo solo” di Lavorare stanca e il bisogno di “fermare una donna/e parlarle e deciderla a vivere insieme”? Tutti questi richiami sono esibiti, elusi, variati, in un gioco sottile, controllato e cristallino, tra superficie e profondità. Offerti con una scrittura colta, lucida, leggera, di quella leggerezza che ti porge parole e idee togliendo gravità al segno che le
  • 15. conduce. *** Autoreverse si presenta quindi come una quête. Lo scrittore François come un cavaliere ariostesco è alla perenne ricerca di qualcosa: la voce di Pavese probabilmente introvabile, l’amicizia nella Torino che un giudizio corrente dice essere la città più chiusa d’Italia; la letteratura, che a sua volta rimanda a una possibilità altra, a “un’altra vita”, rincorsa nelle conversazioni notturne con Angelo Cocchinone, suo conterraneo e portiere di notte nell’albergo in cui Pavese si tolse la vita. E ancora: il vagheggiamento dei paesi del sogno: l’America, Parigi. E la ricerca di “una risposta che… impedisca l’atto estremo”, un amore che consenta di vincere la solitudine che ammazza, il pensiero fisso della morte, questo “il vizio assurdo” da cui anche François è tentato. Ma il filo rosso della vicenda è fornito dalla ricerca della voce di Pavese, la voce come accesso al mistero della vita e della morte dello scrittore, la voce che restituisca l’odore, la corporeità, la fisicità dell’uomo e dell’autore. In questa ricerca tu porti François in una sorta di biblioteca borgesiana che assume le sembianze dell’archivio dello studio fotografico Harcourt e degli archivi Rai. È una ricerca in cui si mescolano tratti realissimi, perfino storici ed eruditi, ma trattati in modo fantastico; riflessioni su ciò che meriterebbe di essere ricordato ma che viene divorato dal tempo; e fantasie su “Un posto irraggiungibile, che le rovine in cui ti imbatti possono soltanto evocare”. E lì pare che come François anche tu, caro effeffe, “tenti il salto, il guizzo fantastico dell’Ariosto, come Astolfo alla ricerca del senno di Orlando, e cerchi nelle stalle della mente il cavallo che indossa le ali e a briglia sciolta ti condurrà dove riposano i sogni”. Anche Angelo Cocchinone, portiere di notte che poi si rivela laureato in Lettere moderne, sospira “se si potesse recuperare la voce”, poiché “Pare che la centralinista avesse lavorato parecchio quella sera (la sera del suicidio) per passargli una dopo l’altra le telefonate. Numeri di donne, per lo più”. E commenta, il
  • 16. Cocchinone, “Se solamente qualcuno gli avesse risposto, se almeno una delle ragazze invocate gli fosse venuta incontro”. Appare fittissimo il gioco di citazioni e di specchi. Angelo è un alter ego di François, e ambedue dell’Autore. E Pavese, loro comune riferimento, diventa figura archetipica, essa stessa uno di quei miti pavesiani, figure o eventi originari a cui tocca essere riconosciuti come un destino. *** Ma sotto questa storia se ne svolge un’altra, che riguarda “la verità che giace al fondo” e che è introdotta dall’asserzione: “Cesare Pavese non si è ucciso per amore”. Confermata più avanti: “le sorelle Dowling non c’entrano nulla con la morte di Pavese. Semmai con la vita”. Da quando mi sono imbattuto in questa frase, la mia lettura è stata guidata dalla ricerca della risposta, è stata questa per me la vera ricerca, “la verità che giace al fondo” che cercavo dall’inizio. Forse la dicotomia tra superficie e profondità si può collegare a quella tra distanza e abbandono. François reclama per sé “l’estetica della distanza e l’etica dell’abbandono”. L’abbandono è, per dirla con Baudelaire, “un fuoco latente che si lascia indovinare, che potrebbe ma non vuole divampare” (Il pittore della vita moderna). Anche Massimo Mila, parlando di Pavese, dice che per lo scrittore “i sentimenti veri non fa bisogno di dirli, e che quando si cerca di manifestarli con parole si sgualciscono sempre un poco”. E come spesso succede, la verità è davanti agli occhi di tutti, come La lettera rubata di Poe. E come in tutti i gialli che si rispettino, anche in Autoreverse la rivelazione arriva all’ultima pagina: “La questione chiave non è l’incontro con una donna, con l’amore, ma esserne degno”. Così sono rimandato a Pavese e all’opera su cui lo scrittore ha lasciato il suo ultimo messaggio prima di morire, a L’isola dei Dialoghi con Leucò e alla sua splendida chiusura: “Quello che cerco l’ho nel cuore, come te”. E così l’individuo è riportato a
  • 17. se stesso e il tuo romanzo diventa un viaggio alla ricerca di sé e una riabilitazione di Constance Dowling e, con lei, della figura della donna, e un omaggio alla donna. Nella chiusura di Autoreverse però le vicende di François e di Pavese divergono: lo scrittore François scrive per sé un epilogo diverso da quello consumato da Pavese in quello stesso Hotel Roma. François riesce a vedere l’alba della sua “notte oscura”, come Sherazade nelle Mille e una notte, grazie a quel raccontare storie che può salvare la vita. All’alba “Adesso che l’ho incontrata, non la perderò per nulla al mondo” dice François di una donna che ha incontrato e a cui decide di telefonare. Il male di vivere e gli incontri mancati trovano un senso nell’altro e nell’abbandono, nella consapevolezza che “è una maledizione condita di buona educazione che impedisce alla gente di esprimere i propri sentimenti”. E quando quasi meccanicamente compone il numero del telefono, sente la donna che dice: “Ti aspettavo”. Così Francois sfugge al destino che si era figurato venendo nell’Hotel Roma, di ripetere ciò che sembrava già scritto. Per lui non vale il vaticinio di Calipso a Odisseo ne L’isola: “Quello che fai, lo farai sempre” e si libera del mito di Pavese nel momento in cui dà piena risposta alla domanda sulla sua morte. *** Infine mi preme mettere in evidenza il senso da dare alla scrittura come emerge da Autoreverse. “Oggi la vocazione è un lusso” proclama Angelo, ma François dirà che fare lo scrittore per lui “È una vocazione…”, anche se subito dopo si corregge, minimizza, dissimula: “Ma non parlerei di vocazione, diciamo che la mia è una ricerca. In una vocazione si è chiamati da qualcosa o qualcuno, a me invece nessuno mi ha chiamato. Sono io che chiamo”. Ricordo, caro effeffe, le parole dell’amato Baudelaire dei Saloon: “Discredito dell’immaginazione, dispregio del grande… pratica esclusiva del mestiere, tali
  • 18. sono, a mio avviso, quanto all’artista, le cause principali della sua decadenza”. In un periodo in cui la pratica della scrittura tende a essere concepita come una professione totalmente sottomessa alle leggi del mercato, reclamante diritti ma sganciata da doveri, mi piace la tua rivendicazione del carattere vocazionale – e quindi in un certo senso dilettantesco e appassionato – della creazione artistica. E anche il suo configurarsi come un dialogo con sé e con il lettore. Il tema del dialogo e dell’incontro con l’altro infatti impronta la struttura stessa di Autoreverse. Il libro alterna tre tipi di capitoli: lato a con la voce narrante di Angelo, lato b con la voce narrante di Francois, intervallati da entracte, in cui i due sono a dialogo tra loro al bar dell’Albergo Roma. L’uso del dialogo, che ancora una volta richiama i pavesiani Dialoghi con Leucò, è funzionale alla duplice necessità: all’esercizio della distanza e alla pratica dell’abbandono. Nel dialogo il narratore riduce la sua presenza al minimo, appena un accenno all’ambiente, all’ora, per il resto la parola spetta direttamente agli attori. Così come sono gli attori che via via superano la distanza e si abbandonano. Parola – e voce – come ponte tra i personaggi, tra il mondo dei personaggi e quello del lettore, a realizzare un incontro in atto. Perché dove non c’è il dialogo, sono le singole voci narranti a venire in primo piano e a continuare il dialogo con il lettore. E attraverso i personaggi, che sono una sorta di tuo alter ego, sei tu stesso che incontri il lettore. E questo, si potrebbe proseguire, immette alla vita fuori dalla pagina, dove tu stesso, scrittore e performer, attore e personaggio, ti muovi sul ciglio tra distanza e abbandono. Pavese e l’hotel dei destini incrociatidi Francesco De Core Piccole storie individuali risucchiate nell’alveo mitico della vicenda dello scrittore Ventisette agosto 1950. Cesare Pavese chiude il libro della vita in una stanza dell’albergo Roma, la 313, a Torino. Uccidendosi con i barbiturici. Nulla di cruento, tutto studiato. La morte arriva,
  • 19. cercata, voluta: l’ultimo demone si sfilaccia in poche frasi, in versi disperati. Sui Dialoghi con Leucò annota: «Perdono tutti e a tutti chiedo perdono. Va bene? Non fate troppi pettegolezzi». Nel diario, otto giorni prima, si era consegnato: «Tutto questo fa schifo. Non parole. Un gesto. Non scriverò più». Nelle poesie, ultime, il senso disperato di una storia d’amore, quella con la glaciale e lunatica Constance Dowling, americana, sorella di Doris, attrice in Riso amaro, il film che forse più di ogni altro ha segnato il primo dopoguerra, la pellicola delle mondine, di Vallone e Gassman, della tenebrosa, superba Mangano. Finisce Pavese, con tragica grandezza, e il mito sboccia per non tramontare mai più. Talmente grande, anzi ingombrante, da bloccare le porte all’opera, da annichilirla, da farne talvolta appendice all’epica biografica. Anche per questo il romanzo «sporco» di Francesco Forlani, Autoreverse (ancora del mediterraneo, pagg. 157, euro 13,50…) - sporco perché contiene ampi passaggi saggistici ben integrati e armonizzati nella struttura narrativa - è anzitutto un omaggio al Pavese scrittore, non solo all’uomo drammaticamente incompiuto. Francois - uno dei protagonisti del libro, alter ego dello scrittore-performer casertano, che vive e opera proprio lungo un percorso che dalla Campania porta a Parigi passando per Torino - scende dalla Francia all’albergo Roma per dare forma a una ossessione, quella della voce di Pavese. Voce che sarebbe contenuta in una registrazione mai trovata, sepolta chissà dove. Per altri aspetti e altre visioni, magari meno poetiche ma non meno spontanee, anche Angelo Cocchinone da Casapulla, Caserta, dipendente dell’hotel, ha caratteri che l’autore si porta dentro: ovvero quel senso genuino della provincia che non si è smarrito neppure nei meandri di una Torino post-industriale e post-einaudiana, sempre più grigia, orfana della Fiat che fu, della grandeur agnelliana e dell’operaismo spinto. Le piccole storie individuali sembrano risucchiate nell’alveo della Grande Vicenda pavesiana, calamita, polo d’attrazione, imbuto. Il mito, appunto: tanto che tutti cercano la celebre stanza 313 e nessuno sa che
  • 20. invece la camera del suicidio, dopo la ristrutturazione, è diventata la 346. Nell’esistenza di Angelo, come in quella del suo capo, Giuseppe Mastroianni - «originario di Casapulla pure lui», altra sagoma di provincia che paga pegno altissimo ai meccanismi della metropoli - sono proprio l’amarezza e l’infelicità dell’autore della Bella estate a comparire talvolta come tormento e marchio. Nell’albergo Roma ci sono destini passeggeri, relazioni che si incrociano: il racconto di Forlani non perde mai il filo dell’ironia, della levità, con intrecci e sovrapposizioni costanti. Le pulsioni di Pavese - i suoi amori, le sue disillusioni - appaiono nel bel mezzo di un dialogo; la sua figura piena è spesso rievocata dando senso a eventi in apparenza poco significativi e consistenza a dialoghi quotidiani. Con un originale registro narrativo, Autoreverse ci porta dietro le quinte di una leggenda, regalandoci sprazzi di vita vissuta e di profonda umanità. Con il passato che si incastra a sorpresa nel presente. Anche attaccandosi a un vecchio nastro, che ci scorta nel cuore di un destino amaro.(Il Mattino, 28 dicembre 2008) Cocchinone l' emigrato portiere all' hotel Roma Repubblica — 07 gennaio 2009 pagina 1 sezione: NAPOLI «Ho trentadue anni e sono napoletano di Caserta, più precisamente di Casapulla. Cioè, lo ero, visto che adesso vivo a Torino». «Laureato e portiere di notte in un albergo», precisamente all' hotel Roma, Angelo Cocchinone ancora non ne conosce il segreto: da molti anni sempre la solita richiesta alla reception, «non capivo perché volevano a tutti i costi la camera 313». è un bell' esordio nel romanzo, quello del casertano Francesco Forlani, classe 1967, "scrittore cabarettista e performer" si legge nella sua stringata biografia in copertina; in realtà Forlani è anche uno dei redattori storici di "Nazione Indiana", blog letterario tra i più prestigiosi in ambito italiano: si possono già supporre, dunque, vaste letture e spirito storico-critico. Che però spesso non sono condizioni propizie per la
  • 21. costruzione di un romanzo, vedi la narrativa in genere algida dei professori di ogni tempo e dove. Ma alla prima prova col romanzo ("Autoreverse", Francesco Forlani, L' ancora del Mediterraneo, 2008, pagine 157, euro 13,50) Forlani decide di metterci del suo, e fa bene: il protagonista Cocchinone, emigrato precario, svogliato e filosofeggiante, si conquista immediatamente la simpatia del lettore, col suo parlato meridionale, portato sulla pagina da un autore ricco di sacrosanta autoironia. Dunque all' hotel Roma Angelo, immigrato dal Sud, conosce Helena, immigrata dall' Est, e tra loro è scintilla. Ma anche l' albergo ha una storia sua, e che storia: vi è venuto a passare la sua ultima notte lo scrittore Cesare Pavese, per poi suicidarsi con un gesto cult. è da quel lontano 1950 che la stanza 313 è meta di pellegrinaggi di romantici fans, tanto che per evitare emulazioni il proprietario del Roma ogni 27 agosto fa occupare la camera da una sua misteriosa amica, Madame~ Non pago di già tanta carne messa al fuoco, Forlani aggiunge un secondo binario narrativo, il racconto in prima persona dello scrittore Francois, che da Parigi arriva a Torino, anche lui all' hotel Roma, in cerca di una registrazione forse neanche più esistente della voce di Pavese, morto appena prima della nascita della televisione italiana e degli archivi radiofonici (indagine che fa tornare alla mente il veneziano "Carteggio Aspern" di Henry James). Le voci dei due protagonisti si alternano e raccontano due figure rovesce. Angelo cerca di "scomparire" e far dimenticare persino la sua provenienza dalla odiata Casapulla («Se fossi nato al numero centoquaranta della Nazionale (~), ora sui documenti ci sarebbe scritto Casagiove. Avevo sentito parlare di morti ridicole, ma una nascita stronza proprio a me doveva capitare?»), in un albergo dove anche il portiere di giorno ha cancellato dalla carta d' identità la sua provenienza meridionale, e dove Amehd il voiturier, di Marrakesh, si fa chiamare Mauro e il fratello Fuad invece Fred. E dove «Helena è di Lecce, anzi, di Otranto. In verità è albanese ed è sbarcata con la famiglia in Puglia». Persino il cuoco di sera diventa un altro. «Quando lascia il servizio se ne va tutto vestito di pelle nera e con una coda che gli arriva al culo»: fa concerti con la sua band, «Cocina Clandestina Brass Group. Tutti cuochi». Tutti a rifarsi l' identità, tutti ad aggiustarsi la vita, a smarcarsi da identità troppo strette e/o troppo tristi, in una città perfetta per morirci: «Ue regà, in fondo a
  • 22. Torino non si sta così male. Qui si sono suicidati i più grandi scrittori italiani, Pavese, Salgari, Primo Levi, il più grande filosofo di tutti i tempi è impazzito». Mentre insomma Angelo tenta di eludere la verità per immergersi in un caos urbano forse salvifico, Francois lo studioso è invece in cerca di una verità, di natura letteraria, che lo porta a indagare sull' attrice americana Costance Dowling, ultima ossessione di Pavese. («Per lei, solo per lei, Pavese aveva coniato l' espressione "Viso di primavera". In realtà «arrivista, glaciale, egoista», «assolutamente insensibile alla poesia e ai poeti», «Costance Dowling era perfetta per recitare la parte dell' assassina, bella e cattiva la garce, la malafemmina»). Ma in un dialogo a più capitoli tra Angelo e Francois si capirà che la verità letteraria di cui è in cerca lo studioso non è meno personale ed esistenziale. E, nel finale, ad una soluzione della prima risponderà un po' di luce anche per l' altra. Stavolta la maledizione di Pavese non ha istigato un suicidio nella stanza 313 dell' hotel Roma, ma un romanzo ricco e strano, e affascinante, e pieno di riso e di pianto. Gioia e dolore, il mix che si trova sempre quando si è scavato in profondità. - MASSIMILIANO PALMESE Francesco Forlani, Autoreverse pp. 160, l’ancora del mediterraneo, euro 13,50 Il 27 agosto del 1950, in una dimessa stanza dell’Hotel Roma di Torino, Cesare Pavese decise di togliersi la vita consegnando alla futura memoria di migliaia di lettori quel solitario e autodistruttivo
  • 23. simulacro che ancora oggi avvolge senza rimedio la sua figura artistica e umana. Un albergo che esiste tuttora – a due passi dalla stazione ferroviaria Porta Nuova – e che dopo quell’ultimo gesto non ha avuto molte difficoltà a tramutarsi in meta per devoti pellegrinaggi da parte di quanti in Pavese hanno voluto scoprire non solo l’artefice di romanzi e poesie intramontabili, ma anche l’essenza di un disperante e fanciullesco mito della letteratura mondiale. Ed è proprio nel luogo in cui l’autore piemontese si suicidò 58 anni fa che Francesco Forlani immagina l’incontro tra Angelo e François, romantico concierge notturno il primo, ossessivo e scrupoloso scrittore il secondo. I complici destini dei due si incrociano proprio lì, al bancone della stessa reception che più di mezzo secolo prima aveva accolto la firma di Pavese, e che ora insiste a collezionare il solito perpetuo avvicendarsi di viaggiatori senza meta, amanti clandestini, cameriere discrete e tanti altri mostri senza patria né nome. Ne scaturisce un lungo, fitto e altalenante dialogo in cui trovano spazio racconti di vita, sogni infranti, ricordi legati a esistenze errabonde fatte di migrazioni, fughe e segreti nascosti in anfratti oscuri; ma soprattutto, tra una parola e l’altra, continua a insinuarsi l’inquieto spettro di un’anima in pena, l’anima, per l’appunto, di un uomo morto sotto quello stesso tetto molti anni prima. Un uomo che spese ogni energia al servizio della scrittura, della cruciale affezione per le Lettere, e che tuttavia non riuscì a gestire la potenza dei furori amorosi, maligni e impietosi nemici capaci di vanificare un’esistenza in mezzo battito di ciglia. La fallimentare resa di Pavese, a quanto pare, ebbe (anche) un nome di donna, Costance Dowling, ed è dietro questo nome che vollero guadagnare spazio la forma e l’essenza dei suoi fallimenti, della sua morte. E’ il nome dolce e ammaliante dell’attrice americana che lo abbandonò dopo un intenso teatrino seduttivo, e la cui presenza, ai limiti della morbosità, è testimoniata da lettere, versi, e scomposte annotazioni tracciate nel celebre Mestiere di vivere. Impossibile non provare tenerezza di fronte a un sentimento tanto feroce, buio e irrimediabilmente impari, così come appare impensabile l’idea di scindere la costernazione esistenziale di
  • 24. Pavese dal dato biografico, o almeno da ciò che di esso trapela attraverso le cronache più intime e scabrose giunte fino a noi, proprio quei fastidiosi pettegolezzi, per inciso, che vennero chiamati in causa nell’ultimo messaggio d’addio scritto sul frontespizio dei Dialoghi con Leucò. Ma un’ossessione è un’ossessione, e come tale consente licenze che travalicano etica, scrupoli morali e remore, da cui ne consegue la necessità di osservare le cose nel loro complesso: ed è qui che inizia a farsi strada l’inevitabile confronto con gli scomodi scheletri nascosti nell’armadio del nostro anti-eroe, nell’irrefrenabile impulso che costringe i suoi esegeti a seguirne ogni traccia, ogni testimonianza, anche la più piccola, anche la più insignificante. Traccia che, nel caso di Forlani, gioca a esistere e a non esistere traducendosi in qualcosa di più, qualcosa che, almeno in potenza, supererebbe di gran lunga qualunque altro feticcio testimoniante; dettaglio ulteriore, tessera assente, ecco ciò che davvero manca alla ideale biografia di un simbolo eterno: la sua eterea, ultraterrena voce di uomo. Perché in una voce – come annota François a un certo punto – ci sono scariche elettriche, e quel che ti illumina di un discorso è proprio il tono con cui vengono dette le cose. Peccato che Pavese se ne sia andato prima che il progresso sistemasse telecamere in ogni dove, praticamente a due passi dalla nascita della televisione, degli archivi radiofonici e delle infinite tecnologie di incamerazione dati che giusto un attimo dopo iniziarono a proliferare come funghi fino a raggiungere i parossismi informatici dei giorni nostri. Insomma della sua voce pare non esista traccia, e tanto basta per far nascere nel cuore di François l’ansia per una ricerca bulimica e inaudita, con ogni probabilità votata a desolanti rese. Ma è pur vero che cercando qualcosa, alla fine si rischia di trovare altro, e ripercorrere i solchi scavati da una chimerica preda significa in qualche modo sfiorarla, starle comunque vicino, e infine assimilarne i gesti e grazie a loro incontrare nuovi mondi, altri fratelli, insperate amicizie come quella di un portiere notturno rintracciato per caso. Ed è forse questo il senso definitivo dell’oscura indagine disegnata in Autoreverse: comprendere che anche una voce perduta per sempre può ostinarsi
  • 25. a parlarci, a costruire avventure mai esistite, insomma a inventare altri pianeti, altre storie. Pubblicato su Liberazione, 14 dicembre 2008 La voce di Pavese Di Graziano Graziani (critico letterario, Carta) «Autoreverse», da poco nelle librerie, è il nuovo libro di Francesco Forlani. Ma forse sarebbe più giusto dire che si tratta del suo nuovo disco. Sì, perché sia nella forma che nella sostanza imbattersi in «Autoreverse» è un’esperienza che assomiglia molto a quella che si fa con i dischi. Non i compact disc, però, ma gli Lp, i vecchi long playing. Perché l’atmosfera sonora a cui si richiama la scrittura di Forlani appartiene all’epoca del vinile, o al massimo a quella dei nastri magnetici – come il titolo suggerisce, meccanismo modernista del registratore a cassetta – e per l’esattezza ricorda un particolare tipo di prodotto musicale di quell’epoca, il concept album, un’opera musicale in grado di connettere una o più storie all’interno di un’unica narrazione, che passa però per singoli momenti di poesia autosufficienti.Del vinile, «Autorverse», ha anche le fattezze: la storia si snoda alternandosi tra un lato A e un lato B, e inoltre la copertina della bella edizione realizzata dall’editore, L’Ancora del Mediterraneo, ha un foro circolare giusto al centro della copertina, proprio come quelli che servono per posizionare i dischi sul piatto.Non si tratta di un caso. Sonorità e musicalità sono due aspetti centrali di questo libro.La musicalità dei versi di Cesare Pavese (fulcro della storia), la sua lingua semplice ma scorrevole e piena. E anche la musicalità della scrittura di Forlani, vero trait d’union in grado di tenere assieme le tante anime della sua prosa, fatta di una lingua piana, ma che non disdegna assonanze e sconfinamenti nella poesia; l’uso repentino dell’ironia, la ricerca continua della battuta, proprio come nei dialoghi tra amici, tra membri di una stessa confraternita, quella di Pavese e quella del protagonista del libro; e infine lo sconfinamento nel dialetto, che è poi il modo per riappropriarsi di una tonalità, un’inflessione della lingua che suona più vera, più autentica (non a caso gli inserti dialettali sono quelli che più hanno a che fare con i sentimenti).Poi c’è la voce di Pavese, elemento sonoro da tramandare ai posteri nell’era della documentazione audiovisiva (il Novecento), perché come ripete più volte François – il protagonista di uno dei due lati del libro, quello alla ricerca di Pavese – uno scrittore, e a maggior ragione un poeta, è la sua opera ma è anche la sua voce. Eppure, della voce di Pavese sembra non se ne conservi registrazione alcuna, un paradosso nell’epoca della riproducibilità tecnica non solo dell’opera d’arte, ma anche
  • 26. dell’artista. Un’epoca che è però in grado di restituire, a chi non l’ha vista per limiti biografici, l’immagine dello scrittore piemontese: una faccia fatta di volti che in foto non sorridono mai. È da qui che si snoda l’altro grande tarlo del romanzo di Forlani, che riguarda la costruzione del mito di Pavese, il rimpallarsi del suo cadavere che ne fecero commentatori, amici ed ex amici all’indomani della sua morte. Una morte, la sua, tanto mistificata da essere persino ricordata con una dinamica che non le appartiene, quella del colpo di pistola, che fa più Hollywood – mentre il poeta preferì andarsene ingerendo una grande dose di sonniferi.Un mito che è dunque quanto di più lontano possa darsi dall’indole schiva di Pavese, di autore che “odiava i premi letterari” e che lasciò scritto prima di morire, quasi in forma di preghiera che sa di non poter essere esaudita, “non fate troppi pettegolezzi” – altra frase che rimbalza come un’eco lungo tutto il romanzo. Un mito che sconfina nel feticismo dei turisti curiosi, che vanno all’Hotel Roma – dove lavora Angelo, protagonista del lato principale del romanzo – e chiedono di soggiornare nella stanza 313, quella dove Pavese si tolse la vita, ignari del fatto che in realtà, a causa di una ristrutturazione, quella stanza fatidica è diventata la 346.Ecco allora che il fantasma di Pavese si rivela per quello che è: un’ossessione collettiva per l’evento, per l’accaduto, il mito che realizzandosi emana se stesso nei luoghi che ne sono stato il “teatro degli accadimenti”. Un’emanazione che, nel suo risvolto morboso e feticista, non ha neppure bisogno che la stanza sia davvero quella di Pavese, basta che sopra la porta – come nella più classica delle ricostruzioni televisive – ci sia il numero giusto. Ma la voce è qualcosa di diverso. La voce non si può contraffare. Perché la voce è già di per se un fantasma vivente, qualcosa che c’è ma è inafferrabile, eppure inconfondibile, capace per questa sua doppia caratteristica di arrivare dritta al cuore. Come la voce di Tina Pizzarda, uno dei primi tarli amorosi di Pavese, che sarà per sempre ricordata come “la donna dalla voce rauca” a cui sono dedicati dei versi in «Lavorare stanca».La ricerca della voce di Pavese che compie François, allora, è allo stesso tempo la ricerca di un risvolto che sia il più autentico possibile in una ipotetica ricostruzione della vita del poeta, che tanto più si avvicina ad essere un’autobiografia e tanto più rischia di sconfinare in quei pettegolezzi da cui Pavese chiedeva di essere dispensato. È un attestato di curiosità che ha a che vedere con l’affetto, più che con il feticismo mediatico. Un affetto verso Pavese che non è solo di François, ovviamente, ma anche dello stesso Forlani. Per questo «Autoreverse» è un continuo interrogarsi sulle possibilità e sui vicoli ciechi dell’amore. Come è possibile parlare della morte di Pavese senza parlare anche dell’amore? Come parlarne, senza citare Costance Dowling, a cui Pavese dedicò i celebri versi di “verrà la morte e avrà i tuoi occhi”? Ma come parlare di tutto questo intreccio senza scadere nel pettegolezzo detestato da Pavese?Forlani ci riesce grazie a un delicato gioco di specchi, di storie che si riflettono in altre storie, e così facendo recuperano la dimensione umana della morte di Pavese, attraverso la calcificazione del mito, un’incrostazione così ostinata
  • 27. da far sì che il nome stesso dell’hotel torinese “teatro degli accadimenti” sia mutuabile con “quello del suicidio di Pavese” (e a suggellare la cosa, una mostra d’arte contemporanea di recente ha esposto immagini dell’albergo proprio in quanto quello dove si verificò la famosa morte). Così François vuole raccogliere materiali su Pavese e la sua morte, sì, ma per parlare di Costance e di sua sorella Doris, l’attrice di «Riso Amaro»; per parlare cioè di amore, l’amore da cui si fugge, quello che finisce come è per François, che si rispecchia in un altro amore che inizia, quello tra Angelo ed Helena, esuberante e limpido, ma anch’esso circondato dal fantasma di Pavese.Ma è anche Torino, la città “rumorosa e caotica” della produzione industriale, quella che Pavese amava assai più delle Langhe e di Santo Stefano Belbo, che si rispecchia nei figli del Sud che ne hanno fatto una città ricca con la fatica del proprio lavoro: emigrati come Angelo, che viene da Caserta, più precisamente da Casapulla, ma è meglio dire Casagiove (leit motiv dell’incipit, che nella comicità della “nascita stronza” che si oppone alla morte ridicola lascia intravedere un omaggio a Kundera). Ma il Sud si rispecchia in Torino anche nelle facce dei figli degli emigrati, una nuova genia dai tratti meridionali e dall’accento piemontese, vero sangue che scorre nelle vene di questa città, una città non bella ma in grado di farsi amare, una città che – come dice Franco Lacecla – sogna altre città, capitali come Vienna o Parigi, e che è in grado di replicarne a tratti la bellezza. E poi ci sono gli altri emigrati, quelli di oggi, gli “irregolari”, ma anche quelli che il permesso di soggiorno ce l’hanno, come Helena, ragazza albanese arrivata con la prima grande ondata che attraversò l’Adriatico. E la sua immigrazione che si rispecchia in quella di Angelo.E ancora le storie di Angelo e di François che si rispecchiano l’una nell’altra, lato A nel lato B, la ricerca cosciente, analitica, che si riflette in quella casuale, affettiva, due strade che alla fine si incontreranno nell’unico posto che la vita moderna ancora concede all’incontro tra anime (quell’incontro, cioè, in grado di saltare i tempi delle convenzioni e i costrutti delle parole): il bancone di un bar.Di notte, il bancone del bar dell’albergo, diventa uno squarcio nello spazio-tempo delle tante vite e storie che si rincorrono nel libro, ma anche l’unica possibile ricucitura tra i diversi piani temporali, quelli sfalzati dei due protagonisti, e quello di Pavese ancora più lontano, che si riconnettono ognuno a modo suo con un ulteriore piano, quello del mito del poeta, o del mito della sua morte, fuori dal tempo dell’esistenza ma niente affatto fuori della storia.E così si può proseguire in un gioco potenzialmente infinito di rifrazioni. Come quello della confraternita di Angelo, che rispecchia quella di Pavese, ed entrambe che si rovesciano nella solitudine di François. E infine i dialoghi tra Angelo e François, quello spessore millesimale del disco, che non è né il lato A né il lato B ma ne costituisce l’incontro e la fusione, e dove è più facile leggere in filigrana quella che è la voce autentica dell’autore, a sua volta soggetto attraversato da molteplici identità che si riverberano nel testo: figlio del Sud, parigino d’adozione, torinese per elezione, scrittore per volontà, performer per vocazione, umorista per natura.
  • 28. Questo romanzo di Forlani si inscrive in una dimensione della letteratura che utilizza la scrittura, per così dire, come una “riparazione”. Una riparazione rispetto al destino di Pavese; non tanto a ciò che gli è successo, ma a come questo destino è trasfigurato passando di bocca in bocca, di penna in penna. E ciò è tanto vero per il destino di Pavese vivo, che si incrocia con le considerazioni dei protagonisti sull’amore, che per il destino Pavese morto, alle prese con la genesi di un mito che non lo riguarda, attraverso quei “pettegolezzi” che voleva lontani da sé.Nella sua ricerca François – e questo è un aspetto fortemente simbolico – non entrerà mai nei luoghi del mito: non entra nella casa di Pavese, come non entra nella camera d’albergo, la 313 o la 346 che sia. François non “consuma” la full experience del macabro turismo letterario. Preferirà starsene ai margini, sul confine, senza però oltrepassarlo, rispettando quel sentimento di pudore caro allo scrittore piemontese. Per avvicinarsi alla sua vita, non quella raccontata, ma quella vissuta davvero dal poeta, è necessario operare uno scarto rispetto alla sua immagine, bisogna stare al margine del racconto ufficiale, del mito. E nel farlo, occorre usare la pazienza e la delicatezza che ci sono voluti nel recuperare i manoscritti di Pavese dal fango che li aveva inghiottiti a causa di un alluvione, per evitare che l’acqua ne sciogliesse l’inchiostro.Allo stesso modo, sottrarre la sua morte al mito, standone al margine, significa recuperare la sua vita, sottraendola al fango del chiacchiericcio dal sapore di celluloide, che trasforma persino la morte di una Costance Dowling malata in un romantico schianto automobilistico alla Thelma e Louise. Sottrarre. Sottrarre dall’ombra del pettegolezzo per illuminare quella esperienza umana con un senso di tragica ma dolce inevitabilità, quello che si scorge tra le parole che aprono il biglietto di commiato lasciato da Pavese, la frase interrogativa che precede il monito sui pettegolezzi e che Forlani sceglie di non riportare mai nel suo libro: “Perdono tutti e a tutti chiedo perdono. Va bene?” Questo tentativo di riparazione di stampo benjaminiano che pervade il romanzo, dove il progresso (evocato dallo stesso Forlani) avanza schiacciando ciò che c’è di prezioso lungo il cammino, non si limita alla figura di pavese, ma si estende alle varie rifrazioni della storia, alle moltepolici storie, ai molteplici personaggi. Non si tratta però di un’ansia di ricostruzione impossibile e dal piglio moralizzante, ma un delicato tentativo di riparazione, di guardarsi indietro pur sospinti in avanti, e cercare così, per chi è rimasto indietro, un riscatto.Lo sanno bene i personaggi più “popolari” del romanzo di Forlani, la confraternita di Angelo, nuova classe operaia di un’epoca in cui la classe operaia non esiste più. È da quelle riflessioni conviviali e picaresche che esce l’idea, meglio, la sensazione, che oggi i poveri svolgono un ruolo rinnovato per i ricchi, non solo servono a produrre, ma li aiutano ad essere felici. Sono dei moderni intrattenitori, in questa società dello spettacolo diffuso. Un tempo gli operai si riconoscevano dalle facce incazzate, scrive Forlani; noi, invece, moriremo ridendo. [testo letto alla presentazione del libro, al Tuma's book bar di Roma, il 13 dicembre 2008] SABATO 6 DICEMBRE 2008
  • 29. Autoreverse di Francesco Forlani "Ma se 'tacere è la nostra virtù', come avvertiva nella prima poesia di Lavorare stanca, perché andare alla ricerca della sua voce? Non sono mai finite le strade che conducono a Pavese, a questo o a quel cimelio d’asfalto o di polvere, all’uomo o allo scrittore, o, chissà, all’uomo e allo scrittore. Ultima scommessa, fresca di stampa, nel centenario della nascita, Autoreverse di Francesco Forlani (L’ancora del Mediterraneo). Un esordio che ha la forma di una inchiesta romanzesca, dove i documenti si intrecciano con l’invenzione, talvolta di claudicante respiro (il giallo architettato intorno ai gioielli). Qui si narra di un portiere d’albergo - non comune l’albergo, il Roma in piazza Carlo Felice, a Torino, dove l’autore della Bella estate ingollò un tubetto di barbiturici il 27 agosto 1950 - in dialogo con un bricoleur francese alla ricerca della 'mitica' favella, di un nastro che ne custodisca il timbro. Esiste? Riuscirà nell’impresa, magari tentennando in una città che non gli si spalanca, che lo depista, capitale com’è della dissimulazione? C’è almeno un motivo per conservare Autoreverse, a modo suo un divertissement, un appetibile 'collage'. (Si pensa, avanzando, a una composizione di Flavio Costantini: Moby Dick, la chitarra di Pablo, gli occhiali di Cesare ...). E’ la pagina di diario, finora inedita, di Massimo Mila, in arrivo dall’Archivio di Stato, la cronaca del funerale di Pavese: 'Quando tutte le corone sono ammucchiate sul tumulo, Einaudi, Giolitti e Bobbio insistono ancora perché dica qualcosa ...'. Non dimenticando la testimonianza di Dada Grimaldi (che lavorò con Visconti ai dialoghi di Ossessione): 'La sera prima del terribile gesto era venuto da noi, (...) poi aveva assolutamente voluto leggere un passo dal Macbeth di Shakespeare. Quello che si conclude con la celebre formula 'tomorrow and tomorrow and tomorrow' (lo Shakespeare che offre l’epigrafe di La luna e i falò: 'Ripeness is all'). 'Tomorrow', scendendo nel gorgo muto, come un contadino di Santo Stefano Belbo. 'Facciamo come voleva lui e ricordiamolo in silenzio', ancora rintocca la voce di Massimo Mila, oratore malgré lui in quell’ultima, estrema estate." (da Bruno Quaranta, L'inedito addio di Mila a Pavese, "TuttoLibri", "La Stampa", 06/12/'08) PAGINE DI NATALE IN LIBRERIA CON DIECI FIRME La lista raccomandati dei
  • 30. I prescelti? Carteggi amorosi e autobiografie di comici romanzi on the road e versi da imparare a memoria Consigli doc «senza invidia». Abbiamo chiesto a dieci noti autori, in libreria con i loro nuovi titoli, di suggerire come regalo il libro di un collega scelto fra quelli usciti nell' ultima stagione. Ecco che cosa ci hanno risposto... Pagine di Natale In libreria con dieci firme La Szymborska a chi studia lingue «Il mio caduto, il mio tornato polvere / assunto l' aspetto che ha nella fotografia...», è la grande voce di Wislawa Szymborska. Curato da Pietro Marchesani è uscito Opere (Adelphi), con tutte le poesie, alcune prose e un' intervista. Testo polacco a fronte: lo regalerei a chi studia le lingue partendo dalla poesia. Paolo Nori Consiglio Milano fantasma di Michele Mari e Velasco Vitali, (Edt) perché i dipinti di Vitali delineano il profilo di una città fantasmatica, mentre gli scritti di Mari hanno un sapore surreale, quasi buzzatiano. Un libro adatto ai sognatori senza età e a chi ama la Milano dei vecchi tempi, quella cantata da Jannacci. Monologo poetico per mia mamma Scelgo La fondazione di Raffaello Baldini (Einaudi), piccolo capolavoro di uno dei più grandi poeti italiani. Protagonista del monologo è un signore che non butta via niente, una mania che lo ha fatto rimanere solo. Sta per morire e si chiede «Dove la metto tutta sta roba?» e sogna di aprire una fondazione. Forse lo regalerò a mia madre. Sandrone Dazieri Come fare felice l' amico cinefilo Non perdete Io, ciccione di Jerry Stahl (Mondadori), finta autobiografia di Roscoe «Ciccione» Arbuckle, comico molto popolare intorno agli anni Venti. Una lettura commovente e un ottimo spaccato del periodo del cinema muto. Se avete un amico cinefilo, ecco il regalo che fa per voi. Andrea Vitali È difficile parlare d' amore senza essere banali, ma in Storia di un matrimonio (Adelphi) Adrew Greer ci riesce. Siamo in tanti a non rassegnarci all' idea che la persona che ci è più vicina sia quella che conosciamo di meno. Da regalare all' amato. Vivian
  • 31. Lamarque Milano surreale quasi buzzatiana Gianni Biondillo Piccole case editrici nascondono tesori Autoreverse di Francesco Forlani (Ancora del Mediterraneo) è una storia appassionante costruita attorno all' incontro tra il portiere di notte dell' Hotel Roma di Torino, dove si uccise Cesare Pavese, e un letterato specializzato nell' opera dello scrittore piemontese. È l' occasione per scoprire i «tesori» delle piccole case editrici. Giuseppe Genna Fantastico esordio stile Márquez Regalerei Il tempo materiale di Giorgio Vasta (Minimum Fax): l' autore, 38enne, possiede una capacità di scrittura e uno stile formidabili. Ricorda García Márquez ma in una chiave «infernale». Tre ragazzini nella Sicilia di fine anni ' 70 decidono di formare una banda armata. Per chi non vuole perdersi uno dei migliori esordi dell' anno. Tiziano Scarpa Il cuore della poesia da Catullo ai Salmi Consiglio Trafitture di tenerezza (Einaudi) di Guido Ceronetti perché in questo libro ha scelto le sue migliori traduzioni di poesia, da Catullo ai Salmi, alla Bibbia. In poco più di un centinaio di pagine c' è il nocciolo della poesia che lo ha attraversato e di cui lui è stato il filtro. Un libro raro, scopri che la poesia è tutta contemporanea. Benedetta Cibrario Lettere d' amore negli anni Trenta Certi libri sono belli fin dal titolo: è il caso di Una parentesi luminosa di Marella Caracciolo Chia (Adelphi), che nasce dalla scoperta del carteggio e della breve ma intensa storia d' amore tra Vittoria Colonna e Umberto Boccioni. Il libro ha un' incantevole leggerezza di tocco nel ritrarre lo scorcio di un' epoca stretta tra due guerre. Antonio Scurati Tema apocalittico ma è un capolavoro Incoraggio la lettura di un capolavoro del genere apocalittico, il celebre La strada di Cormac McCarthy (Einaudi). Un padre e un figlio viaggiano in un mondo ridotto in cenere, trascinando con loro tutto ciò che ha ancora valore: come il cibo o la pistola con cui difendersi. E, soprattutto, il loro reciproco, disperato amore. Chiara Gamberale Quanti misteri tra moglie e marito Hanno collaborato Alessandro Beretta, Severino Colombo, Carlotta Niccolini Niccolini Carlotta Pagina 15(20 dicembre 2008) - Corriere della Sera “..e Cesare perduto nella pioggiasta aspettando da sei ore il suo amore ballerinae rimane lì a bagnarsi ancora un po'e il tram di mezzanotte se
  • 32. ne vama tutto questo Alice non lo sa” Francesco De Gregori, 1973 in una strofa di questo brano De Gregori canta la prima delusione amorosa di un Cesare Pavese che, ancora diciassettenne, aspetta invano sotto la pioggia l'arrivo della sua Pucci. Poi prenderà il tram, zuppo di pioggia e delusione ... ma questo, Alice, non lo sa. Autoreverse di Francesco Forlani L’ancora del mediterraneo Odisseo, 2008 In libreria in una di quelle visite in cui vorresti trovare mille argomenti per non andar via, tra gli scaffali, per caso, lo sguardo s’insinua nel foro circolare di una copertina bianca, dietro la quale un vecchio telefono a muro invita tacitamente nel passato: è un attimo, un tuffo, siete nell’Autoreverse. Lato A “Mi chiamo Angelo Cocchinone e sono di Casapulla, per poco.” Una voce, la prima, ne percepisci subito la musicalità dell’accento: “napoletano di Caserta”. Il linguaggio è semplice: frasi brevi, ironiche, incisive, miniature di paesaggi che si materializzano davanti agli occhi e capisci subito che sarà Angelo che ti condurrà sulla soglia del mistero, alla porta di quella stanza dove tutti vogliono pernottare, all’Hotel Roma, a Torino, dove Pavese volle lasciare alla reception il suo ultimo autografo. Lato B Una donna: Juliette, di Montepellier, al telefono dialoga
  • 33. con un uomo – François – un intreccio di voci, un’unica ossessione, trovare “… la voce di Pavese”. Dall’intreccio di questi due Lati, approfonditi / alleggeriti dai cinque dialoghi dall’autore posti come “entracte”, non solo si ascolta/assiste alla ricostruzione di alcuni aspetti e momenti della vita dello scrittore e del destino delle sue opere nella lettura che di esse fanno magistralmente i personaggi, quanto del suo carattere, ove per carattere non intendiamo solo temperamento e stile, ma quel tratto unico che lo contraddistingue e che lo fa essere irrimediabilmente se stesso, ciò che Forlani chiama inequivocabilmente “la voce”, la “sua”. I personaggi infatti non giocano soltanto il ruolo all’interno della propria storia, ma insieme interpretano Pavese nelle “figure” a lui più care, come quella dell’espatriato, in cerca di fortuna lontano dalle proprie origini e che trova solo in esse, amate e misconosciute, ricordi e legami. Così Angelo, annoiato dalla solitudine della grande città, che imparerà ad amare come “doppiamente casa … perché l’avrai deciso”, trova negli amici, migranti come lui, sfogo all’immenso desiderio di comunicare, attraverso il dialogo, la musica, il racconto, la complicità nel segreto, il calore dell’amore. Una costante, l’amore, che attraversa come una lama l’intera vita di Pavese: “Non ci si uccide per amore di una donna. Ci si uccide perché un amore, qualunque amore, ci rivela nella nostra nudità, miseria, inermità, nulla” – una costante non trascurata neppure dal nostro autore, che per dare “calore” ad una voce dai più ricordata come: “sommessa, oserei dire persino monotona, senza toni alti. (…)” – con discrezione suggerisce immagini, dai colori e dalle sfumature diverse, per aiutarci a coglierne, ancora una volta, la vera, ricca ed intensa, irriducibile, tonalità. “La questione chiave non è l’incontro con una donna, con
  • 34. l’amore, ma esserne degno”: “E’ sparita ed era giusto. Che cosa ne avrei fatto tanto? […]. Se la più bella delle donne che mi passano accanto per la strada volesse me, me me solo, che cosa ne farei tanto? Io non so cosa sia questa maledizione che ho indosso. Questa domanda che non mi lascia adorare in pace più nulla e nessuno.” In questo costante restituire la parola a Pavese l’autoreverse assolve in modo esemplare il proprio compito: non chiacchiere di salotti, non “pettegolezzi” sterili, ma ascolto, sguardo, su qualcosa che si delinea come inafferrabile e che nel suo volerlo essere e rimanere, viene rispettata fino in fondo. Così l’autoreverse si conclude con la stessa immagine che ci rapì all’inizio e ci immerse nel “nastro”, un telefono, non ormai irrimediabilmente silente, ma una voce, un amore, la speranza, la vita, una possibilità di riscrivere le proprie origini, di salvarsi dall’oscurità della notte, nel racconto e grazie ad esso: “La vera sfida in verità è stata un’altra – dirà François - ma in quel momento non ne ero consapevole. Mi sono salvato dalla notte che mi voleva assassino, per una serie di circostanze. Grazie ad una persona sola. Alle storie che una persona porta in sé.” Con questa frase l’autore restituisce ancora una volta la parola al poeta … un passo indietro, non si può mai descrivere del tutto una voce, definire un’identità, risolvere un mistero, così come non si può farlo con un profumo, ci si può semplicemente inebriare.
  • 35. Filosofipercaso [Sempre vieni dal mare] Sempre vieni dal mare e ne hai la voce roca, sempre hai occhi segreti d'acqua viva tra i rovi, e fronte bassa, come cielo basso di nubi. Ogni volta rivivi come una cosa antica e selvaggia, che il cuoregià sapeva e si serra. Ogni volta è uno strappo, ogni volta è la morte. Noi sempre combattemmo. Chi si risolve all'urto ha gustato la morte e la porta nel sangue. Come buoni nemici che non s'odiano piùnoi abbiamo una stessa voce, una stessa pena e viviamo affrontati sotto povero cielo. Tra noi non insidie, non inutili cose - combatteremo sempre. Combatteremo ancora, combatteremo sempre, perché cerchiamo il sonnodella morte affiancati, e abbiamo voce roca fronte bassa e selvaggiae un identico cielo. Fummo fatti per questo. Se tu od io cede all'urto, segue una notte lunga che non è pace o tregua e non è morte vera. Tu non sei più. Le braccia si dibattono invano. Fin che ci trema il cuore. Hanno detto un tuo nome. Ricomincia la morte. Cosa ignota e selvaggia sei rinata dal mare. C. Pavese postato da: nataliacastaldi alle ore 00:42 | link | commenti (12) link | popup commenti (12) consigli di lettura, francesco forlani, natàlia castaldi, autoreverse, antonella foderaro, la voce di pavese categorie: consigli di lettura, francesco forlani, natàlia castaldi, autoreverse, antonella foderaro, la voce di pavese falso d’autore inediti dell'apparenza Francesco Forlani : Autoreverse Febbraio 16, 2009 in conversazioni, letture | Tags: autoreverse, f.forlani, letture, pavese Io in una camera d’albergo ci sono nata. La numero 16. E sotto c’era il mare. Mi è sempre piaciuto pensare che l’appuntamento fra quell’evento insolito e il mare avesse un significato, che in qualche modo dovesse incidere sul corso
  • 36. della mia esistenza,o forse che la mia stessa esistenza potesse essere la ricerca di quel senso. Ma questo ancora non lo so. Ora quella camera è un ristorantino dal romantico nome “Rendez-vous”. Appuntamento. Anche “Autoreverse “sembra segnato dagli incontri. Infatti tutto inizia in un albergo, quello dove Pavese decide di togliersi la vita. Strano per me pensare anche a questo incontro fra il nascere e il morire che si consumano entrambi in una camera di un hotel, luogo che più di ogni altro dà un’idea di provvisorietà, di transito, in cui la vita diventa per l’uno e per l’altro quella cosa che non c’è, un tempo che accadrà o che non accade più.In realtà sia il romanzo sia ciò che ne ha preceduto la mia lettura sembra accompagnato da una sorta di segnali di predestinazione. Il primo risale ad alcuni mesi fa, prima ancora che il libro uscisse nelle librerie. In quel periodo rileggevo “Lavorare stanca” e scrivevo cose del tipo “leggo Pavese senza un perché solo per mettermi dentro l’aria e non sentire le voci dei muri…” e più o meno nello stesso periodo mi capitò di leggere uno stralcio del romanzo che Francesco Forlani aveva pubblicato in rete. Mi colpì che fosse la voce di Pavese e la sua ricerca, da parte dell’autore- personaggio, ad essere il perno intorno al quale la storia ruotava.La voce è una di quelle cose che più somigliano allo scrivere. Ognuno ascolta e riconosce la propria voce, ma non quella che gli altri percepiscono. E nella voce di un poeta è forse racchiuso il segreto più intimo della sua poesia. Mi colpì di quel brano anche la scrittura quasi tenera, sospesa, come se volesse cercare di non violare la morte con quel suo scavare - non fate troppi pettegolezzi-Quando qualche giorno fa ho iniziato a leggere “Autoreverse” però mi prende una sorta di delusione, che non è una vera e propria delusione, ma piuttosto un mettermi sulla difensiva.Il primo capitolo si apre infatti con una presentazione. Angelo Cocchinone inizia a parlare di sé. In modo quasi istantaneo nella mia testa la “voce” di Angelo inizia a risuonare con una marcata inflessione napoletana. Che l’autore avesse origini campane non era un mistero per me e in questo nulla di male c’è, lo sono anch’io tra l’altro, ma mi spiazza in un primo tempo il pensiero di essermi sbagliata e di ritrovarmi fra le mani l’ennesimo libro che cavalca l’onda di una certa napoletanità che trainata dagli ultimi successi di Antonio Pascale sembra essersi scatenata fra gli scrittori campani. La mia momentanea apnea è dovuta alle perplessità che nutro a volte di fronte ad un tipo di linguaggio che a mio avviso si presta a cedere nel tempo, non perché manchi d’intensità o spessore ma perché quella stessa struttura linguistica finisce col formare come un velo trasparente attraverso il quale è possibile seguire la narrazione ma impedisce di penetrarla oltre la superficie. Ma forse questa è solo una mia idiosincrasia.Comunque continuo la lettura anche perché Angelo fa il suo ingresso e mi introduce al romanzo in modo ironico, divertente e quasi un po’ timido laddove fa un breve accenno alla sua Helena, altro personaggio che si aggiungerà alla narrazione in seguito, che mi ricorda, con quel suo rallentare quando la incontra sul suo tragitto, la strategia disegnata
  • 37. da Pessoa per stare più a lungo con l’amata.Angelo è il portiere di notte dell’Hotel Roma. Francois ha prenotato la camera di Pavese per la sua ultima notte in Italia. Francois è uno scrittore. Francois è alla ricerca di quella voce, quella di Pavese, quasi volesse trovare in essa il senso di quella morte.Ho accennato all’inizio di essere nata in una camera d’albergo e più precisamente in quello gestito da mio nonno, quindi lì ho trascorso anche gran parte della mia infanzia. Conosco il fascino delle portinerie, di come da dietro i banconi di legno tutto appare diverso, so l’odore che si respira ai piani quando le donne vanno su e giù per riordinare le stanze, i rumori delle cucine.È un universo che vive parallelo e sconosciuto a quello che vive per chi vi soggiorna da cliente.Ed è in questo mondo che si muovono i personaggi di Autoreverse, giunti lì, prima ancora che da una Torino che incombe fuori con le sue linee rette e che quasi sfugge, da altri luoghi più o meno a Torino distanti.Sono tutti emigranti, tutti lontani dagli affetti, dalle mura familiari, sospesi, anche chi scrive e indaga e cerca.Ed ecco che ritorna il tema dell’incontro. L’Hotel Roma si fa crocevia, e è qui che gli eventi si dipanano in equilibrio fra questi due mondi gemelli. Due angolazioni, due lati, uno a e l’altro b della stessa storia. Come un nastro da sbobinare.Ma come entra Pavese in tutto questo?Credo che il punto di partenza del romanzo sia proprio in quelle ultime righe che Pavese scrive nella stanza 313, prima di togliersi la vita - non fate troppi pettegolezzi -Poche parole, ingenue quasi, di sicuro semplici. Proprio come questi personaggi che si ritrovano a condividere il peso di quella morte ma anche a proteggere quelle ultime volontà, quasi a prendersi cura di lui, Pavese, come fosse un cliente che ha semplicemente lasciato la camera lasciando qualcosa che gli era appartenuta.In quella camera Francois non entrerà. La camera stessa, a cui è stato cambiato il numero diventando la 346, nel corso del romanzo diventa così essenza di un luogo che è stato protagonista casuale di un evento, ma che nella sua oggettiva anonimità perde ogni incidenza su quella morte, ma permeerà gli amori, le delusioni, le amicizie, perfino i segreti dei personaggi che cercheranno invece di preservarla dallo sciocco fanatismo.Pavese, con i suoi tormenti, i suoi amori, la sua scrittura, entra nelle loro vite come una presenza, sì inquieta, ma non come un’assenza nel vuoto di una stanza e alla quale si debba trovare una giustificazione, ed è ascoltandone le storie, fra presente e passato, che l’autore percorre gli ultimi giorni di Pavese.Il respiro delle loro vite diventa quello di Pavese, e forse quello dello stesso autore che crea un tessuto narrativo in cui di volta in volta assume il ruolo di personaggio e di autore del romanzo stesso, ma le sue mille sfaccettature ne fanno una sorta di alter- ego di tutti i personaggi, e la ricerca della registrazione della voce di Pavese, passando attraverso l’incontro con quell’universo parallelo che orbita fra la portineria e i piani dell’Hotel Roma, diventa la ricerca di quell’innocenza che quella voce racchiude e che appartiene alla scrittura stessa di Pavese, diventando così pretesto per la ricerca della propria innocenza sia
  • 38. come scrittore che come uomo. http://www.ibs.it/code/9788883252389/forlani-francesco/autoreverse.html http://www.anobii.com/books/Autoreverse/9788883252389/01bb84eb44862c 5b20/ 5 1 1 di 1 l'ha trovato utile la solitudine affocata della bella estate libro imperfetto ma vitale, divagazioni tra romanzesco e cronaca nell'hotel dove si suicidò Cesare Pavese. La ricerca vana della sua voce, i documenti, le lettere, qualche pettegolezzo."Martedì 29 agosto 1950. Oggi sepoltura di Pavese. Partiti alle quattro dagli uffici Einaudi. Gran corteo a piedi per via Arsenale, con sosta sotto la sede della Casa editrice, fino a piazza San Carlo. Poi P in auto al cimitero". T Ti è d'aiuto questo? ― aleciccio detto il Jan 7, 2009 | 3 feedback 1 1 di 1 l'ha trovato utile Libro scorrevole e semplice, una lettura piacevole da poter fare tranquillamente dovunque.Scrittura ironica e coinvolgente, ricchezza di particolari sia nella descrizione dei luoghi sia in quella dei personaggi che si susseguono nell'albergo.Un vortice di emozioni, voci e volti. In questo libro si intrecciano le vite dei due protagonisti: Angelo, immigrato del meridione, portiere di notte all'Hotel Roma a Torino, dove lo scrittore Cesare Pavese si è tolto la vita e François, uno scrittore francese che a conclusione della ricerca di una registrazione della voce dello scrittore, decide di passare la notte nella "camera di Pavese".Apparentemente i due protagonisti non hanno nulla in comune, discutono di molte cose, ma alla fine i loro discorsi si ricollegano a
  • 39. Lui."svegliarsi a Torino è un atto di volontà, un gesto dovuto ma non desiderato, una bestemmi lanciata a Dio e ai padroni.C'è perfino una specialità di dolci che si chiamano crumiri.Allora sai che ti dico?Buongiorno, governo g ladro." T Ti è d'aiuto questo? 2 ― tittin@ detto il Nov 30, 2008 | 2 feedback . Da leggere! Si tratta di un libro molto ben costruito, due storie parallele e tante storie nella storia, tanti dialetti, tante voci. La storia ti prende fin da subito e ti sorprende fino alla fine. Così che alla fine vien voglia di visitare un certo ristorante r in collina, o di ascoltare davvero una certa voce. T Ti è d'aiuto questo? 1 ― Loredana detto il Jan 6, 2009 | 1 feedback . le voci di dentro e le voci di fuori T Ti è d'aiuto questo? A ― geppi detto il Dec 28, 2008 | Aggiungi la tua opinione . il dono della parola una costellazione disperata e serena un piccolo mare al quale la scrittura parla come fosse un cuorei silenzi non vanidi ritmo e respiroun respiro amico che risale r incredibile dal tempo andatoun piccolo grande dono Ti è d'aiuto questo? ― Doarki detto il Dec 17, 2008 | Aggiungi la tua opinione FUORI ORARIO - Ore 22Taneto di Gattatico MODENA CITY RAMBLERSGiornata del raduno nazionale dei fans della Grande Famiglia - Possibilità di pernottare gratuitamente in palestra. Prenotarsi chiamando lo 0522.671970 in orari d'ufficio Ore 19 - sala stazione: Aperitivo con le prelibatezze del Fuori Orario in compagnia dei MCR Un libro per aperitivo:
  • 40. "Autoreverse", L'ancora del Mediterraneo" di e con Francesco Forlani. Andrea Inglese presenterà il libro di poesia La distrazione (Sossella, Roma, 2008). Ore 20,30 Apertura punto ristoro. Per prenotare: 0522.671970 Ore 22 Sala treni Concerto dei MODENA CITY RAMBLERS Dalle 01,00 si balla con : sala stazione Marco Pipitone - sala treni - Robby - area binari - Tano Questa sera alla Loggia presentazione di "Autoreverse" Questa sera alla Loggia de Banchi, nel centro storico cittadino, verrà presentato il libro "Autoreverse" di Francesco Forlani, edito da L'Ancora Mediterraneo (€ 13.50). Angelo e François, al bancone del bar, parlano e bevono. Si sono conosciuti alla reception dell'Hotel Roma, l'albergo dove Cesare Pavese si è suicidato. Lì Angelo, immigrato meridionale, fa il portiere di notte e François ha prenotato per la sua ultima notte in Italia la camera "di Pavese": era qui alla ricerca dell'unica registrazione, forse dispersa, con la voce dello scrittore. I due fanno amicizia e, come in un vecchio nastro, le loro voci si alternano e si incrociano: si raccontano dei rispettivi paesi, delle loro vite, delle occasioni avute e di quelle perse... ma i loro discorsi tornano sempre a lui, a Pavese, alla sua scrittura, ai suoi amori infelici. Come quello per Constance Dowling, l'attrice americana alla quale fu legato e la cui figura è divenuta per François altrettanto ossessionante della voce dello scrittore. E poco per volta la vita di Pavese diventa sempre più presente nella quotidianità dell'albergo, permeando le storie di dipendenti e ospiti, tra amori e matrimoni, eventi apparentemente misteriosi, speranze e tradimenti... Con una scrittura ironica e coinvolgente, il romanzo diventa l'invenzione di un registro narrativo originale dove in un gioco delle parti storie e personaggi si intrecciano in continuazione. Sarà presente l'autore, presenterà la serata Marco Rovelli e Giambo. 22/01/2009 15:42:15 Redazione
  • 41. QuickTimeª e un decompressore TIFF (Non compresso) sono necessari per visualizzare quest'immagine. “Autoreverse” a Milano Posted by lapoesiaelospirito on February 15, 2009 Lunedì 16 febbraio alle ore 18.30 presso la Libreria Equilibri, via Rodolfo Farneti 11 (MM Lima), a Milano, Helena Janeczek e Giorgio Morale presentano Autoreverse (ed. L’ancora del Mediterraneo 2008) di Francesco Forlani. Libreria Odradek Via principe Eugenio 2820155 Milano02 3 314948odradekmilano@tele2.it http://www.odradek.it/html/librerie/libreriamilano.html V Venerdì 27 febbraio, alle ore 18Andrea Inglese e Francesco Forlani discutono i propri libri La distrazione (Luca Sossella editore) e Autoreverse (L'Ancora del Mediterraneo). Giovedì 25 Dicembre 2008
  • 42. Francesco Forlani presenta il libro “Autoreverse” LIBRI | S.Maria C.V. – Uno scrittore, ma anche cabarettista e performer. Un secondo scrittore. Uno stilista. Il ricordo di Cesare Pavese. La vita di un portiere d'albergo laureato. L'ossessione di un giornalista. Donne belle e algide. Ragazze appassionate. Casapulla, Casagiove, Caserta, Torino e Parigi. La stanza 313 dell'Hotel Roma. La stoffa su cui s'incidono le trame di tante storie legate da un filo rosso. Sono questi e molti altri gli ingredienti della serata "Autoreverse", dal libro di Francesco Forlani (appena pubblicato dall'ancora del mediterraneo), che sarà protagonista lunedì 29 dicembre alle 19.00 nella libreria Spartaco-Interno4 di via Martucci a Santa Maria Capua Vetere. Suo "supporter spirituale" lo scrittore Paolo Mastroianni; a Giovanni Battista Orsi, stilista della casa di moda Valentino, il compito di ordire trame destinate a lasciare traccia.La performance di Forlani e la presentazione del suo libro fresco di stampa saranno l'occasione per brindare ai due anni della libreria e per scambiare gli auguri di buon anno con gli amici di "Spartaco" e gli amanti della buona lettura. Il libroAngelo e François, al bancone del bar, parlano e bevono. Si sono conosciuti alla reception dell'Hotel Roma, l'albergo dove Cesare Pavese si è suicidato. Lì Angelo, immigrato meridionale, fa il portiere di notte e François ha prenotato per la sua ultima notte in Italia la camera "di Pavese": era qui alla ricerca dell'unica registrazione, forse dispersa, con la voce dello scrittore. I due fanno amicizia e, come in un vecchio nastro, le loro voci si alternano e si incrociano: si raccontano dei rispettivi paesi, delle loro vite, delle occasioni avute e di quelle perse... ma i loro discorsi tornano sempre a lui, a Pavese, alla sua scrittura, ai suoi amori infelici. Come quello per Constance Dowling, l'attrice americana alla quale fu legato e la cui figura è divenuta per François altrettanto ossessionante della voce dello scrittore. E poco per volta la vita di Pavese diventa sempre più presente nella quotidianità dell'albergo, permeando le storie di dipendenti e ospiti, tra amori e matrimoni, eventi apparentemente misteriosi, speranze e tradimenti... Con una scrittura ironica e coinvolgente, il romanzo diventa l'invenzione di un registro narrativo originale dove in un gioco delle parti storie e personaggi si intrecciano in continuazione. L'autoreFrancesco Forlani (Caserta 1967) vive e lavora a Torino. Autore del "Manifesto del comunista dandy" (Camera verde), è uno dei redattori storici di Nazione Indiana. Fonte : comunicato stampa Eventi alla Libreria Guida di Capua: Febbraio 19 febbraio Incontro con Francesco Forlani, scrittore e straordinario performer, per la presentazione di "Autoreverse", accompagnato dalla musica dei Ringe Ringe Raja, e con la moderazione di Marilena Lucente Libreria Guida Capua e Ex Libris caffè-ristorante Lunedì 2 febbraio, a partire dalle ore 21.00 – presso il B ART, Alzaia Naviglio Grande 54, Milano – B ART e MacchiaUmana presentano:
  • 43. CARTA CANTA E FONDALI DI BOTTIGLIE Parolerie, letture, gesti inconsulti e squarci dalla narrativa contemporanea.Ogni due lunedì, tra performance vocali e musicali, in compagnia di autori e urlatori da bar, e la prospettiva di una sana e prolungata ebbrezza, si darà una sbirciata a quanto di più interessante si muove nel magma editoriale italiano. Lunedì 2 febbraio secondo appuntamento con: VOIX OFF Concerto a più voci di Autoreverse un romanzo di Francesco Forlani - ed. Ancora del Mediterraneo. Musica: Luigi Carrozzo - Parole: Francesco Forlani e Fernando Coratelli. Un concerto romanzato sconsigliato vivamente a bambini, astemi e deboli di cuore. Per informazioni:bart@bartspace.euinfo@macchiaumana.com b 11 marzo con Stefano Zangrando Libreria Rovereto Blu Via Dei Portici 38068 Rovereto Tel.: (+39) 0464425363 10 marzo con Massimo Rizzante gennaio Aversa con Davide Vargas gennaio Aversa Quarto Stato