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Venerdì 21 dicembre 2012 - ore 17.30 - 19.00
    Auditorium "Robert Diemoz" Porcia
Il termine
 spirito
Leggende
 friulane
Mitologie
 antiche
Teologia
 cristiana
b. Anima, come principio di vita religiosa e
morale: fortificare con la meditazione lo s.
contro le tentazioni; la vittoria dello s. sugli
istinti, sul peccato; darsi, essere dedito alle
cose dello s.,
c. Principio di vita intellettuale, come
funzione e facoltà estetica: le attività dello
s.;elevare lo s. con la musica, con
l’arte; nutrire lo s. con lo studio.
d. In più diretta contrapp. al corpo, cioè alla
parte materiale dell’uomo: il conflitto tra s.
e materia; non bisogna badare soltanto alle
necessità del corpo ma anche a quelle dello
spirito
3. Con sign. più ristretto:
a. L’animo dell’uomo, inteso soprattutto come
complesso delle facoltà psichiche, intellettuali e
affettive:
b. Vivacità e prontezza intellettuale, rapidità e
sicurezza nel rendersi conto delle situazioni e
nell’affrontarle: è un ragazzo pieno di s. (o tutto
s.), che si farà certamente strada nella vita; è un
uomo di s. e saprà comprendere la tua particolare
situazione;
c. Disposizione all’arguzia e all’ironia, senso
dell’umorismo, capacità di scherzare e stare allo
scherzo: una persona che ha dello s., molto s., poco
s.; mancare, essere privo di s.; un uomo di s., brillante
e divertente;
d. In musica, con spirito, didascalia che prescrive una
esecuzione vivace e brillante di una composizione o
di un passaggio musicale
spìrito (ant. e poet. spirto) s.
m. [dal lat. spirĭtus - «soffio,
respiro, spirito vitale» ]
a. Entità priva di ogni
carattere di corporeità e
materialità, principio
immortale di vita: Dio è puro
s.; lo s. del bene, del male;
non com., anima individuale,
principio della vita fisica e
psichica
dell’individuo: rendere lo
s. o rendere lo s. a Dio,
morire.
spìrito
Nella fede e nella teologia
cristiana, S. Santo, terza persona
della Trinità, principio di salvezza e
di una profonda trasformazione
morale dell’uomo: attraverso di lui
si manifesta e si sviluppa, nella
comunità dei credenti e nella
storia, l’azione della potenza e della
grazia divina; è spesso
rappresentato con simboli, quali la
lingua di fuoco della Pentecoste, la
colomba, il vento, ecc.:
spìrito
     la discesa dello S. Santo sugli
       apostoli, nella Pentecoste; i
      doni dello S. Santo, infusi da
             Dio nell’anima umana
  (sapienza, intelletto, consiglio,
  fortezza, scienza, pietà, timore
    di Dio); e con inversione nella
      posizione dei due termini: li
movitori del cielo ..., naturati de
l’amore del Santo Spirito, fanno
    la loro operazione (Dante); la
   chiesa di Santo S.,Borgo Santo
                       S., a Firenze;
spìrito
anche, denominazione di altri
esseri immateriali per loro
natura (come gli angeli) o
distaccati dalla materia a cui
erano uniti (come le anime
delle persone morte): gli angeli
sono puri s.; s. beati, le anime
dei beati in paradiso;s.
infernali, s. maligni, i
demonî; s. dannati, le anime di
coloro che sono condannati
alle pene infernali.
spìrito
Per estens., anima, ombra
di persona defunta che si
immagina o si crede
ancora vivente di una
esistenza non più legata al
corpo:
monumenti funebri in cui
sembrano aleggiare gli s.
dei grandi ivi sepolti; Ebbi
in quel mar la culla, Ivi erra
ignudo spirito Di Faon la
fanciulla (Foscolo, con
riferimento a Saffo);
spìrito
nella pratica dello
spiritismo: evocare gli
s., mettersi in
comunicazione con gli
spiriti.
Più genericam., fantasma,
spettro: un castello
infestato dagli s.; credere
agli s., all’esistenza dei
fantasmi; avere paura
degli s.;
spìrito
anche, genio, ossia
essere immaginario, di
natura immateriale e
soprannaturale, che in
varie religioni, miti e
credenze popolari, si
ritiene costituisca il
principio vitale di un
elemento della
natura: lo s. della
foresta, del mare
creatura affascinante e
misteriosa, la cui origine è
antichissima, in quanto può
essere fatta risalire, come
vedremo, al culto delle antiche
dee presenti presso le
popolazioni del Neolitico. […] Le
antiche dee gradualmente si
sono ritirate nel profondo delle
grotte e delle foreste, presso i
corsi d’acqua e le sorgenti o sulle
rocce delle montagne, dove
sono sopravvissute fino ai nostri
giorni nelle leggende e nelle
fiabe
Le Aganes di Anduins erano
streghe buone, pericolose
solo per le bambine belle e
bionde che si fossero
avvicinate agli specchi
d’acqua presso cui esse
abitavano: le rapivano e le
portavano nella loro grotta
per farne delle Agane. Ma la
testimonianza, di
informatrice, sembra
piuttosto afferibile agli
‘esseri della paura’
(spauracchi etc. e relativa
funzione educativa)
Emerge chiaramente il rapporto acqua, grotta, ritrovamento
archeologico, folklore, che ho cercato di rilevare anche in Friuli ed in
modo particolare in Carnia, dove le tracce di antichi insediamenti e le
divinità acquatiche e boscherecce romane e preromane sono confluite
nelle leggende relative. […] Grotte e cavità hanno ospitato di frequente
l’uomo preistorico e protostorico e la fantasia popolare, dimentica di
vicende così lontane, ha fatto il resto, popolando le caverne di esseri
fantastici e spesso mostruosi e forgiando toponimi ad essi ispirati»;
cfr. Lunazzi, Aganas
,
Aguane - anguane
Vecchie leggende diffuse soprattutto
nelle zone montane del Friuli e del
Triveneto, ma presenti anche nel folclore
della Laguna di Grado e Marano, parlano
delle Anguane.
L'antico termine aiguana lo si può
trovare nel De Ierusalem celesti, opera
scritta da Frate Jakomin da Verona
(Giacomino da Verona) nel XIII secolo. Le
anguane sono presenti nella celebre, e
antichissima, Saga dei Fanes, racconto
mitologico delle Dolomiti, conosciuto
soprattutto nella versione scritta da Karl
Felix Wolff nel 1932. L'anguana (dal
lat. aqua=acqua, con sonorizzazione
della q, infisso nasale n, aggiunta del
suffisso an, desinenza femminile a) nota
come Agana nelle tradizioni friulane e
carniche, è una ninfa tipica della
mitologia alpina.
Anguane
A seconda delle varie località o leggende, le
Anguane si presentano con particolarità
differenti le une dalle altre, in genere
vengono rappresentate come spiriti affini
alle ninfe, caratterialmente si fondono con le
ondine o altre figure della mitologia
germanica e slava. In alcune leggende si
afferma che fossero donne morte di parto o
fanciulle, o anime di bambine nate morte;
meglio ancora benandanti al femminile (nate
avvolte dal sacco amniotico). In altre storie e
tradizioni sono viste come donne dei boschi
dedite ad un culto pagano ( unendo il mito
alla realtà delle religioni sciamaniste vive in
Friuli e in Carnia sino al XVII secolo) ma
sempre considerate figure non umane
appartenenti al mondo degli spiriti.
Molto spesso venivano
descritte come giovani
donne, molto attraenti
capaci di sedurre gli uomini,
oppure si presentavano
come esseri per metà
ragazze e per metà rettile, in
grado di lanciare forti grida
(in Veneto esisteva, fino a
poco tempo fa, il detto "Sigàr
come n'anguana", gridare
come un'anguana). In altre
storie sono delle anziane
magre e spettrali, che girano
di notte e che si dileguano
prima che chi le incontra
possa vederle in viso.
Vestite, nelle leggende friulane, quasi sempre di bianco, nelle altre
tradizioni invece, amano molto i colori brillanti e accesi, come il
rosso e l'arancione (ma raramente appaiono indossando stracci di
colore nero). In ogni caso tutte le leggende sulle anguane dicono
che in queste creature, sono presenti uno o più tratti non umani,
per esempio: piedi di gallina, di anatra o di capra, gambe
squamate, una schiena "scavata" (che nascondono con del
muschio o con della corteccia).
L'altro elemento comune su cui
tutte le leggende concordano è che
le anguane vivono presso fonti e
ruscelli e sono protettrici delle
acque. Si dice che dei pescatori
rivoltisi a loro con rispetto, abbiano
avuto in cambio molta fortuna. Si
narra anche di come abbiano
insegnato agli uomini molte attività
artigianali tradizionali, quali la
filatura della lana o la
caseificazione, ma guai se non
veniva mostrata riconoscenza
all’anguana per i suoi insegnamenti
o gli uomini rompevano il patto
stretto con ella, questa se ne
andava, offesa, senza insegnare loro
più niente.
Nei comuni cimbri veronesi le
anguane (in questo territorio
chiamate anche Bele Butèle, Belle
Ragazze), erano un tempo addette
ai pozzi e lavavano i panni della
gente delle contrade, ma si
rifiutavano di lavare quelli di colore
nero.
 Si racconta anche che esse erano
solite terrorizzare o burlare i
viaggiatori notturni, spargere
discordia, in particolare tra le
donne, rivelando segreti e
pettegolezzi, inoltre, se insultate,
erano inclini alla vendetta, portando
sfortuna a vita al malcapitato, ma
non uccidevano mai uomini o
animali.
Spesso se incontravano giovani ragazze che si
attardano fuori casa la sera le costringevano,
vanamente e per tutta la vita, a riempire
d’acqua cesti di vimini. Altre storie popolari
invece affermano il contrario cioè che fossero
le anguane male intenzionate a essere
ingannate da uomini astuti che le pregavano di
riempire un cesto di vimini per trattenerle, fino
al sorgere del sole, fuori dalla loro casa dove
avevano deciso di accamparsi. (Appunto ancora
adesso in diversi luoghi del Friuli vige l'usanza
di lasciare davanti all'ingresso di casa un cesto
di vimini, così l'anguana cercherà invano per
tutta la notte, di riempirlo d'acqua lasciando in
pace gli abitanti della stessa.
Queste creature smisero di mescolarsi con gli
umani dopo il Concilio di Trento.
Le aguane e il bucato

Un tempo molto lontano
viveva nella Buse cjalde e
nella Busa freda un Popolo di
Anguane vestite di verde.
Queste uscivano solo nelle
notti chiare di luna, il vestito
che indossavano si
confondeva con il prato. Le
Aguane usavano lavare le
loro vesti nelle grotte
sott'acqua, alcune di loro
erano molto brave in questo
lavoro, altre erano indolenti e
sfaticate.
Una di esse, tornata a casa dopo
un lungo viaggio aveva un nuovo
sistema di fare il bucato che, fu
subito adottato da tutte le altre,
consisteva nello stendere le vesti
sul prato e invocare gli spiriti
dell'acqua perché arrivasse un
temporale, aspettare quindi che
l'abbondante acqua lavasse i vestiti
e poi che l’arrivo del sole li
asciugasse. Una volta asciutti
raccoglierli per riporli in armadi e
cassepanche in questo modo loro
sarebbero sempre state felici e
riposate.
Ma ben presto i contadini della
valle si resero conto che quando i
prati attorno Buse cjalde e Busa
freda assumevano quell'aspetto
particolare, era il giorno del bucato
delle Aguane, quindi, certamente,
entro la notte sarebbe arrivato un
copioso temporale con acqua a
catinelle e grandine, a rovinare i
loro raccolti di fieno, orzo e grano,
per questa ragione, prima di
ritornare a casa dai campi i
contadini che avevano già tagliato il
fieno, lo raccoglievano in covoni,
così erano sicuri di non perderlo.
I greci conoscevano un'altra categoria
di esseri intermedi tra gli dei e gli
uomini, a cui davano grande
importanza: i demoni (daimones). La
parola greca "daimon" (singolare di
daimones) deriva da "daiomai", che
significa "dividere", distribuire,
assegnare, cedere. L'idea di un
demone che fosse il costante
compagno di una persona apparve nel
V secolo a.C. in Esiodo, e il concetto
che demone fosse la causa della
felicità o dell'infelicità di una persona
ebbe nel III secolo a.C. una diffusione
molto ampia.
I greci, fin dal IV secolo a.C.,
facevano sacrifici ad un demone
"buono" (agatos), considerato lo
spirito della casa. Platone non
usa la parola "daimon" senza
qualche ambiguità; in genere è
sinonimo di Dio e talvolta con la
sfumatura di un essere quasi
umano.
Nell'opera filosofica
platoniana il "Symposium",
Diotima dice che Eros è un
demone potente e che gli
spiriti sono qualcosa tra Dio e
l'umano. Al quesito di Socrate:
"Che potere hanno essi,
dunque?", Diotima risponde:
"Sono gli inviati e gli interpreti
che vanno e vengono tra cielo
e terra, volando in alto con la
nostra venerazione e le nostre
preghiere, e discendendo con
le risposte e comandamenti
divini".
Poiché si trovano fra le due
situazioni essi fondono i due
lati insieme e le incorporano
in un grande tutto. Essi
formano il mezzo delle arti
profetiche, dei riti sacerdotali,
di sacrifici, iniziazioni e
incarnazioni, di divinazioni e di
stregoneria; infatti il divino
non si mescola direttamente
con l'umano, ed è soltanto
attraverso la mediazione del
mondo dello spirito che
l'uomo, sveglio o dormiente,
può avere qualche rapporto
con gli dei.
Vi sono molti spiriti e Eros
(Amore) è uno di loro. Nella
Stoà e nel Platonismo del
periodo di mezzo viene
elaborata una maggiore
differenza fra gli dei e i
demoni: i primi vengono
considerati le forti potenze
dell'universo che si tengono al
di sopra delle sofferenze e
delle posizioni dell'umanità,
mentre i secondi (i demoni),
abitano il regno intermedio
tra l'olimpo ed il genere
umano, e si uniscono agli
spiriti della natura nelle fonti,
nelle piante e negli animali.
Secondo tale concezione, lo
spirito dell'uomo, il suo
"genio" ed il suo "Spirito
buono", sono anch'essi
demoni come gli altri spiriti
che abitano l'aria. Dopo la
morte dell'uomo essi
divengono Lemurs o Lares
(dei della casa), oppure se
erano cattivi, larvae, cioè
spettri e fantasmi.
Divinità romane di probabile origine
etrusca, i Lares si dividevano in due
sottocategorie tutelari: quelli
compitales proteggevano i crocicchi,
quelli familiares custodivano gli
ambienti domestici.
La dualità dei Lari deriva dal mito:
Lara o Lala era una ninfa dell’antico
Lazio che rivelò a Giunone l’amore di
Giove per la ninfa Giuturnae perciò il
padre degli dei le strappò la lingua.
Affidata a Mercurio per essere
imprigionata negli Inferi, venne da
questa divinità trasportatrice messa
incinta contro la sua volontà e partorì
due gemelli, i Lari appunto.
Raffigurati come uomini
con cornucopia, i Lari
familiari erano venerati nel
larario, una nicchia posta
nell’atrio della casa. Gli si
offrivano frutti
(soprattutto fichi) e
libagioni quotidianamente
ma in particolare nei giorni
più importanti come le
Calende, le Idi e le None.
Ogni ricorrenza e vicenda
domestica era sotto la loro
cura: il matrimonio, il
passaggio dall’adolescenza
all’età adulta.
Plutarco, vissuto tra il I ed il II secolo
a. C. ideò il seguente ordine del
mondo: in cima all'ordine cosmico ci
sono gli dei visibili, i cui corpi celesti
appartengono all'elemento del
fuoco; sotto di loro i demoni che
appartengono all'aria; ancora più in
basso gli spiriti degli eroi defunti che
appartengono all'acqua e infine gli
esseri umani, animali e piante con la
loro natura di terra.
Secondo Plutarco, i demoni non sono
immortali, ma possono vivere per
migliaia di anni. Quando essi
muoiono, spesso si scatenano
temporali o epidemie di peste.
Il neoplatonismo, invece,
ha questa visione
cosmologica: all'apice vi
sono gli dei superiori che,
con saggia provvidenza,
dettano ordini a tutte le
cose e muovono nel cielo
i corpi celesti. I demoni
sono considerati dalla
filosofia neoplatonica
come esseri provvidenziali
che sono protettori e
guardiani di particolari
problemi umani.
Presso gli antichi romani i geni
erano in origine gli dei della
casa. L'etimologia di questo
nome è in riferimento a gegnere
(procreare o generare), cosicché
il genio rappresenta innanzitutto
il potere riproduttivo del padre
di famiglia. Il letto matrimoniale
si chiamava genialis lectus, in
riferimento non soltanto al
vigore sessuale, ma anche a ciò
che oggi chiameremmo vitalità
psichica, temperamento e
vivacità.
Per i romani, specialmente
l'abitazione era sotto— la
tutela di diversi geni: Vesta
proteggeva il focolare, i Penati
proteggevano gli
approvvigionamenti
alimentari, il Lar assicurava la
fortezza e poi vi erano i
membri defunti della famiglia
che continuavano a vivere
nella casa con i viventi. La
statuetta del genio del padre
di famiglia normalmente stava
presso il focolare in cucina ed
anche la madre di famiglia
aveva uno spirito guardiano
chiamato Giunone.
Dal III secolo a.C. non solo il
capofamiglia, ma ogni
uomo aveva il suo genio ed
ogni donna la sua Giunone
e ciascuno offriva
determinati sacrifici al suo
genio ad una festa nel
giorno del proprio
compleanno. I pagani
credevano che il genio
nascesse con la specifica
persona e che fosse l'arbi-
tro della sua sorte.
Dal III secolo a.C., quando la
cultura romana incontrò quella
greca, s'incominciò a credere che il
genio fosse immortale ed il genius
loci divenne il genio della città,
della scuola e del Senato. A
contatto con la filosofia greca, il
genio italico perse la sua
componente iniziale di vitalità
fisica e di principio di vitalismo
erotico e fu visto come il nucleo
psichico spirituale immortale,
Platone, nell'opera Timeo, enuncia
la sua dottrina secondo la quale
ogni persona possiede un daimon
divino, che è la componente più
nobile della sua psiche
Nell'opera De genio Socratis di
Apuleio, si distinguono due geni che
vivono negli umani: il primo è custode
etico immortale ed amico interiore di
una persona specifica e il secondo è il
portatore della concupiscenza ed è
negativo. Il pensiero pagano è intriso
di astralismo ed è giustamente
affermato che non si può conoscere
in profondità il pensiero antico se non
si conosce l'astrologia, per cui l'idea
del genio si associò con l'idea
astrologica di un fato personale,
generato dalla data di nascita, ed è
per questo che venivano offerti
sacrifici al proprio genio personale nel
giorno del compleanno.
Nacrolio, nel suo "la tumola",
afferma che ogni persona è una
combinazione di quattro daimoni:
il primo è eros; il secondo è il suo
particolare destino, che è stabilito
da Dio, il terzo daimon, che ha
una natura marcata dalla
posizione del sole nell'oroscopo e
infine l'ultimo daimon è Tycle,
cioè la fortuna, che dipende dalla
posizione della Luna.
 Come si può facilmente dedurre,
l'angelologia della New Age, oggi
così diffusa sul mercato, si ispira
all'astrologia ed è quella che
riprende i temi meno illuminati
dei pagani.
A stento ci raffiguriamo le cose terrestri
scopriamo con fatica quelle a portata di mano
  ma chi può rintracciare le cose del cielo ?

                 (Sap 9,16)
Oggi si preferisce mostrarsi forti e
spregiudicati, atteggiarsi a positivisti, salvo
poi prestar fede a tante gratuite ubbie
magiche o popolari, o peggio aprire la
propria anima […] alle esperienze
licenziose dei sensi, a quelle deleterie degli
stupefacenti, come pure alle seduzioni
ideologiche degli errori di moda, fessure
queste attraverso le quali il Maligno può
facilmente penetrare ed alterare l‘umana
mentalità.
(PAOLO VI, 15 novembre 1972).
Angelo viene dal latino
angelus, che ricalca il greco
anghelos, che significa un
inviato, un messaggero, un
emissario. Esso è utilizzato
per tradurre l‘ebraico mal’ak
che possiede il senso
ordinario di messaggero o di
ambasciatore ed è impiegato
in senso figurato per
designare l‘angelo del Signore
o tutti quegli esseri che fanno
parte della corte
dell’Onnipotente.
Nella Bibbia cristiana
particolarmente rivelativa è
la dichiarazione che
l‘angelo custode Raffaele-
Azaria fa a Tobia e ai suoi
amici sostenendo che la
ragione della sua missione
è l‘amore di Dio: “quando
ero con voi, io stavo con voi
non per bontà mia, ma per
volontà di Dio: lui dovete
benedire sempre, a lui
cantare inni” (Tb 12,18).
(Giacobbe   )Fece un sogno: una scala poggiava sulla terra,
mentre la sua cima raggiungeva il cielo; ed ecco gli angeli
di Dio salivano e scendevano su di essa (Gn 28,12)
In verità in verità io
vi dico: vedrete il
cielo aperto e gli
angeli di Dio salire e
scendere sopra il
Figlio dell’uomo
(Gv 1,51)
Negli scritti di Bernardo di Chiaravalle (†
1153) l’operato degli Angeli custodi
consiste nel salire e scendere dal cielo,
secondo le parole stesse di Gesù (Gv
1,51). Essi svolgono un ministero di
mediazione tra Dio e gli uomini. Quando
contemplano Dio si sono mossi sulla via
ascendente che porta alla beatitudine
celeste; quando essi si volgono verso la
terra con compassione per venire in
nostro soccorso percorrono la via
discendente. Così facendo, gli Angeli
imitano l’esempio di Cristo, divenendo
come lui servitori dell’uomo, affinché
l’uomo si elevi e salga fino a Dio. In tal
senso sono compagni degli uomini e loro
servi, in ossequio alla volontà di Dio.
I messaggeri divini sollecitano gli
umani a convertirsi al Padre di
Gesù Cristo rispondendo alla
chiamata dello Spirito Santo. In
tal modo collaborano
attivamente al cammino storico
dell‘umanità e del cosmo in
attesa della venuta gloriosa di
Cristo. Le potenze angeliche
aiutano gli uomini a ritrovare il
senso vero e profondo della loro
storia: riconoscere la signoria
assoluta di Cristo e accogliere la
sua parola di salvezza.
Nel 740 a. C. il profeta Isaia ebbe una
visione sublime. Alcuni serafini con sei ali,
due coprenti il volto e due i piedi del Verbo
incarnato e le altre due servivano a volare,
circondavano il trono del Signore
proclamando ―Santo, santo, santo il
Signore degli eserciti! Tutta la terra è piena
della sua gloria(Is 6,3). Questi spiriti
ardenti d‘amore per Dio manifestano e
diffondono Deus caritas est, rivelando così
il senso della loro esistenza. La loro ragion
d‘essere, il principio e la fine di ogni loro
atto e sempre Dio, è sempre in relazione
con il pensiero e il progetto e la volontà del
Signore del cosmo e della storia.
Il fatto che fosse ben viva la fede
negli angeli custodi tra le comunità
ebraico-cristiane al tempo di Gesù è
testimoniato da Luca
negli Atti degli apostoli quando Rode
riconosce la voce di Pietro ed
esclama:
«È il suo angelo!», perché non
poteva credere alla sua liberazione
(At 12,13).
Per san Giovanni Crisostomo è
questo l’argomento
decisivo sull’esistenza degli angeli
custodi .
Gli angeli aiutano, sostengono e
servono Cristo, l’autore della
salvezza (Eb 2,10). «Dall’Incarnazione
all’Ascensione, la vita del Verbo
incarnato è circondata dall’adorazione
e dal servizio degli angeli». Sembra
quasi che il Nuovo Testamento non
abbia più bisogno di una mediazione
angelica (1Tm 2,5) in
quanto ora il Figlio unigenito ci rivela
il Padre (Gv 1,18): « Poiché
tu gli hai dato potere sopra ogni
essere umano, perché egli dia la vita
eterna a tutti coloro che gli hai dato »
(Gv 17,2).
«Tuttavia gli  angeli
non possono mancare perché
appartengono alla gloria
celeste
del Figlio dell’uomo e
soprattutto perché rendono
visibile il carattere
sociale del regno dei cieli,
verso cui il cosmo dev’essere
trasformato».
Non bisogna però
dimenticare che l’idea
dell’angelo custode, meglio
dell’angelo guida e aiuto, è
presa dal giudaismo e si
fonda in Mt 18,10: «
Guardatevi di non
disprezzare uno solo di
questi piccoli, perché io vi
dico che i loro angeli nei cieli
vedono sempre la faccia del
Padre mio che è nei cieli ».
Nel 1986 Giovanni Paolo II nella
sua catechesi sugli angeli mette
in evidenza anche la loro
funzione di testimoni nel
supremo giudizio divino sulla
sorte di chi ha riconosciuto o ha
rinnegato il Cristo: « Chiunque mi
riconoscerà
davanti agli uomini, anche il Figlio
dell’uomo lo riconoscerà davanti
agli angeli di Dio; ma chi mi
rinnegherà davanti agli uomini
sarà rinnegato davanti agli angeli
di Dio » (Lc 12,8-9).
Anche Giovanni Crisostomo (†
407) ha chiaramente presente il
modo simbolico per descrivere le
―caratteristiche fisiche degli
Angeli che sono incorporei.
Parlando dell’attribuzione delle ali
ai puri spiriti dice : ―non perché
gli angeli abbiano le ali, ma
perché tu sappia che essi lasciano
le regioni superiori e il soggiorno
più elevato per avvicinarsi alla
natura umana; così le ali
attribuite a queste potenze non
hanno altro senso che indicare la
sublimità della loro natura.
L'abito completo monastico è quello
che, più di ogni altro, viene definito
"Angelico ". Nel Medio Evo, periodo
della massima interpretazione
simbolica, tale abito era il simbolo
degli Angeli; infatti esso è composto
da un cappuccio che ricopre il capo,
uno scapolare che scende fino ai
piedi, un mantello (pallio o cocolla)
che si stende sulle braccia; questi tre
vestiti, ciascuno dei quali è doppio
perché ha due facce o lati,
simboleggiano le sei ali che velano
completamente i Cherubini e i
Serafini.



In questo particolare tratto da un affresco di Andrea di Buonaiuto (capitolo di S.Maria Novella, Firenze, 1365-
67) i cani (Domini-canes) difendono le pecore (i fedeli) dalle volpi (gli eretici)
San Bonaventura da
Bagnoregio († 1274)
afferma spiegando
l’unione spirituale di un
monaco col suo angelo
custode: "Gli spiriti
Angelici ardono di un
meraviglioso fuoco, che
infiamma le anime degli
eletti e le fa penetrare
in Dio".
La scienza moderna non crede
assolutamente che il corso della vita
possa essere interrotto o, per così dire,
perforato da potenze soprannaturali. … È
mitologica la rappresentazione del
mondo ripartito in tre piani, cielo, terra,
inferno: l‘idea di un intervento di forze
soprannaturali nel corso della storia; la
rappresentazione dei miracoli e, in
particolare, di quello concernente
l‘intervento di forze soprannaturali nella
vita intima dell‘anima; infine l‘idea
secondo cui l‘uomo può essere
posseduto da spiriti malvagi, tentato e       BULTMANN RUDOLPH, Jesus Christus
                                              und die Mythologie: das Neue
corrotto dal demonio.                         Testament im licht der bibelkritik ,
                                              Hamburg, Furche 1964, 11-13.
L’esistenza degli spiriti celesti non è una verità opinabile né un mito di una
mentalità ingenua prescientifica, ma è un dogma di fede, quindi una verità
chiaramente affermata dalla Bibbia, sostenuta dalle tradizioni ecclesiali
occidentali ed orientali e solennemente definita dal magistero della Chiesa.
Infatti il Catechismo della
Chiesa Cattolica (CCC 328)
afferma espressamente:
 L’ esistenza degli esseri
spirituali, incorporei che la
Sacra Scrittura chiama
abitualmente Angeli è una
verità di fede. La
testimonianza della Scrittura è
tanto chiara quanto
l‘unanimità della Tradizione.
L’opera più famosa di S.
Agostino, la “Città di Dio”:
un’apologia del Cristianesimo
contro il paganesimo e le
correnti filosofiche di quel
tempo, che a più riprese tratta
pure il tema degli Angeli (santi
e reprobi).
Nel mondo, tra gli
uomini esiste una
divisione profonda non
sempre visibile, che il
santo Dottore
caratterizza con i nomi
delle due città: la “Città
di Dio” e la “Città
terrena”, originate da
due amori contrari. La
prima riunisce tutti
coloro che amano Dio
“fino all’indifferenza per
sé”, la seconda quelli
che amano se stessi
“fino all’indifferenza per
Dio”.
La stessa divisione esiste tra gli
Angeli, che sono annoverati,
insieme agli uomini, tra i cittadini
dell’una o dell’altra città. La
Provvidenza divina, secondo
l’eterno disegno del Creatore,
opera nella storia umana
attraverso i secoli, per il sorgere e
lo sviluppo della “Città di Dio”,
destinata a compiersi nell’armonia
del Paradiso, dove uomini e
Angeli eletti saranno eternamente
uniti nel gaudio e nell’adorazione
di Dio, ed Egli sarà “tutto in tutti”
(1 Cor 15,28).
Nella seconda città, sottomessa ai
demoni, domina la superbia. E mentre
i cittadini del Cielo hanno “il fuoco del
santo amore di Dio”, gli altri “il fumo
dell’immondo amore della propria
grandezza”. (Ib., LXI,33,p.575). La
Chiesa è tenuta a promuovere la “Città
di Dio” nel mondo, ed anche lo Stato,
nel pensiero di S. Agostino, deve, per
l’interesse temporaneo ed eterno dei
suoi sudditi, aiutarli a fare parte della
medesima città. Il primo argomento
che S. Agostino sceglie di proposito
quando inizia a parlare della Città di
Dio, è la creazione degli “Angeli santi,
che costituiscono una gran parte di
questa città; una parte tanto più felice,
perché non ha mai provato l’esilio”.
Infatti l’intimità
con il Creatore è
l’unica energia
che dona agli
angeli e agli
esseri umani la
loro perfezione e
la loro felicità.
La Sacra Scrittura – ricorda il
santo Dottore – non nomina gli
Angeli quando parla della
creazione del mondo. E’ certo che
appartengono “all’opera dei sei
giorni; ma non è detto
apertamente se e in quale
momento sono stati creati”.
Tra le varie ipotesi possibili, S.
Agostino predilige quella che
assegna la loro nascita al “primo
giorno”, allorché Dio disse: “Sia la
luce! E la luce fu”. (Gn 1,3).
Se è avvenuto così, allora gli
Angeli – deduce il Santo –
“sono stati certamente resi
partecipi della luce eterna, che
è la stessa Sapienza di Dio, per
mezzo della quale sono state
create tutte le cose. Ed è
l’unigenito Figlio di Dio”.
Illuminati dal Verbo, la “luce
vera” (Gv 1,9), gli Angeli
dovevano essere luce “non in
se stessi”, ma in Lui, ossia
trovare tutta la loro perfezione
nell’unione col Creatore.
Una parte degli Angeli, invece, quelli
che noi chiamiamo ribelli, si
distolsero da Dio a si rivolsero a se
stessi, che non sono luce. Privatisi
della partecipazione alla luce eterna,
non furono più luce nel Signore, ma
“tenebre in se stessi” . Le tenebre –
precisa S. Agostino – non sono
un’essenza, ma la privazione della
luce, come il male non è un’essenza,
ma la privazione del bene. Il Creatore
separò allora gli Angeli rimasti uniti a
Lui, che sono luce, dai ribelli che sono
tenebre. Questa divisione, secondo S.
Agostino, è indicata chiaramente dal
versetto della Genesi: “Dio vide che la
luce era cosa buona e Dio separò la
luce dalle tenebre” (Gn 1,4).
I due gruppi angelici sono ben caratterizzati da altri versetti biblici, che il Santo cita di
seguito. Agli Angeli della luce, fedeli a Dio, è rivolto l’invito del salmista: “Benedite il
Signore, voi tutti suoi Angeli potenti esecutori dei suoi comandi” (Sal 102/103, 20-
21). Agli spiriti ribelli, che non adorano Dio, ma vorrebbero essere essi stessi, si
addice l’invito diretto da Satana a Gesù nell’ultima tentazione nel deserto: “Tutte
queste cose io ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai” (Mt 4,9).
S. Agostino riflette a lungo
sul problema – così lo
definisce – della “volontà
cattiva” degli angeli che si
sono distaccati dal Creatore
e tenta di risolverlo con varie
argomentazioni. “La volontà
cattiva produce l’azione
cattiva”, afferma, ma è
costretto ad asserire: “se si
cerca la causa efficiente di
questa cattiva volontà non la
si trova”.
Conclude: “E’ il vizio della
superbia” , che la Sacra
Scrittura definisce come il
principio di ogni peccato. E’
“l’iniziale disfacimento”–
commenta il santo Dottore – di
questi esseri che “non vollero
mantenere in ordine a Dio il
proprio valore” il posto
perfettissimo che li aveva creati
dal nulla per beatificarsi in Lui
ed avere in Lui la pienezza
della perfezione e della felicità.
Si distaccarono
volontariamente da Dio e si
anteposero a Lui.
“Non cessarono di
essere” , ma “non
raggiunsero la sublimità
della vita sapiente e
felice” che avrebbero
avuto nell’unione con il
Signore.
Rimane loro la “vita
dell’intelligenza” inerente
alla propria natura, ma,
precisa S. Agostino “in
stato di insipienza” :
hanno perduto, con il
peccato, la “vita
sapiente”, che è
sostanzialmente –
diremmo noi – la grazia
divina, cioè il godimento
profondo di un dialogo
ininterrotto con la
Santissima Trinità.
Perciò la “causa vera della
felicità degli Angeli buoni è
l’essere uniti all’Essere
perfettissimo… la causa
dell’infelicità degli angeli ribelli
è l’essersi distolti da Lui e volti
a se stessi”
In conclusione nel De civitate Dei, Agostino ribadisce la creazione
degli Angeli e la loro partecipazione insieme agli uomini alla città di
Dio. La loro funzione è di aiutare le persone a raggiungere la felicità
perenne con Dio e la comunione dei Santi. Un compito
soteriologico, ma anche dossologico, perché la loro mansione è
soprattutto quella di lodare Dio.
Voi, voi che noi amiamo,
voi non ci vedete, non ci sentite,
ci credete molto lontani
eppure siamo così vicini.
Siamo messaggeri che portano la vicinanza
a chi è lontano,
siamo messaggeri che portano la luce
a chi è nell'oscurità,
siamo messaggeri che portano la parola
a coloro che chiedono.
Non siamo luce,
non siamo messaggio:
siamo i messaggeri.
Noi non siamo niente,
voi siete il nostro tutto.
Lasciateci vivere nei vostri occhi,
guardate il vostro mondo attraverso noi,
riconquistate insieme a noi
lo sguardo pieno d'amore,
allora noi saremo vicini a voi
e voi a Lui.

Wim Wenders, Così lontano così vicino, 1993
O santo angelo custode, abbi cura
dell'anima mia e del mio corpo.
Illumina la mia mente perché conosca
meglio il Signore
e lo ami con tutto il cuore.
Assistimi nelle mie preghiere perché
non ceda alle distrazioni
ma vi ponga la più grande attenzione.
Aiutami con i tuoi consigli, perché veda
il bene e lo compia con generosità.
Difendimi dalle insidie del nemico
infernale e sostienimi nelle tentazioni
perché riesca sempre vincitore.
Supplisci alla mia freddezza nel culto
del Signore:
non cessare di attendere alla mia
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Padre Pio da Montalcino

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Spiriti e angeli tra paura e conforto

  • 1. Venerdì 21 dicembre 2012 - ore 17.30 - 19.00 Auditorium "Robert Diemoz" Porcia
  • 2. Il termine spirito Leggende friulane Mitologie antiche Teologia cristiana
  • 3. b. Anima, come principio di vita religiosa e morale: fortificare con la meditazione lo s. contro le tentazioni; la vittoria dello s. sugli istinti, sul peccato; darsi, essere dedito alle cose dello s., c. Principio di vita intellettuale, come funzione e facoltà estetica: le attività dello s.;elevare lo s. con la musica, con l’arte; nutrire lo s. con lo studio. d. In più diretta contrapp. al corpo, cioè alla parte materiale dell’uomo: il conflitto tra s. e materia; non bisogna badare soltanto alle necessità del corpo ma anche a quelle dello spirito
  • 4. 3. Con sign. più ristretto: a. L’animo dell’uomo, inteso soprattutto come complesso delle facoltà psichiche, intellettuali e affettive: b. Vivacità e prontezza intellettuale, rapidità e sicurezza nel rendersi conto delle situazioni e nell’affrontarle: è un ragazzo pieno di s. (o tutto s.), che si farà certamente strada nella vita; è un uomo di s. e saprà comprendere la tua particolare situazione; c. Disposizione all’arguzia e all’ironia, senso dell’umorismo, capacità di scherzare e stare allo scherzo: una persona che ha dello s., molto s., poco s.; mancare, essere privo di s.; un uomo di s., brillante e divertente; d. In musica, con spirito, didascalia che prescrive una esecuzione vivace e brillante di una composizione o di un passaggio musicale
  • 5. spìrito (ant. e poet. spirto) s. m. [dal lat. spirĭtus - «soffio, respiro, spirito vitale» ] a. Entità priva di ogni carattere di corporeità e materialità, principio immortale di vita: Dio è puro s.; lo s. del bene, del male; non com., anima individuale, principio della vita fisica e psichica dell’individuo: rendere lo s. o rendere lo s. a Dio, morire.
  • 6. spìrito Nella fede e nella teologia cristiana, S. Santo, terza persona della Trinità, principio di salvezza e di una profonda trasformazione morale dell’uomo: attraverso di lui si manifesta e si sviluppa, nella comunità dei credenti e nella storia, l’azione della potenza e della grazia divina; è spesso rappresentato con simboli, quali la lingua di fuoco della Pentecoste, la colomba, il vento, ecc.:
  • 7. spìrito la discesa dello S. Santo sugli apostoli, nella Pentecoste; i doni dello S. Santo, infusi da Dio nell’anima umana (sapienza, intelletto, consiglio, fortezza, scienza, pietà, timore di Dio); e con inversione nella posizione dei due termini: li movitori del cielo ..., naturati de l’amore del Santo Spirito, fanno la loro operazione (Dante); la chiesa di Santo S.,Borgo Santo S., a Firenze;
  • 8. spìrito anche, denominazione di altri esseri immateriali per loro natura (come gli angeli) o distaccati dalla materia a cui erano uniti (come le anime delle persone morte): gli angeli sono puri s.; s. beati, le anime dei beati in paradiso;s. infernali, s. maligni, i demonî; s. dannati, le anime di coloro che sono condannati alle pene infernali.
  • 9. spìrito Per estens., anima, ombra di persona defunta che si immagina o si crede ancora vivente di una esistenza non più legata al corpo: monumenti funebri in cui sembrano aleggiare gli s. dei grandi ivi sepolti; Ebbi in quel mar la culla, Ivi erra ignudo spirito Di Faon la fanciulla (Foscolo, con riferimento a Saffo);
  • 10. spìrito nella pratica dello spiritismo: evocare gli s., mettersi in comunicazione con gli spiriti. Più genericam., fantasma, spettro: un castello infestato dagli s.; credere agli s., all’esistenza dei fantasmi; avere paura degli s.;
  • 11. spìrito anche, genio, ossia essere immaginario, di natura immateriale e soprannaturale, che in varie religioni, miti e credenze popolari, si ritiene costituisca il principio vitale di un elemento della natura: lo s. della foresta, del mare
  • 12. creatura affascinante e misteriosa, la cui origine è antichissima, in quanto può essere fatta risalire, come vedremo, al culto delle antiche dee presenti presso le popolazioni del Neolitico. […] Le antiche dee gradualmente si sono ritirate nel profondo delle grotte e delle foreste, presso i corsi d’acqua e le sorgenti o sulle rocce delle montagne, dove sono sopravvissute fino ai nostri giorni nelle leggende e nelle fiabe
  • 13. Le Aganes di Anduins erano streghe buone, pericolose solo per le bambine belle e bionde che si fossero avvicinate agli specchi d’acqua presso cui esse abitavano: le rapivano e le portavano nella loro grotta per farne delle Agane. Ma la testimonianza, di informatrice, sembra piuttosto afferibile agli ‘esseri della paura’ (spauracchi etc. e relativa funzione educativa)
  • 14. Emerge chiaramente il rapporto acqua, grotta, ritrovamento archeologico, folklore, che ho cercato di rilevare anche in Friuli ed in modo particolare in Carnia, dove le tracce di antichi insediamenti e le divinità acquatiche e boscherecce romane e preromane sono confluite nelle leggende relative. […] Grotte e cavità hanno ospitato di frequente l’uomo preistorico e protostorico e la fantasia popolare, dimentica di vicende così lontane, ha fatto il resto, popolando le caverne di esseri fantastici e spesso mostruosi e forgiando toponimi ad essi ispirati»; cfr. Lunazzi, Aganas ,
  • 15. Aguane - anguane Vecchie leggende diffuse soprattutto nelle zone montane del Friuli e del Triveneto, ma presenti anche nel folclore della Laguna di Grado e Marano, parlano delle Anguane. L'antico termine aiguana lo si può trovare nel De Ierusalem celesti, opera scritta da Frate Jakomin da Verona (Giacomino da Verona) nel XIII secolo. Le anguane sono presenti nella celebre, e antichissima, Saga dei Fanes, racconto mitologico delle Dolomiti, conosciuto soprattutto nella versione scritta da Karl Felix Wolff nel 1932. L'anguana (dal lat. aqua=acqua, con sonorizzazione della q, infisso nasale n, aggiunta del suffisso an, desinenza femminile a) nota come Agana nelle tradizioni friulane e carniche, è una ninfa tipica della mitologia alpina.
  • 16. Anguane A seconda delle varie località o leggende, le Anguane si presentano con particolarità differenti le une dalle altre, in genere vengono rappresentate come spiriti affini alle ninfe, caratterialmente si fondono con le ondine o altre figure della mitologia germanica e slava. In alcune leggende si afferma che fossero donne morte di parto o fanciulle, o anime di bambine nate morte; meglio ancora benandanti al femminile (nate avvolte dal sacco amniotico). In altre storie e tradizioni sono viste come donne dei boschi dedite ad un culto pagano ( unendo il mito alla realtà delle religioni sciamaniste vive in Friuli e in Carnia sino al XVII secolo) ma sempre considerate figure non umane appartenenti al mondo degli spiriti.
  • 17. Molto spesso venivano descritte come giovani donne, molto attraenti capaci di sedurre gli uomini, oppure si presentavano come esseri per metà ragazze e per metà rettile, in grado di lanciare forti grida (in Veneto esisteva, fino a poco tempo fa, il detto "Sigàr come n'anguana", gridare come un'anguana). In altre storie sono delle anziane magre e spettrali, che girano di notte e che si dileguano prima che chi le incontra possa vederle in viso.
  • 18. Vestite, nelle leggende friulane, quasi sempre di bianco, nelle altre tradizioni invece, amano molto i colori brillanti e accesi, come il rosso e l'arancione (ma raramente appaiono indossando stracci di colore nero). In ogni caso tutte le leggende sulle anguane dicono che in queste creature, sono presenti uno o più tratti non umani, per esempio: piedi di gallina, di anatra o di capra, gambe squamate, una schiena "scavata" (che nascondono con del muschio o con della corteccia).
  • 19. L'altro elemento comune su cui tutte le leggende concordano è che le anguane vivono presso fonti e ruscelli e sono protettrici delle acque. Si dice che dei pescatori rivoltisi a loro con rispetto, abbiano avuto in cambio molta fortuna. Si narra anche di come abbiano insegnato agli uomini molte attività artigianali tradizionali, quali la filatura della lana o la caseificazione, ma guai se non veniva mostrata riconoscenza all’anguana per i suoi insegnamenti o gli uomini rompevano il patto stretto con ella, questa se ne andava, offesa, senza insegnare loro più niente.
  • 20. Nei comuni cimbri veronesi le anguane (in questo territorio chiamate anche Bele Butèle, Belle Ragazze), erano un tempo addette ai pozzi e lavavano i panni della gente delle contrade, ma si rifiutavano di lavare quelli di colore nero. Si racconta anche che esse erano solite terrorizzare o burlare i viaggiatori notturni, spargere discordia, in particolare tra le donne, rivelando segreti e pettegolezzi, inoltre, se insultate, erano inclini alla vendetta, portando sfortuna a vita al malcapitato, ma non uccidevano mai uomini o animali.
  • 21. Spesso se incontravano giovani ragazze che si attardano fuori casa la sera le costringevano, vanamente e per tutta la vita, a riempire d’acqua cesti di vimini. Altre storie popolari invece affermano il contrario cioè che fossero le anguane male intenzionate a essere ingannate da uomini astuti che le pregavano di riempire un cesto di vimini per trattenerle, fino al sorgere del sole, fuori dalla loro casa dove avevano deciso di accamparsi. (Appunto ancora adesso in diversi luoghi del Friuli vige l'usanza di lasciare davanti all'ingresso di casa un cesto di vimini, così l'anguana cercherà invano per tutta la notte, di riempirlo d'acqua lasciando in pace gli abitanti della stessa. Queste creature smisero di mescolarsi con gli umani dopo il Concilio di Trento.
  • 22. Le aguane e il bucato Un tempo molto lontano viveva nella Buse cjalde e nella Busa freda un Popolo di Anguane vestite di verde. Queste uscivano solo nelle notti chiare di luna, il vestito che indossavano si confondeva con il prato. Le Aguane usavano lavare le loro vesti nelle grotte sott'acqua, alcune di loro erano molto brave in questo lavoro, altre erano indolenti e sfaticate.
  • 23. Una di esse, tornata a casa dopo un lungo viaggio aveva un nuovo sistema di fare il bucato che, fu subito adottato da tutte le altre, consisteva nello stendere le vesti sul prato e invocare gli spiriti dell'acqua perché arrivasse un temporale, aspettare quindi che l'abbondante acqua lavasse i vestiti e poi che l’arrivo del sole li asciugasse. Una volta asciutti raccoglierli per riporli in armadi e cassepanche in questo modo loro sarebbero sempre state felici e riposate.
  • 24. Ma ben presto i contadini della valle si resero conto che quando i prati attorno Buse cjalde e Busa freda assumevano quell'aspetto particolare, era il giorno del bucato delle Aguane, quindi, certamente, entro la notte sarebbe arrivato un copioso temporale con acqua a catinelle e grandine, a rovinare i loro raccolti di fieno, orzo e grano, per questa ragione, prima di ritornare a casa dai campi i contadini che avevano già tagliato il fieno, lo raccoglievano in covoni, così erano sicuri di non perderlo.
  • 25. I greci conoscevano un'altra categoria di esseri intermedi tra gli dei e gli uomini, a cui davano grande importanza: i demoni (daimones). La parola greca "daimon" (singolare di daimones) deriva da "daiomai", che significa "dividere", distribuire, assegnare, cedere. L'idea di un demone che fosse il costante compagno di una persona apparve nel V secolo a.C. in Esiodo, e il concetto che demone fosse la causa della felicità o dell'infelicità di una persona ebbe nel III secolo a.C. una diffusione molto ampia.
  • 26. I greci, fin dal IV secolo a.C., facevano sacrifici ad un demone "buono" (agatos), considerato lo spirito della casa. Platone non usa la parola "daimon" senza qualche ambiguità; in genere è sinonimo di Dio e talvolta con la sfumatura di un essere quasi umano.
  • 27. Nell'opera filosofica platoniana il "Symposium", Diotima dice che Eros è un demone potente e che gli spiriti sono qualcosa tra Dio e l'umano. Al quesito di Socrate: "Che potere hanno essi, dunque?", Diotima risponde: "Sono gli inviati e gli interpreti che vanno e vengono tra cielo e terra, volando in alto con la nostra venerazione e le nostre preghiere, e discendendo con le risposte e comandamenti divini".
  • 28. Poiché si trovano fra le due situazioni essi fondono i due lati insieme e le incorporano in un grande tutto. Essi formano il mezzo delle arti profetiche, dei riti sacerdotali, di sacrifici, iniziazioni e incarnazioni, di divinazioni e di stregoneria; infatti il divino non si mescola direttamente con l'umano, ed è soltanto attraverso la mediazione del mondo dello spirito che l'uomo, sveglio o dormiente, può avere qualche rapporto con gli dei.
  • 29. Vi sono molti spiriti e Eros (Amore) è uno di loro. Nella Stoà e nel Platonismo del periodo di mezzo viene elaborata una maggiore differenza fra gli dei e i demoni: i primi vengono considerati le forti potenze dell'universo che si tengono al di sopra delle sofferenze e delle posizioni dell'umanità, mentre i secondi (i demoni), abitano il regno intermedio tra l'olimpo ed il genere umano, e si uniscono agli spiriti della natura nelle fonti, nelle piante e negli animali.
  • 30. Secondo tale concezione, lo spirito dell'uomo, il suo "genio" ed il suo "Spirito buono", sono anch'essi demoni come gli altri spiriti che abitano l'aria. Dopo la morte dell'uomo essi divengono Lemurs o Lares (dei della casa), oppure se erano cattivi, larvae, cioè spettri e fantasmi.
  • 31. Divinità romane di probabile origine etrusca, i Lares si dividevano in due sottocategorie tutelari: quelli compitales proteggevano i crocicchi, quelli familiares custodivano gli ambienti domestici. La dualità dei Lari deriva dal mito: Lara o Lala era una ninfa dell’antico Lazio che rivelò a Giunone l’amore di Giove per la ninfa Giuturnae perciò il padre degli dei le strappò la lingua. Affidata a Mercurio per essere imprigionata negli Inferi, venne da questa divinità trasportatrice messa incinta contro la sua volontà e partorì due gemelli, i Lari appunto.
  • 32. Raffigurati come uomini con cornucopia, i Lari familiari erano venerati nel larario, una nicchia posta nell’atrio della casa. Gli si offrivano frutti (soprattutto fichi) e libagioni quotidianamente ma in particolare nei giorni più importanti come le Calende, le Idi e le None. Ogni ricorrenza e vicenda domestica era sotto la loro cura: il matrimonio, il passaggio dall’adolescenza all’età adulta.
  • 33. Plutarco, vissuto tra il I ed il II secolo a. C. ideò il seguente ordine del mondo: in cima all'ordine cosmico ci sono gli dei visibili, i cui corpi celesti appartengono all'elemento del fuoco; sotto di loro i demoni che appartengono all'aria; ancora più in basso gli spiriti degli eroi defunti che appartengono all'acqua e infine gli esseri umani, animali e piante con la loro natura di terra. Secondo Plutarco, i demoni non sono immortali, ma possono vivere per migliaia di anni. Quando essi muoiono, spesso si scatenano temporali o epidemie di peste.
  • 34. Il neoplatonismo, invece, ha questa visione cosmologica: all'apice vi sono gli dei superiori che, con saggia provvidenza, dettano ordini a tutte le cose e muovono nel cielo i corpi celesti. I demoni sono considerati dalla filosofia neoplatonica come esseri provvidenziali che sono protettori e guardiani di particolari problemi umani.
  • 35. Presso gli antichi romani i geni erano in origine gli dei della casa. L'etimologia di questo nome è in riferimento a gegnere (procreare o generare), cosicché il genio rappresenta innanzitutto il potere riproduttivo del padre di famiglia. Il letto matrimoniale si chiamava genialis lectus, in riferimento non soltanto al vigore sessuale, ma anche a ciò che oggi chiameremmo vitalità psichica, temperamento e vivacità.
  • 36. Per i romani, specialmente l'abitazione era sotto— la tutela di diversi geni: Vesta proteggeva il focolare, i Penati proteggevano gli approvvigionamenti alimentari, il Lar assicurava la fortezza e poi vi erano i membri defunti della famiglia che continuavano a vivere nella casa con i viventi. La statuetta del genio del padre di famiglia normalmente stava presso il focolare in cucina ed anche la madre di famiglia aveva uno spirito guardiano chiamato Giunone.
  • 37. Dal III secolo a.C. non solo il capofamiglia, ma ogni uomo aveva il suo genio ed ogni donna la sua Giunone e ciascuno offriva determinati sacrifici al suo genio ad una festa nel giorno del proprio compleanno. I pagani credevano che il genio nascesse con la specifica persona e che fosse l'arbi- tro della sua sorte.
  • 38. Dal III secolo a.C., quando la cultura romana incontrò quella greca, s'incominciò a credere che il genio fosse immortale ed il genius loci divenne il genio della città, della scuola e del Senato. A contatto con la filosofia greca, il genio italico perse la sua componente iniziale di vitalità fisica e di principio di vitalismo erotico e fu visto come il nucleo psichico spirituale immortale, Platone, nell'opera Timeo, enuncia la sua dottrina secondo la quale ogni persona possiede un daimon divino, che è la componente più nobile della sua psiche
  • 39. Nell'opera De genio Socratis di Apuleio, si distinguono due geni che vivono negli umani: il primo è custode etico immortale ed amico interiore di una persona specifica e il secondo è il portatore della concupiscenza ed è negativo. Il pensiero pagano è intriso di astralismo ed è giustamente affermato che non si può conoscere in profondità il pensiero antico se non si conosce l'astrologia, per cui l'idea del genio si associò con l'idea astrologica di un fato personale, generato dalla data di nascita, ed è per questo che venivano offerti sacrifici al proprio genio personale nel giorno del compleanno.
  • 40. Nacrolio, nel suo "la tumola", afferma che ogni persona è una combinazione di quattro daimoni: il primo è eros; il secondo è il suo particolare destino, che è stabilito da Dio, il terzo daimon, che ha una natura marcata dalla posizione del sole nell'oroscopo e infine l'ultimo daimon è Tycle, cioè la fortuna, che dipende dalla posizione della Luna. Come si può facilmente dedurre, l'angelologia della New Age, oggi così diffusa sul mercato, si ispira all'astrologia ed è quella che riprende i temi meno illuminati dei pagani.
  • 41. A stento ci raffiguriamo le cose terrestri scopriamo con fatica quelle a portata di mano ma chi può rintracciare le cose del cielo ? (Sap 9,16)
  • 42. Oggi si preferisce mostrarsi forti e spregiudicati, atteggiarsi a positivisti, salvo poi prestar fede a tante gratuite ubbie magiche o popolari, o peggio aprire la propria anima […] alle esperienze licenziose dei sensi, a quelle deleterie degli stupefacenti, come pure alle seduzioni ideologiche degli errori di moda, fessure queste attraverso le quali il Maligno può facilmente penetrare ed alterare l‘umana mentalità. (PAOLO VI, 15 novembre 1972).
  • 43. Angelo viene dal latino angelus, che ricalca il greco anghelos, che significa un inviato, un messaggero, un emissario. Esso è utilizzato per tradurre l‘ebraico mal’ak che possiede il senso ordinario di messaggero o di ambasciatore ed è impiegato in senso figurato per designare l‘angelo del Signore o tutti quegli esseri che fanno parte della corte dell’Onnipotente.
  • 44. Nella Bibbia cristiana particolarmente rivelativa è la dichiarazione che l‘angelo custode Raffaele- Azaria fa a Tobia e ai suoi amici sostenendo che la ragione della sua missione è l‘amore di Dio: “quando ero con voi, io stavo con voi non per bontà mia, ma per volontà di Dio: lui dovete benedire sempre, a lui cantare inni” (Tb 12,18).
  • 45. (Giacobbe )Fece un sogno: una scala poggiava sulla terra, mentre la sua cima raggiungeva il cielo; ed ecco gli angeli di Dio salivano e scendevano su di essa (Gn 28,12)
  • 46. In verità in verità io vi dico: vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sopra il Figlio dell’uomo (Gv 1,51)
  • 47. Negli scritti di Bernardo di Chiaravalle († 1153) l’operato degli Angeli custodi consiste nel salire e scendere dal cielo, secondo le parole stesse di Gesù (Gv 1,51). Essi svolgono un ministero di mediazione tra Dio e gli uomini. Quando contemplano Dio si sono mossi sulla via ascendente che porta alla beatitudine celeste; quando essi si volgono verso la terra con compassione per venire in nostro soccorso percorrono la via discendente. Così facendo, gli Angeli imitano l’esempio di Cristo, divenendo come lui servitori dell’uomo, affinché l’uomo si elevi e salga fino a Dio. In tal senso sono compagni degli uomini e loro servi, in ossequio alla volontà di Dio.
  • 48. I messaggeri divini sollecitano gli umani a convertirsi al Padre di Gesù Cristo rispondendo alla chiamata dello Spirito Santo. In tal modo collaborano attivamente al cammino storico dell‘umanità e del cosmo in attesa della venuta gloriosa di Cristo. Le potenze angeliche aiutano gli uomini a ritrovare il senso vero e profondo della loro storia: riconoscere la signoria assoluta di Cristo e accogliere la sua parola di salvezza.
  • 49. Nel 740 a. C. il profeta Isaia ebbe una visione sublime. Alcuni serafini con sei ali, due coprenti il volto e due i piedi del Verbo incarnato e le altre due servivano a volare, circondavano il trono del Signore proclamando ―Santo, santo, santo il Signore degli eserciti! Tutta la terra è piena della sua gloria(Is 6,3). Questi spiriti ardenti d‘amore per Dio manifestano e diffondono Deus caritas est, rivelando così il senso della loro esistenza. La loro ragion d‘essere, il principio e la fine di ogni loro atto e sempre Dio, è sempre in relazione con il pensiero e il progetto e la volontà del Signore del cosmo e della storia.
  • 50. Il fatto che fosse ben viva la fede negli angeli custodi tra le comunità ebraico-cristiane al tempo di Gesù è testimoniato da Luca negli Atti degli apostoli quando Rode riconosce la voce di Pietro ed esclama: «È il suo angelo!», perché non poteva credere alla sua liberazione (At 12,13). Per san Giovanni Crisostomo è questo l’argomento decisivo sull’esistenza degli angeli custodi .
  • 51. Gli angeli aiutano, sostengono e servono Cristo, l’autore della salvezza (Eb 2,10). «Dall’Incarnazione all’Ascensione, la vita del Verbo incarnato è circondata dall’adorazione e dal servizio degli angeli». Sembra quasi che il Nuovo Testamento non abbia più bisogno di una mediazione angelica (1Tm 2,5) in quanto ora il Figlio unigenito ci rivela il Padre (Gv 1,18): « Poiché tu gli hai dato potere sopra ogni essere umano, perché egli dia la vita eterna a tutti coloro che gli hai dato » (Gv 17,2).
  • 52. «Tuttavia gli angeli non possono mancare perché appartengono alla gloria celeste del Figlio dell’uomo e soprattutto perché rendono visibile il carattere sociale del regno dei cieli, verso cui il cosmo dev’essere trasformato».
  • 53. Non bisogna però dimenticare che l’idea dell’angelo custode, meglio dell’angelo guida e aiuto, è presa dal giudaismo e si fonda in Mt 18,10: « Guardatevi di non disprezzare uno solo di questi piccoli, perché io vi dico che i loro angeli nei cieli vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli ».
  • 54. Nel 1986 Giovanni Paolo II nella sua catechesi sugli angeli mette in evidenza anche la loro funzione di testimoni nel supremo giudizio divino sulla sorte di chi ha riconosciuto o ha rinnegato il Cristo: « Chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anche il Figlio dell’uomo lo riconoscerà davanti agli angeli di Dio; ma chi mi rinnegherà davanti agli uomini sarà rinnegato davanti agli angeli di Dio » (Lc 12,8-9).
  • 55. Anche Giovanni Crisostomo († 407) ha chiaramente presente il modo simbolico per descrivere le ―caratteristiche fisiche degli Angeli che sono incorporei. Parlando dell’attribuzione delle ali ai puri spiriti dice : ―non perché gli angeli abbiano le ali, ma perché tu sappia che essi lasciano le regioni superiori e il soggiorno più elevato per avvicinarsi alla natura umana; così le ali attribuite a queste potenze non hanno altro senso che indicare la sublimità della loro natura.
  • 56. L'abito completo monastico è quello che, più di ogni altro, viene definito "Angelico ". Nel Medio Evo, periodo della massima interpretazione simbolica, tale abito era il simbolo degli Angeli; infatti esso è composto da un cappuccio che ricopre il capo, uno scapolare che scende fino ai piedi, un mantello (pallio o cocolla) che si stende sulle braccia; questi tre vestiti, ciascuno dei quali è doppio perché ha due facce o lati, simboleggiano le sei ali che velano completamente i Cherubini e i Serafini. In questo particolare tratto da un affresco di Andrea di Buonaiuto (capitolo di S.Maria Novella, Firenze, 1365- 67) i cani (Domini-canes) difendono le pecore (i fedeli) dalle volpi (gli eretici)
  • 57. San Bonaventura da Bagnoregio († 1274) afferma spiegando l’unione spirituale di un monaco col suo angelo custode: "Gli spiriti Angelici ardono di un meraviglioso fuoco, che infiamma le anime degli eletti e le fa penetrare in Dio".
  • 58. La scienza moderna non crede assolutamente che il corso della vita possa essere interrotto o, per così dire, perforato da potenze soprannaturali. … È mitologica la rappresentazione del mondo ripartito in tre piani, cielo, terra, inferno: l‘idea di un intervento di forze soprannaturali nel corso della storia; la rappresentazione dei miracoli e, in particolare, di quello concernente l‘intervento di forze soprannaturali nella vita intima dell‘anima; infine l‘idea secondo cui l‘uomo può essere posseduto da spiriti malvagi, tentato e BULTMANN RUDOLPH, Jesus Christus und die Mythologie: das Neue corrotto dal demonio. Testament im licht der bibelkritik , Hamburg, Furche 1964, 11-13.
  • 59. L’esistenza degli spiriti celesti non è una verità opinabile né un mito di una mentalità ingenua prescientifica, ma è un dogma di fede, quindi una verità chiaramente affermata dalla Bibbia, sostenuta dalle tradizioni ecclesiali occidentali ed orientali e solennemente definita dal magistero della Chiesa.
  • 60. Infatti il Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC 328) afferma espressamente: L’ esistenza degli esseri spirituali, incorporei che la Sacra Scrittura chiama abitualmente Angeli è una verità di fede. La testimonianza della Scrittura è tanto chiara quanto l‘unanimità della Tradizione.
  • 61. L’opera più famosa di S. Agostino, la “Città di Dio”: un’apologia del Cristianesimo contro il paganesimo e le correnti filosofiche di quel tempo, che a più riprese tratta pure il tema degli Angeli (santi e reprobi).
  • 62. Nel mondo, tra gli uomini esiste una divisione profonda non sempre visibile, che il santo Dottore caratterizza con i nomi delle due città: la “Città di Dio” e la “Città terrena”, originate da due amori contrari. La prima riunisce tutti coloro che amano Dio “fino all’indifferenza per sé”, la seconda quelli che amano se stessi “fino all’indifferenza per Dio”.
  • 63. La stessa divisione esiste tra gli Angeli, che sono annoverati, insieme agli uomini, tra i cittadini dell’una o dell’altra città. La Provvidenza divina, secondo l’eterno disegno del Creatore, opera nella storia umana attraverso i secoli, per il sorgere e lo sviluppo della “Città di Dio”, destinata a compiersi nell’armonia del Paradiso, dove uomini e Angeli eletti saranno eternamente uniti nel gaudio e nell’adorazione di Dio, ed Egli sarà “tutto in tutti” (1 Cor 15,28).
  • 64. Nella seconda città, sottomessa ai demoni, domina la superbia. E mentre i cittadini del Cielo hanno “il fuoco del santo amore di Dio”, gli altri “il fumo dell’immondo amore della propria grandezza”. (Ib., LXI,33,p.575). La Chiesa è tenuta a promuovere la “Città di Dio” nel mondo, ed anche lo Stato, nel pensiero di S. Agostino, deve, per l’interesse temporaneo ed eterno dei suoi sudditi, aiutarli a fare parte della medesima città. Il primo argomento che S. Agostino sceglie di proposito quando inizia a parlare della Città di Dio, è la creazione degli “Angeli santi, che costituiscono una gran parte di questa città; una parte tanto più felice, perché non ha mai provato l’esilio”.
  • 65.
  • 66. Infatti l’intimità con il Creatore è l’unica energia che dona agli angeli e agli esseri umani la loro perfezione e la loro felicità.
  • 67. La Sacra Scrittura – ricorda il santo Dottore – non nomina gli Angeli quando parla della creazione del mondo. E’ certo che appartengono “all’opera dei sei giorni; ma non è detto apertamente se e in quale momento sono stati creati”. Tra le varie ipotesi possibili, S. Agostino predilige quella che assegna la loro nascita al “primo giorno”, allorché Dio disse: “Sia la luce! E la luce fu”. (Gn 1,3).
  • 68. Se è avvenuto così, allora gli Angeli – deduce il Santo – “sono stati certamente resi partecipi della luce eterna, che è la stessa Sapienza di Dio, per mezzo della quale sono state create tutte le cose. Ed è l’unigenito Figlio di Dio”. Illuminati dal Verbo, la “luce vera” (Gv 1,9), gli Angeli dovevano essere luce “non in se stessi”, ma in Lui, ossia trovare tutta la loro perfezione nell’unione col Creatore.
  • 69. Una parte degli Angeli, invece, quelli che noi chiamiamo ribelli, si distolsero da Dio a si rivolsero a se stessi, che non sono luce. Privatisi della partecipazione alla luce eterna, non furono più luce nel Signore, ma “tenebre in se stessi” . Le tenebre – precisa S. Agostino – non sono un’essenza, ma la privazione della luce, come il male non è un’essenza, ma la privazione del bene. Il Creatore separò allora gli Angeli rimasti uniti a Lui, che sono luce, dai ribelli che sono tenebre. Questa divisione, secondo S. Agostino, è indicata chiaramente dal versetto della Genesi: “Dio vide che la luce era cosa buona e Dio separò la luce dalle tenebre” (Gn 1,4).
  • 70. I due gruppi angelici sono ben caratterizzati da altri versetti biblici, che il Santo cita di seguito. Agli Angeli della luce, fedeli a Dio, è rivolto l’invito del salmista: “Benedite il Signore, voi tutti suoi Angeli potenti esecutori dei suoi comandi” (Sal 102/103, 20- 21). Agli spiriti ribelli, che non adorano Dio, ma vorrebbero essere essi stessi, si addice l’invito diretto da Satana a Gesù nell’ultima tentazione nel deserto: “Tutte queste cose io ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai” (Mt 4,9).
  • 71. S. Agostino riflette a lungo sul problema – così lo definisce – della “volontà cattiva” degli angeli che si sono distaccati dal Creatore e tenta di risolverlo con varie argomentazioni. “La volontà cattiva produce l’azione cattiva”, afferma, ma è costretto ad asserire: “se si cerca la causa efficiente di questa cattiva volontà non la si trova”.
  • 72. Conclude: “E’ il vizio della superbia” , che la Sacra Scrittura definisce come il principio di ogni peccato. E’ “l’iniziale disfacimento”– commenta il santo Dottore – di questi esseri che “non vollero mantenere in ordine a Dio il proprio valore” il posto perfettissimo che li aveva creati dal nulla per beatificarsi in Lui ed avere in Lui la pienezza della perfezione e della felicità. Si distaccarono volontariamente da Dio e si anteposero a Lui.
  • 73. “Non cessarono di essere” , ma “non raggiunsero la sublimità della vita sapiente e felice” che avrebbero avuto nell’unione con il Signore. Rimane loro la “vita dell’intelligenza” inerente alla propria natura, ma, precisa S. Agostino “in stato di insipienza” : hanno perduto, con il peccato, la “vita sapiente”, che è sostanzialmente – diremmo noi – la grazia divina, cioè il godimento profondo di un dialogo ininterrotto con la Santissima Trinità.
  • 74. Perciò la “causa vera della felicità degli Angeli buoni è l’essere uniti all’Essere perfettissimo… la causa dell’infelicità degli angeli ribelli è l’essersi distolti da Lui e volti a se stessi”
  • 75. In conclusione nel De civitate Dei, Agostino ribadisce la creazione degli Angeli e la loro partecipazione insieme agli uomini alla città di Dio. La loro funzione è di aiutare le persone a raggiungere la felicità perenne con Dio e la comunione dei Santi. Un compito soteriologico, ma anche dossologico, perché la loro mansione è soprattutto quella di lodare Dio.
  • 76. Voi, voi che noi amiamo, voi non ci vedete, non ci sentite, ci credete molto lontani eppure siamo così vicini. Siamo messaggeri che portano la vicinanza a chi è lontano, siamo messaggeri che portano la luce a chi è nell'oscurità, siamo messaggeri che portano la parola a coloro che chiedono. Non siamo luce, non siamo messaggio: siamo i messaggeri. Noi non siamo niente, voi siete il nostro tutto. Lasciateci vivere nei vostri occhi, guardate il vostro mondo attraverso noi, riconquistate insieme a noi lo sguardo pieno d'amore, allora noi saremo vicini a voi e voi a Lui. Wim Wenders, Così lontano così vicino, 1993
  • 77. O santo angelo custode, abbi cura dell'anima mia e del mio corpo. Illumina la mia mente perché conosca meglio il Signore e lo ami con tutto il cuore. Assistimi nelle mie preghiere perché non ceda alle distrazioni ma vi ponga la più grande attenzione. Aiutami con i tuoi consigli, perché veda il bene e lo compia con generosità. Difendimi dalle insidie del nemico infernale e sostienimi nelle tentazioni perché riesca sempre vincitore. Supplisci alla mia freddezza nel culto del Signore: non cessare di attendere alla mia custodia finché non mi abbia portato in Paradiso, dove loderemo insieme il Buon Dio per tutta l'eternità. Padre Pio da Montalcino