3. Abbiamo fatto un salto nel passato per renderci conto di quanto e di come
l'homo habilis, l'uomo costruttore, in ogni tempo abbia dato prova della sua
intelligenza: l'uomo tecnologico capace di modificare, trasformare oggetti,
abitudini, stili di vita.
Nella realtà dei nostri paesi e delle famiglie sono ancora vivi i ricordi e
significative le testimonianze di questi “ragazzi di bottega”.
Gli oggetti hanno subito trasformazioni, sono segni concreti della storia, del
progresso e dell'evoluzione.
Il vecchio e il nuovo, il passato e il presente come premesse per il futuro.
Abbiamo scelto, tra ciò che poteva essere argomento di riflessione, i bisogni
principali e la cura della persona.
La storia del pane e del bucato, dunque, sono stati gli argomenti da cui ricavare
testimonianze e vissuti.
Costruire, realizzare a mano o con l'aiuto delle macchine azioni complesse
restano sempre le migliori espressioni dell'uomo in ogni tempo.
La bottega artigianale, oggi come ieri, è luogo magico dove nascono cose belle,
utili e importanti.
Anche il bambino è artigiano del suo divertimento, è inventore dei suoi giocattoli
costruiti con materiali di fortuna e che sono espressione della sua creatività e
della sua fantasia.
Le insegnanti
5. Abbiamo visitato il Museo “Uomo - ambiente” di Bazzano, dove
sono documentate le lavorazioni dell’uva e della canapa. E’ un
ambiente molto suggestivo che ci riporta indietro nel tempo. Le
due maestre, Desolina e Raffaella, che ci hanno accompagnato
nella visita, erano molto brave e simpatiche. Le ringraziamo ancora.
Tornati a scuola, abbiamo ripercorso l’esperienza così…
inventando filastrocche!
“Raffaella e Desolina
ci accompagnano al museo
dove vivon Canapino,
che è un piccolo bambino,
e l’amico suo Uvolotto,
che fa vino a più non posso”.
6. Le cassette ha già preparato
non si è mica dimenticato.
Da quei tralci traboccanti
coglie grappoli cascanti.
Con i piedi li calpesta
e i bambini fanno festa.
Nella botte a macerare
l’uva bella e saporita
torna adesso a nuova vita. Dalla botte alle bottiglie
ecco il vin… per le
famiglie!”.
“Nella vigna il contadino
tanto lavora per il suo vino.
"UVOLOTTO“
Parole – chiave:
pigiare, mosto,
vigna, vino,
grappolo, uva ,
tralcio, zappa,
torchio ,
imbottigliamento,
fermentazione,
botte, …
7. LE IMPRONTE DI...VINO!!!
“La maestra Desolina, che ci aveva dato dei nomi nuovi (io per
esempio ero la “Gigia”), ci ha fatto ripetere quello che
facevano i contadini per curare la vigna e ottenere il vino.
Dovevano zappare, dare l'insetticida, potare e, solo in
autunno, potevano finalmente vendemmiare e ottenere il vino.
La quantità dipendeva anche dal tempo brutto o bello”.
“Io mi chiamavo Caterina, ero una nonna e la mia funzione era
di spillare il vino. Si sentiva una musichetta che ricordava i
nonni quando lavoravano in cantina. Nel museo c'erano tutti
gli strumenti, anche il torchio che serviva per spremere ben
bene tutto il succo dai graspi”.
“Io ero la nonna Jusfèna e il mio compito era di raccogliere il
mosto e buttarlo dentro un grosso recipiente che per girarlo
ci volevano tutti i nonni”.
“Io sono salita dentro una cassa di legno e ho “pigiato” l’uva.
Era divertente giocare ai nonni”.
“Alla fine abbiamo intinto le mani nel vino e abbiamo lasciato
le nostre impronte su un telo”.
8. “CANAPINO”
Parole - chiave:
canapa, raccolta,
gramla, canavòj,
fibre, aspa, fuso,
rocca, telaio,
navicella, ordito...
Della canapa la raccolta
si fa ancora come una volta,
si raccoglie a Bazzano
poi si tesse tutto a mano.
Liberati i canavòj
ci restano le fibre,
asciugate e pettinate
le parti buone son salvate.
Della rocca e del fuso
la signora fa buon uso,
ogni filo è intrecciato
con esperienza lavorato.
Prima a destra e poi a manca,
la navicella mai si stanca,
or l’ordito s’è formato
Raffaella ha ben lavorato!
9. La lavorazione della canapa
I semi di canapa si interravano in primavera, le
piantine crescevano anche un metro e mezzo; quando
avevano raggiunto questa altezza venivano tagliate, si
legavano a fasci e si mettevano a macerare per
quaranta giorni in buche piene d'acqua scavate nel
campo. Per aiutare la macerazione, si mettevano dei
sassi sopra i fasci per farli stare sott'acqua. Venivano
poi stesi ad asciugare e, una volta secchi, si liberavano
dalla spoglia con un attrezzo chiamato "gramla“. Per
renderli più sottile, venivano filati e avvolti in un
gomitolo da uno strumento di legno detto "aspa“.
Seduta a un grande telaio, costruito artigianalmente,
la tessitrice sapientemente otteneva delle tele che
venivano usate per fare lenzuola e asciugamani.
11. Testimonianza di un nonno
“Nelle aie si stendeva lo sterco di mucca
che seccava chiudendo le fessure fra i
sassi.
Sopra vi si stendevano i covoni.
Veniva anche la macchina da battere, il
“fogon”.
In quei giorni c’era festa grande.
Tutte le persone si radunavano nelle aie e
si aiutavano l’un l’altra: con le forche
bisognava accatastare gli steli del grano
da usare come paglia nelle stalle durante
l’inverno.
Il primo pasto per le mucche era fieno,
poi paglia.
Sul lastricato si stendevano coperte e
lenzuola vecchie per raccogliere il grano
“pulito “.
Venivano i “Toschi” a dorso d’asino con gli
“scorbei” (ceste) carichi di fichi e una
scodella di grano si scambiava con una
scodella di frutti.
Il grano si lasciava disteso sulle aie circa
dieci giorni a seccare bene, quindi veniva
messo nei sacchi che portavamo al mulino
da “Pelèt” alla Trincera a farlo macinare”.
12. Con la scuola siamo andati a vedere il mulino di
Currada.
Appena arrivati abbiamo fatto le presentazioni
poi il signor Gandini ci ha fatto toccare il
frumento, era una bella sensazione sentire il
grano nelle mani.
Ci ha spiegato che una volta i chicchi della spiga
erano di meno e più piccoli, poi i contadini lo
hanno migliorato incrociando delle specie.
Questo mulino si trova in una casa
che di fuori sembra nuova, ma
quando si entra di sotto si capisce
che è molto vecchia dai pavimenti
di mattoni cotti, dalle porte e
dalle pareti impolverate di farina.
13. Il fiume
Il fiume Enza
già scorreva con potenza.
Nel suo letto tanto grande
passava i boschi e poi le lande.
Portava sassi, fogliame
e anche pesante legname.
Nel suo corso ininterrotto
galleggiava un tronco rotto.
Formava ghiaia e sabbia fine
per le case e le cantine.
Con quell’acqua a tutta forza
l’energia mai non si smorza.
Porta l’acqua nel canale
che gran forza dà alle pale!
14. Il genero del mugnaio ci ha fatto vedere un
bellissimo disegno che rappresenta gli
ingranaggi del mulino e le diverse parti che lo
compongono.
Peccato che il mulino non fosse in funzione, ma
il fango, portato dalle alluvioni, aveva intasato
la gora.
Questo tubo porta l’acqua dentro il mulino e la forza dell’acqua fa
muovere gli ingranaggi che a loro volta fanno girare le macine.
15. Questo mulino ha la mola di sotto “fissa” .
In altri mulini la macina di sotto si muove
molto lentamente.
Fra le due macine scende leggera la farina.
Ci sono diversi tipi di macine: per il grano,
per il mais, per le castagne...
Le macine ogni tanto vanno pulite: ci hanno
fatto vedere un attrezzo (argano) per
sollevarle; si spazzolano e a volte bisogna
anche approfondire i solchi consumati con uno
scalpello.
Davanti alle macine c’era una tendina, il
mugnaio ci ha detto che durante la
macinazione lui tira la tendina perché “la
farina è timida”.
Una volta i sacchi di frumento venivano
portati a spalla in alto dentro la
tramoggia, oggi c’è una pompa che aspira
i chicchi e li porta su.
16. Dentro il mulino c’erano oggetti tutti infarinati: setacci, palette e
una bilancia per pesare i sacchi che si chiama bascula, lì accanto
c’erano anche i pesi.
17. Uno alla volta ci hanno fatto salire
per vedere il grano dentro la
tramoggia. Non vedevo l’ora che
arrivasse il mio turno.
Anche nel Comune di Monchio c’erano tanti
mulini, purtroppo non sono più in funzione. Alcuni
sono stati trasformati in abitazioni, altri sono
abbandonati. Quello della Trincera è abbastanza
vicino alla scuola e al torrente dove d’estate
andiamo a fare il bagno, ci sono tante cascate e
io mi diverto ad andarci sotto.
18. Il macinino del caffè
Abbiamo pensato che il macinino del caffè funziona come un piccolo mulino. Cambia la forza che lo fa
girare: nel mulino è quella dell’acqua, nel macinino è quella muscolare. La forza fa comunque girare degli
ingranaggi che riducono in polvere dei semi!
Storia del macinino
Tanto tempo fa la pianta del caffè non esisteva in Europa. L’abbiamo conosciuta soltanto dopo la
scoperta dell’America. Per ottenere una bevanda con i suoi semi occorre macinarli. Il primo a inventare
il macinino fu un fabbro inglese. Molto tempo dopo è stato creato il macinino elettrico.
Al giorno d’oggi solo i bar macinano il caffè all’istante, nelle case le nostre mamme utilizzano caffè già
macinato. Nelle cucine delle nostre nonne, però, spesso sono in bella mostra i vecchi macinini, che
testimoniano il passato e alcuni esemplari sono proprio belli, come questi di Antonia….
19. “Sono un macinino da caffè a forma di scatola. Davanti
ho un cassettino estraibile dove scende il caffè macinato.
Sono di legno, alcuni miei amici invece sono di metallo.
Nella parte in alto sono scavato e in quel buco mi mettono i
chicchi di caffè. Io li macino con un ingranaggio e li
trituro, ma qualcuno deve girare la mia manovella. Sono
stato fatto a mano da un sapiente falegname. Cigolo un po’
perché la mia rotella gira e gratta”.
“Io sono il tosta - orzo, sono tutto di ferro perché mi mettevano sulla stufa. Sono una
pentola molto bassa con il coperchio sigillato, ho solo una finestrina che si apre e si chiude per
mettere e togliere l’orzo. All’interno la mia paletta, girata all’esterno da una manovella,
mescola i semi così non bruciano. Ho il manico molto lungo per non scottare”.
20. Vicino ai mulini spesso c’era
la “gora”, un laghetto per
raccogliere l’acqua, che così
acquistava maggiore potenza
di caduta. Questa gora era
spesso utilizzata dalle
massaie per risciacquare il
bucato “grosso” (lenzuola).
Una nonna racconta…
…“mi mettevo un cappello per ripararmi
dal sole e mi portavo uno straccio da
mettere sotto le ginocchia per non
sentire i sassi. Portavo i panni da lavare
in una cesta che appoggiavo sul capo.
Prima di tornare a casa si cercava di
far asciugare i panni stesi sull’erba
perché pesassero di meno.
Intanto noi donne cantavamo per
sentire meno la fatica”.
21. IL BUCATO A MANO
I panni venivano sgrassati in casa con un
sapone speciale: soda caustica e cotiche
di maiale bollite. Li mettevano poi dentro
a un bigoncio (soj) di legno (più tardi di
alluminio), che in fondo aveva in buco per
lo scolo dell’acqua. Sul bigoncio veniva
stesa una tela di juta o canapa che
faceva da filtro alla cenere e all’acqua
bollente che vi si versavano sopra.
L’acqua di cenere (ramm) veniva
utilizzata anche per lavarsi i capelli, li
rendeva lucidissimi!
Dopo averlo sciacquato nella gora, nel
torrente oppure nel lavatoio del paese,
e asciugato, il bucato veniva stirato.
Questa operazione era compiuta sul
tavolo della cucina sopra una coperta di
lana con un ferro che conteneva al suo
interno la brace tolta dalla stufa.
22. Nel 1677 fu inventato
un sistema per lavare i
panni, o piuttosto per
sciacquarli. Si trattava
di un cestello di
cordame che veniva
fatto ruotare a mano
sotto un getto d’acqua.
Nel 1874 un americano
costruì una lavatrice per
fare un regalo a sua moglie.
Si trattava di un barile di
legno riempito con acqua
calda saponata. I panni
venivano scossi da un asse
dotato di lunghi pioli, che si
muoveva manualmente in
alto e in basso. Uno
strizzatore, inventato nel
1861, è stato poi aggiunto
alla lavatrice.
Nel 1860 esisteva una
lavabiancheria costituita da una
gabbia ottagonale in legno (nella
quale venivano messi i panni da
lavare), inserita in una scatola più
grande, sempre in legno, riempita
con acqua e sapone. Una manovella
faceva quindi ruotare la scatola
più piccola.
Piccola storia
della lavatrice
Verso il 1900 le vasche di metallo
hanno sostituito quelle di legno. Le
cinghie di azionamento hanno reso
possibile l'uso dei motori inizialmente
a benzina o a vapore fino
all’introduzione del motore elettrico.
24. Il sei dicembre, eravamo andati al forno.
Il fornaio Aurelio ci ha spiegato come si fa il pane:
si versa l’acqua sul fondo della macchina, poi si aggiungono
la farina, il lievito e il sale.
Si accende la macchina che impasta e si lascia lavorare.
25. Poi ci ha fatto vedere i diversi tipi di impastatrice.
Serve per gli
impasti
morbidissimi
come il panettone
Serve per gli impasti
duri come le
focacce, le micche
bianche o nere.
Serve per gli
impasti molli come
filoni e rosette.
26. Per fare le rosette, Aurelio
usa questo attrezzo particolare.
Dopo aver dato le varie forme all’impasto, Aurelio le
mette tutte in fila su dei ripiani e poi le inforna. Il
forno deve essere a una temperatura di 350°. Il forno
funziona a gasolio. Collegato al forno c’è un tubo che
trasporta l’acqua e un vaporizzatore crea un calore
umido che evita al pane di diventare troppo secco.
IL RINFRESCO DEL LIEVITO
Alle sette del pomeriggio circa si fa il rinfresco del lievito: dell’impasto
usato per fare il pane, ne viene lasciata una parte alla quale si aggiungono
altro sale, acqua e farina.
27. Testimonianza di una nonna
“Un tempo…
…il pane si faceva in casa. Nei paesi c’erano
diversi forni che servivano a più famiglie.
Oggi solo qualcuno conserva la tradizione. A
Monchio esisteva un forno a legna che serviva
molte persone: era il forno di “Baldo”. Negli
anni ’50 è stato aperto quello in piazza che
ora è gestito dalla famiglia Fortini.
Il forno si puliva con lo “spazzone”: un
bastone con dei cenci sulla punta. Si bagnava
il forno. Era caldo quando i mattoni
refrattari diventavano bianchi. Davanti
all’imboccatura si accendeva la “fogada” per
far crescere di più il pane e perché fosse più
cotto”.
29. Oggi siamo andati a Vecciatica a trovare il falegname. Si chiama
Giampiero ed è molto simpatico e molto istruttivo. La maestra Paola ha
disegnato Pinocchio su un pezzo di legno e lui lo ha intagliato con lo
scalpello, poi Filippo ha fatto il Grillo Parlante. Io ho fatto la scarpa di
Cenerentola. Abbiamo mangiato la torta al cioccolato e la moglie di
Giampiero ci ha offerto anche il succo di frutta. Siamo tornati in classe
e abbiamo mangiato il pranzo al sacco perché fuori fa molto freddo,
infatti stanotte è nevicato!
30. Il nostro Geppetto
Come Geppetto nella bottega
anche Giampiero del tempo impiega
a costruire un bel burattino
con un pezzo di legno di pino…
Ma aspetta un momento: quello è Pinocchio,
con un bel “buč” al posto dell’occhio!
I suoi attrezzi ci ha fatto provare
e abbiam persino imparato a piallare.
Nella bottega polverosa
lui lavora senza posa…
Filippo ha pensato…
e così ha disegnato
un grillo parlante
tutto pimpante!
31. La maestra ha disegnato
Pinocchio su un pezzo di
legno.
Giampiero lo ha ritagliato
con il bindello.
Alla fine ha fatto il suo
marchio a fuoco sul
retro.
Anche noi abbiamo intagliato il legno con gli
scalpelli.
Io ho fatto una mela.
Il falegname ci ha fatto vedere tutti i suoi
attrezzi e le sue macchine.
C’era anche una macchina che serve per piegare
le punte della sega del bindello.
C’era l’incudine e io e Matteo abbiamo fatto i
maniscalchi con un martello e un pezzo di ferro.
32. Testimonianza di un nonno
“Il falegname del passato lavorava tutto a
mano. Quando si trattava di lavori
pesanti, come fare portoni o armadi,
bisognava mandare giù grosse viti, che
dovevano penetrare profondamente nel
legno, con il cacciavite a mano. E finché si
trattava di legno di abete poteva anche
passare, ma quando si trattava di
castagno, noce o quercia bisognava
mettercela tutta, specie se le viti erano
grosse e lunghe. Di sudore ne colava
parecchio! L’attrezzatura era composta
da strumenti per segare, piallare,
ridurre, misurare e tracciare, forare e
rifinire. Avevo, ricordo, la matita rossa e
blu sull’orecchio che mi serviva per la
misure. Non mancava il banco da lavoro,
lungo e pesante con ai lati le morse per
poter stringere e tener fermo il legno da
lavorare.
Gli strumenti da lavoro dovevano essere
mantenuti in perfetto stato, venivano
affilati con una pietra abrasiva; i denti
delle seghe con lime triangolari”.
35. La pirlàca
“Eravamo veri e propri
giocolieri, riuscivamo a far
girare trottole in ogni luogo.
Forse meno bravi sui libri,
ma lo stesso molto invidiati
per le nostre abilità. La
trottola, una volta lanciata,
riusciva a girare sulle mani,
sulle ginocchia e sulla punta
delle scarpe. Alla domenica,
molto spesso, nelle prime
ore del pomeriggio, prima
della dottrina, ci si dava
appuntamento sul sagrato
della chiesa per assistere
alle esibizioni dei ragazzi
più bravi”.
Il trattorino di Giacomo
“Mio papà aveva costruito un trattorino
con un rocchetto di legno. Le ruote
erano bucate perché vi passava dentro
un elastico bloccato al di fuori di ognuna
delle ruote. Sopra l’altra ruota aveva
messo un tappo fatto di candela e
bucato da cui usciva l’elastico che si
attorcigliava all’estremità di un chiodo.
Facendo girare il chiodo con la mano,
l’elastico si attorcigliava e si srotolava
lentamente facendo così scivolare il
rocchetto – carretto sul pavimento”.
La macchinina
“Quando la nonna aveva
finito il filo per cucire si
utilizzavano i rocchetti
insieme a una tavoletta per
costruire una macchinina”.
36. Il carretto
“Uno dei giochi preferiti dalla mia
mamma era quello di costruire insieme ai
cugini dei carretti in legno per
sfrecciare nelle strade in discesa del
paese. Con assi di legno costruivano il
pianale e come ruote utilizzavano dei
cuscinetti a sfera che portava loro lo zio
Vittorio. Il volante era una corda legata
alle estremità delle ruote e i freni erano
…le suole delle scarpe!!!”.
La slitta
“Per costruire la slitta avevamo bisogno
dell’aiuto di un adulto. La cosa difficile era
realizzare in legno i due sci che andavano fissati
nella parte inferiore. A volte si mettevano
addirittura dei tondini di ferro e allora sulla
neve si volava!”.
I cerchi di ferro
“Un altro bellissimo gioco di movimento era
correre per le strade guidando con un bastone
un cerchio di metallo, riciclato da una vecchia
botticella”.
37. La fionda
“Un gioco che i maschi si
costruivano spesso era la fionda.
Con quella lanciavano sassi ai
barattoli e purtroppo anche agli
uccellini, a volte poi si rompeva
qualche vetro… e allora erano
guai! Si utilizzava un ramo
biforcuto, alle due estremità
venivano fissati due pezzi di
camere d’aria di biciclette. A
metà elastico era fissato un
pezzo di pelle ricavato da scarpe
vecchie, lì si metteva il sasso, si
tendeva l’elastico e si lanciava”.
L’arco
“Per giocare agli indiani, si realizzavano archi e frecce.
Bisognava scegliere un ramo di nocciolo e alle sue
estremità si fissava uno spago ben teso. Come frecce si
cercavano piccoli bastoncini i più dritti possibile.
Per completare il gioco si faceva un copricapo di foglie di
castagno con una foglia – penna rivolta verso l’alto”.
39. Siamo andati alla
Centrale a biomassa e
ci hanno fatto vedere
un buco dove c’era il
fuoco.
C’era una macchina
“mangia – legna” che
portava il calore nelle
nostre case e poi siamo
andati nel “cippato”.
40. La centrale a biomassa si trova vicino alla
scuola.
Fornisce il riscaldamento agli edifici pubblici
di Monchio e ad alcune abitazioni.
E’ stata costruita da poco tempo per bruciare
un combustibile naturale e per tenere puliti i
boschi. Infatti sotto una tettoia c’è un grande
magazzino di “cippato”, che è legna
sminuzzata dalla macchina cippatrice. Questa
legna è costituita dalle ramaglie che altrimenti
resterebbero a sporcare i boschi.
Il tecnico comunale, che si chiama Sara, ci ha
spiegato che dal magazzino il “cippato” viene
trasferito in una grande vasca e da qui un
nastro trasportatore lo porta fino alla caldaia
quando ne ha bisogno.
Lo abbiamo visto in funzione: il rullo girava
lentamente e faceva un rumore forte.
Livio ci ha raccontato che delle volte il
meccanismo si interrompe e allora gli arriva un
sms e, anche se è notte, deve correre a
metterlo a posto.
41. Questa è la grande
caldaia che serve per
bruciare il “cippato”.
Accanto c’è un
altro macchinario
che trasforma il
calore prodotto
in eccesso in
energia elettrica.
43. Siamo andati a Cozzanello a vedere
i pannelli solari, erano 4320, ed
erano grandissimi, sembravano le
onde del mare!
I pannelli assorbono i raggi del sole
e trasformano il loro calore in
energia elettrica.
Questi pannelli ne producono molta,
che viene immessa nella rete. E’
considerata un’energia pulita perché
non ci sono immissioni di fumi
nell’atmosfera.
44. Livio ci ha fatto vedere
che c’erano delle
telecamere e noi dovevamo
fare delle facce buffe e
dentro c’era un computer
dove c’era scritto
“allarme”.
46. Lungo la salita c’erano tantissimi fiori
coloratissimi, alcuni si potevano mangiare.
C’era un prato enorme con mille profumi e la
menta, sotto i pannelli, aveva delle
foglie gigantesche.
47. Siamo andati vicino a una chiesetta che
aveva le sbarre alle finestre, quattro
campane grosse e anche una “casetta
piccola” con dentro Maria che tiene in
braccio il Bambino: si chiama “maestà”.
48. Ci siamo fermati al Ponte di Lugagnano.
Il ponte è a forma di arco, sopra c’è
scolpita la Madonna del Rosario, era molto
grande, tutta bianca, aveva un bel vestito,
la collana bianca (rosario), un bel sorriso.
La Madonna è pacifica.
49. Gli alunni e le insegnanti
Anna Lazzari Marzia Guatteri
Filippo Mavilla Loretta Vicini
Tommaso Mavilla Paola Zanotti
Matteo Catellani
Luna Fortini
Mattia Giorgini
Aurora Lazzari ringraziano tutte le persone
Sofia Lazzari che hanno contribuito alla
Attilio Lutero realizzazione di questa
Lorenzo Rossi ricerca.
Susanna Santucci
Filippo Vincetti
Clarissa Zanni
Alessandro Gallassi
Sofia Ricci
Nicolò Righi
Veronica Vicini
Pietro Catellani
Angelica Gallassi
Giorgio Negri
FINE