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CIRCOLO FILATELICO NUMISMATICO “L. ORSI”
               NOVELLARA




       GIAN PAOLO BARILLI




  Le Officine Slanzi
Con il contributo di
CIRCOLO FILATELICO NUMISMATICO “L. ORSI”
              NOVELLARA




       GIAN PAOLO BARILLI




  Le Officine Slanzi




      TIPO-LITO LUGLI - NOVELLARA
                  2001



                                           1
Le man enfumegàde
                    El vis tut negrià
                    Con doi padele nade
                    E ‘n parolet sbusà
                    El parolot el gira
                    Per guadagnar ‘na lira

                                   (Quirino Bezzi)




Le mani affumicate/ col viso annerito/ due pentole malandate/
ed un paiolo bucato,/ il ramaio cammina e cammina/ per gua-
dagnarsi una lira/ …




2
Presentazione

L’IDEAZIONE DELLA MEDAGLIA DEDICATA ALLE OFFICINE SLANZI
Nota dell’autore Romano Pelloni.

Per la medaglia del nuovo secolo è stato scelto il tema delle OFFICI-
NE SLANZI, nate e sviluppatesi nel cuore di Novellara, si può dire a
ridosso della chiesa parrocchiale.
Per il fronte della medaglia ho quindi scelto la visione del grande
complesso industriale colta dall’alto in una prospettiva “a volo d’uc-
cello” che partendo dalla parrocchiale in basso si sviluppa con una
trama ortogonale elegante e significativa come testimonianza stori-
ca, visto che l’intero complesso è stato abbattuto al concludersi del-
l’attività negli anni novanta.
Tutt’intorno la scritta CIRCOLO FILATELICO NUMISMATICO “L. ORSI”
NOVELLARA 2001.

Nel retro è invece il marchio della ditta, che con la sua ruota dentata
ci riporta le atmosfere della prima industrializzazione, a campeggia-
re nel cielo delimitato da un profilo della città.
In basso la Pompa idraulica, emblema del più fortunato prodotto
delle Officine e sotto la scritta “OFFICINE SLANZI”.

Una medaglia che bene ricorda il secolo appena chiuso e i benefici
sociali e il ruolo che la Ditta ha avuto per lo sviluppo di NOVELLARA.

                                                     Romano Pelloni




                                                                     3
GLI SLANZI
Gli Slanzi sono arrivati a Novellara dal Trentino nella prima metà
dell’Ottocento. Nel 1861 c’erano tre nuclei famigliari: di Giovanni, di
Stefano e di Antonio; i primi due facevano i ramai il terzo il “traffi-
cante”, il commerciante. Tutti provenivano da Vermiglio o da Fucine
di Ossana nella Val di Sole e tutti facevano capo a un unico progeni-
tore, Marcantonio. Erano sudditi dell’impero austriaco.
 Similmente a quanto accadeva pressoché ovunque nelle zone mon-
tane, gli uomini erano abituati a passare altrove una parte dell’anno
per integrare gli insufficienti bilanci famigliari. Tra questi c’erano an-
che i ramai che però costituivano una categoria a parte, non sempre
di gente povera, piuttosto di artigiani specializzati che spesso erano
anche mercanti.
Cesare Battisti, il patriota martire della Prima guerra mondiale, ci ha
lasciato alcune interessanti note sui calderai che nel dialetto usuale
trentino vengono detti “paroloti”.
“Il contingente maggiore di questi paroloti è dato dai comuni di Ca-
stello, Cogolo, Termenago, Pellizzano, Ossana e Peio. Essi emigra-
no (ed un tempo tale emigrazione era assai maggiore dell’attuale) di
preferenza nel veneto, nelle Romagne e in Toscana, pur non trala-
sciando le altre terre italiane e la Francia. Ogni paroloto parte con
uno o più famei [famigli] e fa il magnano [fabbro] girovago, vendi-
tore ed aggiustatore di utensili di rame, prendendo in compenso poi
propri servigi e per le merci che vende non solo denari, ma cibarie,
stoffe ecc., per cui alla sua volta il paroloto si trasforma in venditore
di mercanzie.
I più facoltosi fra i paroloti tengono aperto negozio in una città e
naturalmente alcuni di loro, fatta fortuna, si stabiliscono permanen-
temente fuori della patria.
Si può dire che, comune per comune, i paroloti dell’alta Val di Sole
seguono speciali vie nelle loro peregrinazioni. Ad esempio quelli di
Pellizzano si riversano di preferenza a Venezia e a Padova; Modena,
Reggio e Bologna sono la meta di quelli di Pejo; Pisa di quelli di
Termenago; Firenze di quelli di Castello.
Fino agli ultimi decenni essi furono i grandi monopolizzatori d’un

4
commercio e interessava loro mantenere il segreto più rigido su di
esso e poter fra loro scambiarsi, senza che altri lo capisse, idee,
consigli, quando si trattava di barattare, vendere, comperare. Come
nomadi erano e sono più esposti alla sorveglianza delle autorità;
come operai infine avevano ed hanno un gergo che si tramandano
di padre in figlio.
Questi paroloti di Val di Sole, in qualunque parte del mondo si ritro-
vino, comunicano fra loro col taròm.
E’ la triplice qualità di nomadi, di mercanti e di operai che li ha spinti
a crearsi un linguaggio proprio “.
Ecco dunque, senza bisogno di andarla a cercare chissà dove, la
spiegazione del come e del perché gli Slanzi vennero in paese e vi si
stabilirono.
A questo punto appare utile e interessante tracciare un albero gene-
alogico. Un notevole aiuto è venuto dalle ricerche effettuate da Maria
Teresa Slanzi e Vanni Mariotti ed anche dagli appunti lasciatimi da
Arrigo Slanzi; un preziosissimo contributo per ricostruire le relazioni
di parentela è venuto dalle sorelle Ada e Miriam Slanzi di Vermiglio
figlie di un Guglielmo, meccanico nel loro paese (gli Slanzi, eviden-
temente, la meccanica ce l’hanno nel sangue).




     La bottega degli Slanzi nel 1923 con “fogon e ramin” in bella mostra


                                                                            5
6
    Albero genealogico semplificato della famiglia Slanzi




                                                                                          MARCANTONIO



                           ALTRI                MATTEO                                      GIOVANNI                  GIUSEPPE               ALTRI



                                                                                            ANTONIO          MATTEO   ANTONIO                ALTRI   FRANCESCO

                                                STEFANO

                                                                                            GIOVANNI                  GIUSEPPE                        ANTONIO



                   ANTONIO GIUSEPPE GUGLIELMO ANGELA             LUIGI VIRGINIA    IOLE PIA ENNIO GUERRINO                                           GUGLIELMO

                                                                                                           M. ANTONIETTA   ANTONIO    ERIO

                                   CLEMENTINA                ELENA                        ANNA   M.LUISA                                             MIRIAM ADA

                                                                                                                           GIUSEPPE



          ANGELA GIUSEPPE GUGLIELMA LUIGI FRANCESCO PIETRO VIRGINIA



          WALTER       ARRIGO      WILLIAM           M.ANTONIETTA M.TERESA   GIAMPIETRO

              VALENTINA       LUIGI                           PAOLA    GIAMPAOLO
Casa Slanzi in Corso Garibaldi, anni ‘30




Stefano Slanzi

Di recipienti di rame e della loro riparazione c’era sempre bisogno
ovunque, qui da noi in particolare dove la lavorazione lattiero case-
aria era antica di secoli e si stava sviluppando in senso artigianale
“intensivo”.
Di fatto Stefano Slanzi, perché è della sua famiglia che ci interesse-
remo in modo particolare, arrivò tra 1833 e 1834 e in quell’anno
prese stabile dimora. Aveva vent’anni, una grande abilità nella lavo-
razione del rame, un’innata predisposizione per la meccanica e tan-
ta voglia di lavorare. Nel ’40 sposò Maria Bedogni da cui nacquero
otto figli: Antonio, Clementina, Elena, Giuseppe, Angela, Giovanni,
Virginia e Guglielmo. Nel 1835 risulta già in funzione una bottega da
fabbro che si dedica alla lavorazione, riparazione e stagnatura di
recipienti di rame.
Una fattura del 1847 ci dice che l’officina artigianale si è evoluta in
negozio di ferramenta. Il documento fa riferimento a chiodi e ferro
venduti a peso.

                                                                     7
Era in corso Garibaldi, che allora si chiamava contrada della Torre, e
oltre alla fabbricazione di pentolame per uso domestico si era spe-
cializzato nella costruzione di caldaie di grandi dimensioni per casei-
fici e in quella che oggi chiamiamo “assistenza tecnica”.
Il titolare dell’attività era all’epoca Antonio, primogenito di Stefano,
che risulterà ancora attivo nel 1889. Un’altra fattura, inviata a Gan-
dini Domenico di San Giovanni, benestante e padrone del mulino
(oltre che parente di Stefano) ci consente di dedurre che la ditta era
solida se si permetteva di far credito per più di un anno, per una
cifra non indifferente, ad un cliente che avrebbe potuto pagare subi-
to e in contanti.
Per chiarezza sarà utile ricordare che all’epoca c’era un omonimo
Antonio, figlio di Giuseppe, cugino di Stefano, pure di Fucine, che
faceva il commerciante. Da lui deriverà la linea tuttora esistente dei
commercianti di vini, Erio e Antonio.


Guglielmo Slanzi

Alla fine dell’Ottocento, subentrò nella
conduzione dell’azienda Guglielmo, il
figlio minore di Stefano; nell’officina
operavano, oltre ai ramai, fabbri e fa-
legnami che costruivano componenti
e accessori per vari tipi di impianti.
A ridosso della Guerra del ‘15-18 al la-
boratorio e al negozio si affiancò una
“Fabbrica e noleggio” di caldaie per
caseifici. Noleggio perché trattandosi di
manufatti molto costosi non tutti i ca-
seifici, molti dei quali a una sola calda-
ia, non potevano permettersene l’ac-
quisto.
L’azienda, tra l’artigianale e l’industriale, era ormai diventata una
fabbrica: cominciava ad ampliarsi allungandosi sul retro, occupan-
do nuova superficie.


8
Macchina per battere il rame all’interno della vecchia officina

Assieme a Guglielmo lavorarono il fratello Giuseppe e, dopo il 1920,
i figli Pietro e Francesco.
Guglielmo cessò l’attività nel 1931 lasciando il campo all’imprendi-
toria meccanica dei figli che si era avviata con successo nel 1924.


Pietro Slanzi
Il vero imprenditore, colui al
quale è dovuto lo sviluppo e la
trasformazione dell’azienda fa-
migliare in industria, è Pietro.
Pietro, noto come Piero, anzi “
al s’gnor Piero”, nato nel 1894,
aveva studiato alle Scuole tec-
niche industriali di Torino con-
seguendo il diploma di collaudatore motorista nel 1911; nei due
anni successivi aveva lavorato per la fabbrica di motori Diatto,
un’azienda collegata alle OMI Reggiane, acquisendo una grande e
aggiornata esperienza meccanica; in seguito era stato alla Landini di

                                                                          9
Fabbrico e alla Stanguellini di Modena.
Chiamato alle armi nel 1916, combatté come fante nella Grande
Guerra e fu ferito sull’Altopiano di Asiago nel corso di un’offensiva.
Per le sue competenze tecniche ottenne il trasferimento all’aero-
nautica e poté frequentare un corso di specializzazione alla FIAT di
Torino, conseguendo il brevetto di motorista d’aviazione. Rimase
poi a Mirafiori, presso la scuola di meccanica, fino al 1919 assegna-
to al settore “esperienze di volo”. Ebbe modo di fare ulteriori, pre-
ziose acquisizioni tecniche e di avere conoscenze dirigenziali; non
gli mancarono esperienze sindacali.
Al suo ritorno rientrò nell’azienda di famiglia cercando di evolvere la
ditta, ma gli ci vollero quasi cinque anni per mutare gli indirizzi tradi-
zionali del padre. Fu un pioniere nella fabbricazione di motori adatti
a sopportare ogni genere di fatica; alcuni modelli furono anche adot-
tati dalla Marina militare italiana. Aveva una “carica” straordinaria e
preziose intuizioni. Riuscì a coinvolgere tutta la famiglia: operò con
il fratello, i cugini e i figli. Creò una scuola di meccanica agraria in
paese. Nel 1956 fu insignito del cavalierato della Repubblica dal
presidente Gronchi. Fu presidente della Camera di Commercio di
Reggio e dell’Associazione Industriali della provincia.
Considerava l’azienda come una grande famiglia anche quando la
ditta fu al massimo della sua espansione.




                     Motore tipo “R” HP 4-6 Centauro


10
LE OFFICINE SLANZI
Per decenni la giornata lavorativa del paese è stata scandita da una
sirena. Suonava alle 7 e 20 e alle 7 e 30, a mezzogiorno, alle 13 e
20 e dieci minuti più tardi, infine alle cinque del pomeriggio. Era la
sirena delle Officine Slanzi che regolava l’attività degli operai e la vita
del paese.

Tra le due Guerre
Il 30 aprile 1924 si era costituita la “ F.lli Slanzi & C.”, una società in
accomandita semplice in cui i “fratelli” erano Pietro e Francesco Slanzi,
il “compagno” Adelmo Lombardini. La società aveva acquistato la
Cooperativa Metallurgica di Novellara.
La Cooperativa Metallurgica era stata fondata il 18 aprile 1920. Sta-
bilì la propria sede negli “stalloni”, un complesso di capannoni che
aveva ospitato i cavalli del 15° Reggimento d’Artiglieria, situati nel-
l’area dell’attuale via Naborre Campanini, a fianco della Cooperativa
falegnami.
Un gruppo di fabbri iniziò la costruzione dei parapetti di ferro per i
ponti della bonifica, poi delle cucine economiche a legna in lamiera
nera.




               L’Officina vista da sud in data anteriore al 1932


                                                                        11
Camion carico di motori Slanzi-Lombardini destinato ad una fiera

Adelmo Lombardini, che della cooperativa era presidente, e Sante
Soncini nello stesso tempo presero a realizzare un motore a scop-
pio, a imitazione di un vecchio Aubin, da applicare all’agricoltura:
trebbiatura e irrigazione. Costruirono due modelli che si guadagna-
rono medaglie d’argento alla Rassegna reggiana dell’Industria e del-
l’Agricoltura del ’22.
La Metallurgica aveva problemi finanziari, come d’altra parte tutte le
altre cooperative comunali: agricola, consumo, falegnami e mura-
tori, per cui, nel 1924, si esaminò la possibilità di cedere l’officina
motori.
L’operazione venne conclusa con Pietro Slanzi e Adelmo Lombardi-
ni. Il capitale per l’acquisto fu concesso dalla Cassa di Risparmio su
garanzia della famiglia Slanzi; inoltre poterono contare sull’appog-
gio incondizionato degli amici, non ultimi i Landini, che firmarono
senza fiatare fideiussioni e garanzie.
La sede fu trasferita, nei primi mesi del ’24, presso la bottega di
Slanzi Guglielmo in via Garibaldi; vi vennero portati i pezzi, le attrez-
zature e i modelli in legno e vi iniziò a lavorare un piccolo numero di
tecnici.
Slanzi e Lombardini erano amici e avevano maturato la loro espe-
rienza proprio nella costruzione di motori all’interno della Landini di

12
Fabbrico. Questa (allora) piccola ditta dal 1910 produceva un mo-
tore a “testa calda” che poteva utilizzare combustibili liquidi di natu-
ra molto diversa, compresi quelli più scadenti e poveri, che ben
presto passò dalle applicazioni fisse a quelle mobili su carrello, facil-
mente trainabile in terreno aperto, utilizzabile per mettere in moto
le macchine operatrici.
Avevano capito che queste erano la strada da percorrere e la produ-
zione da imitare.
Nel 1926 entrò come nuovo socio Alberto, fratello di Adelmo, e la
ditta prese il nome di “ Officine Meccaniche Slanzi e Lombardini”.
Producevano motori a scoppio e diesel funzionanti a petrolio, nafta
e benzina, con potenze che andavano dai 2 ai 12 Hp, principalmen-
te per applicazioni a pompe per l’irrigazione e l’irrorazione della vite,
ma anche per tutti gli altri impieghi agricoli e industriali.
“ L’assoluta mancanza di capitali - scrive M. Bianchini - per la dota-
zione di una adeguata attrezzatura e sostenere tempo e spese di
una ricerca tecnologica che pure, quasi miracolosamente, fu com-
piuta a prezzo, si direbbe, di una forte esposizione bancaria, la ca-
renza di una disciplina industriale, dalla contabilità al calcolo dei
costi, dalla divisione del lavoro e delle mansioni alla conoscenza dei
mercati di sbocco e delle forniture, la totale imprevedibilità delle
entrate e delle uscite” oggi ci appaiono un grandissimo azzardo,
quasi pura follia. Bianchini, che riconosce il successo dell’impresa,
ma non si capacita del come sia riuscita, non ha tenuto conto dei
tempi, della coscienza delle proprie forze e abilità, della capacità di
amministrarsi, dello spirito d’iniziativa, della mentalità “sparagnina”
della famiglia Slanzi e, non ultimo, il carisma personale di Pietro
Slanzi e Adelmo Lombardini.
Geniale fu l’intuizione che c’era richiesta di meccanizzazione del-
l’agricoltura e di altri settori, lo si era visto, ad esempio, con i grandi
lavori di bonifica iniziati sul finire del secolo precedente, che c’era
bisogno di lavoro e quindi che c’era prospettiva di guadagno.
Gli stessi operai della ex Metallurgica, quando ci fu la transazione,
mostrarono sorpresa, ma non ebbero reazione negativa perché vi-
dero la prospettiva di un lavoro sicuro e sereno.
Seguendo le consuetudini dell’epoca (e della famiglia) l’azienda cer-


                                                                        13
Fatture di varie epoche
     Si noti nella prima la firma di Adelmo Lombardini

14
Giuseppe Slanzi sullo sfondo
                          del castello di Ossana




   Antonio Slanzi
fratello di Giuseppe




                            Pietro Slanzi
                        fondatore dell’Officine



                                                  15
Fonderia nel 1943




     Cortile della prima Officina nel 1943



16
Cartolina pubblicitaria anni Cinquanta




Veduta dello stabilimento anni Ottanta




                                         17
Cartolina pubblicitaria 1925




     Copertina del catalogo 1935


18
cava di essere autosufficiente, faceva in modo di produrre in pro-
prio la maggior parte dei componenti metallici dei motori: c’erano la
fonderia e abilissimi operai che costruivano a mano i vari pezzi.
Il mercato, che era poco più ampio dell’ambito locale, cominciava a
espandersi, non c’erano altri concorrenti vicini, eccetto la Landini di
Fabbrico, tanto che i Lombardini, nel 1931 recedettero dalla società
e aprirono un proprio stabilimento a Reggio, in Gardenia.
Alla data del censimento del 1927 gli addetti della Slanzi erano 29.
Nei primi anni Trenta aumentò la richiesta di motori; l’introduzione
di nuove attrezzature, il perfezionamento delle tecniche e l’espe-
rienza di gestione permisero di immettere sul mercato prodotti inte-
ressanti, al punto che, nel ’32, il prefetto di Reggio, S.E. Montanari,
venne in visita alle Officine per rendersi conto della reale potenziali-
tà.
La ditta aveva superato, tra 1928 e 1930, grazie anche a una com-
messa governativa che aveva destinato una cospicua parte dei mo-
tori alle Colonie, tempi difficili dovuti a un anno di siccità e ad un
inverno di grave gelo che avevano danneggiato le produzioni agri-
cole, e alla pesantissima depressione a livello mondiale; si ricordi al
proposito il crollo della Borsa di New York del ’29.
In seguito, nell’arco di pochi anni, la produzione raggiunse i mille
motori l’anno e la ditta si dotò di un’ampia rete di vendita con rap-
presentanti e agenzie in tutte le principali città d’Italia.
Si dovettero costruire nuovi capannoni e venne inglobata la corte
dei Pizzetti.
Nel 1935 fu celebrato il centenario dell’azienda, il giornale “Il Solco
fascista” dedicò all’evento le due pagine centrali con foto e testi e
per l’occasione fu allestito un palco in piazza dal quale una corale
cantò un inno alla Slanzi composto dal maestro Curzio Confetta.
L’officina fu aperta alla visita del pubblico.
Merita di essere riportata la descrizione dello stabilimento così come
è comparsa nell’articolo citato. “ Il panorama delle Officine Slanzi di
Novellara è dei più semplici che si possono immaginare. Se fosse
possibile fissarne le linee dall’alto ne risulterebbe una sagoma ret-
tangolare con un cortile ampio, nitido, lunghissimo, con doppio or-
dine di portici, ed un altro più piccolo nel fondo, presso il reparto


                                                                     19
Il Prefetto Montanari in visita nel 1932




     Situazione dello stabilimento alla metà degli anni ‘30 dopo l’ampliamento
                      descritto nell’articolo del “Solco fascista”

20
della fonderia, chiuso a sua volta da un porticato che gli gira tutto
attorno. I capannoni che ospitano i vari reparti ricevono luce sui tetti
e da simmetrici finestroni laterali. L’ingresso delle officine sembra
piuttosto quello di una villa tanto sono lindi i cortili e fioriti i davan-
zali … le officine internamente non hanno nulla da invidiare all’ordi-
ne e alla disciplina esemplare dei più grandi opifici. Il reparto mac-
chine - una immensa rete di motori, di cinghie, di cilindri - occupa
da solo una lunghezza di circa centotrenta metri e costituisce come
la spina dorsale dell’azienda”. Seguono gli altri settori: i torni, la sala
prova motori, il reparto montaggio, le fonderie, i magazzeni, i depo-
siti, gli spogliatoi per gli operai.
Negli anni Trenta entrarono come apprendisti i figli di Giuseppe,
nipoti di Pietro, che negli anni seguenti sarebbero diventati dirigenti
attivi: Walter avrebbe gestito l’ufficio vendite, William avrebbe cura-
to l’organizzazione e la preparazione degli stand nelle fiere e nelle
mostre, Arrigo sarebbe stato responsabile della produzione tecnica.
All’inizio degli anni Cinquanta si sarebbe aggiunto il fratello minore,
Luigi, con il compito di curare il settore tecnico commerciale per la
sua conoscenza delle caratteristiche dei motori e delle loro applica-
zioni, e di affiancare Walter nelle vendite specialmente all’estero.




                   Interno: attrezzeria e montaggio motori


                                                                        21
Interno: torneria


  La Slanzi aveva nel 1936 quattro settori: la falegnameria per co-
struzione di modelli per fonderia e imballaggi, la fonderia per getti in
ghisa, bronzo e alluminio, la forgia per carpenteria metallica, caldaie
e recipienti di rame e il reparto motori e pompe. Esisteva ancora su
via Garibaldi il vecchio negozio di ferramenta. All’epoca dava lavoro
a 110 persone di cui 10 impiegati e 10 donne e si producevano,
come si è già visto, 1000 motori all’anno di potenza variabile tra 1 e
30 Hp.

La Guerra Mondiale
  Nel ’41 le Officine furono pienamente coinvolte nella produzione
di guerra. Una relazione di un ispettore tecnico di qualche tempo
prima diceva: “ … gli impianti possono essere convertiti per tornitu-
ra e cinturazione di proiettili di piccolo e medio calibro (sino a 105
mm.) oppure motori per parchi del genio. Lo Stabilimento Slanzi
merita di essere tenuto in grande considerazione sia per l’ottima


22
organizzazione tecnica, sia per l’ottimo prodotto impostosi sul mer-
cato e sia per quello spirito altamente nazionale che fa tenere lo
stabilimento in un’atmosfera di continuo aumento”
Vi lavoravano 217 persone (198 operai e 19 impiegati). Gli operai
facevano turni giornalieri di 9 ore. La produzione di quell’anno fu di
1492 motori a scoppio e diesel, 207 pompe centrifughe, 105 irrora-
trici, 252 carrelli per motori e pompe. A fini bellici si fabbricavano
pezzi per l’aeronautica militare e l’artiglieria per conto delle Officine




                    Veduta dalla torre della chiesa 1941

Reggiane e parti di torni per la lavorazione dei proiettili per la Inno-
centi di Milano. Nel dicembre 1942 furono dichiarate “Stabilimento
Ausiliario”.
Nel 1943 si contavano 236 dipendenti tra operai e impiegati e l’azien-
da aveva occupato praticamente tutta l’area tra corso Garibaldi e via
Montegrappa.
Una curiosità di quell’anno è che Cecco Slanzi riprese le prime ed
uniche foto a colori dell’officina dell’epoca. Aveva avuto un paio di
rullini di diapositive Agfa dal presidio tedesco che c’era a Novellara e
aveva ritratto i famigliari, qualche angolo del paese e naturalmente
dello stabilimento.
Proprio negli anni della guerra Pietro aveva progettato e realizzato
un trattore, una macchina non molto grande che poteva aiutare nei
lavori dei campi. Ebbe il nome di “Pepo” per essere in seguito ribat-
tezzato “Amico”. La sua produzione iniziò dopo la fine della guerra
mentre parallelamente continuava la fabbricazione dei motori e del-
le pompe che non aveva avuto bisogno di riconversione.


                                                                      23
Il dopoguerra
  A livello nazionale era chiaro che, in un paese ancora basato pre-
valentemente sull’agricoltura, si doveva ridare il lavoro a tutti quegli
uomini che per anni erano stati sotto le armi e dare da mangiare alla
gente; per questo si doveva continuare e incentivare lo sviluppo
della meccanizzazione agricola.
Mancavano le materie prime, ma non per questo le maestranze
della ditta si demoralizzarono; grazie all’inventiva, o meglio, alla ca-
pacità di arrangiarsi tipica degli italiani e propria della gente delle
nostre parti, si utilizzarono parti di recupero di automezzi, macchi-
nari e carri militari: per i primissimi anni la produzione di pompe e
motori per tritaforaggi, motocoltivatori, motofalciatrici e irroratrici fu
“di fantasia”, ma ci fu.
Lo Stato aveva comunque varato piani agrari di sostegno per cui il
costo delle macchine non era inaccessibile per gli utilizzatori. Prati-
camente lo Stato pagava all’azienda il macchinario per intero e que-
sta recuperava a rate dagli clienti. Le motopompe vissero un perio-
do d’oro anche per l’impulso che fu dato alla costruzione di laghetti
associati al rilancio delle coltivazioni collinari.
Inoltre dalla metà degli anni Cinquanta, quando iniziò la migrazione
della mano d’opera verso le grandi fabbriche, ci fu una evoluzione
della mentalità degli agricoltori nei confronti della meccanizzazione
per sopperire alla carenza di lavoratori.
E qui facciamo un piccolo passo indietro, torniamo all’Amico. Il trat-
tore, non di grandi dimen-
sioni, era una novità perché
aveva quattro ruote motrici
integrali (fino ad allora sul
mercato c’erano state mac-
chine a due ruote motrici).
Essendo destinato alle lavo-
razioni in frutteti, vigneti e
altre colture specializzate e
facendo leva sul concetto di          Trattore
alleviare la fatica degli ope-        “Amico”


24
ratori, si conquistò una nicchia di mercato sottovalutata dagli altri
produttori con grande successo. Era un mezzo mobile, gommato,
che poteva essere utilizzato sulle strade per trainare carri, bighe,
attrezzi, ma anche semplicemente per trasportare il singolo bidone
di latte al caseificio. Per la Slanzi era una specie di “pubblicità mobi-
le” gratuita.
Il medesimo principio di alleviare la fatica fu applicato alla costruzio-
ne di motori marini: per la propulsione delle barche dei pescatori e
motori per argani e verricelli per sollevare le reti.
 Tutti i motori erano a 4 tempi quindi con un riconosciuto rendimen-
to superiore; la disposizione dei cilindri in verticale permetteva una
maggiore compattezza col minimo ingombro.
Particolare cura veniva sempre messa nella progettazione affinché i
motori avessero sicurezza di funzionamento, semplicità e praticità
di manutenzione. Infine si dava grande importanza alla robustezza.
Anche i materiali erano scelti con scrupolo e si effettuavano collaudi
rigorosi sul montaggio e la finitura.
Si può dire che la Slanzi anticipò i tempi nell’attenzione all’ecologia.
Fu tra le prime aziende a sostituire i motori a un solo pistone con
motori bicilindrici; il frazionamento della cilindrata diminuiva le vi-
brazioni e di conseguenza la rumorosità.
  Dagli anni Cinquanta iniziò l’esportazione in quantità considerevo-
le. Gli Stati Uniti e la Francia furono tra i primi paesi ad apprezzare la
produzione della Slanzi; peraltro in Francia era già conosciuta dagli
anni Trenta quando la ditta partecipò alla fiera campionaria di Parigi.
E a proposito di fiere ci fu sempre da parte della ditta un grande
impegno per essere presente in tutte le manifestazioni nazionali da
Roma a Verona, da Milano a Bari, ma non trascurò esposizioni come
Gonzaga e le piccole mostre dell’artigianato e dell’agricoltura dei paesi.
Nei primi anni Cinquanta, e con l’occasione di una proposta della
Comunità Trentina per garantire occupazione sul territorio, venne
aperto lo stabilimento di Ala nei capannoni dell’ormai decaduta fi-
landa. C’era un legame affettivo per quella terra, ma si vedeva con-
cretamente un principio di razionalizzazione della produzione, inol-
tre l’ondata di scioperi iniziata nel 1951 aveva fatto prendere seria-
mente in considerazione la possibilità di trasferire la produzione,


                                                                       25
utilizzandola pure come velata minaccia per la cessazione delle agi-
tazioni. Ad Ala furono trasferite la fonderia dell’alluminio e la costru-
zione delle pompe, a Novellara rimasero la fonderia della ghisa, la
fabbricazione dei motori e l’assemblaggio delle parti.


Gli anni Sessanta e Settanta
Con il Boom economico la Slanzi aveva preso il volo e i successivi
anni Sessanta e Settanta furono quelli che videro la più intensa atti-
vità dell’azienda sia dal punto di vista della varietà dei modelli offerti
che della dimensione della produzione.
C’era un motore Slanzi per ogni impiego. Per avere un’idea delle
oltre duecento applicazioni si veda il seguente elenco: motocoltiva-
tori, motoagricole, motocarri, portattrezzi, trattori, cingolati, pale ca-
ricatrici, apripista, escavatrici, bulldozer, dumper, autogru, betonie-
re, rulli compressori, spanditori, frantoi, carrelli elevatori, gruppi elet-
trogeni, gruppi frigoriferi, portarotaie, atomizzatori, nebulizzatori, pol-
verizzatori, seminatrici, imballatrici, pressaforaggi, falciatrici, perfo-
ratrici, motoseghe, compressori, motosaldatrici mungitrici, scortec-
ciatrici, ranghinatrici, argani e verricelli, nastri trasportatori, moto-
pompe.




                     Reparto montaggio motori anni ‘80


26
Reparto prova sperimentale anni ‘80
L’esportazione si era estesa ad altri paesi del bacino del Mediterra-
neo, da Israele all’Algeria, del Sudamerica e dell’Indocina; qui, gli
Stati Uniti avevano favorito la vendita di motopompe in Viet Nam
per i lavori nelle risaie.

 Negli anni Settanta entrarono prepotentemente sul mercato i giap-
ponesi che, sfornando prodotti di qualsiasi tipo in grandi quantità e
a prezzi competitivi, trasformarono i motori in un pezzo qualsiasi
dei macchinari e non più in una parte importante, un pezzo che
poteva essere convenientemente cambiato e non un componente
essenziale che doveva dare affidamento e durare.
Ancora per tutti quegli anni alla Slanzi si produsse, si costruì e si
lavorò tutto il possibile negli stabilimenti per esigenza di autonomia
aziendale, in una sorta di “autarchia”, perché non era così facile
avere nei tempi e nei modi desiderati ciò che serviva; solo dopo la
metà del decennio cominciò a prendere piede la lavorazione per
conto terzi e la prassi della subfornitura.
A questo proposito c’è da riconoscere alla Slanzi il merito di aver
creato una cultura meccanica sul territorio che ha dato origine a una
rete di artigiani che lavoravano in proprio oltre che per la Slanzi
stessa.

                                                                   27
Per quanto concerne la grande varietà di modelli prodotti, anche se
non era economicamente conveniente, serviva a mantenere legati i
clienti che facevano funzionare i loro macchinari con i motori Slanzi
di piccola e media potenza e quindi rimanere sul mercato.
Nel ’73 venne a mancare Pietro, ma già da alcuni anni la direzione
era affidata, oltre che ai nipoti, ai figli Giampietro e Giampaolo, que-
st’ultimo entrato nel 1969.
Dopo la metà degli anni Settanta, nella prospettiva di modernizzare
l’azienda si iniziarono a rinnovare diversi macchinari e vennero co-
struiti i nuovi capannoni a sud di via Montegrappa, dove avrebbe
dovuto trasferirsi il montaggio, ma la cosa faticò a partire.




                        Motore diesel “DVA 1030”




28
Maestranze e operai alla fiera di Milano

 La Slanzi visse tutte le manifestazioni, gli scioperi e le rivendicazio-
ni dei lavoratori. I rapporti e le trattative con le organizzazioni sinda-
cali furono però sempre corrette, anche se a volte aspre e dure, da
entrambe le parti, perfino nei momenti più drammatici come nel
1960.
All’apice della sua espansione l’azienda contava circa 350 dipen-
denti a Novellara e 70 ad Ala.
I lavoratori ebbero orgoglio e senso dell’appartenenza, in questo
sostenuti dal bel rapporto personale che esisteva con i vari espo-
nenti della famiglia, sempre presenti fra loro in azienda.




                                                                       29
Epilogo
Negli anni Ottanta ci fu una pesante crisi del settore della meccaniz-
zazione agricola; la Slanzi andò incontro a gravi difficoltà di merca-
to. Nel 1986 entrò come socio di maggioranza la “Lombardini Mo-
tori” che nel ’90 assorbì l’intera quota.
Non ritenendo conveniente mantenere neppure una parte della la-
vorazione a Novellara, fu deciso di trasferire a Reggio tutta la produ-
zione con conseguente chiusura dello stabilimento e destinazione
dell’area ad altro uso.




                      Capanonni nuovi nell’area sud

Bisogna riconoscere che fino a quel momento l’azienda aveva man-
tenuto ciò che si era prefissata dalla data della sua fondazione e che
era riportato sul retro di una cartolina pubblicitaria degli anni Venti:
“ Quando iniziammo la nostra attività non esitammo sulla strada da
scegliere: qualità, prezzo e servizio:
Noi facciamo qualcosa di più che costruire e vendere motori e mac-
chine: produciamo e vendiamo soddisfazione per la nostra clientela
fornendo macchinari che rappresentano il più alto rendimento del
denaro speso.
Noi fabbrichiamo prodotti di qualità perché ci teniamo a soddisfare
la richiesta nel modo migliore.
La concorrenza sulla base della qualità e del servizio è assai più

30
pregevole ed ha più sani fondamenti che non la concorrenza sulla
base del prezzo più basso.
Se poi alle migliori qualità si unirà il miglior prezzo il successo non
può mancare come non ci è mancato”.
Una sola considerazione finale: grazie alle Officine create e volutal-
mente mantenute in un piccolo paese della Bassa da Pietro Slanzi,
centinaia di operai e impiegati, nei decenni, tra quelle mura hanno
avuto la garanzia di un lavoro per sé e un sostentamento per le
famiglie. Fosse anche per questo solo motivo gli Slanzi e la loro
azienda meritano di essere ricordati alle generazioni future.

                                                           G.P. Barilli




                                               Motore marino 1965


Oltre alle già citate persone sono da ringraziare Maria Antonietta
Slanzi, Luigi Slanzi, Giampaolo e Giampietro Slanzi, Elsa Lombardi-
ni Slanzi per le preziose notizie, le informazioni, per i documenti e
le foto forniti.
Per altre fonti storiche sono da ricordare:
G. Gaddi, La Società Anonima Cooperativa Metallurgica di Novella-
ra, dattiloscritto, Novellara 1989.
M. Bianchini, Imprese e imprenditori a Reggio Emilia 1861-1940.
G.L. Basini, L’industrializzazione di una provincia contadina 1861-
1940.


                                                                    31
32
Le Officine Slanzi

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il Portico 307
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Le Officine Slanzi

  • 1. CIRCOLO FILATELICO NUMISMATICO “L. ORSI” NOVELLARA GIAN PAOLO BARILLI Le Officine Slanzi
  • 3. CIRCOLO FILATELICO NUMISMATICO “L. ORSI” NOVELLARA GIAN PAOLO BARILLI Le Officine Slanzi TIPO-LITO LUGLI - NOVELLARA 2001 1
  • 4. Le man enfumegàde El vis tut negrià Con doi padele nade E ‘n parolet sbusà El parolot el gira Per guadagnar ‘na lira (Quirino Bezzi) Le mani affumicate/ col viso annerito/ due pentole malandate/ ed un paiolo bucato,/ il ramaio cammina e cammina/ per gua- dagnarsi una lira/ … 2
  • 5. Presentazione L’IDEAZIONE DELLA MEDAGLIA DEDICATA ALLE OFFICINE SLANZI Nota dell’autore Romano Pelloni. Per la medaglia del nuovo secolo è stato scelto il tema delle OFFICI- NE SLANZI, nate e sviluppatesi nel cuore di Novellara, si può dire a ridosso della chiesa parrocchiale. Per il fronte della medaglia ho quindi scelto la visione del grande complesso industriale colta dall’alto in una prospettiva “a volo d’uc- cello” che partendo dalla parrocchiale in basso si sviluppa con una trama ortogonale elegante e significativa come testimonianza stori- ca, visto che l’intero complesso è stato abbattuto al concludersi del- l’attività negli anni novanta. Tutt’intorno la scritta CIRCOLO FILATELICO NUMISMATICO “L. ORSI” NOVELLARA 2001. Nel retro è invece il marchio della ditta, che con la sua ruota dentata ci riporta le atmosfere della prima industrializzazione, a campeggia- re nel cielo delimitato da un profilo della città. In basso la Pompa idraulica, emblema del più fortunato prodotto delle Officine e sotto la scritta “OFFICINE SLANZI”. Una medaglia che bene ricorda il secolo appena chiuso e i benefici sociali e il ruolo che la Ditta ha avuto per lo sviluppo di NOVELLARA. Romano Pelloni 3
  • 6. GLI SLANZI Gli Slanzi sono arrivati a Novellara dal Trentino nella prima metà dell’Ottocento. Nel 1861 c’erano tre nuclei famigliari: di Giovanni, di Stefano e di Antonio; i primi due facevano i ramai il terzo il “traffi- cante”, il commerciante. Tutti provenivano da Vermiglio o da Fucine di Ossana nella Val di Sole e tutti facevano capo a un unico progeni- tore, Marcantonio. Erano sudditi dell’impero austriaco. Similmente a quanto accadeva pressoché ovunque nelle zone mon- tane, gli uomini erano abituati a passare altrove una parte dell’anno per integrare gli insufficienti bilanci famigliari. Tra questi c’erano an- che i ramai che però costituivano una categoria a parte, non sempre di gente povera, piuttosto di artigiani specializzati che spesso erano anche mercanti. Cesare Battisti, il patriota martire della Prima guerra mondiale, ci ha lasciato alcune interessanti note sui calderai che nel dialetto usuale trentino vengono detti “paroloti”. “Il contingente maggiore di questi paroloti è dato dai comuni di Ca- stello, Cogolo, Termenago, Pellizzano, Ossana e Peio. Essi emigra- no (ed un tempo tale emigrazione era assai maggiore dell’attuale) di preferenza nel veneto, nelle Romagne e in Toscana, pur non trala- sciando le altre terre italiane e la Francia. Ogni paroloto parte con uno o più famei [famigli] e fa il magnano [fabbro] girovago, vendi- tore ed aggiustatore di utensili di rame, prendendo in compenso poi propri servigi e per le merci che vende non solo denari, ma cibarie, stoffe ecc., per cui alla sua volta il paroloto si trasforma in venditore di mercanzie. I più facoltosi fra i paroloti tengono aperto negozio in una città e naturalmente alcuni di loro, fatta fortuna, si stabiliscono permanen- temente fuori della patria. Si può dire che, comune per comune, i paroloti dell’alta Val di Sole seguono speciali vie nelle loro peregrinazioni. Ad esempio quelli di Pellizzano si riversano di preferenza a Venezia e a Padova; Modena, Reggio e Bologna sono la meta di quelli di Pejo; Pisa di quelli di Termenago; Firenze di quelli di Castello. Fino agli ultimi decenni essi furono i grandi monopolizzatori d’un 4
  • 7. commercio e interessava loro mantenere il segreto più rigido su di esso e poter fra loro scambiarsi, senza che altri lo capisse, idee, consigli, quando si trattava di barattare, vendere, comperare. Come nomadi erano e sono più esposti alla sorveglianza delle autorità; come operai infine avevano ed hanno un gergo che si tramandano di padre in figlio. Questi paroloti di Val di Sole, in qualunque parte del mondo si ritro- vino, comunicano fra loro col taròm. E’ la triplice qualità di nomadi, di mercanti e di operai che li ha spinti a crearsi un linguaggio proprio “. Ecco dunque, senza bisogno di andarla a cercare chissà dove, la spiegazione del come e del perché gli Slanzi vennero in paese e vi si stabilirono. A questo punto appare utile e interessante tracciare un albero gene- alogico. Un notevole aiuto è venuto dalle ricerche effettuate da Maria Teresa Slanzi e Vanni Mariotti ed anche dagli appunti lasciatimi da Arrigo Slanzi; un preziosissimo contributo per ricostruire le relazioni di parentela è venuto dalle sorelle Ada e Miriam Slanzi di Vermiglio figlie di un Guglielmo, meccanico nel loro paese (gli Slanzi, eviden- temente, la meccanica ce l’hanno nel sangue). La bottega degli Slanzi nel 1923 con “fogon e ramin” in bella mostra 5
  • 8. 6 Albero genealogico semplificato della famiglia Slanzi MARCANTONIO ALTRI MATTEO GIOVANNI GIUSEPPE ALTRI ANTONIO MATTEO ANTONIO ALTRI FRANCESCO STEFANO GIOVANNI GIUSEPPE ANTONIO ANTONIO GIUSEPPE GUGLIELMO ANGELA LUIGI VIRGINIA IOLE PIA ENNIO GUERRINO GUGLIELMO M. ANTONIETTA ANTONIO ERIO CLEMENTINA ELENA ANNA M.LUISA MIRIAM ADA GIUSEPPE ANGELA GIUSEPPE GUGLIELMA LUIGI FRANCESCO PIETRO VIRGINIA WALTER ARRIGO WILLIAM M.ANTONIETTA M.TERESA GIAMPIETRO VALENTINA LUIGI PAOLA GIAMPAOLO
  • 9. Casa Slanzi in Corso Garibaldi, anni ‘30 Stefano Slanzi Di recipienti di rame e della loro riparazione c’era sempre bisogno ovunque, qui da noi in particolare dove la lavorazione lattiero case- aria era antica di secoli e si stava sviluppando in senso artigianale “intensivo”. Di fatto Stefano Slanzi, perché è della sua famiglia che ci interesse- remo in modo particolare, arrivò tra 1833 e 1834 e in quell’anno prese stabile dimora. Aveva vent’anni, una grande abilità nella lavo- razione del rame, un’innata predisposizione per la meccanica e tan- ta voglia di lavorare. Nel ’40 sposò Maria Bedogni da cui nacquero otto figli: Antonio, Clementina, Elena, Giuseppe, Angela, Giovanni, Virginia e Guglielmo. Nel 1835 risulta già in funzione una bottega da fabbro che si dedica alla lavorazione, riparazione e stagnatura di recipienti di rame. Una fattura del 1847 ci dice che l’officina artigianale si è evoluta in negozio di ferramenta. Il documento fa riferimento a chiodi e ferro venduti a peso. 7
  • 10. Era in corso Garibaldi, che allora si chiamava contrada della Torre, e oltre alla fabbricazione di pentolame per uso domestico si era spe- cializzato nella costruzione di caldaie di grandi dimensioni per casei- fici e in quella che oggi chiamiamo “assistenza tecnica”. Il titolare dell’attività era all’epoca Antonio, primogenito di Stefano, che risulterà ancora attivo nel 1889. Un’altra fattura, inviata a Gan- dini Domenico di San Giovanni, benestante e padrone del mulino (oltre che parente di Stefano) ci consente di dedurre che la ditta era solida se si permetteva di far credito per più di un anno, per una cifra non indifferente, ad un cliente che avrebbe potuto pagare subi- to e in contanti. Per chiarezza sarà utile ricordare che all’epoca c’era un omonimo Antonio, figlio di Giuseppe, cugino di Stefano, pure di Fucine, che faceva il commerciante. Da lui deriverà la linea tuttora esistente dei commercianti di vini, Erio e Antonio. Guglielmo Slanzi Alla fine dell’Ottocento, subentrò nella conduzione dell’azienda Guglielmo, il figlio minore di Stefano; nell’officina operavano, oltre ai ramai, fabbri e fa- legnami che costruivano componenti e accessori per vari tipi di impianti. A ridosso della Guerra del ‘15-18 al la- boratorio e al negozio si affiancò una “Fabbrica e noleggio” di caldaie per caseifici. Noleggio perché trattandosi di manufatti molto costosi non tutti i ca- seifici, molti dei quali a una sola calda- ia, non potevano permettersene l’ac- quisto. L’azienda, tra l’artigianale e l’industriale, era ormai diventata una fabbrica: cominciava ad ampliarsi allungandosi sul retro, occupan- do nuova superficie. 8
  • 11. Macchina per battere il rame all’interno della vecchia officina Assieme a Guglielmo lavorarono il fratello Giuseppe e, dopo il 1920, i figli Pietro e Francesco. Guglielmo cessò l’attività nel 1931 lasciando il campo all’imprendi- toria meccanica dei figli che si era avviata con successo nel 1924. Pietro Slanzi Il vero imprenditore, colui al quale è dovuto lo sviluppo e la trasformazione dell’azienda fa- migliare in industria, è Pietro. Pietro, noto come Piero, anzi “ al s’gnor Piero”, nato nel 1894, aveva studiato alle Scuole tec- niche industriali di Torino con- seguendo il diploma di collaudatore motorista nel 1911; nei due anni successivi aveva lavorato per la fabbrica di motori Diatto, un’azienda collegata alle OMI Reggiane, acquisendo una grande e aggiornata esperienza meccanica; in seguito era stato alla Landini di 9
  • 12. Fabbrico e alla Stanguellini di Modena. Chiamato alle armi nel 1916, combatté come fante nella Grande Guerra e fu ferito sull’Altopiano di Asiago nel corso di un’offensiva. Per le sue competenze tecniche ottenne il trasferimento all’aero- nautica e poté frequentare un corso di specializzazione alla FIAT di Torino, conseguendo il brevetto di motorista d’aviazione. Rimase poi a Mirafiori, presso la scuola di meccanica, fino al 1919 assegna- to al settore “esperienze di volo”. Ebbe modo di fare ulteriori, pre- ziose acquisizioni tecniche e di avere conoscenze dirigenziali; non gli mancarono esperienze sindacali. Al suo ritorno rientrò nell’azienda di famiglia cercando di evolvere la ditta, ma gli ci vollero quasi cinque anni per mutare gli indirizzi tradi- zionali del padre. Fu un pioniere nella fabbricazione di motori adatti a sopportare ogni genere di fatica; alcuni modelli furono anche adot- tati dalla Marina militare italiana. Aveva una “carica” straordinaria e preziose intuizioni. Riuscì a coinvolgere tutta la famiglia: operò con il fratello, i cugini e i figli. Creò una scuola di meccanica agraria in paese. Nel 1956 fu insignito del cavalierato della Repubblica dal presidente Gronchi. Fu presidente della Camera di Commercio di Reggio e dell’Associazione Industriali della provincia. Considerava l’azienda come una grande famiglia anche quando la ditta fu al massimo della sua espansione. Motore tipo “R” HP 4-6 Centauro 10
  • 13. LE OFFICINE SLANZI Per decenni la giornata lavorativa del paese è stata scandita da una sirena. Suonava alle 7 e 20 e alle 7 e 30, a mezzogiorno, alle 13 e 20 e dieci minuti più tardi, infine alle cinque del pomeriggio. Era la sirena delle Officine Slanzi che regolava l’attività degli operai e la vita del paese. Tra le due Guerre Il 30 aprile 1924 si era costituita la “ F.lli Slanzi & C.”, una società in accomandita semplice in cui i “fratelli” erano Pietro e Francesco Slanzi, il “compagno” Adelmo Lombardini. La società aveva acquistato la Cooperativa Metallurgica di Novellara. La Cooperativa Metallurgica era stata fondata il 18 aprile 1920. Sta- bilì la propria sede negli “stalloni”, un complesso di capannoni che aveva ospitato i cavalli del 15° Reggimento d’Artiglieria, situati nel- l’area dell’attuale via Naborre Campanini, a fianco della Cooperativa falegnami. Un gruppo di fabbri iniziò la costruzione dei parapetti di ferro per i ponti della bonifica, poi delle cucine economiche a legna in lamiera nera. L’Officina vista da sud in data anteriore al 1932 11
  • 14. Camion carico di motori Slanzi-Lombardini destinato ad una fiera Adelmo Lombardini, che della cooperativa era presidente, e Sante Soncini nello stesso tempo presero a realizzare un motore a scop- pio, a imitazione di un vecchio Aubin, da applicare all’agricoltura: trebbiatura e irrigazione. Costruirono due modelli che si guadagna- rono medaglie d’argento alla Rassegna reggiana dell’Industria e del- l’Agricoltura del ’22. La Metallurgica aveva problemi finanziari, come d’altra parte tutte le altre cooperative comunali: agricola, consumo, falegnami e mura- tori, per cui, nel 1924, si esaminò la possibilità di cedere l’officina motori. L’operazione venne conclusa con Pietro Slanzi e Adelmo Lombardi- ni. Il capitale per l’acquisto fu concesso dalla Cassa di Risparmio su garanzia della famiglia Slanzi; inoltre poterono contare sull’appog- gio incondizionato degli amici, non ultimi i Landini, che firmarono senza fiatare fideiussioni e garanzie. La sede fu trasferita, nei primi mesi del ’24, presso la bottega di Slanzi Guglielmo in via Garibaldi; vi vennero portati i pezzi, le attrez- zature e i modelli in legno e vi iniziò a lavorare un piccolo numero di tecnici. Slanzi e Lombardini erano amici e avevano maturato la loro espe- rienza proprio nella costruzione di motori all’interno della Landini di 12
  • 15. Fabbrico. Questa (allora) piccola ditta dal 1910 produceva un mo- tore a “testa calda” che poteva utilizzare combustibili liquidi di natu- ra molto diversa, compresi quelli più scadenti e poveri, che ben presto passò dalle applicazioni fisse a quelle mobili su carrello, facil- mente trainabile in terreno aperto, utilizzabile per mettere in moto le macchine operatrici. Avevano capito che queste erano la strada da percorrere e la produ- zione da imitare. Nel 1926 entrò come nuovo socio Alberto, fratello di Adelmo, e la ditta prese il nome di “ Officine Meccaniche Slanzi e Lombardini”. Producevano motori a scoppio e diesel funzionanti a petrolio, nafta e benzina, con potenze che andavano dai 2 ai 12 Hp, principalmen- te per applicazioni a pompe per l’irrigazione e l’irrorazione della vite, ma anche per tutti gli altri impieghi agricoli e industriali. “ L’assoluta mancanza di capitali - scrive M. Bianchini - per la dota- zione di una adeguata attrezzatura e sostenere tempo e spese di una ricerca tecnologica che pure, quasi miracolosamente, fu com- piuta a prezzo, si direbbe, di una forte esposizione bancaria, la ca- renza di una disciplina industriale, dalla contabilità al calcolo dei costi, dalla divisione del lavoro e delle mansioni alla conoscenza dei mercati di sbocco e delle forniture, la totale imprevedibilità delle entrate e delle uscite” oggi ci appaiono un grandissimo azzardo, quasi pura follia. Bianchini, che riconosce il successo dell’impresa, ma non si capacita del come sia riuscita, non ha tenuto conto dei tempi, della coscienza delle proprie forze e abilità, della capacità di amministrarsi, dello spirito d’iniziativa, della mentalità “sparagnina” della famiglia Slanzi e, non ultimo, il carisma personale di Pietro Slanzi e Adelmo Lombardini. Geniale fu l’intuizione che c’era richiesta di meccanizzazione del- l’agricoltura e di altri settori, lo si era visto, ad esempio, con i grandi lavori di bonifica iniziati sul finire del secolo precedente, che c’era bisogno di lavoro e quindi che c’era prospettiva di guadagno. Gli stessi operai della ex Metallurgica, quando ci fu la transazione, mostrarono sorpresa, ma non ebbero reazione negativa perché vi- dero la prospettiva di un lavoro sicuro e sereno. Seguendo le consuetudini dell’epoca (e della famiglia) l’azienda cer- 13
  • 16. Fatture di varie epoche Si noti nella prima la firma di Adelmo Lombardini 14
  • 17. Giuseppe Slanzi sullo sfondo del castello di Ossana Antonio Slanzi fratello di Giuseppe Pietro Slanzi fondatore dell’Officine 15
  • 18. Fonderia nel 1943 Cortile della prima Officina nel 1943 16
  • 19. Cartolina pubblicitaria anni Cinquanta Veduta dello stabilimento anni Ottanta 17
  • 20. Cartolina pubblicitaria 1925 Copertina del catalogo 1935 18
  • 21. cava di essere autosufficiente, faceva in modo di produrre in pro- prio la maggior parte dei componenti metallici dei motori: c’erano la fonderia e abilissimi operai che costruivano a mano i vari pezzi. Il mercato, che era poco più ampio dell’ambito locale, cominciava a espandersi, non c’erano altri concorrenti vicini, eccetto la Landini di Fabbrico, tanto che i Lombardini, nel 1931 recedettero dalla società e aprirono un proprio stabilimento a Reggio, in Gardenia. Alla data del censimento del 1927 gli addetti della Slanzi erano 29. Nei primi anni Trenta aumentò la richiesta di motori; l’introduzione di nuove attrezzature, il perfezionamento delle tecniche e l’espe- rienza di gestione permisero di immettere sul mercato prodotti inte- ressanti, al punto che, nel ’32, il prefetto di Reggio, S.E. Montanari, venne in visita alle Officine per rendersi conto della reale potenziali- tà. La ditta aveva superato, tra 1928 e 1930, grazie anche a una com- messa governativa che aveva destinato una cospicua parte dei mo- tori alle Colonie, tempi difficili dovuti a un anno di siccità e ad un inverno di grave gelo che avevano danneggiato le produzioni agri- cole, e alla pesantissima depressione a livello mondiale; si ricordi al proposito il crollo della Borsa di New York del ’29. In seguito, nell’arco di pochi anni, la produzione raggiunse i mille motori l’anno e la ditta si dotò di un’ampia rete di vendita con rap- presentanti e agenzie in tutte le principali città d’Italia. Si dovettero costruire nuovi capannoni e venne inglobata la corte dei Pizzetti. Nel 1935 fu celebrato il centenario dell’azienda, il giornale “Il Solco fascista” dedicò all’evento le due pagine centrali con foto e testi e per l’occasione fu allestito un palco in piazza dal quale una corale cantò un inno alla Slanzi composto dal maestro Curzio Confetta. L’officina fu aperta alla visita del pubblico. Merita di essere riportata la descrizione dello stabilimento così come è comparsa nell’articolo citato. “ Il panorama delle Officine Slanzi di Novellara è dei più semplici che si possono immaginare. Se fosse possibile fissarne le linee dall’alto ne risulterebbe una sagoma ret- tangolare con un cortile ampio, nitido, lunghissimo, con doppio or- dine di portici, ed un altro più piccolo nel fondo, presso il reparto 19
  • 22. Il Prefetto Montanari in visita nel 1932 Situazione dello stabilimento alla metà degli anni ‘30 dopo l’ampliamento descritto nell’articolo del “Solco fascista” 20
  • 23. della fonderia, chiuso a sua volta da un porticato che gli gira tutto attorno. I capannoni che ospitano i vari reparti ricevono luce sui tetti e da simmetrici finestroni laterali. L’ingresso delle officine sembra piuttosto quello di una villa tanto sono lindi i cortili e fioriti i davan- zali … le officine internamente non hanno nulla da invidiare all’ordi- ne e alla disciplina esemplare dei più grandi opifici. Il reparto mac- chine - una immensa rete di motori, di cinghie, di cilindri - occupa da solo una lunghezza di circa centotrenta metri e costituisce come la spina dorsale dell’azienda”. Seguono gli altri settori: i torni, la sala prova motori, il reparto montaggio, le fonderie, i magazzeni, i depo- siti, gli spogliatoi per gli operai. Negli anni Trenta entrarono come apprendisti i figli di Giuseppe, nipoti di Pietro, che negli anni seguenti sarebbero diventati dirigenti attivi: Walter avrebbe gestito l’ufficio vendite, William avrebbe cura- to l’organizzazione e la preparazione degli stand nelle fiere e nelle mostre, Arrigo sarebbe stato responsabile della produzione tecnica. All’inizio degli anni Cinquanta si sarebbe aggiunto il fratello minore, Luigi, con il compito di curare il settore tecnico commerciale per la sua conoscenza delle caratteristiche dei motori e delle loro applica- zioni, e di affiancare Walter nelle vendite specialmente all’estero. Interno: attrezzeria e montaggio motori 21
  • 24. Interno: torneria La Slanzi aveva nel 1936 quattro settori: la falegnameria per co- struzione di modelli per fonderia e imballaggi, la fonderia per getti in ghisa, bronzo e alluminio, la forgia per carpenteria metallica, caldaie e recipienti di rame e il reparto motori e pompe. Esisteva ancora su via Garibaldi il vecchio negozio di ferramenta. All’epoca dava lavoro a 110 persone di cui 10 impiegati e 10 donne e si producevano, come si è già visto, 1000 motori all’anno di potenza variabile tra 1 e 30 Hp. La Guerra Mondiale Nel ’41 le Officine furono pienamente coinvolte nella produzione di guerra. Una relazione di un ispettore tecnico di qualche tempo prima diceva: “ … gli impianti possono essere convertiti per tornitu- ra e cinturazione di proiettili di piccolo e medio calibro (sino a 105 mm.) oppure motori per parchi del genio. Lo Stabilimento Slanzi merita di essere tenuto in grande considerazione sia per l’ottima 22
  • 25. organizzazione tecnica, sia per l’ottimo prodotto impostosi sul mer- cato e sia per quello spirito altamente nazionale che fa tenere lo stabilimento in un’atmosfera di continuo aumento” Vi lavoravano 217 persone (198 operai e 19 impiegati). Gli operai facevano turni giornalieri di 9 ore. La produzione di quell’anno fu di 1492 motori a scoppio e diesel, 207 pompe centrifughe, 105 irrora- trici, 252 carrelli per motori e pompe. A fini bellici si fabbricavano pezzi per l’aeronautica militare e l’artiglieria per conto delle Officine Veduta dalla torre della chiesa 1941 Reggiane e parti di torni per la lavorazione dei proiettili per la Inno- centi di Milano. Nel dicembre 1942 furono dichiarate “Stabilimento Ausiliario”. Nel 1943 si contavano 236 dipendenti tra operai e impiegati e l’azien- da aveva occupato praticamente tutta l’area tra corso Garibaldi e via Montegrappa. Una curiosità di quell’anno è che Cecco Slanzi riprese le prime ed uniche foto a colori dell’officina dell’epoca. Aveva avuto un paio di rullini di diapositive Agfa dal presidio tedesco che c’era a Novellara e aveva ritratto i famigliari, qualche angolo del paese e naturalmente dello stabilimento. Proprio negli anni della guerra Pietro aveva progettato e realizzato un trattore, una macchina non molto grande che poteva aiutare nei lavori dei campi. Ebbe il nome di “Pepo” per essere in seguito ribat- tezzato “Amico”. La sua produzione iniziò dopo la fine della guerra mentre parallelamente continuava la fabbricazione dei motori e del- le pompe che non aveva avuto bisogno di riconversione. 23
  • 26. Il dopoguerra A livello nazionale era chiaro che, in un paese ancora basato pre- valentemente sull’agricoltura, si doveva ridare il lavoro a tutti quegli uomini che per anni erano stati sotto le armi e dare da mangiare alla gente; per questo si doveva continuare e incentivare lo sviluppo della meccanizzazione agricola. Mancavano le materie prime, ma non per questo le maestranze della ditta si demoralizzarono; grazie all’inventiva, o meglio, alla ca- pacità di arrangiarsi tipica degli italiani e propria della gente delle nostre parti, si utilizzarono parti di recupero di automezzi, macchi- nari e carri militari: per i primissimi anni la produzione di pompe e motori per tritaforaggi, motocoltivatori, motofalciatrici e irroratrici fu “di fantasia”, ma ci fu. Lo Stato aveva comunque varato piani agrari di sostegno per cui il costo delle macchine non era inaccessibile per gli utilizzatori. Prati- camente lo Stato pagava all’azienda il macchinario per intero e que- sta recuperava a rate dagli clienti. Le motopompe vissero un perio- do d’oro anche per l’impulso che fu dato alla costruzione di laghetti associati al rilancio delle coltivazioni collinari. Inoltre dalla metà degli anni Cinquanta, quando iniziò la migrazione della mano d’opera verso le grandi fabbriche, ci fu una evoluzione della mentalità degli agricoltori nei confronti della meccanizzazione per sopperire alla carenza di lavoratori. E qui facciamo un piccolo passo indietro, torniamo all’Amico. Il trat- tore, non di grandi dimen- sioni, era una novità perché aveva quattro ruote motrici integrali (fino ad allora sul mercato c’erano state mac- chine a due ruote motrici). Essendo destinato alle lavo- razioni in frutteti, vigneti e altre colture specializzate e facendo leva sul concetto di Trattore alleviare la fatica degli ope- “Amico” 24
  • 27. ratori, si conquistò una nicchia di mercato sottovalutata dagli altri produttori con grande successo. Era un mezzo mobile, gommato, che poteva essere utilizzato sulle strade per trainare carri, bighe, attrezzi, ma anche semplicemente per trasportare il singolo bidone di latte al caseificio. Per la Slanzi era una specie di “pubblicità mobi- le” gratuita. Il medesimo principio di alleviare la fatica fu applicato alla costruzio- ne di motori marini: per la propulsione delle barche dei pescatori e motori per argani e verricelli per sollevare le reti. Tutti i motori erano a 4 tempi quindi con un riconosciuto rendimen- to superiore; la disposizione dei cilindri in verticale permetteva una maggiore compattezza col minimo ingombro. Particolare cura veniva sempre messa nella progettazione affinché i motori avessero sicurezza di funzionamento, semplicità e praticità di manutenzione. Infine si dava grande importanza alla robustezza. Anche i materiali erano scelti con scrupolo e si effettuavano collaudi rigorosi sul montaggio e la finitura. Si può dire che la Slanzi anticipò i tempi nell’attenzione all’ecologia. Fu tra le prime aziende a sostituire i motori a un solo pistone con motori bicilindrici; il frazionamento della cilindrata diminuiva le vi- brazioni e di conseguenza la rumorosità. Dagli anni Cinquanta iniziò l’esportazione in quantità considerevo- le. Gli Stati Uniti e la Francia furono tra i primi paesi ad apprezzare la produzione della Slanzi; peraltro in Francia era già conosciuta dagli anni Trenta quando la ditta partecipò alla fiera campionaria di Parigi. E a proposito di fiere ci fu sempre da parte della ditta un grande impegno per essere presente in tutte le manifestazioni nazionali da Roma a Verona, da Milano a Bari, ma non trascurò esposizioni come Gonzaga e le piccole mostre dell’artigianato e dell’agricoltura dei paesi. Nei primi anni Cinquanta, e con l’occasione di una proposta della Comunità Trentina per garantire occupazione sul territorio, venne aperto lo stabilimento di Ala nei capannoni dell’ormai decaduta fi- landa. C’era un legame affettivo per quella terra, ma si vedeva con- cretamente un principio di razionalizzazione della produzione, inol- tre l’ondata di scioperi iniziata nel 1951 aveva fatto prendere seria- mente in considerazione la possibilità di trasferire la produzione, 25
  • 28. utilizzandola pure come velata minaccia per la cessazione delle agi- tazioni. Ad Ala furono trasferite la fonderia dell’alluminio e la costru- zione delle pompe, a Novellara rimasero la fonderia della ghisa, la fabbricazione dei motori e l’assemblaggio delle parti. Gli anni Sessanta e Settanta Con il Boom economico la Slanzi aveva preso il volo e i successivi anni Sessanta e Settanta furono quelli che videro la più intensa atti- vità dell’azienda sia dal punto di vista della varietà dei modelli offerti che della dimensione della produzione. C’era un motore Slanzi per ogni impiego. Per avere un’idea delle oltre duecento applicazioni si veda il seguente elenco: motocoltiva- tori, motoagricole, motocarri, portattrezzi, trattori, cingolati, pale ca- ricatrici, apripista, escavatrici, bulldozer, dumper, autogru, betonie- re, rulli compressori, spanditori, frantoi, carrelli elevatori, gruppi elet- trogeni, gruppi frigoriferi, portarotaie, atomizzatori, nebulizzatori, pol- verizzatori, seminatrici, imballatrici, pressaforaggi, falciatrici, perfo- ratrici, motoseghe, compressori, motosaldatrici mungitrici, scortec- ciatrici, ranghinatrici, argani e verricelli, nastri trasportatori, moto- pompe. Reparto montaggio motori anni ‘80 26
  • 29. Reparto prova sperimentale anni ‘80 L’esportazione si era estesa ad altri paesi del bacino del Mediterra- neo, da Israele all’Algeria, del Sudamerica e dell’Indocina; qui, gli Stati Uniti avevano favorito la vendita di motopompe in Viet Nam per i lavori nelle risaie. Negli anni Settanta entrarono prepotentemente sul mercato i giap- ponesi che, sfornando prodotti di qualsiasi tipo in grandi quantità e a prezzi competitivi, trasformarono i motori in un pezzo qualsiasi dei macchinari e non più in una parte importante, un pezzo che poteva essere convenientemente cambiato e non un componente essenziale che doveva dare affidamento e durare. Ancora per tutti quegli anni alla Slanzi si produsse, si costruì e si lavorò tutto il possibile negli stabilimenti per esigenza di autonomia aziendale, in una sorta di “autarchia”, perché non era così facile avere nei tempi e nei modi desiderati ciò che serviva; solo dopo la metà del decennio cominciò a prendere piede la lavorazione per conto terzi e la prassi della subfornitura. A questo proposito c’è da riconoscere alla Slanzi il merito di aver creato una cultura meccanica sul territorio che ha dato origine a una rete di artigiani che lavoravano in proprio oltre che per la Slanzi stessa. 27
  • 30. Per quanto concerne la grande varietà di modelli prodotti, anche se non era economicamente conveniente, serviva a mantenere legati i clienti che facevano funzionare i loro macchinari con i motori Slanzi di piccola e media potenza e quindi rimanere sul mercato. Nel ’73 venne a mancare Pietro, ma già da alcuni anni la direzione era affidata, oltre che ai nipoti, ai figli Giampietro e Giampaolo, que- st’ultimo entrato nel 1969. Dopo la metà degli anni Settanta, nella prospettiva di modernizzare l’azienda si iniziarono a rinnovare diversi macchinari e vennero co- struiti i nuovi capannoni a sud di via Montegrappa, dove avrebbe dovuto trasferirsi il montaggio, ma la cosa faticò a partire. Motore diesel “DVA 1030” 28
  • 31. Maestranze e operai alla fiera di Milano La Slanzi visse tutte le manifestazioni, gli scioperi e le rivendicazio- ni dei lavoratori. I rapporti e le trattative con le organizzazioni sinda- cali furono però sempre corrette, anche se a volte aspre e dure, da entrambe le parti, perfino nei momenti più drammatici come nel 1960. All’apice della sua espansione l’azienda contava circa 350 dipen- denti a Novellara e 70 ad Ala. I lavoratori ebbero orgoglio e senso dell’appartenenza, in questo sostenuti dal bel rapporto personale che esisteva con i vari espo- nenti della famiglia, sempre presenti fra loro in azienda. 29
  • 32. Epilogo Negli anni Ottanta ci fu una pesante crisi del settore della meccaniz- zazione agricola; la Slanzi andò incontro a gravi difficoltà di merca- to. Nel 1986 entrò come socio di maggioranza la “Lombardini Mo- tori” che nel ’90 assorbì l’intera quota. Non ritenendo conveniente mantenere neppure una parte della la- vorazione a Novellara, fu deciso di trasferire a Reggio tutta la produ- zione con conseguente chiusura dello stabilimento e destinazione dell’area ad altro uso. Capanonni nuovi nell’area sud Bisogna riconoscere che fino a quel momento l’azienda aveva man- tenuto ciò che si era prefissata dalla data della sua fondazione e che era riportato sul retro di una cartolina pubblicitaria degli anni Venti: “ Quando iniziammo la nostra attività non esitammo sulla strada da scegliere: qualità, prezzo e servizio: Noi facciamo qualcosa di più che costruire e vendere motori e mac- chine: produciamo e vendiamo soddisfazione per la nostra clientela fornendo macchinari che rappresentano il più alto rendimento del denaro speso. Noi fabbrichiamo prodotti di qualità perché ci teniamo a soddisfare la richiesta nel modo migliore. La concorrenza sulla base della qualità e del servizio è assai più 30
  • 33. pregevole ed ha più sani fondamenti che non la concorrenza sulla base del prezzo più basso. Se poi alle migliori qualità si unirà il miglior prezzo il successo non può mancare come non ci è mancato”. Una sola considerazione finale: grazie alle Officine create e volutal- mente mantenute in un piccolo paese della Bassa da Pietro Slanzi, centinaia di operai e impiegati, nei decenni, tra quelle mura hanno avuto la garanzia di un lavoro per sé e un sostentamento per le famiglie. Fosse anche per questo solo motivo gli Slanzi e la loro azienda meritano di essere ricordati alle generazioni future. G.P. Barilli Motore marino 1965 Oltre alle già citate persone sono da ringraziare Maria Antonietta Slanzi, Luigi Slanzi, Giampaolo e Giampietro Slanzi, Elsa Lombardi- ni Slanzi per le preziose notizie, le informazioni, per i documenti e le foto forniti. Per altre fonti storiche sono da ricordare: G. Gaddi, La Società Anonima Cooperativa Metallurgica di Novella- ra, dattiloscritto, Novellara 1989. M. Bianchini, Imprese e imprenditori a Reggio Emilia 1861-1940. G.L. Basini, L’industrializzazione di una provincia contadina 1861- 1940. 31
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