1. TECNICHE DI ESPRESSIONE LUDICO-MOTORIE PER BAMBINI
VEDENTI E NON VEDENTI DI SCUOLA ELEMENTARE: UN
PROGETTO DI INTEGRAZIONE EDUCATIVA
Roberto Penzo
Sembra ormai accertata l’importanza che il movimento riveste nell’educazione del
bambino, in quanto diventa il modo più diretto che utilizza per entrare in rapporto con gli
altri.
I programmi della scuola primaria, per quanto riguarda la pratica dell’educazione
motoria, prevedono la promozione di attività finalizzate all’acquisizione di abilità attraverso il
linguaggio mimico-gestuale e della drammatizzazione, per il miglioramento della sensibilità
del bambino.
I nuovi sistemi educativi, tenendo conto dei processi evolutivi del bambino, cercano di
evidenziarne l’aspetto espressivo e motorio anche se la loro applicazione risulta complicata.
Il bambino nelle varie fasi del suo sviluppo percettivo-motorio diventa corpo inteso
come mezzo di comunicazione che incontra l’ambiente fisico e sociale, dove il movimento
rappresenta l’elemento animatore che gli dà la possibilità di esprimere le sue emozioni e di
potersi arricchire di nuove e suggestive esperienze.
Da qui l’importanza che assume l’apprendimento cognitivo inteso non più come pura
assimilazione di nozioni, ma acquisizione, attraverso una ricerca materiale e psicologica di
una conoscenza corporea idonea ed in grado di svilupparsi.
Il bambino manipolando il mondo fisico e spostandosi nello spazio che lo circonda,
comincia a conoscere e ad esprimere il suo modo di essere e di vivere le esperienze.
In ambito educativo, le componenti metodologico-didattiche evidenziano come
l’espressione corporea sia uno strumento pedagogicamente importante per fare sviluppare la
crescita e la curiosità del bambino attraverso la naturalità e la spontaneità dei suoi movimenti
in quanto con la sua gestualità è in grado di esprimere agli altri le proprie emozioni e
sentimenti.
Il fine da raggiungere nei confronti del bambino sia esso non vedente o vedente, non si
dissocia da quello relativo alla psicomotricità che ha lo scopo di condurlo verso una migliore
conoscenza del suo corpo, fornendogli i mezzi più idonei per vivere un buon rapporto con
l’ambiente che lo circonda.
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2. Per raggiungere questi obiettivi, occorre indirizzare la sua educazione verso il
consolidamento di un buon schema corporeo e dargli fiducia nel rapporto con i compagni. In
questa attività centrata sul corpo, la correttezza del movimento è rappresentata dalla
metodologia, cioè la forma in cui l’intervento viene proposto.
Il termine espressione corporea definisce anche il modo in cui viene studiato il suo
comportamento e come la sua evoluzione si contrapponga a metodologie didattiche, talvolta
rigide, espresse dall’educazione tradizionale.
Occorre rispettare l’evoluzione dei tempi di apprendimento e, nei confronti del bambino
non vedente, stimolare la piena coscienza di sé e l’intima connessione esistente fra i suoi
distretti corporei.
Pertanto nella proposta educativa una attenzione particolare è rivolta alla ricerca della
fantasia e della creatività motoria e ogni iniziativa dell’insegnante dovrebbe rispettare questo
mandato e mettere il bambino nella condizione di eseguire la stessa qualità di movimento. In
questo modo potrà acquisire, non dimenticando la spontaneità e le sue possibilità di
esecuzione, un bagaglio motorio più ricco ed articolato.
Il corpo del bambino ha una gamma vastissima di opportunità e di atteggiamenti motori
che possono essere portati nello spazio in modo statico o dinamico, anche se, spesse volte, si
dimenticano le sue risorse e si soffoca la creatività riducendo l’attività motoria a movimenti
stereotipati e ripetitivi.
Un corpo maggiormente sensibile ed una motricità più articolata e mirata sono le basi
attraverso le quali è possibile, all’interno della gestualità quotidiana, sviluppare una buona
relazione educativa.
Se invece il movimento viene proposto dall’insegnante in maniera abitudinaria senza
stimoli, questo viene sentito e vissuto dal bambino come un peso piuttosto che come una
fonte di piacere ricca di possibilità espressive.
È auspicabile che la formazione dell’insegnante sia idonea a farlo uscire da certi schemi
culturali e motori rispetto all’uso del corpo, e faccia mantenere al bambino la sua spontaneità
allontanandolo da forme gestuali codificate.
Quando si dice al bambino di esprimersi liberamente con il corpo, solitamente la sua
risposta motoria è di tipo imitativo: è la capacità dell'insegnante che deve spiegare al
bambino come nella comunicazione non è il gesto in se stesso che è importante, ma ciò che
esso vuole significare; e, pertanto, non la descrizione di una determinata figura, ma la
rappresentazione di quali sentimenti questa figura è in grado di suscitare.
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3. Nel rapporto educativo, si deve partire dal presupposto che il movimento, se privato del
suo contenuto espressivo, rimane un elemento astratto e sterile che non porta da nessuna
parte.
Per il bambino non vedente la difficoltà maggiore consiste nel dare alla sua gestualità un
contenuto spendibile attraverso una idea motoria tutta da scoprire: nella sua azione, infatti, ha
difficoltà ad anteporre lo stile all’espressività del corpo. In questo caso occorre mettere in fila
correttezza motoria e spontaneità utilizzando strumenti didattici con i quali il bambino,
vedente e non, possa stabilire un rapporto che sia non solo di adattamento alla loro forma, ma
bensì personale e creativo.
È interessante osservare quanti significati ed aspetti differenti possono assumere gli
oggetti se lasciati alla libera creatività del bambino, che con le sue risorse è in grado di
plasmarli trasformandoli in maniera fantastica.
Il bambino non vedente, impara con tempi e ritmi diversi ad usare lo spazio circostante
e le sue forme differenti e si può rapportare interagendo anche con l’aiuto e la voce dei
compagni.
Questa proposta ludica deve essere guidata dall’insegnante, il quale entra nel gruppo
costituendone parte e riferimento integrante con l’intenzione di diventare non solo guida
esterna ma presenza che aiuta il bambino a superare le difficoltà che incontra e a farlo uscire
da schemi motori precedentemente acquisiti. Per il bambino non vedente occorre variare le
proposte motorie, dare quegli stimoli che lo aiutino ad apprendere e soprattutto a scoprire e
sperimentare i “suoi spazi”.
Poiché le sue capacità attentive e di concentrazione sono differenti, l’educatore dovrà
seguirlo con maggiore attenzione e differente sensibilità, sollecitandolo con rinforzi e
correzioni continue e dare fiducia alle manifestazioni della sua espressività.
La presenza dell’insegnante diventa il momento di proporre al bambino di passare da
una gestualità istintiva guidata da stimolazioni di vario genere, ad una motricità precisa fatta
di proposte semplici e chiare, onde evitare che egli perda la concentrazione. Per il bambino
non vedente poter imitare il gesto del compagno diviene fonte di ricerca e di arricchimento,
poiché modificando il suo rapporto, la relazione cresce attraverso la sua gestualità che oltre ad
essere suscitata da una emotività interiore è in grado di sperimentare ed assumere senza ansia
e paura direzioni stabilite.
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4. PROGETTO: Tecniche di espressione ludico-corporee e di socializzazione per
bambini/e ciechi, ipovedenti e vedenti di scuola elementare (età 6-8 anni)
Il progetto è nato per offrire un sostegno educativo e di integrazione extrascolastica ad
un gruppo di bambini ciechi, ipovedenti e vedenti tramite una attività ludico-espressivo
motoria.
Lo scopo è la formazione di un gruppo dove i non vedenti avessero modo di
confrontarsi e, attraverso la loro disabilità, promuovere una maggiore consapevolezza
dell’importanza del proprio corpo.
Il progetto si è posto altresì la finalità di sviluppare nei bambini, sulla base delle loro
autonomie, occasione di momenti di incontro attraverso la “socializzazione” del proprio
handicap visivo.
Nella realizzazione di questi obiettivi, si è tenuto conto degli aspetti percettivo-
cognitivo-motori che rappresentano, in questa fascia di età, un elemento fondamentale nel
processo di sviluppo e di maturazione di abilità differenti.
I bambini non vedenti che hanno partecipato a questa iniziativa non presentano deficit
aggiuntivi.
Il gruppo è formato da:
3 bambini ciechi.
1 bambina ipovedente.
5 bambini vedenti (3 bambine e 2 bambini).
Équipe del progetto:
Roberto Penzo, psicopedagogista e consulente psicopedagogico supervisore del progetto.
Anna Albertarelli, esperta in movimento creativo e coreografico per l’infanzia.
Mara Di Giammatteo, animatrice di linguaggi non verbali.
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5. Descrizione dell’attività
I fase. L’attività ha inizialmente promosso situazioni di incontro
settimanale fra i bambini e gli operatori che, con competenze differenti, hanno
partecipato coralmente alla realizzazione del progetto in tutte le sue fasi più
significative ed in stretto contatto con i genitori.
I bambini si sono confrontati, rispettando le loro capacità di base, con una serie
articolata e progressiva di proposte ludiche e di movimento finalizzato a scoprire l’entità delle
loro autonomie e dei loro limiti motori.
Si è iniziato con l’esplorazione non strutturata dell’ambiente per poter comprendere
quali fossero le abilità acquisite e su questa base promuovere proposte didattiche idonee.
È stata utilizzata una metodologia di intervento che garantisse il movimento nello
spazio senza punti di riferimento di tipo tattile e sonoro, con la presenza di ostacoli per potere
valutare, in termini di valori, quali fossero le autonomie e le difficoltà che i bambini dovevano
superare. Ed ancora “guidati” da differenti fonti sonore espresse dai compagni con voci,
rumori, suoni e attrezzi.
Quindi sono stati utilizzati ostacoli ambientali per verificare le capacità e le abilità di
orientamento di fronte a difficoltà previste o impreviste: le differenze di comportamento
emerse fra i bambini non vedenti e vedenti nei confronti del rischio motorio.
Queste proposte hanno avuto consegne differenti ed hanno rispettato le tipologie dei
bambini coniugando, in un processo di socializzazione, energia naturale, stimolo di
emulazione e attività motoria da rieducare.
In seguito si è sviluppato il passaggio dai movimenti istintivi, che davano maggiori
sicurezze, a quelli con una finalità esplorativa e conoscitiva del mondo esterno dello spazio e
della forma.
Operazioni che avvengono naturalmente per il bambino che vede, in quanto la vista
viene intesa come stimolo e sussidio per l’individuazione della presenza dei compagni e le
loro forme. Per il bambino che non vede possono diventare stimoli adeguati che rompono le
inerzie e possono, con i sensi vicarianti, “ricavare” le conseguenze dell’ambiente.
II° fase. Lavoro di gruppo per la presenza e la scoperta del “senso” degli ostacoli in
termini di:
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6. Acustica (onde sonore trasmesse da un qualsiasi attrezzo).
Di contatto (colonne d’aria che si riflettono contro l’ostacolo).
Termica (differenti temperature fra il viso del bambino non vedente e quello della
superficie dell’ostacolo incontrato).
In seguito le proposte sono state caratterizzate rispettando le differenze dei bambini, per
la capacità di rappresentazione del proprio corpo nello spazio e stimolando l’interesse di
essere riconosciuti dagli altri.
Si è lavorato sulla simulazione di storie scelte da loro dove sono emerse capacità che
coinvolgono altri linguaggi del corpo e, attraverso l’improvvisazione, il gruppo ha scoperto
situazioni di gioia, paura, sorpresa e rischio.
III° fase. Dall’azione guidata al recupero del movimento inteso come:
Tendenza istintiva (scarica di tensione, spontanea, naturale, abitudini motorie,
difese).
Eccitazione motoria (rispetto all’esperienza gruppale, incontro con gli altri).
Scarica di potenzialità (risorse residue soprattutto dei bambini non vedenti).
In questa fase è emersa la componente emotiva in quanto i bambini dovevano
confrontarsi con le loro paure e i loro limiti, rappresentati da sensazioni di tensione e di
disagio, mutamenti emotivi in quanto ci si doveva mettere in gioco di fronte ai compagni.
Si è potuto osservare come una semplice capovolta possa diventare, per un bambino che
non vede, un modo fra i tanti di mettere a repentaglio i propri equilibri e sicurezze
incontrando situazioni che “capovolgono” improvvisamente una dimensione spazio-temporale
garantita.
L’apprensione può rendere il bambino incapace di svolgere qualsiasi gesto motorio. In
questo caso l’operatore può usare il contatto corporeo emotivo o di comunicazione in quanto
per il bambino la padronanza del proprio corpo diventa il primo elemento per gestire il suo
comportamento.
Queste difficoltà sono state superate insieme agli operatori che hanno agito sempre da
supporto e rinforzo attraverso consegne mirate in grado di sviluppare quella coordinazione di
tipo generale, idonea per creare nel bambino, anche se non vedente, fiducia per l’acquisizione
di importanti autonomie.
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7. Analisi dell’esperienza
Il laboratorio di durata annuale ha presentato qualche difficoltà iniziale in quanto
manca, per quello che riguarda questo ambito specifico dell’integrazione, letteratura al
proposito.
Pertanto, si è proceduto attraverso una modalità sperimentale, verificando di volta in
volta l’efficacia delle proposte, tenendo conto delle differenti disabilità visive e
comportamentali dei bambini.
A questo proposito, nell’evoluzione della dinamica di gruppo ha assunto una valenza
interessante il comportamento di un bambino non vedente che diventa il leader del gruppo in
grado di recuperare, in certi momenti, le sue risorse residue e giocarsele alla pari trascinando
gli altri bambini nell’azione motoria.
L’attività ci ha permesso di confermare l’importanza per i bambini circa l’uso del
linguaggio corporeo per l’acquisizione di competenze spaziali ed un controllo delle loro
emozioni e constatare la rilevanza della componente motoria nel lavoro di gruppo.
Infatti, abbiamo verificato che i bambini non vedenti, attraverso questi stimoli, hanno
acquisito una maggiore sicurezza circa l’uso ed il controllo del proprio corpo; questo anche
grazie a momenti di condivisione e di disponibilità alla cooperazione con i compagni. Questi
elementi che favoriscono una buona pratica educativa hanno lo scopo di aiutare ciascun
bambino, vedente e non, a formarsi una capacità motoria di base idonea e la più evoluta
possibile parallelamente ad uno sviluppo delle potenzialità e delle risorse fisiche,
compatibilmente con le capacità di ognuno ed al fine di evitare che, nelle fasi ulteriori del
loro sviluppo, “rimangano indietro” quelle competenze motorie indispensabili per
l’acquisizione di ulteriori autonomie possibili e spendibili nelle relazioni con gli altri.
Quello che i bambini non vedenti e ipovedenti hanno detto circa la loro esperienza:
ALBERTO
L’esperienza che ho fatto è stata molto bella ed interessante: quando sono venuto, non
pensavo che fosse così divertente. Mi dispiace che sia finita. Pensavo che fosse uno spazio
piccolo, spero di continuare, mi piace molto. Avrei voluto anche muovermi di più per
esplorare più cose. Roberto è bravo ci sa fare con i bambini. Il rapporto con i miei compagni
pensavo fosse peggio. Sono contento che la Debora mi voglia.
MARCO
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8. Tutto mi è piaciuto e mi piacerebbe continuare: l’idea di diventare uomo roccia
muscoloso, fare le corse con gli altri bambini. Con i miei compagni sono andato con alcuni
bene con altri un po’ meno. I giochi che sono stati proposti sono belli perché ci si può aiutare,
io ho aiutato gli altri quando avevano bisogno. Ci sono bambini che hanno un handicap
differente dal mio.
CARLO
Mi è piaciuto un pochino. Io non ho amici e non gioco mai con loro anche se mi piace
giocare… I giochi che abbiamo fatto mi sono piaciuti poco. Se c’è la Roberta (educatrice) va
bene. Sono timido. Non mi piace fare nessuna cosa.
ANITA
Mi è piaciuto venire in palestra, mi sono trovata bene con Lorenzo. L’Anna è brava e mi
è piaciuto fare il cavallino, gli orsi, il rotolamento. Spero di tornare quest’altro anno.
Roberto Penzo
psicopedagogista dell’Istituto dei Ciechi “Francesco Cavazza” di Bologna
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