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Dipartimento di Scienze umane
Comunicazione, Formazione, Lettere e Psicologia
CORSO DI LAUREA IN SCIENZE DELLA FORMAZIONE PRIMARIA
UN CIELO DI STORIE. SCOPRIRE LE COSTELLAZIONI A
SCUOLA PER “RACCONTARLE” AL COMPUTER USANDO IL
LINGUAGGIO PEDAGOGICO IPLOZERO CON LA
GEOMETRIA DELLA TARTARUGA
A SKY OF STORIES. DISCOVERING CONSTELLATIONS AT
SCHOOL TO “TELL THEM” TO COMPUTERS USING THE
PEDAGOGICAL LANGUAGE IPLOZERO WITH TURTLE
GEOMETRY
Relatore
Prof. Giovanni Lariccia
Candidato
Roberta Sciacca
Matricola 14556/100
Anno accademico 2011 - 2012
INDICE DELLA TESI
Introduzione...............................................................................................................................2
Primo capitolo. Le teorie dell’apprendimento nella scuola...................................................5
1.
...............................................................................................................1
Dipartimento di Scienze umane.........................................................1
Relatore.....................................................................1
Cfr. a tal proposito, l’intervista “Bambini e adulti a scuola con il computer”
rilasciata da Papert a Venezia il 7 marzo del 1997, in
www.mediamente.rai.it/home/bibliote/intervis/p/papert.htm, e in particolare la
sua risposta alla domanda numero 8, in cui Papert esplicita l’idea dei micro
mondi (ultima consultazione, gennaio 2013). Sulle valenze del computer a
scuola, si veda ancora un’altra intervista di Papert, “Come sarà la scuola del
prossimo millennio”, rilasciata a New York il 4 aprile del 1998, in
http://www.mediamente.rai.it/home/bibliote/intervis/p/papert02.htm (ultima
consultazione, gennaio 2013)............................................................................40
Secondo capitolo. Tecnologia e apprendimento....................................................................26
2.
...............................................................................................................1
Dipartimento di Scienze umane.........................................................1
Relatore.....................................................................1
Cfr. a tal proposito, l’intervista “Bambini e adulti a scuola con il computer”
rilasciata da Papert a Venezia il 7 marzo del 1997, in
www.mediamente.rai.it/home/bibliote/intervis/p/papert.htm, e in particolare la
sua risposta alla domanda numero 8, in cui Papert esplicita l’idea dei micro
mondi (ultima consultazione, gennaio 2013). Sulle valenze del computer a
scuola, si veda ancora un’altra intervista di Papert, “Come sarà la scuola del
prossimo millennio”, rilasciata a New York il 4 aprile del 1998, in
http://www.mediamente.rai.it/home/bibliote/intervis/p/papert02.htm (ultima
consultazione, gennaio 2013)............................................................................40
Terzo capitolo. Dal costruttivismo al costruzionismo. La pedagogia informatica di
Seymour Papert.......................................................................................................................43
3.
...............................................................................................................1
Dipartimento di Scienze umane.........................................................1
2
Relatore.....................................................................1
Cfr. a tal proposito, l’intervista “Bambini e adulti a scuola con il computer”
rilasciata da Papert a Venezia il 7 marzo del 1997, in
www.mediamente.rai.it/home/bibliote/intervis/p/papert.htm, e in particolare la
sua risposta alla domanda numero 8, in cui Papert esplicita l’idea dei micro
mondi (ultima consultazione, gennaio 2013). Sulle valenze del computer a
scuola, si veda ancora un’altra intervista di Papert, “Come sarà la scuola del
prossimo millennio”, rilasciata a New York il 4 aprile del 1998, in
http://www.mediamente.rai.it/home/bibliote/intervis/p/papert02.htm (ultima
consultazione, gennaio 2013)............................................................................40
Quarto capitolo. A scuola con Iplozero.................................................................................66
4.
...............................................................................................................1
Dipartimento di Scienze umane.........................................................1
Relatore.....................................................................1
Cfr. a tal proposito, l’intervista “Bambini e adulti a scuola con il computer”
rilasciata da Papert a Venezia il 7 marzo del 1997, in
www.mediamente.rai.it/home/bibliote/intervis/p/papert.htm, e in particolare la
sua risposta alla domanda numero 8, in cui Papert esplicita l’idea dei micro
mondi (ultima consultazione, gennaio 2013). Sulle valenze del computer a
scuola, si veda ancora un’altra intervista di Papert, “Come sarà la scuola del
prossimo millennio”, rilasciata a New York il 4 aprile del 1998, in
http://www.mediamente.rai.it/home/bibliote/intervis/p/papert02.htm (ultima
consultazione, gennaio 2013)............................................................................40
Conclusioni.............................................................................................................................118
Bibliografia............................................................................................................................122
3
INTRODUZIONE
Due ordini di motivazioni, che si sono progressivamente intrecciati fino a
confondersi nelle fasi di elaborazione e di stesura del testo, sono alla base di
questo elaborato; la prima è riconducibile a un interesse scientifico, la seconda a
uno decisamente più personale: da un lato, infatti, vi è la frequentazione del corso
“Fondamenti di Logica e Informatica per la Didattica” tenuto dal Prof. Giovanni
Lariccia, dall’altro, la mia esperienza professionale di insegnante in una scuola
primaria di Roma.
Per quanto riguarda il corso, l’aspetto che più ha suscitato il mio interesse è
rappresentato dalle infinite potenzialità legate all’utilizzo delle tecnologie
informatiche a scopo didattico, al fine di dare vita a forme e processi di
apprendimento centrati sulla cooperazione e la metacognizione. In questo quadro
s’inserisce la conoscenza fatta a lezione del linguaggio pedagogico-informatico di
programmazione Iperlogo: un linguaggio orientato alla matematica, che consente
di approcciarsi ad essa come a una lingua viva, una lingua madre. Iperlogo
incoraggia un apprendimento per scoperta, non direttivo, articolato sulla base di
soluzioni di natura euristica in un ambiente – dinamico e fortemente
contestualizzato – in cui le idee vengono prodotte e immediatamente applicate
dall’alunno stesso e si instaura un’intima relazione di collaborazione e scambio
sia con gli altri alunni sia con l’insegnante.
Gli insegnamenti tratti dalla frequentazione del corso del Prof. Lariccia si sono
rivelati pienamente in linea con la mia personale esperienza di insegnante, in base
alla quale ho potuto ricavare un insegnamento pedagogico che mi sembra
4
importante e meritevole di essere valorizzato: gli alunni, soprattutto oggi nell’“era
digitale”, hanno bisogno di fare, costruire, sperimentare direttamente, far crescere
il proprio spirito d’iniziativa, in modo tale da divenire, con il passare del tempo,
sempre più autonomi e responsabili nei confronti del proprio percorso di
apprendimento. Dal punto di vista operativo, quindi, queste indicazioni
dovrebbero tradursi in classe nel programmare e approntare spazi e attività
didattiche ed educative in cui gli alunni possano cooperare, non aver paura di
imparare e di sbagliare: possano cioè apprendere in modo attivo e significativo,
non in maniera esclusivamente passiva e ricettiva.
Il punto di condensazione tra queste due parallele esperienze di studente
universitaria e di insegnante di scuola primaria si è manifestato con l’utilizzo di
Iplozero, l’applicazione più recente e innovativa del suddetto linguaggio Iperlogo
inspirata dal principio, di matrice costruzionista, “se faccio, capisco”. Attraverso
l’impiego di Iplozero il computer non è più soltanto uno strumento che resta nelle
mani dell’insegnante, ma diventa un prezioso mezzo in grado di aiutare gli alunni
a pensare e a immettersi nel continuo divenire della progettazione e della
realizzazione personale di artefatti in una prospettiva pedagogica secondo cui
l’errore-da-cui-imparare, da un lato, e i rapporti collaborativi tra gli attori dei
processi formativi, dall’altro, rappresentano i cardini, le chiavi di volta, di
un’innovativa “filosofia dell’educazione tecnologica”. In tal senso,
l’apprendimento cooperativo favorito dall’utilizzo di Iplozero consente di
sperimentare e mettere a frutto i ruoli di responsabilità e interazione creativa tra
gli alunni e l’ambiente circostante per lo sviluppo delle loro abilità intellettuali e,
in particolare, logico-matematiche.
L’elaborato si articola come segue. Nel primo capitolo verrà fornito un
inquadramento teorico generale al tema dell’apprendimento, prendendo in esame
– attraverso la presentazione delle figure e delle tesi dei più influenti studiosi in
materia e delle relative ricadute sul piano dell’insegnamento didattico – le tre
principali correnti di pensiero che hanno segnato il panorama della pedagogia del
Novecento: il comportamentismo, il cognitivismo e il costruzionismo.
5
Nel secondo capitolo, si procederà a circoscrivere l’argomento dell’elaborato,
mostrando come ciascuno dei tre paradigmi pedagogici sopra evidenziati si siano
relazionati con il processo di diffusione delle tecnologie didattiche, in primo luogo
del computer nella scuola. In particolare, sarà evidenziato e valorizzato il
passaggio da una concezione puramente strumentale e “tutoriale” del computer –
propria del modello comportamentista – a un’impostazione più articolata – propria
del modello costruttivista –, fondata sulla progettazione di veri e propri ambienti
di apprendimento diretto che riproducano i processi di apprendimento naturale.
Il terzo capitolo verterà sulla transizione, avvenuta a partire dagli anni Sessanta
del secolo scorso, dal paradigma costruttivista a quello costruzionista: si tratta di
una sorta di “filiazione interna” tra famiglie di pensiero strettamente imparentate,
che deve molto alla figura del matematico, informatico e pedagogista sudafricano
Seymour Papert, inventore del linguaggio di programmazione informatica Logo
(cioè del progenitore di Iperlogo). Il ruolo e la fisionomia della pedagogia
informatica costruzionista di Papert saranno indagati innanzitutto ricostruendo i
fondamentali apporti teorici che gli derivano dal confronto con le tesi di grandi
pensatori quali Piaget, Dewey e Montessori e, successivamente, delineando i tratti
principali della proposta pedagogica papertiana.
Il quarto capitolo sarà dedicato alla presentazione di un percorso didattico
multidisciplinare, centrato proprio sull’utilizzo in classe del linguaggio di
programmazione Iplozero per lo studio e l’apprendimento delle costellazioni e dei
miti ad esse associati, che ho realizzato sotto la regia e il coordinamento del Prof.
Lariccia. Il percorso didattico ha avuto la durata di due mesi (ottobre-dicembre
2012), si è tenuto in una quinta classe della scuola primaria statale “Alberto
Sordi” di Roma ed è stato registrato nel suo progressivo svolgimento in un blog da
me curato e aggiornato consultabile all’indirizzo: http://tartasordi.wikispaces.com.
Nelle conclusioni, infine, si tenterà di stilare un bilancio complessivo
dell’esperienza svolta in classe con gli alunni della scuola “Alberto Sordi” in base
alle indicazioni teoriche e pratiche raccolte nel corso dei capitoli precedenti.
6
PRIMO CAPITOLO
LE TEORIE DELL’APPRENDIMENTO NELLA SCUOLA
1.1. Introduzione
Il verbo apprendere – dal latino ad e prehendere (prendere, afferrare con i sensi,
conoscere, impossessarsi di) – significa ottenere conoscenze attraverso la pratica e
l’esperienza. Alla luce di questo primo significato potremmo definire
l’apprendimento come quel “processo intellettivo attraverso cui l’individuo
acquisisce una conoscenza sul mondo che, successivamente, utilizza per
strutturare e orientare il proprio comportamento in modo duraturo”132
.
L’apprendimento è dunque un cambiamento, un processo mediante il quale si
acquisiscono nuove conoscenze e su cui influiscono molteplici aspetti, tra i quali è
possibile elencare le strategie cognitive personali, gli stili di apprendimento, le
esperienze individuali e collettive, l’ambiente circostante, le informazioni e gli
stimoli provenienti dalla realtà esterna.
I processi di apprendimento umano, come è facile immaginare, sono stati al centro
della ricerca di innumerevoli studiosi e il progressivo evolversi della concezione
dell’apprendimento elaborata dalla psicologia educativa può essere rappresentato
dal concatenamento di diverse tappe epistemologiche, dalla visione
132
Si tratta di una definizione proposta intorno alla metà del Novecento dallo psicologo
statunitense Ernest Hilgard. Cfr., in proposito, V. Eletti, Che cos’è l’e-learning, Carrocci, Roma
2003, p. 28.
5
dell’apprendimento come risultato del rafforzamento dello stimolo – frutto, come
si vedrà tra breve, degli esperimenti condotti da B.F. Skinner –, passando
attraverso la concezione dell’apprendimento, nata tra gli anni Sessanta e Settanta,
come acquisizione di conoscenza, fino all’identificazione – propria del
costruttivismo di matrice piagetiana – dell’apprendimento come processo di
costruzione della conoscenza.
Si tratta, nel loro complesso, di teorie di importanza fondamentale, che sollevano
innanzitutto l’interrogativo se esista una teoria dell’apprendimento migliore e più
efficace delle altre, e se al loro interno possano essere identificati metodi didattici
appropriati per applicarle concretamente nel mondo della scuola al fine di dar vita
a esperienze di apprendimento significative. Da questo punto di vista, le teorie che
hanno maggiormente influenzato lo studio della didattica in epoca contemporanea
sono quelle comportamentiste, cognitiviste e costruttiviste.
Per fornire un inquadramento concettuale degli argomenti che saranno affrontati
in questa tesi si rende necessaria una loro, pur sintetica, presentazione:
quest’ultima sarà proposta anche attraverso la descrizione delle tesi di alcuni tra i
più influenti autori ascrivibili a una o all’altra scuola di pensiero e renderà
evidente, del resto, il radicale cambiamento di prospettiva che ha contrassegnato
nel corso degli anni gli studi in materia di apprendimento.
1.2. Il comportamentismo
Il comportamentismo nasce nei primi anni del Novecento negli Stati Uniti e
descrive le conoscenze e le abilità di un individuo come l’insieme delle risposte
date agli stimoli offerti dall’ambiente. I comportamentisti cercano di spiegare le
dinamiche dell’apprendimento senza indagare i processi mentali ad esse sottese e
parlano di una semplice acquisizione di abitudini che avviene tramite prove ed
errori, fino al raggiungimento della risposta corretta. Elemento cardine del
processo di apprendimento è in questo senso l’associazione per vicinanza
temporale tra rinforzo positivo (ovvero, il premio) e comportamento adeguato.
6
In particolare, in base alle teorie comportamentiste, l’obiettivo della scuola e della
didattica deve essere quello di plasmare il comportamento degli studenti
servendosi di rinforzi. Il modello comportamentista assume, quindi, che lo scopo
dell’insegnamento sia quello di trasmettere efficacemente il sapere allo studente,
mentre all’insegnante spetta il ruolo di determinare le abilità/capacità che portano
al comportamento desiderato assicurandosi al contempo che gli studenti se ne
impossessino in modo graduale: l’insegnante si presenta così come un formatore
attivo di studenti passivi.
Secondo il comportamentismo, un apprendimento si verifica quando si stabilisce
una connessione prevedibile tra un segnale nell’ambiente (lo stimolo), un
comportamento (la risposta) e una conseguenza (rinforzo). Generato dalla catena
di associazioni stimolo-risposta, l’apprendimento è un processo di conoscenza che
modifica i comportamenti ed è condizionato dall’insegnamento, inteso come
attività organizzata di contenuti/stimoli da trasmettere e di obiettivi misurabili da
conseguire. La debolezza di questo metodo risiede nel fatto che lo studente può
trovarsi in una situazione in cui lo “stimolo” che dovrebbe portare all’adozione di
comportamenti desiderati viene a mancare e, di conseguenza, l’apprendimento
non avviene.
Il comportamentismo ha segnato una data cruciale per lo sviluppo delle tecnologie
didattiche, il 1954, anno di pubblicazione del celebre articolo dello psicologo B.
F. Skinner, intitolato The science of learning and the art of teaching133
. In questo
saggio seminale, Skinner propone un parallelismo tra gli studi condotti in
laboratorio sulle modifiche del comportamento degli animali e le pratiche che
possono modificare i processi di insegnamento-apprendimento.
Alcuni interpreti del comportamentismo
Ivan Petrovič Pavlov (1849-1936)
Ivan Petrovič Pavlov, psicologo russo, studiò i riflessi condizionati negli animali:
le sue ricerche partirono dai processi digestivi nei cani, interessandosi soprattutto
133
B. F. Skinner, “The science of learning and the art of teaching”, in Harvard Educational
Review, vol. 24, n. 2, 1954, pp. 86-97.
7
dell’interazione tra salivazione e azione dello stomaco. Egli si accorse che i due
fenomeni erano strettamente interconnessi dai riflessi del sistema nervoso
autonomo: in assenza di salivazione, lo stomaco non avvertiva lo stimolo a
cominciare la digestione.134
Pavlov, successivamente, cercò di verificare se stimoli
esterni interferissero con questo processo, così cominciò a suonare un campanello
(stimolo condizionante) ogni qualvolta offriva del cibo (stimolo incondizionato) ai
cani sottoposti al suo esperimento: notò che i cani, che prima salivavano
esclusivamente alla vista del cibo, cominciavano a salivare allo squillo del
campanello anche in assenza di cibo.
Nel 1903 Pavlov pubblicò i risultati del suo lavoro introducendo il termine
“riflesso condizionato” per indicare il fenomeno da lui osservato e chiamò questo
processo di apprendimento “condizionamento”; si accorse, inoltre, che il riflesso
condizionato si indeboliva se lo stimolo si rivelava troppo spesso falso. Il
condizionamento pavloviano, oggi, prende anche il nome di condizionamento
“classico” .
Edward L. Thorndike (1874-1949)
Sulle orme tracciate da Pavlov, Edward L. Thorndike, psicologo dell’educazione
statunitense, approfondì l’effetto delle ricompense sul processo di apprendimento.
Alla base di quest’ultimo, secondo Thorndike, vi è l’associazione tra le
impressioni sensoriali e gli impulsi all’azione, associazione che è diventata nota
come “connessione”. Il sistema di Thorndike viene definito, non a caso,
connessionismo, dal momento che queste connessioni si rafforzano o si
indeboliscono nella formazione o nell’estinzione di abitudini.
Nel suo più famoso esperimento, lo studioso nordamericano osserva il
comportamento di un gatto affamato rinchiuso all’interno di una gabbia, al di
fuori della quale viene posto del cibo. L’animale, dopo diversi tentativi, impara ad
azionare il meccanismo che consente di aprire la gabbia e raggiungere il cibo. Le
successive ripetizioni dell’esperimento evidenziano che il gatto impiegava sempre
meno tempo ad azionare il meccanismo di apertura della sua gabbia. Thorndike ne
134
Cfr. I. Pavlov, I riflessi condizionati, Bollati Boringhieri, Torino 1994.
8
dedusse che l’apprendimento si verifica gradualmente, attraverso una serie di
“tentativi ed errori” che porta infine al consolidamento delle reazioni
dell’organismo che sono state ricompensate. Egli estese la sua teoria
sull’apprendimento animale all’apprendimento umano e in particolare scolastico,
verificando che gli studenti sono incoraggiati dai buoni risultati, ma che il
peggioramento degli stessi non insegna a correggere i loro errori.
L’apprendimento, per Thorndike, obbedisce alla “legge dell’effetto”: quelle
risposte che in una data situazione producono effetti soddisfacenti, hanno più
probabilità di essere nuovamente prodotte al ripetersi della stessa situazione,
mentre le risposte che producono effetti spiacevoli hanno meno probabilità, nella
stessa situazione, di essere prodotte di nuovo. Gli studi di Thorndike, si
differenziano da quelli di Pavlov poiché, mentre nel condizionamento classico la
risposta prodotta dall’animale è un’azione che l’organismo compie
automaticamente in seguito a uno stimolo, nel tipo di condizionamento studiato da
Thorndike la risposta è un’operazione che l’organismo compie sull’ambiente in
vista di uno scopo. Tale condizionamento fu definito da Thorndike
“strumentale”.135
John B. Watson (1878-1958)
John B. Watson è considerato il fondatore della scuola del comportamentismo (o
behaviorismo), che dominò il panorama della psicologia americana tra gli anni
Venti e Sessanta. In un suo famoso scritto del 1913136
egli afferma:
Datemi una dozzina di bambini sani e normali e consentitemi di organizzare a modo
mio l’ambiente in cui educarli. Vi garantisco che poteri trasformare ognuno di loro
in un qualsiasi tipo di specialista – dottore, avvocato, artista, commerciante e, perché
no?, anche mendicante e ladro, indipendentemente dal loro talento, dalle loro
inclinazioni, dalle loro tendenze, abilità e orientamenti e dalla razza dei genitori.
135
Cfr., in proposito, la presentazione delle tesi di Thorndike in P. Gray, Psicologia, Zanichelli,
Bologna 1997, pp. 160 ss.
136
J. B. Watson, “Psychology as the behaviourist views it”, in Psychological Review, vol. 20,
1913, pp. 158-177. La traduzione italiana di questo fondamentale articolo si trova in N. Dazzi e L.
Mecacci (a cura di), Storia antologica della psicologia, Giunti, Firenze 2001, con il titolo La
psicologia dal punto di vista del comportamentista.
9
Confesso che nel rilasciare tale affermazione vado al di là dei fatti empiricamente
accertati, ma nello stesso modo si sono comportati i sostenitori della tesi contraria
che è stata portata avanti per millenni. Vi prego di tenere presente che, nel caso in
cui si voglia condurre questo esperimento, mi si dovrà lasciare ampia libertà di
programmare come io desidero il modo in cui educare i bambini e il tipo di ambiente
nel quale dovranno vivere.137
Watson fu uno dei primi psicologi a studiare l’apprendimento nell’uomo
avvalendosi dei metodi pavloviani e dimostrando come sia possibile indurre
nell’essere umano una determinata risposta emotiva attraverso il
condizionamento. Durante un suo esperimento, riuscì a condizionare un bambino
di undici mesi d’età di nome Albert ad avere paura di un ratto bianco.
Inizialmente Albert non era impaurito dal ratto, ma Watson cominciò a produrre
un rumore molesto ogni volta che il bambino lo toccava. Albert, spaventato dal
rumore, divenne ben presto condizionato ad aver paura del ratto e ad evitarlo.138
Burrhus Frederic Skinner (1904-1990)
Lo psicologo statunitense Burrhus F. Skinner, in una sua opera del 1957 intitolata
Verbal Behavior, scrive: “gli uomini agiscono sul mondo mutandolo e, a loro
volta, vengono mutati dalle conseguenze delle loro azioni”139
; da ciò si deduce che
“è essenziale capire che un allievo non assorbe passivamente il sapere, ma che
deve giocare un ruolo attivo e che questo ruolo attivo non si risolve nel parlare.
Sapere significa agire con efficacia, contemporaneamente sia sul piano verbale
che su quello non verbale.”140
Chi apprende, secondo questa prospettiva, agisce sull’ambiente che lo circonda e
le reazioni che seguono, positive o negative, sono le fonti stesse
dell’apprendimento: è l’ambiente che seleziona i comportamenti più o meno
funzionali, e le reazioni dell’ambiente alle azioni umane sono un segnale che
rinforza o scoraggia i diversi modi di agire. Per Skinner, l’idea di fondo del
137
La citazione di questo significativo passo di Watson è ripresa da L. Mecacci, (a cura di),
Watson, Il Mulino, Bologna 1977, p. 111.
138
Cfr. in proposito, Gray, Psicologia, op. cit., p. 156.
139
B. F. Skinner, Il comportamento verbale, Armando, Roma 1976, p. 47.
140
B. F. Skinner, La tecnologia dell’insegnamento, La Scuola, Brescia 1970, p. 44.
10
comportamentismo “è che sia possibile indurre un apprendimento, inteso come
modifica del comportamento, fornendo opportuni stimoli allo studente. Questi
stimoli producono risposte desiderate. Una delle condizioni perché
l’apprendimento abbia luogo è che il comportamento provocato venga rinforzato
tramite ‘contingenze rafforzative’.”141
Il processo ipotizzato da Skinner è basato pertanto sul concetto di rinforzo,
attraverso cui è possibile sviluppare un condizionamento operante in grado di
indirizzare l’apprendimento verso gli esiti voluti dall’educatore. Convinto che
ogni comportamento sia conseguente a un rapporto stimolo-risposta, Skinner
elaborò la teoria del “rinforzo positivo” e del “rinforzo negativo”, secondo cui i
rinforzi positivi tendono a rafforzare i comportamenti desiderati, quelli negativi a
scoraggiare quelli non desiderati. Il rinforzo sarebbe, dunque, la chiave della
produzione e del controllo del comportamento. Intorno agli anni ’40 del secolo
scorso egli realizzò una vera e propria sperimentazione didattica che prese il nome
di istruzione programmata: questa venne sviluppata attraverso le cosiddette
teaching machines, ovvero le macchine per insegnare. Secondo Skinner, infatti, il
metodo più efficace per apprendere consisteva nel presentare contenuti secondo
una precisa programmazione in grado di stimolare l’apprendimento e favorire la
comprensione attraverso l’eliminazione dell’errore.
L’istruzione programmata142
si profila quindi come una specifica tecnologia
dell’insegnamento che mira a far apprendere conoscenze agli studenti attraverso
concetti sempre più complessi, rinforzando esclusivamente i risultati positivi
ottenuti. I suoi contenuti sono strutturati in brevi sequenze logiche dette frames,
che procedono dalle più semplici e elementari alle più complesse e articolate.
Ogni frame, costituito appunto da brevi e immediati concetti da memorizzare, è
seguito da un quesito a cui lo studente deve rispondere: nel caso in cui la sua
risposta sia esatta, lo studente può passare al frame successivo (rinforzo), se
invece risulta errata non viene dato alcun tipo di rinforzo e si ritorna alla fruizione
del frame stesso (oppure viene fornito un feedback correttivo).
141
Ibidem.
142
Cfr. in proposito, Eletti, Che cos’è l’e-learning, op. cit., pp. 33 ss.
11
In tal senso, le macchine per insegnare ideate da Skinner permettevano di creare le
condizioni idonee affinché l’apprendimento si realizzasse: tra le condizioni idonee
erano incluse la focalizzazione dell’attenzione dell’allievo su una determinata
parte della disciplina da acquisire, la possibilità di rispondere a ogni frame
istituzionale e, infine, la conoscenza immediata della correttezza della risposta.
1.3. Il cognitivismo
L’evoluzione del comportamentismo e della ricerca sul tema della cognizione
hanno delineato una nuova concezione dell’apprendimento, quella cognitivista,
che procede a partire da una concezione dell’apprendimento come un processo di
elaborazione i cui aspetti chiave sono l’acquisizione, il trattamento e
l’immagazzinamento dell’informazione. È possibile sostenere a tal proposito che
“un nuovo concetto di apprendimento si è venuto delineando, basato sui risultati
della ricerca sui processi cognitivi implicati nell’istruzione condotta in questi due
ultimi decenni. In tale processo di rinnovamento – o rifondazione – sono stati
ampiamente utilizzati alcuni costrutti-chiave dell’approccio cognitivista:
processazione dell’informazione, schema, metacognizione, piano, e altri.”143
Il cognitivismo affonda le proprie radici negli anni ’60 del secolo scorso, allorché
si pone al centro della riflessione pedagogica una corrente, denominata Human
Information Processing (HIP), basata sull’analogia mente-computer. Secondo tale
impostazione, l’individuo agisce in modo attivo nell’ambiente che lo circonda
elaborando le informazioni provenienti dall’esterno e producendo artefatti
cognitivi e comportamentali. La mente umana viene dunque intesa come un
sistema complesso di trattamento e raccolta delle informazioni.
Il modello dell’elaborazione delle informazioni si sviluppa in aperto contrasto con
le posizioni dei comportamentisti, descrivendo l’apprendimento come una serie di
trasformazioni delle informazioni da parte di determinate strutture del nostro
cervello. Per questa ragione i computer – il cui funzionamento è caratterizzato da
143
P. Boscolo, Psicologia dell’apprendimento scolastico, Utet, Torino 2001, p. 12.
12
meccanismi di ingresso dell’informazione, di uscita del dato elaborato e dal
funzionamento della memoria – rivelano una stretta parentela con la mente umana
e con i processi cognitivi di scambio di informazioni tra individuo e ambiente.
L’apprendimento è dunque frutto della complessa interazione tra fattori interni ed
esterni, e in particolare è legato ai processi mentali attraverso cui vengono
elaborati gli input esterni. Questa concezione dell’apprendimento come processo
costruttivo attivo presume innanzitutto che l’acquisizione di nuove conoscenze
produca una modificazione di quelle già possedute. Da questo punto di vista, il
comportamento dell’individuo “non è spiegabile semplicemente mediante lo
schema stimolo-risposta, ma si organizza attraverso la creazione di schemi
concettuali. […]. L’uomo intrattiene un’interazione complessa con l’ambiente,
caratterizzata dall’uso di manufatti e utensili e, soprattutto, dal linguaggio e dal
pensiero razionale.”144
Sul fronte del riflesso sulla didattica, l’alunno diviene un attivo costruttore delle
proprie conoscenze mediante un’attività riflessiva che precede la cognizione: egli
compie un confronto tra l’informazione in arrivo e le conoscenze depositate in
memoria, diventando consapevole delle proprie conoscenze e delle rispettive
modalità di acquisizione. Le abitudini, allora, non si “imparano” e
l’apprendimento non avviene per tentativi ed errori, ma attraverso l’articolazione
di strutture cognitive.
Per quanto riguarda inoltre l’organizzazione della conoscenza, riveste un ruolo
importante la nozione di schema. Gli schemi sono “strutture astratte di
conoscenza”145
che si formano attraverso la reiterata presentazione di esperienze
da cui è possibile astrarre caratteristiche comuni. Gli schemi organizzano e danno
senso alle informazioni in arrivo, aiutano a comprenderle e a ricordarle.
Secondo il cognitivista David E. Rumelhart e l’ingegnere e psicologo Donald A.
Norman (entrambi statunitensi), lo schema può generare tre forme fondamentali di
apprendimento: accrescimento, sintonizzazione e ristrutturazione.
L’apprendimento come accrescimento si realizza quando si codificano
144
Eletti, Che cos’è l’e-learning, op. cit., pp. 35-36.
145
L. Mandolesi e D. Passafiume, Psicologia e psicobiologia dell’apprendimento, Springer Verlag,
Milano 2004, p. 31.
13
informazioni nuove sulla base di schemi preesistenti che vengono così arricchiti e
ampliati. L’apprendimento come sintonizzatore è invece in gioco quando uno
schema progressivamente si affina in seguito a una sua ripetuta applicazione in
contesti diversi e si modifica parzialmente per adattarsi meglio alle nuove
situazioni. L’apprendimento come ristrutturazione, infine, si verifica quando lo
schema vecchio non è adeguato a integrare un’informazione e si rende quindi
necessaria la creazione di un nuovo schema.146
In estrema sintesi, dunque, dalla nozione di schema deriva che l’apprendimento si
basa sulla conoscenza attraverso un rapporto dinamico e continuo tra ciò che di
nuovo acquisiamo e ciò che sappiamo. Le implicazioni didattiche dettate
dall’impiego di questa nozione sono numerose e, in particolare, l’interesse
principale verte sui processi di acquisizione a partire dall’attenzione assegnata alla
situazione di partenza attraverso la verifica delle conoscenze già in possesso degli
studenti, al fine di integrare le nuove conoscenze proposte con quelle già esistenti.
L’apprendimento per lo studente diviene strategico147
e si inserisce nella tematica
dell’insegnare a imparare, dell’insegnamento di abilità oltre che di contenuti, con
lo scopo di portare lo studente a gestire il proprio apprendimento puntando in
primo luogo sull’autonomia. Da parte sua, l’insegnante può facilitare il percorso
meta cognitivo dei discenti attraverso il dialogo educativo, l’esplicitazione e la
condivisione consapevole delle strategie di apprendimento.
Alcuni interpreti del cognitivismo
Jean Piaget (1898-1980)
Lo psicologo svizzero Jean Piaget è unanimemente considerato uno dei più
innovativi e influenti teorici della psicologia dello sviluppo. Il suo approccio è
basato su una epistemologia evolutiva ed è legato all’influenza dei suoi primi
studi di zoologia e biologia. Le teorie formulate a partire dagli anni Venti del
secolo scorso da Piaget sono rivolte soprattutto alla psicologia dell’età evolutiva e
alla psicologia dell’intelligenza e studiano lo sviluppo nell’uomo di concetti e
146
Cfr. R. De Beni, F. Pazzaglia, A. Molin, C. Zamperlin, Psicologia cognitiva
dell’apprendimento, Erikson, Trento 2003, p. 20.
147
Ivi, p. 21.
14
operazioni logiche dalla nascita all’adolescenza. Come sostiene lo stesso
psicologo svizzero, “le conoscenze non derivano né dalla sola esperienza degli
oggetti né da una programmazione innata e preformata nel soggetto, ma da
costruzioni successive con costante elaborazione di strutture nuove.”148
Per Piaget l’adattamento all’ambiente è l’elemento dinamico del funzionamento
cognitivo che media il rapporto tra l’individuo e l’ambiente e si realizza mediante
un processo di conoscenza controllato da organizzazioni mentali, gli schemi, che
gli individui usano per rappresentare il mondo e programmare le loro azioni.
L’adattamento è composto da due processi: l’assimilazione, che implica
l’interpretazione degli eventi in termini di strutture cognitive esistenti, e
l’accomodamento, che si riferisce a cambiamenti della struttura cognitiva per dare
senso all’ambiente.
I due processi sono attivi per tutta la loro vita e sono usati dagli individui per
aderire alle richieste dell’ambiente. Tramite questa condotta bipolare si produce lo
sviluppo degli schemi che portano alla formazione di strutture sempre più
complesse; a loro volta, se interiorizzate, queste strutture producono
rappresentazioni concettuali. Piaget intende l’apprendimento come un processo
dinamico di conquista personale di un soggetto che esplora attivamente il mondo
circostante.
La sua opera si concentra intorno all’idea di rappresentazione mentale
dell’esperienza e porta, negli anni immediatamente successivi, l’attenzione di
psicologi e pedagogisti sui processi cognitivi. Secondo Piaget lo sviluppo mentale
porta a organizzare gli schemi secondo modalità sempre più complesse e
integrate, fino a produrre la mente adulta. Questo processo avviene seguendo
tappe ben precise, descritte nella sua celebre teoria degli stadi di sviluppo149
.
Tale teoria illustra le diversi fasi del pensiero, qualitativamente differenti l’una
dall’altra, attraverso cui il bambino progredisce e si sviluppa. Le tesi piagetiane
costituirono una vera e propria rivoluzione epistemologica, dal momento che fino
148
Cfr. J. Piaget, Psicologia e pedagogia, Loescher, Torino 1973, p.11.
149
Cfr. J. Piaget, Lo sviluppo mentale del bambino, Einaudi, Torino 2000.
15
ad allora si riteneva generalmente che l’attività cognitiva del bambino fosse la
stessa di quella dell’adulto.
Piaget affermò invece che lo sviluppo avviene gradualmente e che ogni individuo
attraversa una sequenza di cinque diverse fasi qualitative, esposte qui di seguito:
1) Fase senso-motoria (dalla nascita ai due anni circa)150
. Questa fase è a sua volta
suddivisa in sei stadi: riflessi innati (dalla nascita al primo mese); reazioni
circolari primarie (dal secondo al quarto mese); reazioni circolari secondarie (dal
quarto all’ottavo mese); coordinazione mezzi-fini (dall’ottavo al dodicesimo
mese); reazioni circolari terziarie (e scoperta di mezzi nuovi mediante
sperimentazione attiva, dal dodicesimo al diciottesimo mese); comparsa della
funzione simbolica (dal diciottesimo mese in poi). Nella fase senso-motoria
l’intelligenza si sviluppa su una base “pratica”, attraverso l’azione. Il bambino ha
a disposizione solo un corredo innato di riflessi e le sue percezioni non sono
coordinate alle azioni: utilizza i sensi e le abilità motorie per esplorare e
relazionarsi con ciò che lo circonda, progredendo gradualmente dal sottostadio dei
riflessi e dell’egocentrismo a quello dell’inizio della rappresentazione dell’oggetto
e della simbolizzazione, passando attraverso periodi intermedi basati su schemi di
azione sempre più complessi.
2) Fase pre-concettuale (dai due ai quattro anni)151
. In questa fase l’atteggiamento
del bambino è ancora di tipo egocentrico, poiché non conosce “alternative” alla
realtà che personalmente sperimenta. Il linguaggio diventa molto importante dal
momento che il bambino impara ad associare le prime parole a oggetti o azioni.
Inoltre, il bambino occupa la maggior parte della giornata giocando e imitando le
persone che gli sono vicine. In questo modo impara a comportarsi come vogliono
gli adulti.
3) Fase del pensiero intuitivo (dai quattro ai sette anni)152
. Entrando nella scuola
materna, il bambino amplia la partecipazione e la socializzazione e sperimenta
l’esistenza di altre autorità diverse da quella rappresentata dalla figura genitoriale.
150
Cfr. a tal proposito J. Piaget e I. Bärbel, La psicologia del bambino, Enaudi, Torino 1970, pp.
14-45.
151
Ivi, pp. 51-76.
152
Ivi, pp. 81-85.
16
La sua capacità di riprodurre mentalmente un avvenimento avviene nell’unica
direzione in cui l’avvenimento si è verificato e non è quindi capace di
reversibilità. In questa fase assume un’importanza fondamentale lo studio
psicologico dei disegni infantili.
4) Fase delle operazioni concrete (da sette a undici anni)153
. Il bambino è ora in
grado di coordinare due azioni successive; di prendere coscienza che un’azione
resta invariata anche se ripetuta; di passare da una modalità di pensiero analogico
a una di tipo induttivo. Fino agli undici anni il bambino è in grado di svolgere solo
operazioni concrete, non essendo ancora capace di ragionare su dati presentati in
forma puramente verbale.
5) Fase delle operazioni formali (da undici a quattordici anni)154
. Il pre-
adolescente acquisisce la capacità del ragionamento astratto, di tipo ipotetico-
deduttivo. Egli è in grado di comprendere il valore di certi oggetti e fenomeni, la
relatività dei giudizi e dei punti di vista, la parità dei diritti; inoltre è capace di
eseguire attività di misurazione e operazioni mentali sui simboli. Naturalmente, il
pensiero logico-formale non è ancora quello teorico-scientifico, che si formerà
nell’età più adulta.
Joseph D. Novak (1932-)
Intorno agli anni Sessanta del secolo scorso, Joseph Novak elabora un nuovo
strumento didattico di grande efficacia per l’apprendimento, denominato Concept
Map155
. Novak definisce le mappe concettuali come “strumenti per la
rappresentazione delle conoscenze”156
. Più in generale, una mappa concettuale è
una rappresentazione del reticolo di concetti-chiave riguardanti un determinato
argomento, con le loro reciproche interconnessioni. La forza di questo strumento-
mappa risiede proprio nel modo in cui la conoscenza viene archiviata. Per Novak,
infatti, “lo scopo principale dell’educazione è consentire a chi impara di farsi
153
Ivi, pp. 86-96.
154
Ivi, pp. 111-129.
155
J. D. Novak e D. B. Gowin, Imparando ad imparare, SEI, Torino 1989.
156
J. D. Novak, L’apprendimento significativo. Le mappe concettuali per creare e usare la
conoscenza, Erickson, Trento 2001, p. 11.
17
carico della propria personale costruzione di significato [che] coinvolga pensieri,
sentimenti e azioni.”157
In tal senso, il compito dell’educazione è quello di consentire a chi impara di farsi
carico della propria personale costruzione di significato: qualsiasi evento
educativo rappresenta un’azione condivisa per cercare uno scambio di significati
tra alunno e docente. Ogni volta che questi ultimi riescono a concordare e
condividere il significato di un’unità di conoscenza, si verifica un apprendimento
significativo. Con le parole di Novak, “l’apprendimento significativo è il concetto
chiave della nostra teoria dell’educazione”158
e “si verifica quando chi apprende
decide di mettere in relazione delle nuove informazioni con le conoscenze che già
possiede. La qualità di questo apprendimento dipende anche dalla ricchezza
concettuale del nuovo materiale che deve essere imparato”159
.
La costruzione di un significato è quindi un processo di sviluppo suscettibile di
evoluzione e la mappa, di conseguenza, non è un punto d’arrivo, ma un elemento
interno al processo di costruzione della conoscenza.
George Armitage Miller (1920-2012)
La teoria milleriana dell’apprendimento sostiene che il comportamento sia
rappresentabile come un obiettivo guidato: non sono gli stimoli esterni a
provocare i nostri atteggiamenti, ma la nostra motivazione, ciò che implica una
continua auto-correzione naturale mediante feedback. Nel 1960, in collaborazione
con lo psicologo matematico Eugene Galanter e con il neuropsicologo Karl
Pribram, Miller formulò il modello TOTE (Test-Operate-Test-Exit, ossia
verificare, eseguire, verificare, terminare)160
. L’unità proposta dai tre autori,
definita piano di comportamento (o unità TOTE), è articolata in quattro fasi
successive:
1) Test: ogni volta che si compie un’attività, si verifica se la situazione di partenza
sia congruente con gli obiettivi che ci si pone; 2) Operate: si agisce direttamente o
157
Ivi, p. 20.
158
Ivi, p. 27.
159
Ivi, p. 31.
160
Cfr., G. A. Miller, E. Galanter, K. H. Pribram, Piani e strutture del comportamento, Franco
Angeli, Milano 1995.
18
si operano delle modifiche nelle condizioni di partenza al fine di adeguarle ai
propri obiettivi d’azione; 3) Test: dopo aver agito si riverificano le condizioni alla
luce dell’azione precedente, confrontandole con gli obiettivi prefissati; 4) Exit:
infine, se il risultato è soddisfacente, si termina il processo e l’unità TOTE è
conclusa; altrimenti, in caso di mancato raggiungimento degli obiettivi d’azione,
si ritorna alla fase due.
Secondo questo schema ogni comportamento umano è il frutto di un permanente
processo di verifica retroattiva ed è interpretabile come articolazione di piani di
diversa complessità, ordinati gerarchicamente. L’apprendimento consiste quindi
per Miller nel raffinamento dell’applicazione dell’unità TOTE ai problemi sempre
nuovi posti dall’ambiente e, conseguentemente, nella costante ristrutturazione dei
propri sistemi cognitivi a fronte dei problemi da affrontare.
1.4. Il costruttivismo
Secondo il paradigma costruttivista, il soggetto assume un ruolo attivo nei
processi di costruzione della conoscenza e il suo apprendimento ha una natura
processuale che si dispiega inevitabilmente all’interno di una determinata cornice
di partecipazione e non nell’isolamento della propria mente: esso trae alimento
dalle azioni e dalla pratica, dai processi di negoziazione e co-costruzione dei
significati. Il processo di apprendimento, quindi, deve sempre tenere in
considerazione il contesto da cui è influenzato; si tratta, di una esperienza
culturalmente mediata, in cui giocano un ruolo essenziale le relazioni
intersoggettive e le risorse culturali presenti in un dato ambiente.161
Un ulteriore elemento che caratterizza i modelli a impronta costruttivista risiede
nell’idea che ogni processo di apprendimento debba intendersi come un processo
di negoziazione sociale. In questo senso, gli ambienti di apprendimento
dovrebbero essere strutturati in modo da coinvolgere gli studenti nel processo di
161
Cfr. M. Striano, I tempi e i “luoghi” dell’apprendere. Processi di apprendimento e contesti di
formazione, Liguori, Napoli 2000.
19
costruzione di conoscenza, tenendo presente quattro dimensioni: il contesto, la
costruzione, la collaborazione e la conversazione.
L’apprendimento diviene assimilabile a un processo attivo attraverso cui gli
studenti costruiscono nuove conoscenze nell’interazione e la negoziazione sociale
e nella condivisione dei significati. L’obiettivo precipuo degli insegnanti è quello
di indirizzare gli studenti lungo il cammino della conoscenza, fornendo loro gli
strumenti per sviluppare un confronto attivo e costruttivo, volto a massimizzare i
benefici che derivano dall’esperienza d’apprendimento. M. David Merrill, uno dei
maggiori esponenti contemporanei nel campo delle tecnologie dell'istruzione,
sintetizza così i cinque aspetti più importanti del costruttivismo162
:
1) Sapere come costruzione personale. Il processo di conoscenza è frutto di
un’interpretazione costante del mondo che circonda l’individuo. Le informazioni
acquisite vengono assimilate e incrementano il processo di apprendimento,
processo che è a sua volta alimentato dalle idee e dagli interessi del soggetto.
2) Apprendimento che tenga conto del contesto. Soltanto all’interno del contesto
in cui si produce la conoscenza assume un significato proprio. Nell’ottica
costruttivista, la conoscenza non può che essere fortemente soggettiva e situata,
legata cioè a una particolare e definita cornice di riferimento all’interno della
quale si è prodotta.
3) Apprendimento attivo. Le idee e gli interessi degli alunni alimentano il
processo di apprendimento, e in questo contesto l’insegnante deve creare
situazioni educative e progettare esperienze in cui gli allievi possano giungere in
modo autonomo alla conoscenza e alla comprensione della realtà. È necessario
insegnare metodi di apprendere, cioè metodi per selezionare le conoscenze, per
comprenderle e poi utilizzarle in modo appropriato.
4) Apprendimento collaborativo. Il processo di conoscenza si sviluppa a partire da
una condivisione della conoscenza, in un confronto dialettico tra prospettive e
punti di vista differenti. È a partire dalla condivisione di prospettive dissonanti e
dal contemporaneo cambiamento nelle rappresentazioni interne che l’educazione
162
Cfr. Eletti, Che cos’è l’e-learning, op. cit., p. 43.
20
si assume la responsabilità di produrre e promuovere la collaborazione con gli
altri, in modo tale che il discente possa giungere a una posizione autonoma.
5) Apprendimento in cui la valutazione sia intrinseca. Dal momento che
l’obiettivo dell’insegnamento è far nascere comportamenti e abilità, la valutazione
dell’apprendimento non dovrebbe essere un’attività separata, ma una parte
integrante e qualificante del processo di costruzione della conoscenza.
Con la diffusione del pensiero costruttivista nascono differenti modelli didattici,
tra i quali ricordiamo la community of learners, l’apprendistato cognitivo, gli
ambienti per l’apprendimento generativo e gli ambienti di apprendimento
intenzionale sostenuto dal computer.163
L’espressione community of learners si riferisce a un particolare ambiente di
ricerca cooperativa che fa della riflessione problematica sulla conoscenza e della
mutua condivisione delle risorse intellettuali il principio ispiratore di ogni attività.
L’ambiente è visto come una virtuale intersecazione di zone di sviluppo
prossimali (si estende qui il concetto vygoskiano) in cui si vengono a disporre una
varietà di impalcature (scaffoldings) che assistono e stimolano un soggetto –
lasciando tuttavia forte spazio alla sua responsabilizzazione – costantemente
orientato verso il perseguimento della propria autonomia.
Il modello dell’“apprendistato cognitivo”, invece, impiega quattro importanti
strategie per promuovere la competenza esperta: modelling (l’apprendista osserva
e imita il maestro che dimostra come fare); coaching (il maestro assiste
continuamente secondo le necessità: dirige l’attenzione su un aspetto, dà feedback,
agevola il lavoro…); scaffolding (un aspetto particolare del coaching: il maestro
fornisce un appoggio all’apprendista, uno stimolo…); fading (il maestro elimina
gradualmente il supporto, in modo tale da offrire a chi apprende uno spazio più
ampio di responsabilità).
L’“apprendistato cognitivo” assegna maggiore attenzione alla dimensione
metacognitiva, agli aspetti del controllo e alla variazione dei contesti di
applicazione, mentre l’“apprendimento generativo” valorizza un tipo di istruzione
ancorata o situata, in cui cioè i problemi vengono presentati attraverso
163
Cfr. B. M. Varisco, Costruttivismo socio-culturale, Carocci, Roma 2002.
21
l’illustrazione di situazioni autentiche, significative, attinte dalla vita reale. Gli
studenti sono introdotti nella situazione e propongono mediante la discussione di
gruppo vari modi di soluzione personale (per questo gli ambienti sono definiti
generativi). L’approccio CSILE (Computer Supported Intentional Learning
Environments), basato sulla costruzione della conoscenza, si propone di
sviluppare nelle persone competenze che permettano loro di muoversi e agire
consapevolmente e creativamente: competenze non legate a un apprendimento
fine a se stesso, ma che permettano di utilizzare le conoscenze apprese nel
risolvere problemi in situazione. Il problem solving diventa quindi l’aspetto
centrale della competenza, il che comporta la capacità di ricombinare le proprie
conoscenze o di produrne delle nuove.164
Alcuni interpreti del costruttivismo
Lev Semënovič Vygotskij (1896-1934)
Per Vygotskij, esponente della scuola della psicologia sovietica, l’apprendimento
deve essere congruente tra due livelli di sviluppo del bambino: quello effettivo e
quello potenziale.
Quando si stabilisce l’età mentale di un bambino con l’aiuto di test, ci si riferisce
quasi sempre al livello di sviluppo effettivo. Un semplice controllo dimostra però
che questo livello di sviluppo effettivo non indica affatto in modo completo lo stato
presente di sviluppo del bambino. […]. Con l’aiuto di domande-guida, esempi e
dimostrazioni, un bambino risolve facilmente i test, superando di due anni il suo
livello di sviluppo effettivo […]. Ciò che il bambino è in grado di fare con l’aiuto
degli adulti lo chiamiamo zona del suo sviluppo potenziale. […]. Ciò che il bambino
può fare oggi con l’aiuto degli adulti lo potrà fare da solo domani. L’area di sviluppo
potenziale ci permette quindi di determinare i futuri passi del bambino e la dinamica
del suo sviluppo.165
Le interazioni sociali, per Vygotskij, comportano un cambiamento continuo del
pensiero degli individui e dei loro comportamenti che, pertanto, possono variare
164
Cfr. B. M. Ligorio, Come si insegna, come si apprende, Carocci, Roma 2003.
165
Cfr. U. Avalle e M. Marranzana, Pensare ed educare, Paravia, Torino 2005, p. 235.
22
in relazione al contesto culturale entro cui l’individuo vive. Lo sviluppo cognitivo
dipende dalle interazioni tra le persone e dagli strumenti che la cultura produce
per dare forma alla concezione del mondo delle persone. Le modalità attraverso
cui gli strumenti culturali vengono trasmessi tra gli individui sono
l’apprendimento imitativo, le indicazioni di un insegnante messe in pratica a
scuola, la collaborazione all’interno di un gruppo di pari.
L’intervento pedagogico facilita l’apprendimento indipendentemente dal livello di
partenza del soggetto, in quanto interviene l’aiuto dell’insegnante che s’inserisce
nella zona di sviluppo prossimale, ovvero in quell’area cognitiva di supporto
fornita dall’adulto o da pari più capaci nella quale il bambino può spingersi oltre il
proprio livello di conoscenza attuale.
La zona di sviluppo prossimale consente pertanto di passare da una definizione di
scuola come luogo di trasmissione delle conoscenze a una di scuola come
ambiente di apprendimento: un luogo in cui gli studenti possono lavorare insieme
e aiutarsi a vicenda per imparare a usare una molteplicità di strumenti nel comune
perseguimento di obiettivi di apprendimento e di attività di problem solving.
1.5. Conclusioni
Dalle tesi ascrivibili all’approccio costruttivista emergono alcune indicazioni
fondamentali per lo sviluppo di questa tesi. Innanzitutto, l’apprendimento delle
abilità avviene sempre “nel contesto” e i suoi obiettivi si devono collocare in un
ambiente reale. In altre parole, gli studenti non apprendono in modo astratto
quello che poi andranno ad applicare concretamente. Ne consegue che le varie
attività didattiche dovrebbero incanalarsi lungo contesti di apprendimento
concreti, ricchi e diversificati al fine di sperimentare, simulare e sviluppare diversi
tipi di abilità e competenze sociali e cognitive.
Inoltre, invece di concentrarsi sull’identificazione di quali abilità promuovere, è
più produttivo approntare adeguati metodi didattici. In particolare, sarebbe
auspicabile e opportuno applicare le abilità esistenti in nuovi contesti, cioè operare
23
una sistematica variazione dei compiti di apprendimento in modo che gli allievi
abbiano la possibilità di verificare con mano come le abilità esistenti possano
essere applicate in compiti nuovi e non familiari; fornire agli allievi espliciti
feedback sulla qualità del proprio operato e sul proprio modo di ragionare e
apprendere; usare contesti di apprendimento basati su problemi, in cui questi
ultimi siano efficacemente contestualizzati anziché spezzati astrattamente in
elementi separati e artificiali; impiegare il conflitto cognitivo come strategia di
apprendimento di ordine superiore; attivare processi induttivi piuttosto che
deduttivi, assegnando maggiore importanza ai processi.166
Le teorie costruttiviste dell’apprendimento concordano sugli effetti positivi
prodotti dal lavorare assieme. Come si è visto, l’assunto fondamentale è che
l’interazione fra gli allievi su obiettivi cognitivi aumenti la padronanza dei
concetti critici. Il gruppo di apprendimento e l’interazione con i compagni più
capaci assume un’importanza fondamentale alla luce del concetto di “zona di
sviluppo prossimo” di Vygotskij: il contatto con i coetanei all’interno di un
gruppo di collaborazione consente ai partecipanti di operare reciprocamente
all’interno delle proprie zone di sviluppo prossimo, ottenendo nel gruppo
comportamenti e risultati più avanzati rispetto a quelli semplicemente conseguibili
attraverso le normali attività individuali.
Accanto alla necessità di un impianto metodologico-didattico indirizzato allo
sviluppo della partecipazione, della responsabilità-autonomia e del pensiero
cooperativo, appare prioritaria anche una differente impostazione sui “saperi” in
relazione all’esperienza. La nostra scuola ha tradizionalmente privilegiato
l’intelligenza analitica, sacrificando quella pratica e creativa e rinunciando in tal
modo al contributo di un grande numero di soggetti: le esperienze pratiche e
creative godono tuttora di scarsa considerazione e cittadinanza nel nostro sistema
educativo-formativo.
166
Per questa ragione numerosi pedagogisti di estrazione piagetiana e vygotskijana hanno
rivendicato – e continuano a rivendicare – l’introduzione di attività cooperative nelle scuole, dal
momento che dall’interazione fra gli studenti sulla base di obiettivi cognitivi è possibile generare
un più elevato livello di apprendimento. Cfr., in proposito, G. Chiari, Educazione interculturale e
apprendimento cooperativo: teoria e pratica della educazione tra pari, Quaderni del Dipartimento
di Sociologia e Ricerca Sociale, Facoltà di Sociologia, Università di Trento, n. 57, giugno 2011.
24
In questo senso, emergono le lacune di un modello di didattica dettate dal fatto di
aver trascurato alcuni aspetti essenziali che caratterizzano e qualificano il
processo dell’apprendimento degli alunni: la partecipazione (dello studente al
proprio processo di apprendimento), la responsabilità (nei confronti del proprio
lavoro di studente e anche dei propri compagni o colleghi), la riflessione (sul
significato del proprio agire dotato di senso e del proprio ruolo di studente), la
condivisione (delle proprie idee, informazioni, materiali, dati), il prendersi cura
degli altri.
Tali categorie tendono ad alimentarsi e rafforzarsi reciprocamente nei modelli
didattici fondati sul gruppo di lavoro strutturato e sul team, in cui vengono
potenziate sia la produttività del lavoro e l’identità e l’autostima degli studenti
partecipanti sia l’altruismo e il senso del rispetto nei confronti del prossimo e
della diversità.167
167
Ivi, pp. 8-36.
25
SECONDO CAPITOLO
TECNOLOGIA E APPRENDIMENTO
2.1. Introduzione
A partire dalla seconda metà degli anni ’60 del secolo scorso, con il progredire
della tecnologia informatica e l’avvento di nuove generazioni di calcolatori, il
computer si è rivelato uno mezzo ideale per progettare e realizzare esperienze
didattiche. E nel corso degli ultimi anni, in particolare, anche grazie al suo
massiccio impiego, il software didattico ha subito profondi mutamenti: se negli
anni ’60 e ’70 si tendeva a concepire il computer come un sostituto
dell’insegnante, agli inizi degli anni ’80 si registra invece una graduale e
progressiva comparsa, accanto allo strumento ipertesto, di nuovi ambienti di
apprendimento capaci di simulare situazioni reali o artificiali, al cui interno lo
studente può costruire autonomamente la propria conoscenza.
Sulla scia delle indicazioni teoriche finora emerse, in questo capitolo si esaminerà
come i modelli di apprendimento precedentemente trattati – il comportamentismo,
il cognitivismo e il costruttivismo, appunto – abbiano influenzato l’utilizzo del
computer a scopo didattico.
Le prime applicazioni del computer in ambito scolastico vedono protagonisti i
programmi CAI (Computer Aided Instruction) che, come detto, maturano
all’interno della cornice epistemologica del comportamentismo: questi programmi
26
privilegiavano un’organizzazione rigorosa dei contenuti, con percorsi rigidamente
definiti dalle informazioni da acquisire, ma non si preoccupavano di assicurare
interattività, né consideravano la necessità di indirizzarsi alla dimensione sociale
dell’apprendimento, ridotto a un rapporto individuale con la macchina.
Successivamente, questa concezione tutoriale del computer viene abbandonata a
favore di un’impostazione costruttivista, fondata sulla progettazione di veri e
propri ambienti di apprendimento diretto – come quello che tratteremo nel
prossimo capitolo, ideato nei primi anni ’70 da Seymour Papert con la creazione
del linguaggio Logo, un linguaggio di programmazione di grande semplicità che
ha portato a una vera e propria rivoluzione nell’uso didattico del computer.
Il ruolo svolto dal computer e dalle sue applicazioni in ambito didattico è pertanto
profondamente mutato: Robert Taylor (che insegna “Computer and Education”
alla Columbia University di New York), descrive dettagliatamente questa
evoluzione, impiegando tre termini per distinguere i differenti ruoli che un
calcolatore può assumere (e che di fatto ha assunto nel corso del tempo): tutor,
tool, tutee.168
Nel primo modello – tutor – il calcolatore sostituisce l’insegnante, presenta allo
studente un certo argomento, il quale a sua volta risponde, e il calcolatore valuta
la risposta. Il secondo modello – tool – prevede un calcolatore che si fa carico di
attività “noiose”, consentendo al discente di concentrarsi meglio sugli aspetti
concettuali di ciò che sta imparando; in questa categoria rientrano i programmi di
scrittura e di gestione dati.
Nel terzo modello – tutee – è il calcolatore a essere l’allievo, mentre lo studente
assume il ruolo di tutor. Tramite un linguaggio di programmazione, infatti, lo
studente istruisce il calcolatore a comportarsi come lui desidera e, con questo,
impara sia a formulare bene ciò che desidera, sia a esaminare criticamente le
conseguenze dei suoi errori.169
168
Cfr., in particolare, R. P. Taylor, Introduction, in Id. (ed.), The Computer in the School: Tutor,
Tool, Tutee, Teachers College Press, New York 1980, pp. 1-10.
169
Cfr. R. Laschi e A. Riccioni, Calcoltori & formazione. I primi cinquant’anni, Franco Angeli,
Milano 2010, p. 55 e ss.
27
Una delle caratteristiche importanti delle applicazioni informatiche è inoltre
l’interattività del software, un termine sulla cui definizione non sembra esserci
ancora molta chiarezza. In questa sede ci riferiamo in particolare alla capacità
dell’applicazione di intrattenere una forma di comunicazione con l’utente: si tratta
di una caratteristica strutturale che fa leva sulla motivazione e sul coinvolgimento
allo scopo di instaurare un rapporto utente-macchina produttivo, orientato alla
comunicazione educativa e all’arricchimento dell’utente.
Il software didattico di prima generazione, quello tutoriale, riproduceva un
rapporto unidirezionale alunno-tutor, un rapporto passivo per il discente; con
l’interattività, al contrario, l’alunno esercita un ruolo attivo sia nella selezione
delle informazioni sia nell’instaurare un dialogo con la macchina.
Nel novero delle diverse tipologie di interattività170
si trovano le simulazioni171
,
che in ambito scolastico rappresentano un importante e innovativo strumento di
apprendimento. Le simulazioni rappresentano modelli teorici di determinati
aspetti della realtà che, a dispetto di quelli tradizionali, non prediligono un
linguaggio verbale, ma sono espressi come programmi per computer. Nascono
come strumenti nella mani dello scienziato, cioè come strumenti di ricerca per
conoscere e capire.
Interagendo con una simulazione, lo studente apprende innanzitutto perché
osserva sullo schermo del computer i fenomeni mentre si svolgono e cambiano nel
tempo e comprende come agire sulle condizioni che nella simulazione fanno
avvenire i fenomeni, determinandone le caratteristiche. Nel momento stesso in cui
170
Cfr. D. Parisi, “Le simulazioni e la storia”, in Tecnologie Didattiche, vol. 9, n. 3, 2001, pp. 27-
32. Vale la pena notare che in questo articolo Parisi proponga la seguente modellizzazione delle
forme di interattività: interattività degli ipertesti (le informazioni sono divise in blocchi e l’utente
decide come spostarsi da un blocco all’altro); interattività sociale (l’utente può comunicare e
interagire a distanza con altre persone attraverso internet: posta elettronica, chat, forum, lavagne
condivise, ecc.); interattività tutoriale (il computer imita le funzioni dell’insegnante, cioè offre una
appropriata successione di materiali didattici, presenta esercizi, domande e problemi, valuta le
risposte dello studente, decide cosa fare in base alle risposte, ecc.); interattività della realtà
virtuale (che punta a riprodurre nel computer le condizioni che si verificano nella realtà fisica).
171
La simulazione rimanda alla nostra capacità mentale di riprodurre, anticipare e progettare
specifici aspetti della realtà in termini sia positivi sia negativi. Cfr. in proposito, L. Anolli e F.
Mantovani, Come funziona la nostra mente. Apprendimento, simulazione e Serious Games, Il
Mulino, Bologna 2011.
28
modifica queste condizioni, il discente-attore può osservare gli effetti delle
proprie azioni per così dire in tempo reale.
In quest’ottica le simulazioni sono strumenti per comprendere, funzionano come
laboratori sperimentali di apprendimento: l’interattività delle simulazioni è
un’interattività per comprendere.172
La simulazione è peraltro accessibile anche all’allievo che ha scarsa motivazione a
imparare, se il suo canale di apprendimento privilegiato è soltanto linguistico. Un
apprendimento – come avviene tradizionalmente a scuola – linguisticamente-
verbalmente veicolato è spesso mnemonico, e quindi presto dimenticato, mai
pienamente integrato con le potenzialità inespresse dello studente.
In tal senso le simulazioni, facendo “vedere” concretamente le cose e rendendo
possibile l’agire su di esse (e osservare le conseguenze delle proprie azioni),
rendono la conoscenza e la comprensione più significative per il discente che
viene messo nella condizione di poter articolare insieme il vedere e il fare.173
Le simulazioni al computer, insieme ai “micromondi” (di cui si parlerà in
conclusione di capitolo), costituiscono un modo per realizzare un apprendimento
esperienziale, basato sull’azione, in cui si impara facendo, manipolando oggetti e
divertendosi.
Lavorare a scuola con le simulazioni e i micromondi significa poter fare
esperienza di una realtà che viene riprodotta, interagendo con oggetti visualizzati
sullo schermo che a loro volta rimandano a una rappresentazione, a una metafora
di una realtà divenuta manipolabile in virtù di una serie di funzionalità.
L’introduzione del computer consente così alla scuola di riappropriarsi del metodo
esperienziale nelle tradizionali attività di insegnamento-apprendimento: il
computer rappresenta lo strumento in grado di realizzare ambienti artificiali di
apprendimento, predisposti al fine di costituire un campo di possibilità al cui
interno l’alunno, immergendovisi, possa costruire in modo attivo la propria
conoscenza, ancorandola al contesto in cui si produce.
172
Ivi, p. 15.
173
Cfr. D. Parisi, Simulazioni. La realtà rifatta nel computer, Il Mulino, Bologna 2001.
29
2.2. Il computer nel modello comportamentista
L’impiego del computer nella didattica si deve in larga parte alle idee di Sidney
Pressey174
e Burrhus F. Skinner175
, e in particolare all’istruzione programmata e
alle cosiddette teaching machines (“macchine per insegnare”): grazie a loro queste
metodologie vennero utilizzate in modo estensivo per il recupero delle fasce più
disagiate dell’utenza scolastica americana. Secondo i due autori, qualsiasi
contenuto di apprendimento può essere appreso dall’alunno grazie a una
strutturazione progressiva delle nozioni in piccole unità concatenate logicamente,
una progressione individualizzata dell’apprendimento e a un rinforzo immediato.
Skinner in particolare, con l’aiuto della tecnologia, riteneva possibile eliminare
l’errore dai processi di apprendimento, in quanto le macchine per insegnare
possono essere programmate in maniera tale da rinforzare positivamente le
risposte esatte, puntando sull’estinzione spontanea dei comportamenti non
appoggiati, appunto, dal rinforzo positivo.
Dalle sue intuizioni nacque negli Stati Uniti – nell’immediato secondo dopoguerra
– un nuovo settore disciplinare, l’Education Technology176
, destinato a
174
Intorno alla fine degli anni ’20 del secolo scorso, Sidney Pressey, uno psicologo americano
allievo di Thorndike, progettò le teaching machine. La macchina di Pressey aveva l’aspetto di una
macchina da scrivere, il cui carrello era corredato di una finestra in cui venivano presentate una
domanda e quattro possibili risposte, delle quali una sola era quella giusta. Su un lato del carrello
vi erano quattro pulsanti e l’utente era invitato a premere quello corrispondente alla risposta che
riteneva esatta. Alla pressione del tasto la macchina registrava la risposta su un contatore situato
dietro il carrello e proponeva la successiva domanda. Finita la prova l’utente poteva riesaminare il
foglio del contatore per valutare il punteggio ottenuto e gli eventuali errori commessi. Cfr. S.
Colazzo, Il computer e la didattica, Almatea, Lecce 2002, p. 13.
175
L’esperienza maturata con gli animali attraverso il condizionamento operante consente a
Skinner di individuare alcuni elementi innovativi rispetto alle primitive concettualizzazioni di
Pressey. La critica di Skinner alle prime teaching machines verte su un’insufficiente analisi delle
fasi di apprendimento e sulla scarsa importanza attribuita ai rinforzi, cioè ai premi. Per un buon
insegnamento, Skinner sosteneva che fossero importanti tre comportamenti: 1) iniziare dal punto
in cui l’allievo è arrivato, senza dare nulla per scontato; 2) rispettare il ritmo normale di
apprendimento di ogni alunno; 3) correggere le risposte sbagliate e gratificare invece quelle esatte.
Skinner riteneva quindi che una macchina per insegnare permettesse di “accelerare
l’apprendimento” attraverso l’applicazione delle tecniche dell’istruzione programmata, basate sul
presupposto che l’apprendimento ha luogo quando il comportamento viene “rinforzato”. Cfr. U.
Avalle, Tecnologie e disabilità, in La ricerca, vol. 1. n. 1 (nuova serie), 2012, pp. 24-25.
176
Di “Education Technology”, l’AECT (Association for Educational Communications and
Technology) propone nel 2004 la seguente definizione: “L’Education Technology è lo studio e la
30
rivoluzionare il campo scolastico, grazie alla realizzazione dei sopra citati sistemi
CAI. Questi ultimi erano inizialmente costituiti da programmi molto semplici
formati da pagine di solo testo in cui i contenuti, proposti in modo sequenziale,
erano suddivisi in unità didattiche al termine delle quali l’allievo doveva
rispondere a una serie di test.
Da questo tipo di programmazione lineare si passò poi alla programmazione
ramificata di Norman Crowder, che propose significative modificazioni alle
macchine per insegnare di Skinner.177
Crowder sosteneva che, dal momento che
non esiste un solo modo per imparare, le macchine per insegnare dovessero tenere
conto della complessità dei processi di apprendimento: partendo dunque dal
presupposto che l’apprendimento umano non segue una modalità lineare, ma è
soggetto a differenziazioni dovute alle diversità di elementi fondamentali – come
competenza, età, sesso, stile cognitivo e bagaglio socioculturale – che
caratterizzano ciascun soggetto, Crowder178
architettò tre tipi di percorsi
ramificati. Nel primo, lo studente riceveva una spiegazione dell’errore commesso
e poteva operare una seconda scelta; nel secondo, l’errore dello studente
permetteva di accedere a un sottoprogramma di revisione di unità informative
precedenti; nel terzo, lo studente poteva saltare dei frames di conoscenza e
accelerare il suo percorso cognitivo.
Queste prime applicazioni del computer nel settore educativo muovevano
dall’analisi dei compiti degli studenti e dei requisiti necessari per svolgere tali
compiti, ma si limitavano a un apprendimento di tipo superficiale in termini di
esecuzione, senza approfondire i processi cognitivi alla base. Uno degli aspetti
che maggiormente suscitava il riscontro degli insegnanti per questo tipo di
pratica eticamente corretta con cui facilitare l’apprendimento e favorire performance grazie al
creare, usare e maneggiare, appropriati processi tecnici e risorse.” Il ruolo assunto dall’informatica
ha dunque contribuito a modificare il modo d’essere delle tecnologie dell’educazione. A tal
proposito, la tecnologia dell’educazione si presenta come una disciplina che studia i cambiamenti
prodotti dall’utilizzo dei media nel campo dell’apprendimento e si propone di fornire conoscenze
teoriche e strumenti necessari alla progettazione e all’allestimento di sistemi e ambienti formativi
in contesti come scuola, azienda e università. Su tutti questi aspetti, cfr. P. G. Rossi, Tecnologia e
costruzione di mondi. Post-costruttivismo, linguaggi e ambienti di apprendimento, Armando,
Roma 2009, pp. 66 e ss.
177
Cfr. S. Colazzo, Il computer e la didattica, op. cit., pp. 21 e ss.
178
Cfr. N. Crowder, Automatic teaching. The state of the art, John Wiley and Sons, New York
1959.
31
software didattico, tuttavia, era la capacità di memorizzare informazioni sugli
errori degli alunni da parte della macchina, in modo tale da comprenderne e
valutarne le difficoltà.
Il superamento del modello comportamentista dell’apprendimento da parte di
quello cognitivista comporta innanzitutto l’abbandono della concezione della
memoria come funzione ripetitiva e passiva, a favore di un’idea di memoria come
attività connessa alla capacità di strutturare conoscenze, cioè di collegare nuove
conoscenze dopo uno specifico processo di riconoscimento, selezione e sintesi.
Ad ogni modo, dai software tutoriali emerge la prevedibilità e la controllabilità
dell’apprendimento da parte dell’insegnante attraverso l’utilizzo di programmi che
permettono un dialogo con l’utente all’interno di percorsi prestabiliti. Si genera
così un flusso bidirezionale di invio di informazioni da parte del programma e di
ricezione di risposte da parte dell’utente. Nel corso degli ultimi anni, questo
sussidio didattico ha trovato nuova linfa grazie all’approccio multimediale
nell’ambito della formazione a distanza, e in particolare grazie ai Learning
Objects: unità elementari di formazione – con i loro contenuti e relative prove di
verifica – che possono essere assemblate in lezioni da fruire in rete.
2.3. Il computer nel modello cognitivista
L’education technology legata al modello teorico del comportamentismo deve
molto al contributo dello psicologo statunitense Robert Mills Gagné179
, che indagò
la relazione tra le caratteristiche dell’individuo e le condizioni
dell’apprendimento, individuando otto diverse situazioni di apprendimento da lui
considerate come “otto insiemi di condizioni sotto le quali si producono dei
cambiamenti nelle capacità del soggetto dell’apprendimento”180
. Per garantire
l’efficacia di un processo d’apprendimento Gagné sosteneva che, oltre agli aspetti
179
Cfr. R. M. Gagné, Le condizioni dell’apprendimento, Armando, Roma 1996, pp. 58 e ss.
180
Ivi, p. 87.
32
interni al soggetto, fosse necessario prestare attenzione agli eventi esterni rispetto
alla situazione di apprendimento.181
L’intervento educativo, secondo Gagné, è articolato in diversi momenti che
svolgono le seguenti funzioni: attirare, stimolare e controllare l’attenzione,
spronare il ricordo delle capacità, valutare la performance, assicurare la ritenzione
ovvero il trattenimento o immagazzinamento nel tempo.182
Alcuni di questi
principi, in seguito, acquisiranno un ruolo centrale nella progettazione di sistemi
ipermediali per la didattica. Il software didattico ipertestuale di matrice
cognitivista coinvolge globalmente l’alunno, a livello sia percettivo sia emotivo:
esso infatti è caratterizzato da un’organizzazione non lineare delle conoscenze
(suddivise in unità informative collegate fra loro) e presenta una molteplicità di
percorsi possibili che possono favorire una personalizzazione dell’apprendimento.
Le sue caratteristiche fondamentali sono: la multisequenzialità e la multilinearità,
che consentono una certa libertà nella fruizione; l’interattività, intesa come
capacità di dialogare con l’utente; la multimedialità, che permette di costruire
blocchi di informazione testuali in formato audio, video e immagine.183
L’ipertesto può quindi essere visto come una rete di nodi interconnessi da legami:
ogni nodo costituisce un nucleo di informazione autonomo e autosufficiente che
trasmette il proprio contenuto con codici e linguaggi diversi; ogni legame
rappresenta il nesso logico che connette un nodo a un altro.
Nel 1945, Vannevar Bush184
, allora direttore dell’Ufficio per la Ricerca e lo
Sviluppo Scientifico del Governo statunitense, scrive per la rivista The Atlantic
Monthly un articolo fondamentale, dal titolo As We May Think. Un passo
dell’articolo recita così: “La mente umana opera per associazione. A partire da un
181
Ivi, p. 45.
182
Ivi, p. 98.
183
Cfr. F. Tommasi, Metodologie informatiche e discipline umanistiche, Carocci, Roma 2008, pp.
143-145.
184
Vannevar Bush, progenitore del concetto di ipertesto, era ingegnere e scienziato, consigliere
scientifico del Presidente Roosvelt. Con la realizzazione del “Memex” (Memory Extender), nel
1945, Bush intendeva favorire l’introduzione di una tecnologia capace di supportare i processi
associativi della mente umana: ciò significava rompere la continuità lineare del testo, a favore di
un approccio che, strutturando le informazioni in unità, consentisse di inanellarle, con una certa
libertà, seguendo delle indicazioni di connessione suggerite dall’estensore delle schede. Su questi
aspetti, cfr. S. Colazzo, Il computer e la didattica, op. cit., p. 16.
33
soggetto salta immediatamente al successivo che è suggerito dall’associazione di
pensieri, in accordo ad una qualche ragnatela intricata di cammini realizzata per
mezzo delle cellule del cervello. La selezione per associazione, piuttosto che per
indicizzazione, può ugualmente essere meccanizzata. Non si può sperare di
uguagliare la velocità e la flessibilità con cui la mente umana segue un cammino
associativo, ma dovrebbe essere possibile battere la mente quanto a permanenza e
chiarezza dei componenti recuperati dalla memoria.”185
In base a ciò, una rappresentazione ipertestuale e ipermediale è simile alla
rappresentazione dell’informazione della mente umana e la struttura logica di un
ipertesto è simile allo sviluppo della conoscenza, rappresentabile con una mappa
concettuale. Non esiste soltanto un collegamento sequenziale tra un concetto e un
altro, ma tutti concetti sono tra di loro uniti da una fitta rete di collegamenti. La
conoscenza, inoltre, non è chiusa, ma si basa su veri e propri collegamenti fra un
oggetto di informazione e un altro. L’ipertesto e l’ipermedia offrono dunque al
discente la possibilità di individualizzare l’apprendimento, dal momento che i
percorsi seguiti per apprendere un determinato contenuto possono non essere gli
stessi e ci si può fermare a diversi livelli di approfondimento, in base agli interessi
e delle capacità del fruitore.
Il concetto di ipertesto si è peraltro evoluto nel tempo: l’idea di Vannevar Bush di
un progetto per l’estensione della memoria umana che desse accesso immediato a
grande quantità di testi è stata ripresa da Ted Nelson186
negli anni ’60 per
realizzare un dispositivo volto a immagazzinare l’informazione per via elettronica,
archiviandola in testi interconnessi in modo tale da poterla utilizzare facilmente.
I prodotti ipertestuali impiegati nell’ambito scolastico “incorporano un’esigenza
che non era stata soddisfatta con il libro stampato. Il pensiero è essenzialmente
attività: si pensa tessendo fili orditi di immagini e parole più volte ricomposti
nella continua ricerca di significati […]. Quando la conoscenza è racchiusa nella
forma economica del testo stampato essa assume un carattere statico ed è compito
185
V. Bush, “As We May Think”, in The Atlantic Monthly, july 1945, pp. 101-108.
186
Considerato un pioniere del software e un padre della multimedialità (e influenzato dalle tesi di
Vannevar Bush), Nelson si è occupato di digitalizzazione dell’informazione e scrittura non-
sequenziale, coniando nel 1965 i termini “ipertesto” e “ipermedia”.
34
del lettore ricostruire le azioni o le trasformazioni implicite cui le parole alludono.
In un libro vivente questa attività della mente viene esplicitata, può assumere un
volto concreto […]. I libri viventi come altri prodotti multimediali tendono a
favorire un’ulteriore trasformazione, l’avvicinamento tra le funzioni di lettore e di
autore. I bambini non solo potranno utilizzare l’applicazione costruita da altri
bensì usare le strumentazioni per dar vita ad un prodotto proprio.”187
Dunque, l’ipertestualità e l’ipermedialità si presentano come modi di organizzare i
saperi in reti semantiche percorribili secondo logiche diverse. E l’ipertesto, nella
sua dimensione informatica, è un programma software per navigare all’interno di
una rete di nuclei di informazione, mentre, nella sua dimensione didattica, è un
mezzo per produrre e far produrre collegamenti tra conoscenze della stessa
disciplina, ma anche tra ambiti disciplinari tradizionalmente separati.
Gli ipertesti stimolano gli alunni e favoriscono la loro attenzione e il loro interesse
anche quando questi sono stanchi o poco motivati; favoriscono l’apprendimento
per concetti più che per nozioni isolate; facilitano la capacità associativa del
pensiero, l’aggregazione e l’integrazione delle conoscenze; offrono molteplici
percorsi per rendere efficace e personalizzabile l’apprendimento; sviluppano la
dimensione metacognitiva. Infine, l’ipertesto può essere utile per inserire
conoscenze formalizzate dentro il campo della cultura informale e
problematizzarle; sviluppare il pensiero procedurale e il pensiero ideativo-
immaginativo; facilitare l’organizzazione dei saperi secondo una logica modulare,
utilizzando.188
2.4. Il computer nel modello costruttivista
L’interesse suscitato dalle teorie costruttiviste ha portato a focalizzare l’attenzione
sui processi cognitivi di esplorazione e costruzione personale che intervengono
187
A. Calvani, “Alla ricerca di una significatività educativa: il bambino autore multimediale”, in
Tecnologie Didattiche, vol. 1, n. 3, 1994, p. 12.
188
A. Calvani (a cura di), Tecnologie, scuola, processi cognitivi. Per una ecologia dell’apprendere,
Franco Angeli, Milano 2007.
35
nell’interazione con il computer, piuttosto che sui contenuti e sul modo di
trasmetterli. I sistemi basati sui micromondi189
sono un valido esempio di sistemi
progettati sulla base di questo nuovo orientamento costruttivista. Nell’approccio
costruttivista il computer diventa infatti il cardine di un grande cambiamento nel
modo di fare scuola, trasformandosi da semplice macchina per calcolare in vero e
proprio ambiente che consente a ogni discente di esplorare nuovi modelli di
apprendimento e di costruire consapevolmente e attivamente le proprie
conoscenze. In tal senso, “il computer è una macchina orientata all’apprendimento
‘intenzionale’ attraverso l’esperienza, perché consente di simulare la realtà, cioè
di riprodurla in un artefatto tecnologico.”190
Dal punto di vista costruttivista, pertanto, il computer rappresenta una sorta di
laboratorio personale al cui interno il discente è in grado di compiere esperienze
significative. Horacio C. Reggini191
, interrogandosi sul modo in cui le tecnologie
possano aiutare i bambini a trovare migliori modalità di apprendimento, afferma:
“l’uso di un computer come ambiente per costruire il proprio sapere offre un ruolo
di responsabilità e di creatività all’allievo, che, in questo modo, sviluppa una serie
di concetti compatibili con la sua crescita e viene a contatto con le proprie risorse
intellettuali, mettendole in pratica in modo spontaneo e induttivo.”192
Reggini propone un nuovo concetto di computer, inteso come estensione della
mente: il computer si trasforma in una moderna lampada di Aladino poiché è in
grado di trasformare il pensiero formale in pensiero concreto e, quindi, può aiutare
i bambini ad acquisire conoscenza in modo più rapido, stimolando in tal modo il
loro sviluppo intellettuale. In un ambiente scolastico e/o educativo, grazie all’uso
189
Il micromondo, sviluppato per scopi educativi, è un sistema informatico che sintetizza, in un
modello formale, una riproduzione essenziale, ma rigorosa e sufficientemente dettagliata, di un
certo dominio di conoscenza. È dotato di funzionalità e di un’interfaccia grafica tali da consentire
ad un utente, privo di specifiche conoscenze e competenze informatiche, di manipolare e osservare
il comportamento delle variabili che sottostanno al sistema stesso. Si tratta, quindi, di un vero e
proprio laboratorio didattico, in cui si può assumere il ruolo di un ricercatore che si pone problemi,
fa ipotesi, propone possibilità di soluzione, individua quelle più appropriate alla situazione. Cfr. a
tal proposito, M. R. Strollo, Scienze cognitive e aperture pedagogiche. Nuovi orizzonti nella
formazione degli insegnanti, Franco Angeli, Milano 2007, pp. 6-7.
190
D. Parisi, “È una macchina di talento: ci restituisce l’esperienza”, in Telma, vol. 12, 1998, p. 24.
191
Reggini, riconosciuto come uno dei più qualificati studiosi dell’applicazione del computer nel
campo dell’educazione, ha lavorato presso il Laboratorio d’Intelligenza Artificiale del MIT con
Seymour Papert.
192
H. C. Reggini, Logo: ali per la mente, Mondadori, Milano 1984. p. 172.
36
del computer, gli alunni riflettono sulle loro conoscenze, difendono le proprie
idee, acquistando fiducia in se stessi e la consapevolezza della forza dei loro punti
di vista. La mediazione operata dal computer imprime nuovi significati
all’apprendimento, strutturando inedite possibilità di interazione tra conoscenza e
alunno e modificando le relazioni in classe fra insegnate e allievo e fra allievo e
allievo.
È all’interno di questo contesto teorico e applicativo che Seymour Papert193
introduce il concetto di micromodo: un ambiente di simulazione basato
sull’apprendimento per scoperta. La specificità del micromondo è la sua capacità
di stimolare attività di problem solving negli alunni, che – all’interno di un
determinato dominio di conoscenza, spesso astratto e formale – attraverso
l’esplorazione e la manipolazione di rappresentazioni concrete elaborano e
utilizzano concetti matematici per affrontare la soluzione di un problema,
“costruendo” così la loro conoscenza: “il computer può essere considerato un
potente strumento all’interno di un ambiente di apprendimento: il computer è
visto non solo come potente risorsa per realizzare un compito, ma [è] in grado di
trasformare il compito stesso, e al tempo stesso di trasformare il rapporto
dell’utente alla conoscenza sottostante.”194
In questa prospettiva assume un ruolo centrale l’analisi degli oggetti (risorse
operative di base) che vengono messi a disposizione dell’utente attraverso
l’interfaccia del sistema. Papert li ha definiti oggetti transizionali195
, ovvero
oggetti di confine fra ciò che è concreto e direttamente manipolabile e ciò che è
simbolico e astratto196
. Tuttavia, occorre sottolineare l’assenza di una definizione
193
Matematico, informatico e pedagogista sudafricano, Seymour Papert ha svolto ricerca
matematica all’Università di Cambridge dal 1954 al 1958. Dagli anni ’60 lavora al MIT
(Massachussets Institute of Technology). Qui, insieme a Marvin Minsky aprì il “Laboratorio di
intelligenza artificiale” e creò il linguaggio di programmazione LOGO, avvalendosi anche della
collaborazione di Jean Piaget e dei suoi colleghi del Centro d’Epistemologia Genetica
dell’Università di Ginevra. Papert ha concepito il computer come una macchina per pensare
piuttosto che per insegnare, proponendo l’utilizzo del computer ai bambini sin dai tre anni d’età.
194
C. Hoyles, Developing mathematical knowledge through microworlds, in A. J. Bishop, S.
Mellin-Olson, and J. van Dormolen (eds.), Mathematical Knowledge: Its Growth Through
Teaching, Kluwer Academic Publishers, Dordrecht 1991. p. 151.
195
Cfr. D. Parmigiani (a cura di), Tecnologie per la didattica. Dai fondamenti dell’antropologia
multimediale all’azione educativa, Franco Angeli, Milano 2004, p. 260.
196
Cfr. S. Papert, Mindstorms. Bambini, computers e creatività, Emme, Milano 1984.
37
condivisa di “micromondo”: tutt’al più, i ricercatori concordano su una serie di
caratteristiche che generalmente vengono considerate necessarie affinché un
sistema possa considerarsi tale. In questo senso, un micromondo incorpora nella
propria interfaccia un insieme di risorse operative di base che caratterizzano un
dominio di conoscenza astratto, sotto forme di primitive (oggetti o funzioni) che
possono essere combinate in modi diversi; offre una varietà di modi per
raggiungere un obiettivo; permette la diretta manipolazione degli oggetti.197
Alla base delle tesi costruttiviste che evidenziano il ruolo dei micromondi
nell’apprendimento c’è l’idea che l’apprendimento migliori se l’alunno è immerso
in un argomento ed è motivato a cercare nuova conoscenza e ad acquisire nuove
capacità dettate dalle esigenze poste dal problema su cui sta lavorando. La
peculiarità dei micromondi è quella di progettare situazioni di apprendimento in
cui la conoscenza emerga dall’interazione tra alunni e ambienti. L’esplorazione
del micromondo, in particolare, è funzionale e al raggiungimento di due obiettivi:
favorire l’evoluzione delle strategie cognitive degli alunni in relazione al compito
assegnato e la costruzione di significati che permettano di stabilire una relazione
tra i concetti matematici e le loro rappresentazioni.
Queste indicazioni sono al centro della riflessione di Celia Hoyles198
in merito
all’utilizzo di alcuni micromondi per l’apprendimento della matematica. Secondo
Hoyles, l’interazione con il micromondo può mettere in luce due processi
complementari: da una parte aiuta la matematica a essere concreta, attraverso la
costruzione e la manipolazione, e dall’altra permette di formalizzare l’azione
attraverso l’articolazione di astrazioni in situazione.199
Un micromondo, allora,
non è semplicemente uno strumento, ma un mezzo di comunicazione simbolica di
relazioni matematiche. Di conseguenza il calcolatore può facilitare il processo di
apprendimento della matematica attraverso la mediazione di segni.
197
Cfr. J. M. Laborde and R. Strasser, “Cabri-Géomètre: a microworld of geometry for guided
discovery learning”, in Zentralblatt fur Didaktik, vol. 90, n. 5, 1990, pp.171-190.
198
C. Hoyles, Microworlds/Schoolworlds: the Transformation of an Innovation, in C. Keitel and
K. Ruthven (eds.), Learning from Computers: Mathematics Education and Technology, Springer
Verlag, Berlin 1993, pp. 1-17.
199
Cfr. G. Chiappini, “Didattica della matematica e ICT”, in Tecnologie Didattiche, vol. 15, n. 2,
2007, p. 34.
38
2.5. Conclusioni
Abbiamo visto come i primi usi didattici del computer siano ispirati ai principi del
comportamentismo skinneriano, ovvero a una concezione dell’educazione intesa
come esperienza trasmissiva di contenuti disciplinari. All’interno di questa
concezione, il computer svolge una funzione didattica puramente prescrittiva e
unidirezionale, in sostituzione dell’insegnante.
Nel corso del tempo il computer ha assunto una connotazione diversa, divenendo
– come è emerso nel paragrafo dedicato all’approccio cognitvista – uno
“strumento cognitivo”200
in grado di amplificare, integrare e supportare le funzioni
mentali del soggetto in apprendimento. A tal proposito, Jonassen guarda al
computer come a uno “strumento per pensare”: l’apprendimento con il computer
avviene quando il computer e il relativo software si propongono in modo aperto
allo studente, senza imporre proprie strategie, ma aiutandolo nella sua costruzione
di conoscenza e configurandosi quindi come strumenti laboratoriali usati per
creare, sperimentare, riflettere su contenuti e competenze.201
Nell’ultimo ventennio del secolo scorso, l’impiego di ambienti artificiali come le
simulazioni educative e i micromondi hanno cambiato radicalmente il modo di
fare educazione. Questo impiego risponde all’esigenza di creare situazioni di
apprendimento motivanti, che riproducano processi di apprendimento naturale e
forniscano schemi interpretativi flessibili. Si è detto poi che il quadro teorico delle
simulazioni educative e dei micromondi sia riconducibile al paradigma
costruzionista, e si è ricordato il ruolo svolto da Papert (la cui teoria
dell’apprendimento sarà al centro del prossimo capitolo), il quale è tra i primi a
comprendere che la multimedialità possa offrire un ampliamento degli oggetti
200
L’espressione tool cognitivo riguarda l’impiego delle tecnologie come “attivatori” o
“amplificatori” di processi cognitivi. Lo psicologo americano David H. Jonassen definisce tool
cognitivi gli strumenti basati su computer e ambienti di apprendimento che sono stati sviluppati e
adattati per funzionare come partner intellettuali con l’alunno allo scopo di impegnare e favorire
pensiero critico e apprendimento di alto livello cognitivo. Cfr. A. Calvani (a cura di), Tecnologia,
scuola, processi cognitivi. Per una ecologia dell’apprendere, Franco Angeli, Milano 2007, p. 45.
201
D. H. Jonassen, Computers as mindtools for schools. Engaging critical thinking, Prentice Hall,
Columbus (OH), 2000.
39
programmabili sino al punto da prefigurare, da parte del bambino, la possibilità di
creare, interagire, governare “nuovi mondi”202
ben più complessi.
Gli ambienti ipermediali, integrando immagini, suoni e animazioni, coinvolgono
complessivamente l’alunno e la sua mente – non più vista come deposito statico di
informazioni, ma concepita come un sistema complesso, plastico e dinamico – si
riflette nell’uso del computer trovandovi conoscenze strutturate e veicolate in
modo più naturale.
Si creano così ambienti di apprendimento che incorporano ed enfatizzano le
strutture reticolari e complesse, razionali ed emotive, che caratterizzano i processi
cognitivi: processi che, attraverso l’interattività consentita da questi strumenti,
assumono forma esplicita diventando più facilmente osservabili, registrabili e
analizzabili.203
Grazie al computer è possibile anche l’azione, dal momento che
esso è una macchina intrinsecamente interattiva: agendo sugli oggetti dello
schermo del computer, oppure spostandosi da un testo all’altro o da un’immagine
all’altra, è possibile “tradurre” il nostro pensiero da sequenziale a ipertestuale, da
simbolico-ricostruttivo (centrato sul linguaggio scritto) a percettivo-motorio
(centrato sull’esperienza).204
Ed è proprio la manipolazione dei contenuti, la loro costruzione e la visione di
immagini a consentire a chi apprende l’esperienza percettivo-motoria: le
tecnologie multimediali restituiscono ai sensi quanto la tecnologia della carta
stampata toglie. L’avvento del computer e della multimedialità, pertanto, apre la
strada per operare in modo percettivo-motorio senza peraltro dover essere in
contatto fisico con le cose.205
202
Cfr. a tal proposito, l’intervista “Bambini e adulti a scuola con il computer” rilasciata da
Papert a Venezia il 7 marzo del 1997, in
www.mediamente.rai.it/home/bibliote/intervis/p/papert.htm, e in particolare la sua risposta
alla domanda numero 8, in cui Papert esplicita l’idea dei micro mondi (ultima
consultazione, gennaio 2013). Sulle valenze del computer a scuola, si veda ancora un’altra
intervista di Papert, “Come sarà la scuola del prossimo millennio”, rilasciata a New York il
4 aprile del 1998, in http://www.mediamente.rai.it/home/bibliote/intervis/p/papert02.htm
(ultima consultazione, gennaio 2013).
203
Cfr. T. Lodrini, Didattica costruttivista e ipermedia, Franco Angeli, Milano 2002.
204
Cfr. F. Antinucci, Computer per un figlio. Giocare, apprendere, creare, Laterza, Roma-Bari
1999, pp. 79 e ss.
205
F. Antinucci, La scuola si è rotta. Perché cambiano i modi di apprendere, Laterza, Roma-Bari
2003.
40
Il computer attiva i sensi in modo immediato e simultaneo. L’attività multimediale
richiama alla memoria l’attività ludica, quell’attività percettivo-motoria che è,
appunto, il gioco. L’approccio didattico costruttivista – che, come si è visto,
concepisce la conoscenza come prodotto della costruzione attiva di significati da
parte dell’alunno – cambia notevolmente il ruolo dell’insegnante, che si trasforma
in “costruttore di ambienti di apprendimento”, progettati intenzionalmente per
consentire percorsi attivi e consapevoli al cui interno ogni alunno può gestire
modi e percorsi, sulla base del proprio stile, interessi e strategie personali.
Le diverse potenzialità cognitive e metacognitive che l’uso del computer
presuppone possono rimanere latenti finché l’insegnante non le valorizza
attraverso il progetto didattico. Occorre pensare alle tecnologie come a potenziali
agenti di cambiamento, in grado di influenzare il setting didattico nel suo
complesso: l’ambiente fisico, i comportamenti e le relazioni fra i vari attori, i
compiti e le attività, il clima relazionale e operativo, le motivazioni e le
aspettative e, in ultima istanza, il processo di apprendimento. Attore fondamentale
in questo processo non può che essere il docente che, nel suo ruolo di ideatore,
costruttore e regista di situazioni di apprendimento, sappia integrare
sinergicamente le indicazioni della didattica costruttivista con le potenzialità che
la tecnologia offre, riassegnando alla scuola il suo ruolo di ambiente privilegiato e
protetto di ricerca-azione sulle metodologie didattiche.
41
TERZO CAPITOLO
DAL COSTRUTTIVISMO AL COSTRUZIONISMO.
LA PEDAGOGIA INFORMATICA DI SEYMOUR PAPERT
3.1. Introduzione
All’interno delle istituzioni adibite all’insegnamento, come la scuola e le
università, predomina una modalità di apprendimento mediata dalle parole; al di
fuori dei luoghi istituzionali, al contrario, predomina un apprendimento diretto,
realizzato attraverso l’esperienza che, a differenza di quello basato sul linguaggio,
permette di manipolare la realtà e osservarne le conseguenze, traendone una
comprensione più profonda.
La contrapposizione sopra evidenziata può essere esemplificata ricorrendo alla
dicotomia tra le categorie di istruzionismo e costruzionismo. Il primo termine si
riferisce a un modello che fornisce il sapere in frammenti, imponendo all’alunno
la memorizzazione; il secondo termine, invece, si propone di offrire un “minimo”
di insegnamento per ottenere il massimo apprendimento.206
E questo secondo
termine ben si associa al modello teorico e pratico proposto da Seymour Papert,
che, come vedremo, assegna agli oggetti materiali un ruolo fondamentale
nell’articolato percorso della costruzione della conoscenza.
206
Cfr. M. Capponi, Un giocattolo per la mente. L’informatica cognitiva di Seymour Papert,
Morlacchi, Perugia 2008, pp. 51-52.
42
UN CIELO DI STELLE (R. SCIACCA)
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UN CIELO DI STELLE (R. SCIACCA)

  • 1. Dipartimento di Scienze umane Comunicazione, Formazione, Lettere e Psicologia CORSO DI LAUREA IN SCIENZE DELLA FORMAZIONE PRIMARIA UN CIELO DI STORIE. SCOPRIRE LE COSTELLAZIONI A SCUOLA PER “RACCONTARLE” AL COMPUTER USANDO IL LINGUAGGIO PEDAGOGICO IPLOZERO CON LA GEOMETRIA DELLA TARTARUGA A SKY OF STORIES. DISCOVERING CONSTELLATIONS AT SCHOOL TO “TELL THEM” TO COMPUTERS USING THE PEDAGOGICAL LANGUAGE IPLOZERO WITH TURTLE GEOMETRY Relatore Prof. Giovanni Lariccia Candidato Roberta Sciacca Matricola 14556/100 Anno accademico 2011 - 2012
  • 2. INDICE DELLA TESI Introduzione...............................................................................................................................2 Primo capitolo. Le teorie dell’apprendimento nella scuola...................................................5 1. ...............................................................................................................1 Dipartimento di Scienze umane.........................................................1 Relatore.....................................................................1 Cfr. a tal proposito, l’intervista “Bambini e adulti a scuola con il computer” rilasciata da Papert a Venezia il 7 marzo del 1997, in www.mediamente.rai.it/home/bibliote/intervis/p/papert.htm, e in particolare la sua risposta alla domanda numero 8, in cui Papert esplicita l’idea dei micro mondi (ultima consultazione, gennaio 2013). Sulle valenze del computer a scuola, si veda ancora un’altra intervista di Papert, “Come sarà la scuola del prossimo millennio”, rilasciata a New York il 4 aprile del 1998, in http://www.mediamente.rai.it/home/bibliote/intervis/p/papert02.htm (ultima consultazione, gennaio 2013)............................................................................40 Secondo capitolo. Tecnologia e apprendimento....................................................................26 2. ...............................................................................................................1 Dipartimento di Scienze umane.........................................................1 Relatore.....................................................................1 Cfr. a tal proposito, l’intervista “Bambini e adulti a scuola con il computer” rilasciata da Papert a Venezia il 7 marzo del 1997, in www.mediamente.rai.it/home/bibliote/intervis/p/papert.htm, e in particolare la sua risposta alla domanda numero 8, in cui Papert esplicita l’idea dei micro mondi (ultima consultazione, gennaio 2013). Sulle valenze del computer a scuola, si veda ancora un’altra intervista di Papert, “Come sarà la scuola del prossimo millennio”, rilasciata a New York il 4 aprile del 1998, in http://www.mediamente.rai.it/home/bibliote/intervis/p/papert02.htm (ultima consultazione, gennaio 2013)............................................................................40 Terzo capitolo. Dal costruttivismo al costruzionismo. La pedagogia informatica di Seymour Papert.......................................................................................................................43 3. ...............................................................................................................1 Dipartimento di Scienze umane.........................................................1 2
  • 3. Relatore.....................................................................1 Cfr. a tal proposito, l’intervista “Bambini e adulti a scuola con il computer” rilasciata da Papert a Venezia il 7 marzo del 1997, in www.mediamente.rai.it/home/bibliote/intervis/p/papert.htm, e in particolare la sua risposta alla domanda numero 8, in cui Papert esplicita l’idea dei micro mondi (ultima consultazione, gennaio 2013). Sulle valenze del computer a scuola, si veda ancora un’altra intervista di Papert, “Come sarà la scuola del prossimo millennio”, rilasciata a New York il 4 aprile del 1998, in http://www.mediamente.rai.it/home/bibliote/intervis/p/papert02.htm (ultima consultazione, gennaio 2013)............................................................................40 Quarto capitolo. A scuola con Iplozero.................................................................................66 4. ...............................................................................................................1 Dipartimento di Scienze umane.........................................................1 Relatore.....................................................................1 Cfr. a tal proposito, l’intervista “Bambini e adulti a scuola con il computer” rilasciata da Papert a Venezia il 7 marzo del 1997, in www.mediamente.rai.it/home/bibliote/intervis/p/papert.htm, e in particolare la sua risposta alla domanda numero 8, in cui Papert esplicita l’idea dei micro mondi (ultima consultazione, gennaio 2013). Sulle valenze del computer a scuola, si veda ancora un’altra intervista di Papert, “Come sarà la scuola del prossimo millennio”, rilasciata a New York il 4 aprile del 1998, in http://www.mediamente.rai.it/home/bibliote/intervis/p/papert02.htm (ultima consultazione, gennaio 2013)............................................................................40 Conclusioni.............................................................................................................................118 Bibliografia............................................................................................................................122 3
  • 4. INTRODUZIONE Due ordini di motivazioni, che si sono progressivamente intrecciati fino a confondersi nelle fasi di elaborazione e di stesura del testo, sono alla base di questo elaborato; la prima è riconducibile a un interesse scientifico, la seconda a uno decisamente più personale: da un lato, infatti, vi è la frequentazione del corso “Fondamenti di Logica e Informatica per la Didattica” tenuto dal Prof. Giovanni Lariccia, dall’altro, la mia esperienza professionale di insegnante in una scuola primaria di Roma. Per quanto riguarda il corso, l’aspetto che più ha suscitato il mio interesse è rappresentato dalle infinite potenzialità legate all’utilizzo delle tecnologie informatiche a scopo didattico, al fine di dare vita a forme e processi di apprendimento centrati sulla cooperazione e la metacognizione. In questo quadro s’inserisce la conoscenza fatta a lezione del linguaggio pedagogico-informatico di programmazione Iperlogo: un linguaggio orientato alla matematica, che consente di approcciarsi ad essa come a una lingua viva, una lingua madre. Iperlogo incoraggia un apprendimento per scoperta, non direttivo, articolato sulla base di soluzioni di natura euristica in un ambiente – dinamico e fortemente contestualizzato – in cui le idee vengono prodotte e immediatamente applicate dall’alunno stesso e si instaura un’intima relazione di collaborazione e scambio sia con gli altri alunni sia con l’insegnante. Gli insegnamenti tratti dalla frequentazione del corso del Prof. Lariccia si sono rivelati pienamente in linea con la mia personale esperienza di insegnante, in base alla quale ho potuto ricavare un insegnamento pedagogico che mi sembra 4
  • 5. importante e meritevole di essere valorizzato: gli alunni, soprattutto oggi nell’“era digitale”, hanno bisogno di fare, costruire, sperimentare direttamente, far crescere il proprio spirito d’iniziativa, in modo tale da divenire, con il passare del tempo, sempre più autonomi e responsabili nei confronti del proprio percorso di apprendimento. Dal punto di vista operativo, quindi, queste indicazioni dovrebbero tradursi in classe nel programmare e approntare spazi e attività didattiche ed educative in cui gli alunni possano cooperare, non aver paura di imparare e di sbagliare: possano cioè apprendere in modo attivo e significativo, non in maniera esclusivamente passiva e ricettiva. Il punto di condensazione tra queste due parallele esperienze di studente universitaria e di insegnante di scuola primaria si è manifestato con l’utilizzo di Iplozero, l’applicazione più recente e innovativa del suddetto linguaggio Iperlogo inspirata dal principio, di matrice costruzionista, “se faccio, capisco”. Attraverso l’impiego di Iplozero il computer non è più soltanto uno strumento che resta nelle mani dell’insegnante, ma diventa un prezioso mezzo in grado di aiutare gli alunni a pensare e a immettersi nel continuo divenire della progettazione e della realizzazione personale di artefatti in una prospettiva pedagogica secondo cui l’errore-da-cui-imparare, da un lato, e i rapporti collaborativi tra gli attori dei processi formativi, dall’altro, rappresentano i cardini, le chiavi di volta, di un’innovativa “filosofia dell’educazione tecnologica”. In tal senso, l’apprendimento cooperativo favorito dall’utilizzo di Iplozero consente di sperimentare e mettere a frutto i ruoli di responsabilità e interazione creativa tra gli alunni e l’ambiente circostante per lo sviluppo delle loro abilità intellettuali e, in particolare, logico-matematiche. L’elaborato si articola come segue. Nel primo capitolo verrà fornito un inquadramento teorico generale al tema dell’apprendimento, prendendo in esame – attraverso la presentazione delle figure e delle tesi dei più influenti studiosi in materia e delle relative ricadute sul piano dell’insegnamento didattico – le tre principali correnti di pensiero che hanno segnato il panorama della pedagogia del Novecento: il comportamentismo, il cognitivismo e il costruzionismo. 5
  • 6. Nel secondo capitolo, si procederà a circoscrivere l’argomento dell’elaborato, mostrando come ciascuno dei tre paradigmi pedagogici sopra evidenziati si siano relazionati con il processo di diffusione delle tecnologie didattiche, in primo luogo del computer nella scuola. In particolare, sarà evidenziato e valorizzato il passaggio da una concezione puramente strumentale e “tutoriale” del computer – propria del modello comportamentista – a un’impostazione più articolata – propria del modello costruttivista –, fondata sulla progettazione di veri e propri ambienti di apprendimento diretto che riproducano i processi di apprendimento naturale. Il terzo capitolo verterà sulla transizione, avvenuta a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso, dal paradigma costruttivista a quello costruzionista: si tratta di una sorta di “filiazione interna” tra famiglie di pensiero strettamente imparentate, che deve molto alla figura del matematico, informatico e pedagogista sudafricano Seymour Papert, inventore del linguaggio di programmazione informatica Logo (cioè del progenitore di Iperlogo). Il ruolo e la fisionomia della pedagogia informatica costruzionista di Papert saranno indagati innanzitutto ricostruendo i fondamentali apporti teorici che gli derivano dal confronto con le tesi di grandi pensatori quali Piaget, Dewey e Montessori e, successivamente, delineando i tratti principali della proposta pedagogica papertiana. Il quarto capitolo sarà dedicato alla presentazione di un percorso didattico multidisciplinare, centrato proprio sull’utilizzo in classe del linguaggio di programmazione Iplozero per lo studio e l’apprendimento delle costellazioni e dei miti ad esse associati, che ho realizzato sotto la regia e il coordinamento del Prof. Lariccia. Il percorso didattico ha avuto la durata di due mesi (ottobre-dicembre 2012), si è tenuto in una quinta classe della scuola primaria statale “Alberto Sordi” di Roma ed è stato registrato nel suo progressivo svolgimento in un blog da me curato e aggiornato consultabile all’indirizzo: http://tartasordi.wikispaces.com. Nelle conclusioni, infine, si tenterà di stilare un bilancio complessivo dell’esperienza svolta in classe con gli alunni della scuola “Alberto Sordi” in base alle indicazioni teoriche e pratiche raccolte nel corso dei capitoli precedenti. 6
  • 7. PRIMO CAPITOLO LE TEORIE DELL’APPRENDIMENTO NELLA SCUOLA 1.1. Introduzione Il verbo apprendere – dal latino ad e prehendere (prendere, afferrare con i sensi, conoscere, impossessarsi di) – significa ottenere conoscenze attraverso la pratica e l’esperienza. Alla luce di questo primo significato potremmo definire l’apprendimento come quel “processo intellettivo attraverso cui l’individuo acquisisce una conoscenza sul mondo che, successivamente, utilizza per strutturare e orientare il proprio comportamento in modo duraturo”132 . L’apprendimento è dunque un cambiamento, un processo mediante il quale si acquisiscono nuove conoscenze e su cui influiscono molteplici aspetti, tra i quali è possibile elencare le strategie cognitive personali, gli stili di apprendimento, le esperienze individuali e collettive, l’ambiente circostante, le informazioni e gli stimoli provenienti dalla realtà esterna. I processi di apprendimento umano, come è facile immaginare, sono stati al centro della ricerca di innumerevoli studiosi e il progressivo evolversi della concezione dell’apprendimento elaborata dalla psicologia educativa può essere rappresentato dal concatenamento di diverse tappe epistemologiche, dalla visione 132 Si tratta di una definizione proposta intorno alla metà del Novecento dallo psicologo statunitense Ernest Hilgard. Cfr., in proposito, V. Eletti, Che cos’è l’e-learning, Carrocci, Roma 2003, p. 28. 5
  • 8. dell’apprendimento come risultato del rafforzamento dello stimolo – frutto, come si vedrà tra breve, degli esperimenti condotti da B.F. Skinner –, passando attraverso la concezione dell’apprendimento, nata tra gli anni Sessanta e Settanta, come acquisizione di conoscenza, fino all’identificazione – propria del costruttivismo di matrice piagetiana – dell’apprendimento come processo di costruzione della conoscenza. Si tratta, nel loro complesso, di teorie di importanza fondamentale, che sollevano innanzitutto l’interrogativo se esista una teoria dell’apprendimento migliore e più efficace delle altre, e se al loro interno possano essere identificati metodi didattici appropriati per applicarle concretamente nel mondo della scuola al fine di dar vita a esperienze di apprendimento significative. Da questo punto di vista, le teorie che hanno maggiormente influenzato lo studio della didattica in epoca contemporanea sono quelle comportamentiste, cognitiviste e costruttiviste. Per fornire un inquadramento concettuale degli argomenti che saranno affrontati in questa tesi si rende necessaria una loro, pur sintetica, presentazione: quest’ultima sarà proposta anche attraverso la descrizione delle tesi di alcuni tra i più influenti autori ascrivibili a una o all’altra scuola di pensiero e renderà evidente, del resto, il radicale cambiamento di prospettiva che ha contrassegnato nel corso degli anni gli studi in materia di apprendimento. 1.2. Il comportamentismo Il comportamentismo nasce nei primi anni del Novecento negli Stati Uniti e descrive le conoscenze e le abilità di un individuo come l’insieme delle risposte date agli stimoli offerti dall’ambiente. I comportamentisti cercano di spiegare le dinamiche dell’apprendimento senza indagare i processi mentali ad esse sottese e parlano di una semplice acquisizione di abitudini che avviene tramite prove ed errori, fino al raggiungimento della risposta corretta. Elemento cardine del processo di apprendimento è in questo senso l’associazione per vicinanza temporale tra rinforzo positivo (ovvero, il premio) e comportamento adeguato. 6
  • 9. In particolare, in base alle teorie comportamentiste, l’obiettivo della scuola e della didattica deve essere quello di plasmare il comportamento degli studenti servendosi di rinforzi. Il modello comportamentista assume, quindi, che lo scopo dell’insegnamento sia quello di trasmettere efficacemente il sapere allo studente, mentre all’insegnante spetta il ruolo di determinare le abilità/capacità che portano al comportamento desiderato assicurandosi al contempo che gli studenti se ne impossessino in modo graduale: l’insegnante si presenta così come un formatore attivo di studenti passivi. Secondo il comportamentismo, un apprendimento si verifica quando si stabilisce una connessione prevedibile tra un segnale nell’ambiente (lo stimolo), un comportamento (la risposta) e una conseguenza (rinforzo). Generato dalla catena di associazioni stimolo-risposta, l’apprendimento è un processo di conoscenza che modifica i comportamenti ed è condizionato dall’insegnamento, inteso come attività organizzata di contenuti/stimoli da trasmettere e di obiettivi misurabili da conseguire. La debolezza di questo metodo risiede nel fatto che lo studente può trovarsi in una situazione in cui lo “stimolo” che dovrebbe portare all’adozione di comportamenti desiderati viene a mancare e, di conseguenza, l’apprendimento non avviene. Il comportamentismo ha segnato una data cruciale per lo sviluppo delle tecnologie didattiche, il 1954, anno di pubblicazione del celebre articolo dello psicologo B. F. Skinner, intitolato The science of learning and the art of teaching133 . In questo saggio seminale, Skinner propone un parallelismo tra gli studi condotti in laboratorio sulle modifiche del comportamento degli animali e le pratiche che possono modificare i processi di insegnamento-apprendimento. Alcuni interpreti del comportamentismo Ivan Petrovič Pavlov (1849-1936) Ivan Petrovič Pavlov, psicologo russo, studiò i riflessi condizionati negli animali: le sue ricerche partirono dai processi digestivi nei cani, interessandosi soprattutto 133 B. F. Skinner, “The science of learning and the art of teaching”, in Harvard Educational Review, vol. 24, n. 2, 1954, pp. 86-97. 7
  • 10. dell’interazione tra salivazione e azione dello stomaco. Egli si accorse che i due fenomeni erano strettamente interconnessi dai riflessi del sistema nervoso autonomo: in assenza di salivazione, lo stomaco non avvertiva lo stimolo a cominciare la digestione.134 Pavlov, successivamente, cercò di verificare se stimoli esterni interferissero con questo processo, così cominciò a suonare un campanello (stimolo condizionante) ogni qualvolta offriva del cibo (stimolo incondizionato) ai cani sottoposti al suo esperimento: notò che i cani, che prima salivavano esclusivamente alla vista del cibo, cominciavano a salivare allo squillo del campanello anche in assenza di cibo. Nel 1903 Pavlov pubblicò i risultati del suo lavoro introducendo il termine “riflesso condizionato” per indicare il fenomeno da lui osservato e chiamò questo processo di apprendimento “condizionamento”; si accorse, inoltre, che il riflesso condizionato si indeboliva se lo stimolo si rivelava troppo spesso falso. Il condizionamento pavloviano, oggi, prende anche il nome di condizionamento “classico” . Edward L. Thorndike (1874-1949) Sulle orme tracciate da Pavlov, Edward L. Thorndike, psicologo dell’educazione statunitense, approfondì l’effetto delle ricompense sul processo di apprendimento. Alla base di quest’ultimo, secondo Thorndike, vi è l’associazione tra le impressioni sensoriali e gli impulsi all’azione, associazione che è diventata nota come “connessione”. Il sistema di Thorndike viene definito, non a caso, connessionismo, dal momento che queste connessioni si rafforzano o si indeboliscono nella formazione o nell’estinzione di abitudini. Nel suo più famoso esperimento, lo studioso nordamericano osserva il comportamento di un gatto affamato rinchiuso all’interno di una gabbia, al di fuori della quale viene posto del cibo. L’animale, dopo diversi tentativi, impara ad azionare il meccanismo che consente di aprire la gabbia e raggiungere il cibo. Le successive ripetizioni dell’esperimento evidenziano che il gatto impiegava sempre meno tempo ad azionare il meccanismo di apertura della sua gabbia. Thorndike ne 134 Cfr. I. Pavlov, I riflessi condizionati, Bollati Boringhieri, Torino 1994. 8
  • 11. dedusse che l’apprendimento si verifica gradualmente, attraverso una serie di “tentativi ed errori” che porta infine al consolidamento delle reazioni dell’organismo che sono state ricompensate. Egli estese la sua teoria sull’apprendimento animale all’apprendimento umano e in particolare scolastico, verificando che gli studenti sono incoraggiati dai buoni risultati, ma che il peggioramento degli stessi non insegna a correggere i loro errori. L’apprendimento, per Thorndike, obbedisce alla “legge dell’effetto”: quelle risposte che in una data situazione producono effetti soddisfacenti, hanno più probabilità di essere nuovamente prodotte al ripetersi della stessa situazione, mentre le risposte che producono effetti spiacevoli hanno meno probabilità, nella stessa situazione, di essere prodotte di nuovo. Gli studi di Thorndike, si differenziano da quelli di Pavlov poiché, mentre nel condizionamento classico la risposta prodotta dall’animale è un’azione che l’organismo compie automaticamente in seguito a uno stimolo, nel tipo di condizionamento studiato da Thorndike la risposta è un’operazione che l’organismo compie sull’ambiente in vista di uno scopo. Tale condizionamento fu definito da Thorndike “strumentale”.135 John B. Watson (1878-1958) John B. Watson è considerato il fondatore della scuola del comportamentismo (o behaviorismo), che dominò il panorama della psicologia americana tra gli anni Venti e Sessanta. In un suo famoso scritto del 1913136 egli afferma: Datemi una dozzina di bambini sani e normali e consentitemi di organizzare a modo mio l’ambiente in cui educarli. Vi garantisco che poteri trasformare ognuno di loro in un qualsiasi tipo di specialista – dottore, avvocato, artista, commerciante e, perché no?, anche mendicante e ladro, indipendentemente dal loro talento, dalle loro inclinazioni, dalle loro tendenze, abilità e orientamenti e dalla razza dei genitori. 135 Cfr., in proposito, la presentazione delle tesi di Thorndike in P. Gray, Psicologia, Zanichelli, Bologna 1997, pp. 160 ss. 136 J. B. Watson, “Psychology as the behaviourist views it”, in Psychological Review, vol. 20, 1913, pp. 158-177. La traduzione italiana di questo fondamentale articolo si trova in N. Dazzi e L. Mecacci (a cura di), Storia antologica della psicologia, Giunti, Firenze 2001, con il titolo La psicologia dal punto di vista del comportamentista. 9
  • 12. Confesso che nel rilasciare tale affermazione vado al di là dei fatti empiricamente accertati, ma nello stesso modo si sono comportati i sostenitori della tesi contraria che è stata portata avanti per millenni. Vi prego di tenere presente che, nel caso in cui si voglia condurre questo esperimento, mi si dovrà lasciare ampia libertà di programmare come io desidero il modo in cui educare i bambini e il tipo di ambiente nel quale dovranno vivere.137 Watson fu uno dei primi psicologi a studiare l’apprendimento nell’uomo avvalendosi dei metodi pavloviani e dimostrando come sia possibile indurre nell’essere umano una determinata risposta emotiva attraverso il condizionamento. Durante un suo esperimento, riuscì a condizionare un bambino di undici mesi d’età di nome Albert ad avere paura di un ratto bianco. Inizialmente Albert non era impaurito dal ratto, ma Watson cominciò a produrre un rumore molesto ogni volta che il bambino lo toccava. Albert, spaventato dal rumore, divenne ben presto condizionato ad aver paura del ratto e ad evitarlo.138 Burrhus Frederic Skinner (1904-1990) Lo psicologo statunitense Burrhus F. Skinner, in una sua opera del 1957 intitolata Verbal Behavior, scrive: “gli uomini agiscono sul mondo mutandolo e, a loro volta, vengono mutati dalle conseguenze delle loro azioni”139 ; da ciò si deduce che “è essenziale capire che un allievo non assorbe passivamente il sapere, ma che deve giocare un ruolo attivo e che questo ruolo attivo non si risolve nel parlare. Sapere significa agire con efficacia, contemporaneamente sia sul piano verbale che su quello non verbale.”140 Chi apprende, secondo questa prospettiva, agisce sull’ambiente che lo circonda e le reazioni che seguono, positive o negative, sono le fonti stesse dell’apprendimento: è l’ambiente che seleziona i comportamenti più o meno funzionali, e le reazioni dell’ambiente alle azioni umane sono un segnale che rinforza o scoraggia i diversi modi di agire. Per Skinner, l’idea di fondo del 137 La citazione di questo significativo passo di Watson è ripresa da L. Mecacci, (a cura di), Watson, Il Mulino, Bologna 1977, p. 111. 138 Cfr. in proposito, Gray, Psicologia, op. cit., p. 156. 139 B. F. Skinner, Il comportamento verbale, Armando, Roma 1976, p. 47. 140 B. F. Skinner, La tecnologia dell’insegnamento, La Scuola, Brescia 1970, p. 44. 10
  • 13. comportamentismo “è che sia possibile indurre un apprendimento, inteso come modifica del comportamento, fornendo opportuni stimoli allo studente. Questi stimoli producono risposte desiderate. Una delle condizioni perché l’apprendimento abbia luogo è che il comportamento provocato venga rinforzato tramite ‘contingenze rafforzative’.”141 Il processo ipotizzato da Skinner è basato pertanto sul concetto di rinforzo, attraverso cui è possibile sviluppare un condizionamento operante in grado di indirizzare l’apprendimento verso gli esiti voluti dall’educatore. Convinto che ogni comportamento sia conseguente a un rapporto stimolo-risposta, Skinner elaborò la teoria del “rinforzo positivo” e del “rinforzo negativo”, secondo cui i rinforzi positivi tendono a rafforzare i comportamenti desiderati, quelli negativi a scoraggiare quelli non desiderati. Il rinforzo sarebbe, dunque, la chiave della produzione e del controllo del comportamento. Intorno agli anni ’40 del secolo scorso egli realizzò una vera e propria sperimentazione didattica che prese il nome di istruzione programmata: questa venne sviluppata attraverso le cosiddette teaching machines, ovvero le macchine per insegnare. Secondo Skinner, infatti, il metodo più efficace per apprendere consisteva nel presentare contenuti secondo una precisa programmazione in grado di stimolare l’apprendimento e favorire la comprensione attraverso l’eliminazione dell’errore. L’istruzione programmata142 si profila quindi come una specifica tecnologia dell’insegnamento che mira a far apprendere conoscenze agli studenti attraverso concetti sempre più complessi, rinforzando esclusivamente i risultati positivi ottenuti. I suoi contenuti sono strutturati in brevi sequenze logiche dette frames, che procedono dalle più semplici e elementari alle più complesse e articolate. Ogni frame, costituito appunto da brevi e immediati concetti da memorizzare, è seguito da un quesito a cui lo studente deve rispondere: nel caso in cui la sua risposta sia esatta, lo studente può passare al frame successivo (rinforzo), se invece risulta errata non viene dato alcun tipo di rinforzo e si ritorna alla fruizione del frame stesso (oppure viene fornito un feedback correttivo). 141 Ibidem. 142 Cfr. in proposito, Eletti, Che cos’è l’e-learning, op. cit., pp. 33 ss. 11
  • 14. In tal senso, le macchine per insegnare ideate da Skinner permettevano di creare le condizioni idonee affinché l’apprendimento si realizzasse: tra le condizioni idonee erano incluse la focalizzazione dell’attenzione dell’allievo su una determinata parte della disciplina da acquisire, la possibilità di rispondere a ogni frame istituzionale e, infine, la conoscenza immediata della correttezza della risposta. 1.3. Il cognitivismo L’evoluzione del comportamentismo e della ricerca sul tema della cognizione hanno delineato una nuova concezione dell’apprendimento, quella cognitivista, che procede a partire da una concezione dell’apprendimento come un processo di elaborazione i cui aspetti chiave sono l’acquisizione, il trattamento e l’immagazzinamento dell’informazione. È possibile sostenere a tal proposito che “un nuovo concetto di apprendimento si è venuto delineando, basato sui risultati della ricerca sui processi cognitivi implicati nell’istruzione condotta in questi due ultimi decenni. In tale processo di rinnovamento – o rifondazione – sono stati ampiamente utilizzati alcuni costrutti-chiave dell’approccio cognitivista: processazione dell’informazione, schema, metacognizione, piano, e altri.”143 Il cognitivismo affonda le proprie radici negli anni ’60 del secolo scorso, allorché si pone al centro della riflessione pedagogica una corrente, denominata Human Information Processing (HIP), basata sull’analogia mente-computer. Secondo tale impostazione, l’individuo agisce in modo attivo nell’ambiente che lo circonda elaborando le informazioni provenienti dall’esterno e producendo artefatti cognitivi e comportamentali. La mente umana viene dunque intesa come un sistema complesso di trattamento e raccolta delle informazioni. Il modello dell’elaborazione delle informazioni si sviluppa in aperto contrasto con le posizioni dei comportamentisti, descrivendo l’apprendimento come una serie di trasformazioni delle informazioni da parte di determinate strutture del nostro cervello. Per questa ragione i computer – il cui funzionamento è caratterizzato da 143 P. Boscolo, Psicologia dell’apprendimento scolastico, Utet, Torino 2001, p. 12. 12
  • 15. meccanismi di ingresso dell’informazione, di uscita del dato elaborato e dal funzionamento della memoria – rivelano una stretta parentela con la mente umana e con i processi cognitivi di scambio di informazioni tra individuo e ambiente. L’apprendimento è dunque frutto della complessa interazione tra fattori interni ed esterni, e in particolare è legato ai processi mentali attraverso cui vengono elaborati gli input esterni. Questa concezione dell’apprendimento come processo costruttivo attivo presume innanzitutto che l’acquisizione di nuove conoscenze produca una modificazione di quelle già possedute. Da questo punto di vista, il comportamento dell’individuo “non è spiegabile semplicemente mediante lo schema stimolo-risposta, ma si organizza attraverso la creazione di schemi concettuali. […]. L’uomo intrattiene un’interazione complessa con l’ambiente, caratterizzata dall’uso di manufatti e utensili e, soprattutto, dal linguaggio e dal pensiero razionale.”144 Sul fronte del riflesso sulla didattica, l’alunno diviene un attivo costruttore delle proprie conoscenze mediante un’attività riflessiva che precede la cognizione: egli compie un confronto tra l’informazione in arrivo e le conoscenze depositate in memoria, diventando consapevole delle proprie conoscenze e delle rispettive modalità di acquisizione. Le abitudini, allora, non si “imparano” e l’apprendimento non avviene per tentativi ed errori, ma attraverso l’articolazione di strutture cognitive. Per quanto riguarda inoltre l’organizzazione della conoscenza, riveste un ruolo importante la nozione di schema. Gli schemi sono “strutture astratte di conoscenza”145 che si formano attraverso la reiterata presentazione di esperienze da cui è possibile astrarre caratteristiche comuni. Gli schemi organizzano e danno senso alle informazioni in arrivo, aiutano a comprenderle e a ricordarle. Secondo il cognitivista David E. Rumelhart e l’ingegnere e psicologo Donald A. Norman (entrambi statunitensi), lo schema può generare tre forme fondamentali di apprendimento: accrescimento, sintonizzazione e ristrutturazione. L’apprendimento come accrescimento si realizza quando si codificano 144 Eletti, Che cos’è l’e-learning, op. cit., pp. 35-36. 145 L. Mandolesi e D. Passafiume, Psicologia e psicobiologia dell’apprendimento, Springer Verlag, Milano 2004, p. 31. 13
  • 16. informazioni nuove sulla base di schemi preesistenti che vengono così arricchiti e ampliati. L’apprendimento come sintonizzatore è invece in gioco quando uno schema progressivamente si affina in seguito a una sua ripetuta applicazione in contesti diversi e si modifica parzialmente per adattarsi meglio alle nuove situazioni. L’apprendimento come ristrutturazione, infine, si verifica quando lo schema vecchio non è adeguato a integrare un’informazione e si rende quindi necessaria la creazione di un nuovo schema.146 In estrema sintesi, dunque, dalla nozione di schema deriva che l’apprendimento si basa sulla conoscenza attraverso un rapporto dinamico e continuo tra ciò che di nuovo acquisiamo e ciò che sappiamo. Le implicazioni didattiche dettate dall’impiego di questa nozione sono numerose e, in particolare, l’interesse principale verte sui processi di acquisizione a partire dall’attenzione assegnata alla situazione di partenza attraverso la verifica delle conoscenze già in possesso degli studenti, al fine di integrare le nuove conoscenze proposte con quelle già esistenti. L’apprendimento per lo studente diviene strategico147 e si inserisce nella tematica dell’insegnare a imparare, dell’insegnamento di abilità oltre che di contenuti, con lo scopo di portare lo studente a gestire il proprio apprendimento puntando in primo luogo sull’autonomia. Da parte sua, l’insegnante può facilitare il percorso meta cognitivo dei discenti attraverso il dialogo educativo, l’esplicitazione e la condivisione consapevole delle strategie di apprendimento. Alcuni interpreti del cognitivismo Jean Piaget (1898-1980) Lo psicologo svizzero Jean Piaget è unanimemente considerato uno dei più innovativi e influenti teorici della psicologia dello sviluppo. Il suo approccio è basato su una epistemologia evolutiva ed è legato all’influenza dei suoi primi studi di zoologia e biologia. Le teorie formulate a partire dagli anni Venti del secolo scorso da Piaget sono rivolte soprattutto alla psicologia dell’età evolutiva e alla psicologia dell’intelligenza e studiano lo sviluppo nell’uomo di concetti e 146 Cfr. R. De Beni, F. Pazzaglia, A. Molin, C. Zamperlin, Psicologia cognitiva dell’apprendimento, Erikson, Trento 2003, p. 20. 147 Ivi, p. 21. 14
  • 17. operazioni logiche dalla nascita all’adolescenza. Come sostiene lo stesso psicologo svizzero, “le conoscenze non derivano né dalla sola esperienza degli oggetti né da una programmazione innata e preformata nel soggetto, ma da costruzioni successive con costante elaborazione di strutture nuove.”148 Per Piaget l’adattamento all’ambiente è l’elemento dinamico del funzionamento cognitivo che media il rapporto tra l’individuo e l’ambiente e si realizza mediante un processo di conoscenza controllato da organizzazioni mentali, gli schemi, che gli individui usano per rappresentare il mondo e programmare le loro azioni. L’adattamento è composto da due processi: l’assimilazione, che implica l’interpretazione degli eventi in termini di strutture cognitive esistenti, e l’accomodamento, che si riferisce a cambiamenti della struttura cognitiva per dare senso all’ambiente. I due processi sono attivi per tutta la loro vita e sono usati dagli individui per aderire alle richieste dell’ambiente. Tramite questa condotta bipolare si produce lo sviluppo degli schemi che portano alla formazione di strutture sempre più complesse; a loro volta, se interiorizzate, queste strutture producono rappresentazioni concettuali. Piaget intende l’apprendimento come un processo dinamico di conquista personale di un soggetto che esplora attivamente il mondo circostante. La sua opera si concentra intorno all’idea di rappresentazione mentale dell’esperienza e porta, negli anni immediatamente successivi, l’attenzione di psicologi e pedagogisti sui processi cognitivi. Secondo Piaget lo sviluppo mentale porta a organizzare gli schemi secondo modalità sempre più complesse e integrate, fino a produrre la mente adulta. Questo processo avviene seguendo tappe ben precise, descritte nella sua celebre teoria degli stadi di sviluppo149 . Tale teoria illustra le diversi fasi del pensiero, qualitativamente differenti l’una dall’altra, attraverso cui il bambino progredisce e si sviluppa. Le tesi piagetiane costituirono una vera e propria rivoluzione epistemologica, dal momento che fino 148 Cfr. J. Piaget, Psicologia e pedagogia, Loescher, Torino 1973, p.11. 149 Cfr. J. Piaget, Lo sviluppo mentale del bambino, Einaudi, Torino 2000. 15
  • 18. ad allora si riteneva generalmente che l’attività cognitiva del bambino fosse la stessa di quella dell’adulto. Piaget affermò invece che lo sviluppo avviene gradualmente e che ogni individuo attraversa una sequenza di cinque diverse fasi qualitative, esposte qui di seguito: 1) Fase senso-motoria (dalla nascita ai due anni circa)150 . Questa fase è a sua volta suddivisa in sei stadi: riflessi innati (dalla nascita al primo mese); reazioni circolari primarie (dal secondo al quarto mese); reazioni circolari secondarie (dal quarto all’ottavo mese); coordinazione mezzi-fini (dall’ottavo al dodicesimo mese); reazioni circolari terziarie (e scoperta di mezzi nuovi mediante sperimentazione attiva, dal dodicesimo al diciottesimo mese); comparsa della funzione simbolica (dal diciottesimo mese in poi). Nella fase senso-motoria l’intelligenza si sviluppa su una base “pratica”, attraverso l’azione. Il bambino ha a disposizione solo un corredo innato di riflessi e le sue percezioni non sono coordinate alle azioni: utilizza i sensi e le abilità motorie per esplorare e relazionarsi con ciò che lo circonda, progredendo gradualmente dal sottostadio dei riflessi e dell’egocentrismo a quello dell’inizio della rappresentazione dell’oggetto e della simbolizzazione, passando attraverso periodi intermedi basati su schemi di azione sempre più complessi. 2) Fase pre-concettuale (dai due ai quattro anni)151 . In questa fase l’atteggiamento del bambino è ancora di tipo egocentrico, poiché non conosce “alternative” alla realtà che personalmente sperimenta. Il linguaggio diventa molto importante dal momento che il bambino impara ad associare le prime parole a oggetti o azioni. Inoltre, il bambino occupa la maggior parte della giornata giocando e imitando le persone che gli sono vicine. In questo modo impara a comportarsi come vogliono gli adulti. 3) Fase del pensiero intuitivo (dai quattro ai sette anni)152 . Entrando nella scuola materna, il bambino amplia la partecipazione e la socializzazione e sperimenta l’esistenza di altre autorità diverse da quella rappresentata dalla figura genitoriale. 150 Cfr. a tal proposito J. Piaget e I. Bärbel, La psicologia del bambino, Enaudi, Torino 1970, pp. 14-45. 151 Ivi, pp. 51-76. 152 Ivi, pp. 81-85. 16
  • 19. La sua capacità di riprodurre mentalmente un avvenimento avviene nell’unica direzione in cui l’avvenimento si è verificato e non è quindi capace di reversibilità. In questa fase assume un’importanza fondamentale lo studio psicologico dei disegni infantili. 4) Fase delle operazioni concrete (da sette a undici anni)153 . Il bambino è ora in grado di coordinare due azioni successive; di prendere coscienza che un’azione resta invariata anche se ripetuta; di passare da una modalità di pensiero analogico a una di tipo induttivo. Fino agli undici anni il bambino è in grado di svolgere solo operazioni concrete, non essendo ancora capace di ragionare su dati presentati in forma puramente verbale. 5) Fase delle operazioni formali (da undici a quattordici anni)154 . Il pre- adolescente acquisisce la capacità del ragionamento astratto, di tipo ipotetico- deduttivo. Egli è in grado di comprendere il valore di certi oggetti e fenomeni, la relatività dei giudizi e dei punti di vista, la parità dei diritti; inoltre è capace di eseguire attività di misurazione e operazioni mentali sui simboli. Naturalmente, il pensiero logico-formale non è ancora quello teorico-scientifico, che si formerà nell’età più adulta. Joseph D. Novak (1932-) Intorno agli anni Sessanta del secolo scorso, Joseph Novak elabora un nuovo strumento didattico di grande efficacia per l’apprendimento, denominato Concept Map155 . Novak definisce le mappe concettuali come “strumenti per la rappresentazione delle conoscenze”156 . Più in generale, una mappa concettuale è una rappresentazione del reticolo di concetti-chiave riguardanti un determinato argomento, con le loro reciproche interconnessioni. La forza di questo strumento- mappa risiede proprio nel modo in cui la conoscenza viene archiviata. Per Novak, infatti, “lo scopo principale dell’educazione è consentire a chi impara di farsi 153 Ivi, pp. 86-96. 154 Ivi, pp. 111-129. 155 J. D. Novak e D. B. Gowin, Imparando ad imparare, SEI, Torino 1989. 156 J. D. Novak, L’apprendimento significativo. Le mappe concettuali per creare e usare la conoscenza, Erickson, Trento 2001, p. 11. 17
  • 20. carico della propria personale costruzione di significato [che] coinvolga pensieri, sentimenti e azioni.”157 In tal senso, il compito dell’educazione è quello di consentire a chi impara di farsi carico della propria personale costruzione di significato: qualsiasi evento educativo rappresenta un’azione condivisa per cercare uno scambio di significati tra alunno e docente. Ogni volta che questi ultimi riescono a concordare e condividere il significato di un’unità di conoscenza, si verifica un apprendimento significativo. Con le parole di Novak, “l’apprendimento significativo è il concetto chiave della nostra teoria dell’educazione”158 e “si verifica quando chi apprende decide di mettere in relazione delle nuove informazioni con le conoscenze che già possiede. La qualità di questo apprendimento dipende anche dalla ricchezza concettuale del nuovo materiale che deve essere imparato”159 . La costruzione di un significato è quindi un processo di sviluppo suscettibile di evoluzione e la mappa, di conseguenza, non è un punto d’arrivo, ma un elemento interno al processo di costruzione della conoscenza. George Armitage Miller (1920-2012) La teoria milleriana dell’apprendimento sostiene che il comportamento sia rappresentabile come un obiettivo guidato: non sono gli stimoli esterni a provocare i nostri atteggiamenti, ma la nostra motivazione, ciò che implica una continua auto-correzione naturale mediante feedback. Nel 1960, in collaborazione con lo psicologo matematico Eugene Galanter e con il neuropsicologo Karl Pribram, Miller formulò il modello TOTE (Test-Operate-Test-Exit, ossia verificare, eseguire, verificare, terminare)160 . L’unità proposta dai tre autori, definita piano di comportamento (o unità TOTE), è articolata in quattro fasi successive: 1) Test: ogni volta che si compie un’attività, si verifica se la situazione di partenza sia congruente con gli obiettivi che ci si pone; 2) Operate: si agisce direttamente o 157 Ivi, p. 20. 158 Ivi, p. 27. 159 Ivi, p. 31. 160 Cfr., G. A. Miller, E. Galanter, K. H. Pribram, Piani e strutture del comportamento, Franco Angeli, Milano 1995. 18
  • 21. si operano delle modifiche nelle condizioni di partenza al fine di adeguarle ai propri obiettivi d’azione; 3) Test: dopo aver agito si riverificano le condizioni alla luce dell’azione precedente, confrontandole con gli obiettivi prefissati; 4) Exit: infine, se il risultato è soddisfacente, si termina il processo e l’unità TOTE è conclusa; altrimenti, in caso di mancato raggiungimento degli obiettivi d’azione, si ritorna alla fase due. Secondo questo schema ogni comportamento umano è il frutto di un permanente processo di verifica retroattiva ed è interpretabile come articolazione di piani di diversa complessità, ordinati gerarchicamente. L’apprendimento consiste quindi per Miller nel raffinamento dell’applicazione dell’unità TOTE ai problemi sempre nuovi posti dall’ambiente e, conseguentemente, nella costante ristrutturazione dei propri sistemi cognitivi a fronte dei problemi da affrontare. 1.4. Il costruttivismo Secondo il paradigma costruttivista, il soggetto assume un ruolo attivo nei processi di costruzione della conoscenza e il suo apprendimento ha una natura processuale che si dispiega inevitabilmente all’interno di una determinata cornice di partecipazione e non nell’isolamento della propria mente: esso trae alimento dalle azioni e dalla pratica, dai processi di negoziazione e co-costruzione dei significati. Il processo di apprendimento, quindi, deve sempre tenere in considerazione il contesto da cui è influenzato; si tratta, di una esperienza culturalmente mediata, in cui giocano un ruolo essenziale le relazioni intersoggettive e le risorse culturali presenti in un dato ambiente.161 Un ulteriore elemento che caratterizza i modelli a impronta costruttivista risiede nell’idea che ogni processo di apprendimento debba intendersi come un processo di negoziazione sociale. In questo senso, gli ambienti di apprendimento dovrebbero essere strutturati in modo da coinvolgere gli studenti nel processo di 161 Cfr. M. Striano, I tempi e i “luoghi” dell’apprendere. Processi di apprendimento e contesti di formazione, Liguori, Napoli 2000. 19
  • 22. costruzione di conoscenza, tenendo presente quattro dimensioni: il contesto, la costruzione, la collaborazione e la conversazione. L’apprendimento diviene assimilabile a un processo attivo attraverso cui gli studenti costruiscono nuove conoscenze nell’interazione e la negoziazione sociale e nella condivisione dei significati. L’obiettivo precipuo degli insegnanti è quello di indirizzare gli studenti lungo il cammino della conoscenza, fornendo loro gli strumenti per sviluppare un confronto attivo e costruttivo, volto a massimizzare i benefici che derivano dall’esperienza d’apprendimento. M. David Merrill, uno dei maggiori esponenti contemporanei nel campo delle tecnologie dell'istruzione, sintetizza così i cinque aspetti più importanti del costruttivismo162 : 1) Sapere come costruzione personale. Il processo di conoscenza è frutto di un’interpretazione costante del mondo che circonda l’individuo. Le informazioni acquisite vengono assimilate e incrementano il processo di apprendimento, processo che è a sua volta alimentato dalle idee e dagli interessi del soggetto. 2) Apprendimento che tenga conto del contesto. Soltanto all’interno del contesto in cui si produce la conoscenza assume un significato proprio. Nell’ottica costruttivista, la conoscenza non può che essere fortemente soggettiva e situata, legata cioè a una particolare e definita cornice di riferimento all’interno della quale si è prodotta. 3) Apprendimento attivo. Le idee e gli interessi degli alunni alimentano il processo di apprendimento, e in questo contesto l’insegnante deve creare situazioni educative e progettare esperienze in cui gli allievi possano giungere in modo autonomo alla conoscenza e alla comprensione della realtà. È necessario insegnare metodi di apprendere, cioè metodi per selezionare le conoscenze, per comprenderle e poi utilizzarle in modo appropriato. 4) Apprendimento collaborativo. Il processo di conoscenza si sviluppa a partire da una condivisione della conoscenza, in un confronto dialettico tra prospettive e punti di vista differenti. È a partire dalla condivisione di prospettive dissonanti e dal contemporaneo cambiamento nelle rappresentazioni interne che l’educazione 162 Cfr. Eletti, Che cos’è l’e-learning, op. cit., p. 43. 20
  • 23. si assume la responsabilità di produrre e promuovere la collaborazione con gli altri, in modo tale che il discente possa giungere a una posizione autonoma. 5) Apprendimento in cui la valutazione sia intrinseca. Dal momento che l’obiettivo dell’insegnamento è far nascere comportamenti e abilità, la valutazione dell’apprendimento non dovrebbe essere un’attività separata, ma una parte integrante e qualificante del processo di costruzione della conoscenza. Con la diffusione del pensiero costruttivista nascono differenti modelli didattici, tra i quali ricordiamo la community of learners, l’apprendistato cognitivo, gli ambienti per l’apprendimento generativo e gli ambienti di apprendimento intenzionale sostenuto dal computer.163 L’espressione community of learners si riferisce a un particolare ambiente di ricerca cooperativa che fa della riflessione problematica sulla conoscenza e della mutua condivisione delle risorse intellettuali il principio ispiratore di ogni attività. L’ambiente è visto come una virtuale intersecazione di zone di sviluppo prossimali (si estende qui il concetto vygoskiano) in cui si vengono a disporre una varietà di impalcature (scaffoldings) che assistono e stimolano un soggetto – lasciando tuttavia forte spazio alla sua responsabilizzazione – costantemente orientato verso il perseguimento della propria autonomia. Il modello dell’“apprendistato cognitivo”, invece, impiega quattro importanti strategie per promuovere la competenza esperta: modelling (l’apprendista osserva e imita il maestro che dimostra come fare); coaching (il maestro assiste continuamente secondo le necessità: dirige l’attenzione su un aspetto, dà feedback, agevola il lavoro…); scaffolding (un aspetto particolare del coaching: il maestro fornisce un appoggio all’apprendista, uno stimolo…); fading (il maestro elimina gradualmente il supporto, in modo tale da offrire a chi apprende uno spazio più ampio di responsabilità). L’“apprendistato cognitivo” assegna maggiore attenzione alla dimensione metacognitiva, agli aspetti del controllo e alla variazione dei contesti di applicazione, mentre l’“apprendimento generativo” valorizza un tipo di istruzione ancorata o situata, in cui cioè i problemi vengono presentati attraverso 163 Cfr. B. M. Varisco, Costruttivismo socio-culturale, Carocci, Roma 2002. 21
  • 24. l’illustrazione di situazioni autentiche, significative, attinte dalla vita reale. Gli studenti sono introdotti nella situazione e propongono mediante la discussione di gruppo vari modi di soluzione personale (per questo gli ambienti sono definiti generativi). L’approccio CSILE (Computer Supported Intentional Learning Environments), basato sulla costruzione della conoscenza, si propone di sviluppare nelle persone competenze che permettano loro di muoversi e agire consapevolmente e creativamente: competenze non legate a un apprendimento fine a se stesso, ma che permettano di utilizzare le conoscenze apprese nel risolvere problemi in situazione. Il problem solving diventa quindi l’aspetto centrale della competenza, il che comporta la capacità di ricombinare le proprie conoscenze o di produrne delle nuove.164 Alcuni interpreti del costruttivismo Lev Semënovič Vygotskij (1896-1934) Per Vygotskij, esponente della scuola della psicologia sovietica, l’apprendimento deve essere congruente tra due livelli di sviluppo del bambino: quello effettivo e quello potenziale. Quando si stabilisce l’età mentale di un bambino con l’aiuto di test, ci si riferisce quasi sempre al livello di sviluppo effettivo. Un semplice controllo dimostra però che questo livello di sviluppo effettivo non indica affatto in modo completo lo stato presente di sviluppo del bambino. […]. Con l’aiuto di domande-guida, esempi e dimostrazioni, un bambino risolve facilmente i test, superando di due anni il suo livello di sviluppo effettivo […]. Ciò che il bambino è in grado di fare con l’aiuto degli adulti lo chiamiamo zona del suo sviluppo potenziale. […]. Ciò che il bambino può fare oggi con l’aiuto degli adulti lo potrà fare da solo domani. L’area di sviluppo potenziale ci permette quindi di determinare i futuri passi del bambino e la dinamica del suo sviluppo.165 Le interazioni sociali, per Vygotskij, comportano un cambiamento continuo del pensiero degli individui e dei loro comportamenti che, pertanto, possono variare 164 Cfr. B. M. Ligorio, Come si insegna, come si apprende, Carocci, Roma 2003. 165 Cfr. U. Avalle e M. Marranzana, Pensare ed educare, Paravia, Torino 2005, p. 235. 22
  • 25. in relazione al contesto culturale entro cui l’individuo vive. Lo sviluppo cognitivo dipende dalle interazioni tra le persone e dagli strumenti che la cultura produce per dare forma alla concezione del mondo delle persone. Le modalità attraverso cui gli strumenti culturali vengono trasmessi tra gli individui sono l’apprendimento imitativo, le indicazioni di un insegnante messe in pratica a scuola, la collaborazione all’interno di un gruppo di pari. L’intervento pedagogico facilita l’apprendimento indipendentemente dal livello di partenza del soggetto, in quanto interviene l’aiuto dell’insegnante che s’inserisce nella zona di sviluppo prossimale, ovvero in quell’area cognitiva di supporto fornita dall’adulto o da pari più capaci nella quale il bambino può spingersi oltre il proprio livello di conoscenza attuale. La zona di sviluppo prossimale consente pertanto di passare da una definizione di scuola come luogo di trasmissione delle conoscenze a una di scuola come ambiente di apprendimento: un luogo in cui gli studenti possono lavorare insieme e aiutarsi a vicenda per imparare a usare una molteplicità di strumenti nel comune perseguimento di obiettivi di apprendimento e di attività di problem solving. 1.5. Conclusioni Dalle tesi ascrivibili all’approccio costruttivista emergono alcune indicazioni fondamentali per lo sviluppo di questa tesi. Innanzitutto, l’apprendimento delle abilità avviene sempre “nel contesto” e i suoi obiettivi si devono collocare in un ambiente reale. In altre parole, gli studenti non apprendono in modo astratto quello che poi andranno ad applicare concretamente. Ne consegue che le varie attività didattiche dovrebbero incanalarsi lungo contesti di apprendimento concreti, ricchi e diversificati al fine di sperimentare, simulare e sviluppare diversi tipi di abilità e competenze sociali e cognitive. Inoltre, invece di concentrarsi sull’identificazione di quali abilità promuovere, è più produttivo approntare adeguati metodi didattici. In particolare, sarebbe auspicabile e opportuno applicare le abilità esistenti in nuovi contesti, cioè operare 23
  • 26. una sistematica variazione dei compiti di apprendimento in modo che gli allievi abbiano la possibilità di verificare con mano come le abilità esistenti possano essere applicate in compiti nuovi e non familiari; fornire agli allievi espliciti feedback sulla qualità del proprio operato e sul proprio modo di ragionare e apprendere; usare contesti di apprendimento basati su problemi, in cui questi ultimi siano efficacemente contestualizzati anziché spezzati astrattamente in elementi separati e artificiali; impiegare il conflitto cognitivo come strategia di apprendimento di ordine superiore; attivare processi induttivi piuttosto che deduttivi, assegnando maggiore importanza ai processi.166 Le teorie costruttiviste dell’apprendimento concordano sugli effetti positivi prodotti dal lavorare assieme. Come si è visto, l’assunto fondamentale è che l’interazione fra gli allievi su obiettivi cognitivi aumenti la padronanza dei concetti critici. Il gruppo di apprendimento e l’interazione con i compagni più capaci assume un’importanza fondamentale alla luce del concetto di “zona di sviluppo prossimo” di Vygotskij: il contatto con i coetanei all’interno di un gruppo di collaborazione consente ai partecipanti di operare reciprocamente all’interno delle proprie zone di sviluppo prossimo, ottenendo nel gruppo comportamenti e risultati più avanzati rispetto a quelli semplicemente conseguibili attraverso le normali attività individuali. Accanto alla necessità di un impianto metodologico-didattico indirizzato allo sviluppo della partecipazione, della responsabilità-autonomia e del pensiero cooperativo, appare prioritaria anche una differente impostazione sui “saperi” in relazione all’esperienza. La nostra scuola ha tradizionalmente privilegiato l’intelligenza analitica, sacrificando quella pratica e creativa e rinunciando in tal modo al contributo di un grande numero di soggetti: le esperienze pratiche e creative godono tuttora di scarsa considerazione e cittadinanza nel nostro sistema educativo-formativo. 166 Per questa ragione numerosi pedagogisti di estrazione piagetiana e vygotskijana hanno rivendicato – e continuano a rivendicare – l’introduzione di attività cooperative nelle scuole, dal momento che dall’interazione fra gli studenti sulla base di obiettivi cognitivi è possibile generare un più elevato livello di apprendimento. Cfr., in proposito, G. Chiari, Educazione interculturale e apprendimento cooperativo: teoria e pratica della educazione tra pari, Quaderni del Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale, Facoltà di Sociologia, Università di Trento, n. 57, giugno 2011. 24
  • 27. In questo senso, emergono le lacune di un modello di didattica dettate dal fatto di aver trascurato alcuni aspetti essenziali che caratterizzano e qualificano il processo dell’apprendimento degli alunni: la partecipazione (dello studente al proprio processo di apprendimento), la responsabilità (nei confronti del proprio lavoro di studente e anche dei propri compagni o colleghi), la riflessione (sul significato del proprio agire dotato di senso e del proprio ruolo di studente), la condivisione (delle proprie idee, informazioni, materiali, dati), il prendersi cura degli altri. Tali categorie tendono ad alimentarsi e rafforzarsi reciprocamente nei modelli didattici fondati sul gruppo di lavoro strutturato e sul team, in cui vengono potenziate sia la produttività del lavoro e l’identità e l’autostima degli studenti partecipanti sia l’altruismo e il senso del rispetto nei confronti del prossimo e della diversità.167 167 Ivi, pp. 8-36. 25
  • 28. SECONDO CAPITOLO TECNOLOGIA E APPRENDIMENTO 2.1. Introduzione A partire dalla seconda metà degli anni ’60 del secolo scorso, con il progredire della tecnologia informatica e l’avvento di nuove generazioni di calcolatori, il computer si è rivelato uno mezzo ideale per progettare e realizzare esperienze didattiche. E nel corso degli ultimi anni, in particolare, anche grazie al suo massiccio impiego, il software didattico ha subito profondi mutamenti: se negli anni ’60 e ’70 si tendeva a concepire il computer come un sostituto dell’insegnante, agli inizi degli anni ’80 si registra invece una graduale e progressiva comparsa, accanto allo strumento ipertesto, di nuovi ambienti di apprendimento capaci di simulare situazioni reali o artificiali, al cui interno lo studente può costruire autonomamente la propria conoscenza. Sulla scia delle indicazioni teoriche finora emerse, in questo capitolo si esaminerà come i modelli di apprendimento precedentemente trattati – il comportamentismo, il cognitivismo e il costruttivismo, appunto – abbiano influenzato l’utilizzo del computer a scopo didattico. Le prime applicazioni del computer in ambito scolastico vedono protagonisti i programmi CAI (Computer Aided Instruction) che, come detto, maturano all’interno della cornice epistemologica del comportamentismo: questi programmi 26
  • 29. privilegiavano un’organizzazione rigorosa dei contenuti, con percorsi rigidamente definiti dalle informazioni da acquisire, ma non si preoccupavano di assicurare interattività, né consideravano la necessità di indirizzarsi alla dimensione sociale dell’apprendimento, ridotto a un rapporto individuale con la macchina. Successivamente, questa concezione tutoriale del computer viene abbandonata a favore di un’impostazione costruttivista, fondata sulla progettazione di veri e propri ambienti di apprendimento diretto – come quello che tratteremo nel prossimo capitolo, ideato nei primi anni ’70 da Seymour Papert con la creazione del linguaggio Logo, un linguaggio di programmazione di grande semplicità che ha portato a una vera e propria rivoluzione nell’uso didattico del computer. Il ruolo svolto dal computer e dalle sue applicazioni in ambito didattico è pertanto profondamente mutato: Robert Taylor (che insegna “Computer and Education” alla Columbia University di New York), descrive dettagliatamente questa evoluzione, impiegando tre termini per distinguere i differenti ruoli che un calcolatore può assumere (e che di fatto ha assunto nel corso del tempo): tutor, tool, tutee.168 Nel primo modello – tutor – il calcolatore sostituisce l’insegnante, presenta allo studente un certo argomento, il quale a sua volta risponde, e il calcolatore valuta la risposta. Il secondo modello – tool – prevede un calcolatore che si fa carico di attività “noiose”, consentendo al discente di concentrarsi meglio sugli aspetti concettuali di ciò che sta imparando; in questa categoria rientrano i programmi di scrittura e di gestione dati. Nel terzo modello – tutee – è il calcolatore a essere l’allievo, mentre lo studente assume il ruolo di tutor. Tramite un linguaggio di programmazione, infatti, lo studente istruisce il calcolatore a comportarsi come lui desidera e, con questo, impara sia a formulare bene ciò che desidera, sia a esaminare criticamente le conseguenze dei suoi errori.169 168 Cfr., in particolare, R. P. Taylor, Introduction, in Id. (ed.), The Computer in the School: Tutor, Tool, Tutee, Teachers College Press, New York 1980, pp. 1-10. 169 Cfr. R. Laschi e A. Riccioni, Calcoltori & formazione. I primi cinquant’anni, Franco Angeli, Milano 2010, p. 55 e ss. 27
  • 30. Una delle caratteristiche importanti delle applicazioni informatiche è inoltre l’interattività del software, un termine sulla cui definizione non sembra esserci ancora molta chiarezza. In questa sede ci riferiamo in particolare alla capacità dell’applicazione di intrattenere una forma di comunicazione con l’utente: si tratta di una caratteristica strutturale che fa leva sulla motivazione e sul coinvolgimento allo scopo di instaurare un rapporto utente-macchina produttivo, orientato alla comunicazione educativa e all’arricchimento dell’utente. Il software didattico di prima generazione, quello tutoriale, riproduceva un rapporto unidirezionale alunno-tutor, un rapporto passivo per il discente; con l’interattività, al contrario, l’alunno esercita un ruolo attivo sia nella selezione delle informazioni sia nell’instaurare un dialogo con la macchina. Nel novero delle diverse tipologie di interattività170 si trovano le simulazioni171 , che in ambito scolastico rappresentano un importante e innovativo strumento di apprendimento. Le simulazioni rappresentano modelli teorici di determinati aspetti della realtà che, a dispetto di quelli tradizionali, non prediligono un linguaggio verbale, ma sono espressi come programmi per computer. Nascono come strumenti nella mani dello scienziato, cioè come strumenti di ricerca per conoscere e capire. Interagendo con una simulazione, lo studente apprende innanzitutto perché osserva sullo schermo del computer i fenomeni mentre si svolgono e cambiano nel tempo e comprende come agire sulle condizioni che nella simulazione fanno avvenire i fenomeni, determinandone le caratteristiche. Nel momento stesso in cui 170 Cfr. D. Parisi, “Le simulazioni e la storia”, in Tecnologie Didattiche, vol. 9, n. 3, 2001, pp. 27- 32. Vale la pena notare che in questo articolo Parisi proponga la seguente modellizzazione delle forme di interattività: interattività degli ipertesti (le informazioni sono divise in blocchi e l’utente decide come spostarsi da un blocco all’altro); interattività sociale (l’utente può comunicare e interagire a distanza con altre persone attraverso internet: posta elettronica, chat, forum, lavagne condivise, ecc.); interattività tutoriale (il computer imita le funzioni dell’insegnante, cioè offre una appropriata successione di materiali didattici, presenta esercizi, domande e problemi, valuta le risposte dello studente, decide cosa fare in base alle risposte, ecc.); interattività della realtà virtuale (che punta a riprodurre nel computer le condizioni che si verificano nella realtà fisica). 171 La simulazione rimanda alla nostra capacità mentale di riprodurre, anticipare e progettare specifici aspetti della realtà in termini sia positivi sia negativi. Cfr. in proposito, L. Anolli e F. Mantovani, Come funziona la nostra mente. Apprendimento, simulazione e Serious Games, Il Mulino, Bologna 2011. 28
  • 31. modifica queste condizioni, il discente-attore può osservare gli effetti delle proprie azioni per così dire in tempo reale. In quest’ottica le simulazioni sono strumenti per comprendere, funzionano come laboratori sperimentali di apprendimento: l’interattività delle simulazioni è un’interattività per comprendere.172 La simulazione è peraltro accessibile anche all’allievo che ha scarsa motivazione a imparare, se il suo canale di apprendimento privilegiato è soltanto linguistico. Un apprendimento – come avviene tradizionalmente a scuola – linguisticamente- verbalmente veicolato è spesso mnemonico, e quindi presto dimenticato, mai pienamente integrato con le potenzialità inespresse dello studente. In tal senso le simulazioni, facendo “vedere” concretamente le cose e rendendo possibile l’agire su di esse (e osservare le conseguenze delle proprie azioni), rendono la conoscenza e la comprensione più significative per il discente che viene messo nella condizione di poter articolare insieme il vedere e il fare.173 Le simulazioni al computer, insieme ai “micromondi” (di cui si parlerà in conclusione di capitolo), costituiscono un modo per realizzare un apprendimento esperienziale, basato sull’azione, in cui si impara facendo, manipolando oggetti e divertendosi. Lavorare a scuola con le simulazioni e i micromondi significa poter fare esperienza di una realtà che viene riprodotta, interagendo con oggetti visualizzati sullo schermo che a loro volta rimandano a una rappresentazione, a una metafora di una realtà divenuta manipolabile in virtù di una serie di funzionalità. L’introduzione del computer consente così alla scuola di riappropriarsi del metodo esperienziale nelle tradizionali attività di insegnamento-apprendimento: il computer rappresenta lo strumento in grado di realizzare ambienti artificiali di apprendimento, predisposti al fine di costituire un campo di possibilità al cui interno l’alunno, immergendovisi, possa costruire in modo attivo la propria conoscenza, ancorandola al contesto in cui si produce. 172 Ivi, p. 15. 173 Cfr. D. Parisi, Simulazioni. La realtà rifatta nel computer, Il Mulino, Bologna 2001. 29
  • 32. 2.2. Il computer nel modello comportamentista L’impiego del computer nella didattica si deve in larga parte alle idee di Sidney Pressey174 e Burrhus F. Skinner175 , e in particolare all’istruzione programmata e alle cosiddette teaching machines (“macchine per insegnare”): grazie a loro queste metodologie vennero utilizzate in modo estensivo per il recupero delle fasce più disagiate dell’utenza scolastica americana. Secondo i due autori, qualsiasi contenuto di apprendimento può essere appreso dall’alunno grazie a una strutturazione progressiva delle nozioni in piccole unità concatenate logicamente, una progressione individualizzata dell’apprendimento e a un rinforzo immediato. Skinner in particolare, con l’aiuto della tecnologia, riteneva possibile eliminare l’errore dai processi di apprendimento, in quanto le macchine per insegnare possono essere programmate in maniera tale da rinforzare positivamente le risposte esatte, puntando sull’estinzione spontanea dei comportamenti non appoggiati, appunto, dal rinforzo positivo. Dalle sue intuizioni nacque negli Stati Uniti – nell’immediato secondo dopoguerra – un nuovo settore disciplinare, l’Education Technology176 , destinato a 174 Intorno alla fine degli anni ’20 del secolo scorso, Sidney Pressey, uno psicologo americano allievo di Thorndike, progettò le teaching machine. La macchina di Pressey aveva l’aspetto di una macchina da scrivere, il cui carrello era corredato di una finestra in cui venivano presentate una domanda e quattro possibili risposte, delle quali una sola era quella giusta. Su un lato del carrello vi erano quattro pulsanti e l’utente era invitato a premere quello corrispondente alla risposta che riteneva esatta. Alla pressione del tasto la macchina registrava la risposta su un contatore situato dietro il carrello e proponeva la successiva domanda. Finita la prova l’utente poteva riesaminare il foglio del contatore per valutare il punteggio ottenuto e gli eventuali errori commessi. Cfr. S. Colazzo, Il computer e la didattica, Almatea, Lecce 2002, p. 13. 175 L’esperienza maturata con gli animali attraverso il condizionamento operante consente a Skinner di individuare alcuni elementi innovativi rispetto alle primitive concettualizzazioni di Pressey. La critica di Skinner alle prime teaching machines verte su un’insufficiente analisi delle fasi di apprendimento e sulla scarsa importanza attribuita ai rinforzi, cioè ai premi. Per un buon insegnamento, Skinner sosteneva che fossero importanti tre comportamenti: 1) iniziare dal punto in cui l’allievo è arrivato, senza dare nulla per scontato; 2) rispettare il ritmo normale di apprendimento di ogni alunno; 3) correggere le risposte sbagliate e gratificare invece quelle esatte. Skinner riteneva quindi che una macchina per insegnare permettesse di “accelerare l’apprendimento” attraverso l’applicazione delle tecniche dell’istruzione programmata, basate sul presupposto che l’apprendimento ha luogo quando il comportamento viene “rinforzato”. Cfr. U. Avalle, Tecnologie e disabilità, in La ricerca, vol. 1. n. 1 (nuova serie), 2012, pp. 24-25. 176 Di “Education Technology”, l’AECT (Association for Educational Communications and Technology) propone nel 2004 la seguente definizione: “L’Education Technology è lo studio e la 30
  • 33. rivoluzionare il campo scolastico, grazie alla realizzazione dei sopra citati sistemi CAI. Questi ultimi erano inizialmente costituiti da programmi molto semplici formati da pagine di solo testo in cui i contenuti, proposti in modo sequenziale, erano suddivisi in unità didattiche al termine delle quali l’allievo doveva rispondere a una serie di test. Da questo tipo di programmazione lineare si passò poi alla programmazione ramificata di Norman Crowder, che propose significative modificazioni alle macchine per insegnare di Skinner.177 Crowder sosteneva che, dal momento che non esiste un solo modo per imparare, le macchine per insegnare dovessero tenere conto della complessità dei processi di apprendimento: partendo dunque dal presupposto che l’apprendimento umano non segue una modalità lineare, ma è soggetto a differenziazioni dovute alle diversità di elementi fondamentali – come competenza, età, sesso, stile cognitivo e bagaglio socioculturale – che caratterizzano ciascun soggetto, Crowder178 architettò tre tipi di percorsi ramificati. Nel primo, lo studente riceveva una spiegazione dell’errore commesso e poteva operare una seconda scelta; nel secondo, l’errore dello studente permetteva di accedere a un sottoprogramma di revisione di unità informative precedenti; nel terzo, lo studente poteva saltare dei frames di conoscenza e accelerare il suo percorso cognitivo. Queste prime applicazioni del computer nel settore educativo muovevano dall’analisi dei compiti degli studenti e dei requisiti necessari per svolgere tali compiti, ma si limitavano a un apprendimento di tipo superficiale in termini di esecuzione, senza approfondire i processi cognitivi alla base. Uno degli aspetti che maggiormente suscitava il riscontro degli insegnanti per questo tipo di pratica eticamente corretta con cui facilitare l’apprendimento e favorire performance grazie al creare, usare e maneggiare, appropriati processi tecnici e risorse.” Il ruolo assunto dall’informatica ha dunque contribuito a modificare il modo d’essere delle tecnologie dell’educazione. A tal proposito, la tecnologia dell’educazione si presenta come una disciplina che studia i cambiamenti prodotti dall’utilizzo dei media nel campo dell’apprendimento e si propone di fornire conoscenze teoriche e strumenti necessari alla progettazione e all’allestimento di sistemi e ambienti formativi in contesti come scuola, azienda e università. Su tutti questi aspetti, cfr. P. G. Rossi, Tecnologia e costruzione di mondi. Post-costruttivismo, linguaggi e ambienti di apprendimento, Armando, Roma 2009, pp. 66 e ss. 177 Cfr. S. Colazzo, Il computer e la didattica, op. cit., pp. 21 e ss. 178 Cfr. N. Crowder, Automatic teaching. The state of the art, John Wiley and Sons, New York 1959. 31
  • 34. software didattico, tuttavia, era la capacità di memorizzare informazioni sugli errori degli alunni da parte della macchina, in modo tale da comprenderne e valutarne le difficoltà. Il superamento del modello comportamentista dell’apprendimento da parte di quello cognitivista comporta innanzitutto l’abbandono della concezione della memoria come funzione ripetitiva e passiva, a favore di un’idea di memoria come attività connessa alla capacità di strutturare conoscenze, cioè di collegare nuove conoscenze dopo uno specifico processo di riconoscimento, selezione e sintesi. Ad ogni modo, dai software tutoriali emerge la prevedibilità e la controllabilità dell’apprendimento da parte dell’insegnante attraverso l’utilizzo di programmi che permettono un dialogo con l’utente all’interno di percorsi prestabiliti. Si genera così un flusso bidirezionale di invio di informazioni da parte del programma e di ricezione di risposte da parte dell’utente. Nel corso degli ultimi anni, questo sussidio didattico ha trovato nuova linfa grazie all’approccio multimediale nell’ambito della formazione a distanza, e in particolare grazie ai Learning Objects: unità elementari di formazione – con i loro contenuti e relative prove di verifica – che possono essere assemblate in lezioni da fruire in rete. 2.3. Il computer nel modello cognitivista L’education technology legata al modello teorico del comportamentismo deve molto al contributo dello psicologo statunitense Robert Mills Gagné179 , che indagò la relazione tra le caratteristiche dell’individuo e le condizioni dell’apprendimento, individuando otto diverse situazioni di apprendimento da lui considerate come “otto insiemi di condizioni sotto le quali si producono dei cambiamenti nelle capacità del soggetto dell’apprendimento”180 . Per garantire l’efficacia di un processo d’apprendimento Gagné sosteneva che, oltre agli aspetti 179 Cfr. R. M. Gagné, Le condizioni dell’apprendimento, Armando, Roma 1996, pp. 58 e ss. 180 Ivi, p. 87. 32
  • 35. interni al soggetto, fosse necessario prestare attenzione agli eventi esterni rispetto alla situazione di apprendimento.181 L’intervento educativo, secondo Gagné, è articolato in diversi momenti che svolgono le seguenti funzioni: attirare, stimolare e controllare l’attenzione, spronare il ricordo delle capacità, valutare la performance, assicurare la ritenzione ovvero il trattenimento o immagazzinamento nel tempo.182 Alcuni di questi principi, in seguito, acquisiranno un ruolo centrale nella progettazione di sistemi ipermediali per la didattica. Il software didattico ipertestuale di matrice cognitivista coinvolge globalmente l’alunno, a livello sia percettivo sia emotivo: esso infatti è caratterizzato da un’organizzazione non lineare delle conoscenze (suddivise in unità informative collegate fra loro) e presenta una molteplicità di percorsi possibili che possono favorire una personalizzazione dell’apprendimento. Le sue caratteristiche fondamentali sono: la multisequenzialità e la multilinearità, che consentono una certa libertà nella fruizione; l’interattività, intesa come capacità di dialogare con l’utente; la multimedialità, che permette di costruire blocchi di informazione testuali in formato audio, video e immagine.183 L’ipertesto può quindi essere visto come una rete di nodi interconnessi da legami: ogni nodo costituisce un nucleo di informazione autonomo e autosufficiente che trasmette il proprio contenuto con codici e linguaggi diversi; ogni legame rappresenta il nesso logico che connette un nodo a un altro. Nel 1945, Vannevar Bush184 , allora direttore dell’Ufficio per la Ricerca e lo Sviluppo Scientifico del Governo statunitense, scrive per la rivista The Atlantic Monthly un articolo fondamentale, dal titolo As We May Think. Un passo dell’articolo recita così: “La mente umana opera per associazione. A partire da un 181 Ivi, p. 45. 182 Ivi, p. 98. 183 Cfr. F. Tommasi, Metodologie informatiche e discipline umanistiche, Carocci, Roma 2008, pp. 143-145. 184 Vannevar Bush, progenitore del concetto di ipertesto, era ingegnere e scienziato, consigliere scientifico del Presidente Roosvelt. Con la realizzazione del “Memex” (Memory Extender), nel 1945, Bush intendeva favorire l’introduzione di una tecnologia capace di supportare i processi associativi della mente umana: ciò significava rompere la continuità lineare del testo, a favore di un approccio che, strutturando le informazioni in unità, consentisse di inanellarle, con una certa libertà, seguendo delle indicazioni di connessione suggerite dall’estensore delle schede. Su questi aspetti, cfr. S. Colazzo, Il computer e la didattica, op. cit., p. 16. 33
  • 36. soggetto salta immediatamente al successivo che è suggerito dall’associazione di pensieri, in accordo ad una qualche ragnatela intricata di cammini realizzata per mezzo delle cellule del cervello. La selezione per associazione, piuttosto che per indicizzazione, può ugualmente essere meccanizzata. Non si può sperare di uguagliare la velocità e la flessibilità con cui la mente umana segue un cammino associativo, ma dovrebbe essere possibile battere la mente quanto a permanenza e chiarezza dei componenti recuperati dalla memoria.”185 In base a ciò, una rappresentazione ipertestuale e ipermediale è simile alla rappresentazione dell’informazione della mente umana e la struttura logica di un ipertesto è simile allo sviluppo della conoscenza, rappresentabile con una mappa concettuale. Non esiste soltanto un collegamento sequenziale tra un concetto e un altro, ma tutti concetti sono tra di loro uniti da una fitta rete di collegamenti. La conoscenza, inoltre, non è chiusa, ma si basa su veri e propri collegamenti fra un oggetto di informazione e un altro. L’ipertesto e l’ipermedia offrono dunque al discente la possibilità di individualizzare l’apprendimento, dal momento che i percorsi seguiti per apprendere un determinato contenuto possono non essere gli stessi e ci si può fermare a diversi livelli di approfondimento, in base agli interessi e delle capacità del fruitore. Il concetto di ipertesto si è peraltro evoluto nel tempo: l’idea di Vannevar Bush di un progetto per l’estensione della memoria umana che desse accesso immediato a grande quantità di testi è stata ripresa da Ted Nelson186 negli anni ’60 per realizzare un dispositivo volto a immagazzinare l’informazione per via elettronica, archiviandola in testi interconnessi in modo tale da poterla utilizzare facilmente. I prodotti ipertestuali impiegati nell’ambito scolastico “incorporano un’esigenza che non era stata soddisfatta con il libro stampato. Il pensiero è essenzialmente attività: si pensa tessendo fili orditi di immagini e parole più volte ricomposti nella continua ricerca di significati […]. Quando la conoscenza è racchiusa nella forma economica del testo stampato essa assume un carattere statico ed è compito 185 V. Bush, “As We May Think”, in The Atlantic Monthly, july 1945, pp. 101-108. 186 Considerato un pioniere del software e un padre della multimedialità (e influenzato dalle tesi di Vannevar Bush), Nelson si è occupato di digitalizzazione dell’informazione e scrittura non- sequenziale, coniando nel 1965 i termini “ipertesto” e “ipermedia”. 34
  • 37. del lettore ricostruire le azioni o le trasformazioni implicite cui le parole alludono. In un libro vivente questa attività della mente viene esplicitata, può assumere un volto concreto […]. I libri viventi come altri prodotti multimediali tendono a favorire un’ulteriore trasformazione, l’avvicinamento tra le funzioni di lettore e di autore. I bambini non solo potranno utilizzare l’applicazione costruita da altri bensì usare le strumentazioni per dar vita ad un prodotto proprio.”187 Dunque, l’ipertestualità e l’ipermedialità si presentano come modi di organizzare i saperi in reti semantiche percorribili secondo logiche diverse. E l’ipertesto, nella sua dimensione informatica, è un programma software per navigare all’interno di una rete di nuclei di informazione, mentre, nella sua dimensione didattica, è un mezzo per produrre e far produrre collegamenti tra conoscenze della stessa disciplina, ma anche tra ambiti disciplinari tradizionalmente separati. Gli ipertesti stimolano gli alunni e favoriscono la loro attenzione e il loro interesse anche quando questi sono stanchi o poco motivati; favoriscono l’apprendimento per concetti più che per nozioni isolate; facilitano la capacità associativa del pensiero, l’aggregazione e l’integrazione delle conoscenze; offrono molteplici percorsi per rendere efficace e personalizzabile l’apprendimento; sviluppano la dimensione metacognitiva. Infine, l’ipertesto può essere utile per inserire conoscenze formalizzate dentro il campo della cultura informale e problematizzarle; sviluppare il pensiero procedurale e il pensiero ideativo- immaginativo; facilitare l’organizzazione dei saperi secondo una logica modulare, utilizzando.188 2.4. Il computer nel modello costruttivista L’interesse suscitato dalle teorie costruttiviste ha portato a focalizzare l’attenzione sui processi cognitivi di esplorazione e costruzione personale che intervengono 187 A. Calvani, “Alla ricerca di una significatività educativa: il bambino autore multimediale”, in Tecnologie Didattiche, vol. 1, n. 3, 1994, p. 12. 188 A. Calvani (a cura di), Tecnologie, scuola, processi cognitivi. Per una ecologia dell’apprendere, Franco Angeli, Milano 2007. 35
  • 38. nell’interazione con il computer, piuttosto che sui contenuti e sul modo di trasmetterli. I sistemi basati sui micromondi189 sono un valido esempio di sistemi progettati sulla base di questo nuovo orientamento costruttivista. Nell’approccio costruttivista il computer diventa infatti il cardine di un grande cambiamento nel modo di fare scuola, trasformandosi da semplice macchina per calcolare in vero e proprio ambiente che consente a ogni discente di esplorare nuovi modelli di apprendimento e di costruire consapevolmente e attivamente le proprie conoscenze. In tal senso, “il computer è una macchina orientata all’apprendimento ‘intenzionale’ attraverso l’esperienza, perché consente di simulare la realtà, cioè di riprodurla in un artefatto tecnologico.”190 Dal punto di vista costruttivista, pertanto, il computer rappresenta una sorta di laboratorio personale al cui interno il discente è in grado di compiere esperienze significative. Horacio C. Reggini191 , interrogandosi sul modo in cui le tecnologie possano aiutare i bambini a trovare migliori modalità di apprendimento, afferma: “l’uso di un computer come ambiente per costruire il proprio sapere offre un ruolo di responsabilità e di creatività all’allievo, che, in questo modo, sviluppa una serie di concetti compatibili con la sua crescita e viene a contatto con le proprie risorse intellettuali, mettendole in pratica in modo spontaneo e induttivo.”192 Reggini propone un nuovo concetto di computer, inteso come estensione della mente: il computer si trasforma in una moderna lampada di Aladino poiché è in grado di trasformare il pensiero formale in pensiero concreto e, quindi, può aiutare i bambini ad acquisire conoscenza in modo più rapido, stimolando in tal modo il loro sviluppo intellettuale. In un ambiente scolastico e/o educativo, grazie all’uso 189 Il micromondo, sviluppato per scopi educativi, è un sistema informatico che sintetizza, in un modello formale, una riproduzione essenziale, ma rigorosa e sufficientemente dettagliata, di un certo dominio di conoscenza. È dotato di funzionalità e di un’interfaccia grafica tali da consentire ad un utente, privo di specifiche conoscenze e competenze informatiche, di manipolare e osservare il comportamento delle variabili che sottostanno al sistema stesso. Si tratta, quindi, di un vero e proprio laboratorio didattico, in cui si può assumere il ruolo di un ricercatore che si pone problemi, fa ipotesi, propone possibilità di soluzione, individua quelle più appropriate alla situazione. Cfr. a tal proposito, M. R. Strollo, Scienze cognitive e aperture pedagogiche. Nuovi orizzonti nella formazione degli insegnanti, Franco Angeli, Milano 2007, pp. 6-7. 190 D. Parisi, “È una macchina di talento: ci restituisce l’esperienza”, in Telma, vol. 12, 1998, p. 24. 191 Reggini, riconosciuto come uno dei più qualificati studiosi dell’applicazione del computer nel campo dell’educazione, ha lavorato presso il Laboratorio d’Intelligenza Artificiale del MIT con Seymour Papert. 192 H. C. Reggini, Logo: ali per la mente, Mondadori, Milano 1984. p. 172. 36
  • 39. del computer, gli alunni riflettono sulle loro conoscenze, difendono le proprie idee, acquistando fiducia in se stessi e la consapevolezza della forza dei loro punti di vista. La mediazione operata dal computer imprime nuovi significati all’apprendimento, strutturando inedite possibilità di interazione tra conoscenza e alunno e modificando le relazioni in classe fra insegnate e allievo e fra allievo e allievo. È all’interno di questo contesto teorico e applicativo che Seymour Papert193 introduce il concetto di micromodo: un ambiente di simulazione basato sull’apprendimento per scoperta. La specificità del micromondo è la sua capacità di stimolare attività di problem solving negli alunni, che – all’interno di un determinato dominio di conoscenza, spesso astratto e formale – attraverso l’esplorazione e la manipolazione di rappresentazioni concrete elaborano e utilizzano concetti matematici per affrontare la soluzione di un problema, “costruendo” così la loro conoscenza: “il computer può essere considerato un potente strumento all’interno di un ambiente di apprendimento: il computer è visto non solo come potente risorsa per realizzare un compito, ma [è] in grado di trasformare il compito stesso, e al tempo stesso di trasformare il rapporto dell’utente alla conoscenza sottostante.”194 In questa prospettiva assume un ruolo centrale l’analisi degli oggetti (risorse operative di base) che vengono messi a disposizione dell’utente attraverso l’interfaccia del sistema. Papert li ha definiti oggetti transizionali195 , ovvero oggetti di confine fra ciò che è concreto e direttamente manipolabile e ciò che è simbolico e astratto196 . Tuttavia, occorre sottolineare l’assenza di una definizione 193 Matematico, informatico e pedagogista sudafricano, Seymour Papert ha svolto ricerca matematica all’Università di Cambridge dal 1954 al 1958. Dagli anni ’60 lavora al MIT (Massachussets Institute of Technology). Qui, insieme a Marvin Minsky aprì il “Laboratorio di intelligenza artificiale” e creò il linguaggio di programmazione LOGO, avvalendosi anche della collaborazione di Jean Piaget e dei suoi colleghi del Centro d’Epistemologia Genetica dell’Università di Ginevra. Papert ha concepito il computer come una macchina per pensare piuttosto che per insegnare, proponendo l’utilizzo del computer ai bambini sin dai tre anni d’età. 194 C. Hoyles, Developing mathematical knowledge through microworlds, in A. J. Bishop, S. Mellin-Olson, and J. van Dormolen (eds.), Mathematical Knowledge: Its Growth Through Teaching, Kluwer Academic Publishers, Dordrecht 1991. p. 151. 195 Cfr. D. Parmigiani (a cura di), Tecnologie per la didattica. Dai fondamenti dell’antropologia multimediale all’azione educativa, Franco Angeli, Milano 2004, p. 260. 196 Cfr. S. Papert, Mindstorms. Bambini, computers e creatività, Emme, Milano 1984. 37
  • 40. condivisa di “micromondo”: tutt’al più, i ricercatori concordano su una serie di caratteristiche che generalmente vengono considerate necessarie affinché un sistema possa considerarsi tale. In questo senso, un micromondo incorpora nella propria interfaccia un insieme di risorse operative di base che caratterizzano un dominio di conoscenza astratto, sotto forme di primitive (oggetti o funzioni) che possono essere combinate in modi diversi; offre una varietà di modi per raggiungere un obiettivo; permette la diretta manipolazione degli oggetti.197 Alla base delle tesi costruttiviste che evidenziano il ruolo dei micromondi nell’apprendimento c’è l’idea che l’apprendimento migliori se l’alunno è immerso in un argomento ed è motivato a cercare nuova conoscenza e ad acquisire nuove capacità dettate dalle esigenze poste dal problema su cui sta lavorando. La peculiarità dei micromondi è quella di progettare situazioni di apprendimento in cui la conoscenza emerga dall’interazione tra alunni e ambienti. L’esplorazione del micromondo, in particolare, è funzionale e al raggiungimento di due obiettivi: favorire l’evoluzione delle strategie cognitive degli alunni in relazione al compito assegnato e la costruzione di significati che permettano di stabilire una relazione tra i concetti matematici e le loro rappresentazioni. Queste indicazioni sono al centro della riflessione di Celia Hoyles198 in merito all’utilizzo di alcuni micromondi per l’apprendimento della matematica. Secondo Hoyles, l’interazione con il micromondo può mettere in luce due processi complementari: da una parte aiuta la matematica a essere concreta, attraverso la costruzione e la manipolazione, e dall’altra permette di formalizzare l’azione attraverso l’articolazione di astrazioni in situazione.199 Un micromondo, allora, non è semplicemente uno strumento, ma un mezzo di comunicazione simbolica di relazioni matematiche. Di conseguenza il calcolatore può facilitare il processo di apprendimento della matematica attraverso la mediazione di segni. 197 Cfr. J. M. Laborde and R. Strasser, “Cabri-Géomètre: a microworld of geometry for guided discovery learning”, in Zentralblatt fur Didaktik, vol. 90, n. 5, 1990, pp.171-190. 198 C. Hoyles, Microworlds/Schoolworlds: the Transformation of an Innovation, in C. Keitel and K. Ruthven (eds.), Learning from Computers: Mathematics Education and Technology, Springer Verlag, Berlin 1993, pp. 1-17. 199 Cfr. G. Chiappini, “Didattica della matematica e ICT”, in Tecnologie Didattiche, vol. 15, n. 2, 2007, p. 34. 38
  • 41. 2.5. Conclusioni Abbiamo visto come i primi usi didattici del computer siano ispirati ai principi del comportamentismo skinneriano, ovvero a una concezione dell’educazione intesa come esperienza trasmissiva di contenuti disciplinari. All’interno di questa concezione, il computer svolge una funzione didattica puramente prescrittiva e unidirezionale, in sostituzione dell’insegnante. Nel corso del tempo il computer ha assunto una connotazione diversa, divenendo – come è emerso nel paragrafo dedicato all’approccio cognitvista – uno “strumento cognitivo”200 in grado di amplificare, integrare e supportare le funzioni mentali del soggetto in apprendimento. A tal proposito, Jonassen guarda al computer come a uno “strumento per pensare”: l’apprendimento con il computer avviene quando il computer e il relativo software si propongono in modo aperto allo studente, senza imporre proprie strategie, ma aiutandolo nella sua costruzione di conoscenza e configurandosi quindi come strumenti laboratoriali usati per creare, sperimentare, riflettere su contenuti e competenze.201 Nell’ultimo ventennio del secolo scorso, l’impiego di ambienti artificiali come le simulazioni educative e i micromondi hanno cambiato radicalmente il modo di fare educazione. Questo impiego risponde all’esigenza di creare situazioni di apprendimento motivanti, che riproducano processi di apprendimento naturale e forniscano schemi interpretativi flessibili. Si è detto poi che il quadro teorico delle simulazioni educative e dei micromondi sia riconducibile al paradigma costruzionista, e si è ricordato il ruolo svolto da Papert (la cui teoria dell’apprendimento sarà al centro del prossimo capitolo), il quale è tra i primi a comprendere che la multimedialità possa offrire un ampliamento degli oggetti 200 L’espressione tool cognitivo riguarda l’impiego delle tecnologie come “attivatori” o “amplificatori” di processi cognitivi. Lo psicologo americano David H. Jonassen definisce tool cognitivi gli strumenti basati su computer e ambienti di apprendimento che sono stati sviluppati e adattati per funzionare come partner intellettuali con l’alunno allo scopo di impegnare e favorire pensiero critico e apprendimento di alto livello cognitivo. Cfr. A. Calvani (a cura di), Tecnologia, scuola, processi cognitivi. Per una ecologia dell’apprendere, Franco Angeli, Milano 2007, p. 45. 201 D. H. Jonassen, Computers as mindtools for schools. Engaging critical thinking, Prentice Hall, Columbus (OH), 2000. 39
  • 42. programmabili sino al punto da prefigurare, da parte del bambino, la possibilità di creare, interagire, governare “nuovi mondi”202 ben più complessi. Gli ambienti ipermediali, integrando immagini, suoni e animazioni, coinvolgono complessivamente l’alunno e la sua mente – non più vista come deposito statico di informazioni, ma concepita come un sistema complesso, plastico e dinamico – si riflette nell’uso del computer trovandovi conoscenze strutturate e veicolate in modo più naturale. Si creano così ambienti di apprendimento che incorporano ed enfatizzano le strutture reticolari e complesse, razionali ed emotive, che caratterizzano i processi cognitivi: processi che, attraverso l’interattività consentita da questi strumenti, assumono forma esplicita diventando più facilmente osservabili, registrabili e analizzabili.203 Grazie al computer è possibile anche l’azione, dal momento che esso è una macchina intrinsecamente interattiva: agendo sugli oggetti dello schermo del computer, oppure spostandosi da un testo all’altro o da un’immagine all’altra, è possibile “tradurre” il nostro pensiero da sequenziale a ipertestuale, da simbolico-ricostruttivo (centrato sul linguaggio scritto) a percettivo-motorio (centrato sull’esperienza).204 Ed è proprio la manipolazione dei contenuti, la loro costruzione e la visione di immagini a consentire a chi apprende l’esperienza percettivo-motoria: le tecnologie multimediali restituiscono ai sensi quanto la tecnologia della carta stampata toglie. L’avvento del computer e della multimedialità, pertanto, apre la strada per operare in modo percettivo-motorio senza peraltro dover essere in contatto fisico con le cose.205 202 Cfr. a tal proposito, l’intervista “Bambini e adulti a scuola con il computer” rilasciata da Papert a Venezia il 7 marzo del 1997, in www.mediamente.rai.it/home/bibliote/intervis/p/papert.htm, e in particolare la sua risposta alla domanda numero 8, in cui Papert esplicita l’idea dei micro mondi (ultima consultazione, gennaio 2013). Sulle valenze del computer a scuola, si veda ancora un’altra intervista di Papert, “Come sarà la scuola del prossimo millennio”, rilasciata a New York il 4 aprile del 1998, in http://www.mediamente.rai.it/home/bibliote/intervis/p/papert02.htm (ultima consultazione, gennaio 2013). 203 Cfr. T. Lodrini, Didattica costruttivista e ipermedia, Franco Angeli, Milano 2002. 204 Cfr. F. Antinucci, Computer per un figlio. Giocare, apprendere, creare, Laterza, Roma-Bari 1999, pp. 79 e ss. 205 F. Antinucci, La scuola si è rotta. Perché cambiano i modi di apprendere, Laterza, Roma-Bari 2003. 40
  • 43. Il computer attiva i sensi in modo immediato e simultaneo. L’attività multimediale richiama alla memoria l’attività ludica, quell’attività percettivo-motoria che è, appunto, il gioco. L’approccio didattico costruttivista – che, come si è visto, concepisce la conoscenza come prodotto della costruzione attiva di significati da parte dell’alunno – cambia notevolmente il ruolo dell’insegnante, che si trasforma in “costruttore di ambienti di apprendimento”, progettati intenzionalmente per consentire percorsi attivi e consapevoli al cui interno ogni alunno può gestire modi e percorsi, sulla base del proprio stile, interessi e strategie personali. Le diverse potenzialità cognitive e metacognitive che l’uso del computer presuppone possono rimanere latenti finché l’insegnante non le valorizza attraverso il progetto didattico. Occorre pensare alle tecnologie come a potenziali agenti di cambiamento, in grado di influenzare il setting didattico nel suo complesso: l’ambiente fisico, i comportamenti e le relazioni fra i vari attori, i compiti e le attività, il clima relazionale e operativo, le motivazioni e le aspettative e, in ultima istanza, il processo di apprendimento. Attore fondamentale in questo processo non può che essere il docente che, nel suo ruolo di ideatore, costruttore e regista di situazioni di apprendimento, sappia integrare sinergicamente le indicazioni della didattica costruttivista con le potenzialità che la tecnologia offre, riassegnando alla scuola il suo ruolo di ambiente privilegiato e protetto di ricerca-azione sulle metodologie didattiche. 41
  • 44. TERZO CAPITOLO DAL COSTRUTTIVISMO AL COSTRUZIONISMO. LA PEDAGOGIA INFORMATICA DI SEYMOUR PAPERT 3.1. Introduzione All’interno delle istituzioni adibite all’insegnamento, come la scuola e le università, predomina una modalità di apprendimento mediata dalle parole; al di fuori dei luoghi istituzionali, al contrario, predomina un apprendimento diretto, realizzato attraverso l’esperienza che, a differenza di quello basato sul linguaggio, permette di manipolare la realtà e osservarne le conseguenze, traendone una comprensione più profonda. La contrapposizione sopra evidenziata può essere esemplificata ricorrendo alla dicotomia tra le categorie di istruzionismo e costruzionismo. Il primo termine si riferisce a un modello che fornisce il sapere in frammenti, imponendo all’alunno la memorizzazione; il secondo termine, invece, si propone di offrire un “minimo” di insegnamento per ottenere il massimo apprendimento.206 E questo secondo termine ben si associa al modello teorico e pratico proposto da Seymour Papert, che, come vedremo, assegna agli oggetti materiali un ruolo fondamentale nell’articolato percorso della costruzione della conoscenza. 206 Cfr. M. Capponi, Un giocattolo per la mente. L’informatica cognitiva di Seymour Papert, Morlacchi, Perugia 2008, pp. 51-52. 42