Emersione leadership e Accountability Istituzionale. Casi studio di innovazio...
Lobbying 2.0 sb dotmedia210412
1.
2. Cosa fa il lobbista?
Il lobbista fornisce
Informazioni
argomenti
dati
Obiettivo: aiutare il decisore a scegliere in senso favorevole agli interessi
tutelati.
Esercita cioè una pressione ‘tecnica’.
4. From network power to social power
I decison makers istituzionali (parlamento, governo, istituzioni elettive) sono
sempre più deboli.
La “rete di responsabilità” sempre più diffusa – ed irresponsabile!
(Bce, rating agencies, Gazprom, Facebook…).
Il decision making è de-gerarchizzato.
E i cittadini connessi sono sempre più parte di questo processo.
5. Chi fa pressione sul decisore?
I gruppi organizzati – sindacati, ordini
professionali, associazioni di categoria, media…
L’opinione pubblica - che nella dimensione 2.0 è
esogena, rarefatta, de-istituzionalizzata. E - almeno
apparentemente - de-gerarchizzata.
I grassroots pressure groups – gruppo Facebook
consumatori vs Groupon
6. Decisore virtuale vs Decisore reale
Nella rete, i singoli terminali/ricettori si fanno a loro volta
emittenti/generatori.
Il tradizionale rapporto delegante/delegato viene sovvertito:
il delegante acquisisce potere.
In Italia, gli iscritti a Facebook sono oltre 20 milioni.
Questi NON sono ricettori passivi di informazioni ma agenti attivi di
divulgazione e consolidamento di opinioni.
Non agiscono per default: vanno dunque attivati. Come?
8. How to make lobbying work?
Quello che una volta si sarebbe chiamato “quarto potere” – i media - adesso è un potere
socializzato, apparentemente senza padroni.
O con molti padroni.
Un potere in cui il padrone finisce addirittura con l’identificarsi con un popolo intero:
il popolo della rete, appunto.
Come fa il lobbista a formare ed orientare l’opinione pubblica e dunque agire per orientare le
scelte del decisore?
9. From top-down to
social-oriented decision making
La comunicazione social è la nuova weapon of mass instruction del lobbista.
La comunicazione socializzata enzima, e quindi catalizza, la pressione
che, dall’opinione pubblica (sempre più entropizzata) si trasferisce al decisore
finale.
Dai social network di massa (Facebook) l’azione di lobbying procederà per
gradi successivi di influenza verso i gatekeeper dell’informazione (Twitter)
e, attraverso questi, ai depositari della funzione decisionale.
I social media possono ribaltare (dal basso) le decisioni assunte in alto.
10. Fare lobbying in rete
Il Social Power è in grado di vanificare il risultato delle attività di lobby
tradizionale. Come usarlo?
Con Twitter per:
•comunicare con i decisori
•conversare con gli stakeholders
•Attivare i gatekeeper dell’informazione e gli influencer
Con Facebook per:
•dare visibilità ai movimenti grassroots (capacità di influenzare il policy
making)
•diffondere idee
•rendere trasparenti gli interessi rappresentati
•dare paternità ai messaggi
•engage effect - dare potere ai singoli ed alle organizzazioni
Con Pinterest per vendere sogni (e prodotti)
11. Case 1 - Free Web vs Piracy
Sopa (Usa), Acta (Europa), Fava (Padania, Italia) nascono su pressione delle grandi
corporations della proprietà intellettuale – produttori di cinema, musica, videogames, libri.
Facebook e Twitter sono stati i domini della offensiva contro-lobbistica - una lotta ai ‘nuovi
censori’ in difesa della libertà di espressione e circolazione dei contenuti in rete.
Era davvero questa la posta in gioco?
No. Ma non è questo il punto.
Il punto è che una campagna di social lobbying – sostanzialmente l’hashtag #stopsopa - è
stata in grado in un paio di settimane di vanificare il lavoro di pressione compiuto in anni e
con grande dispendio di risorse economiche dalle grandi lobby.
Il Congresso Usa ha bloccato la discussione sullo Stop on piracy act. Le lobby interessate
sono state costrette alla difensiva. I politici hanno dovuto capitolare di fronte alla
paventata minaccia di rappresentare un attentato, anche indiretto, agli inviolabili principi
della Carta costituzionale.
12. Case 2 - Il referendum per l’acqua
pubblica
Sappiamo tutti che oggetto della consultazione referendaria non era affatto la
proprietà del bene, ma quella delle società di gestione. Il decreto
Ronchi, recependo una direttiva europea, introduceva l’obbligo di indizione di
una gara pubblica per l’affidamento della gestione – in via
transitoria, naturalmente – dei servizi pubblici locali, tra cui le reti idriche.
Il referendum si è rivelato un plebiscito – e non c’è nulla di democraticamente
virtuoso in un plebiscito, ancor più se fondato sulla mistificazione dell’oggetto
della decisione.
E tuttavia, anche qui, è stata la potenza virale del messaggio, unita alla virulente
penetranza del medium sociale, a determinare l’orientamento della decisione
popolare.
13. È la fine della lobbying tradizionale?
No!
E prova ne sia la pressione efficacemente esercitata sul Parlamento -
attraverso, dunque, le tradizionali forme di confronto con i decisori -
in occasione della recente approvazione del piano di liberalizzazioni
redatto dal Governo Monti.
14. Lobbying 2.0 free - Taxi & Farmacie
Tassisti e farmacisti sono riusciti a neutralizzare le intenzioni dell’esecutivo, e questo a
dispetto della pessima reputazione e della scarsa incidenza delle loro istanze presso le
opinioni pubbliche diffuse in rete.
Hanno cioè agito esclusivamente sul piano tradizionale, non curandosi affatto della
platea critica della rete.
Perché in questo caso i social network non sono stati decisivi?
Perché la ‘causa’ – la liberalizzazione delle licenze e l’aumento del numero di farmacie
- non era una issue 2.0 sensitive, cioè forte abbastanza da innescare processi di
mobilitazione virale in rete.
È stato saggio, dunque, da parte delle categorie interessate investire sul piano del
Parlamento, ed esclusivamente su quello: la battaglia della comunicazione sarebbe
stata persa comunque, ed in ogni caso non sarebbe stata quella a far vincere loro la
guerra.
15. Lobbying 2.0 engaged - Professional
Day
Le professioni ordinistiche hanno giocato contemporaneamente sui due piani:
istituzionale e mediatico.
Da una parte presentavano al decisore le proprie istanze corporative, dall’altra
‘lavoravano’ l’opinione pubblica sollevando argomenti
razionali, innovativi, meritevoli cioè di attenzione mediatica, così contribuendo non
solo ad alzare il proprio standing pubblico ma anche a facilitare la scelta del
decisore in senso a loro più favorevole.
Emblematico, al riguardo, il Professional Day, un’iniziativa unica nel suo genere
che, oltre a richiamare un’attenzione mediatica inconsueta per una manifestazione
di categoria, ha contribuito a proiettare un’immagine positiva dei
professionisti, come non più una lobby conservativa ma addirittura una sorta di
avanguardia del cambiamento.
16. Communication vs Information
La comunicazione, dunque, più che l’informazione, assume una rilevanza crescente
nell’esercizio della attività di lobbying.
Se da una parte questo favorisce una maggiore partecipazione dei cittadini al
processo decisionale (alla sua parte finale, quanto meno), dall’altra determina la
semplificazione del processo istruttorio, ovvero la riduzione della talvolta
elevatissima complessità tecnica in slogan non più lunghi di 140 caratteri – la
lunghezza massima di un tweet.
17. What is lobbying 2.0 about?
It’s all about
Conversation, not Negotiation
18. Lobbying = Study + Create
Questo complica, o meglio arricchisce, l’esercizio della professione: il
lobbista dovrà infatti essere in grado di elaborare dossier
complessi, monitorare il processo di law e decision making, offrire al
decisore attività di consulenza competente e puntuale ma anche
padroneggiare i meccanismi di creazione e diffusione delle opinioni
socializzate.
Oltre che un secchione, quindi, per fare bene il suo mestiere il lobbista
dovrà essere anche – e sempre più – un creativo.
19. credits
Presentation by simona bonfante
@kuliscioff
@dotcafe
Firenze, 21 aprile 2012