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EUGENIO MONTALE
Biografia
Nasce a Genova nel 1896 da un’agiata famiglia della media borghesia (il padre è titolare di una ditta
importatrice di prodotti chimici). Trascorre gli anni dell’infanzia e dell’adolescenza fra Genova e
Monterosso, nelle Cinque Terre, dove i Montale possiedono una villa. Nel 1917 porta a termine gli studi
di ragioneria, più brevi e meno impegnativi dei lunghi studi classici, che i suoi genitori hanno preferito a
causa della salute malferma del piccolo Eugenio. Montale comincia anche a prendere lezioni di canto
dal maestro Ernesto Sivori (vuole diventare baritono) e a frequentare assiduamente la Biblioteca
comunale, ponendo le basi di una cultura vastissima, perseguita per lo più da autodidatta, con la sola
"guida" della sorella maggiore Marianna (iscrittasi, nel 1916, alla Facoltà di Lettere), appassionata
studiosa di filosofia. Nello stesso anno viene chiamato alle armi: frequenta il corso di allievi ufficiali a
Parma, dove tra altri letterati e scrittori conosce Sergio Solmi, il quale lo introdurrà poi nell’ambiente
degli intellettuali torinesi raccolti intorno a Pietro Gobetti. Viene inviato al fronte in Trentino, prima a
Valmorbia e poi a Rovereto. Al finire della guerra comanderà il campo di prigionia di Lanzo Torinese.
Congedato nel 1918, fa ritorno a Genova, e qui entra in amicizia con il poeta Camillo Sbarbaro, con
Angelo Barile, con Adriano Grande e con altri esponenti della vita letteraria e culturale della città. Nel
1922 collabora a "Primo Tempo", rivista torinese di Giacomo Debenedetti e Sergio Solmi. Nel 1925
collabora anche alla rivista di Piero Gobetti, "Il Baretti". Nello stesso anno firma il Manifesto degli
Intellettuali Antifascisti di Giovanni Amendola e Benedetto Croce. Conosce Roberto Bazlen, singolare
figura di letterato triestino culturalmente aggiornatissimo, il quale fa conoscere a Montale le opere di
Svevo: sono proprio gli articoli montaliani sulla narrativa sveviana pubblicati fra il 1925 e il 1926 a dare
inizio alla fortuna critica italiana ed europea di Svevo. Dopo la morte tragica, nel 1926, di Piero Gobetti,
esule a Parigi per le persecuzioni fasciste, stringe amicizia con Italo Svevo, con il quale intratterrà un
importante carteggio. A Trieste, ospite di Svevo, conosce Umberto Saba. In quell'anno collabora ad
importanti riviste come "Il Convegno" e "La Fiera letteraria". Assunto nel '27 come redattore della casa
editrice fiorentina Bemporad, deve quindi trasferirsi a Firenze, in quegli anni vera capitale culturale della
nazione. Nel '29 diventa direttore della Biblioteca del Gabinetto Vieusseux fino a quando è allontanato
dall’incarico perché si è rifiutato di prendere la tessera del Partito fascista. Questi anni sono
caratterizzati da una straordinaria intensità di rapporti umani e culturali: assiduo frequentatore delle
"Giubbe Rosse", il caffè punto d’incontro degli intellettuali fiorentini, Montale conosce, fra gli altri, Elio
Vittorini, Carlo Emilio Gadda, Salvatore Quasimodo, Arturo Loria, Guido Piovene, Gianna Manzini e i
critici Giuseppe de Robertis e Gianfranco Contini. In quegli anni collabora a "Solaria", la rivista di
Carocci, Ferrara e Bonsanti e a "Pegaso", di Ojetti, Pancrazi e De Robertis. Conosce numerosi scrittori
come Vittorini, Gadda, Loria e Drusilla Tanzi, la "Mosca", che diventerà poi sua moglie (allora era
moglie del critico d’arte Matteo Marangoni). Nel '37 è allontanato dal Gabinetto Viesseux. Collabora a
"Campo di Marte" di Gatto e Pratolini e a "Letteratura" di Bonsanti. Dopo l'8 settembre del '43, si iscrive
al Partito d'Azione e lavora per il Comitato Nazionale di Liberazione toscano; nel '45 fonda, con
Bonsanti, Loria e Scavarelli, il quindicinale "Il Mondo", che diresse per due anni. Nel '48, dopo un
periodo di collaborazione alla "Nazione", si trasferisce a Milano, dove lavora come redattore al "Corriere
della Sera" (cui ha cominciato a collaborare nel 1946) e critico musicale del "Corriere
dell’informazione". Nel 1967 è nominato a senatore a vita. Nel 1975 ottiene il premio Nobel. Aveva già
ricevuto la laurea honoris causa dalle Università di Milano e di Roma. Fino agli ultimi anni continua a
vivere, solo (la moglie era morta già nel 1963), a Milano, città che prediligeva perché anonima e
discreta. Muore il 12 settembre 1981.

Formazione
Sebbene per lui, ai più lunghi studi classici, vengano preferiti quelli tecnici, a causa della sua salute
precaria, e nel 1915 venga iscritto all'Istituto tecnico commerciale "Vittorio Emanuele", dove si
diplomerà in ragioneria, il giovane Montale ha tutto l'agio di coltivare i propri interessi prevalentemente
letterari, frequentando le biblioteche cittadine e assistendo alle lezioni private di filosofia della sorella
Marianna, iscritta a Lettere e Filosofia.
La sua formazione è dunque quella tipica dell'autodidatta, che scopre interessi e vocazione attraverso
un percorso libero da condizionamenti che non siano quelli della sua stessa volontà e dei limiti
personali. Letteratura (Dante in primo luogo) e lingue straniere sono il terreno in cui getta le prime radici
l'immaginario montaliano; assieme al panorama, ancora intatto, della Riviera ligure di levante:
Monterosso al Mare e le Cinque Terre, dove la famiglia trascorre le vacanze.
In questo periodo di formazione Montale coltiva inoltre la passione per il canto, studiando dal 1915 al
1923 con l'ex baritono Ernesto Sivori, esperienza che lascia in lui un vivo interesse per la musica. La
sua bravura gli farà ricevere nel 1942 una dedica da Tommaso Landolfi, fondatore con altri della rivista
Letteratura su cui pubblicherà alcune poesie lo stesso Montale:

Grande Guerra e primo dopoguerra
Entrato all'Accademia militare di Parma, fa richiesta di essere inviato al fronte, e dopo una breve
esperienza bellica in Vallarsa e Val Pusteria, viene congedato nel 1920.
«Scabri ed essenziali», come egli definì la sua stessa terra, gli anni della giovinezza delimitano in
Montale una visione del mondo in cui prevalgono i sentimenti privati e l'osservazione profonda e
minuziosa delle poche cose che lo circondano – la natura mediterranea e le donne della famiglia. Ma
quel "piccolo mondo" è sorretto intellettualmente da una vena linguistica nutrita di instancabili letture, le
più proficue che si possano desiderare: quelle finalizzate al solo piacere della conoscenza e della
scoperta. E in quella periferia d'Europa, negli stessi anni in cui D'Annunzio rimbomba per tutta la
penisola, Montale ha la fortuna di scoprire non tanto una vocazione di poeta, quanto l'amore per la
poesia.

Avvento del Fascismo
Montale ha scritto relativamente poco: quattro raccolte di brevi liriche, un "quaderno" di traduzioni di
poesia e vari libri di traduzioni in prosa, due volumi di critica letteraria e uno di prose di fantasia. A ciò si
aggiunga la collaborazione al Corriere della sera, ed è tutto. Il quadro è perfettamente coerente con
l'esperienza del mondo così come si costituisce nel suo animo negli anni di formazione, che sono poi
quelli in cui vedono la luce le liriche della raccolta Ossi di seppia. È il momento dell'affermazione del
fascismo, dal quale Montale prende subito le distanze sottoscrivendo nel 1925 il Manifesto degli
intellettuali antifascisti di Benedetto Croce. Montale vive questo periodo nella "reclusione" della
provincia ligure, che gli ispira una visione claustrofobica e impotente della vita di cui non è tuttavia del
tutto consapevole, almeno fino agli anni della maturità, nella nuova stagione dell'impegno civile
neorealista.
L'emarginazione sociale a cui era condannata la classe di appartenenza, colta e liberale, della famiglia,
acuisce nel poeta la percezione del mondo, la capacità di penetrare nelle impressioni che sorgono dalla
presenza dei paesaggi naturali: la solitudine genera il colloquio con le cose, quelle piccole e
insignificanti della riviera ligure, o quella lontana e suggestiva del suo orizzonte, il mare. Una natura
"scarna, scabra, allucinante", e un "mare fermentante" dal richiamo ipnotico, come solo quello
mediterraneo abbacinato dal sole può suscitare. In una vita che appare già sconfitta prima ancora di
cominciare, la natura ispira un sentimento di dignità profonda ed essenziale che è lo stesso che si
prova leggendo le liriche del poeta.

Soggiorno a Firenze
Montale giunge a Firenze nel 1927 per il lavoro di redattore ottenuto presso l'editore Bemporad. Nel
capoluogo toscano gli anni precedenti erano stati decisivi per la nascita della poesia italiana moderna,
soprattutto grazie alle aperture della cultura fiorentina nei confronti di tutto ciò che accadeva in Europa.
Le Edizioni de La Voce; i Canti orfici di Dino Campana (1914); le prime liriche di Ungaretti per Lacerba;
e l'accoglienza che poeti come Vincenzo Cardarelli e Umberto Saba avevano ricevuto presso gli editori
fiorentini: tutto ciò aveva gettato le basi di un profondo rinnovamento culturale che neppure la censura
fascista avrebbe potuto spegnere.
Montale dunque entra silenziosamente, ma con l'impressionante "biglietto da visita" dell'edizione degli
Ossi del '25, nell'officina della poesia italiana. Nel 1929 è chiamato a dirigere il Gabinetto scientifico
letterario G. P. Vieusseux (ne sarà espulso nel 1938 dal fascismo); nel frattempo collabora alla rivista
Solaria, frequenta i ritrovi letterari del caffè Le Giubbe Rosse conoscendovi Carlo Emilio Gadda e Elio
Vittorini, e scrive per quasi tutte le nuove riviste letterarie che nascono e muoiono in quegli anni di
incessante ricerca poetica.In questo contesto provò anche l'arte pittorica imparando dal Maestro Elio
Romano l'impasto dei colori e l'uso dei pennelli.
La vita a Firenze però si trascina per il poeta tra incertezze economiche e fragili rapporti sentimentali; i
suoi "libri della vita" sono Dante e Svevo, coi classici americani; degli innumerevoli altri non parla se
non indirettamente, attraverso le tracce da essi lasciate nella sua opera. Fino al 1948, l'anno del
trasferimento a Milano, egli pubblica le grandi raccolte poetiche Le occasioni e La bufera e altro.
Montale ha dunque coltivato la propria "vena" poetica nell'atmosfera raccolta e amichevole di un mondo
di intellettuali che il fascismo condanna a un deprimente silenzio, non tanto con imposizioni violente
quanto con la forza schiacciante di un conformismo di massa che rende vano ogni tentativo di rivolta e
invisibile la differenza di chi non vuole adattarsi. In questa clausura, il lavoro, l'amicizia e lo scambio
intellettuale sono però profondi e decisivi, tanto che Franco Fortini può dire che la poesia di Montale
(con particolare riferimento proprio agli Ossi e a Le Occasioni) è parsa, a partire dagli anni sessanta, la
più alta di tutto il Novecento italiano.

Soggiorno a Milano
L'ultima tappa del viaggio di Montale nel mondo è Milano (dal 1948 alla morte). Diventato collaboratore
del Corriere della sera, scrive critiche musicali e reportage culturali da vari paesi (fra cui il Medio
Oriente, visitato in occasione del pellegrinaggio di Papa Paolo VI in Palestina). Scrive altresì di
letteratura anglo-americana per la Terza Pagina, avvalendosi della collaborazione preziosa quanto
segreta dell'amico americano Henry Furst (New York, 1893- La Spezia, 1967) il quale gli invia molti
articoli su autori e argomenti richiesti dallo stesso Montale, poi comparsi con minime varianti a firma di
quest'ultimo, sul quotidiano di via Solferino. La vicenda venne rivelata da Mario Soldati nel racconto
"Due amici", per l'appunto Montale e Furst, nel volume "Rami secchi" edito presso Rizzoli nel novembre
1989 e soprattutto, prim'ancora dell'uscita di tale volume, da Marcello Staglieno, con la pubblicazione
su un'intera Terza Pagina del "Giornale" diretto da Montanelli di alcune delle lettere inedite di Montale
all'amico (avute anni prima dalla vedova di Furst, la scrittrice Orsola Nemi), lettere che comprovavano
tale vicenda non propriamente elegante per Montale, ripresa con un certo clamore da tutta la stampa
italiana (si veda Marcello Staglieno, a cura di, "«Enrico aiutami: è una vita impossibile», lettere inedite
di Eugenio Montale a Henry Furst", in "Il Giornale", 24 ottobre 1989, p.3, che comprende la prosa
poetica montaliana, dedicata a Furst, "Il lieve tintinnìo del collarino", 1943).
Per tornare al "viaggiare" , esso non è parte dell'immaginario poetico montaliano; non per nulla
l'antologia dei suoi reportage porta il titolo di Fuori di casa (1969). Il mondo di Montale è la "trasognata
solitudine" (A. Marchese) del suo appartamento milanese di via Bigli.
Questo poeta, che ha cantato il mare e l'ultima donna-angelo della poesia italiana, è "della razza di chi
rimane a terra": non è l'infinito il suo mondo, né del mare né del cielo, ma il mistero indecifrabile, e forse
inesistente, degli oggetti quotidiani che accompagnano il disincanto di un poeta che non vuole dirsi tale.
Ultimi anni
Le ultime raccolte di versi, Xenia (dedicata alla moglie Drusilla Tanzi, dopo la morte di lei nel 1963),
('66), Satura ('71) e Diario del '71 e del '72 ('73), testimoniano in modo definitivo il distacco del poeta ironico e mai amaro - dalla Vita con la maiuscola: «pensai presto, e ancora penso, che l'arte sia la
forma di vita di chi veramente non vive: un compenso o un surrogato» (Montale, Intenzioni. Intervista
immaginaria, Milano 76). Nel poeta ligure confluiscono quegli spiriti della "crisi" che la reazione antidannunziana aveva generato fin dai Crepuscolari: tutto ciò che era stato scritto con vena ribelle nel
brulicante mondo poetico italiano tra le due guerre, in lui diventa poesia vera ed alta, l'ultima possibile
prima di scoprire altre ragioni per essere poeti. E paradossalmente, il poeta più trasognato e "dimesso"
del novecento italiano, è anche stato il più carico di riconoscimenti ufficiali: lauree ad honorem (Milano
'61, Cambridge '67, Roma '74), nomina a senatore a vita nel '67 e premio Nobel nel '75. Nel pieno del
dibattito civile sulla necessità dell'impegno politico degli intellettuali, Montale continuò ad essere il poeta
più letto in Italia. A testimonianza forse del fatto che il compito della poesia non è mai stato quello di
dare risposte ma di rieducare a guardare il mondo.
Eugenio Montale muore a Milano alle 21.18 del 12 settembre 1981 un mese prima di compiere 85 anni
nella clinica San Pio X dove si trovava ricoverato per problemi derivati da una vascolopatia cerebrale.
Viene sepolto nel cimitero accanto alla chiesa di San Felice a Ema, sobborgo nella periferia sud di
Firenze, accanto alla moglie Drusilla.

Le opere
Le raccolte di versi contengono la storia della sua poesia: Ossi di seppia (1925); Le occasioni (1939);
Finisterre (1943); Quaderno di traduzioni (1948); La bufera e altro (1956); Farfalla di Dinard (1956);
Xenia (1966); Auto da fè (1966); Fuori di casa (1969); Satura (1971); Diario del '71 e del '72 (1973);
Sulla poesia (1976); Quaderno di quattro anni (1977); Altri versi (1980); Diario Postumo (1996); su
quest'ultima opera è stato manifestato il dubbio di non autenticità da parte di alcuni studiosi).

Ossi di Seppia
Il primo momento della poesia di Montale rappresenta la felice affermazione del motivo lirico. Montale,
in Ossi di seppia (1925) edito da Piero Gobetti, attinge l'impossibilità di dare una risposta all'esistenza:
nella lirica Non chiederci la parola (introduzione in Ossi di Seppia), egli afferma che è possibile dire solo
"ciò che non siamo, ciò che non vogliamo", sottolineando la negatività della condizione esistenziale. Lo
stesso titolo dell'opera designa l'esistenza umana, logorata dalla natura, e ormai ridotta ad un oggetto
inanimato, privo di vita. In tal modo Montale capovolge l'atteggiamento fondamentale della poesia: il
poeta non può trovare e dare risposte o certezze; sul destino dell'uomo incombe quella che il poeta,
nella lirica Spesso il male di vivere ho incontrato, definisce "Divina Indifferenza", ciò che non mostra
alcuna partecipazione emotiva nei confronti dell'uomo.
La prima raccolta di Montale uscì nel giugno del 1925 e comprende poesie scritte tra il 1920 e il 1925. Il
libro si presenta diviso in quattro sezioni: "Movimenti", "Ossi di seppia", "Mediterraneo" e "Meriggi"; al
tutto è preposta una poesia, In limine (sulla soglia) che fa da chiave di lettura. Il titolo della raccolta
vuole evocare i relitti che il mare abbandona sulla spiaggia, come gli ossi di seppia che le onde portano
a riva; qualcosa di simile, vuole dirci il poeta, sono le sue poesie; in un'epoca che non permette più ai
poeti di lanciare messaggi, di fornire un'interpretazione compiuta della vita e dell'Uomo, le poesie sono
frammenti di un discorso che resta sottinteso e approdano alla riva del mare come per caso, frutto di
momentanee illuminazioni. Le poesie di questa raccolta traggono lo spunto iniziale da una situazione,
da un episodio della vita del poeta, da un paesaggio, come quello della Liguria, per esprimere temi più
generali: la rottura tra individuo e mondo, la difficoltà di conciliare la vita con il bisogno di verità, la
consapevolezza della precarietà della condizione umana. Si affollano in queste poesie oggetti,
presenze spesso umili che non compaiono solitamente nel linguaggio dei poeti, alle quali Montale
affida, in toni dimessi, la sua analisi negativa del presente ma anche la non rassegnazione, l'attesa di
un miracolo. L'autore esprime spesso ambiguità nel considerare ambienti, cose e personaggi dei quali
sovente si fa una cattiva interpretazione, ad esempio l'amico lontano che viene citato in una lirica di
questa raccolta viene confuso con un'eventuale donna amata dal poeta.
Il manoscritto autografo di Ossi di Seppia è attualmente conservato presso il Fondo Manoscritti
dell'Università di Pavia.

Le occasioni
In Le occasioni (1939) la poesia è fatta di simbolo di analogia, di enunciazioni lontane dall'abbandono
dei poeti ottocenteschi. Il mondo poetico di Montale appare desolato, oscuro, dolente, privo di
speranza; infatti, tutto ciò che circonda il poeta è guardato con pietà e con misurata compassione.
Simbolica la data di pubblicazione, 14 ottobre 1939, poco dopo lo scoppio della seconda guerra
mondiale; i soldati videro in Montale e nel suo atteggiamento passivo una via da seguire.
Il fascicolo di poesie è dedicato a una misteriosa I.B, iniziali della poetessa e studiosa di Dante Irma
Brandeis.
La memoria è sollecitata da alcune "occasioni" di richiamo, in particolare si delineano figure femminili
(per esempio una fanciulla conosciuta in vacanza a Monterosso, Annetta-Arletta), nuove "Beatrici" a cui
il poeta affida la propria speranza.
La figura della donna, soprattutto Clizia, viene perseguita da Montale attraverso un'idea lirica della
donna-angelo, messaggera di Dio. I tratti che servono per descriverla sono rarissimi, ed il desiderio è
interamente una visione dell'amore che si configura come platonico (che è soltanto ideale e non si
traduce nella realtà). Nel contempo il linguaggio si fa meno penetrabile e i messaggi sono sottintesi;
Montale, però non cede all'ermetismo irrazionale, ma riafferma la propria tensione razionale e
sentimentale.
Ne Le occasioni la frase divenne più libera e la riflessione filosofica, che è il pregio maggiore della
poesia di Montale, diviene più vigorosa. Il poeta indaga le ragioni della vita, l'idea della morte,
l'impossibilità di dare una spiegazione valida all'esistenza.

La bufera e altro
Sono componimenti riguardanti temi di guerra e di dolore pubblicati nel 1956.

Xenia e Satura
Negli ultimi anni Montale approfondì la propria filosofia, quasi temesse di non avere abbastanza tempo
"per dire tutto" (sensazione di morire), Xenia (1966) è una raccolta di poesie dedicate alla propria
moglie defunta, Drusilla Tanzi, amorevolmente soprannominata "Mosca" per le spesse lenti degli
occhiali da vista. Il titolo richiama xenia, che nell'antica Grecia erano i doni fatti all'ospite, e che ora
dunque costituirebbero il dono alla propria moglie. Nello stesso anno Montale pubblicò i saggi Auto da
fé, una lucida riflessione sulle trasformazioni culturali in corso.
Le poesie di Xenia furono pubblicate insieme alla raccolta Satura, con il titolo complessivo Satura, nel
gennaio 1971. «Con questo libro - scrive Marco Forti nel risvolto di copertina dell'edizione Mondadori Montale ha sciolto il gran gelo speculativo e riepilogativo della Bufera e ha ritrovato, semmai, la varietà
e la frondosità, la molteplicità timbrica, lo scatto dell'impennata lirica e insieme la "prosa" che, già negli
Ossi di seppia, costituirono la sua sorprendente novità.»

La poetica e il pensiero
Consapevole che la conoscenza umana non può raggiungere l'assoluto, nemmeno tramite la poesia, a
cui spesso si tende ad affidare il ruolo di fonte d'elevazione spirituale per eccellenza, Montale scrive
poesia perché questa possa essere una sorta di strumento/testimonianza d'indagine della condizione
esistenziale dell'uomo novecentesco. A differenza delle allusioni ungarettiane, Montale fa un ampio uso
di idee, di emozioni e di sensazioni più indefinite. Montale cerca una soluzione simbolica in cui la realtà
dell'esperienza diventa una testimonianza di vita. È la negatività esistenziale vissuta dall'uomo
novecentesco dilaniato dal divenire storico. Il poeta, però, vede in alcune immagini una sorta di
speranza contro questa situazione di "male di vivere": ad esempio, il mare (pensando a Ossi di seppia)
e in alcune figure di donne che sono state importanti nella sua vita. La poesia di Montale assume
dunque il valore di testimonianza e un preciso significato morale: Montale esalta lo stoicismo etico di
chi compie in qualsiasi situazione storica e politica il proprio dovere. Montale non credeva all'esistenza
di «leggi immutabili e fisse» che regolassero l'esistenza dell'uomo e della natura; da qui deriva la sua
coerente sfiducia in qualsiasi teoria filosofica, religiosa, ideologica che avesse la pretesa di dare un
inquadramento generale e definitivo, la sua diffidenza verso coloro che proclamavano fedi sicure. Per il
poeta la realtà è segnata da una insanabile frattura fra l'individuo e il mondo, che provoca un senso di
frustrazione e di estraneità, un malessere esistenziale. Questa condizione umana è, secondo Montale,
impossibile da sanare se non in momenti eccezionali, veri stati di grazia istantanei che Montale
definisce miracoli, gli eventi prodigiosi in cui si rivela la verità delle cose, il senso nascosto
dell'esistenza. Montale matura negli anni della giovinezza una visione prevalentemente negativa della
vita, come egli stesso ha dichiarato. Rispetto a questa visione, la poesia si pone per Montale come
espressione profonda e personale della propria ricerca di dignità e del tentativo più alto di comunicare
fra gli uomini. L'opera di Montale è, infatti, sempre sorretta da un'intima esigenza di moralità, ma priva
di qualunque intenzione moralistica: il poeta non si propone come guida spirituale o morale per gli altri;
attraverso la poesia egli tenta di esprimere la necessità dell'individuo di vivere nel mondo accogliendo
con dignità la propria fragilità, incompiutezza, debolezza.
Alcuni caratteri fondamentali del linguaggio poetico montaliano sono i simboli: nella poesia di Montale
compaiono oggetti che tornano e rimbalzano da un testo all'altro e assumono il valore di simboli della
condizione umana, segnata, secondo Montale, dal malessere esistenziale, e dall'attesa di un
avvenimento, un miracolo, che riscatti questa condizione rivelando il senso e il significato della vita. In
Ossi di seppia il muro è il simbolo negativo di uno stato di chiusura e oppressione, mentre i simboli
positivi che alludono alle possibilità di evasione, di fuga e di libertà sono l'anello che non tiene, il varco,
la maglia rotta nella rete. Nelle raccolte successive il panorama culturale, sentimentale e ideologico
cambia e, quindi, risulta nuova anche la simbologia. Per esempio nella seconda raccolta, Le occasioni,
diventa centrale la figura di Clizia, il nome letterario che allude ad una giovane americana (Irma
Brandeis, italianista ed ebrea) amata da Montale[2], che si trasforma in una sorta di angelo dal quale
soltanto è possibile aspettare il miracolo e dal quale dipende ogni residua possibilità di salvezza.

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Eugenio Montale

  • 1. EUGENIO MONTALE Biografia Nasce a Genova nel 1896 da un’agiata famiglia della media borghesia (il padre è titolare di una ditta importatrice di prodotti chimici). Trascorre gli anni dell’infanzia e dell’adolescenza fra Genova e Monterosso, nelle Cinque Terre, dove i Montale possiedono una villa. Nel 1917 porta a termine gli studi di ragioneria, più brevi e meno impegnativi dei lunghi studi classici, che i suoi genitori hanno preferito a causa della salute malferma del piccolo Eugenio. Montale comincia anche a prendere lezioni di canto dal maestro Ernesto Sivori (vuole diventare baritono) e a frequentare assiduamente la Biblioteca comunale, ponendo le basi di una cultura vastissima, perseguita per lo più da autodidatta, con la sola "guida" della sorella maggiore Marianna (iscrittasi, nel 1916, alla Facoltà di Lettere), appassionata studiosa di filosofia. Nello stesso anno viene chiamato alle armi: frequenta il corso di allievi ufficiali a Parma, dove tra altri letterati e scrittori conosce Sergio Solmi, il quale lo introdurrà poi nell’ambiente degli intellettuali torinesi raccolti intorno a Pietro Gobetti. Viene inviato al fronte in Trentino, prima a Valmorbia e poi a Rovereto. Al finire della guerra comanderà il campo di prigionia di Lanzo Torinese. Congedato nel 1918, fa ritorno a Genova, e qui entra in amicizia con il poeta Camillo Sbarbaro, con Angelo Barile, con Adriano Grande e con altri esponenti della vita letteraria e culturale della città. Nel 1922 collabora a "Primo Tempo", rivista torinese di Giacomo Debenedetti e Sergio Solmi. Nel 1925 collabora anche alla rivista di Piero Gobetti, "Il Baretti". Nello stesso anno firma il Manifesto degli Intellettuali Antifascisti di Giovanni Amendola e Benedetto Croce. Conosce Roberto Bazlen, singolare figura di letterato triestino culturalmente aggiornatissimo, il quale fa conoscere a Montale le opere di Svevo: sono proprio gli articoli montaliani sulla narrativa sveviana pubblicati fra il 1925 e il 1926 a dare inizio alla fortuna critica italiana ed europea di Svevo. Dopo la morte tragica, nel 1926, di Piero Gobetti, esule a Parigi per le persecuzioni fasciste, stringe amicizia con Italo Svevo, con il quale intratterrà un importante carteggio. A Trieste, ospite di Svevo, conosce Umberto Saba. In quell'anno collabora ad importanti riviste come "Il Convegno" e "La Fiera letteraria". Assunto nel '27 come redattore della casa editrice fiorentina Bemporad, deve quindi trasferirsi a Firenze, in quegli anni vera capitale culturale della nazione. Nel '29 diventa direttore della Biblioteca del Gabinetto Vieusseux fino a quando è allontanato dall’incarico perché si è rifiutato di prendere la tessera del Partito fascista. Questi anni sono caratterizzati da una straordinaria intensità di rapporti umani e culturali: assiduo frequentatore delle "Giubbe Rosse", il caffè punto d’incontro degli intellettuali fiorentini, Montale conosce, fra gli altri, Elio Vittorini, Carlo Emilio Gadda, Salvatore Quasimodo, Arturo Loria, Guido Piovene, Gianna Manzini e i critici Giuseppe de Robertis e Gianfranco Contini. In quegli anni collabora a "Solaria", la rivista di Carocci, Ferrara e Bonsanti e a "Pegaso", di Ojetti, Pancrazi e De Robertis. Conosce numerosi scrittori come Vittorini, Gadda, Loria e Drusilla Tanzi, la "Mosca", che diventerà poi sua moglie (allora era moglie del critico d’arte Matteo Marangoni). Nel '37 è allontanato dal Gabinetto Viesseux. Collabora a "Campo di Marte" di Gatto e Pratolini e a "Letteratura" di Bonsanti. Dopo l'8 settembre del '43, si iscrive al Partito d'Azione e lavora per il Comitato Nazionale di Liberazione toscano; nel '45 fonda, con
  • 2. Bonsanti, Loria e Scavarelli, il quindicinale "Il Mondo", che diresse per due anni. Nel '48, dopo un periodo di collaborazione alla "Nazione", si trasferisce a Milano, dove lavora come redattore al "Corriere della Sera" (cui ha cominciato a collaborare nel 1946) e critico musicale del "Corriere dell’informazione". Nel 1967 è nominato a senatore a vita. Nel 1975 ottiene il premio Nobel. Aveva già ricevuto la laurea honoris causa dalle Università di Milano e di Roma. Fino agli ultimi anni continua a vivere, solo (la moglie era morta già nel 1963), a Milano, città che prediligeva perché anonima e discreta. Muore il 12 settembre 1981. Formazione Sebbene per lui, ai più lunghi studi classici, vengano preferiti quelli tecnici, a causa della sua salute precaria, e nel 1915 venga iscritto all'Istituto tecnico commerciale "Vittorio Emanuele", dove si diplomerà in ragioneria, il giovane Montale ha tutto l'agio di coltivare i propri interessi prevalentemente letterari, frequentando le biblioteche cittadine e assistendo alle lezioni private di filosofia della sorella Marianna, iscritta a Lettere e Filosofia. La sua formazione è dunque quella tipica dell'autodidatta, che scopre interessi e vocazione attraverso un percorso libero da condizionamenti che non siano quelli della sua stessa volontà e dei limiti personali. Letteratura (Dante in primo luogo) e lingue straniere sono il terreno in cui getta le prime radici l'immaginario montaliano; assieme al panorama, ancora intatto, della Riviera ligure di levante: Monterosso al Mare e le Cinque Terre, dove la famiglia trascorre le vacanze. In questo periodo di formazione Montale coltiva inoltre la passione per il canto, studiando dal 1915 al 1923 con l'ex baritono Ernesto Sivori, esperienza che lascia in lui un vivo interesse per la musica. La sua bravura gli farà ricevere nel 1942 una dedica da Tommaso Landolfi, fondatore con altri della rivista Letteratura su cui pubblicherà alcune poesie lo stesso Montale: Grande Guerra e primo dopoguerra Entrato all'Accademia militare di Parma, fa richiesta di essere inviato al fronte, e dopo una breve esperienza bellica in Vallarsa e Val Pusteria, viene congedato nel 1920. «Scabri ed essenziali», come egli definì la sua stessa terra, gli anni della giovinezza delimitano in Montale una visione del mondo in cui prevalgono i sentimenti privati e l'osservazione profonda e minuziosa delle poche cose che lo circondano – la natura mediterranea e le donne della famiglia. Ma quel "piccolo mondo" è sorretto intellettualmente da una vena linguistica nutrita di instancabili letture, le più proficue che si possano desiderare: quelle finalizzate al solo piacere della conoscenza e della scoperta. E in quella periferia d'Europa, negli stessi anni in cui D'Annunzio rimbomba per tutta la
  • 3. penisola, Montale ha la fortuna di scoprire non tanto una vocazione di poeta, quanto l'amore per la poesia. Avvento del Fascismo Montale ha scritto relativamente poco: quattro raccolte di brevi liriche, un "quaderno" di traduzioni di poesia e vari libri di traduzioni in prosa, due volumi di critica letteraria e uno di prose di fantasia. A ciò si aggiunga la collaborazione al Corriere della sera, ed è tutto. Il quadro è perfettamente coerente con l'esperienza del mondo così come si costituisce nel suo animo negli anni di formazione, che sono poi quelli in cui vedono la luce le liriche della raccolta Ossi di seppia. È il momento dell'affermazione del fascismo, dal quale Montale prende subito le distanze sottoscrivendo nel 1925 il Manifesto degli intellettuali antifascisti di Benedetto Croce. Montale vive questo periodo nella "reclusione" della provincia ligure, che gli ispira una visione claustrofobica e impotente della vita di cui non è tuttavia del tutto consapevole, almeno fino agli anni della maturità, nella nuova stagione dell'impegno civile neorealista. L'emarginazione sociale a cui era condannata la classe di appartenenza, colta e liberale, della famiglia, acuisce nel poeta la percezione del mondo, la capacità di penetrare nelle impressioni che sorgono dalla presenza dei paesaggi naturali: la solitudine genera il colloquio con le cose, quelle piccole e insignificanti della riviera ligure, o quella lontana e suggestiva del suo orizzonte, il mare. Una natura "scarna, scabra, allucinante", e un "mare fermentante" dal richiamo ipnotico, come solo quello mediterraneo abbacinato dal sole può suscitare. In una vita che appare già sconfitta prima ancora di cominciare, la natura ispira un sentimento di dignità profonda ed essenziale che è lo stesso che si prova leggendo le liriche del poeta. Soggiorno a Firenze Montale giunge a Firenze nel 1927 per il lavoro di redattore ottenuto presso l'editore Bemporad. Nel capoluogo toscano gli anni precedenti erano stati decisivi per la nascita della poesia italiana moderna, soprattutto grazie alle aperture della cultura fiorentina nei confronti di tutto ciò che accadeva in Europa. Le Edizioni de La Voce; i Canti orfici di Dino Campana (1914); le prime liriche di Ungaretti per Lacerba; e l'accoglienza che poeti come Vincenzo Cardarelli e Umberto Saba avevano ricevuto presso gli editori fiorentini: tutto ciò aveva gettato le basi di un profondo rinnovamento culturale che neppure la censura fascista avrebbe potuto spegnere. Montale dunque entra silenziosamente, ma con l'impressionante "biglietto da visita" dell'edizione degli Ossi del '25, nell'officina della poesia italiana. Nel 1929 è chiamato a dirigere il Gabinetto scientifico letterario G. P. Vieusseux (ne sarà espulso nel 1938 dal fascismo); nel frattempo collabora alla rivista Solaria, frequenta i ritrovi letterari del caffè Le Giubbe Rosse conoscendovi Carlo Emilio Gadda e Elio Vittorini, e scrive per quasi tutte le nuove riviste letterarie che nascono e muoiono in quegli anni di
  • 4. incessante ricerca poetica.In questo contesto provò anche l'arte pittorica imparando dal Maestro Elio Romano l'impasto dei colori e l'uso dei pennelli. La vita a Firenze però si trascina per il poeta tra incertezze economiche e fragili rapporti sentimentali; i suoi "libri della vita" sono Dante e Svevo, coi classici americani; degli innumerevoli altri non parla se non indirettamente, attraverso le tracce da essi lasciate nella sua opera. Fino al 1948, l'anno del trasferimento a Milano, egli pubblica le grandi raccolte poetiche Le occasioni e La bufera e altro. Montale ha dunque coltivato la propria "vena" poetica nell'atmosfera raccolta e amichevole di un mondo di intellettuali che il fascismo condanna a un deprimente silenzio, non tanto con imposizioni violente quanto con la forza schiacciante di un conformismo di massa che rende vano ogni tentativo di rivolta e invisibile la differenza di chi non vuole adattarsi. In questa clausura, il lavoro, l'amicizia e lo scambio intellettuale sono però profondi e decisivi, tanto che Franco Fortini può dire che la poesia di Montale (con particolare riferimento proprio agli Ossi e a Le Occasioni) è parsa, a partire dagli anni sessanta, la più alta di tutto il Novecento italiano. Soggiorno a Milano L'ultima tappa del viaggio di Montale nel mondo è Milano (dal 1948 alla morte). Diventato collaboratore del Corriere della sera, scrive critiche musicali e reportage culturali da vari paesi (fra cui il Medio Oriente, visitato in occasione del pellegrinaggio di Papa Paolo VI in Palestina). Scrive altresì di letteratura anglo-americana per la Terza Pagina, avvalendosi della collaborazione preziosa quanto segreta dell'amico americano Henry Furst (New York, 1893- La Spezia, 1967) il quale gli invia molti articoli su autori e argomenti richiesti dallo stesso Montale, poi comparsi con minime varianti a firma di quest'ultimo, sul quotidiano di via Solferino. La vicenda venne rivelata da Mario Soldati nel racconto "Due amici", per l'appunto Montale e Furst, nel volume "Rami secchi" edito presso Rizzoli nel novembre 1989 e soprattutto, prim'ancora dell'uscita di tale volume, da Marcello Staglieno, con la pubblicazione su un'intera Terza Pagina del "Giornale" diretto da Montanelli di alcune delle lettere inedite di Montale all'amico (avute anni prima dalla vedova di Furst, la scrittrice Orsola Nemi), lettere che comprovavano tale vicenda non propriamente elegante per Montale, ripresa con un certo clamore da tutta la stampa italiana (si veda Marcello Staglieno, a cura di, "«Enrico aiutami: è una vita impossibile», lettere inedite di Eugenio Montale a Henry Furst", in "Il Giornale", 24 ottobre 1989, p.3, che comprende la prosa poetica montaliana, dedicata a Furst, "Il lieve tintinnìo del collarino", 1943). Per tornare al "viaggiare" , esso non è parte dell'immaginario poetico montaliano; non per nulla l'antologia dei suoi reportage porta il titolo di Fuori di casa (1969). Il mondo di Montale è la "trasognata solitudine" (A. Marchese) del suo appartamento milanese di via Bigli. Questo poeta, che ha cantato il mare e l'ultima donna-angelo della poesia italiana, è "della razza di chi rimane a terra": non è l'infinito il suo mondo, né del mare né del cielo, ma il mistero indecifrabile, e forse inesistente, degli oggetti quotidiani che accompagnano il disincanto di un poeta che non vuole dirsi tale.
  • 5. Ultimi anni Le ultime raccolte di versi, Xenia (dedicata alla moglie Drusilla Tanzi, dopo la morte di lei nel 1963), ('66), Satura ('71) e Diario del '71 e del '72 ('73), testimoniano in modo definitivo il distacco del poeta ironico e mai amaro - dalla Vita con la maiuscola: «pensai presto, e ancora penso, che l'arte sia la forma di vita di chi veramente non vive: un compenso o un surrogato» (Montale, Intenzioni. Intervista immaginaria, Milano 76). Nel poeta ligure confluiscono quegli spiriti della "crisi" che la reazione antidannunziana aveva generato fin dai Crepuscolari: tutto ciò che era stato scritto con vena ribelle nel brulicante mondo poetico italiano tra le due guerre, in lui diventa poesia vera ed alta, l'ultima possibile prima di scoprire altre ragioni per essere poeti. E paradossalmente, il poeta più trasognato e "dimesso" del novecento italiano, è anche stato il più carico di riconoscimenti ufficiali: lauree ad honorem (Milano '61, Cambridge '67, Roma '74), nomina a senatore a vita nel '67 e premio Nobel nel '75. Nel pieno del dibattito civile sulla necessità dell'impegno politico degli intellettuali, Montale continuò ad essere il poeta più letto in Italia. A testimonianza forse del fatto che il compito della poesia non è mai stato quello di dare risposte ma di rieducare a guardare il mondo. Eugenio Montale muore a Milano alle 21.18 del 12 settembre 1981 un mese prima di compiere 85 anni nella clinica San Pio X dove si trovava ricoverato per problemi derivati da una vascolopatia cerebrale. Viene sepolto nel cimitero accanto alla chiesa di San Felice a Ema, sobborgo nella periferia sud di Firenze, accanto alla moglie Drusilla. Le opere Le raccolte di versi contengono la storia della sua poesia: Ossi di seppia (1925); Le occasioni (1939); Finisterre (1943); Quaderno di traduzioni (1948); La bufera e altro (1956); Farfalla di Dinard (1956); Xenia (1966); Auto da fè (1966); Fuori di casa (1969); Satura (1971); Diario del '71 e del '72 (1973); Sulla poesia (1976); Quaderno di quattro anni (1977); Altri versi (1980); Diario Postumo (1996); su quest'ultima opera è stato manifestato il dubbio di non autenticità da parte di alcuni studiosi). Ossi di Seppia Il primo momento della poesia di Montale rappresenta la felice affermazione del motivo lirico. Montale, in Ossi di seppia (1925) edito da Piero Gobetti, attinge l'impossibilità di dare una risposta all'esistenza: nella lirica Non chiederci la parola (introduzione in Ossi di Seppia), egli afferma che è possibile dire solo "ciò che non siamo, ciò che non vogliamo", sottolineando la negatività della condizione esistenziale. Lo stesso titolo dell'opera designa l'esistenza umana, logorata dalla natura, e ormai ridotta ad un oggetto inanimato, privo di vita. In tal modo Montale capovolge l'atteggiamento fondamentale della poesia: il poeta non può trovare e dare risposte o certezze; sul destino dell'uomo incombe quella che il poeta, nella lirica Spesso il male di vivere ho incontrato, definisce "Divina Indifferenza", ciò che non mostra alcuna partecipazione emotiva nei confronti dell'uomo.
  • 6. La prima raccolta di Montale uscì nel giugno del 1925 e comprende poesie scritte tra il 1920 e il 1925. Il libro si presenta diviso in quattro sezioni: "Movimenti", "Ossi di seppia", "Mediterraneo" e "Meriggi"; al tutto è preposta una poesia, In limine (sulla soglia) che fa da chiave di lettura. Il titolo della raccolta vuole evocare i relitti che il mare abbandona sulla spiaggia, come gli ossi di seppia che le onde portano a riva; qualcosa di simile, vuole dirci il poeta, sono le sue poesie; in un'epoca che non permette più ai poeti di lanciare messaggi, di fornire un'interpretazione compiuta della vita e dell'Uomo, le poesie sono frammenti di un discorso che resta sottinteso e approdano alla riva del mare come per caso, frutto di momentanee illuminazioni. Le poesie di questa raccolta traggono lo spunto iniziale da una situazione, da un episodio della vita del poeta, da un paesaggio, come quello della Liguria, per esprimere temi più generali: la rottura tra individuo e mondo, la difficoltà di conciliare la vita con il bisogno di verità, la consapevolezza della precarietà della condizione umana. Si affollano in queste poesie oggetti, presenze spesso umili che non compaiono solitamente nel linguaggio dei poeti, alle quali Montale affida, in toni dimessi, la sua analisi negativa del presente ma anche la non rassegnazione, l'attesa di un miracolo. L'autore esprime spesso ambiguità nel considerare ambienti, cose e personaggi dei quali sovente si fa una cattiva interpretazione, ad esempio l'amico lontano che viene citato in una lirica di questa raccolta viene confuso con un'eventuale donna amata dal poeta. Il manoscritto autografo di Ossi di Seppia è attualmente conservato presso il Fondo Manoscritti dell'Università di Pavia. Le occasioni In Le occasioni (1939) la poesia è fatta di simbolo di analogia, di enunciazioni lontane dall'abbandono dei poeti ottocenteschi. Il mondo poetico di Montale appare desolato, oscuro, dolente, privo di speranza; infatti, tutto ciò che circonda il poeta è guardato con pietà e con misurata compassione. Simbolica la data di pubblicazione, 14 ottobre 1939, poco dopo lo scoppio della seconda guerra mondiale; i soldati videro in Montale e nel suo atteggiamento passivo una via da seguire. Il fascicolo di poesie è dedicato a una misteriosa I.B, iniziali della poetessa e studiosa di Dante Irma Brandeis. La memoria è sollecitata da alcune "occasioni" di richiamo, in particolare si delineano figure femminili (per esempio una fanciulla conosciuta in vacanza a Monterosso, Annetta-Arletta), nuove "Beatrici" a cui il poeta affida la propria speranza. La figura della donna, soprattutto Clizia, viene perseguita da Montale attraverso un'idea lirica della donna-angelo, messaggera di Dio. I tratti che servono per descriverla sono rarissimi, ed il desiderio è interamente una visione dell'amore che si configura come platonico (che è soltanto ideale e non si traduce nella realtà). Nel contempo il linguaggio si fa meno penetrabile e i messaggi sono sottintesi; Montale, però non cede all'ermetismo irrazionale, ma riafferma la propria tensione razionale e sentimentale.
  • 7. Ne Le occasioni la frase divenne più libera e la riflessione filosofica, che è il pregio maggiore della poesia di Montale, diviene più vigorosa. Il poeta indaga le ragioni della vita, l'idea della morte, l'impossibilità di dare una spiegazione valida all'esistenza. La bufera e altro Sono componimenti riguardanti temi di guerra e di dolore pubblicati nel 1956. Xenia e Satura Negli ultimi anni Montale approfondì la propria filosofia, quasi temesse di non avere abbastanza tempo "per dire tutto" (sensazione di morire), Xenia (1966) è una raccolta di poesie dedicate alla propria moglie defunta, Drusilla Tanzi, amorevolmente soprannominata "Mosca" per le spesse lenti degli occhiali da vista. Il titolo richiama xenia, che nell'antica Grecia erano i doni fatti all'ospite, e che ora dunque costituirebbero il dono alla propria moglie. Nello stesso anno Montale pubblicò i saggi Auto da fé, una lucida riflessione sulle trasformazioni culturali in corso. Le poesie di Xenia furono pubblicate insieme alla raccolta Satura, con il titolo complessivo Satura, nel gennaio 1971. «Con questo libro - scrive Marco Forti nel risvolto di copertina dell'edizione Mondadori Montale ha sciolto il gran gelo speculativo e riepilogativo della Bufera e ha ritrovato, semmai, la varietà e la frondosità, la molteplicità timbrica, lo scatto dell'impennata lirica e insieme la "prosa" che, già negli Ossi di seppia, costituirono la sua sorprendente novità.» La poetica e il pensiero Consapevole che la conoscenza umana non può raggiungere l'assoluto, nemmeno tramite la poesia, a cui spesso si tende ad affidare il ruolo di fonte d'elevazione spirituale per eccellenza, Montale scrive poesia perché questa possa essere una sorta di strumento/testimonianza d'indagine della condizione esistenziale dell'uomo novecentesco. A differenza delle allusioni ungarettiane, Montale fa un ampio uso di idee, di emozioni e di sensazioni più indefinite. Montale cerca una soluzione simbolica in cui la realtà dell'esperienza diventa una testimonianza di vita. È la negatività esistenziale vissuta dall'uomo novecentesco dilaniato dal divenire storico. Il poeta, però, vede in alcune immagini una sorta di speranza contro questa situazione di "male di vivere": ad esempio, il mare (pensando a Ossi di seppia) e in alcune figure di donne che sono state importanti nella sua vita. La poesia di Montale assume dunque il valore di testimonianza e un preciso significato morale: Montale esalta lo stoicismo etico di chi compie in qualsiasi situazione storica e politica il proprio dovere. Montale non credeva all'esistenza di «leggi immutabili e fisse» che regolassero l'esistenza dell'uomo e della natura; da qui deriva la sua coerente sfiducia in qualsiasi teoria filosofica, religiosa, ideologica che avesse la pretesa di dare un inquadramento generale e definitivo, la sua diffidenza verso coloro che proclamavano fedi sicure. Per il poeta la realtà è segnata da una insanabile frattura fra l'individuo e il mondo, che provoca un senso di frustrazione e di estraneità, un malessere esistenziale. Questa condizione umana è, secondo Montale,
  • 8. impossibile da sanare se non in momenti eccezionali, veri stati di grazia istantanei che Montale definisce miracoli, gli eventi prodigiosi in cui si rivela la verità delle cose, il senso nascosto dell'esistenza. Montale matura negli anni della giovinezza una visione prevalentemente negativa della vita, come egli stesso ha dichiarato. Rispetto a questa visione, la poesia si pone per Montale come espressione profonda e personale della propria ricerca di dignità e del tentativo più alto di comunicare fra gli uomini. L'opera di Montale è, infatti, sempre sorretta da un'intima esigenza di moralità, ma priva di qualunque intenzione moralistica: il poeta non si propone come guida spirituale o morale per gli altri; attraverso la poesia egli tenta di esprimere la necessità dell'individuo di vivere nel mondo accogliendo con dignità la propria fragilità, incompiutezza, debolezza. Alcuni caratteri fondamentali del linguaggio poetico montaliano sono i simboli: nella poesia di Montale compaiono oggetti che tornano e rimbalzano da un testo all'altro e assumono il valore di simboli della condizione umana, segnata, secondo Montale, dal malessere esistenziale, e dall'attesa di un avvenimento, un miracolo, che riscatti questa condizione rivelando il senso e il significato della vita. In Ossi di seppia il muro è il simbolo negativo di uno stato di chiusura e oppressione, mentre i simboli positivi che alludono alle possibilità di evasione, di fuga e di libertà sono l'anello che non tiene, il varco, la maglia rotta nella rete. Nelle raccolte successive il panorama culturale, sentimentale e ideologico cambia e, quindi, risulta nuova anche la simbologia. Per esempio nella seconda raccolta, Le occasioni, diventa centrale la figura di Clizia, il nome letterario che allude ad una giovane americana (Irma Brandeis, italianista ed ebrea) amata da Montale[2], che si trasforma in una sorta di angelo dal quale soltanto è possibile aspettare il miracolo e dal quale dipende ogni residua possibilità di salvezza.