1. Jazzitalia - Articoli: Intervista a Lucio Ferrara 26/01/12 17.04
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Intervista a Lucio Ferrara
giugno 2011
di Alceste Ayroldi
Puglia, Bologna, Roma, New York, tutti luoghi che per te hanno avuto – oppure hanno ancora - un ruolo particolare: a quale sei più legato?
A ogni luogo sono legato per diversi motivi. La Puglia è la mia regione, il posto in cui sono nato e cresciuto. Mi sono trasferito a Bologna per studiare
all'università e lì mi sono formato musicalmente. Roma è la città dove vivo ora. New York è la città dei miei sogni, ci vado almeno una volta all'anno
e mi fermo per qualche mese.
Sei un autodidatta, però sei un docente e direttore di attività seminariali. A distanza di tempo, quindi, ritieni che sia importante studiare jazz?
Quello che mi piace fare è dare il mio contributo a far crescere la conoscenza di questa musica. In
tutti i seminari in cui sono coinvolto ci sono docenti che sono prima di tutto musicisti che sono in
grado di entusiasmare gli studenti, che si concentrano soprattutto sullo swing, l'interplay, il
rispetto, l'importanza per la tradizione e l'ascolto, indirizzandoli alla comprensione della musica
jazz e dei suoi esponenti. In questa direzione ritengo che sia importante studiare Jazz.
I tuoi esordi sono legati alla musica brasiliana: come è nata questa passione? Oggi l'hai
accantonata del tutto?
Oltre New York, Rio de Janeiro ha sempre avuto un influenza su di me, amo i compositori
brasiliani, da Jobim a Gismonti, amo lo choro fino al samba classico di Paulinho da Viola. Dopo un
mio viaggio a Rio de Janerio mi sono allontanato un po' dal genere dedicandomi completamente al
jazz. Spero di registrare al più presto un CD con questo repertorio.
Quando ti sei "innamorato" della musica jazz? Quale è stato il primo brano che hai ascoltato?
Il primo brano che ho ascoltato e che mi ha segnato per sempre è stato "In Your Own Sweet Way" suonato da Wes Montgomery. Poi c'è stato un
vuoto, sai ho vissuto in un paesino dove non era facile trovare appassionati e materiale da ascoltare, fino a quando sono arrivato a Bologna dove ho
cominciato ad ascoltare Miles e Coltrane, i dischi di Wes Montgomery con Shearing.
Chi sono i tuoi chitarristi di riferimento? E quale è l'artista con il quale avresti voluto collaborare?
Ho ascoltato tutti i chitarristi, dai contemporanei ai grandi. Di Wes Montgomery ho già parlato. In realtà non ascolto molti chitarristi. Quando
ascolto la mia attenzione è rivolta allo swing, sono più interessato alla musica che allo strumento. Mi piacerebbe suonare con tanti musicisti, con
qualche mio idolo ho già avuto la fortuna di suonare come Lee Konitz (si veda al proposito l'ultimo disco di Ferrara, It's All Right With Me, edito
dalla Tuscia In Jazz Rec., di cui si parlerà in seguito).
Sei anche direttore dei seminari di Orsara Musica e direttore artistico del festival e direttore dei seminari di Tuscia In Jazz e La Spezia. Vuoi
parlarci di queste esperienze, di queste attività?
I seminari di Orsara sono nati da una mia proposta con il sostegno fondamentale di Orsara Musica che organizza il più longevo Festival in Puglia da
ventitrè anni. Dopo un primo anno come esperimento abbiamo deciso di proseguire e insieme ad Antonio Ciacca abbiamo portato musicisti come
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Lee Konitz, Benny Golson, Steve Grossman ma anche Wes Anderson, Billy Harper e quest'anno Bergonzi. Siamo arrivati all'ottava edizione. Con
Tuscia in Jazz e, da quest'anno, con La Spezia Jazz, di cui sono il direttore dei seminari, c'è un feeling particolare perché l'atmosfera è simile a
quella di Orsara; con il Direttore Artistico Italo Leali siamo in perfetta sintonia a partire dalla scelta stilistica e artistica dei docenti e dal modo in
cui si fa didattica del jazz, come per esempio valorizzare giovani talenti.
Nella tua vita artistica sembra aver avuto grande importanza il tuo incontro con Antonio Ciacca: vorresti parlarne?
Con Antonio siamo cresciuti musicalmente insieme, ascoltando la stessa musica e abbiamo cominciato a
suonare insieme vent'anni fa. C'è un interplay che si raggiunge solo dopo anni. Antonio ha sempre creduto in
me e mi ha sempre sostenuto e incoraggiato. Appena c'è la possibilità suoniamo insieme con la sua band,
anche perchè sono sempre fantastiche. Antonio, tra le tante qualità, ha la capacità di far suonare la band
come pochi sanno fare, un po' come faceva il Grande Miles.
"It's All Right With Me" è il tuo ultimo lavoro discografico, con la partecipazione di Lee Konitz. Come è nato
questo connubio?
Lee Konitz è uno dei miei improvvisatori preferiti. Suona ad orecchio, "rischiando" tutto quando improvvisa.
Lo vado a trovare quasi ogni volta che vado a New York. Abbiamo suonato insieme e quando eravamo a
Sorrento per un concerto gli chiesi: Lee come fai a non suonare mai un pattern o licks. E Lee mi rispose: non
suono licks semplicemente perché ho poca memoria, that's it!
Vista la tua eccellente esperienza di docente, come giudichi il livello di preparazione dei giovani jazzisti?
La preparazione secondo me è ottima, il livello è altissimo. Forse però hanno troppa fretta e saltano alcuni
passaggi.
Quali consigli dai – o daresti – ad un giovane musicista?
Ascolto dei grandi maestri, studio, rispetto, umiltà e professionalità.
E, sempre in virtù della tua esperienza, quale giudizio dai all'attuale scena jazzistica sia italiana, che europea e, di seguito, quella statunitense?
Come dicevo prima la preparazione è alta sia in Italia che in Usa, i musicisti americani sono professionali, amano profondamente suonare, conoscono
e rispettano la storia del Jazz. I musicisti caricano contrabbassi e ampli nei metro, partono da Brooklyn o dai Queens solo per farsi un paio di brani in
jam. In Italia molti musicisti sono troppo concentrati nel cercare di fare qualcosa di originale a tutti i costi dimenticando che a volte basta fare poco
e con swing per fare grande musica, però fortunatamente ci sono degli ottimi musicisti. Mi piacerebbe che in Italia ci fosse più coraggio a far
suonare musicisti che non riempiono i teatri.
Chi sono, a tuo parere, i musicisti attualmente più interessanti? E perché?
Ci sono tanti musicisti interessanti in Italia ed anche all'estero, e non tutti sono conosciuti come dovrebbero. Molti talenti americani non arrivano in
Italia. Penso a Ryan Kisor o Bill Charlap o Joe Cohn. In Italia ci sono ottimi musicisti, Dado Moroni, Gianni Amato, Andrea Pozza con i quali ho
avuto la fortuna di suonare occasionalmente; Nicola Angelucci e Luca Mannutza che hanno suonato nel mio ultimo CD. Se ci guardiamo attorno
credo, quindi, che il Jazz oggi goda di ottima salute, Nel mio ultimo tour americano ho suonato con musicisti molto "interessanti" come Lew
Tabackin, Joe Magnarelli, Rodney Green, Paul Gill, Joe Farnsworth e John Webber, Andy Farber, Ben Wolfe, oltre ad Antonio Ciacca che è
stato il collante e tanti altri talenti.
Quali sono i tuoi progetti futuri?
Intendo passare molto piu tempo a New York per sviluppare e apprendere sempre meglio la vera natura del Jazz. Essere sempre più essenziale,
diretto e non perdere l'amore per questa musica con l'aiuto dei festival e dei club con l'augurio che si affidino un po' di più alla qualità più che al
successo della vendite di biglietti.
La tua attuale playlist…
Prelude to a Kiss di Strayhorn. Canzoni come: I'll Be Seeing You o Who can I Turn To, Poor Butterfly. Qualcosa di Monk non manca mai, Ligia di
Jobim...originals...
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