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Doctor	Doom	?	
	

	

	

Mercoledì	19	febbraio	Nouriel	Roubini,	uno	dei	più	influenti,	famosi	e	riconosciuti	economisti	internazionali,	ha	
partecipato	 a	 un	 convegno	 organizzato	 a	 Roma	 da	 Aism	 Luxembourg.	 Nella	 prestigiosa	 cornice	 dei	 saloni	 di	
Palazzo	 Brancaccio,	 il	 tema	 affrontato	 era	 “Il	 futuro	 della	 zona	 Euro:	 il	 ritorno	 alla	 crescita	 ?”	 ma	 l’occasione	
evidentemente	era	tale	per	spaziare	trasversalmente	su	tutte	le	tematiche	e	problematiche	globali.		
Roubini,	soprannominato	Dottor	Catastrofe,	non	ha	bisogno	di	presentazioni.	Per	quei	pochi	che	tuttavia	non	lo	
conoscessero	giova	sapere	che	è	uno	dei	tanti	cittadini	del	mondo:	nasce	a	Instanbul	nel	1956	e	vive	per	molti	
anni	tra	l’Iran,	Israele	e	l’Italia	(qui	restando	per	circa	vent’anni)	prima	di	stabilirsi	definitivamente	negli	States	
dove	tutt’oggi	è	professore	di	economia	alla	New	York	University,	oltre	a	essere	Presidente	del	RGE	(Roubini	
Global	 Economics).	 Tutti	 sappiamo	 che	 la	 sua	 fama	 deriva	 dall’aver	 saputo	 prevedere	 lo	 tsunami	 dei	 mutui	
subprime,	 quando	 nessuno	 se	 ne	 preoccupava.	 Non	 tutti	 però	 sanno	 che	 lo	 disse	 apertamente	 nel	 2006	 in	 un	
incontro	col	direttorio	del	Fondo	Monetario	Internazionale	(che	per	inciso	racchiude	quasi	duecento	Paesi	nel	
mondo),	restando	evidentemente	inascoltato.	Nel	2006	le	cose	andavano	ancora	molto	bene	e,	per	ignoranza,	
ignavia	o	connivenza,	non	bisognava	disturbare	il	manovratore.		
Arrivo	 quindi	 ai	 principali	 concetti	 espressi	 nel	 corso	 delle	 due	 ore	 di	 intervento,	 saltando	 direttamente	 alla	
conclusione:	questa	volta,	nessuna	disastrosa	profezia.	Tutto	sommato	meglio	così:	credo	che	nessuno	sarebbe	
interessato	 a	 rivendersi	 il	 vaticinio	 coi	 propri	 clienti	 per	 poi,	 in	 ogni	 caso,	 ritrovarsi	 lui	 stesso	 a	 vivere	 nel	
mezzo	di	un’altra	catastrofe.	Quanto	segue	invece	è	il	riassunto	in	pillole,	mi	auguro	il	più	fedele	possibile,	del	
pensiero	di	Roubini.		
Situazione	 generale.	 Arriviamo	 da	 anni	 di	 recessione	 globale	 causata	 da	 una	 crisi	 finanziaria	 per	 il	 troppo	
indebitamento	 (privato	 ma	 soprattutto	 pubblico),	 e	 quando	 la	 causa	 principale	 è	 il	 forte	 indebitamento	
pubblico	il	processo	di	ritorno	alla	normalità	è	lungo	e	doloroso.	Servono	anche	dieci	anni,	a	volte.		
Il	recupero	da	questa	condizione	è	stato	più	veloce	per	i	mercati	emergenti,	grazie	a	un	minor	indebitamento	e	
a	una		maggiore	capacità	di	crescita,	e	più	lento	nelle	economie	avanzate.	Si	sono	perciò	creati	disallineamenti	a	
livello	mondiale	nel	ritrovare	una	normalità	finanziaria	dalla	quale	ripartire.		
Negli	ultimi	6/12	mesi	il	fenomeno	è	stato	contrario:	Usa,	Europa,	Giappone,	UK,	sono	andati	meglio	rispetto	a	
quanto	abbiano	fatto	i	paesi	emergenti.		
Economie	sviluppate.	In	questo	momento	sono	quelle	che	stanno	meglio	avendo	già	attuato	politiche	di	fiscal	
drag	 e	 avendo	 iniziato	 la	 riduzione	 della	 leva	 finanziaria	 (deleveraging)	 sull’indebitamento	 immobiliare,	
aziendale	e	bancario.	Inoltre	il	rischio	di	crollo	dell’Eurozona	si	è	ridotto	molto	contribuendo	a	ridare	normalità	
alla	crescita,	anche	se	ancora	anemica.	Le	politiche	economiche	delle	principali	Banche	Centrali	(Fed,	Bce,	BoE,	
BoJ)	 sono	 state	 molto	 accomodanti,	 portando	 i	 tassi	 praticamente	 a	 zero	 e	 con	 l’intenzione	 di	 mantenerli	 a	
questo	 livello	 ancora	 per	 diverso	 tempo.	 Tutta	 la	 liquidità	 riversata	 sui	 mercati	 non	 ha	 generato	 inflazione	
perché	è	stata	assorbita	principalmente	dalle	banche	e	non	dal	sistema	produttivo;	l’obiettivo	di	inflazione	delle		
	
Numero	24	del	21	febbraio	2014	

 

 
Marcello	Agnello
 

Banche	 Centrali	 è	 del	 2%	 e	 non	 ci	 sono	 tensioni	 inflazionistiche	 nel	 breve	 termine.	 Il	 Tapering,	 per	 chiudere,	
verrà	ultimato	gradualmente	con	la	fine	dell’anno	in	corso.		
Economie	emergenti.	Oggi	rappresentano	la	metà	del	totale	delle	economie	mondiali,	e	hanno	un	peso	sempre	
più	rilevante,	in	positivo	come	in	negativo.	Esistono	fattori	esterni	e	interni	che	hanno	generato	il	rallentamento	
del	2013.	Per	i	primi	hanno	influito	l’inizio	del	Tapering	ad	opera	della	Fed,	una	crescita	sostenuta	ma	inferiore	
ai	 tassi	 attesi	 (Cina	 al	 7%,	 probabilmente	 anche	 meno	 nel	 corso	 di	 quest’anno),	 la	 fine	 del	 superciclo	 delle	
commodities.	 Per	 i	 secondi,	 un’inflazione	 che	 ha	 ripreso	 a	 crescere,	 le	 poche	 riforme	 strutturali,	 il	 troppo	
protezionismo	 dei	 governi	 principali.	 Questo	 combinato	 disposto,	 per	 dirla	 in	 politichese,	 ha	 reso	 tutto	 più	
fragile.		
L’area	 dei	 mercati	 emergenti	 tuttavia	 è	 molto	 vasta	 (dall’Asia	 all’America	 Centrale	 e	 del	 Sud,	 dall’Europa	
centrale	e	dell’Est	ai	paesi	africani)	e	vanno	fatte	alcune	distinzioni:	tra	quei	paesi	che	si	trovano	in	condizioni	
migliori	 ci	 sono	 sicuramente	 Corea	 del	 Sud,	 Malesia,	 Singapore,	 Polonia,	 Repubblica	 Ceca,	 Messico,	 Cile,	
Colombia,	Perù,	Africa	sub‐sahariana.		
Le	cose	tuttavia	miglioreranno	perché	strutturalmente	è	un’area	che	sta	civilizzandosi	sempre	di	più,	con	una	
crescita	 del	 ceto	 medio,	 con	 le	 macro	 riforme	 che	 non	 potranno	 che	 essere	 fatte,	 con	 un	 miglior	 equilibrio	
generale	di	natura	politica,	fiscale	ed	economica.		
Europa	 –	 Eurozona.	 Good	 news	 &	 bad	 news.	 Tra	 quelle	 positive	 la	 prima	 è	 l’allontanamento	 del	 rischio	 di	
cedimento	dei	paesi	periferici	(Piigs),	e	per	questo	molto	ha	fatto	la	credibilità	di	Mario	Draghi	che,	già	a	metà	
anno	scorso,	dichiarò	di	esser	pronto	a	fare	qualsiasi	cosa	per	scongiurare	rischi	sistemici:	whatever	it	takes	!	
furono	le	sue	parole.	A	qualsiasi	costo	!	A	dire	il	vero	non	servì	mettere	in	pratica	la	minaccia,	a	conferma	di	
quanto	(ndr:	vale	anche	per	noi	italiani)	la	credibilità	sia	già	di	per	sé	un	fatto	concreto.			
La	 ripresa	 economica,	 seppur	 molto	 debole,	 è	 ritornata	 negli	 ultimi	 due	 trimestri;	 nel	 campo	 dell’austerità	
fiscale	molto	è	stato	fatto	(per	cui	eventuali	aggiustamenti	avranno	minor	impatto),	e	la	competitività	rispetto	
all’estero	ha	ripreso	vigore.		
L’elenco	 delle	 notizie	 negative	 è	 lungo.	 La	 crescita	 c’è,	 ma	 è	 molto	 bassa,	 soprattutto	 nei	 paesi	 periferici;	 la	
disoccupazione	 è	 troppo	 alta,	 e	 altissima	 quella	 giovanile;	 i	 nuovi	 posti	 di	 lavoro	 sono	 pochissimi;	
l’innalzamento	 demografico	 non	 aiuta	 il	 processo	 di	 crescita;	 l’euro,	 inteso	 come	 valuta,	 è	 troppo	 forte	 (ndr:	
definito	 da	 Roubini	 una	 palla	 al	 piede);	 manca	 una	 vera	 Unione	 Europea	 che	 sia	 bancaria,	 fiscale,	 politica	 ed	
economica.	Solo	con	una	vera	unione	l’Europa	potrà	tornare	al	centro	del	sistema.		
La	 Germania,	 unico	 paese	 ad	 avere	 una	 vera	 marcia	 in	 più,	 è	 molto	 restia	 a	 favorirla	 fintanto	 che	 i	 paesi	
periferici	 non	 usciranno	 dalla	 condizione	 di	 dover	 sempre	 essere	 aiutati	 o,	 comunque,	 di	 rappresentare	 una	
minaccia	per	il	sistema.	Fraulein	Angela	non	accetta	di	trasferire	dal	proprio	centro	alla	periferia	parte	del	suo	
Pil	(ndr:	e,	se	ci	pensiamo,	l’atteggiamento	di	noi	italiani	non	è	poi	troppo	diverso,	in	particolare	del	Nord	Italia	
nel	confronti	del	Sud.	Evidentemente	gli	italiani	sono	i	terroni	d’Europa).		
Le	popolazioni	europee,	particolarmente	quelle	della	periferia,	sono	affaticate	dall’austerity,	la	sopportazione	è	
al	limite,	“la	gente	dice	basta”.	Il	rischio,	se	non	si	torna	rapidamente	a	una	crescita	–	unica	strada	strutturale	
per	uscire	dalle	crisi	–	è	che	gli	estremismi	abbiano	il	sopravvento	e	i	governi	finiscano	nelle	mani	dei	partiti	
radicali	(ndr:	il	riferimento	era	per	la	Grecia,	ma	tra	le	righe	anche	per	l’Italia).		
In	questo	contesto	agrodolce	quindi,		ci	sono	i	primi	segnali	di	miglioramento,	ma	la	strada	è	ancora	lunga.		
Rischi	generali.	A	livello	globale	i	principali	rischi	sono	collegati	ai	lidi	dove	approderà	(e	dove	già	è	arrivata)	
la	 grande	 liquidità	 immessa	 sui	 mercati.	 Potrebbero	 generarsi	 fluttuazioni	 importanti	 dei	 prezzi	 e	
successivamente	 sfociare	 in	 bolla	 (mercato	 immobiliare	 e	 mercato	 creditizio	 americano	 in	 particolare,	 ma	
anche	mercati	azionari	e	high	tech).		
Un	secondo	problema	potrebbe	essere	rappresentato	da	un	hard	landing	cinese:	la	crescita	è	inferiore	agli	anni	
passati,	e	se	alcune	riforme	non	saranno	attuate	rapidamente	il	rischio	si	farà	concreto	(parliamo	della	seconda	
economia	mondiale,	quasi	prima).		
 
Numero	24	del	21	febbraio	2014	
Marcello	Agnello
 
 

	

In	 ultimo	 possibili	 problemi	 potrebbero	 sorgere	 da	 eventuali	 tensioni	 di	 natura	 geopolitica.	 Ucraina	 a	 parte,	
tema	caldissimo	di	 questi	giorni,	 quando	si	pensa	ai	conflitti	 militari	è	facile	associarli	al	 Medio	Oriente;	oggi	
invece	all’orizzonte	si	profila	una	conflitto	tra	la	Cina	e	diversi	paesi	limitrofi,	ma	soprattutto	verso	il	Giappone.	
E	sarebbero	sicuramente	dolori.		
Prospettive	 anno	 in	 corso.	 Gli	 indici	 azionari	 Usa	 cresceranno	 ma	 non	 a	 due	 cifre	 come	 nel	 2013.	 Meglio	
l’Europa	 da	 questo	 punto	 di	 vista,	 anche	 in	 riferimento	 ai	 paesi	 periferici.	 I	 mercati	 obbligazionari	 non	
offriranno	molto,	dato	il	permanere	di	tassi	molto	bassi.	L’Euro	è	troppo	forte,	sopra	di	almeno	il	10%	del	suo	
valore,	 e	 potrebbe	 perfino	 rafforzarsi	 ancora.	 I	 mercati	 emergenti,	 pur	 con	 le	 considerazioni	 già	 fatte,	
potrebbero	recuperare	dalle	quotazioni	che	sono	scese	molto.		
Italia.	(ndr:	l’occasione	era	ghiotta	ovviamente,	visto	il	momento	politico	che	stiamo	vivendo,	e	più	di	qualcuno	
sosteneva	 che	 avesse	 incontrato	 il	 prossimo	 Presidente	 del	 Consiglio	 in	 questo	 giro	 romano.	 Servirebbe	 una	
pagina	solo	per	parlare	“di	noi”,	per	cui	riassumerò	ulteriormente	per	punti).		
1. Deficit	di	bilancio	leggermente	sceso,	ma	il	debito	pubblico	ha	continuato	a	crescere		
2. Alcune	riforme	sono	state	fatte	(poche	e	utilizzando	molto	la	leva	fiscale),	ma	non	quanto	hanno	fatto	
altri	paesi	come	Spagna	e	Portogallo		
3. Il	costo	del	lavoro	in	Italia	è	troppo	alto:	serve	urgente	la	riforma	del	mercato	del	lavoro	e	una	maggiore	
flessibilità,	uniformando	le	forme	contrattuali	(i	vecchi	hanno	molte	tutele,	i	giovani	poche)		
4. Va	attuata	rapidamente	la	spending	review,	va	riformata	la	Pubblica	Amministrazione		
5. Il	credito	alle	imprese	deve	riprendere,	e	non	deve	arrivare	solo	dalle	banche		
6. Vanno	attuate	la	riforma	elettorale	e	quella	giudiziaria		
Dimentico	sicuramente	tante	cose,	ma	non	ha	detto	nulla	di	diverso	rispetto	a	quello	che	tutti	in	Italia	pensano	
e	dicono.	Il	punto,	evidentemente,	è	far	seguire	i	fatti	alle	parole.		
Sono	invece	interessanti	le	ultime	considerazioni.	I	mercati	stanno	concedendo	il	beneficio	del	dubbio	al	nuovo	
Presidente	del	Consiglio	in	pectore,	Matteo	Renzi.	C’è	attesa	e	speranza.	Lo	spread	è	basso,	ma	tra	sei	mesi	o	un	
anno	ripartirebbe	se	le	cose	non	cambiassero	veramente.	Ma	…	una	persona	da	sola	non	può	riuscirci	se	non	ha	
alle	 spalle	 un	 Paese.	 Senza	 coesione	 sociale	 e	 politica	 non	 si	 può	 cambiare	 e	 costruire	 nulla.	 Inutili	 e	
anacronistiche	 le	 divisioni	 partitiche,	 la	 caccia	 alle	 poltrone,	 i	 veti	 a	 priori,	 le	 opposizioni	 ideologiche.	 Oggi	
Renzi	 per	 l’Italia	 rappresenta	 l’ultima	 spiaggia:	 “o	 nuotate	 insieme,	 o	 annegate	 insieme”	 (ndr:	 queste	 le	
testuali	e	ultime	parole	di	Roubini).		
Nota	 personale	 e	 finale:	 se	 le	 premesse	 sono	 quelle	 di	 questi	 giorni	 e,	 buon	 ultimo,	 ciò	 a	 cui	 si	 è	 assistito	 in	
diretta	streaming	nel	confronto	tra	il	futuro	governo	e	una	parte	comunque	importante	dell’opposizione,	non	
solo	siamo	molto	distanti	dal	nuotare	insieme,	ma	anche	solo	dall’imparare	a	farlo.	Molto	più	facile	annegare.	
Insieme.	Con	buona	pace	di	tutti,	predicatori	e	asinelli	al	seguito.		
	
	
	
	
	
	

Numero	24	del	21	febbraio	2014	

 

 
Marcello	Agnello

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Mercati € Mercanti _ numero 24

  • 1.     Doctor Doom ? Mercoledì 19 febbraio Nouriel Roubini, uno dei più influenti, famosi e riconosciuti economisti internazionali, ha partecipato a un convegno organizzato a Roma da Aism Luxembourg. Nella prestigiosa cornice dei saloni di Palazzo Brancaccio, il tema affrontato era “Il futuro della zona Euro: il ritorno alla crescita ?” ma l’occasione evidentemente era tale per spaziare trasversalmente su tutte le tematiche e problematiche globali. Roubini, soprannominato Dottor Catastrofe, non ha bisogno di presentazioni. Per quei pochi che tuttavia non lo conoscessero giova sapere che è uno dei tanti cittadini del mondo: nasce a Instanbul nel 1956 e vive per molti anni tra l’Iran, Israele e l’Italia (qui restando per circa vent’anni) prima di stabilirsi definitivamente negli States dove tutt’oggi è professore di economia alla New York University, oltre a essere Presidente del RGE (Roubini Global Economics). Tutti sappiamo che la sua fama deriva dall’aver saputo prevedere lo tsunami dei mutui subprime, quando nessuno se ne preoccupava. Non tutti però sanno che lo disse apertamente nel 2006 in un incontro col direttorio del Fondo Monetario Internazionale (che per inciso racchiude quasi duecento Paesi nel mondo), restando evidentemente inascoltato. Nel 2006 le cose andavano ancora molto bene e, per ignoranza, ignavia o connivenza, non bisognava disturbare il manovratore. Arrivo quindi ai principali concetti espressi nel corso delle due ore di intervento, saltando direttamente alla conclusione: questa volta, nessuna disastrosa profezia. Tutto sommato meglio così: credo che nessuno sarebbe interessato a rivendersi il vaticinio coi propri clienti per poi, in ogni caso, ritrovarsi lui stesso a vivere nel mezzo di un’altra catastrofe. Quanto segue invece è il riassunto in pillole, mi auguro il più fedele possibile, del pensiero di Roubini. Situazione generale. Arriviamo da anni di recessione globale causata da una crisi finanziaria per il troppo indebitamento (privato ma soprattutto pubblico), e quando la causa principale è il forte indebitamento pubblico il processo di ritorno alla normalità è lungo e doloroso. Servono anche dieci anni, a volte. Il recupero da questa condizione è stato più veloce per i mercati emergenti, grazie a un minor indebitamento e a una maggiore capacità di crescita, e più lento nelle economie avanzate. Si sono perciò creati disallineamenti a livello mondiale nel ritrovare una normalità finanziaria dalla quale ripartire. Negli ultimi 6/12 mesi il fenomeno è stato contrario: Usa, Europa, Giappone, UK, sono andati meglio rispetto a quanto abbiano fatto i paesi emergenti. Economie sviluppate. In questo momento sono quelle che stanno meglio avendo già attuato politiche di fiscal drag e avendo iniziato la riduzione della leva finanziaria (deleveraging) sull’indebitamento immobiliare, aziendale e bancario. Inoltre il rischio di crollo dell’Eurozona si è ridotto molto contribuendo a ridare normalità alla crescita, anche se ancora anemica. Le politiche economiche delle principali Banche Centrali (Fed, Bce, BoE, BoJ) sono state molto accomodanti, portando i tassi praticamente a zero e con l’intenzione di mantenerli a questo livello ancora per diverso tempo. Tutta la liquidità riversata sui mercati non ha generato inflazione perché è stata assorbita principalmente dalle banche e non dal sistema produttivo; l’obiettivo di inflazione delle Numero 24 del 21 febbraio 2014     Marcello Agnello
  • 2.   Banche Centrali è del 2% e non ci sono tensioni inflazionistiche nel breve termine. Il Tapering, per chiudere, verrà ultimato gradualmente con la fine dell’anno in corso. Economie emergenti. Oggi rappresentano la metà del totale delle economie mondiali, e hanno un peso sempre più rilevante, in positivo come in negativo. Esistono fattori esterni e interni che hanno generato il rallentamento del 2013. Per i primi hanno influito l’inizio del Tapering ad opera della Fed, una crescita sostenuta ma inferiore ai tassi attesi (Cina al 7%, probabilmente anche meno nel corso di quest’anno), la fine del superciclo delle commodities. Per i secondi, un’inflazione che ha ripreso a crescere, le poche riforme strutturali, il troppo protezionismo dei governi principali. Questo combinato disposto, per dirla in politichese, ha reso tutto più fragile. L’area dei mercati emergenti tuttavia è molto vasta (dall’Asia all’America Centrale e del Sud, dall’Europa centrale e dell’Est ai paesi africani) e vanno fatte alcune distinzioni: tra quei paesi che si trovano in condizioni migliori ci sono sicuramente Corea del Sud, Malesia, Singapore, Polonia, Repubblica Ceca, Messico, Cile, Colombia, Perù, Africa sub‐sahariana. Le cose tuttavia miglioreranno perché strutturalmente è un’area che sta civilizzandosi sempre di più, con una crescita del ceto medio, con le macro riforme che non potranno che essere fatte, con un miglior equilibrio generale di natura politica, fiscale ed economica. Europa – Eurozona. Good news & bad news. Tra quelle positive la prima è l’allontanamento del rischio di cedimento dei paesi periferici (Piigs), e per questo molto ha fatto la credibilità di Mario Draghi che, già a metà anno scorso, dichiarò di esser pronto a fare qualsiasi cosa per scongiurare rischi sistemici: whatever it takes ! furono le sue parole. A qualsiasi costo ! A dire il vero non servì mettere in pratica la minaccia, a conferma di quanto (ndr: vale anche per noi italiani) la credibilità sia già di per sé un fatto concreto. La ripresa economica, seppur molto debole, è ritornata negli ultimi due trimestri; nel campo dell’austerità fiscale molto è stato fatto (per cui eventuali aggiustamenti avranno minor impatto), e la competitività rispetto all’estero ha ripreso vigore. L’elenco delle notizie negative è lungo. La crescita c’è, ma è molto bassa, soprattutto nei paesi periferici; la disoccupazione è troppo alta, e altissima quella giovanile; i nuovi posti di lavoro sono pochissimi; l’innalzamento demografico non aiuta il processo di crescita; l’euro, inteso come valuta, è troppo forte (ndr: definito da Roubini una palla al piede); manca una vera Unione Europea che sia bancaria, fiscale, politica ed economica. Solo con una vera unione l’Europa potrà tornare al centro del sistema. La Germania, unico paese ad avere una vera marcia in più, è molto restia a favorirla fintanto che i paesi periferici non usciranno dalla condizione di dover sempre essere aiutati o, comunque, di rappresentare una minaccia per il sistema. Fraulein Angela non accetta di trasferire dal proprio centro alla periferia parte del suo Pil (ndr: e, se ci pensiamo, l’atteggiamento di noi italiani non è poi troppo diverso, in particolare del Nord Italia nel confronti del Sud. Evidentemente gli italiani sono i terroni d’Europa). Le popolazioni europee, particolarmente quelle della periferia, sono affaticate dall’austerity, la sopportazione è al limite, “la gente dice basta”. Il rischio, se non si torna rapidamente a una crescita – unica strada strutturale per uscire dalle crisi – è che gli estremismi abbiano il sopravvento e i governi finiscano nelle mani dei partiti radicali (ndr: il riferimento era per la Grecia, ma tra le righe anche per l’Italia). In questo contesto agrodolce quindi, ci sono i primi segnali di miglioramento, ma la strada è ancora lunga. Rischi generali. A livello globale i principali rischi sono collegati ai lidi dove approderà (e dove già è arrivata) la grande liquidità immessa sui mercati. Potrebbero generarsi fluttuazioni importanti dei prezzi e successivamente sfociare in bolla (mercato immobiliare e mercato creditizio americano in particolare, ma anche mercati azionari e high tech). Un secondo problema potrebbe essere rappresentato da un hard landing cinese: la crescita è inferiore agli anni passati, e se alcune riforme non saranno attuate rapidamente il rischio si farà concreto (parliamo della seconda economia mondiale, quasi prima).   Numero 24 del 21 febbraio 2014 Marcello Agnello  
  • 3.   In ultimo possibili problemi potrebbero sorgere da eventuali tensioni di natura geopolitica. Ucraina a parte, tema caldissimo di questi giorni, quando si pensa ai conflitti militari è facile associarli al Medio Oriente; oggi invece all’orizzonte si profila una conflitto tra la Cina e diversi paesi limitrofi, ma soprattutto verso il Giappone. E sarebbero sicuramente dolori. Prospettive anno in corso. Gli indici azionari Usa cresceranno ma non a due cifre come nel 2013. Meglio l’Europa da questo punto di vista, anche in riferimento ai paesi periferici. I mercati obbligazionari non offriranno molto, dato il permanere di tassi molto bassi. L’Euro è troppo forte, sopra di almeno il 10% del suo valore, e potrebbe perfino rafforzarsi ancora. I mercati emergenti, pur con le considerazioni già fatte, potrebbero recuperare dalle quotazioni che sono scese molto. Italia. (ndr: l’occasione era ghiotta ovviamente, visto il momento politico che stiamo vivendo, e più di qualcuno sosteneva che avesse incontrato il prossimo Presidente del Consiglio in questo giro romano. Servirebbe una pagina solo per parlare “di noi”, per cui riassumerò ulteriormente per punti). 1. Deficit di bilancio leggermente sceso, ma il debito pubblico ha continuato a crescere 2. Alcune riforme sono state fatte (poche e utilizzando molto la leva fiscale), ma non quanto hanno fatto altri paesi come Spagna e Portogallo 3. Il costo del lavoro in Italia è troppo alto: serve urgente la riforma del mercato del lavoro e una maggiore flessibilità, uniformando le forme contrattuali (i vecchi hanno molte tutele, i giovani poche) 4. Va attuata rapidamente la spending review, va riformata la Pubblica Amministrazione 5. Il credito alle imprese deve riprendere, e non deve arrivare solo dalle banche 6. Vanno attuate la riforma elettorale e quella giudiziaria Dimentico sicuramente tante cose, ma non ha detto nulla di diverso rispetto a quello che tutti in Italia pensano e dicono. Il punto, evidentemente, è far seguire i fatti alle parole. Sono invece interessanti le ultime considerazioni. I mercati stanno concedendo il beneficio del dubbio al nuovo Presidente del Consiglio in pectore, Matteo Renzi. C’è attesa e speranza. Lo spread è basso, ma tra sei mesi o un anno ripartirebbe se le cose non cambiassero veramente. Ma … una persona da sola non può riuscirci se non ha alle spalle un Paese. Senza coesione sociale e politica non si può cambiare e costruire nulla. Inutili e anacronistiche le divisioni partitiche, la caccia alle poltrone, i veti a priori, le opposizioni ideologiche. Oggi Renzi per l’Italia rappresenta l’ultima spiaggia: “o nuotate insieme, o annegate insieme” (ndr: queste le testuali e ultime parole di Roubini). Nota personale e finale: se le premesse sono quelle di questi giorni e, buon ultimo, ciò a cui si è assistito in diretta streaming nel confronto tra il futuro governo e una parte comunque importante dell’opposizione, non solo siamo molto distanti dal nuotare insieme, ma anche solo dall’imparare a farlo. Molto più facile annegare. Insieme. Con buona pace di tutti, predicatori e asinelli al seguito. Numero 24 del 21 febbraio 2014     Marcello Agnello