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MARIA CHRISTINA HAMEL




SCULTURE DI CERAMICA E NEON

            foto di
       Giampietro Agostini



    La collezione Fiori di Luce è
  prodotta da Superego Editions
Quando Christina mi parlò per la prima volta dell’intenzione di
realizzare fiori di luce mi sentii molto sollevato. Da diverso
tempo, infatti, pur non avendo mai smessso di disegnare,
Christina aveva di fatto molto rallentato l’attività artistica. Negli
anni, appena trascorsi, abbiamo dovuto affrontare tante
situazioni molto impegnative, con al primo posto la malattia di
nostro figlio Cosimo, che ci hanno portato a combattere una
vera guerra fatta di tante battaglie. Ovviamente tutto ciò ha
richiesto una concentrazione massima, con un dispendio di
energie eccezionale che ha lasciato ben poco spazio al gesto
artistico. Sicuramente una parte importante di questa ritrovata
creatività di Maria Christina l’ha avuto il trasferimento, seppur
provvisorio e da me fortemente sostenuto, al Tonfano,
trasferimento che le ha consentito di ritrovare appieno il giusto
equilibrio creativo; mentre poche, carissime, persone, l’hanno
aiutata a ritrovare la giusta tensione emotiva che ha dato luogo
a questa collezione.
Secondo me Christina rimane un talento ancora ampiamente
da esplorare con una freschezza creativa intatta; ovviamente il
mio è un giudizio di parte, ma so che altri condividono questa
mia opinione.
La profonditĂ  del suo agire trae origine da quel coacervo di
esperienze che è la sua vita. Christina non ha mai smesso di
essere curiosa, cosĂŹ come non ha mai smesso di cercare
negl’altri quei valori che in tanta parte oggi appaiono, a torto,
desueti, mantenendo sempre quel tratto umile e delicato che la
contraddistingue. Sono sicuro che con questa collezione
ricomincia un ciclo virtuoso che suggellato anche dalla
pienezza della maturitĂ , porterĂ  Christina a concepire e
realizzare tanti nuovi, entusiasmanti progetti.

Cesare Castelli




                               2
Gradually the magic of the island settled over us as gently and
 clingingly as pollen. Each day had a tranquillity, a timelessness,
    about it, so that you wished it would never end. But then the
dark skin of night would peel off and there would be a fresh day
waiting for us, glossy and colourful as a child’s transfer and with
                                      the same tinge of unreality.

                      Gerald Durell, My family and other animals




                                              a Cesare e Cosimo




                                   3
M    Madre
 A    Accesa
 R    Rosa
 I    Indaco
 A    Arabesco

 C    Ceramica
 H    Hertz
 R    Ritmo
 I    Incanto
 S    Sorriso
 T    Tono
 I    IntensitĂ 
 N    Neon
 A    Accipicchia !

 H    Hip Hip Urrah
 A    Alata
 M    Materia
 E    Eden
 L    Luce



Acrostico di Cinzia Ruggeri




                        4
INDICE



2    Introduzione


7    Fiori di Luce


24   L'Origine di Tutto


34   Il Sentimento del Colore


42   Colloquio intorno a un tavolo


53   Note Biografiche




 5
6
Fiori di Luce

Mi piace proprio questa mostra di “Fiori di luce”, con otto
sculture, due grandi colonne, quattro quadri: un gruppo di
oggetti evocativi, di genere pop, meticolosamente artigianali,
neon e ceramica, amore e sentimento.
M. Christina Hamel è stata la mia piÚ importante collaboratrice
nell'epoca prima del computer. Ma dicendo cosĂŹ non voglio
legare Christina a uno strumento, ma piuttosto a un'anima:
l'anima del disegno. Conservo ancora dei disegni a china su
carta da lucido, bellissimi, precisissimi fatti per me da Christina
con una comprensione, con una dedizione, con un impegno
con un legame intellettuale e figurativo che sono stati per me
un grande dono, una grande esperienza progettuale e umana.
La sua figura diafana e solare, quasi opalescente, imprendibile,
enigmatica, riflette ora le sue nuove opere gentili, eleganti,
surreali. Sono quello che lei chiama “paradiso terrestre”, un
mondo sognato fatto da oggetti sognati, da zebre a pois ed ora
anche da fiori di neon destinati a non appassire. Il segno, la
ricerca e la teoria di Christina sono sempre stati collocati alla
convergenza di tre fattori: l'interesse e lo studio delle piĂš
lontane e interessanti tradizioni artigianali, specialmente della
ceramica; la sua         sensibiliĂ  e la formazione del tutto
internazionale, partita dall'India e arrivata in Italia attraverso
Vienna, cioè la sua principale area di riferimento; infine la lunga
esperienza milanese, con la sua forte stilematica radicalizzante.
All'interno di questo ampio e complesso spettro M. Christina
Hamel ha cercato, trovato ed elaborato la grammatica e i
contenuti del suo mondo bi e tridimensionale, il cui obbiettivo
mi appare totalmente poetico, privo di grida, prezioso, raccolto
e riservato. Aggettivi rari in questo nostro ambiente di clamori.


Alessandro Mendini



                                   7
disegno, diam.20 x 32 x h 90 cm




                           8
"Stella", Ceramica e neon




9
disegno, diam.18 x h 90 cm




                             10
"Foglia", Ceramica e neon




11
disegno, diam.13,5 x 18,5 x h 70 cm




                          12
"Cascata", Ceramica e neon




13
disegno, diam.43 x h 90 cm




                             14
"Geiser", Ceramica e neon




15
disegno, diam.33 x 52 x h 87 cm




                         16
"Vaso", Ceramica e neon




17
disegno, diam.24 x 28 x h 80 cm




                          18
"Vaso Doppio", Ceramica e neon




 19
disegno, diam.30 x h 75 cm




                             20
"Mondi", Ceramica e neon




21
disegno, diam.36 x h 58 cm




                             22
"Fiore", Ceramica e neon




23
L'Origine di Tutto
… et fiat Lux … La Luce fu la prima opera creata anche se il Verbo, la
Parola fu sin dall’inizio. Il richiamo a Genesi, cap.I, versetto 3, può apparire
nel giardino di Maria Christina Hamel persino un po’ irriguardoso. Ma viene
spontaneo riferirvisi, come a voler aspirare al sublime, e magari
inconsciamente questo avviene: e poi, non è quella del Paradiso Terrestre
una luce di transizione, mediana? Ma è Christina stessa a suggerire che la
sua luce non è poi quella eterna, quella assoluta ma quell’altra, quella più
suffusa, piĂš colorata, piĂš da meriggio del Paradiso Terrestre. Le sue piante, i
suoi vasi, i filamenti luminosi che vi sorgono e si espandono fanno della luce
una realtà più naturale, non cosmica propriamente, ma fiabesca, un po’
misteriosa e immaginifica come quella di Alice nel giardino delle meraviglie.
I colori piatti delle sue raffigurazioni non amano le rifrazioni ma nemmeno il
chiarore dello spirito, l’ebbrezza dell’infinito. Sono colori pastello che sulla
ceramica hanno una realtĂ  mat, a dire un effetto di opacitĂ . Mi ricordano
tanto il Pontormo, che dire?, o i colori piatti di certa pop art… Il Paradiso
Terrestre per Hamel rimane tale, non dimentica quel che vi è successo di
irreparabile, anche se ha nostalgia del perduto e torna a immergervisi con la
fantasia. Peraltro tutta il design della Hamel ha questa caratteristica, perchè
è un mondo essenzialmente per l’infanzia, e le vibrazioni della luce, delle
luci colorate hanno la razionalità del sentimento, del gioco, del sorriso. E’
una infanzia del nostro substrato arcaico. Soltanto secondariamente è
derivazione post-moderna. E’ un mondo di piccoli ma osservato e
desiderato, e sognato, dagli adulti. Quando vedo i suoi oggetti, i suoi
ambienti, io non mi sento, non sono sopraffatto come dagli oggetti dei
grandi magazzini (“Les choses” di Georges Perec… celeberrimo, qualcuno
ricorda? Il romanzo sul consumismo del 1965 edito da Julliard a Parigi, da
noi nel 1986 da Rizzoli), non vengo preso dal panico dell’acquisto, ma sono
attrato a indagare, a cercare, alla ricerca del tesoro… mi spinge a giocare
per quanto ormai sia grandino… C’era a Firenze, sulle colline verso Monte




                                          24
3
Oliveto, un grande magazzino a conduzione famigliare che era per noi, mia
moglie ed io, un paradiso terrestre dove ogni tanto s’andava a guardare
tante minuzie, tante forme colorate, tante tentazioni… Ecco, tentazioni da
Paradiso Terrestre. Non era poi cosĂŹ importante possederle, quelle cose,
importante era stimolarsi, incuriosirsi. Queste luci immesse dalla Hamel nel
processo delle sue ideazioni ultime in ceramica realizzata a Nove di
Bassano hanno un illustre ascendenza, non dico tanto “ab antiquo”, che
sarebbe troppo lungo a dire, ma nella contemporanea ricerca di rompere
con la schematicità del razionalismo. Perchè se si vuole, è straordinario il
mondo delle vetrate cosĂŹ colorate del Medioevo romanico e gotico
soprattutto… c’è tutto un mondo persino teologico per coglierne il vero
significato… Che micro-macrocosmi, che universi! Dal razionalismo è come
far salti all’indietro di secoli. Hamel li ha fatti quei salti, per natura e non
soltanto per cultura. Ma poi la luce, e Luce era stata chiamata una figlia del
futurista Balla, luce come energia, come movimento, come velocità… che
cosa è piÚ veloce della luce? Lo aveva ricercato anche Lucio Fontana nei
primi anni Cinquanta con un filamento di neon guizzante, che nel guizzo
s’attorcigliava e dava l’impressione di sfuggire come una schiocca di
cavallo… Bello quel che scrive Andrea Branzi, quando sintetizza:”La luce
dello Spirito. Una luce che crea ombre e penombre; sorprende e vibra” e
spiega che: “Il design italiano…(è) vicino alla grande tradizione della pittura
e della spiritualità italiana…Raramente infatti i prodotti del light design
italiano sono lussuosi, ma molto piĂš spesso sono presenze amiche che
giocano dentro l’ambiente il ruolo di folletti domestici che illuminano la
nostra notte.” (in:”Che cos’è il Design Italiano? Le sette ossessioni del
Design Italiano”, a cura di Silvana Annicharico e Andrea Branzi, Triennale
Electa, Milano 2008, p.196 e passim). Ecco mi pare che qualcosa attenga di
questo a Maria Christina Hamel, e porti ad individuare la sua specificitĂ 
nell’assunzione della luce quale si sprigiona dai suoi vasi non con la




                                          26
distruttivitĂ  dei Vaso di
Pandora: ma con i ghiribizzi di
vari folletti che animano la
scena, e fanno di tutto
attivando come un
meraviglioso movimento di
palcoscenico, di fumetto
animato, di balletto frenetico
col cuore in gola. Perchè
anche in questo c’è spirito,
c’è anima, c’è nostalgia di un
mondo perduto che si ricrea,
si rincorre, ci si perde, che si
cerca di recuperare in qualche
aspetto… Che si gioisce.
Qualcosa di importante che si
proietta oltre.


Fano, 20/21 Ottobre 2008,
Gian Carlo Boiani




                                   27
Mi capita di frequentare, per lavoro, architetti di diversa formazione e di
lavorarci assieme.
Mi stupisce verificare come siano – con estrazioni così diverse – affetti da
malattie” culturali identiche a diverse latitudini. Ad esempio tutti disegnano
le piante di un edificio e poi i prospetti. Questo in nome di una presunta
“funzionalità” e a scapito di una “secondaria” bellezza. L’infezione è
profonda e duratura. Al fondo della formazione del cosidetto “movimento
moderno” stava “la forma segue la funzione” stava l’architettura razionalista
ecc. Ecc. Apparentemente tutto questo si fondava sulla avanguardia degli
anni ‘20 e ’30 che razionalizzavano l’architettura (le città, le forme…)
Eliminando il superfluo. Su questo si potrebbe disquisire a lungo – non c’è
lo spazio (e forse non è il luogo) su queste righe. Apparentemente si
riteneva questo movimento erede della positivitĂ  ottocentesca e si riteneva
che le sorti magnifiche e progressive della razionalitĂ  portassero
automaticamente ad un mondo migliore, a una cittĂ  migliore, a forme
migliori. Non è affatto così, le forme sono importanti – molto importanti – a
prescindere. Chi opera nell’ambito delle forme sa che queste sono il
deposito e la sintesi di storie, culture, e simboli, fondamentali per il singolo
e per la collettività e che poco o nulla hanno a che fare con la razionalitò. E’
difficile penso comprendere questo in una societĂ  (globale) senza qualitĂ .
L’unico parametro dimensionale è la quantità (del denaro, dei metri quadri,
delle percentuali, dei numeri, dei carati, ecc, Ecc.) Diversi momenti
successivi hanno tentato di fondarsi su basi qualitative diverse: la storia,
anzitutto. Il Postmodern statunitense, quasi privo di storia architettonica ha
percepito per primo la necessitĂ  di mantenere una vivida traccia nelle forme
della propria architettura. Attraversato da tempi analoghi a quelli della moda
(abbigliamento) e quasi scomparso lasciando flebili tracce di sè
ampiamente dileggiate dal mondo accademico europeo. Questo mondo
accademico era composto da persone che da venti trent’anni dicevano e




                                          28
ripetevano l’esatto contrario di quello che il postmodern rappresentava.
Desiderio / necessità di forma, professionalità della forma (da cui l’intima
conoscenza della medesima e della sua trasformazione in atto).Trasferitosi
tale intento dagli Stati Uniti all’Italia, cambiava di segno. Se ne
facevanofautori in particolare paolo portoghesi (“post-modern”) e Aldo
Rossi (“l’architettura della città”). Non credo sia un caso che costoro –
assieme a molti altri siano stati protagonisti non solo di architettura ma,
ancor di piĂš di oggetti domestici (dai candelabri di Portoghesi ispirati alla
Moschea di Roma, alla Caffettiera “conica” di Alessi. Per converso alcune
architetture (es.:”il teatro del mondo”) apparivano come suppellettili
domestiche a significare, ancora una volta l’unicità storico-sociale della
forma. Nei primi anni ’80 alcuni associavano queste forme a Nietsche e al
“pensiero negativo”, sapendo di filosofia quanto ne so io. Il tutto teso
ancora una volta a non sconfessare quanto detto e scritto sino ad un attimo
prima. La gente vive troppo a lungo. Le generazioni che seguono non hanno
difficoltĂ  alcuna a comprendere e sottolineare gli errori di chi le ha
precedute, ma quando si tratta delle stesse persone… Le forme che sono
nate da queste esperienze sono al contrario positive. Ho un ricordo
vivissimo di come percorsi alla biennale architettura del 1980. La “Strada
Novissima” disegnata da Portoghesi. In quella sede fu disegnarta una
strada (già questo è un accadimento straordinario, chi nei miliardi di metri
cubi disegnati da architetti di ogni ordine e grado in tutto il mondo non
ricorda una strada??!!). Questa strada era costituita da facciate (idem); le
facciate disegnavano la strada. Nel disegno di questa strada sono
intervenuti gli architetti piĂš disparati, resta la strada, la forma della strada, la
forma espressione della civiltĂ  in quel momento. Qualcuno ricorda le forme
di Calatrava? Sono ossa di balena, pilastri, travi, solai, momenti flettenti; ha
fatto un ponte a Venezia e non è riuscito a vedere che il ponte non serve per
vedere l’acqua che vi scorre sotto, ma per commerciare, incontrare la




                                            30
gente, fermarsi, non è stato capace di copiare Rialto……..Nemmeno
tecnicamente. Questa è la storia, o la sua essenza. La storia è luogo, è
passione, è amore, è emozione. La storia è disegno/progetto come
istituzione umana, ossia prodotto dall’uomo per l’uomo; esattamente come
accade per tutte le forme di cui parliamo. Oggi si parla di bio-architettura?!!.
Probabilmente si pianterĂ  un pino marittimo al centro degli assi di Piazza
Campidoglio, si potranno mettere alcune querce sui prospetti attigui a
piazza di Trevi e alcuni gigli d’acqua nelle vasche. Il disegno/progetto è un
fattore di coesione (o divisione) sociale. L’oggetto è un prodotto sociale,
ossia deriva dalla memoria (lenta) sedimentata dell’uomo quale espressione
delle sue civiltĂ . Maria Christina Hamel segna col suo lavoro i momenti
migliori di queste riflessioni. Le sue collaborazioni storiche con Alessandro
Mendini, con Alchimia, con Ettore Sottsass, rappresentano una storia di
sistematica resistenza alla razionalitĂ  vuota, stupida, priva di senso, fine a
se stessa. Mi torna in mente una lapide cimiteriale “Ho corso tutta la vita
per arrivare sin qui”. Le sue forme apparentemente ingenue,
apparentemente infantili, apparentemente cartoonesche in realtĂ 
appartengono ad un filone ferocemente corrosivo dell’uomo quantità.
Anche in questa occasione i suoi oggetti nuovi adottano uno strumento
atavico della storia dell’uomo: la ceramica che per millenni ha segnato –
contrasegnato questa storia. Alcune civiltĂ  sono identificate dalla ceramica
che hanno prodotto. La ceramica è lo strumento che esprime allo stesso
tempo la fragilità della materia, l’eternità della forma e allo stesso tempo
rappresenta la forma indistruttibile, la forma che resiste al tempo, che
resiste alle intemperie ed ai cataclismi, la forma che segna e disegna la
storia……….Della civiltà. La Hamel disegna una traccia diversa di questa
civiltà. La ceramica è materia che resiste alla geometria del tecnigrafo e
dalla geometria dei computer, è una forma che nasce dal gesto dell’uomo.
La ceramica della Hamel è una ceramica che trasuda goia di vivere,




                                  31
felicitĂ  della forma, piacere di guardare, piacere di toccare, piacere di vivere
per vivere……..Come si vive seduti sulla scalinata di Trinità dei Monti, senza
far nulla, per il solo piacere di vivere. I suoi vasi “Cascata” o “Mondi” sono
vasi, sono lampade, sono sculture, sono giochi per il puro piacere della
vista. Rimandano a quanto la fantasia di ciascuno di noi riesce ad
immaginare, d’acchito. Voremmo giocare con questi oggetti, possederli,
toccarli, guardarli lubricamente. “Stella” si può trasformare in una lampada
votiva che nega l’assolutezza della morte per farne un momento di
passaggio tra una vita e l’altra. “Foglie” assume le sembianze di un
“tokonoma” di un sacro angolo iconico nello spazio domestico. Le
ceramiche di Maria Christina sono inserite nell’ambito delle ceramiche della
Grecia classica e della sua discorsività, si apparentano all’iconografia
esuberante e sintomatica delle ceramiche precolombiane, assumendone un
analogo valore scultoreo.
Gli oggetti, i disegni, i colori, i motivi che presenta in questa occasione
potrebbero essere accostati a numerose espressioni artistiche (Jean Arp,
Yakoj Kusama, Dan Lavin) a numerose espressioni del design (neo liberty,
bolidismo) a numerose espressioni architettoniche (si pensi all’architettura
di Phillippe Starck realizzata in Giappone) in realtà rappresenta solo sè
stessa e la sua opera. All’interno di un grande alveo che raccoglie l’opera di
numerosi altri autori … Per ora sconfitti o relegati alla storia
……..Razionale,………Seria,……..suicida.


Tiziano Dalpozzo




                                          32
33
“Fiori di luce”: una metafora per abbracciare in un’unica immagine le
sculture create da Maria Christina Hamel, sculture in cui colore e luce
modulano e definiscono forme, percezioni, sensazioni.
Dalla tridimensionalitĂ  al bidimensionale, dalle sculture ai quadri, in un
percorso unico e unitario si condensa tutta l’esperienza e la passione
creativa dell’artista che tocca direttamente il cuore dei nostri sensi, nella
combinazione delle forme, dei colori, della luce. DensitĂ  di esperienza e di
creazione, nel suo lavoro, rendono evidenti i molteplici riferimenti culturali
che ne hanno segnato la formazione, tra cui basti citare la tradizione
artigianale della ceramica, la pop art, i neon di Fontana … Un’esplosione di
colori e di luce dove sogno e realtà si fondono, perchè l’una non può
esistere senza l’altro. La realtà è sognata e il sogno è reale, in una
dimensione creativa dove razionalitĂ  progettuale e tensione immaginativa
trovano la loro sintesi nella realtĂ  materica, e la forma pur sempre chiusa,
non può non tentare diramazioni, estensioni nello spazio intorno a sè, per
illuminarlo, contaminarlo, vivificarlo. Dalla esperienza antica della ceramica
alla tensione sperimentale e creativa dell’arte e del design contemporaneo,
il lavoro discreto, quotidiano e tenace di Maria Christina esprime l’accordo e
l’equilibrio trovato tra universo emotivo e lucidità progettuale, tra sensualità
e razioncinio, tra passione e ragione.
Giampietro Agostini, fotografo, ha tradotto in immagini le sculture e i quadri
di Maria Christina. Con diverse esperienze, soprattutto nell’ambito della
fotografia d’architettura, Agostini da sempre opera con perizia e
straordinaria sensibilità, coltivando la passione antica per la “scrittura con la
luce”, la foto-grafia. Dalla ripresa alla stampa, ancora e spesso in camera
oscura, le fotografie di Agostini nascono senza fretta, nella ricerca di
sintonia ed equilibrio tra la realtĂ  e la propria capacitĂ  di percezione e di
sguardo. Per Maria Christina realizza immagini nel colore e nella luce.
Una foto – grafia per creazioni di luce.
Da luce a luce.


Silvia Paoli, Ottobre 2008


                                           34
"Foglie e fiori con universo",disegno




35
Il sorriso del design
Il lavoro di Maria Christina Hamel pone, fra le altre, una questione divenuta /
ritornata di estrema attualitĂ : la relazione fra cultura la progettuale
contemporanea e i modi produttivi. Dai tempi di Alchimia in poi, la Hamel si
è mossa lungo un territorio di frontiera che l’ha spinta (non diversamente in
verità da quanto è accaduto, ad esempio, ad Alessandro Mendini) da una
parte a guardare verso un mondo interiore di espressione poetica, dall’ altra
a preoccuparsi della collocazione e del significato dei propri oggetti nel
panorama degli artefatti estetici.
La conciliazione delle due istanze è di frequente passata attraverso la scelta
di linguaggi, materiali e modalitĂ  produttive tali da salvaguardare la piccola
serie, la cura del modo e della qualitĂ  del fare. Che non ha mai impedito una
visione piĂš ampia di come intendere e praticare la presenza degli oggetti, in
particolare nel contesto domestico, ben esemplificata dalle numerose
collaborazioni sia con le aziende di produzione che con le grandi catene
della distribuzione commerciale.
Quest’ultima competenza ha permesso di sostenere il confronto con
l’industria con alcuni esiti assieme pacati e riuciti. Come, per fare un unico
esempio nelle borse plastiche per Koziol (con Alessandro Mendini) che
quest’anno compiono un decennio di vita. Ma la dimensione più congeniale
alla progettista sembra essere quella della ricerca di dialogo fra il linguaggio
del design, le necessità della piccola serie e i modi produttivi artigianali. E’
infatti possibile rintracciare un filo conduttore unitario dentro i suoi lavori
dagli esordi ad oggi, sia nelle scelte linguistiche e formali che nei materiali
adottati per la realizzazione dei propri artefatti. La predilezione cade
naturalmente sulle tecniche manuali e sui materiali naturali, come la
ceramica o il vetro. Altrettanto ostante è un altro inconfondibile segno della
designer, il colore vivace che comunica un senso sereno e felice delle cose
e della vita.




                                          36
"Due vasi con foresta",disegno




37
Tutte queste cifre ritornano nell’ultima collezione di ceramiche, realizzate dai
maestri vicentini di Nove. Una collaborazione che fornisce, fra l’altro, un
fattivo contributo alla salvaguardia e valorizzazione delle tradizioni del
“saper fare” – in questo caso legati alla produzione artigianale della
ceramica – presente nel nostro paese, di freguente sottovalutate o
autolimitantesi.
Le otto sculture “Fiori di luce” fondono un materiale tradizionale, come la
ceramica, con uno contemporaneo come il neon, a costruire oggetti
luminosi assieme fisici e leggeri. La coppia di colonne di grandi dimensioni,
“Paradiso terrestre” e “Amore e Sentimento”, rileggono invece
allegoricamente questioni esistenziali della vita di ognuno di noi:
cromatismi, forme arrotondate e naturali, rimandi floreali e zoomorfi ne
forniscono un’ interpretazione gioiosa e giocosa. A noi pare sempre buona
cosa quando il design ha a che fare con il sorriso.


Alberto Bassi




                                          38
"Mondi e prospettive",disegno




39
Ecco l’Autunno! La vita nel corpo della vita,
       come un bimbo nella pancia della madre.
  Non piÚ ideazione nè creazione, ma gestazione.
                       L’Età Matura.
      “Nel mezzo del cammin di nostra vita … “
Dopo l’infanzia e la giovinezza, nella maturità si apre
      la possibilità di unire all’intelletto un po’ di
                        esperienza,
          all’esperienza un po’ d’intelligenza,
  all’intelligenza l’intimità della saggezza interiore,
               riconoscibile e riconosciuta.
E la vita diventa viva, un ‘innamorato verso l’Amore.

                  Ambrogio Beretta




                        40
"Cascate, onde e geiser",disegno




 41
Racconto intorno al Tavolo


Da un colloquio con Patrizia Scarzella, Milano 15 Ottobre 2008


La mia infanzia


Sono nata in India, a New Delhi, mia mamma, Rosanna, originaria della
Versilia è cresciuta in India, dove mio nonno lavorava come marmista, lÏ ha
conosciuto mio padre Jury, giovane diplomatico della Repubblica Federale
d’Austria, nato in Indonesia da padre austriaco che era fuggito dalla
disgregazione dell’Impero Austroungarico e da madre russa, fuggita, lei
russa bianca, agli orrori della Rivoluzione d’Ottobre.
I miei si sono sposati nella cattedrale di New Delhi, dove tutti i lavori in
marmo, compreso il Fonte Battesimale dove io sono stata battezzata, erano
stati eseguiti dal nonno materno Cosimo. Non si può tralasciare il fatto che
io sia nata in India, anche se ci ho vissuto solo i primi due anni e quindi, pur
non riportandone dei ricordi nitidi, grazie anche all’amore che avevano i miei
per quel Paese, mi piace pensare di avere assimilato qualche tratto di quella
meravigliosa cultura. Tanto è vero che, quando capita, gli stessi indiani
dicono: “ allora sei una di noi!”.
                    Dopo l’India ci trasferimmo per due anni a Vienna e
                    quindi per tre anni in Tailandia.
                    I miei primi ricordi nitidi risalgono proprio a quegl’anni: la
                   scuola, io che porgo i fiori alla Regina Sirikit, le gite in
                   luoghi all’epoca incontaminati e solitari come ad
                   esempio Pucket, una Bankok profumata, piena di verde
                   e di canali, con le case, compresa la nostra, costruite in
                   legno in stile coloniale, la servitĂš gentilissima, cosĂŹ come
                   tutta la popolazione, le mie amichette di tutte le razze, io




                                           42
che vado a lezioni di danza tradizionale Tai, insomma un’universo fantastico
ma al tempo stesso vero, tangibile che, sinceramente, mi è poi sempre
mancato e che mi piace pensare abbia segnato grandemente il mio modo di
essere.
Con i genitori molto presi dagli impegni legati alla rappresentanza
diplomatica, per noi bambini c’era la possibilità di prendersi delle libertà
inimmagginabili e tutto era bellissimo; eravamo, veramente, molto liberi.
In Tailandia ho iniziato le elementari presso la suola svizzera e lĂŹ, in un paese
dove c’è un clima tropicale costante, ci venivano raccontate le storie della
montagna, di un ragazzino che scendeva a valle quando la neve si
scioglieva e io trovavo queste storie cosĂŹ surreali, fuori contesto e quindi
molto affascinanti!
In quel periodo cominciai a fare i miei primi disegni, mi piaceva molto
pasticciare con i colori e uno dei primi soggetti fu lo zoo con i suoi forzati
ospiti.
Un’altro ricordo bello che ho è stato quando una volta capitò l’occasione di
accompagnare mia madre a comprare dei tessuti nel nord della Tailandia.
In quel luogo pieno di centinaia di tessuti c’erano a terra moltissimi fili di
tutti i colori che si raggruppavano tra loro, io ne raccolsi alcuni e li usai per
un ricamo, il risultato fu un cesto dai fiori colorati: direi abbastanza
straordinario per una bambina di soli sei anni!
Dopo la Tailandia tornammo in Austria, di quel periodo conservo un ricordo
piuttosto grigio, era il 1965, io avevo sette anni e nonostante l’occupazione
sovietica, iniziata con la fine della seconda guerra mondiale, fosse finita da
dieci anni, non si vedevano segnali di particolare gaiezza. Si respirava
un’aria pesante, soprattutto se confrontata con la spensieratezza che avevo
provato in Tailandia e ai suoi colori….fu un tremendo choc !
La salvezza per sfuggire a quel clima cupo, autoritario, con una scuola
nozionistica incapace di trasmettere stimoli, arrivò grazie ad un’amica di




                                  43
famiglia che m’insegnava il francese e trasmettendomi il suo amore per
l’arte m’influenzò positivamente.
Cominciai a cercare e a leggere libri d’arte rimanendo colpita
particolarmente dal movimento del realismo fantastico viennese, a parte
Klimt chi mi impressionò maggiormente di quel periodo storico, fu senz’altro
Kokoska, avevo 15 anni e l’anno dopo ci trasferimmo in Italia.


L’Italia e il design.


Dalla aria cupa di Vienna al clima mediterraneo di Milano!
In Italia ho frequentato, fino al conseguimento della maturitĂ , la Scuola
Tedesca, durante gli anni 70 c’erano molte famiglie tedesche a Milano e,
come sempre capita in tutte le cittĂ  dove
vivono temporeanamente comunitĂ  di
stranieri, questo contribuiva a rendere
l’ambiente particolare e un po’ speciale.
In quel periodo non disegnavo moltissimo,
vista anche l’età, c’erano altre motivazioni
e situazioni per me piĂš interessanti.
Ricordo che l’anno della maturità, il 1977,
                                                   Foto di Occhiomagico "Christina d'argento"
comunicai a mio padre l’intenzione di
studiare design; raggiungemmo l’accordo che avrei potuto frequentare i
corsi, cosĂŹ non me ne sarei andata di casa, come invece stavano facendo
quasi tutti miei compagni della Scuola Tedesca.
Alla Scuola Politecnica di Design cominciai a studiare disegno tecnico con
lo stesso metodo utilizzato negli istituti tecnici a me sconosciuto, proiezioni,
prospettiva, tutto del disegno mi entusiasmava moltissimo.
Anche gli studi pittorici sul colore tenuti dal professor Silvestrini, mi
riempivano d’entusiasmo.




                                              44
Il direttore della scuola, Nino di Salvatore era un profondo conoscitore della
Gelstalt, che è quella teoria filosofica sulla percezione fenomenologica .
Mi piaceva l’impostazione della scuola, dove i corsi di design, di arte e di
grafica erano strettamente legati fra loro, molta attenzione veniva riposta
nello studio della percezione dello spazio, devo dire che quel metodo
d’insegnamento mi ha dato tantissimo.
Il fatto poi che ci fossero come docenti veri intelettuali con percorsi
formativi differenti e che di questi molti gravitassero attorno al mondo
dell’arte, è stato di fondamentale aiuto per la mia formazione.
Anche il corso di progettazione coordinato da Attilio Marcolli era molto bello
e ho avuto anche, come insegnante, Norbert Linke formatosi alla scuola di
Maldonado presso l’università di Ulm.
Il suo merito, per me, è stato quello di avere introdotto nel design e nella
progettazione quell’atteggiamento di apertura verso i problemi sociali.
Come progettazione spaziavamo da lavori estremamente legati al mondo
della produzione industriale, ad esempio ricordo il progetto di un tornio
industriale, fino agli studi sul colore in cui c’insegnavano a mescolare il
colore matericamente, operazione molto lunga che richiedeva una grande
concentrazione ma che permetteva di assaporare il piacere del fare.


Il mio percorso professionale


Terminata la scuola, la mia prima esperienza lavorativa fu con Ugo La
Pietra, con una speciale capacitĂ  nel disegnare che lo portava a realizzare
anche i disegni di architettura su lucido a matita.
Questo mi permetteva di mettere in pratica tutte le teorie apprese alla
scuola di design, ad esempio come impugnare e come appuntire il lapis.
In seguito dopo una seconda esperienza lavorativa con Ambrogio Rossari,
apprezzatissimo professionista, incontrai Alessandro Mendini.




                                 45
Gli anni mendiniani, dieci, non sono facili da riassumere in poche righe,
oltretutto per un certo periodo si sono intrecciati con l’avventura di Alchimia
di cui Sandro è stato uno dei principali promotori ed io una adepta di quel
cenacolo di utopisti del design.
Mendini è una persona carismatica di grande sensibilità umana, dotata di
un metodo di lavoro molto rigoroso che tende a razionalizzare il piĂš
possibile le idee senza però privarle di una loro inconfondibile carica
poetica.
Normalmente per ogni progetto si creava un gruppo di lavoro che, ricevuto
l’input iniziale, si confrontava con le diverse esperienze culturali,
razionalizzandole, e, dopo essere passati attraverso la rigorosa vagliatura di
Mendini, si approdava al risultato definitivo.


Il mio mondo figurativo


Non disconosco la mia matrice mendiniana perchè è propria di chi ha
partecipato al gruppo che ha elaborato questo linguaggio espressivo e
visivo.
Durante quel periodo ho elaborato un certo tipo di sensibilitĂ  cromatica, una
creativitĂ  in Tecnicolor!
Quando ho iniziato a collaborare con Mendini, lui diceva di essere prima di
tutto un architetto e dal momento che io mostravo maggiore interesse per
gli oggetti, lui mi faceva lavorare alla loro creazione, mi dedicavo, cioè, a
quella parte di attivitĂ  dello studio che si occupava piĂš specificatamente di
design.
Gli oggetti non erano architetture miniaturizzate, costituivano un mondo
diverso, di utilitĂ  e di quotidianitĂ .
La scuola di Mendini prevede di avere una posizione intelettuale di rottura
rispetto all’estetica esistente per creare nella progettazione nuovi elementi
espressivi, introducendo degli elementi stilistici che non sono




                                          46
necessariamente delle forme tridimensionali, ma che anche applicate
bidimensionalmente trasformano un’oggetto, spostando l’espressione e lo
stato dell’oggetto su un piano diverso e nuovo.
Questo concetto trasposto su un prodotto di utilitĂ , per esempio una
lampada, fa sì che l’oggetto magari rimane lampada nella sua forma più
essenziale, con la giunta di tante applicazioni.
Il discorso può portare alla decorazione oppure alla ripresa di forme rilette
nella loro storia.
Porta anche al fatto di includere in questa ricerca delle prefernze per gli stili
storici, come ad esempio il neoclassicismo, oppure a vedere come lo
stesso neoclassicismo usa varie
espressioni stilistiche per definire il
proprio stile unitario.
Il neoclassicismo è espressione di                 gita sul Po
un’epoca che a me piace moltissimo,
sia per l’architettura che per gli
oggetti e i mobili, sia per come           In gita sul Po in compagnia di V.Sacchetti, L.Villani,
interagiscono tra loro che per le loro     D. Gavina e T.Guerra.

proporzioni; questo si vede anche nella decorazione di quel periodo,
particolarmente coordinata e florida. Personalmente sono piĂš portata alle
armonie e alle simmetrie classiche, che non alle assimmetrie. Un’altra
epoca che mi è sempre piaciuta e che mi ha sempre influenzato è quella
della classicitĂ  greca.


A volte possono essere per me fonte di ispirazione anche degli aspetti del
tutto irrazionali che vengono dai sincretismi di alcune epoche e culture che
si incrociano, come il primo romanico, il medioevo…, o semplicemente il
guardare ad altre culture, come è successo all’inizio del 900 con l’Art
Nouveau nei confronti del Giappone, fonte inesauribile d’ispirazione.




                                      47
La ceramica, materiale d’elezione


Durante il periodo di collaborazione con Mendini come reazione a quei
metodi di collettivo rigore, sentii fortissima la necessitĂ  di esplorare forme
espressive autonome che trovai nel meraviglioso mondo della ceramica.
La ceramica, per sua stessa natura, è un’ eccellente strumento di libertà
espressiva, anche se richiede un’ottima preparzione di base e un’accurata
scelta dei siti di produzione, ognuno dei quali è caratterizzato da una
propria specificitĂ .Il mio lavoro di ricerca mi ha portato a realizzare opere in
molti dei principali siti tradizionalmente vocati a questa materia, in Italia e
all’estero: in Italia ho lavorato a Deruta, Albissola, Castellamonte, Milano,
Faenza; all’estero a Limoges, Modra e in India a Ahmedabad, mentre per
quest’ultima collezione la scelta è caduta su Nove nel vicentino.
Io non posso vivere di codifiche stereotipate ma cerco, con il mio lavoro, di
dare una mia classificazione al bello.
Concluso il periodo fondamentale con Mendini ho intrapreso un percorso
autonomo e nel 1992, con la collezione “Una Zebra a Pois”, ho trovato il
mio stargate; nel senso che, in quel momento preciso, ho iniziato
un’esplorazione delle mie potenzialità con occhi nuovi, senza la mediazione
di alcuno, attingendo dal mio patrimonio esperenziale
e oggi, con “Fiori di Luce”, sento di essere approdata finalmente a una
stazione intermedia, dalla quale ripartire per la scoperta di orizzonti
assolutamente sconosciuti.
Questi sedici anni trascorsi, non sono stati affatto semplici e
richiederebbero un approfondimento che sicuramente farò, ma che non è
qui il caso di affrontare.Per mia fortuna lungo questa strada ho trovato due
complici che, sostenendomi totalmente, mi aiutano a trovare continuamente
nuovi spunti: mio marito Cesare e nostro figlio Cosimo.
Durante tutto questo periodo ho dovuto prima chiarire a me stessa se era




                                          48
meglio seguire il classico percorso dell’ Industrial designer, o se dedicarmi,
come in effetti ho fatto, all’approfondimento del concetto del design
artistico, laddove per design artistico intendo quell’ espressività emotiva
che dona all’oggetto disegnato, non solo una carica funzionale, ma anche
un’universo di sensazioni che lo portano ad essere unico. In pratica mi
sento molto più attratta dal mondo dell’artigianato delle arti applicate, come
si diceva all’inizio del novecento, piuttosto che al mondo della produzione
seriale che toglie capacitĂ  discernitiva e che tende a rendere tutto
omogeneo e triste.




                           ritratto capelli corti




           Ritratto di Eugenio Bersani




                                     49
Note biografiche

Giampietro Agostini

Nato a Borgo Valsugana nel 1960. Le tematiche dei suoi lavori fotografici d'autore
intrecciano storia, cambiamento sociale e trasformazione del paesaggio in Italia e in
Europa.
Ha esposto in numerose mostre personali e collettive e ha pubblicato i suoi lavori
su cataloghi di mostre e libri tra cui: “Tracce”, Baldini & Castoldi; “Nottetempo.
Milano 1994/2004”, Meridiana Editrice; “Il campo e la cascina”, Diabasis Editoriale;
“Ex Fabrica. Identità e mutamenti ai confini della metropoli”, Silvana Editoriale;
“Frontiere della memoria”, Litodelta.
I suoi lavori fotografici sono stati acquisiti da musei e da alcune tra le piu' importanti
collezioni pubbliche e private sia in Italia che in Europa.
Collabora con enti e istituzioni pubbliche e private. Con studi di architettura, con
l'editoria, l'industria e il design e con alcune delle piu' importanti aziende italiane ed
estere.
Vive e lavora tra Milano e il Trentino. www.giampietroagostini.it

Alberto Bassi

Alberto Bassi (Milano, 1958) si occupa di storia e critica del disegno industriale.
Insegna Storia del design alla facoltà di Design e arti dell’Università IUAV di Venezia,
dove svolge inoltre la funzione di vice-direttore del corso di laurea specialistica in
Disegno industriale del prodotto. Fa parte della redazione di “Casabella”, collabora
con riviste di settore, come “Auto & Design”, e con l’inserto domenicale del
quotidiano “Il Sole 24 ore”. Fra i volumi pubblicati, Giuseppe Pagano designer (con
L. Castagno, 1994), Le macchine volanti di Corradino D’Ascanio (con M. Mulazzani,
1999), La luce italiana. Il design delle lampade 1945-2000 (2003), Antonio Citterio
industrial design (2004), Design anonimo in Italia. Oggetti comuni e progetto
incognito (2007). bassi@iuav.it

Ambrogio Beretta

Nato a Capriano, nel 1946, è stato dall’infanzia, scolaro, studente, impiegato di 5a
categoria C, bancario, rappresentatnte di abbigliamento, fotografo, scultore, pittore.
Attualmente, studente studiante in armonia. casadiambrogio@gmail.com

Gian Carlo Boiani

Dopo studi formativi e specialistici nelle universitĂ  di Roma, Firenze, Poitiers
(Francia) e Louvain (Belgio), e tirocinio nel Museo Nazionale del Bargello in Firenze e
al Kunsthistorisches Institut in Florenz, dal 1974 al 2001 è stato prima conservatore
alle collezioni retrospettive e poi direttore del Museo Internazionale delle ceramiche
in Faenza. Dall’ottobre del 2001 al settembre del 2006 è stato direttore scientifico


                                               50
del Museo Civico di Pesaro. Docente per un quindicennio, fino all anno accademico
2005-2006, di storia della ceramica all’Università degli Studi di Urbino, è stato
chiamato a tenere un corso ufficiale triennale di storia della ceramica all’Università
degli Studi di Ferrara dall’anno accademico 2008-2009. Attuale presidente
dell’Istituzione (BACT) per i Beni, le Attività Culturali e il Turismo di Urbania (l’antica
Casteldurante), si è occupato dei progetti di ristrutturazione dei Musei ceramici di
Faenza, Deruta, Gualdo Tadino e Pesaro. Presidente di Giurie di Concorsi per la
ceramica d’arte in varie località italiane e straniere, ha organizzato varie mostre in
tutto il mondo specie in collaborazione con il Ministero degli Affari Esteri. Nel 2008,
per l’anno del Rinascimento è stato chiamato a collaborare con il Museo delle Arti
Applicate di Budapest per la mostra: “La dote di Beatrice d’Aragona: la maiolica
rinascimentale italiana alla corte di Re Mattia Corvino”. Fra volumi, monografie,
cataloghi, articoli, presentazioni, la sua bibliografia conta ormai piĂš di cinquecento
titoli, documentabili nelle biblioteche specializzate dei Musei di Faenza e di Pesaro.
giancarlo24@virgilio.it

Tiziano Dalpozzo

E’ nato e vive a Faenza. Sogna di fare l’architetto da grande. Ama il disegno di
qualitĂ , la ceramica e le culture esotiche che li consentono di riflettere sulla sua
romangnolitĂ . Nella sua vita precedente cantava come un uccello lira.
t.dalpozzo@archiworld.it

Alessandro Mendini

Architetto, è nato a Milano. Ha diretto le riviste "Casabella", "Modo" e "Domus".
Sul suo lavoro e su quello compiuto con lo studio Alchimia sono uscite
monografie in varie lingue.
Realizza oggetti, mobili, ambienti, pitture, installazioni, architetture. Collabora
con compagnie internazionali come Alessi, Philips, Cartier, Bisazza, Swatch,
Hermès, Venini ed è consulente di varie industrie, anche nell'Estremo Oriente,
per l'impostazione dei loro problemi di immagine e di design. E' membro
onorario della Bezalel Academy of Arts and Design di Gerusalemme. Nel 1979 e
nel 1981 gli è stato attribuito il Compasso d'oro per il design, è "Chevalier des
Arts et des Lettres" in Francia, ha ricevuto l'onorificenza dell'Architectural
League di New York e la Laurea Honoris Causa al Politecnico di Milano. E’ stato
professore di design alla Hochschule fßr Angewandte Kunst a Vienna ed è
professore onorario alla Accademic Council of Guangzhou Academy of fine Arts
in Cina. Suoi lavori si trovano in vari musei e collezioni private.
Nel 1989 ha aperto assieme al fratello, architetto Francesco, l'Atelier Mendini a
Milano, progettando le Fabbriche Alessi a Omegna, la nuova piscina olimpionica
a Trieste, alcune stazioni di metropolitana e il restauro della Villa Comunale a
Napoli, il Byblos Art Hotel-Villa AmistĂ  a Verona, i nuovi uffici di Trend Group a


                                       51
Vicenza in Italia; una torre ad Hiroshima in Giappone; il Museo di Groningen in
Olanda; un quartiere a Lugano in Svizzera; il palazzo per gli uffici Madsack ad
Hannover, un palazzo Commerciale a LĂśrrach in Germania e altri edifici in
Europa, in U.S.A. Ha svolto lavori in varie nazioni ed è consulente per l'
urbanistica in alcune cittĂ  della Corea. Il suo lavoro, teorico e scritto, oltre che
progettuale, si sviluppa all'incrocio fra arte, design e architettura.
mendini@ateliermendini.it

Silvia Paoli

Nata a Viareggio, nel1960, è Conservatore al Civico Archivio Fotografico di Milano.
Si occupa di storia della fotografia italiana tra Otto e Novecento. Tra le sue
pubblicazioni: L’Annuario di Domus del 1943 (in “Quaderni della Scuola Normale
Superiore di Pisa”,1999), Lamberto Vitali e la fotografia. Collezionismo, studi e
ricerche (Silvana Editoriale, 2004), Moltiplicare l’istante. Beltrami, Comerio e
Pacchioni tra fotografia e cinema,(curato insieme a E.Degrada, E.Mosconi, Quaderni
Fondazione Cineteca Italiana, Milano, Il Castoro, 2007). Ha collaborato
all’Encyclopedia of Nineteenth Century Photography (Taylor & Francis, NewYork,
2007), per la quale ha curato diverse voci, tra cui la voce Italia. Ha curato mostre,
come Ex Fabrica. IdentitĂ  e mutamenti ai confini della metropoli. Giampietro
Agostini, Tancredi Mangano, Francesco Giusti (Castello Sforzesco, Milano, 2006,
catalogo Silvana Editoriale). E’ co-vicepresidente della Società Italiana per lo Studio
della Fotografia (SISF) e membro del suo Consiglio Direttivo. Ha insegnato in diversi
Master universitari e fa parte della giuria del Premio Paolo Costantini per la
saggistica sulla fotografia (edizione 2007 e prossima edizione 2009, Museo di
Fotografia Contemporanea, Cinisello Balsamo, Milano).silvia.paoli@comune.milano.it

Cinzia Ruggeri

Nata a Milano, vive, pratica la poliandria e abita in una Wunderkammer e cucina.
Simultaneamente sposata al naturale e all’artificiale, al crudo e al cotto, tesse senza
fissa dimora, un multilinguaggio di moda, design, antropologia, geologia, ecologia,
emozioni. I suoi discendenti sono totem contemporanei.Tratto da Artforum.
ruggericinzia@gmail.com

Patrizia Scarzella

    Architetto e giornalista, si occupa di immagine e comunicazione ed è consulente
di aziende italiane e internazionali del settore design. Autore di importanti progetti di
ricerca come “Ispirazione Italiana, copie e contraffazioni dei prodotti industriali” e
“Dentro le case degli Italiani” (con Lucia Bocchi), curatore di mostre di design e
autore di libri tra cui Il Bel Metallo(1985), Dormire (1993), In difesa del Design (1991),
Il Giurì del Design (2005), Comunicazione visiva del prodotto d’arredo (2007). Scrive
di design e architettura su diverse riviste internazionali di settore. Ha insegnato al
Corso di Laurea in Disegno Industriale dell’Università La Sapienza di Roma.
Attualmente è docente a contratto all’Università di Genova. www.scarzella.it


                                               52
Maria Christina Hamel

www.myspace.com/mariachristinahamel
mariachristinahamel@mikrodesign.eu

Nasce a New Delhi nel 1958, trascorre la sua infanzia seguendo il padre diplomatico,
oltre che in India, anche in Thailandia e in Austria.
Nel 1973 si trasferisce con tutta la famiglia a Milano dove completa gli studi nel
1979 alla Scuola Politecnica di Design.
A Milano dopo alcune significative esperienze di lavoro con Ugo la Pietra e
successivamente con Ambrogio Rossari, nel 1981 inizia a collaborare con
Alessandro Mendini, che, nell’arco di dieci anni, la porta a partecipare attivamente
ad Alchimia e a parecchi progetti per Alessi;
in questo periodo svolge anche il ruolo di assistente di Alessandro Mendini presso la
Hochschule fuer Angewandte Kunst a Vienna e sempre a Vienna sotto la sua
supervisione effettua un’ importante e approffondita ricerca sulle influenze della
Seccesione sulla cultura della tavola per conto di Alessi.
Ha insegnato al National Institute of Design di Ahmedabad in India (universitĂ 
che ebbe tra i fondatori Charles Eames), al Craft ENAD di Limoges (Francia),
all’ISIA di Faenza e all’Università del Progetto di Reggio Emilia.
PiĂš recentemente presso la NABA (Nuova Accademia di Belle Arti) ha tenuto
un ciclo di lezioni aventi come tema il”Mobile dipinto”.
All’attività di designer da sempre affianca la ricerca di nuove espressioni nel campo
della ceramica con esperienze significative presso alcuni dei migliori laboratori nei
vari siti storicamente vocati a questa materia : Deruta, Albisola, Castellamonte,
Sesto Fiorentino, Modra (Slovacchia), Milano e ultimamente a Nove.
E' stata relatrice ad un congresso internazionale sulla ceramica presso il Museo
Internazionale della Ceramica di Faenza e alcuni suoi lavori sono stati pubblicati
sulla rivista dello stesso museo.
Ha partecipato con una propria personale ad Arte Fiera a Bologna nello spazio del
Comune di Sassuolo (MO) con opere in ceramica e neon e arazzi in mosaico di vetro
realizzati da Bisazza.
Altre sue personali si sono tenute a Milano e Verona.
Numerosissime sono le sue partecipazioni a collettive in tutto il mondo, una
selezione di suoi lavori è stata inserita nel Design Year Book del 1997.
Nel 1994 ha fondato con Cesare Castelli, una societĂ  per lo sviluppo e la diffusione
del Design .
Dal 2000 al 2003 assieme a Cesare Castelli ha curato la ricerca di nuovi prodotti e il
loro lay-out per il Reparto Casa del Dept. Store Fiorucci di Milano e Verona. Ha
progettato e curato la realizzazione di numerosi punti vendita, corners, shop and




                                     53
shop e allestimenti fieristici per numerose aziende nel settore dell’oggettistica in
Italia e all’estero, recentemente ha progettato il lay-out e gl’arredi per il negozio
Angélique Devil dedicato all’erotismo femminile in via Cerva a Milano .
Ha collaborato con numerose aziende in tutti i settori dell’arredamento,
dell’oggettistica e degli allestimenti fieristici.
Assieme a Cesare Castelli è stata consulente per la ricerca e lo sviluppo di prodotti
per la casa per il gruppo Iper.
Ha sviluppato un progetto per la vendita on-line, www.mikrodesign.eu, dedicato
all’oggettistica.
Principali aziende con cui ha collaborato:
Alessi, Acme, Arzberg, Ariston, Anthologie Quartett, Bisazza, Bardelli, Edra, FGB,
Richard Ginori, Iper, Koziol,Leonardo, Marioni, Carlo Moretti, Moto Guzzi, Play Line,
Post Design-Memphis Milano, Ritzenhoff, Salviati, Segno, Sica, Tissot, United Pets.
Selezionata con Alessandro Mendini al Compasso d’Oro per l'Alessofono di Alessi e
al Bundes Preis fur Design per la Tasche di Koziol.


Principale bibliografia:

1,  Dictionnaire du Design Italie, C. Neumann, editor Seuil, p.374
2,  Italienisches Design von den Anfangen bis zur Gegenwart, E. Karcher,
    M. Von Perfall, Verlag Heyne, p. 247, 268, 270, 282f., 295
3, Design im Wandel, Ubersee-Museum Bremen, p.30, 129, 137
4, Faenza, Bollettino del Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza,
    p. 79, 80, tavola XXVIII, XXIX
5, Atelier Mendini, una Utopia Visiva, R. Poletti, Fabbri editori, p. 50, 59,
    62, 143, 135,152, 159, 171, 176, 184, 193, 194, 199
6, Il Design in Italia dell’arredamento domestico, G. Gramigna, P. Biondi,
     editore Umberto Allemandi & C, p. 244
7, Dizionario del design a cura di Anty Pansera
8. The Design Encyclopedia, MOMA NY, Mel Byars,Laurence King
     Publisher London
9. International Design Year Book 1997.
10. D come Design 2008 a cura di Anty Pansera.


Mostre Personali :

1992    “Una Zebra a Pois”
        Milano, Galleria Colombari (Mostra personale)




                                             54
1993   “Mille Bolle Blu”
       Verona, Galleria Crispi (Mostra personale)
1997   “La camera ideale”
       Installazione che analizza la possibilitĂ  di felicitĂ  nella vita domestica
       Milano, Studio di Via Tadino 15
2000   “Luce Nuova” Sculture in ceramica e neon, arazzi in mosaico.
       Bologna, Arte Fiera presso lo spazio del Comune di Sassuolo


Principali collaborazioni progettuali con Atelier Mendini :

1988   “Not in production, Next to production “– Show-room Alessi Milano,
        Alessandro Mendini ( A.M.) con Maria Christina Hamel ( M.C.H.)
1989   “Effetto Acciaio” – Galleria Paola e Rossella Colombari, A.M. con M.C.H.
1989   “Pentolele Falstaff” – show-room Alessi Milano, A. e Francesco ( F ) M.
        con M.C.H.
1990   “Existenz Maximum”- Istituto Innocenti Firenze A. e F. M. con M.C.H.,
        Beatice Felis, P.G., C.M.
1990   “Built in Appliances “A. e F. M. con M.C.H. e P.G.
1991   “Monumentino Swatch “- Biennale di Venezia A. e F. M. con M.C.H.
1991   “Casa Privata in via S. Andrea “ - A. e F. M. con M.C.H. e P.G., C.M.


Partecipazione a mostre collettive :

1986   “La Mossa del Cavallo”,Mobili e oggetti oltre il deign
       Frankfurt, Galleria O.M.Ungers
       Madrid, MOPU
1986   “Per un’immagine imprudente”, Rassegna del giovane design europeo
       Milan, Polenghi Arte
       Reggio Emilia, Casa Ruini
1987   “Per un’immagine imprudente”
       Mantova, Museo d’Arte Moderna
1988   “Oggetti in Tentazione”, Dodici oggetti ideali
       Bari, EXPO Arte
1987   “EX”, Orizzonti di ricerca ambientale
       Bari, Chiesa S.Teresa dei Maschi
1988   “Sopramobile”
       Milano, Studio Oxido
1988   “Next”
       Milano, Showroom Officina Alessi




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1988   “Figure e Forme dell’Imaginario Femminile”
       Reggio Emilia, Sala delle Carozze
1989   “Saturnus”
       Toulouse, Bibliotheque Universitaire du Mirail
       Saragosse, Palais de la Lonja
1990   “Abitare con Arte”
       Milano, Chiesa S.Carpofaro
1991   “Il Design delle Donne”
       Ravenna, Museo dell’Arredo Contemporaneo
1991   “Reggisecolo”
       Milano, Showroom Loveable
1993   “Una Zebra a Pois”
       Milano, Galleria Colombari (Mostra personale)
1992   “Nuovo Bel Design”, 200 Oggetti per la casa
       Milano, Fiera di Milano
1992   “Straordinario”
       Firenze, Fortezza da Basso
1992   “Hommage an Kolumbus”
       Muenchen, Wunderhaus
1993   “La Fabbrica Estetica”, l’ ultima generazione di designers italiani
       Paris, Grand Palais
1994   “XXXIII Mostra della Ceramica”
       Castellamonte, Rotonda Antonelliana
1993   “Mille Bolle Blu”
       Verona, Galleria Crispi (Mostra personale)
1994   “Fantasmi al Castello”
       Arezzo, Castello di Cennina i Val D’Ambra Bucine
1995   “Primordi”
       Milan, Triennale
1995   “Goto”
       Milano, Galleria Internos
1995   “Sanvalentinoro”
       Terni, Rassegna Internazionale di Arte Orafa Contemporanea
1995   “Materiazioni, Nuovi Materiali” Anni 90 Arte a Milano
       Associazione Interessi Metropolitani, Artisti e Artisti Designer nella CittĂ 
       Installazione Gruppo Olis
       Milano, Palazzo delle Stelline
1995   “Mutamenti, Design e Scultura”, Anni 90 Arte a Milano
       AIM, Artisti e Artisti Designer nella cittĂ 
       Milano, Spazio Vigentina




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1995   “Un cuore per amico”
       Exhibition and auction organized by Anlaids
       Milan, Triennale
1996   “Design and Identity, La Fabbrica dell’Arte”
       Humlebaek, Lousiana Museum of Modern Art
1996   “Design im Wandel”
       International Design Yearbook Exhibition 1996
       Bremen, Ubersee Museum Bremen

1997   “Oggetti risorti”
       The second life of used objects
       Milan, Spazio Vigentina
1996   “Koinè”
       International Show of liturgical items and furniture.
       Roma, Ente Fiera
1996   “New Design in Glass”
       Duesseldorf, Fair Glastec and in the Kunstmuseum Duesseldorf im
       Ehrenhof
1996   “Ecomoda”
       Milano, Triennale
1997   “Flowers, un fiore per la vita”
       200 works ispired by flowers created by artists, fotografers, stylists and
       designers.Exhibition and auction organized by Anlaids.
       Roma, Sala Lancisi
1997   “Mostra di occhiali” durante l’edizione1997 di “Mercante in Fiera”
       Parma, Fiera.
1997   “Il Goto d’ Autore” Barovier e Toso
       Mostra dedicata ai goti e asta, il cui ricavato è stato devoluto per la
       Ricostruzione del Teatro La Fenice.
       Milano, Castello Sforzesco
1997   “Oggetti discreti”
       Un viaggio nel mondo degli oggetti senza autore.
       Milano, Galleria Mudima
1997   “La camera ideale”
       Installazione che analizza la possibilitĂ  di felicitĂ  nella vita domestica
       Milano, Studio Via Tadino
1996   “Tipologia della Gola o vestire il Piatto” manifestazione durante l’edizione
       1998 di “Mercante in Fiera”
       Parma, Fiera




                                    57
1998   “Lucerna Illumina Lucilla”
       Installazione luminosa
       Milano, Studio Via Tadino
1998   “Oggetti onesti”
       Milano, Spazio Quintet
1998   “Tecno Caliente”
       Forma, colore e tecnologia nel design latino.
       Milano,Marcatti & Associati
1998   “Telefono una Tigre addomesticata al guinzaglio”
       Bologna, Futurshow 1998
1998   Oggetti Risorti
       Tokio, Ozone
1999   Installazione per una mostra fotografica curata da Photo per “la Perla” a
       Bologna.
2000   Installazione presso Fiera Bologna in ricordo degli studi bolognesi di
       Gioachino Rossini
       Bologna, Arte Fiera
2002   Installazione nell’ambito della mostra “Personaggi tra sperimentazione e
        realtĂ  presso il Cersaie a Bologna
2004   “Life’s Commodities 2004”
       Collezione di Tappeti
       Milano, Post Design
2004   “Normali Meraviglie”
       Mostra di Design
       Genova, Porto Antico, Magazzini del Cotone
2007   Styling MOTO GUZZI
       GMG 2007
       Mandello del Lario
2008   “D come Design” Torino, Museo di Storia Naturale, a cura di Anty Pansera.
2008   “Sempre Verde “Verbania, a cura di Gumdesign.




                                           58
When Christina spoke to me for the first time about creating her ‘Flowers of Light’, I felt very relieved. For some time, in fact, Christina
had greatly reduced her artistic activities, though she had never ceased designing. In the last few years we have had to face many
very difcult situations, in particular the illness of our son Cosimo. We found ourselves ghting a seemingly endless battle, in a war that
fortunately was won, with Cosimo returning to health. Obviously all this required a great deal of concentration and energy, leaving very
little time for art. I am sure that a major factor in Maria Christina’s renewed creativity was her temporary relocation to Tonfano, a seaside
village on the northern coast of Tuscany, a move that I strongly supported. It allowed her to fully recuperate a creative balance in her life,
while a few very dear people helped her to rediscover the necessary emotional tension that resulted in this collection.
In my opinion Christina has talent that is still largely untapped, her creative freshness intact. I am obviously biased, but I know that many
others share my opinion.
The depth of her work lies in the accumulation of experiences that is her life. Christina has never stopped being curious, nor has she ever
stopped seeking in others those values that many wrongly believe to be obsolete, while always maintaining her characteristically humble
and delicate approach to life. I am sure that this collection is the beginning of a virtuous cycle, marked by the fullness of maturity, that
will lead Christina to create many more new and exciting projects.
Cesare Castelli


November 2008
M. CHRISTINA HAMEL
I really love this exhibition “Fiori di luce” (Flowers of Light), with eight sculptures, two big columns, four paintings: a group of meticulously
handcrafted evocative pop-art objects, neon and ceramic, love and feeling.
M. Christina Hamel has been my best collaborator in the times before the computer age. However, by saying this, I don’t want to
connect Christina with an implement, but with a soul, the soul of design. I still keep some India ink drawings on tracing paper, beautiful
and extremely accurate drawings, made for me with such devotion, dedication and an intellectual and gurative link that they were and
still are a great gift and a matchless human experience. Her gure, both delicate and radiant, almost opalescent, elusive, enigmatic
reflects now her new graceful works, both elegant and surreal. They are what she calls “Earthly Paradise”, a dream world, made of
dream objects, polka-dot zebras and now never withering neon flowers. Christina’s sign, search and theory have always been placed at
the meeting point of three factors: the study of the most remote and interesting craft traditions, in particular ceramic; her artistic feeling
and international training, which originated in India and arrived in Italy through Vienna, her main area of reference; her long experience
in Milan. Inside this wide and complex range, M. Christina Hamel has searched, found and developed the grammar and the contents
of her bi- and tri-dimensional world, whose objective looks so poetic, tactful, precious, sober, quiet: uncommon adjectives in this world
of sensation.
Alessandro Mendini, October 2008


…et fiat Lux… Light was the first creation, although the Word was there since the beginning. The reference to Genesis, 1,3 may sound
somewhat disrespectful in Maria Christina Hamel’s garden. Yet, it comes naturally to refer to it, as if one wanted to seek sublime,
which might happen, even though unconsciously: doesn’t the garden of Eden possess a transition light after all? It is Christina herself
to suggest that her light is not the eternal and absolute one, but a softer one, more coloured, like the twilight in the garden of Eden.
Her plants, her vases, the shining laments that spread there make light a more natural reality, not exactly cosmic, but a fairy-tale
one, somewhat mysterious and highly imaginative like Alice in Wonderland. The flat colours of her representations don’t love either
refractions, or the glow of the soul, or the thrill of innite. Hers are pastel shades that have a matt nish on ceramic. They are reminiscent
of Pontormo, or the dull shades of certain pop art…Hamel’s Earthly Paradise stays as it is, without forgetting how irreparable was what
happened there, although the artist is nostalgic about what was lost and tries to sink into it with her fantasy. Hamel’s design has this
characteristic, as it is basically a world for childhood, and the vibrations of light have the rationality of feeling, of playing and of the smile.
It is a childhood belonging to our archaic essence and its post-modern derivation is just a secondary aspect. It is a world of children, but
it is observed, desired and dreamed of by adults. When I look at her objects and settings, I don’t feel overwhelmed as if I were looking
at the goods in a department store (“Les choses” by Georges Perec…the renowned novel – does anybody remember? - dealing with
consumerism, published by Julliard in Paris in 1965 and by Rizzoli in Italy in 1986), I don’t get into a panic for purchasing, but I feel like
investigating and searching, like a treasure hunt… I feel like playing although I am a grown-up by now…I remember a family-owned
store in Florence, on the hills around Monte Oliveto, which my wife and I considered as a Garden of Eden where we used to spend time
browsing and enjoying so many trifles, multicoloured shapes, temptations…Yes, Garden of Eden temptations. It was not so fundamental
to own those objects, but to rouse our curiosity.
These lights used by Hamel in her latest creations in ceramic (made at Nove di Bassano) have a distinguished origin, I don’t say “ab
antiquo”, since it would be too long to say, but in the contemporary search to break with the rationalistic schematism. Sure enough
the world of medieval stained-glass windows, Romanesque and above all Gothic, is extraordinary…There’s a whole world, even a
theological one, to grasp its meaning. What micro-macrocosms, what universe! Starting from rationalism, it’s like jumping back in the
centuries. Hamel did take those jumps, for nature and not just for culture. And what about light? That light had been called a daughter by
futurist Balla, light seen as energy, movement, speed…What is faster than light? Even Lucio Fontana, in the early 50’s, had searched for
it with a flickering neon filament, which twisted itself and gave the impression of slipping out as a horse cracking….What Andrea Branzi
writes is so beautiful: ”The light of the soul that creates shadows and half-lights surprises and vibrates” and adds: “Italian design is close
to the great tradition of Italian painting and spirituality…The creations of light Italian design are seldom luxurious, but they are much more
often friendly presences that play the role of domestic elves lighting up our nights”. (“Che cos’è il Design Italiano? Le sette ossessioni
del Design Italiano” by Silvana Annichiarico and Andrea Branzi, Triennale Electa, Milano 2008, page 196 and passim). It seems to me
that some of this is relevant to Maria Christina Hamel, and brings to nd out her specicity in the assumption of the light emanating
from her vases, not with the destructivity of Pandora’s box, but with the whims of various elves that liven up the stage with wonderful
movements as if they were in an animated comic strip, or panting in a frenzied dance. There’s spirit, there’s soul, there’s nostalgia for a
lost world that recreates and runs after itself…One gets lost and tries to recover in some way…then they rejoice. Something important
that is projected farther.
Gian Carlo Boiani, Fano, October 20-21, 2008




                                                                     59
In my line of work, I often meet and work with architects from different backgrounds.
I never cease to be amazed how, despite having such different origins, they suffer from the exact same cultural diseases, in any
geography. For example, all of them draw a building’s floor plans and then the elevations. This is in the name of a supposed “functionality”
and to the detriment of “secondary” beauty. The infection goes deep and lasts long. At the roots of the so-called “Modern Movement”
was the dictate that “form follows function”; there was rationalist architecture and so on. And so forth. It seems that all this was based
on the avant-garde movement of the twenties and thirties that rationalized architecture (cities, forms and so on). Cutting away the
excess. We could discourse on this at length. But there is not enough space in these pages (and it may not be the place for it anyhow).
This movement, it seems, was considered heir to 19th-century positivism, and it was thought that rationalism’s grand, progressive
destiny would automatically bring about a better world, a better city, better forms. This is not how it went at all. Forms are important,
very important, regardless. Those who work with forms are well aware that they are the holders and synthesis of stories, cultures and
symbols that are essential for individuals and society, and have little or nothing to do with rationality. It seems to be that this is hard
to understand in a (global) society lacking quality. The only parameter that counts is quantity (money, square meters, percentages,
numbers, karats, and so on. (And so forth.) One movement after the other has tried to found itself on the bases of different qualities: rst
and foremost, history. Postmodernism in the United States, almost completely without an architectural history, was the rst to perceive
the need to maintain a vivid trail of the forms of its architecture. Gone through at paces similar to those of (clothing) fashion, it has
almost disappeared, leaving behind faint traces, widely mocked by the European academic world. This world was made up of people
who had been saying again and again for twenty or thirty years, the exact opposite of what postmodernism was saying. Desire / the
necessity of form, professionalism of form (and so intimate knowledge of form and its transformation as it happens). In transplanting
this intention from the United States to Italy, it changed its features. Its greatest champions were Paolo Portoghesi (“post-modern”) and
Aldo Rossi (“architecture of the city”). I think it is significant that these two, and many others, were significant players both in architecture
and in household objects (such as Portoghesi’s candleholders inspired by Rome’s Mosque, Alessi’s “conical” coffee maker. Inversely,
some architectural works (such as “the theatre of the world”) looked like household furnishings, signifying once again the historic and
social uniqueness of the form. In the early eighties, some associated these forms with Nietzsche and “negative thinking”, knowing
about as much about philosophy as I do. All this to avoid having to renounce what they’d been saying and writing until the second
before. People live too long. Later generations find it perfectly easy to see and point out the mistakes that came before. But when it’s
the same individuals… yet, the forms that came out of these experiences are positive. I have a vivid memory of how I went through
the architectural biennial in 1980. The “Strada Novissima” designed by Portoghesi. A street was designed in this context (already an
extraordinary event in itself, with billions of cubic meters designed by architects of every rank throughout the world, who remembers one
street??!!) This street was made up of façades (likewise!); the façades designed the street. In this street’s design, all kinds of different
architects were involved, leaving behind the street, the form of the street, the form expressing civilization at that time. Does anyone
remember Calatrava’s forms? They are whale bones, columns, beams, ceiling slabs, bendings; he made a bridge in Venice and couldn’t
see that the bridge wasn’t meant for looking at the water that flows under it, but for doing business, meeting people, stopping. He
couldn’t manage to copy the Rialto Bridge…Not even technically. This is history. Or the essence of it. History is long. It is passion. It is
love. It is emotions. History is design/planning as a human institution. Made by people for people, precisely as happens for all the forms
we talk about. Now we’re talking about green architecture?!!
They’ll probably plant a maritime pine tree in the centre of boards in Piazza Campidoglio, or maybe a few oak trees along the facades
on the square in Trevi or a few water lilies in pools. Design/planning is a factor of social cohesion (or division). The object is a social
product. It comes from the (slow) sedimentary memory of humanity as an expression of its civilizations. Maria Christina Hamel’s work
marks the best of these expressions. Her past collaborations with Alessandro Mendini, Memphis, Ettore Sottsass, and Andrea Branzi
tell a story of a systematic resistance to rationality, that rationality which is empty, stupid, meaningless, an ends unto itself. It makes me
think of a gravestone, “I spent my whole life getting here”. Her forms are seemingly ingenuous, seemingly childish, seemingly cartoonish,
but are actually part of a ercely corrosive attack against the person as quantity. Here as well, her new pieces use an atavistic tool from
human history, For millennia, ceramics has marked and distinguished this history. Certain civilizations are identied by the ceramics
they created. As a tool, ceramics is an expression of the material’s fragility, the form’s timelessness, and it is indestructible form, form
that stands the test of time, against storms and cataclysms, form that denes and marks history, the history of civilization. Hamel forges
her own path in this civilization. Ceramics is a material that goes against the geometry of the universal drafting machine and that of the
computer. Its form is one born from the movement of human hands. Hamel’s ceramics emanates a joy of life, the aptness of form, the
pleasure of looking, the pleasure of touching, the pleasure of living for the sake of living…Like you can sit on the steps of Trinità dei
Monti, doing nothing, living for the sole pleasure of living. Her “Cascata” or “Mondi” are vases, and they are lamps; they are sculptures;
they are toys for the pure pleasure of seeing. They evoke what each of our imaginations can imagine, at a rst glance. We want to play
with these objects. Own them, touch them, look at them lasciviously. “Stella” can turn into a votive lamp that denies the absoluteness
of death, rendering it a moment of transition between one life and the next. “Foglie” takes on the features of a Japanese “tokonoma”, a
sacred corner in the home space. Maria Christina’s ceramic pieces fit with those of classic Greece and their discursive quality, and they
are part of the lush iconography of pre-Columbian ceramics, taking on a comparable sculptural value.
The pieces, drawings, colours and motifs presented here could be put alongside the works of many artists (such as Jean Arp, Yakoj
Kusama and Dan Lavin) and many design trends (neo-Liberty, Bolidism), many architectural works (Phillippe Starck in Japan). Yet, in
reality, they only represent her and her work. Within a great floodplain that gathers the work of many other artists…Now defeated or
relegated to history…Rational…Serious…Suicidal.



“Flowers of Light”: a metaphor that uses a single image to capture the essence of the sculptures created by Maria Christina Hamel,
sculptures in which colour and light shape and dene forms, perceptions and sensations.
From three-dimensionality to two dimensions, from sculptures to digital print compositions, in a single, unied itinerary that condenses
all of the experience and creative passion of the artist, directly touching the core of our senses with its combination of forms, colours
and light. The density of experience and creation that characterises her work clearly reveals the numerous cultural references that have
marked her artistic development, among which traditional ceramics, pop art and the neon lighting of Fontana. The result is an explosion
of colours and light in which dreams and reality blend together, each unable to exist without the other. Reality is a dream and the dream
is real, in a creative dimension where design rationality and imaginative tension nd synthesis in the reality of matter, and where the
form, despite its closed nature, cannot help but attempt to branch out, expanding into the space around it, illuminating it, contaminating
it, animating it. From the ancient art of ceramics to the experimental and creative tension of contemporary art and design, the discrete,
everyday, tenacious work of Maria Christina expresses harmony and balance between a universe of emotions and clearheaded design,

                                                                     60
between sensuality and rationality, between passion and reason.
The photographer Giampietro Agostini has transposed the sculptures and paintings of Maria Christina into images. With experience
photographing a wide variety of subjects, in particular architecture, Agostini has always worked with extraordinary care and sensitivity,
cultivating a life-long passion for “writing with light”, i.e. photo-graphy. From shooting to printing, a process he often carries out in the
darkroom even in today’s digital era, Agostini’s photographs are created without hurry, in a search for harmony and balance between
reality and his powers of perception. For Maria Christina he has created images that are bathed in colour and light.
Photo–graphy for creations of light.
From light, to light.
Silvia Paoli, October 2008


The smile of design
Alberto Bassi
The work of Maria Cristina Hamel raises several questions, one of which has become (again) extremely topical: the relationship between
the contemporary design culture and production methods. Starting with her experience with Alchimia, Hamel has explored a frontier
territory that has encouraged her (effectively paralleling the experience of Alessandro Mendini, among others) to ponder an interior
world of poetic expression, on the one hand, and on the other to investigate the position and meaning of her objects in the panorama
of aesthetic artefacts.
The reconciliation of these two aspects has often emerged through the choice of languages, materials and production methods that
uphold the concept of limited series and pay attention to how – and how well – things are done. Nevertheless, this has never hampered
a broader vision of how to understand and experience the presence of objects, particularly in the home, an approach that is eloquently
illustrated by her many efforts with manufacturers as well as major retail chains.
The latter ability has allowed her to relate with industry, with results that are at once relaxed and successful. This is the case – simply by
way of example – with the plastic handbags designed for Koziol (with Alessandro Mendini) ten years ago.
But it seems that the area most suited to this designer involves the search for dialogue linking the language of design, the need for
limited series and artisanal production. Indeed, we can find a common thread linking her works – from the earliest to the most recent –
not only in the choice of language and form, but also in the materials she has used to create them. Unsurprisingly, she favours manual
techniques and natural materials such as ceramics and glass. Bold colours, conveying the serenity and happiness of things and of life
itself, represent yet another hallmark, a constant in all of her works.
All of these characteristics are present in her latest collection of ceramics, produced by the master potters from Nove, near Vicenza.
This collaboration also represents a positive contribution to safeguarding and valorizing Italy’s tradition of expertise – in this case tied to
artisanal pottery – that is often undervalued or tends to underestimate itself.
The eight “Flowers of Light” sculptures merge a traditional medium – ceramic – with a contemporary element – neon lighting – to create
luminous objects that are both tactile and lightweight. The pair of large columns titled Earthly Paradise and Love and Sentiment are
instead allegorical expressions of the existential questions that all of us face: an emphasis on colour, rounded and natural forms, and
allusions to flora and fauna thus weave a joyous and light-hearted interpretation. We are always delighted when smiling becomes part
of design.


FROM ACROSS THE TABLE
From a conversation with Patrizia Scarzella, Milan, 15 October 2008
My childhood
I was born in India, in New Delhi. My mother Rosanna, whose family was from Versilia, on the northern coast of Tuscany, grew up in
India, where my grandfather worked as a marble contractor. There she met my father Iury, a young diplomat of the Federal Republic of
Austria. He was born in Indonesia, where his Austrian father had fled to escape the disintegration of the Austro-Hungarian Empire, and
where his Russian mother had fled to escape the horrors of the October Revolution.
My parents were married in the New Delhi Cathedral, where all of the works in marble, including the baptismal font where I was baptized,
had been installed by my maternal grandfather Cosimo. I can’t discount the fact that I was born in India, even though I only lived there
for the rst two years of my life. I have no clear memories of that time, but I like to think that I absorbed traces of that wonderful culture,
thanks also to my parents love for the country. In fact, when I happened to mention where I was born, the Indians themselves say: “Well
then, you’re one of us!”.
After India, we lived for two years in Vienna and then for three years in Thailand.
My first sharp memories go back to those years: the school, my bringing flowers to Queen Sirikit, trips to places that at that time were
solitary and uncontaminated, for example Pucket, the fragrant air of Bangkok, which was very green and crossed by canals, with
houses, including our own, built in wood in colonial style, the very kind servants, like all of the population, my friends of every colour,
going to lessons to learn Thai dance, the traditional dramatic art form of Thailand; in other words, a fantastical yet very real, very tangible
universe that I have always missed and which I like to think had a strong affect on my personality.
With parents who were very busy with diplomatic activities, we children had an unimaginable amount of freedom, and it was wonderful.
We were truly very free.
In Thailand I began elementary school at the Swiss school and there, in a country with a year-round tropical climate, we were told stories
of the Alps, about a boy who descended into the valley when the snow melted. I found the stories so surreal and out of context, and
thus extremely fascinating!
During that time I began my rst drawings. I loved to colour, and one of my rst subjects was the zoo, with its involuntary guests.
Another pleasant memory I have is when I got the chance to accompany my mother to buy fabric in the north of Thailand.
Surrounded by hundreds of bolts of cloth, I discovered threads amassed in bunches all over the ground in a myriad of colours. I gathered
some up and later used them to embroider a basket of colourful flowers. I would say that was a rather extraordinary undertaking for a
six-year-old girl!
After Thailand we returned to Austria. My memory of that period is dreary. It was 1965, I was seven years old and despite the fact that
the Soviet occupation, which had begun at the end of the Second World War, had been over for ten years, there were few signs of
gaiety. The air seemed very heavy, especially compared to the carefree life that I had led in Thailand and to its bright colours….it was
a terrible shock for me!
One person who helped me to escape the gloomy, authoritarian climate, with a school based on rote memory, incapable of providing any

                                                                   61
stimulation, was a family friend who taught me French. She was a very positive influence on my life, also transmitting her love for art.
I began seeking out and reading art books, and was particularly struck by the Vienna School of Fantastic Realism. Besides Klimt, the
artist from that historic period who impressed me the most was Kokoschka. I was 15 years old, and the year after that we moved to
Italy.

Italy and design.
After the gloomy atmosphere of Vienna, the Mediterranean climate of Milan!
In Italy I nished my secondary studies at the German high school. In the 1970s there were many German families in Milan, and as
always happens in cities with temporary communities of foreigners, it made for an unusual and rather special environment.
During that period I didn’t draw very often. Given my age, I was mostly interested in other things.
I remember the year I nished high school, in 1977, when I told my father I wanted to study design. We agreed that I could continue to
live at home, unlike most of my classmates at the German school, who were all headed for other places.
At the Scuola Politecnica di Design in Milan I began studying technical drawing, using the same method taught at the technical high
schools but which I hadn’t yet learned. I very much enjoyed learning projections, perspective, everything to do with drafting.
I was also very enthusiastic about Professor Silvestrini’s lessons on colour.
The director of the school, Nino di Salvatore, was deeply knowledgeable about Gestalt, the philosophical theory on the perception of
phenomenology.
I liked the way the school was organized, with the design, art and graphics courses all closely related. Much attention was paid to spatial
perception and I must say that I owe much to that teaching method.
The fact that the teachers were true intellectuals from a variety of backgrounds, many of whom gravitated around the art world, was
extremely helpful for my development.
The design course directed by Attilio Marcolli was also wonderful, and I was also taught by Norbert Linke, who was a student of
Maldonado at the famed ULM School of Design in Germany.
I particularly value his having introduced to me the idea of design being concerned with social problems.
Our design projects ranged from works that were very closely tied to the world of industrial production, for example I remember a project
for an industrial lathe, to colour studies in which they taught us how to mix the colours ourselves. This was a lengthy operation that took
great concentration but it provided us with the pleasure of accomplishment.

My professional development
Once I nished school, my rst work experience was with Ugo La Pietra, whose drafting skills led him to carry out his architectural
drawings in pencil rather than pen.
I had to put into practice all of the theories I had learned in design school, for instance how to hold and sharpen a pencil!
Later, after a second work experience with Ambrogio Rossari, whom I very much admired, I met Alessandro Mendini.
It is not easy to summarize in just a few short lines the ten years that I worked with Mendini. That period of time is interwoven with my
work with Alchimia, of which Sandro was one of the main promoters, and I an acolyte of those high priests of design.
Mendini is a charismatic person with great humanity. He has a very rigorous work method that attempts to rationalize ideas as much as
possible without depriving them of their inherent poetic charge.
Normally, a work group was created for each project. Once the group had received the initial input, its members would bring to the
project their various cultural experiences, putting them through a process of rationalization. After it had passed the rigorous muster of
Mendini, the nal project was developed.

My gurative world
I fully recognize the role that my years with Mendini played in the development of my expressive and visual language.
During that period I developed a certain type of chromatic sensitivity, a creativity in Technicolor!
When I began working with Mendini, he said he was mostly an architect and since I was mainly interested in objects, he had me work
on them. Thus I devoted my time specifically to the design portion of the studio’s work.
The objects were not miniaturized architectures, they were of a different world, one of everyday utility.
Mendini’s approach consists in maintaining a position of intellectual distance with respect to existing aesthetics, in order to design new
expressive elements by introducing stylistic elements that are not necessarily three-dimensional forms, but which even when applied in
two dimensions transform an object, thus moving the expression and the state of the object to a new and different plane.
This concept, when applied to a utilitarian product, for example a lamp, allows it to remain a lamp in its most essential form, with the
addition of numerous applications.
It can result in decoration or in the recovery of forms that have been reinterpreted through history.
It has also led to a preference for historical styles, for example neoclassicism, as well as studies of how neoclassicism makes use of
various stylistic expressions to dene its own unied style.
Neoclassicism is the expression of a period than I like very much, both for its architecture and for its objects and furniture, and both for
how all these interact and for their proportions. These characteristics are also apparent in the decorations of that period, which were
particularly well-coordinated and florid. Personally, I am more interested in classical harmonies and symmetries than in asymmetries.
Another period that I have always liked and that has always influenced me is Classical Greece.
Sometimes I nd sources of inspiration in completely irrational aspects that result from the blending of overlapping periods and cultures,
like the Early Romanesque, the Middle Ages…, or simply from one culture looking at another, as happened at the beginning of the 20th
century with Art Nouveau looking to Japan as an endless source of inspiration.

Ceramics, a favourite material
During the time I worked with Mendini, as a reaction to his methods of collective rigour, I felt a very strong need to explore autonomous
expressive forms. I found I could easily do this in the marvellous world of ceramics.
By its very nature, working with ceramics provides an excellent means for freedom of expression, even though it requires good basic
training and a thorough knowledge of production sites, because each clay has very specic qualities.
My ceramics investigations led me to create works in many of the principal sites traditionally associated with this material, both in Italy
and abroad: in Italy I have worked at Deruta, Albissola, Castellamonte, Milan and Faenza; abroad at Limoges, Modra and Ahmedabad,
India, while for this latest collection, the choice fell on Nove, near Vicenza.
I cannot work with stereotyped aesthetic canons, and instead attempt to create my own classication of beauty.

                                                                   62
At the end of this important period of working with Mendini, I launched out on my own and in 1992, with the collection “Una Zebra a
Pois”, I found my Stargate; in the sense that, in that precise moment, I began an exploration of my potentialities with new eyes, without
anyone else’s mediation, drawing from my own heritage of experience.
Today, with “Flowers of Light”, I feel that I have finally arrived at a midway station, from which to depart in discovery of entirely unknown
horizons.
These sixteen years that have passed have not been at all simple, and would require a re-examination that I will surely carry out one
day, but this is not the time nor the place.
Fortunately for me, I have found two allies along my travels whose complete support has helped me to constantly discover new points
of departure: my husband Cesare and our son Cosimo.
During this entire period I have needed to rst clarify with myself whether it would be better to follow the classic itinerary of the industrial
designer, or to devote myself, as I have in fact done, to an investigation of the concept of artistic design, where for artistic design I mean
the kind of emotional expressiveness that gives a designed object not only a functional role, but also an entire universe of sensations
that render it unique. I feel much more attracted to the handcrafted world of the applied arts, as they were called at the beginning of the
20th century, then to the world of series production, which diminishes our abilities of discernment and which tends to make everything
homogenous and gloomy.


Giampietro Agostini
Agostini was born in 1960 in Borgo Valsugana, Italy. His photographic art weaves together history, social change and landscape
transformation in Italy and throughout Europe.
He has had many solo and group exhibitions and published his work in exhibition catalogues and books, including Tracce, Baldini &
Castoldi; Nottetempo. Milano 1994/2004”, Meridiana Editrice; Il campo e la cascina, Diabasis Editoriale; Ex Fabrica. Identità e mutamenti
ai conni della metropoli, Silvana Editoriale; and Frontiere della memoria, Litodelta.
His photographs have been purchased by museums and leading private and public collections in Italy and throughout Europe.
He works with diverse public and private institutions, organizations, architecture studios, publishers, manufacturers, design studios and
leading Italian and foreign companies.
He works and lives in Milan and Trentino. www.giampietroagostini.it

Alberto Bassi
Alberto Bassi (Milano, 1958) focuses on the history and criticism of industrial design. He teaches History of Industrial Design at the
Faculty of Design and Arts of IUAV of Venice, where he is also assistant director of the advanced degree course of Industrial Product
Design. He is an editor of “Casabella”, is a contributor to various sector magazines, such as “Auto & Design”, and to the Sunday
supplement of the newspaper “Il Sole 24 ore”. Some of his publications are Giuseppe Pagano designer (with L. Castagno, 1994), Le
macchine volanti di Corradino D’Ascanio (with M. Mulazzani, 1999), La luce italiana. Il design delle lampade 1945-2000 (2003), Antonio
Citterio industrial design (2004), Design anonimo in Italia. Oggetti comuni e progetto incognito (2007).


Ambrogio Beretta
Beretta was born in 1946 in Capriano, Italy. Since childhood, he has been a schoolboy, a student, a functionary, a bank clerk, a clothing
salesman, a photographer, a sculptor and a painter. At the moment, he is a student studying harmony. Casadiambrogio@

Gian Carlo Boiani
After studying and specializing at the universities of Rome, Florence, Poitiers (France) and Louvain (Belgium) and traineeships at
the Bargello Museum in Florence and the Kunsthistorisches Institut in Florence, from 1974 to 2001, Boiani was rst curator of the
retrospective collections and then director at the International Museum of Ceramics in Faenza. From October 2001 to September 2006,
he was scientic director at the Civic Museum in Pesaro. He taught the history of ceramics for fteen years at the University of Urbino,
until the academic year 2005-2006. He was hired to lead an ofcial three-year program in the history of ceramics at the University
of Ferrara for the academic year 2008-2009. He is currently president of the institution for cultural assets, activities and tourism of
Urbania (formerly Casteldurante). Boiani has been involved in remodelling projects for ceramics museums in Faenza, Deruta, Gualdo
Tadino and Pesaro. He is president of competition juries for ceramic art in a variety of Italian and foreign locations, and has organized
many exhibitions around the world, primarily in collaboration with the Ministry of Foreign Affairs. For the Year of the Renaissance in
2008, he was invited to work with the Museum of Applied Arts in Budapest for the exhibition: “The Dowry of Beatrice of Aragon Italian
Renaissance majolica at the court of King Matthias Corvinus”. His bibliography includes books, monographs, catalogues, articles and
presentations for a total of over 500 titles, which can be consulted in the specialized libraries of the ceramic museums of Faenza and
Pesaro.


Tiziano Dalpozzo
Dalpozzo lives and works in Faenza, Italy. He wants to be an architect when he grows up. He loves high quality drawings, ceramics and
exotic cultures that let him reflect on his Romagnola-ness. In his past life, he sang like a lyrebird. t.dalpozzo@archiworld.it

Alessandro Mendini
Mendini is a Milan-born architect. He has edited the magazines Casabella, Modo and Domus. Monographs in many languages have
been published about his work and the work he has done with Alchimia Studio.
He makes objects, furniture, spaces, paintings, installations and buildings. He has worked with many international companies, including
Alessi, Philips, Cartier, Bisazza, Swatch, and Venini. He works as a consultant for industrial businesses, including in eastern Asia, on
issues of image and design. He is an honorary member of Bezalel Academy of Arts and Design in Jerusalem. In 1979 and 1981, he
was awarded the “Compasso d’Oro” award for design, and the “Chevalier des Arts et des Lettres” in France, and received an honour
award from the Architectural League of New York and an honorary degree from the Polytechnic of Milan. He has taught design at the
Hochschule fßr Angewandte Kunst in Vienna and is honorary professor at the Academic Council of Guangzhou Academy of ne Arts in
China. His works are in numerous museums and private collections.
In 1989, he and his brother, architect Francesco Mendini, opened the Atelier Mendini in Milan. Their designs include Alessi factories

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  • 1.
  • 2. MARIA CHRISTINA HAMEL SCULTURE DI CERAMICA E NEON foto di Giampietro Agostini La collezione Fiori di Luce è prodotta da Superego Editions
  • 3. Quando Christina mi parlò per la prima volta dell’intenzione di realizzare fiori di luce mi sentii molto sollevato. Da diverso tempo, infatti, pur non avendo mai smessso di disegnare, Christina aveva di fatto molto rallentato l’attivitĂ  artistica. Negli anni, appena trascorsi, abbiamo dovuto affrontare tante situazioni molto impegnative, con al primo posto la malattia di nostro figlio Cosimo, che ci hanno portato a combattere una vera guerra fatta di tante battaglie. Ovviamente tutto ciò ha richiesto una concentrazione massima, con un dispendio di energie eccezionale che ha lasciato ben poco spazio al gesto artistico. Sicuramente una parte importante di questa ritrovata creativitĂ  di Maria Christina l’ha avuto il trasferimento, seppur provvisorio e da me fortemente sostenuto, al Tonfano, trasferimento che le ha consentito di ritrovare appieno il giusto equilibrio creativo; mentre poche, carissime, persone, l’hanno aiutata a ritrovare la giusta tensione emotiva che ha dato luogo a questa collezione. Secondo me Christina rimane un talento ancora ampiamente da esplorare con una freschezza creativa intatta; ovviamente il mio è un giudizio di parte, ma so che altri condividono questa mia opinione. La profonditĂ  del suo agire trae origine da quel coacervo di esperienze che è la sua vita. Christina non ha mai smesso di essere curiosa, cosĂŹ come non ha mai smesso di cercare negl’altri quei valori che in tanta parte oggi appaiono, a torto, desueti, mantenendo sempre quel tratto umile e delicato che la contraddistingue. Sono sicuro che con questa collezione ricomincia un ciclo virtuoso che suggellato anche dalla pienezza della maturitĂ , porterĂ  Christina a concepire e realizzare tanti nuovi, entusiasmanti progetti. Cesare Castelli 2
  • 4. Gradually the magic of the island settled over us as gently and clingingly as pollen. Each day had a tranquillity, a timelessness, about it, so that you wished it would never end. But then the dark skin of night would peel off and there would be a fresh day waiting for us, glossy and colourful as a child’s transfer and with the same tinge of unreality. Gerald Durell, My family and other animals a Cesare e Cosimo 3
  • 5. M Madre A Accesa R Rosa I Indaco A Arabesco C Ceramica H Hertz R Ritmo I Incanto S Sorriso T Tono I IntensitĂ  N Neon A Accipicchia ! H Hip Hip Urrah A Alata M Materia E Eden L Luce Acrostico di Cinzia Ruggeri 4
  • 6. INDICE 2 Introduzione 7 Fiori di Luce 24 L'Origine di Tutto 34 Il Sentimento del Colore 42 Colloquio intorno a un tavolo 53 Note Biografiche 5
  • 7. 6
  • 8. Fiori di Luce Mi piace proprio questa mostra di “Fiori di luce”, con otto sculture, due grandi colonne, quattro quadri: un gruppo di oggetti evocativi, di genere pop, meticolosamente artigianali, neon e ceramica, amore e sentimento. M. Christina Hamel è stata la mia piĂš importante collaboratrice nell'epoca prima del computer. Ma dicendo cosĂŹ non voglio legare Christina a uno strumento, ma piuttosto a un'anima: l'anima del disegno. Conservo ancora dei disegni a china su carta da lucido, bellissimi, precisissimi fatti per me da Christina con una comprensione, con una dedizione, con un impegno con un legame intellettuale e figurativo che sono stati per me un grande dono, una grande esperienza progettuale e umana. La sua figura diafana e solare, quasi opalescente, imprendibile, enigmatica, riflette ora le sue nuove opere gentili, eleganti, surreali. Sono quello che lei chiama “paradiso terrestre”, un mondo sognato fatto da oggetti sognati, da zebre a pois ed ora anche da fiori di neon destinati a non appassire. Il segno, la ricerca e la teoria di Christina sono sempre stati collocati alla convergenza di tre fattori: l'interesse e lo studio delle piĂš lontane e interessanti tradizioni artigianali, specialmente della ceramica; la sua sensibiliĂ  e la formazione del tutto internazionale, partita dall'India e arrivata in Italia attraverso Vienna, cioè la sua principale area di riferimento; infine la lunga esperienza milanese, con la sua forte stilematica radicalizzante. All'interno di questo ampio e complesso spettro M. Christina Hamel ha cercato, trovato ed elaborato la grammatica e i contenuti del suo mondo bi e tridimensionale, il cui obbiettivo mi appare totalmente poetico, privo di grida, prezioso, raccolto e riservato. Aggettivi rari in questo nostro ambiente di clamori. Alessandro Mendini 7
  • 9. disegno, diam.20 x 32 x h 90 cm 8
  • 11. disegno, diam.18 x h 90 cm 10
  • 13. disegno, diam.13,5 x 18,5 x h 70 cm 12
  • 15. disegno, diam.43 x h 90 cm 14
  • 17. disegno, diam.33 x 52 x h 87 cm 16
  • 19. disegno, diam.24 x 28 x h 80 cm 18
  • 21. disegno, diam.30 x h 75 cm 20
  • 23. disegno, diam.36 x h 58 cm 22
  • 25. L'Origine di Tutto … et fiat Lux … La Luce fu la prima opera creata anche se il Verbo, la Parola fu sin dall’inizio. Il richiamo a Genesi, cap.I, versetto 3, può apparire nel giardino di Maria Christina Hamel persino un po’ irriguardoso. Ma viene spontaneo riferirvisi, come a voler aspirare al sublime, e magari inconsciamente questo avviene: e poi, non è quella del Paradiso Terrestre una luce di transizione, mediana? Ma è Christina stessa a suggerire che la sua luce non è poi quella eterna, quella assoluta ma quell’altra, quella piĂš suffusa, piĂš colorata, piĂš da meriggio del Paradiso Terrestre. Le sue piante, i suoi vasi, i filamenti luminosi che vi sorgono e si espandono fanno della luce una realtĂ  piĂš naturale, non cosmica propriamente, ma fiabesca, un po’ misteriosa e immaginifica come quella di Alice nel giardino delle meraviglie. I colori piatti delle sue raffigurazioni non amano le rifrazioni ma nemmeno il chiarore dello spirito, l’ebbrezza dell’infinito. Sono colori pastello che sulla ceramica hanno una realtĂ  mat, a dire un effetto di opacitĂ . Mi ricordano tanto il Pontormo, che dire?, o i colori piatti di certa pop art… Il Paradiso Terrestre per Hamel rimane tale, non dimentica quel che vi è successo di irreparabile, anche se ha nostalgia del perduto e torna a immergervisi con la fantasia. Peraltro tutta il design della Hamel ha questa caratteristica, perchè è un mondo essenzialmente per l’infanzia, e le vibrazioni della luce, delle luci colorate hanno la razionalitĂ  del sentimento, del gioco, del sorriso. E’ una infanzia del nostro substrato arcaico. Soltanto secondariamente è derivazione post-moderna. E’ un mondo di piccoli ma osservato e desiderato, e sognato, dagli adulti. Quando vedo i suoi oggetti, i suoi ambienti, io non mi sento, non sono sopraffatto come dagli oggetti dei grandi magazzini (“Les choses” di Georges Perec… celeberrimo, qualcuno ricorda? Il romanzo sul consumismo del 1965 edito da Julliard a Parigi, da noi nel 1986 da Rizzoli), non vengo preso dal panico dell’acquisto, ma sono attrato a indagare, a cercare, alla ricerca del tesoro… mi spinge a giocare per quanto ormai sia grandino… C’era a Firenze, sulle colline verso Monte 24
  • 26. 3
  • 27. Oliveto, un grande magazzino a conduzione famigliare che era per noi, mia moglie ed io, un paradiso terrestre dove ogni tanto s’andava a guardare tante minuzie, tante forme colorate, tante tentazioni… Ecco, tentazioni da Paradiso Terrestre. Non era poi cosĂŹ importante possederle, quelle cose, importante era stimolarsi, incuriosirsi. Queste luci immesse dalla Hamel nel processo delle sue ideazioni ultime in ceramica realizzata a Nove di Bassano hanno un illustre ascendenza, non dico tanto “ab antiquo”, che sarebbe troppo lungo a dire, ma nella contemporanea ricerca di rompere con la schematicitĂ  del razionalismo. Perchè se si vuole, è straordinario il mondo delle vetrate cosĂŹ colorate del Medioevo romanico e gotico soprattutto… c’è tutto un mondo persino teologico per coglierne il vero significato… Che micro-macrocosmi, che universi! Dal razionalismo è come far salti all’indietro di secoli. Hamel li ha fatti quei salti, per natura e non soltanto per cultura. Ma poi la luce, e Luce era stata chiamata una figlia del futurista Balla, luce come energia, come movimento, come velocità… che cosa è piĂš veloce della luce? Lo aveva ricercato anche Lucio Fontana nei primi anni Cinquanta con un filamento di neon guizzante, che nel guizzo s’attorcigliava e dava l’impressione di sfuggire come una schiocca di cavallo… Bello quel che scrive Andrea Branzi, quando sintetizza:”La luce dello Spirito. Una luce che crea ombre e penombre; sorprende e vibra” e spiega che: “Il design italiano…(è) vicino alla grande tradizione della pittura e della spiritualitĂ  italiana…Raramente infatti i prodotti del light design italiano sono lussuosi, ma molto piĂš spesso sono presenze amiche che giocano dentro l’ambiente il ruolo di folletti domestici che illuminano la nostra notte.” (in:”Che cos’è il Design Italiano? Le sette ossessioni del Design Italiano”, a cura di Silvana Annicharico e Andrea Branzi, Triennale Electa, Milano 2008, p.196 e passim). Ecco mi pare che qualcosa attenga di questo a Maria Christina Hamel, e porti ad individuare la sua specificitĂ  nell’assunzione della luce quale si sprigiona dai suoi vasi non con la 26
  • 28. distruttivitĂ  dei Vaso di Pandora: ma con i ghiribizzi di vari folletti che animano la scena, e fanno di tutto attivando come un meraviglioso movimento di palcoscenico, di fumetto animato, di balletto frenetico col cuore in gola. Perchè anche in questo c’è spirito, c’è anima, c’è nostalgia di un mondo perduto che si ricrea, si rincorre, ci si perde, che si cerca di recuperare in qualche aspetto… Che si gioisce. Qualcosa di importante che si proietta oltre. Fano, 20/21 Ottobre 2008, Gian Carlo Boiani 27
  • 29. Mi capita di frequentare, per lavoro, architetti di diversa formazione e di lavorarci assieme. Mi stupisce verificare come siano – con estrazioni cosĂŹ diverse – affetti da malattie” culturali identiche a diverse latitudini. Ad esempio tutti disegnano le piante di un edificio e poi i prospetti. Questo in nome di una presunta “funzionalità” e a scapito di una “secondaria” bellezza. L’infezione è profonda e duratura. Al fondo della formazione del cosidetto “movimento moderno” stava “la forma segue la funzione” stava l’architettura razionalista ecc. Ecc. Apparentemente tutto questo si fondava sulla avanguardia degli anni ‘20 e ’30 che razionalizzavano l’architettura (le cittĂ , le forme…) Eliminando il superfluo. Su questo si potrebbe disquisire a lungo – non c’è lo spazio (e forse non è il luogo) su queste righe. Apparentemente si riteneva questo movimento erede della positivitĂ  ottocentesca e si riteneva che le sorti magnifiche e progressive della razionalitĂ  portassero automaticamente ad un mondo migliore, a una cittĂ  migliore, a forme migliori. Non è affatto cosĂŹ, le forme sono importanti – molto importanti – a prescindere. Chi opera nell’ambito delle forme sa che queste sono il deposito e la sintesi di storie, culture, e simboli, fondamentali per il singolo e per la collettivitĂ  e che poco o nulla hanno a che fare con la razionalitò. E’ difficile penso comprendere questo in una societĂ  (globale) senza qualitĂ . L’unico parametro dimensionale è la quantitĂ  (del denaro, dei metri quadri, delle percentuali, dei numeri, dei carati, ecc, Ecc.) Diversi momenti successivi hanno tentato di fondarsi su basi qualitative diverse: la storia, anzitutto. Il Postmodern statunitense, quasi privo di storia architettonica ha percepito per primo la necessitĂ  di mantenere una vivida traccia nelle forme della propria architettura. Attraversato da tempi analoghi a quelli della moda (abbigliamento) e quasi scomparso lasciando flebili tracce di sè ampiamente dileggiate dal mondo accademico europeo. Questo mondo accademico era composto da persone che da venti trent’anni dicevano e 28
  • 30.
  • 31. ripetevano l’esatto contrario di quello che il postmodern rappresentava. Desiderio / necessitĂ  di forma, professionalitĂ  della forma (da cui l’intima conoscenza della medesima e della sua trasformazione in atto).Trasferitosi tale intento dagli Stati Uniti all’Italia, cambiava di segno. Se ne facevanofautori in particolare paolo portoghesi (“post-modern”) e Aldo Rossi (“l’architettura della città”). Non credo sia un caso che costoro – assieme a molti altri siano stati protagonisti non solo di architettura ma, ancor di piĂš di oggetti domestici (dai candelabri di Portoghesi ispirati alla Moschea di Roma, alla Caffettiera “conica” di Alessi. Per converso alcune architetture (es.:”il teatro del mondo”) apparivano come suppellettili domestiche a significare, ancora una volta l’unicitĂ  storico-sociale della forma. Nei primi anni ’80 alcuni associavano queste forme a Nietsche e al “pensiero negativo”, sapendo di filosofia quanto ne so io. Il tutto teso ancora una volta a non sconfessare quanto detto e scritto sino ad un attimo prima. La gente vive troppo a lungo. Le generazioni che seguono non hanno difficoltĂ  alcuna a comprendere e sottolineare gli errori di chi le ha precedute, ma quando si tratta delle stesse persone… Le forme che sono nate da queste esperienze sono al contrario positive. Ho un ricordo vivissimo di come percorsi alla biennale architettura del 1980. La “Strada Novissima” disegnata da Portoghesi. In quella sede fu disegnarta una strada (giĂ  questo è un accadimento straordinario, chi nei miliardi di metri cubi disegnati da architetti di ogni ordine e grado in tutto il mondo non ricorda una strada??!!). Questa strada era costituita da facciate (idem); le facciate disegnavano la strada. Nel disegno di questa strada sono intervenuti gli architetti piĂš disparati, resta la strada, la forma della strada, la forma espressione della civiltĂ  in quel momento. Qualcuno ricorda le forme di Calatrava? Sono ossa di balena, pilastri, travi, solai, momenti flettenti; ha fatto un ponte a Venezia e non è riuscito a vedere che il ponte non serve per vedere l’acqua che vi scorre sotto, ma per commerciare, incontrare la 30
  • 32. gente, fermarsi, non è stato capace di copiare Rialto……..Nemmeno tecnicamente. Questa è la storia, o la sua essenza. La storia è luogo, è passione, è amore, è emozione. La storia è disegno/progetto come istituzione umana, ossia prodotto dall’uomo per l’uomo; esattamente come accade per tutte le forme di cui parliamo. Oggi si parla di bio-architettura?!!. Probabilmente si pianterĂ  un pino marittimo al centro degli assi di Piazza Campidoglio, si potranno mettere alcune querce sui prospetti attigui a piazza di Trevi e alcuni gigli d’acqua nelle vasche. Il disegno/progetto è un fattore di coesione (o divisione) sociale. L’oggetto è un prodotto sociale, ossia deriva dalla memoria (lenta) sedimentata dell’uomo quale espressione delle sue civiltĂ . Maria Christina Hamel segna col suo lavoro i momenti migliori di queste riflessioni. Le sue collaborazioni storiche con Alessandro Mendini, con Alchimia, con Ettore Sottsass, rappresentano una storia di sistematica resistenza alla razionalitĂ  vuota, stupida, priva di senso, fine a se stessa. Mi torna in mente una lapide cimiteriale “Ho corso tutta la vita per arrivare sin qui”. Le sue forme apparentemente ingenue, apparentemente infantili, apparentemente cartoonesche in realtĂ  appartengono ad un filone ferocemente corrosivo dell’uomo quantitĂ . Anche in questa occasione i suoi oggetti nuovi adottano uno strumento atavico della storia dell’uomo: la ceramica che per millenni ha segnato – contrasegnato questa storia. Alcune civiltĂ  sono identificate dalla ceramica che hanno prodotto. La ceramica è lo strumento che esprime allo stesso tempo la fragilitĂ  della materia, l’eternitĂ  della forma e allo stesso tempo rappresenta la forma indistruttibile, la forma che resiste al tempo, che resiste alle intemperie ed ai cataclismi, la forma che segna e disegna la storia……….Della civiltĂ . La Hamel disegna una traccia diversa di questa civiltĂ . La ceramica è materia che resiste alla geometria del tecnigrafo e dalla geometria dei computer, è una forma che nasce dal gesto dell’uomo. La ceramica della Hamel è una ceramica che trasuda goia di vivere, 31
  • 33. felicitĂ  della forma, piacere di guardare, piacere di toccare, piacere di vivere per vivere……..Come si vive seduti sulla scalinata di TrinitĂ  dei Monti, senza far nulla, per il solo piacere di vivere. I suoi vasi “Cascata” o “Mondi” sono vasi, sono lampade, sono sculture, sono giochi per il puro piacere della vista. Rimandano a quanto la fantasia di ciascuno di noi riesce ad immaginare, d’acchito. Voremmo giocare con questi oggetti, possederli, toccarli, guardarli lubricamente. “Stella” si può trasformare in una lampada votiva che nega l’assolutezza della morte per farne un momento di passaggio tra una vita e l’altra. “Foglie” assume le sembianze di un “tokonoma” di un sacro angolo iconico nello spazio domestico. Le ceramiche di Maria Christina sono inserite nell’ambito delle ceramiche della Grecia classica e della sua discorsivitĂ , si apparentano all’iconografia esuberante e sintomatica delle ceramiche precolombiane, assumendone un analogo valore scultoreo. Gli oggetti, i disegni, i colori, i motivi che presenta in questa occasione potrebbero essere accostati a numerose espressioni artistiche (Jean Arp, Yakoj Kusama, Dan Lavin) a numerose espressioni del design (neo liberty, bolidismo) a numerose espressioni architettoniche (si pensi all’architettura di Phillippe Starck realizzata in Giappone) in realtĂ  rappresenta solo sè stessa e la sua opera. All’interno di un grande alveo che raccoglie l’opera di numerosi altri autori … Per ora sconfitti o relegati alla storia ……..Razionale,………Seria,……..suicida. Tiziano Dalpozzo 32
  • 34. 33
  • 35. “Fiori di luce”: una metafora per abbracciare in un’unica immagine le sculture create da Maria Christina Hamel, sculture in cui colore e luce modulano e definiscono forme, percezioni, sensazioni. Dalla tridimensionalitĂ  al bidimensionale, dalle sculture ai quadri, in un percorso unico e unitario si condensa tutta l’esperienza e la passione creativa dell’artista che tocca direttamente il cuore dei nostri sensi, nella combinazione delle forme, dei colori, della luce. DensitĂ  di esperienza e di creazione, nel suo lavoro, rendono evidenti i molteplici riferimenti culturali che ne hanno segnato la formazione, tra cui basti citare la tradizione artigianale della ceramica, la pop art, i neon di Fontana … Un’esplosione di colori e di luce dove sogno e realtĂ  si fondono, perchè l’una non può esistere senza l’altro. La realtĂ  è sognata e il sogno è reale, in una dimensione creativa dove razionalitĂ  progettuale e tensione immaginativa trovano la loro sintesi nella realtĂ  materica, e la forma pur sempre chiusa, non può non tentare diramazioni, estensioni nello spazio intorno a sè, per illuminarlo, contaminarlo, vivificarlo. Dalla esperienza antica della ceramica alla tensione sperimentale e creativa dell’arte e del design contemporaneo, il lavoro discreto, quotidiano e tenace di Maria Christina esprime l’accordo e l’equilibrio trovato tra universo emotivo e luciditĂ  progettuale, tra sensualitĂ  e razioncinio, tra passione e ragione. Giampietro Agostini, fotografo, ha tradotto in immagini le sculture e i quadri di Maria Christina. Con diverse esperienze, soprattutto nell’ambito della fotografia d’architettura, Agostini da sempre opera con perizia e straordinaria sensibilitĂ , coltivando la passione antica per la “scrittura con la luce”, la foto-grafia. Dalla ripresa alla stampa, ancora e spesso in camera oscura, le fotografie di Agostini nascono senza fretta, nella ricerca di sintonia ed equilibrio tra la realtĂ  e la propria capacitĂ  di percezione e di sguardo. Per Maria Christina realizza immagini nel colore e nella luce. Una foto – grafia per creazioni di luce. Da luce a luce. Silvia Paoli, Ottobre 2008 34
  • 36. "Foglie e fiori con universo",disegno 35
  • 37. Il sorriso del design Il lavoro di Maria Christina Hamel pone, fra le altre, una questione divenuta / ritornata di estrema attualitĂ : la relazione fra cultura la progettuale contemporanea e i modi produttivi. Dai tempi di Alchimia in poi, la Hamel si è mossa lungo un territorio di frontiera che l’ha spinta (non diversamente in veritĂ  da quanto è accaduto, ad esempio, ad Alessandro Mendini) da una parte a guardare verso un mondo interiore di espressione poetica, dall’ altra a preoccuparsi della collocazione e del significato dei propri oggetti nel panorama degli artefatti estetici. La conciliazione delle due istanze è di frequente passata attraverso la scelta di linguaggi, materiali e modalitĂ  produttive tali da salvaguardare la piccola serie, la cura del modo e della qualitĂ  del fare. Che non ha mai impedito una visione piĂš ampia di come intendere e praticare la presenza degli oggetti, in particolare nel contesto domestico, ben esemplificata dalle numerose collaborazioni sia con le aziende di produzione che con le grandi catene della distribuzione commerciale. Quest’ultima competenza ha permesso di sostenere il confronto con l’industria con alcuni esiti assieme pacati e riuciti. Come, per fare un unico esempio nelle borse plastiche per Koziol (con Alessandro Mendini) che quest’anno compiono un decennio di vita. Ma la dimensione piĂš congeniale alla progettista sembra essere quella della ricerca di dialogo fra il linguaggio del design, le necessitĂ  della piccola serie e i modi produttivi artigianali. E’ infatti possibile rintracciare un filo conduttore unitario dentro i suoi lavori dagli esordi ad oggi, sia nelle scelte linguistiche e formali che nei materiali adottati per la realizzazione dei propri artefatti. La predilezione cade naturalmente sulle tecniche manuali e sui materiali naturali, come la ceramica o il vetro. Altrettanto ostante è un altro inconfondibile segno della designer, il colore vivace che comunica un senso sereno e felice delle cose e della vita. 36
  • 38. "Due vasi con foresta",disegno 37
  • 39. Tutte queste cifre ritornano nell’ultima collezione di ceramiche, realizzate dai maestri vicentini di Nove. Una collaborazione che fornisce, fra l’altro, un fattivo contributo alla salvaguardia e valorizzazione delle tradizioni del “saper fare” – in questo caso legati alla produzione artigianale della ceramica – presente nel nostro paese, di freguente sottovalutate o autolimitantesi. Le otto sculture “Fiori di luce” fondono un materiale tradizionale, come la ceramica, con uno contemporaneo come il neon, a costruire oggetti luminosi assieme fisici e leggeri. La coppia di colonne di grandi dimensioni, “Paradiso terrestre” e “Amore e Sentimento”, rileggono invece allegoricamente questioni esistenziali della vita di ognuno di noi: cromatismi, forme arrotondate e naturali, rimandi floreali e zoomorfi ne forniscono un’ interpretazione gioiosa e giocosa. A noi pare sempre buona cosa quando il design ha a che fare con il sorriso. Alberto Bassi 38
  • 41. Ecco l’Autunno! La vita nel corpo della vita, come un bimbo nella pancia della madre. Non piĂš ideazione nè creazione, ma gestazione. L’EtĂ  Matura. “Nel mezzo del cammin di nostra vita … “ Dopo l’infanzia e la giovinezza, nella maturitĂ  si apre la possibilitĂ  di unire all’intelletto un po’ di esperienza, all’esperienza un po’ d’intelligenza, all’intelligenza l’intimitĂ  della saggezza interiore, riconoscibile e riconosciuta. E la vita diventa viva, un ‘innamorato verso l’Amore. Ambrogio Beretta 40
  • 42. "Cascate, onde e geiser",disegno 41
  • 43. Racconto intorno al Tavolo Da un colloquio con Patrizia Scarzella, Milano 15 Ottobre 2008 La mia infanzia Sono nata in India, a New Delhi, mia mamma, Rosanna, originaria della Versilia è cresciuta in India, dove mio nonno lavorava come marmista, lĂŹ ha conosciuto mio padre Jury, giovane diplomatico della Repubblica Federale d’Austria, nato in Indonesia da padre austriaco che era fuggito dalla disgregazione dell’Impero Austroungarico e da madre russa, fuggita, lei russa bianca, agli orrori della Rivoluzione d’Ottobre. I miei si sono sposati nella cattedrale di New Delhi, dove tutti i lavori in marmo, compreso il Fonte Battesimale dove io sono stata battezzata, erano stati eseguiti dal nonno materno Cosimo. Non si può tralasciare il fatto che io sia nata in India, anche se ci ho vissuto solo i primi due anni e quindi, pur non riportandone dei ricordi nitidi, grazie anche all’amore che avevano i miei per quel Paese, mi piace pensare di avere assimilato qualche tratto di quella meravigliosa cultura. Tanto è vero che, quando capita, gli stessi indiani dicono: “ allora sei una di noi!”. Dopo l’India ci trasferimmo per due anni a Vienna e quindi per tre anni in Tailandia. I miei primi ricordi nitidi risalgono proprio a quegl’anni: la scuola, io che porgo i fiori alla Regina Sirikit, le gite in luoghi all’epoca incontaminati e solitari come ad esempio Pucket, una Bankok profumata, piena di verde e di canali, con le case, compresa la nostra, costruite in legno in stile coloniale, la servitĂš gentilissima, cosĂŹ come tutta la popolazione, le mie amichette di tutte le razze, io 42
  • 44. che vado a lezioni di danza tradizionale Tai, insomma un’universo fantastico ma al tempo stesso vero, tangibile che, sinceramente, mi è poi sempre mancato e che mi piace pensare abbia segnato grandemente il mio modo di essere. Con i genitori molto presi dagli impegni legati alla rappresentanza diplomatica, per noi bambini c’era la possibilitĂ  di prendersi delle libertĂ  inimmagginabili e tutto era bellissimo; eravamo, veramente, molto liberi. In Tailandia ho iniziato le elementari presso la suola svizzera e lĂŹ, in un paese dove c’è un clima tropicale costante, ci venivano raccontate le storie della montagna, di un ragazzino che scendeva a valle quando la neve si scioglieva e io trovavo queste storie cosĂŹ surreali, fuori contesto e quindi molto affascinanti! In quel periodo cominciai a fare i miei primi disegni, mi piaceva molto pasticciare con i colori e uno dei primi soggetti fu lo zoo con i suoi forzati ospiti. Un’altro ricordo bello che ho è stato quando una volta capitò l’occasione di accompagnare mia madre a comprare dei tessuti nel nord della Tailandia. In quel luogo pieno di centinaia di tessuti c’erano a terra moltissimi fili di tutti i colori che si raggruppavano tra loro, io ne raccolsi alcuni e li usai per un ricamo, il risultato fu un cesto dai fiori colorati: direi abbastanza straordinario per una bambina di soli sei anni! Dopo la Tailandia tornammo in Austria, di quel periodo conservo un ricordo piuttosto grigio, era il 1965, io avevo sette anni e nonostante l’occupazione sovietica, iniziata con la fine della seconda guerra mondiale, fosse finita da dieci anni, non si vedevano segnali di particolare gaiezza. Si respirava un’aria pesante, soprattutto se confrontata con la spensieratezza che avevo provato in Tailandia e ai suoi colori….fu un tremendo choc ! La salvezza per sfuggire a quel clima cupo, autoritario, con una scuola nozionistica incapace di trasmettere stimoli, arrivò grazie ad un’amica di 43
  • 45. famiglia che m’insegnava il francese e trasmettendomi il suo amore per l’arte m’influenzò positivamente. Cominciai a cercare e a leggere libri d’arte rimanendo colpita particolarmente dal movimento del realismo fantastico viennese, a parte Klimt chi mi impressionò maggiormente di quel periodo storico, fu senz’altro Kokoska, avevo 15 anni e l’anno dopo ci trasferimmo in Italia. L’Italia e il design. Dalla aria cupa di Vienna al clima mediterraneo di Milano! In Italia ho frequentato, fino al conseguimento della maturitĂ , la Scuola Tedesca, durante gli anni 70 c’erano molte famiglie tedesche a Milano e, come sempre capita in tutte le cittĂ  dove vivono temporeanamente comunitĂ  di stranieri, questo contribuiva a rendere l’ambiente particolare e un po’ speciale. In quel periodo non disegnavo moltissimo, vista anche l’etĂ , c’erano altre motivazioni e situazioni per me piĂš interessanti. Ricordo che l’anno della maturitĂ , il 1977, Foto di Occhiomagico "Christina d'argento" comunicai a mio padre l’intenzione di studiare design; raggiungemmo l’accordo che avrei potuto frequentare i corsi, cosĂŹ non me ne sarei andata di casa, come invece stavano facendo quasi tutti miei compagni della Scuola Tedesca. Alla Scuola Politecnica di Design cominciai a studiare disegno tecnico con lo stesso metodo utilizzato negli istituti tecnici a me sconosciuto, proiezioni, prospettiva, tutto del disegno mi entusiasmava moltissimo. Anche gli studi pittorici sul colore tenuti dal professor Silvestrini, mi riempivano d’entusiasmo. 44
  • 46. Il direttore della scuola, Nino di Salvatore era un profondo conoscitore della Gelstalt, che è quella teoria filosofica sulla percezione fenomenologica . Mi piaceva l’impostazione della scuola, dove i corsi di design, di arte e di grafica erano strettamente legati fra loro, molta attenzione veniva riposta nello studio della percezione dello spazio, devo dire che quel metodo d’insegnamento mi ha dato tantissimo. Il fatto poi che ci fossero come docenti veri intelettuali con percorsi formativi differenti e che di questi molti gravitassero attorno al mondo dell’arte, è stato di fondamentale aiuto per la mia formazione. Anche il corso di progettazione coordinato da Attilio Marcolli era molto bello e ho avuto anche, come insegnante, Norbert Linke formatosi alla scuola di Maldonado presso l’universitĂ  di Ulm. Il suo merito, per me, è stato quello di avere introdotto nel design e nella progettazione quell’atteggiamento di apertura verso i problemi sociali. Come progettazione spaziavamo da lavori estremamente legati al mondo della produzione industriale, ad esempio ricordo il progetto di un tornio industriale, fino agli studi sul colore in cui c’insegnavano a mescolare il colore matericamente, operazione molto lunga che richiedeva una grande concentrazione ma che permetteva di assaporare il piacere del fare. Il mio percorso professionale Terminata la scuola, la mia prima esperienza lavorativa fu con Ugo La Pietra, con una speciale capacitĂ  nel disegnare che lo portava a realizzare anche i disegni di architettura su lucido a matita. Questo mi permetteva di mettere in pratica tutte le teorie apprese alla scuola di design, ad esempio come impugnare e come appuntire il lapis. In seguito dopo una seconda esperienza lavorativa con Ambrogio Rossari, apprezzatissimo professionista, incontrai Alessandro Mendini. 45
  • 47. Gli anni mendiniani, dieci, non sono facili da riassumere in poche righe, oltretutto per un certo periodo si sono intrecciati con l’avventura di Alchimia di cui Sandro è stato uno dei principali promotori ed io una adepta di quel cenacolo di utopisti del design. Mendini è una persona carismatica di grande sensibilitĂ  umana, dotata di un metodo di lavoro molto rigoroso che tende a razionalizzare il piĂš possibile le idee senza però privarle di una loro inconfondibile carica poetica. Normalmente per ogni progetto si creava un gruppo di lavoro che, ricevuto l’input iniziale, si confrontava con le diverse esperienze culturali, razionalizzandole, e, dopo essere passati attraverso la rigorosa vagliatura di Mendini, si approdava al risultato definitivo. Il mio mondo figurativo Non disconosco la mia matrice mendiniana perchè è propria di chi ha partecipato al gruppo che ha elaborato questo linguaggio espressivo e visivo. Durante quel periodo ho elaborato un certo tipo di sensibilitĂ  cromatica, una creativitĂ  in Tecnicolor! Quando ho iniziato a collaborare con Mendini, lui diceva di essere prima di tutto un architetto e dal momento che io mostravo maggiore interesse per gli oggetti, lui mi faceva lavorare alla loro creazione, mi dedicavo, cioè, a quella parte di attivitĂ  dello studio che si occupava piĂš specificatamente di design. Gli oggetti non erano architetture miniaturizzate, costituivano un mondo diverso, di utilitĂ  e di quotidianitĂ . La scuola di Mendini prevede di avere una posizione intelettuale di rottura rispetto all’estetica esistente per creare nella progettazione nuovi elementi espressivi, introducendo degli elementi stilistici che non sono 46
  • 48. necessariamente delle forme tridimensionali, ma che anche applicate bidimensionalmente trasformano un’oggetto, spostando l’espressione e lo stato dell’oggetto su un piano diverso e nuovo. Questo concetto trasposto su un prodotto di utilitĂ , per esempio una lampada, fa sĂŹ che l’oggetto magari rimane lampada nella sua forma piĂš essenziale, con la giunta di tante applicazioni. Il discorso può portare alla decorazione oppure alla ripresa di forme rilette nella loro storia. Porta anche al fatto di includere in questa ricerca delle prefernze per gli stili storici, come ad esempio il neoclassicismo, oppure a vedere come lo stesso neoclassicismo usa varie espressioni stilistiche per definire il proprio stile unitario. Il neoclassicismo è espressione di gita sul Po un’epoca che a me piace moltissimo, sia per l’architettura che per gli oggetti e i mobili, sia per come In gita sul Po in compagnia di V.Sacchetti, L.Villani, interagiscono tra loro che per le loro D. Gavina e T.Guerra. proporzioni; questo si vede anche nella decorazione di quel periodo, particolarmente coordinata e florida. Personalmente sono piĂš portata alle armonie e alle simmetrie classiche, che non alle assimmetrie. Un’altra epoca che mi è sempre piaciuta e che mi ha sempre influenzato è quella della classicitĂ  greca. A volte possono essere per me fonte di ispirazione anche degli aspetti del tutto irrazionali che vengono dai sincretismi di alcune epoche e culture che si incrociano, come il primo romanico, il medioevo…, o semplicemente il guardare ad altre culture, come è successo all’inizio del 900 con l’Art Nouveau nei confronti del Giappone, fonte inesauribile d’ispirazione. 47
  • 49. La ceramica, materiale d’elezione Durante il periodo di collaborazione con Mendini come reazione a quei metodi di collettivo rigore, sentii fortissima la necessitĂ  di esplorare forme espressive autonome che trovai nel meraviglioso mondo della ceramica. La ceramica, per sua stessa natura, è un’ eccellente strumento di libertĂ  espressiva, anche se richiede un’ottima preparzione di base e un’accurata scelta dei siti di produzione, ognuno dei quali è caratterizzato da una propria specificitĂ .Il mio lavoro di ricerca mi ha portato a realizzare opere in molti dei principali siti tradizionalmente vocati a questa materia, in Italia e all’estero: in Italia ho lavorato a Deruta, Albissola, Castellamonte, Milano, Faenza; all’estero a Limoges, Modra e in India a Ahmedabad, mentre per quest’ultima collezione la scelta è caduta su Nove nel vicentino. Io non posso vivere di codifiche stereotipate ma cerco, con il mio lavoro, di dare una mia classificazione al bello. Concluso il periodo fondamentale con Mendini ho intrapreso un percorso autonomo e nel 1992, con la collezione “Una Zebra a Pois”, ho trovato il mio stargate; nel senso che, in quel momento preciso, ho iniziato un’esplorazione delle mie potenzialitĂ  con occhi nuovi, senza la mediazione di alcuno, attingendo dal mio patrimonio esperenziale e oggi, con “Fiori di Luce”, sento di essere approdata finalmente a una stazione intermedia, dalla quale ripartire per la scoperta di orizzonti assolutamente sconosciuti. Questi sedici anni trascorsi, non sono stati affatto semplici e richiederebbero un approfondimento che sicuramente farò, ma che non è qui il caso di affrontare.Per mia fortuna lungo questa strada ho trovato due complici che, sostenendomi totalmente, mi aiutano a trovare continuamente nuovi spunti: mio marito Cesare e nostro figlio Cosimo. Durante tutto questo periodo ho dovuto prima chiarire a me stessa se era 48
  • 50. meglio seguire il classico percorso dell’ Industrial designer, o se dedicarmi, come in effetti ho fatto, all’approfondimento del concetto del design artistico, laddove per design artistico intendo quell’ espressivitĂ  emotiva che dona all’oggetto disegnato, non solo una carica funzionale, ma anche un’universo di sensazioni che lo portano ad essere unico. In pratica mi sento molto piĂš attratta dal mondo dell’artigianato delle arti applicate, come si diceva all’inizio del novecento, piuttosto che al mondo della produzione seriale che toglie capacitĂ  discernitiva e che tende a rendere tutto omogeneo e triste. ritratto capelli corti Ritratto di Eugenio Bersani 49
  • 51. Note biografiche Giampietro Agostini Nato a Borgo Valsugana nel 1960. Le tematiche dei suoi lavori fotografici d'autore intrecciano storia, cambiamento sociale e trasformazione del paesaggio in Italia e in Europa. Ha esposto in numerose mostre personali e collettive e ha pubblicato i suoi lavori su cataloghi di mostre e libri tra cui: “Tracce”, Baldini & Castoldi; “Nottetempo. Milano 1994/2004”, Meridiana Editrice; “Il campo e la cascina”, Diabasis Editoriale; “Ex Fabrica. IdentitĂ  e mutamenti ai confini della metropoli”, Silvana Editoriale; “Frontiere della memoria”, Litodelta. I suoi lavori fotografici sono stati acquisiti da musei e da alcune tra le piu' importanti collezioni pubbliche e private sia in Italia che in Europa. Collabora con enti e istituzioni pubbliche e private. Con studi di architettura, con l'editoria, l'industria e il design e con alcune delle piu' importanti aziende italiane ed estere. Vive e lavora tra Milano e il Trentino. www.giampietroagostini.it Alberto Bassi Alberto Bassi (Milano, 1958) si occupa di storia e critica del disegno industriale. Insegna Storia del design alla facoltĂ  di Design e arti dell’UniversitĂ  IUAV di Venezia, dove svolge inoltre la funzione di vice-direttore del corso di laurea specialistica in Disegno industriale del prodotto. Fa parte della redazione di “Casabella”, collabora con riviste di settore, come “Auto & Design”, e con l’inserto domenicale del quotidiano “Il Sole 24 ore”. Fra i volumi pubblicati, Giuseppe Pagano designer (con L. Castagno, 1994), Le macchine volanti di Corradino D’Ascanio (con M. Mulazzani, 1999), La luce italiana. Il design delle lampade 1945-2000 (2003), Antonio Citterio industrial design (2004), Design anonimo in Italia. Oggetti comuni e progetto incognito (2007). bassi@iuav.it Ambrogio Beretta Nato a Capriano, nel 1946, è stato dall’infanzia, scolaro, studente, impiegato di 5a categoria C, bancario, rappresentatnte di abbigliamento, fotografo, scultore, pittore. Attualmente, studente studiante in armonia. casadiambrogio@gmail.com Gian Carlo Boiani Dopo studi formativi e specialistici nelle universitĂ  di Roma, Firenze, Poitiers (Francia) e Louvain (Belgio), e tirocinio nel Museo Nazionale del Bargello in Firenze e al Kunsthistorisches Institut in Florenz, dal 1974 al 2001 è stato prima conservatore alle collezioni retrospettive e poi direttore del Museo Internazionale delle ceramiche in Faenza. Dall’ottobre del 2001 al settembre del 2006 è stato direttore scientifico 50
  • 52. del Museo Civico di Pesaro. Docente per un quindicennio, fino all anno accademico 2005-2006, di storia della ceramica all’UniversitĂ  degli Studi di Urbino, è stato chiamato a tenere un corso ufficiale triennale di storia della ceramica all’UniversitĂ  degli Studi di Ferrara dall’anno accademico 2008-2009. Attuale presidente dell’Istituzione (BACT) per i Beni, le AttivitĂ  Culturali e il Turismo di Urbania (l’antica Casteldurante), si è occupato dei progetti di ristrutturazione dei Musei ceramici di Faenza, Deruta, Gualdo Tadino e Pesaro. Presidente di Giurie di Concorsi per la ceramica d’arte in varie localitĂ  italiane e straniere, ha organizzato varie mostre in tutto il mondo specie in collaborazione con il Ministero degli Affari Esteri. Nel 2008, per l’anno del Rinascimento è stato chiamato a collaborare con il Museo delle Arti Applicate di Budapest per la mostra: “La dote di Beatrice d’Aragona: la maiolica rinascimentale italiana alla corte di Re Mattia Corvino”. Fra volumi, monografie, cataloghi, articoli, presentazioni, la sua bibliografia conta ormai piĂš di cinquecento titoli, documentabili nelle biblioteche specializzate dei Musei di Faenza e di Pesaro. giancarlo24@virgilio.it Tiziano Dalpozzo E’ nato e vive a Faenza. Sogna di fare l’architetto da grande. Ama il disegno di qualitĂ , la ceramica e le culture esotiche che li consentono di riflettere sulla sua romangnolitĂ . Nella sua vita precedente cantava come un uccello lira. t.dalpozzo@archiworld.it Alessandro Mendini Architetto, è nato a Milano. Ha diretto le riviste "Casabella", "Modo" e "Domus". Sul suo lavoro e su quello compiuto con lo studio Alchimia sono uscite monografie in varie lingue. Realizza oggetti, mobili, ambienti, pitture, installazioni, architetture. Collabora con compagnie internazionali come Alessi, Philips, Cartier, Bisazza, Swatch, Hermès, Venini ed è consulente di varie industrie, anche nell'Estremo Oriente, per l'impostazione dei loro problemi di immagine e di design. E' membro onorario della Bezalel Academy of Arts and Design di Gerusalemme. Nel 1979 e nel 1981 gli è stato attribuito il Compasso d'oro per il design, è "Chevalier des Arts et des Lettres" in Francia, ha ricevuto l'onorificenza dell'Architectural League di New York e la Laurea Honoris Causa al Politecnico di Milano. E’ stato professore di design alla Hochschule fĂźr Angewandte Kunst a Vienna ed è professore onorario alla Accademic Council of Guangzhou Academy of fine Arts in Cina. Suoi lavori si trovano in vari musei e collezioni private. Nel 1989 ha aperto assieme al fratello, architetto Francesco, l'Atelier Mendini a Milano, progettando le Fabbriche Alessi a Omegna, la nuova piscina olimpionica a Trieste, alcune stazioni di metropolitana e il restauro della Villa Comunale a Napoli, il Byblos Art Hotel-Villa AmistĂ  a Verona, i nuovi uffici di Trend Group a 51
  • 53. Vicenza in Italia; una torre ad Hiroshima in Giappone; il Museo di Groningen in Olanda; un quartiere a Lugano in Svizzera; il palazzo per gli uffici Madsack ad Hannover, un palazzo Commerciale a LĂśrrach in Germania e altri edifici in Europa, in U.S.A. Ha svolto lavori in varie nazioni ed è consulente per l' urbanistica in alcune cittĂ  della Corea. Il suo lavoro, teorico e scritto, oltre che progettuale, si sviluppa all'incrocio fra arte, design e architettura. mendini@ateliermendini.it Silvia Paoli Nata a Viareggio, nel1960, è Conservatore al Civico Archivio Fotografico di Milano. Si occupa di storia della fotografia italiana tra Otto e Novecento. Tra le sue pubblicazioni: L’Annuario di Domus del 1943 (in “Quaderni della Scuola Normale Superiore di Pisa”,1999), Lamberto Vitali e la fotografia. Collezionismo, studi e ricerche (Silvana Editoriale, 2004), Moltiplicare l’istante. Beltrami, Comerio e Pacchioni tra fotografia e cinema,(curato insieme a E.Degrada, E.Mosconi, Quaderni Fondazione Cineteca Italiana, Milano, Il Castoro, 2007). Ha collaborato all’Encyclopedia of Nineteenth Century Photography (Taylor & Francis, NewYork, 2007), per la quale ha curato diverse voci, tra cui la voce Italia. Ha curato mostre, come Ex Fabrica. IdentitĂ  e mutamenti ai confini della metropoli. Giampietro Agostini, Tancredi Mangano, Francesco Giusti (Castello Sforzesco, Milano, 2006, catalogo Silvana Editoriale). E’ co-vicepresidente della SocietĂ  Italiana per lo Studio della Fotografia (SISF) e membro del suo Consiglio Direttivo. Ha insegnato in diversi Master universitari e fa parte della giuria del Premio Paolo Costantini per la saggistica sulla fotografia (edizione 2007 e prossima edizione 2009, Museo di Fotografia Contemporanea, Cinisello Balsamo, Milano).silvia.paoli@comune.milano.it Cinzia Ruggeri Nata a Milano, vive, pratica la poliandria e abita in una Wunderkammer e cucina. Simultaneamente sposata al naturale e all’artificiale, al crudo e al cotto, tesse senza fissa dimora, un multilinguaggio di moda, design, antropologia, geologia, ecologia, emozioni. I suoi discendenti sono totem contemporanei.Tratto da Artforum. ruggericinzia@gmail.com Patrizia Scarzella Architetto e giornalista, si occupa di immagine e comunicazione ed è consulente di aziende italiane e internazionali del settore design. Autore di importanti progetti di ricerca come “Ispirazione Italiana, copie e contraffazioni dei prodotti industriali” e “Dentro le case degli Italiani” (con Lucia Bocchi), curatore di mostre di design e autore di libri tra cui Il Bel Metallo(1985), Dormire (1993), In difesa del Design (1991), Il GiurĂŹ del Design (2005), Comunicazione visiva del prodotto d’arredo (2007). Scrive di design e architettura su diverse riviste internazionali di settore. Ha insegnato al Corso di Laurea in Disegno Industriale dell’UniversitĂ  La Sapienza di Roma. Attualmente è docente a contratto all’UniversitĂ  di Genova. www.scarzella.it 52
  • 54. Maria Christina Hamel www.myspace.com/mariachristinahamel mariachristinahamel@mikrodesign.eu Nasce a New Delhi nel 1958, trascorre la sua infanzia seguendo il padre diplomatico, oltre che in India, anche in Thailandia e in Austria. Nel 1973 si trasferisce con tutta la famiglia a Milano dove completa gli studi nel 1979 alla Scuola Politecnica di Design. A Milano dopo alcune significative esperienze di lavoro con Ugo la Pietra e successivamente con Ambrogio Rossari, nel 1981 inizia a collaborare con Alessandro Mendini, che, nell’arco di dieci anni, la porta a partecipare attivamente ad Alchimia e a parecchi progetti per Alessi; in questo periodo svolge anche il ruolo di assistente di Alessandro Mendini presso la Hochschule fuer Angewandte Kunst a Vienna e sempre a Vienna sotto la sua supervisione effettua un’ importante e approffondita ricerca sulle influenze della Seccesione sulla cultura della tavola per conto di Alessi. Ha insegnato al National Institute of Design di Ahmedabad in India (universitĂ  che ebbe tra i fondatori Charles Eames), al Craft ENAD di Limoges (Francia), all’ISIA di Faenza e all’UniversitĂ  del Progetto di Reggio Emilia. PiĂš recentemente presso la NABA (Nuova Accademia di Belle Arti) ha tenuto un ciclo di lezioni aventi come tema il”Mobile dipinto”. All’attivitĂ  di designer da sempre affianca la ricerca di nuove espressioni nel campo della ceramica con esperienze significative presso alcuni dei migliori laboratori nei vari siti storicamente vocati a questa materia : Deruta, Albisola, Castellamonte, Sesto Fiorentino, Modra (Slovacchia), Milano e ultimamente a Nove. E' stata relatrice ad un congresso internazionale sulla ceramica presso il Museo Internazionale della Ceramica di Faenza e alcuni suoi lavori sono stati pubblicati sulla rivista dello stesso museo. Ha partecipato con una propria personale ad Arte Fiera a Bologna nello spazio del Comune di Sassuolo (MO) con opere in ceramica e neon e arazzi in mosaico di vetro realizzati da Bisazza. Altre sue personali si sono tenute a Milano e Verona. Numerosissime sono le sue partecipazioni a collettive in tutto il mondo, una selezione di suoi lavori è stata inserita nel Design Year Book del 1997. Nel 1994 ha fondato con Cesare Castelli, una societĂ  per lo sviluppo e la diffusione del Design . Dal 2000 al 2003 assieme a Cesare Castelli ha curato la ricerca di nuovi prodotti e il loro lay-out per il Reparto Casa del Dept. Store Fiorucci di Milano e Verona. Ha progettato e curato la realizzazione di numerosi punti vendita, corners, shop and 53
  • 55. shop e allestimenti fieristici per numerose aziende nel settore dell’oggettistica in Italia e all’estero, recentemente ha progettato il lay-out e gl’arredi per il negozio AngĂŠlique Devil dedicato all’erotismo femminile in via Cerva a Milano . Ha collaborato con numerose aziende in tutti i settori dell’arredamento, dell’oggettistica e degli allestimenti fieristici. Assieme a Cesare Castelli è stata consulente per la ricerca e lo sviluppo di prodotti per la casa per il gruppo Iper. Ha sviluppato un progetto per la vendita on-line, www.mikrodesign.eu, dedicato all’oggettistica. Principali aziende con cui ha collaborato: Alessi, Acme, Arzberg, Ariston, Anthologie Quartett, Bisazza, Bardelli, Edra, FGB, Richard Ginori, Iper, Koziol,Leonardo, Marioni, Carlo Moretti, Moto Guzzi, Play Line, Post Design-Memphis Milano, Ritzenhoff, Salviati, Segno, Sica, Tissot, United Pets. Selezionata con Alessandro Mendini al Compasso d’Oro per l'Alessofono di Alessi e al Bundes Preis fur Design per la Tasche di Koziol. Principale bibliografia: 1, Dictionnaire du Design Italie, C. Neumann, editor Seuil, p.374 2, Italienisches Design von den Anfangen bis zur Gegenwart, E. Karcher, M. Von Perfall, Verlag Heyne, p. 247, 268, 270, 282f., 295 3, Design im Wandel, Ubersee-Museum Bremen, p.30, 129, 137 4, Faenza, Bollettino del Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza, p. 79, 80, tavola XXVIII, XXIX 5, Atelier Mendini, una Utopia Visiva, R. Poletti, Fabbri editori, p. 50, 59, 62, 143, 135,152, 159, 171, 176, 184, 193, 194, 199 6, Il Design in Italia dell’arredamento domestico, G. Gramigna, P. Biondi, editore Umberto Allemandi & C, p. 244 7, Dizionario del design a cura di Anty Pansera 8. The Design Encyclopedia, MOMA NY, Mel Byars,Laurence King Publisher London 9. International Design Year Book 1997. 10. D come Design 2008 a cura di Anty Pansera. Mostre Personali : 1992 “Una Zebra a Pois” Milano, Galleria Colombari (Mostra personale) 54
  • 56. 1993 “Mille Bolle Blu” Verona, Galleria Crispi (Mostra personale) 1997 “La camera ideale” Installazione che analizza la possibilitĂ  di felicitĂ  nella vita domestica Milano, Studio di Via Tadino 15 2000 “Luce Nuova” Sculture in ceramica e neon, arazzi in mosaico. Bologna, Arte Fiera presso lo spazio del Comune di Sassuolo Principali collaborazioni progettuali con Atelier Mendini : 1988 “Not in production, Next to production “– Show-room Alessi Milano, Alessandro Mendini ( A.M.) con Maria Christina Hamel ( M.C.H.) 1989 “Effetto Acciaio” – Galleria Paola e Rossella Colombari, A.M. con M.C.H. 1989 “Pentolele Falstaff” – show-room Alessi Milano, A. e Francesco ( F ) M. con M.C.H. 1990 “Existenz Maximum”- Istituto Innocenti Firenze A. e F. M. con M.C.H., Beatice Felis, P.G., C.M. 1990 “Built in Appliances “A. e F. M. con M.C.H. e P.G. 1991 “Monumentino Swatch “- Biennale di Venezia A. e F. M. con M.C.H. 1991 “Casa Privata in via S. Andrea “ - A. e F. M. con M.C.H. e P.G., C.M. Partecipazione a mostre collettive : 1986 “La Mossa del Cavallo”,Mobili e oggetti oltre il deign Frankfurt, Galleria O.M.Ungers Madrid, MOPU 1986 “Per un’immagine imprudente”, Rassegna del giovane design europeo Milan, Polenghi Arte Reggio Emilia, Casa Ruini 1987 “Per un’immagine imprudente” Mantova, Museo d’Arte Moderna 1988 “Oggetti in Tentazione”, Dodici oggetti ideali Bari, EXPO Arte 1987 “EX”, Orizzonti di ricerca ambientale Bari, Chiesa S.Teresa dei Maschi 1988 “Sopramobile” Milano, Studio Oxido 1988 “Next” Milano, Showroom Officina Alessi 55
  • 57. 1988 “Figure e Forme dell’Imaginario Femminile” Reggio Emilia, Sala delle Carozze 1989 “Saturnus” Toulouse, Bibliotheque Universitaire du Mirail Saragosse, Palais de la Lonja 1990 “Abitare con Arte” Milano, Chiesa S.Carpofaro 1991 “Il Design delle Donne” Ravenna, Museo dell’Arredo Contemporaneo 1991 “Reggisecolo” Milano, Showroom Loveable 1993 “Una Zebra a Pois” Milano, Galleria Colombari (Mostra personale) 1992 “Nuovo Bel Design”, 200 Oggetti per la casa Milano, Fiera di Milano 1992 “Straordinario” Firenze, Fortezza da Basso 1992 “Hommage an Kolumbus” Muenchen, Wunderhaus 1993 “La Fabbrica Estetica”, l’ ultima generazione di designers italiani Paris, Grand Palais 1994 “XXXIII Mostra della Ceramica” Castellamonte, Rotonda Antonelliana 1993 “Mille Bolle Blu” Verona, Galleria Crispi (Mostra personale) 1994 “Fantasmi al Castello” Arezzo, Castello di Cennina i Val D’Ambra Bucine 1995 “Primordi” Milan, Triennale 1995 “Goto” Milano, Galleria Internos 1995 “Sanvalentinoro” Terni, Rassegna Internazionale di Arte Orafa Contemporanea 1995 “Materiazioni, Nuovi Materiali” Anni 90 Arte a Milano Associazione Interessi Metropolitani, Artisti e Artisti Designer nella CittĂ  Installazione Gruppo Olis Milano, Palazzo delle Stelline 1995 “Mutamenti, Design e Scultura”, Anni 90 Arte a Milano AIM, Artisti e Artisti Designer nella cittĂ  Milano, Spazio Vigentina 56
  • 58. 1995 “Un cuore per amico” Exhibition and auction organized by Anlaids Milan, Triennale 1996 “Design and Identity, La Fabbrica dell’Arte” Humlebaek, Lousiana Museum of Modern Art 1996 “Design im Wandel” International Design Yearbook Exhibition 1996 Bremen, Ubersee Museum Bremen 1997 “Oggetti risorti” The second life of used objects Milan, Spazio Vigentina 1996 “Koinè” International Show of liturgical items and furniture. Roma, Ente Fiera 1996 “New Design in Glass” Duesseldorf, Fair Glastec and in the Kunstmuseum Duesseldorf im Ehrenhof 1996 “Ecomoda” Milano, Triennale 1997 “Flowers, un fiore per la vita” 200 works ispired by flowers created by artists, fotografers, stylists and designers.Exhibition and auction organized by Anlaids. Roma, Sala Lancisi 1997 “Mostra di occhiali” durante l’edizione1997 di “Mercante in Fiera” Parma, Fiera. 1997 “Il Goto d’ Autore” Barovier e Toso Mostra dedicata ai goti e asta, il cui ricavato è stato devoluto per la Ricostruzione del Teatro La Fenice. Milano, Castello Sforzesco 1997 “Oggetti discreti” Un viaggio nel mondo degli oggetti senza autore. Milano, Galleria Mudima 1997 “La camera ideale” Installazione che analizza la possibilitĂ  di felicitĂ  nella vita domestica Milano, Studio Via Tadino 1996 “Tipologia della Gola o vestire il Piatto” manifestazione durante l’edizione 1998 di “Mercante in Fiera” Parma, Fiera 57
  • 59. 1998 “Lucerna Illumina Lucilla” Installazione luminosa Milano, Studio Via Tadino 1998 “Oggetti onesti” Milano, Spazio Quintet 1998 “Tecno Caliente” Forma, colore e tecnologia nel design latino. Milano,Marcatti & Associati 1998 “Telefono una Tigre addomesticata al guinzaglio” Bologna, Futurshow 1998 1998 Oggetti Risorti Tokio, Ozone 1999 Installazione per una mostra fotografica curata da Photo per “la Perla” a Bologna. 2000 Installazione presso Fiera Bologna in ricordo degli studi bolognesi di Gioachino Rossini Bologna, Arte Fiera 2002 Installazione nell’ambito della mostra “Personaggi tra sperimentazione e realtĂ  presso il Cersaie a Bologna 2004 “Life’s Commodities 2004” Collezione di Tappeti Milano, Post Design 2004 “Normali Meraviglie” Mostra di Design Genova, Porto Antico, Magazzini del Cotone 2007 Styling MOTO GUZZI GMG 2007 Mandello del Lario 2008 “D come Design” Torino, Museo di Storia Naturale, a cura di Anty Pansera. 2008 “Sempre Verde “Verbania, a cura di Gumdesign. 58
  • 60. When Christina spoke to me for the rst time about creating her ‘Flowers of Light’, I felt very relieved. For some time, in fact, Christina had greatly reduced her artistic activities, though she had never ceased designing. In the last few years we have had to face many very difcult situations, in particular the illness of our son Cosimo. We found ourselves ghting a seemingly endless battle, in a war that fortunately was won, with Cosimo returning to health. Obviously all this required a great deal of concentration and energy, leaving very little time for art. I am sure that a major factor in Maria Christina’s renewed creativity was her temporary relocation to Tonfano, a seaside village on the northern coast of Tuscany, a move that I strongly supported. It allowed her to fully recuperate a creative balance in her life, while a few very dear people helped her to rediscover the necessary emotional tension that resulted in this collection. In my opinion Christina has talent that is still largely untapped, her creative freshness intact. I am obviously biased, but I know that many others share my opinion. The depth of her work lies in the accumulation of experiences that is her life. Christina has never stopped being curious, nor has she ever stopped seeking in others those values that many wrongly believe to be obsolete, while always maintaining her characteristically humble and delicate approach to life. I am sure that this collection is the beginning of a virtuous cycle, marked by the fullness of maturity, that will lead Christina to create many more new and exciting projects. Cesare Castelli November 2008 M. CHRISTINA HAMEL I really love this exhibition “Fiori di luce” (Flowers of Light), with eight sculptures, two big columns, four paintings: a group of meticulously handcrafted evocative pop-art objects, neon and ceramic, love and feeling. M. Christina Hamel has been my best collaborator in the times before the computer age. However, by saying this, I don’t want to connect Christina with an implement, but with a soul, the soul of design. I still keep some India ink drawings on tracing paper, beautiful and extremely accurate drawings, made for me with such devotion, dedication and an intellectual and gurative link that they were and still are a great gift and a matchless human experience. Her gure, both delicate and radiant, almost opalescent, elusive, enigmatic reflects now her new graceful works, both elegant and surreal. They are what she calls “Earthly Paradise”, a dream world, made of dream objects, polka-dot zebras and now never withering neon flowers. Christina’s sign, search and theory have always been placed at the meeting point of three factors: the study of the most remote and interesting craft traditions, in particular ceramic; her artistic feeling and international training, which originated in India and arrived in Italy through Vienna, her main area of reference; her long experience in Milan. Inside this wide and complex range, M. Christina Hamel has searched, found and developed the grammar and the contents of her bi- and tri-dimensional world, whose objective looks so poetic, tactful, precious, sober, quiet: uncommon adjectives in this world of sensation. Alessandro Mendini, October 2008 …et at Lux… Light was the rst creation, although the Word was there since the beginning. The reference to Genesis, 1,3 may sound somewhat disrespectful in Maria Christina Hamel’s garden. Yet, it comes naturally to refer to it, as if one wanted to seek sublime, which might happen, even though unconsciously: doesn’t the garden of Eden possess a transition light after all? It is Christina herself to suggest that her light is not the eternal and absolute one, but a softer one, more coloured, like the twilight in the garden of Eden. Her plants, her vases, the shining laments that spread there make light a more natural reality, not exactly cosmic, but a fairy-tale one, somewhat mysterious and highly imaginative like Alice in Wonderland. The flat colours of her representations don’t love either refractions, or the glow of the soul, or the thrill of innite. Hers are pastel shades that have a matt nish on ceramic. They are reminiscent of Pontormo, or the dull shades of certain pop art…Hamel’s Earthly Paradise stays as it is, without forgetting how irreparable was what happened there, although the artist is nostalgic about what was lost and tries to sink into it with her fantasy. Hamel’s design has this characteristic, as it is basically a world for childhood, and the vibrations of light have the rationality of feeling, of playing and of the smile. It is a childhood belonging to our archaic essence and its post-modern derivation is just a secondary aspect. It is a world of children, but it is observed, desired and dreamed of by adults. When I look at her objects and settings, I don’t feel overwhelmed as if I were looking at the goods in a department store (“Les choses” by Georges Perec…the renowned novel – does anybody remember? - dealing with consumerism, published by Julliard in Paris in 1965 and by Rizzoli in Italy in 1986), I don’t get into a panic for purchasing, but I feel like investigating and searching, like a treasure hunt… I feel like playing although I am a grown-up by now…I remember a family-owned store in Florence, on the hills around Monte Oliveto, which my wife and I considered as a Garden of Eden where we used to spend time browsing and enjoying so many trifles, multicoloured shapes, temptations…Yes, Garden of Eden temptations. It was not so fundamental to own those objects, but to rouse our curiosity. These lights used by Hamel in her latest creations in ceramic (made at Nove di Bassano) have a distinguished origin, I don’t say “ab antiquo”, since it would be too long to say, but in the contemporary search to break with the rationalistic schematism. Sure enough the world of medieval stained-glass windows, Romanesque and above all Gothic, is extraordinary…There’s a whole world, even a theological one, to grasp its meaning. What micro-macrocosms, what universe! Starting from rationalism, it’s like jumping back in the centuries. Hamel did take those jumps, for nature and not just for culture. And what about light? That light had been called a daughter by futurist Balla, light seen as energy, movement, speed…What is faster than light? Even Lucio Fontana, in the early 50’s, had searched for it with a flickering neon lament, which twisted itself and gave the impression of slipping out as a horse cracking….What Andrea Branzi writes is so beautiful: ”The light of the soul that creates shadows and half-lights surprises and vibrates” and adds: “Italian design is close to the great tradition of Italian painting and spirituality…The creations of light Italian design are seldom luxurious, but they are much more often friendly presences that play the role of domestic elves lighting up our nights”. (“Che cos’è il Design Italiano? Le sette ossessioni del Design Italiano” by Silvana Annichiarico and Andrea Branzi, Triennale Electa, Milano 2008, page 196 and passim). It seems to me that some of this is relevant to Maria Christina Hamel, and brings to nd out her specicity in the assumption of the light emanating from her vases, not with the destructivity of Pandora’s box, but with the whims of various elves that liven up the stage with wonderful movements as if they were in an animated comic strip, or panting in a frenzied dance. There’s spirit, there’s soul, there’s nostalgia for a lost world that recreates and runs after itself…One gets lost and tries to recover in some way…then they rejoice. Something important that is projected farther. Gian Carlo Boiani, Fano, October 20-21, 2008 59
  • 61. In my line of work, I often meet and work with architects from different backgrounds. I never cease to be amazed how, despite having such different origins, they suffer from the exact same cultural diseases, in any geography. For example, all of them draw a building’s floor plans and then the elevations. This is in the name of a supposed “functionality” and to the detriment of “secondary” beauty. The infection goes deep and lasts long. At the roots of the so-called “Modern Movement” was the dictate that “form follows function”; there was rationalist architecture and so on. And so forth. It seems that all this was based on the avant-garde movement of the twenties and thirties that rationalized architecture (cities, forms and so on). Cutting away the excess. We could discourse on this at length. But there is not enough space in these pages (and it may not be the place for it anyhow). This movement, it seems, was considered heir to 19th-century positivism, and it was thought that rationalism’s grand, progressive destiny would automatically bring about a better world, a better city, better forms. This is not how it went at all. Forms are important, very important, regardless. Those who work with forms are well aware that they are the holders and synthesis of stories, cultures and symbols that are essential for individuals and society, and have little or nothing to do with rationality. It seems to be that this is hard to understand in a (global) society lacking quality. The only parameter that counts is quantity (money, square meters, percentages, numbers, karats, and so on. (And so forth.) One movement after the other has tried to found itself on the bases of different qualities: rst and foremost, history. Postmodernism in the United States, almost completely without an architectural history, was the rst to perceive the need to maintain a vivid trail of the forms of its architecture. Gone through at paces similar to those of (clothing) fashion, it has almost disappeared, leaving behind faint traces, widely mocked by the European academic world. This world was made up of people who had been saying again and again for twenty or thirty years, the exact opposite of what postmodernism was saying. Desire / the necessity of form, professionalism of form (and so intimate knowledge of form and its transformation as it happens). In transplanting this intention from the United States to Italy, it changed its features. Its greatest champions were Paolo Portoghesi (“post-modern”) and Aldo Rossi (“architecture of the city”). I think it is signicant that these two, and many others, were signicant players both in architecture and in household objects (such as Portoghesi’s candleholders inspired by Rome’s Mosque, Alessi’s “conical” coffee maker. Inversely, some architectural works (such as “the theatre of the world”) looked like household furnishings, signifying once again the historic and social uniqueness of the form. In the early eighties, some associated these forms with Nietzsche and “negative thinking”, knowing about as much about philosophy as I do. All this to avoid having to renounce what they’d been saying and writing until the second before. People live too long. Later generations nd it perfectly easy to see and point out the mistakes that came before. But when it’s the same individuals… yet, the forms that came out of these experiences are positive. I have a vivid memory of how I went through the architectural biennial in 1980. The “Strada Novissima” designed by Portoghesi. A street was designed in this context (already an extraordinary event in itself, with billions of cubic meters designed by architects of every rank throughout the world, who remembers one street??!!) This street was made up of façades (likewise!); the façades designed the street. In this street’s design, all kinds of different architects were involved, leaving behind the street, the form of the street, the form expressing civilization at that time. Does anyone remember Calatrava’s forms? They are whale bones, columns, beams, ceiling slabs, bendings; he made a bridge in Venice and couldn’t see that the bridge wasn’t meant for looking at the water that flows under it, but for doing business, meeting people, stopping. He couldn’t manage to copy the Rialto Bridge…Not even technically. This is history. Or the essence of it. History is long. It is passion. It is love. It is emotions. History is design/planning as a human institution. Made by people for people, precisely as happens for all the forms we talk about. Now we’re talking about green architecture?!! They’ll probably plant a maritime pine tree in the centre of boards in Piazza Campidoglio, or maybe a few oak trees along the facades on the square in Trevi or a few water lilies in pools. Design/planning is a factor of social cohesion (or division). The object is a social product. It comes from the (slow) sedimentary memory of humanity as an expression of its civilizations. Maria Christina Hamel’s work marks the best of these expressions. Her past collaborations with Alessandro Mendini, Memphis, Ettore Sottsass, and Andrea Branzi tell a story of a systematic resistance to rationality, that rationality which is empty, stupid, meaningless, an ends unto itself. It makes me think of a gravestone, “I spent my whole life getting here”. Her forms are seemingly ingenuous, seemingly childish, seemingly cartoonish, but are actually part of a ercely corrosive attack against the person as quantity. Here as well, her new pieces use an atavistic tool from human history, For millennia, ceramics has marked and distinguished this history. Certain civilizations are identied by the ceramics they created. As a tool, ceramics is an expression of the material’s fragility, the form’s timelessness, and it is indestructible form, form that stands the test of time, against storms and cataclysms, form that denes and marks history, the history of civilization. Hamel forges her own path in this civilization. Ceramics is a material that goes against the geometry of the universal drafting machine and that of the computer. Its form is one born from the movement of human hands. Hamel’s ceramics emanates a joy of life, the aptness of form, the pleasure of looking, the pleasure of touching, the pleasure of living for the sake of living…Like you can sit on the steps of TrinitĂ  dei Monti, doing nothing, living for the sole pleasure of living. Her “Cascata” or “Mondi” are vases, and they are lamps; they are sculptures; they are toys for the pure pleasure of seeing. They evoke what each of our imaginations can imagine, at a rst glance. We want to play with these objects. Own them, touch them, look at them lasciviously. “Stella” can turn into a votive lamp that denies the absoluteness of death, rendering it a moment of transition between one life and the next. “Foglie” takes on the features of a Japanese “tokonoma”, a sacred corner in the home space. Maria Christina’s ceramic pieces t with those of classic Greece and their discursive quality, and they are part of the lush iconography of pre-Columbian ceramics, taking on a comparable sculptural value. The pieces, drawings, colours and motifs presented here could be put alongside the works of many artists (such as Jean Arp, Yakoj Kusama and Dan Lavin) and many design trends (neo-Liberty, Bolidism), many architectural works (Phillippe Starck in Japan). Yet, in reality, they only represent her and her work. Within a great floodplain that gathers the work of many other artists…Now defeated or relegated to history…Rational…Serious…Suicidal. “Flowers of Light”: a metaphor that uses a single image to capture the essence of the sculptures created by Maria Christina Hamel, sculptures in which colour and light shape and dene forms, perceptions and sensations. From three-dimensionality to two dimensions, from sculptures to digital print compositions, in a single, unied itinerary that condenses all of the experience and creative passion of the artist, directly touching the core of our senses with its combination of forms, colours and light. The density of experience and creation that characterises her work clearly reveals the numerous cultural references that have marked her artistic development, among which traditional ceramics, pop art and the neon lighting of Fontana. The result is an explosion of colours and light in which dreams and reality blend together, each unable to exist without the other. Reality is a dream and the dream is real, in a creative dimension where design rationality and imaginative tension nd synthesis in the reality of matter, and where the form, despite its closed nature, cannot help but attempt to branch out, expanding into the space around it, illuminating it, contaminating it, animating it. From the ancient art of ceramics to the experimental and creative tension of contemporary art and design, the discrete, everyday, tenacious work of Maria Christina expresses harmony and balance between a universe of emotions and clearheaded design, 60
  • 62. between sensuality and rationality, between passion and reason. The photographer Giampietro Agostini has transposed the sculptures and paintings of Maria Christina into images. With experience photographing a wide variety of subjects, in particular architecture, Agostini has always worked with extraordinary care and sensitivity, cultivating a life-long passion for “writing with light”, i.e. photo-graphy. From shooting to printing, a process he often carries out in the darkroom even in today’s digital era, Agostini’s photographs are created without hurry, in a search for harmony and balance between reality and his powers of perception. For Maria Christina he has created images that are bathed in colour and light. Photo–graphy for creations of light. From light, to light. Silvia Paoli, October 2008 The smile of design Alberto Bassi The work of Maria Cristina Hamel raises several questions, one of which has become (again) extremely topical: the relationship between the contemporary design culture and production methods. Starting with her experience with Alchimia, Hamel has explored a frontier territory that has encouraged her (effectively paralleling the experience of Alessandro Mendini, among others) to ponder an interior world of poetic expression, on the one hand, and on the other to investigate the position and meaning of her objects in the panorama of aesthetic artefacts. The reconciliation of these two aspects has often emerged through the choice of languages, materials and production methods that uphold the concept of limited series and pay attention to how – and how well – things are done. Nevertheless, this has never hampered a broader vision of how to understand and experience the presence of objects, particularly in the home, an approach that is eloquently illustrated by her many efforts with manufacturers as well as major retail chains. The latter ability has allowed her to relate with industry, with results that are at once relaxed and successful. This is the case – simply by way of example – with the plastic handbags designed for Koziol (with Alessandro Mendini) ten years ago. But it seems that the area most suited to this designer involves the search for dialogue linking the language of design, the need for limited series and artisanal production. Indeed, we can nd a common thread linking her works – from the earliest to the most recent – not only in the choice of language and form, but also in the materials she has used to create them. Unsurprisingly, she favours manual techniques and natural materials such as ceramics and glass. Bold colours, conveying the serenity and happiness of things and of life itself, represent yet another hallmark, a constant in all of her works. All of these characteristics are present in her latest collection of ceramics, produced by the master potters from Nove, near Vicenza. This collaboration also represents a positive contribution to safeguarding and valorizing Italy’s tradition of expertise – in this case tied to artisanal pottery – that is often undervalued or tends to underestimate itself. The eight “Flowers of Light” sculptures merge a traditional medium – ceramic – with a contemporary element – neon lighting – to create luminous objects that are both tactile and lightweight. The pair of large columns titled Earthly Paradise and Love and Sentiment are instead allegorical expressions of the existential questions that all of us face: an emphasis on colour, rounded and natural forms, and allusions to flora and fauna thus weave a joyous and light-hearted interpretation. We are always delighted when smiling becomes part of design. FROM ACROSS THE TABLE From a conversation with Patrizia Scarzella, Milan, 15 October 2008 My childhood I was born in India, in New Delhi. My mother Rosanna, whose family was from Versilia, on the northern coast of Tuscany, grew up in India, where my grandfather worked as a marble contractor. There she met my father Iury, a young diplomat of the Federal Republic of Austria. He was born in Indonesia, where his Austrian father had fled to escape the disintegration of the Austro-Hungarian Empire, and where his Russian mother had fled to escape the horrors of the October Revolution. My parents were married in the New Delhi Cathedral, where all of the works in marble, including the baptismal font where I was baptized, had been installed by my maternal grandfather Cosimo. I can’t discount the fact that I was born in India, even though I only lived there for the rst two years of my life. I have no clear memories of that time, but I like to think that I absorbed traces of that wonderful culture, thanks also to my parents love for the country. In fact, when I happened to mention where I was born, the Indians themselves say: “Well then, you’re one of us!”. After India, we lived for two years in Vienna and then for three years in Thailand. My rst sharp memories go back to those years: the school, my bringing flowers to Queen Sirikit, trips to places that at that time were solitary and uncontaminated, for example Pucket, the fragrant air of Bangkok, which was very green and crossed by canals, with houses, including our own, built in wood in colonial style, the very kind servants, like all of the population, my friends of every colour, going to lessons to learn Thai dance, the traditional dramatic art form of Thailand; in other words, a fantastical yet very real, very tangible universe that I have always missed and which I like to think had a strong affect on my personality. With parents who were very busy with diplomatic activities, we children had an unimaginable amount of freedom, and it was wonderful. We were truly very free. In Thailand I began elementary school at the Swiss school and there, in a country with a year-round tropical climate, we were told stories of the Alps, about a boy who descended into the valley when the snow melted. I found the stories so surreal and out of context, and thus extremely fascinating! During that time I began my rst drawings. I loved to colour, and one of my rst subjects was the zoo, with its involuntary guests. Another pleasant memory I have is when I got the chance to accompany my mother to buy fabric in the north of Thailand. Surrounded by hundreds of bolts of cloth, I discovered threads amassed in bunches all over the ground in a myriad of colours. I gathered some up and later used them to embroider a basket of colourful flowers. I would say that was a rather extraordinary undertaking for a six-year-old girl! After Thailand we returned to Austria. My memory of that period is dreary. It was 1965, I was seven years old and despite the fact that the Soviet occupation, which had begun at the end of the Second World War, had been over for ten years, there were few signs of gaiety. The air seemed very heavy, especially compared to the carefree life that I had led in Thailand and to its bright colours….it was a terrible shock for me! One person who helped me to escape the gloomy, authoritarian climate, with a school based on rote memory, incapable of providing any 61
  • 63. stimulation, was a family friend who taught me French. She was a very positive influence on my life, also transmitting her love for art. I began seeking out and reading art books, and was particularly struck by the Vienna School of Fantastic Realism. Besides Klimt, the artist from that historic period who impressed me the most was Kokoschka. I was 15 years old, and the year after that we moved to Italy. Italy and design. After the gloomy atmosphere of Vienna, the Mediterranean climate of Milan! In Italy I nished my secondary studies at the German high school. In the 1970s there were many German families in Milan, and as always happens in cities with temporary communities of foreigners, it made for an unusual and rather special environment. During that period I didn’t draw very often. Given my age, I was mostly interested in other things. I remember the year I nished high school, in 1977, when I told my father I wanted to study design. We agreed that I could continue to live at home, unlike most of my classmates at the German school, who were all headed for other places. At the Scuola Politecnica di Design in Milan I began studying technical drawing, using the same method taught at the technical high schools but which I hadn’t yet learned. I very much enjoyed learning projections, perspective, everything to do with drafting. I was also very enthusiastic about Professor Silvestrini’s lessons on colour. The director of the school, Nino di Salvatore, was deeply knowledgeable about Gestalt, the philosophical theory on the perception of phenomenology. I liked the way the school was organized, with the design, art and graphics courses all closely related. Much attention was paid to spatial perception and I must say that I owe much to that teaching method. The fact that the teachers were true intellectuals from a variety of backgrounds, many of whom gravitated around the art world, was extremely helpful for my development. The design course directed by Attilio Marcolli was also wonderful, and I was also taught by Norbert Linke, who was a student of Maldonado at the famed ULM School of Design in Germany. I particularly value his having introduced to me the idea of design being concerned with social problems. Our design projects ranged from works that were very closely tied to the world of industrial production, for example I remember a project for an industrial lathe, to colour studies in which they taught us how to mix the colours ourselves. This was a lengthy operation that took great concentration but it provided us with the pleasure of accomplishment. My professional development Once I nished school, my rst work experience was with Ugo La Pietra, whose drafting skills led him to carry out his architectural drawings in pencil rather than pen. I had to put into practice all of the theories I had learned in design school, for instance how to hold and sharpen a pencil! Later, after a second work experience with Ambrogio Rossari, whom I very much admired, I met Alessandro Mendini. It is not easy to summarize in just a few short lines the ten years that I worked with Mendini. That period of time is interwoven with my work with Alchimia, of which Sandro was one of the main promoters, and I an acolyte of those high priests of design. Mendini is a charismatic person with great humanity. He has a very rigorous work method that attempts to rationalize ideas as much as possible without depriving them of their inherent poetic charge. Normally, a work group was created for each project. Once the group had received the initial input, its members would bring to the project their various cultural experiences, putting them through a process of rationalization. After it had passed the rigorous muster of Mendini, the nal project was developed. My gurative world I fully recognize the role that my years with Mendini played in the development of my expressive and visual language. During that period I developed a certain type of chromatic sensitivity, a creativity in Technicolor! When I began working with Mendini, he said he was mostly an architect and since I was mainly interested in objects, he had me work on them. Thus I devoted my time specically to the design portion of the studio’s work. The objects were not miniaturized architectures, they were of a different world, one of everyday utility. Mendini’s approach consists in maintaining a position of intellectual distance with respect to existing aesthetics, in order to design new expressive elements by introducing stylistic elements that are not necessarily three-dimensional forms, but which even when applied in two dimensions transform an object, thus moving the expression and the state of the object to a new and different plane. This concept, when applied to a utilitarian product, for example a lamp, allows it to remain a lamp in its most essential form, with the addition of numerous applications. It can result in decoration or in the recovery of forms that have been reinterpreted through history. It has also led to a preference for historical styles, for example neoclassicism, as well as studies of how neoclassicism makes use of various stylistic expressions to dene its own unied style. Neoclassicism is the expression of a period than I like very much, both for its architecture and for its objects and furniture, and both for how all these interact and for their proportions. These characteristics are also apparent in the decorations of that period, which were particularly well-coordinated and florid. Personally, I am more interested in classical harmonies and symmetries than in asymmetries. Another period that I have always liked and that has always influenced me is Classical Greece. Sometimes I nd sources of inspiration in completely irrational aspects that result from the blending of overlapping periods and cultures, like the Early Romanesque, the Middle Ages…, or simply from one culture looking at another, as happened at the beginning of the 20th century with Art Nouveau looking to Japan as an endless source of inspiration. Ceramics, a favourite material During the time I worked with Mendini, as a reaction to his methods of collective rigour, I felt a very strong need to explore autonomous expressive forms. I found I could easily do this in the marvellous world of ceramics. By its very nature, working with ceramics provides an excellent means for freedom of expression, even though it requires good basic training and a thorough knowledge of production sites, because each clay has very specic qualities. My ceramics investigations led me to create works in many of the principal sites traditionally associated with this material, both in Italy and abroad: in Italy I have worked at Deruta, Albissola, Castellamonte, Milan and Faenza; abroad at Limoges, Modra and Ahmedabad, India, while for this latest collection, the choice fell on Nove, near Vicenza. I cannot work with stereotyped aesthetic canons, and instead attempt to create my own classication of beauty. 62
  • 64. At the end of this important period of working with Mendini, I launched out on my own and in 1992, with the collection “Una Zebra a Pois”, I found my Stargate; in the sense that, in that precise moment, I began an exploration of my potentialities with new eyes, without anyone else’s mediation, drawing from my own heritage of experience. Today, with “Flowers of Light”, I feel that I have nally arrived at a midway station, from which to depart in discovery of entirely unknown horizons. These sixteen years that have passed have not been at all simple, and would require a re-examination that I will surely carry out one day, but this is not the time nor the place. Fortunately for me, I have found two allies along my travels whose complete support has helped me to constantly discover new points of departure: my husband Cesare and our son Cosimo. During this entire period I have needed to rst clarify with myself whether it would be better to follow the classic itinerary of the industrial designer, or to devote myself, as I have in fact done, to an investigation of the concept of artistic design, where for artistic design I mean the kind of emotional expressiveness that gives a designed object not only a functional role, but also an entire universe of sensations that render it unique. I feel much more attracted to the handcrafted world of the applied arts, as they were called at the beginning of the 20th century, then to the world of series production, which diminishes our abilities of discernment and which tends to make everything homogenous and gloomy. Giampietro Agostini Agostini was born in 1960 in Borgo Valsugana, Italy. His photographic art weaves together history, social change and landscape transformation in Italy and throughout Europe. He has had many solo and group exhibitions and published his work in exhibition catalogues and books, including Tracce, Baldini & Castoldi; Nottetempo. Milano 1994/2004”, Meridiana Editrice; Il campo e la cascina, Diabasis Editoriale; Ex Fabrica. IdentitĂ  e mutamenti ai conni della metropoli, Silvana Editoriale; and Frontiere della memoria, Litodelta. His photographs have been purchased by museums and leading private and public collections in Italy and throughout Europe. He works with diverse public and private institutions, organizations, architecture studios, publishers, manufacturers, design studios and leading Italian and foreign companies. He works and lives in Milan and Trentino. www.giampietroagostini.it Alberto Bassi Alberto Bassi (Milano, 1958) focuses on the history and criticism of industrial design. He teaches History of Industrial Design at the Faculty of Design and Arts of IUAV of Venice, where he is also assistant director of the advanced degree course of Industrial Product Design. He is an editor of “Casabella”, is a contributor to various sector magazines, such as “Auto & Design”, and to the Sunday supplement of the newspaper “Il Sole 24 ore”. Some of his publications are Giuseppe Pagano designer (with L. Castagno, 1994), Le macchine volanti di Corradino D’Ascanio (with M. Mulazzani, 1999), La luce italiana. Il design delle lampade 1945-2000 (2003), Antonio Citterio industrial design (2004), Design anonimo in Italia. Oggetti comuni e progetto incognito (2007). Ambrogio Beretta Beretta was born in 1946 in Capriano, Italy. Since childhood, he has been a schoolboy, a student, a functionary, a bank clerk, a clothing salesman, a photographer, a sculptor and a painter. At the moment, he is a student studying harmony. Casadiambrogio@ Gian Carlo Boiani After studying and specializing at the universities of Rome, Florence, Poitiers (France) and Louvain (Belgium) and traineeships at the Bargello Museum in Florence and the Kunsthistorisches Institut in Florence, from 1974 to 2001, Boiani was rst curator of the retrospective collections and then director at the International Museum of Ceramics in Faenza. From October 2001 to September 2006, he was scientic director at the Civic Museum in Pesaro. He taught the history of ceramics for fteen years at the University of Urbino, until the academic year 2005-2006. He was hired to lead an ofcial three-year program in the history of ceramics at the University of Ferrara for the academic year 2008-2009. He is currently president of the institution for cultural assets, activities and tourism of Urbania (formerly Casteldurante). Boiani has been involved in remodelling projects for ceramics museums in Faenza, Deruta, Gualdo Tadino and Pesaro. He is president of competition juries for ceramic art in a variety of Italian and foreign locations, and has organized many exhibitions around the world, primarily in collaboration with the Ministry of Foreign Affairs. For the Year of the Renaissance in 2008, he was invited to work with the Museum of Applied Arts in Budapest for the exhibition: “The Dowry of Beatrice of Aragon Italian Renaissance majolica at the court of King Matthias Corvinus”. His bibliography includes books, monographs, catalogues, articles and presentations for a total of over 500 titles, which can be consulted in the specialized libraries of the ceramic museums of Faenza and Pesaro. Tiziano Dalpozzo Dalpozzo lives and works in Faenza, Italy. He wants to be an architect when he grows up. He loves high quality drawings, ceramics and exotic cultures that let him reflect on his Romagnola-ness. In his past life, he sang like a lyrebird. t.dalpozzo@archiworld.it Alessandro Mendini Mendini is a Milan-born architect. He has edited the magazines Casabella, Modo and Domus. Monographs in many languages have been published about his work and the work he has done with Alchimia Studio. He makes objects, furniture, spaces, paintings, installations and buildings. He has worked with many international companies, including Alessi, Philips, Cartier, Bisazza, Swatch, and Venini. He works as a consultant for industrial businesses, including in eastern Asia, on issues of image and design. He is an honorary member of Bezalel Academy of Arts and Design in Jerusalem. In 1979 and 1981, he was awarded the “Compasso d’Oro” award for design, and the “Chevalier des Arts et des Lettres” in France, and received an honour award from the Architectural League of New York and an honorary degree from the Polytechnic of Milan. He has taught design at the Hochschule fĂźr Angewandte Kunst in Vienna and is honorary professor at the Academic Council of Guangzhou Academy of ne Arts in China. His works are in numerous museums and private collections. In 1989, he and his brother, architect Francesco Mendini, opened the Atelier Mendini in Milan. Their designs include Alessi factories 63