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M i l a n o
T r i e n n a l e d i M i l a n o
T e a t r o d e l l ’ A r t e
v i a l e A l e m a g n a , 6
2 5
2 6 - 2 7
2 8
g i u g n o 2 0 0 3
c i t t à e r e g i o n i
m e t r o p o l i t a n e i n
E u r o p a
c i t t à e r e g i o n i
m e t r o p o l i t a n e i n
E u r o p a
Contributi preparatori
a cura di
Ornella Segnalini
Marco Tamburini
INUEdizioni
XXIV Congresso INU
Città e Regioni Metropolitane in Europa
Milano, Teatro dell'Arte (Triennale di Milano)
26/27 giugno 2003
Contributi preparatori
a cura di Ornella Segnalini, Marco Tamburini
INU Edizioni Srl
Iscriz. Tribunale di Roma n. 3563/95
Iscriz. Cciaa n. 814890/95
Sede: Piazza Farnese 44 - 00186 Roma
Tel. +39 06/68195562
3
Città e regioni metropolitane in Europa
Strategie, politiche e strumenti per il governo della complessità
Call for paper per il XXIV Congresso INU*
In continuità con il XXIII Congresso (Napoli, 2000), che ha proposto nuovi e diversi significati e
contenuti degli strumenti urbanistici per il “progetto della città contemporanea”, il XXIV Congresso
INU si interroga sui caratteri delle trasformazioni insediative emergenti nell’orizzonte europeo. A
fronte di una storia comune, fondata su principi di emancipazione, competizione, libertà, ma anche
solidarietà, la cultura delle città europee oggi si confronta infatti con nuovi usi dello spazio urbano e
metropolitano e radicali modificazioni dei relativi impianti e assetti, con la segmentazione del
lavoro, con le nuove tecnologie e con il ridursi di ruolo degli Stati nazionali come fornitori di beni
pubblici e servizi sociali.
In questo scenario ancora incerto, il Congresso dell’INU vuole ribadire l’esigenza di mettere in
campo strategie e politiche a scala vasta - di fatto proiettate nella “dimensione” europea (e nel suo
prossimo ampliamento) - tenendo conto anche della contrastata riforma del nostro Paese in chiave
federalista. Per questo, attraverso il proprio Congresso l’INU intende lanciare un appello all’Unione
Europea, perché riconosca nella sua nuova Costituzione il territorio e le città come propri valori
comuni.
Ma il Congresso vuole anche riaffermare - sviluppando alcuni temi del Convegno di Firenze (2001)
- che il governo della complessità non può prescindere dalla costruzione condivisa di quadri di
riferimento, che restituiscano coerenza alle pianificazioni e alle politiche “separate” (mobilità,
riqualificazione urbana e ambientale, servizi, ecc.), sui quali fondare le intese tra le amministrazioni
e gestire coerentemente nel tempo la sequenza delle iniziative sul territorio.
Con questi obiettivi il XXIV Congresso dell’INU intende rivolgere una forte sollecitazione allo
Stato, alle Regioni e agli Enti locali perché siano investite le risorse finanziarie necessarie a
promuovere l’innovazione, incentivare a tutti i livelli istituzionali strategie e concrete politiche
territoriali integrate, favorendo i processi di aggregazione e pianificazione concertata a scala vasta,
al fine di restituire centralità di ruolo ed efficienza alle nostre città e regioni metropolitane.
In preparazione del XXIV Congresso sono previste numerose iniziative nazionali e regionali, per le
quali sono impegnate le Commissioni nazionali e gli INU regionali, ai quali è affidata la messa a
punto di alcuni approfondimenti preliminari: sul tema dell'interesse pubblico nella pianificazione,
sui rapporti tra poteri legislativi centrali e regionali, sulle forme di governo e le aggregazioni
istituzionali più innovative ed efficaci per il governo del territorio.
Mobilità, logistica e riconversione funzionale
Città e “regioni” metropolitane si fanno partecipi di più ampie reti di relazioni, spesso caratterizzate
da congestione dei flussi, dall’insufficienza delle piattaforme logistiche, dall’intersezione degli
spostamenti di scala locale con i grandi flussi di persone e merci. Anche nei confronti
internazionali, le città e gli insediamenti metropolitani italiani registrano gravi deficit
infrastrutturali, che determinano innegabili ripercussioni sull’efficienza e la competitività delle
imprese, sull’accessibilità ai servizi e sui tempi d’uso delle città, sulle stesse opportunità insediative.
Queste carenze sottolineano la priorità di serie politiche di adeguamento infrastrutturale, ma non
possono prescindere da una riflessione più generale sulla riconversione funzionale delle città e sul
riassetto del territorio, in riferimento sia alla dimensione strutturale del piano, sia alle strategie
urbane che mirano a connettere i vantaggi delle trasformazioni con il cofinanziamento delle
infrastrutture, alla ricerca della necessaria integrazione tra le politiche della mobilità e la
pianificazione a scala vasta.
Alcuni temi di riflessione
− politiche per la mobilità urbana che incidano positivamente sulla qualità dello sviluppo e sulla
riconversione funzionale; esempi e problematiche;
4
− pianificazione, decisione, regolazione della mobilità e dei trasporti a scala nazionale e regionale;
il ruolo dei governi locali;
− tecniche dei trasporti, pianificazione e politiche di sviluppo nelle recenti esperienze nazionali;
politiche di rete e gestione del trade off trasporti/comunicazioni;
− attori locali (ed esogeni) nel settore dei trasporti e dei servizi; garanzie per la qualità del servizio
e continuità nella gestione;
− linee di assetto, “corridoi” infrastrutturali europei e sviluppo delle città e delle regioni
metropolitane.
Qualità dello sviluppo della città e del territorio
Oltre ad indurre incertezze e preoccupazioni nei soggetti più deboli, il ridursi delle politiche di
welfare, ha rimesso in discussione la dimensione pubblica della città, fino a investire i temi della
coesione sociale, della sicurezza e della convivenza multiculturale. Le “armature urbane”, i servizi,
le attrezzature e le politiche di spesa su cui si fondava il piano tradizionale appaiono oggi
insostenibili per la sola azione pubblica. All’arretramento dei tradizionali moduli regolamentativi
corrispondono, quindi, prassi di concertazione ancora incerte associate a un latente processo di
privatizzazione in materia di servizi. Tutto ciò incide sulle sorti della città, e su alcune
precondizioni che dovrebbero assicurare soglie minime di qualità e sostenere la costruzione di
processi condivisi di sviluppo locale. In questo scenario, anche la crescente preoccupazione per la
sostenibilità ambientale deve fare i conti con un approccio integrato tra pianificazione degli spazi e
degli usi della città e pianificazione dei trasporti, traducendosi in appropriati strumenti di
valutazione, monitoraggio e gestione degli impatti sull’ambiente costruito.
Alcuni temi di riflessione:
− politiche sociali, welfare market e welfare locale; bilanci sociali e ambientali; pianificazione dei
servizi;
− reti ecologiche, continuità degli spazi aperti e sistema dei servizi a scala sovralocale;
− qualità morfologica; competizione tra città compatte; cooperazione in rete e livelli di
sostenibilità ambientale;
− paesaggi metropolitani, forme insediative e qualità del progetto; procedure concorsuali e
valutazione di politiche e progetti;
− valorizzazione del patrimonio architettonico e della qualità della “scena urbana”; strumenti e
politiche per la qualità ecologica ed estetica delle città.
Forme di governo e processi di pianificazione
Le esperienze della “nuova programmazione” e i programmi complessi hanno provato che è
possibile disegnare aggregazioni istituzionali a partire dal basso, e come spesso sia proprio la
pratica della co-pianificazione a conferire valore aggiunto e fattibilità ai singoli progetti e
programmi di intervento. Se la capacità di prefigurazione è fattore indispensabile per il lungo
periodo, il grado di infrastrutturazione e la qualità dello sviluppo nell’immediato dipendono
soprattutto dall’abilità di coinvolgere una rete di attori pubblici e privati, contando non solo sulle
risorse dell’Amministrazione locale.
Intercomunalità, associazioni tra Enti locali, tavoli interistituzionali, piani d’area esigono nuove
relazioni tra soggetti e livelli di pianificazione, e alcuni presupposti, riassumibili nell'operatività
delle politiche urbane, nella certezza giuridica del piano, nell'esecutività degli accordi sottoscritti,
infine nella coerenza della programmazione economica nazionale e regionale ai temi dello sviluppo
locale e alle politiche di settore. Questa nuova dimensione dello sviluppo - e in esso del “pubblico
interesse” - incardinata sulla pianificazione e sulle pratiche valutative di coerenza e compatibilità,
appare anche nel confronto europeo un fertile terreno per una rilettura degli stessi criteri di
valutazione, tutti incentrati sugli aspetti socio-economici o ambientali, e poco attenti al territorio nel
suo insieme.
5
Alcuni temi di riflessione:
− governo metropolitano e pianificazione di area vasta: peculiarità del territorio metropolitano e
delle sue trasformazioni; specificità degli strumenti di governo e delle pianificazioni per le
grandi aree urbane e i territori metropolitani;
− modelli di gestione innovativi (agenzie, autorità ecc.); efficacia, limiti e vantaggi della “città
metropolitana” rispetto ad aggregazioni istituzionali e volontarie a geometria variabile;
− natura strategica del piano metropolitano e relazioni con la dimensione strutturale e operativa dei
piani provinciali e comunali; approcci strategici e aspetti regolativi della pianificazione
urbanistica; -raccordo tra città e sistemi locali e metropolitani nella prospettiva di una
governance territoriale; complementarietà tra globalizzazione delle “regioni” metropolitane e
sviluppo dei sistemi locali; pianificazione strategica e bilancio degli impatti nelle nuove realtà
insediative;
− regimi immobiliari e ruolo del piano; decadenza dei vincoli pubblicistici e permanenza dei diritti
di edificabilità; strumenti perequativi e compensazioni.
* Questo documento è stato predisposto dal Comitato scientifico-organizzatore del XXIV Congresso con la finalità di
sollecitare la produzione di contributi originali che, uniti nella presente raccolta, costituissero stimolo e, insieme,
anticipazione dei temi successivamente sottoposti al dibattito congressuale.
1a
Sessione
Mobilità, logistica e riconversione funzionale
Il ruolo transfrontaliero della Regione Puglia nel contesto europeo
Sezione INU Puglia p. 7
Reti infrastrutturali: azioni e politiche in Europa, Italia, Calabria
Francesco Alessandria p. 8
Reti specializzate e logistica nella dimensione metropolitana
Maria Cristina Angeleri p. 12
Sistema Civitavecchia
Alessio De Sio p. 18
Zero emission hospital: mobilità ospedaliera a zero emissioni
Matteo Foschi p. 20
Parcheggio d’interscambio elettrico - fotovoltaico
Matteo Foschi p. 25
Strategie e strumenti per la mobilità urbana: il caso di Barcellona
Laura Latora p. 27
Ambiti territoriali omogenei e regioni metropolitane: caso di studio partenopeo
Salvatore Losco p. 30
Spazio urbano attraverso l’infrastruttura: nuovi assetti relazionali con il territorio
Vanna Madama p. 34
Il Passante autostradale nord di Bologna
Tiziano Rabboni p. 39
Civitavecchia: polo della logistica e dell’intermodalità
Giampaolo Scacchi p. 42
Grandi infrastrutture e autofinanziamento: realtà, utopia o semplice diversivo?
Alessandro Vignozzi p. 46
Che ruolo ha un Piano particolareggiato del traffico urbano?
Paolo Galuzzi, Fabio Torta, Piergiorgio Vitillo p. 50
7
Il ruolo transfrontaliero della Regione Puglia nel contesto europeo
Sezione INU Puglia
Il contributo intende raccogliere le riflessioni della sezione pugliese dell’INU sul ruolo
transfrontaliero della Regione, analizzandone le politiche sociali, economiche e territoriali, per
tentare così di comprendere entità e qualità delle reti di relazioni, esistenti e potenziali, con i Paesi
d’oltre Adriatico. La Puglia persegue da tempo un ruolo euro-mediterraneo, in relazione a quelle
funzioni di “regione di frontiera” che da tempo è chiamata a svolgere e che l’allargamento ad est
dell’Unione europea contribuirà quasi certamente a ridefinire. In tale prospettiva si intende
indagare, in particolare, sulle dinamiche insediative legate al problema della casa per le popolazioni
immigrate, sulle politiche ambientali di comune interesse con i Paesi dell’Adriatico, sul ruolo delle
infrastrutture di trasporto nel sistema di connessioni con i Paesi transfrontalieri e sull’impatto delle
attività economiche avviate sotto l’impulso di iniziative intraprese dall’imprenditoria regionale
nell’ambito di opportunità e convenienze determinate dalle politiche internazionali.
Per quanto attiene alle dinamiche insediative, si intende verificare se e come viene affrontato il
problema della casa, cercando in particolare di comprendere se esso viene gestito in maniera
“strutturale” o ancora in termini di “emergenza”. Si tratta ancora di verificare se l’offerta
insediativa, ancorché quantitativamente definita nei piani urbanistici e/o in provvedimenti di
politica sociale e territoriale, sia rispondente alle istanze “qualitative” della popolazione immigrata.
Per cercare risposta a questi interrogativi si intende svolgere un’indagine presso gli IACP
provinciali (per verificare ad esempio se siano state definite modalità di accesso alle abitazioni in
relazione alle nuove esigenze manifestate dagli immigrati), presso le Prefetture, i sindacati degli
inquilini, le consulte degli immigrati e gli stessi Comuni maggiormente investiti da tali
problematiche e/o direttamente coinvolti nella gestione di programmi finalizzati in tal senso (come
ad esempio per qualche programma Urban).
L’analisi delle politiche ambientali cercherà di verificare se e in che misura esse siano presenti in
accordi e/o programmi bilaterali avviati con i Paesi d’oltre Adriatico e, più nello specifico, quali
siano le potenzialità offerte da particolari strumenti di programmazione, quali ad esempio Interreg,
per perseguire obiettivi comuni e costruire azioni condivise per una corretta gestione delle risorse
ambientali (in tal senso, si intende fare riferimento in particolare ai sistemi costieri come luogo di
interazione di maggiore immediatezza fra i Paesi che si affacciano sull’Adriatico).
Il ruolo delle infrastrutture di trasporto sarà analizzato essenzialmente in relazione ai principali porti
pugliesi (Bari, Brindisi e Taranto), la cui importanza assume una particolare rilevanza anche nel più
ampio sistema di connessioni delle Regioni del Mediterraneo. Si tratta ancora una volta di verificare
non solo quale sia l’attuale consistenza dei flussi di trasporto in relazione al rapporto fra domanda e
offerta che ne caratterizza le diverse tipologie, ma anche come questo ruolo transfrontaliero viene
assolto in maniera più generale - anche in termini, perciò, di una più complessa e articolata
intermodalità - e soprattutto con quali prospettive future nel contesto di una più stretta interazione
con i Paesi del Mediterraneo.
Le problematiche connesse alle attività economiche, infine, saranno esaminate attraverso l’analisi
dei numerosi investimenti realizzati negli ultimi anni dagli imprenditori pugliesi nei Paesi
transfrontalieri (attraverso interviste fatte, ad esempio, ai presidenti delle Associazioni degli
Industriali delle rispettive Province), in gran parte riconducibili a quei modelli economici
ampiamente praticati nei Paesi industrializzati e che rappresentano uno dei più seri ostacoli alla
diffusione di politiche alternative orientate al perseguimento di obiettivi di sviluppo sostenibile. La
riflessione su tali problematiche mira pertanto a evidenziare la necessità di ricondurre l’insieme
delle numerose iniziative finalizzate all’implementazione di attività economiche, in passato avviate
spesso sulla base di rapporti bilaterali, in maniera episodica, frammentaria e in ragione della
maggiore competitività imprenditoriale dei soggetti privati, ad un sistema di politiche inteso come
rete di sviluppo, al cui interno esse siano adeguatamente valutate e se necessario ridefinite
nell’ottica della sostenibilità.
8
Reti infrastrutturali: azioni e politiche in Europa, Italia, Calabria
Francesco Alessandria∗
Tendenze delle azioni e delle politiche
Lo sviluppo territoriale ineguale e l’assetto strutturale differenziato del territorio europeo, unito alla
generale inadeguatezza, evidenzia elementi di debolezza, aree di polarizzazione, diversità di
tendenze di sviluppo, frammentazione delle reti nazionali. La situazione attuale è caratterizzata da
una notevole presenza di reti infrastrutturali nelle aree centrali e rarefazione nelle zone periferiche.
Le iniziative dirette a fronteggiare tale situazione tendono a prevedere interventi di riequilibrio, al
fine di evitare il rafforzamento di sistemi urbani già forti.
La decisione di adottare uno schema di sviluppo dello spazio comunitario1
non costituisce solo un
tentativo di risposta, da parte dell’UE, ai crescenti problemi, anche di accessibilità. Soprattutto, essa
si pone come la dimostrazione di una nuova consapevolezza che soltanto attraverso un uso
equilibrato del territorio e tramite il miglioramento delle sue forme insediative e infrastrutturali è
possibile pervenire ad una maggiore coesione tra comunità differenti e, allo stesso tempo,
rispondere alla competitività che il mercato globale richiede. Si tratta, dunque, di individuare la
dimensione innovativa della politica europea fondata non solo sull’integrazione economica ma, in
una certa misura, condizionata dall’intensificarsi della cooperazione, in senso lato, tra Stati membri
e fattasi interprete, quindi, del ruolo crescente delle autorità regionali e locali nei confronti dello
sviluppo del territorio. Essersi rapportati con il territorio e con le problematiche infrastrutturali
conseguenti, evidenzia una delle principali novità delle politiche europee espresse dal SSSE,
approvato contestualmente alla nuova programmazione delle risorse comunitarie per il 2000-2006.
Nonostante la defatigante gestazione, durata oltre venti anni, appare chiaro che per i paesi firmatari
lo “schema di sviluppo” costituisca l’implicito riconoscimento che la maniera migliore di
avvicinarsi alle esigenze della competizione mondiale sia sostanzialmente basata sulle risorse, non
solo di tipo economico, che provengono dal territorio e al territorio sono dirette. Le ipotesi di
sviluppo conseguenti sono fondate su modalità di intervento sufficientemente flessibili. Nonostante
sia da collocarsi a metà strada tra un insieme di indirizzi a carattere geo-politico ed un vero schema
direttore a scala europea, nel complesso il documento dovrebbe assumere la funzione di un quadro
di orientamento cui ispirare le differenti politiche promosse, nell’ambito delle rispettive
competenze, dalla Commissione stessa, dagli Stati membri, dalle Regioni, dagli Enti locali. Lo
spazio è, quindi, reinterpretato come l’insieme delle risorse da salvaguardare, ma anche come il
luogo dello sviluppo, in un’ottica che tiene conto delle innegabili opportunità fondate sulla
relazione territorio/economia. E’ evidente che una componente importante di tale relazione è,
oggettivamente, rappresentata dalla rete infrastrutturale. Il territorio stesso diventa un’occasione per
redistribuire i vantaggi acquisiti attraverso l’integrazione economica e, al contempo, assume una
funzione essenziale al fine di garantire una maggiore coesione tra i paesi aderenti, grazie alle
previsioni, contenute nel documento, di rafforzare l’accessibilità, l’infrastrutturazione, gli scambi e
le relazioni tra sistemi insediativi differenti. Lo schema di sviluppo intende perseguire
sostanzialmente tre finalità fondamentali riconducibili alla coesione economica e sociale, alla
salvaguardia delle risorse naturali e del patrimonio culturale e a una equilibrata competitività dello
spazio europeo. Per certi contenuti, lo schema propone una sorta di sfida non solo dove, per
controbattere i bassi livelli di vita e contrastare gli elementi di debolezza di alcune Regioni, tenta di
fondare le opportunità di sviluppo sulle diversità locali, esaltandone gli aspetti peculiari.
L’innovazione consiste piuttosto nel tenere conto degli effetti provocati sul territorio dalle
trasformazioni conseguenti alle iniziative comunitarie di tipo economico e per questa ragione, il
documento si propone di armonizzare tre obiettivi ritenuti prioritari e consistenti nello sviluppo,
riequilibrio e salvaguardia dello spazio comunitario. Anche se, nella maggioranza dei casi, le
politiche europee non perseguono esplicitamente obiettivi di carattere territoriale2
, il voler riflettere
sulle ricadute di misure finanziarie in termini di modificazione delle strutture e dei potenziali
territoriali in campo economico e sociale significa infatti, prendere coscienza delle trasformazioni
9
che tali misure comportano sui modelli di paesaggio esistenti, sui sistemi insediativi, sulle reti
infrastrutturali e forse, persino sulle destinazioni d’uso del suolo. Sulla base di tali considerazioni lo
SSSE non è un documento giuridicamente vincolante bensì un quadro di riferimento ai fini di una
necessaria integrazione tra le varie politiche comunitarie. Dalla disamina della situazione emerge la
necessità di migliorare la rete infrastrutturale delle aree periferiche, nonostante la bassa redditività
degli investimenti rispetto al capitale impiegato, trovando soluzioni al problema dei modestissimi
collegamenti alle reti principali esistenti, soprattutto nelle aree meno popolate. Per avviare
l’integrazione tra reti principali e secondarie è emerso quanto sia importante incoraggiare lo
sviluppo di aree industriali, direzionali, turistiche ecc., relazionare zone di attività tra loro
complementari e avviare con celerità la realizzazione di nuove infrastrutture capaci di accrescere i
benefici potenziali (si pensi alle stazioni ferroviarie dell’alta velocità).
Problemi esistenti
Una delle maggiori difficoltà ravvisate nella realizzazione di interventi sulle reti infrastrutturali
consiste nel conferire capacità d’investimento alle aree più depresse per sviluppare la loro
competitività, migliorandone le infrastrutture di base e incrementandone lo sviluppo delle imprese,
la formazione professionale, le opportunità di occupazione ecc. E’ evidente che, accanto ai
tradizionali obiettivi riguardanti le aree di incentivazione, assumono un ruolo determinante le
tipologie territoriali e i vari sistemi di insediamenti umani da relazionare attraverso reti
infrastrutturali anch’esse considerate in un’ottica di sistema.
Dal punto di vista infrastrutturale e insediativo, l’Italia può essere divisa in due parti distinte:
− l’area centro settentrionale;
− il meridione.
La prima si caratterizza per un sistema stradale e insediativo ramificato in modo capillare, mentre il
meridione presenta un sistema a maglie larghe, realizzato nel periodo compreso tra gli anni sessanta
e settanta, che si è imposto, sconvolgendole, sulle deboli trame insediative ed infrastrutturali
esistenti. Certamente bisogna riconoscere che tali realizzazioni hanno consentito la connessione del
sud Italia con le Regioni centro settentrionali, ma non hanno prestato attenzione al necessario
potenziamento delle maglie stradali e ferroviarie minori che avrebbero fatto in modo di evitare gli
effetti di marginalizzazione nelle aree non toccate dalle grandi infrastrutture.
Nell’area centro settentrionale è stato, inoltre, avviato un processo di insediamento della produzione
al di fuori delle città, nelle aree di urbanizzazione diffusa, sviluppando un’economia fortemente
presente sui mercati internazionali. Il meridione, invece, è ancora avvolto nell’ambito dei propri
consumi urbani.
L’Italia presenta, pertanto, una situazione infrastrutturale dispersiva e contraddittoria, che non ha
dato risposte adeguate alle esigenze del Paese. Ad acuire tale situazione ha contribuito, all’inizio
degli anni novanta, una riduzione verticale di investimenti pubblici nel settore dei trasporti che,
oltre a lasciare senza risposte molte esigenze locali, ha portato all’aumento del gap tra l’Italia ed il
resto dell’Europa in termini di dotazioni ma anche di efficacia del sistema infrastrutturale.
Allo stato dei fatti, l’adeguamento di tale sistema si pone sotto due angolazioni: da un lato è
necessario dare risposta alle richieste locali di adeguamento agli standards europei delle reti
esistenti, dall’altro è altrettanto necessario realizzare la serie di interventi che consentiranno di
connettere la rete interna con quella europea, scongiurando i rischi di marginalizzazione che sta
correndo il Paese; al tempo stesso, è urgente perseguire politiche di sostenibilità ambientale che
riducano le emissioni di gas e limitino l’impatto sul territorio.
Se è quindi necessario disporre di progetti “obbligati” congeniali a logiche e priorità sovra-locali, è
altrettanto necessario assicurare compatibilità e interconnessione con le realtà locali. E’
indispensabile, quindi, che si superi il modello che ha caratterizzato la trasformazione del territorio
italiano negli ultimi decenni, modello che intreccia ambiguamente processi di mobilitazione
individualistica a un intervento diffuso e consistente dello Stato, e predisporre piani e programmi
10
che individuino le priorità di intervento, e permettano di allocare in modo efficace e sostenibile le
risorse disponibili.
Le prospettive in Italia ed in Calabria
Ad analizzare l’elenco dei progetti prioritari solo tre riguardano l’Italia e sono considerati maturi
per essere avviati grazie alla semicopertura finanziaria. Essi sono la linea TAV Torino Lione, con il
prolungamento fino a Milano-Venezia-Trieste, il potenziamento dell’asse ferroviario Verona-
Brennero, con il prolungamento verso Milano-Roma-Napoli e il potenziamento dell’aeroporto
intercontinentale di Malpensa.
Certamente i primi due progetti hanno un indiscusso valore strategico ai fini della connessione
dell’Italia all’Europa centro-settentrionale. Con la realizzazione dei trafori italo-francese e del
Brennero si migliorerebbero gli scambi con la Francia, la Germania e il Benelux coinvolgendo,
conseguentemente, tutto l’arco mediterraneo e collocando in posizione strategica l’asse padano, con
una forte valorizzazione sia dei sistemi territoriali sud-occidentali che delle Regioni ad est della
catena alpina.
Oltre a queste iniziative di carattere nazionale esiste, nella realtà calabrese, l’Intesa istituzionale di
programma tra il Governo della Repubblica e la Regione Calabria che attiene all’accordo di
programma quadro per il sistema delle infrastrutture di trasporto. Il sistema infrastrutturale di
trasporto della Calabria non può essere assimilato al concetto promosso dalla cultura trasportistica
corrente, cioè quello di rete, poiché esso non risponde a criteri di programmazione/progettazione
normalmente adottati, quali l’analisi multimodale domanda/offerta, costi/benefici. In effetti,
l’assetto territoriale della Calabria non consente uno sviluppo lineare delle infrastrutture stradali, e
quello che due secoli fa veniva considerato un sistema di trasporto efficiente e all’avanguardia,
proporzionato alle allora attuali modalità di trasporto, oggi risulta assolutamente carente. La
Calabria, quindi, non è deficitaria in senso stretto di infrastrutture di trasporto, dato che l’indice di
infrastrutturazione relativo alla Regione peninsulare è superiore a quello dei maggiori Paesi
dell’Unione Europea. Esistono quindi delle criticità del sistema rappresentati da uno scenario non
rispondente a quello che oggi è il concetto ottimale di rete. Sull’intero territorio regionale gravano
pesanti carenze dal punto di vista logistico: le strade, per fare un esempio, presentano attualmente
sezioni viarie ridotte, unica corsia per senso di marcia, tracciati non adeguati alle reali esigenze; la
viabilità costiera, citando un altro esempio, attraversa molti abitati causando notevoli disagi,
soprattutto nel periodo estivo, mentre, ancora, i collegamenti zone montuose/marine sono
sottodimensionati, con evidenti carenze anche dal punto di vista manutentivo. Al fine di soddisfare
la domanda di gran parte del territorio è necessario modificare l’offerta mediante l’adeguamento ai
nuovi standard di gran parte del sistema viario esistente, ovvero con la costruzione di nuove
trasversali con caratteristiche di strade di grande comunicazione. Un forte impulso in tal senso è
dato dalla posizione assunta dal governo nazionale che, con delibera CIPE n.121/2001, ha
individuato - in tutte le Regioni - le infrastrutture strategiche. In Calabria ricadono l’autostrada del
sole, A3 e la strada statale 106, rispettivamente corridoi tirrenico e ionico. Con il potenziamento di
tali arterie, e soprattutto con il completamento delle trasversali, si potrà consentire la chiusura delle
maglie della rete.
In una logica di sistema, affinché le infrastrutture di trasporto siano funzionali, è necessario un
nuovo approccio nella programmazione. E’ necessario, in particolare, sovvertire la politica del non
intervento o della mera conservazione dello stato di fatto. Le cosiddette “opzioni zero” o la logica
puntuale sinora adottate non sono nocive solo per le singole porzioni di territorio, ma per tutta la
Regione. In una politica di sviluppo del territorio, la potenzialità turistica della Calabria,
rappresentata dalle sue particolari caratteristiche quali la vicinanza di marine e montagne e la
presenza di paesaggi assolutamente inviolati, dovrà essere un elemento determinante nella
programmazione dell’intera rete di trasporto. Per questo motivo, all’analisi costi benefici, necessaria
per valutare la fattibilità dei singoli interventi, è opportuno affiancare la metodologia Trasporto-
Ambiente-Turismo (T.A.T.), sviluppata secondo le fasi successive di raccolta e controllo dati,
11
nonché di elaborazione degli stessi con conseguente valutazione dei risultati. Questo tipo di analisi
ha l’obiettivo di valutare gli effetti esterni legati alla realizzazione di infrastrutture di trasporto, in
particolare in ambiente turistico. E’ ormai noto che nei progetti trasportistici, oltre alla V.I.A
(Valutazione d’Impatto Ambientale) si deve considerare il V.A.T. (Valore Aggiunto Turistico), la
cui variazione rappresenta un indicatore dell’impatto subito dal comparto turistico a seguito della
realizzazione o meno di infrastrutture.
AA.VV.,Comitato per lo sviluppo del territorio, Schéme de Dévoleppement de l’Espace Communitarie, Noordwijk,
1997.
Regione Calabria, Intesa generale quadro, Roma, 2002.
M. Romanazzi, Nuovo piano nazionale per lo sviluppo sostenibile Settore trasporti, Ministero dell’ambiente - Enea,
Roma, 2000.
∗
Dottore di ricerca in Pianificazione Territoriale - Professore a contratto del Dipartimento S.A.T. (Scienze ambientali e
territoriali) - Università degli Studi Mediterranea di Reggio Calabria
1
Schema di sviluppo sostenibile dello spazio europeo (Comitato per lo sviluppo del territorio)
2
Tale finalità è coerente con le direttive del trattato sull’U.E. del 7 febbraio 1992
12
Reti specializzate e logistica nella dimensione metropolitana
Maria Cristina Angeleri∗
I presupposti di indagine conoscitiva per l’impostazione del problema scientifico affrontato in
questa ricerca, si basano sul più esteso ed attuale concetto di rete di cui oggi disponiamo nella
nostra disciplina. La rete non è più come prima basata sulle forze di orientamento, ovvero sulle
economie di scala che determinati fattori produttivi generano o sui soli costi di trasporto, bensì i
singoli nodi che costituiscono il modello reticolare maturano in se stessi “la vocazione” che poi
determina il ruolo territoriale e, dunque, disegna, specializza e amplia il reticolo cui appartiene. La
fase storica che viviamo si può dire che abbia innescato un meccanismo di relazioni, o meglio, di
circuiti di relazioni, i quali fondano il proprio funzionamento su molteplici livelli di tipo non
gerarchico (orizzontale) ad alta competizione e specializzazione delle grandi aree urbane tra i
diversi individui (imprese) che cooperano all’interno delle maglie reticolari, oramai per molti
aspetti totalmente indipendenti dal territorio nel quale si inseriscono e con il quale, di fatto,
comunque interagiscono. È l’universo delle imprese a stimolare in qualche modo la capacità di
risposta territoriale, a seguito di una valutazione del sito in rapporto alla tipologia di attività che si
intende insediare, sia in termini di convenienze localizzative offerte sia a livello di potenziale
sinergia e come complementarità tra esse e con altri livelli di reti. Il passaggio dal concetto di reti di
città alle reti di luoghi, cui si è arrivati in una prima fase della ricerca, ha messo in evidenza come le
maglie costituite dai nodi visibili, quali le città o le micro-città all’interno delle grandi aree urbane,
intese quali aree fisiche e funzionali, stanno perdendo significato, nel quadro della conoscenza-
valutazione del modello organizzativo funzionale-relazionale del territorio, rispetto a reti di luoghi
specializzati che obbediscono a nuovi sistemi di convenienze localizzative.
Si tratta di una maglia di reticoli immateriali, sempre più indipendenti da qualsiasi tipo di rapporto
gerarchico (verticale), ove lo spazio intercities è già urbanizzato perché non sussiste più, in specie
per alcuni settori di attività, una forte convenienza di crescita in contiguità o continuità spaziale con
la città, per le stesse motivazioni per cui esiste una struttura reticolare. Da una lettura del sistema
insediativo funzionale-relazionale su un territorio essenzialmente costituito da reti, dove appare
ormai sfumato il tipico rapporto duale tra città e campagna, l’efficienza - in termini di dotazione e
organizzazione - del trasporto delle merci e delle persone risulterà fondamentale per la misurazione
del grado di dinamicità. Si tratta di reimpostare, caso per caso, ogni modello attraverso gli strumenti
di conoscenza e valutazione, tentando un approccio il più possibile globale, in coerenza con gli
obiettivi generali di un qualunque sistema funzionale:
− efficienza delle relazioni rispetto alle polarità esterne;
− specializzazione delle reti di comunicazione;
− creazione di sinergie ed integrazioni tra le diverse offerte di trasporto (intermodalità, nodi di
scambio, ecc.);
− accessibilità e mobilità quali elementi chiave nella riqualificazione dei sistemi insediativi.
13
I presupposti di partenza e il
percorso teorico (organigramma
ricerca)
F
A
S
E
di
I
M
P
O
S
T
A
Z
I
O
N
E
Q
U
E
S
T
I
O
N
I
s u l t e rr i t o ri o
dalla retedimovimentazione- distribuzione
flussodelle merci
allacatena- logistica (approvvigionamento- produzione- distribuzione)
flussodeimateriali
dallaconcezione dilogistica
a livelloindustriale
internal supply chain
la pianificazione
generale di settoreil confronto
internazionale
external supply chain
evoluzionerecente
allaterziarizzazione della logistica
〈 Progettazionedellaretelogistica integrata incoerenza con ladomandaespr essadal territorio e
con gliobiettiviurbani eterritoriali
〈 Riorganizzazionedeltrasporto distributivo:- plurimodalità /nuove tecnologie di trasporto
- movimentazioniveloci (specialities) / movimentazionilente (commodities)
- puntidi consolidamento/deconsolidamento
〈 Integrazione/messa inrete conil mercatoglobale (modelli pan-europei)
(luoghispecializzatidellafiliera logistica e mercatilocali)
imprese rifornimentosistemiurbani
〈 Investimentipubblici eprivati perla realizzazione deinodidellalogistica
〈 Liberalizzazionedellereti edeiservizi
il casodell'areametropolitanaromana
i mercatilocali
nelmercatoglobale
frammentazionedellacatena
modellidirete nodidellarete
....dallereti gerarchizzatedi città
areti indipendentidi luoghispecializzati...
14
Criticità tra il modello espresso dalla domanda e l'offerta programmatica
L'area metropolitana romana si presenta, per struttura e dimensioni, come caso di studio esemplare
per questa ricerca.
Il quadro della domanda di mobilità merci nel territorio romano è composta dai seguenti elementi:
− la domanda espressa dai flussi di traffico sui canali infrastrutturali, analizzata nell'area
provinciale, presenta forti squilibri sia modali che territoriali: estrema concentrazione nell'area
centrale urbana di Roma; preponderanza dei flussi legati ai settori più tradizionali (costruzioni,
editoria e consumi della popolazione), scarsa competitività della modalità ferroviaria, in
particolare per il mercato della produzione, che utilizza quasi esclusivamente trasporto su
gomma;
− la domanda, endogena ed esogena, espressa dagli operatori presenti sul territorio, in termini
d'infrastrutture e attrezzature configura modelli organizzativi che, in modo spontaneo, tendono
ad integrarsi. In particolare quella endogena è riferita, da un lato, alle PMI operanti nel settore
logistico, concentrate ed organizzate in luoghi specializzati e, dall'altro, alle piccole aziende
private che si insediano in modo spontaneo e diffuso nel mercato romano per sfuggire alla forte
competizione nel campo dei servizi logistici. Quella esogena è, invece, riferita ai grandi
operatori, a scala interregionale e nazionale, che tendono sostanzialmente al decentramento
nella localizzazione di grandi aree attrezzate per lo smistamento/distribuzione dei prodotti per la
Capitale, in cui vengono inseriti alcuni segmenti della catena. Esigenza primaria di queste
cittadelle, quindi, è quella di connettersi a uno o due centri intermodali, per ottimizzare
l'accessibilità al mercato globale e minimizzare i costi legati alla movimentazione sulle lunghe
tratte, sfruttando la modalità del ferro.
Il quadro dell'offerta dei programmi/progetti consiste in:
− a livello regionale-provinciale viene proposto un complesso modello di reti monomodali
integrate e grandi attrezzature gerarchicamente dimensionate e interconnesse. Tale modello si
configura come atto di programmazione pluriennale dove gli obiettivi generali recepiscono in
pieno i mutati sistemi di convenienze economiche e di mercato del settore trasporto-logistica,
ma hanno scarsa aderenza con i caratteri specifici del sistema produttivo-distributivo e con la
reale domanda di mobilità merci dell'ambito romano;
− alla scala metropolitana-comunale i piani di recente formazione (NPrg di Roma, PUT, PUM)
affrontano la complessa questione della mobilità, trascurando quasi totalmente gli aspetti relativi
alla movimentazione pesante. Uno dei temi più cogenti a Roma è, invece, proprio quello
relativo alla continua commistione di trasporto merci e passeggeri che viaggiano sullo stesso
reticolo. Gli schemi programmatici messi a punto, mirano a garantire, dal punto di vista
dell'organizzazione funzionale, la connessione di alcuni distretti produttivi o di servizi di scala
metropolitana, alla rete di livello primario, senza tener conto delle esigenze strutturali insite nel
concetto stesso di rete di relazione produttiva-distributiva: specializzazione dei reticoli
differenziati per filiere di attività e di servizi; localizzazione/pianificazione dei luoghi attrezzati
nodali.
Il sistema produttivo - distributivo romano, quale componente del sistema insediativo funzionale-
relazionale, pur presentando modelli localizzativi e forme di organizzazione che stanno lentamente
trasformandosi secondo le nuove logiche del mercato della logistica, conserva ancora caratteri
strutturali di tipo tradizionale. Si auto-organizza, secondo diverse filiere, rispetto alle tipologie dei
prodotti e alla relativa quantità. Le organizzazioni logistiche variano, quindi, sulla base dei
livelli/tipologie del trasporto e il numero dei depositi intermedi che le varie merci comportano.
Questo elevato grado di complessità della rete è caratterizzato da un alto numero di spostamenti
intermedi dovuti, oltre che alle esigenze della filiera, anche alla mancata razionalizzazione degli
interventi sulla rete e sui nodi dello scambio.
15
L’indagine condotta sulla domanda di mobilità merci nel territorio romano, ha evidenziato una
questione di fondo per la pianificazione delle reti del trasporto. La movimentazione delle merci
indotta dal rifornimento dell'intero sistema urbano e quella generata dal sistema produttivo hanno
logiche e modelli differenziati, modulati sulle specifiche esigenze dei propri cicli. Nella logica di
ottimizzazione della catena logistica odierna determinate convenienze tendono a far convergere per
alcuni aspetti operativi e distributivi, le due filiere. Luoghi della produzione e mercati locali (utenti
finali) convivono nel sistema territoriale, ma si inseriscono sempre più nella stessa filiera cosiddetta
logistica. Di fatto, essa mette insieme, in alcuni dei suoi segmenti, i processi tipici che regolano i
due cicli di movimentazione: JIT (just in time) della produzione e QRS (quick response) mercato
del consumo/vendita al dettaglio.
A livello di gestione del territorio le ripercussioni non sono solo quelle che coinvolgono il sistema
infrastrutturale e la gestione del trasporto. Essi restano componenti essenziali ma di un processo più
ampio di ristrutturazione/riorganizzazione delle attrezzature che raccolgono, selezionano, smistano i
prodotti destinati alla vendita. La razionalizzazione di questa catena costituisce, quindi, l'obiettivo
finale raggiungibile attraverso la minimizzazione delle sovrapposizioni delle attività svolte dagli
intermediari. Se prima l'ottimizzazione della catena logistica, per rispondere alla competitività tra
aziende, si basava sull'efficienza interna, oggi occorrerà fare leva tra diversi sistemi logistici.
Integrare la internal supply chain comporta il controllo della struttura dell'impresa, viceversa
integrare più filiere logistiche coinvolge progressivamente una struttura più vasta, e soprattutto
meno dominabile, di livello nazionale e sovranazionale.
Le questioni messe in luce esprimono, quindi, una doppia logica distributiva (mercati locali da
rifornire e distretti della produzione che forniscono il mercato globale) e un doppio livello di
intervento (locale e globale) dove le filiere logistiche si sovrappongono in modo non gerarchico.
In sintesi la catena logistica romana si configura sostanzialmente secondo due reti:
16
produttore
prodotto
impianto di montaggio
globale locale
Movimentazione lenta
Distretto produttivo
Movimentazione veloce
Catena logistica primaria
Catena logistica secondaria
prodotto finito
Rete primaria
possima ai centri di
produzione
Rete secondaria
prossima ai centri
di distribuzione
− Luoghi di produzione (distretti industriali)
− Luoghi di concentrazione delle attività logistiche prossimi
alla produzione, con attività di magazzinaggio, stoccaggio,
picking, consolidamento e deconsolidamento della merce
− Connessione dei luoghi di produzione e dei centri di logistica
industriale con la rete internazionale per operazioni di
esportazione di componenti sul mercato globale
− Connessione con la rete internazionale per operazioni di
importazione di componenti dal mercato mondiale e
confezionamento in impianti di servizio alla produzione e
alla distribuzione
− Movimentazione lenta delle merci (“commodities”) nello
scambio tra fabbriche e centri di servizi logistici con prodotti
smembrati.
− Connessione con la rete metropolitana per lo spostamento in
centri di rottura di carico intermedi tra produzione/prima
composizione e la distribuzione locale
Piccoli centri di rottura di carico e di raccolta per la distribuzione
locale
Connessione con la rete urbana e locale per la consegna veloce
Movimentazione veloce (“specialities”) all’interno del tessuto
urbano per il raggiungimento dei mercati
17
Criteri per una risposta in termini di attrezzature
Gli aspetti emersi dallo studio del caso di Roma pongono in luce alcune questioni ancora aperte:
− il trasporto delle merci non può essere affrontato solo in termini di efficienza della catena
logistica produttiva-distributiva e quindi delegato alla capacità di autorganizzazione dei sistemi
di imprese;
− il processo di terziarizzazione della logistica sta spontaneamente integrando il mercato della
produzione con quello legato ai consumi del sistema urbano-metropolitano;
− la programmazione di settore, che mira sostanzialmente all'efficienza della rete logistica per
l'integrazione nel mercato globale (cooperazione/competizione), va accompagnata da una
pianificazione urbanistica che risponda, in termini territoriali, alla domanda specifica dei singoli
ambiti urbani, sia dal punto di vista produttivo che dei servizi ai consumatori.
La risposta può, quindi, essere legata all’organizzazione/specializzazione dei canali distributivi e
all’organizzazione/pianificazione dei luoghi delle attrezzature per l'intera rete produttiva-
distributiva.
Il criterio, secondo il quale perseguire tale risposta, emerso dal percorso teorico e confermato nel
caso di studio, è quello che orienta ad una semplificazione e de-gerchizzazione dei modelli teorici
proposti e ad una maggiore coerenza con la struttura urbana funzionale di riferimento.
Come nel caso di Roma, rispetto al quadro strutturale e alla relativa domanda di trasporto e di
attrezzature si individuano due tipologie che rispondono ai sistemi di convenienze sia dei distretti
della produzione che dei luoghi di concentrazione di attività legate alla grande distribuzione:
− livello territoriale. Centri intermodali che mettano in moto una riorganizzazione del sistema del
trasporto mirato allo snellimento del traffico su gomma, all'ottimizzazione dei costi, al rilancio
del trasporto merci su ferro, ad un minor impatto ambientale che minimizzi i costi sociali.
− livello locale. Piatteforme logistiche di livello metropolitano, dove una pluralità di imprese
potranno fornire a terzi o autoprodurre servizi destinati allo scambio merci, allo stoccaggio, allo
smistamento, imballaggio e consolidamento dei carichi che saranno i punti di
consolidamento/deconsolidamento delle merci. Tali attrezzature dovranno però essere
pianificate caso per caso (investimenti privati) e non codificate attraverso parametri generali
validi per ogni distretto. Questi ambiti rappresentano gli anelli essenziali della catena logistica
primaria ed è questa tipologia che richiede uno sforzo progettuale, oltre che programmatico, per
mettere a punto i criteri tipologici, la specializzazione, la localizzazione e le eventuali
connessioni con le reti di trasporto. Potranno configurarsi come piattaforme di complemento dei
distretti tipicamente e tradizionalmente produttivi o specializzarsi nel rifornimento alla
popolazione dei settori urbani. Ad esempio alcune stazioni dell’anello ferroviario romano, poste
in luoghi strategici e centrali, potrebbero configurarsi come luoghi di rottura di carico minori
per più ristretti mercati urbani.
∗
Professore ad incarico di Analisi della Città e del Territorio Università degli Studi di Roma “La Sapienza” – Facoltà di
Architettura A.
18
Sistema Civitavecchia
Alessio De Sio*
Ideare, progettare, realizzare, attuare. Sono questi, a mio avviso, i must a cui deve richiamarsi un
buon amministratore nel momento in cui viene chiamato dai cittadini a ricoprire importanti
incarichi nella pubblica amministrazione.
Sono sicuramente questi gli imput alla base della mia azione amministrativa da quando sono stato
eletto Sindaco di Civitavecchia, nel maggio 2001.
Una città, Civitavecchia, che per 50 anni non è mai riuscita a svilupparsi del tutto e ad esprimere le
straordinarie potenzialità di cui è dotata.
La posizione geografica, al centro dell’Italia e del Mediterraneo, fa di Civitavecchia la porta ideale
per costruire una grande piattaforma logistica che veda nel triangolo mare, ferro e gomma, l’hub
con maggiori potenzialità di sviluppo nei prossimi 10 anni.
E’ chiaro che occorre avere un quadro strategico d’insieme per riuscire ad avviare e poi a
concretizzare, quello che è indubbiamente un grande cambiamento della città, non solo
infrastrutturale ma direi, anzi, culturale.
Ed ecco che, allora, abbiamo costruito in questi due anni una visione d’insieme che vede
Civitavecchia sinergizzarsi con il suo porto, estendersi verso nord con la creazione dell’Interporto (i
cui lavori sono iniziati proprio qualche settimana fa) fino a lambire la nuova grande zona industriale
che stiamo progettando attraverso la redazione della variante al Piano regolatore. In tutto questo è
nato “Sistema Civitavecchia” , una visione d’insieme del futuro della città che, proprio in queste
settimane ha visto nascere la proposta per la costituzione della Zona Franca, il cui iter è stato
avviato di concerto con l’Autorità Portuale e la Regione Lazio.
Dal punto di vista infrastrutturale sono ormai nella fase di cantierizzazione una serie di opere che
andranno a realizzare una rete di collegamenti interni ed esterni alla città. Primo tra tutti la
copertura della cosiddetta trincea ferroviaria, ovvero la copertura dei binari FS che dividono in due
la città. Tra 22 mesi, dunque, un nuovo anello stradale cingerà la città da sud a nord collegando la
parte centrale, dove ha sede il Comune, fino all’imbocco nord del porto. E, in un futuro ormai
vicinissimo, la Provincia di Roma costruirà, insieme alla Società Autostrade e allo stesso Comune
di Civitavecchia, una grande bretella di collegamento tra l’autostrada A12 e l’ambito portuale.
Un’opera da circa 25.000.000 di euro la cui progettazione definitiva è in via di definizione.
Mare, terra e gomma costituiscono anche i tre biglietti da visita che la città presenta nei confronti
del bacino meditteraneo, Spagna, Francia e Nord Africa in particolar modo. In questo contesto
vanno inquadrate la partecipazione di Civitavecchia alle manifestazioni “Towns and Town
planners” di Barcellona, al Salone della Pubblica Amministrazione di Rimini, al Forum P.A. di
Roma e al Congresso INU di Milano e il recente gemellaggio con Rades in Tunisia, città portuale a
pochi chilometri dalla capitale Tunisi, in forte espansione infrastrutturale ed economica.
Tanti progetti, tante opere avviate ma, come dicevo in apertura, soprattutto un quadro strategico e
prospettico di ciò che vogliamo realizzare nei prossimi anni.
Una città che cambia e che si indirizza anche sull’aspetto turistico cercando di valorizzare, anche in
questo caso, la posizione geografica e il suo clima mite. In quest’ottica l’Amministrazione che ho
l’onore di guidare, ha affidato all’architetto Massimiliano Fuksas la progettazione della nuova
Marina di Civitavecchia, la grande area sul mare dove l’anno scorso è sorta una spiaggia artificiale
e che, una volta realizzato lo splendido progetto di uno dei maggiori architetti del mondo, diventerà
il centro naturale di aggregazione e di ricezione cittadina e turistica. La Marina andrà poi a
collegarsi con il totale restyling del porto storico, in merito a cui è stato bandito un concorso di idee
a cui hanno partecipato grandi architetti e che è stato vinto dalla Rogedil di cui, tra gli altri, fanno
parte Rocchi e Portoghesi, e che prevede la valorizzazione dell’area monumentale portuale con il
restauro dell’Arsenale del Bernini, un nuovo look per il Forte Michelangelo e la nascita di un
grande acquario e di un importante albergo.
19
Tanta carne al fuoco che ha una caratteristica rispetto ai tanti progetti che tutte le Amministrazioni e
gli Enti locali predispongono: quella di avere ottenuto tutti i finanziamenti necessari grazie
all’utilizzo intelligente del project-financing e soprattutto grazie alla straordinaria sinergia
istituzionale con la Provincia di Roma, la Regione Lazio e il Governo Italiano.
Lo scorso mese di agosto, infatti, ho firmato, insieme al Sottosegretario Letta, al Ministro Lunardi,
agli Amministratori delegati di FS Cimoli e di Autostrade SpA Gamberale, oltre che a Storace e a
Moffa, un Protocollo d’intesa per l’ampliamento del Porto di Civitavecchia e dei suoi sistemi di rete
e di logistica che ha destinato a Civitavecchia finanziamenti per oltre 200 milioni di euro. Uno
sforzo imponente, soprattutto da parte di Governo e Regione, dovuto al fatto che ormai
Civitavecchia è stata individuata come futuro polo di sviluppo, non solo dell’Alto Lazio, ma di tutto
il centro Italia. Basti pensare al già citato Interporto che diventerà, nel giro di soli tre anni, la più
importante piattaforma logistica del Sud Italia, collocato com’è nell’area retroportuale, attraversato
dalle maggiori arterie stradali tra cui l’autostrada Civitavecchia-Livorno e la Superstrada per Orte, il
cui parere VIA è stato dato nel maggio scorso.
Queste sono le sfide che ci aspettano a partire dai prossimi mesi, questi gli obiettivi per realizzare
un grande cambiamento, questi i risultati che vogliamo raggiungere per far sì che Civitavecchia, la
mia città, non sia più vista come la porta per la Sardegna, ma come la Porta verso un nuovo
imponente sviluppo.
*
Sindaco del Comune di Civitavecchia (Roma)
20
Zero emission hospital: mobilità ospedaliera a zero emissioni
Matteo Foschi∗
Tradizionalmente gli ospedali sono costretti ad affrontare i problemi di accessibilità e parcheggio
causati dell’alto numero di persone che vi transitano ogni giorno.
E’ una situazione molto complessa per la varietà di utenze che vi agiscono all’interno (dipendenti,
visitatori, pazienti, fornitori esterni, trasporto pubblico, raccolta rifiuti, ecc.) di difficile controllo
per le diverse esigenze che presentano.
La mobilità relativa all’ospedale si può schematizzare in due categorie: da un parte la mobilità detta
“obbligatoria” (dipendenti, fornitori, servizi subappaltati, ecc.) e dall’altra la mobilità “occasionale”
(visitatori, visite mediche, ecc.).
Il preponderante mezzo di trasporto utilizzato, sia per la mobilità obbligatoria sia per quella
occasionale, è l’auto privata, che è considerata come il mezzo che offre un accesso più facile,
maggiormente flessibile e più veloce. Questa percezione positiva dell’uso dell’auto aumenta nei
casi in cui il parcheggio è gratis e illimitato. Riguardo alla mobilità obbligatoria, la misura
principale solitamente è l’imposizione di un limite all’uso dell’auto ai dipendenti, ma come si può
immaginare è un argomento molto delicato. Altre soluzioni possono essere comunque prese in
considerazione (car - pooling, incentivazioni all’utilizzo di tipologie di trasporto alternativo).
Nel caso della mobilità occasionale devono essere messe in atto misure alternative all’auto privata
(particolarmente il trasporto pubblico), promosse mediante un piano per limitare l’accesso
nell’ospedale delle auto inquinanti, per ridurne i disturbi arrecati, quali il rumore, il parcheggio
selvaggio e l’inquinamento atmosferico. La restrizione degli accessi dovrebbe essere supportata da
un servizio di trasporto pubblico alternativo, che provveda ai bisogni di coloro che non si servono
dell’automobile. Il servizio dovrà essere di alta qualità per adattarsi anche alle richieste di persone
con difficoltà fisiche.
La mobilità ospedaliera è perciò sia un problema di volumi di traffico (risolvibile con interventi di
mobility management) che di complessità di esigenze (numero utenze) risolvibile con misure per
una mobilità alternativa.
Obiettivo del progetto
La risoluzione del problema della mobilità all’interno di una grande azienda ospedaliera è
sicuramente uno dei nodi imprescindibili da affrontare per il miglioramento della qualità dei servizi
offerti in un’ottica di sviluppo eco-compatibile.
Macroscopio in collaborazione con Micro-Vett, azienda leader in Italia nella produzione di veicoli
elettrici, ha intrapreso un cammino per la creazione di un progetto teso a sviluppare una mobilità
ospedaliera a zero emissioni.
L’obiettivo del progetto è quindi la creazione graduale di un’area ad elevato rispetto ambientale
all’interno delle zone ospedaliere, attraverso l’introduzione di veicoli a basso impatto ambientale e
la razionalizzazione dei diversi bisogni di mobilità.
Visto il delicato equilibrio in cui si regge un’area ospedaliera, interessata giornalmente dalla forte
esigenza di mobilità da parte di dipendenti, visitatori, pazienti e fornitori, la razionalizzazione dei
vari bisogni di mobilità e l’introduzione di veicoli a basso impatto ambientale diventa una scelta
prioritaria per diminuire l’inquinamento acustico, abbattere l’immissione di sostanze nocive in
atmosfera e nello stesso tempo decongestionare l’area dall’assedio dei veicoli endotermici
inquinanti.
Metodologia
La metodologia utilizzata nell’analisi della mobilità ospedaliera è suddivisa nelle seguenti fasi:
− analisi dei flussi di traffico delle varie utenze all’interno della zona ospedaliera;
− analisi dei carichi chilometrici per ogni utenza;
− individuazione delle utenze maggiormente inquinanti (aria, rumore);
21
− valutazione dei diversi bisogni di mobilità;
− valutazione Costi/Benefici delle diverse opzioni.
Le utenze che operano all’interno di una grande azienda ospedaliera possono essere varie, come i
mezzi di trasporto utilizzati e la loro alimentazione, come si può notare nella tabella seguente.
UTENZE
Trasporto persone
Trasporto individuale
Trasporto merci
Servizi interni
azienda
ospedaliera
Servizi tecnici
Visitatori e Pazienti
Dipendenti
Fornitori esterni
Risposte
Le risposte che possiamo dare per risolvere i problemi evidenziati attraverso l’analisi effettuata, si
possono suddividere principalmente in due categorie:
− studio e applicazione di soluzioni di mobility management al fine di decongestionare il traffico
interno e diminuire gli impatti nell’area (PSCL, Transit Point, Car Pooling, ecc.).
− introduzione di veicoli elettrici a zero emissioni, per ridurre gli impatti ambientali.
Consideriamo un’azienda ospedaliera standard italiana: i numeri in gioco sono di solito molto alti.
Ipotizziamo un totale di circa 4000 dipendenti e una capacità ricettiva di 2000 posti letto.
Analisi flussi utenze
Servizi interni: i servizi interni si possono suddividere mediamente in quattro categorie principali:
− trasporto persone
− trasporto individuale
− trasporto merci
− servizi tecnici
Verranno affrontati i bisogni di mobilità di ogni categoria, ricercando le soluzioni ottimali per una
mobilità sostenibile, ricordando che i veicoli adibiti a tali servizi in una azienda ospedaliera come
quella da noi considerata sono circa 50, un numero importante soprattutto per il loro elevato carico
chilometrico.
Esempi di soluzioni
Si può pensare, nel momento del rinnovo del parco veicoli, di rivolgersi a mezzi a trazione elettrica;
la versatilità delle flotte elettriche a disposizione sul mercato è infatti tale da poter assolvere con
facilità ogni necessità che si può presentare all’interno dell’Azienda, sposandosi perfettamente con i
bisogni degli utenti interni all’ospedale.
Per il trasporto persone possono essere introdotti mezzi elettrici quali i micro-bus 6 posti e 4 posti.
_ Carico
Chilometrico
_ Numero veicoli
22
Per la mobilità individuale (del singolo) possono esservi varie soluzioni, dalla vettura a due posti
elettrica, guidabile senza patente, alla bicicletta o il motorino ecologico per i piccoli tragitti.
Per i servizi tecnici e per il trasporto merci possono essere utilizzati i modelli pick-up e furgone, a
zero emissioni.
In tal modo si eliminerebbero completamente le emissioni nell’area ospedaliera dovute a tale
utenza. Si potrà così, partendo dai dati chilometrici dei veicoli endotermici adibiti ai servizi interni,
esprimere il vantaggio ambientale, in termini di riduzione di emissioni inquinanti, che il
rinnovamento dei mezzi di proprietà ospedaliera verso mezzi ecologici porterà all’area ospedaliera.
Visitatori e pazienti: Per tali utenze vi sono di solito due possibilità di trasporto:
− auto privata
− bus interno
L’analisi dei flussi di traffico, dei carichi chilometrici e dei
bisogni di mobilità individuale potrà portare allo sviluppo di
varie soluzioni.
Nell’ azienda standard i veicoli attribuibili a tale utenza
mediamente si considerano nella quantità di 500 unità al
giorno.
Esempi di soluzioni
Introduzione di un autobus interno a trazione elettrica (soluzione auspicabile visto l’elevato carico
chilometrico).
Vietare il transito interno alle auto dei visitatori e dei pazienti e, parallelamente creare, un servizio
di noleggio di veicoli dalla bicicletta a mezzi a trazione elettrica
Dipendenti: Secondo vari studi, la percentuale di dipendenti nei servizi ospedalieri che si reca al
lavoro con la propria auto è mediamente il 60%.
Assumendo questo valore anche per la realtà della nostra azienda si ottiene un risultato importante:
nell’arco delle 24 ore transitano e sostano nell’area ospedaliera circa 2500 veicoli.
Tenendo conto dei particolari ritmi di lavoro (turni notturni) del personale che lavora in ambito
ospedaliero, si può ipotizzare che circa il 60% di tali veicoli, cioè 1600, sia presente costantemente
all’interno dell’area ospedaliera.
Per ridurre tale valore si può intervenire, dopo aver predisposto un piano spostamenti casa-lavoro
del personale dipendente, incentivando l’utilizzo di mezzi alternativi all’auto privata (trasporto
pubblico, sviluppo del car pooling, bus navette aziendali, incentivi all’uso di biciclette, ecc.)
mediante campagne di informazione e incentivi economici e non.
Fornitori esterni: sono i fornitori di servizi esternalizzati quali mensa, lavanderia, farmacia, ecc. ma
anche raccolta rifiuti, che effettuano le consegne all’interno dell’area ospedaliera attraverso propri
mezzi spesso a trazione endotermica.
_ Carico
Chilometrico
_ Numero veicoli
_ Carico
Chilometrico
__ Numero veicoli
23
Esempi di soluzioni
− incentivare l’utilizzo di mezzi a basso inquinamento attraverso politiche di Green Procurement;
− razionalizzare la logistica merci all’interno dell’area ospedaliera, mediante la creazione di
piattaforme intermodali (Transit Points).
Analisi globale della mobilità
Oltre al problema ambientale derivante dalle emissioni inquinanti dei veicoli endotermici, è
necessario considerare anche il problema di congestione dovuto al traffico all’interno dell’area,
risolvibile soltanto diminuendo il numero delle auto circolanti. La minima presenza di auto
all’interno dell’area è di circa 1600 auto, imputabili ai soli veicoli dei dipendenti che lavorano
durante la giornata.
Ponendo in tabella le considerazioni esposte nell’analisi effettuata, si può ottenere una valutazione
della situazione della mobilità nell’azienda ospedaliera. Per l’azienda ospedaliera standard la tabella
si riduce a un insieme di semplici indicatori qualitativi, ma nel caso di studio completo della realtà
aziendale gli indicatori verranno quantificati, per avere una base razionale su cui lavorare per
sviluppare i progetti risolutivi.
UTENZA
Carico
chilometrico
Numero
veicoli
SERVIZI INTERNI _ _
VISITATORI e PAZIENTI _ _
DIPENDENTI _ __
FORNITORI ESTERNI _ _
RACCOLTA RIFIUTI _ _
Dalle conclusioni ottenute si cercherà di sviluppare la soluzione più adatta per ogni utenza, partendo
dalle utenze maggiormente impattanti.
Linee progettuali percorribili
Ad una prima analisi è necessario, quindi, agire lungo quattro direttrici principali:
− rinnovare il parco veicoli di proprietà dell’azienda rivolgendosi a mezzi a basso impatto
ambientale, anche alla luce del continuo progresso tecnologico che permette ai nuovi mezzi
elettrici prestazioni ed autonomie tali da poter soddisfare ogni esigenza anche in ambito
cittadino;
− incentivare l’elettrificazione sia dei mezzi adibiti al trasporto pubblico interno sia di tutti i
veicoli adibiti alla raccolta in area ospedaliera;
_ Carico
Chilometrico
_ Numero veicoli
24
− richiedere ai fornitori ed ai gestori dei servizi appaltati esternamente (mensa, lavanderia, ecc..)
di effettuare i trasporti all’interno dell’area con veicoli ZEV, mediante iniziative di Green
Procurement;
− Istituire un transit point per il trasporto merci da porsi all’ingresso dell’ospedale o nelle
immediate vicinanze, da cui mezzi a basso impatto ambientale effettuano le consegne all’interno
dell’area ospedaliera, per razionalizzare e decongestionarne il traffico.
In seconda analisi, in un’ottica globale di mobilità sostenibile, bisogna affrontare la questione della
mobilità individuale (dipendenti e visitatori/pazienti) per diminuire il traffico veicolare all’interno
dell’area ospedaliera riconducibile a tali categorie, offrendo servizi alternativi all’auto di proprietà e
implementando il trasporto pubblico.
A tal fine si possono suggerire varie tipologie di intervento tra cui:
− istituzione di un servizio di un servizio di noleggio per i visitatori dalla bicicletta a mezzi
elettrici da affiancarsi a un più razionale e capillare servizio di trasporto pubblico;
− incentivi alla creazione di iniziative di car pooling aziendale;
− bus-navette aziendali ecologici da affiancarsi al servizio di trasporto pubblico esterno;
− iniziative di promozione dell’uso di mezzi alternativi (biciclette, motorini ecologici, ecc.),
mediante incentivi economici e non;
− in definitiva, implementare il piano degli spostamenti casa-lavoro.
Proseguendo questa strada si otterrà la creazione graduale di un’area ad elevato rispetto ambientale,
in linea con gli ideali di prevenzione e tutela della salute principi cardine di un’azienda ospedaliera
∗
Project Manager di MACROSCOPIO S.p.A. società di consulenza strategica per la sostenibilità
25
Parcheggio d’interscambio elettrico - fotovoltaico
Matteo Foschi∗
Nata da una collaborazione tra Macroscopio, MicroVett e ANIT Busi Group, la proposta consiste
nella realizzazione di un sistema integrato di mobilità eco-sostenibile che preveda la realizzazione
di un parcheggio d’interscambio (car sharing) per veicoli elettrici abbinato ad un sistema di ricarica
dei mezzi basato sulla tecnologia fotovoltaica.
La soluzione fotovoltaica è particolarmente adatta ad un’applicazione finalizzata alla ricarica di
veicoli elettrici all’interno di un parcheggio d’interscambio. Infatti l’utilizzo di un impianto
fotovoltaico “grid-connected” (connesso alla rete di distribuzione) permette di produrre energia
elettrica durante il giorno e cederla alla rete nel momento di utilizzo dei veicoli elettrici, offrendo il
vantaggio di essere costruito su misura, in funzione delle reali necessità dell’utente. Nei momenti di
indisponibilità della radiazione solare la rete di distribuzione provvede a fornire l’energia elettrica
necessaria alla ricarica dei veicoli elettrici, sfruttando la sovrapproduzione di energia delle ore
notturne.
L’impianto proposto può essere orientato verso due tipologie di utenza, una turistica e privata,
l’altra commerciale. La struttura del parcheggio d’interscambio con la copertura di pannelli
fotovoltaici sopra le pensiline di ricovero dei veicoli rimane fissa e ciò che cambia è la
composizione della flotta elettrica in funzione dell’utilizzatore finale del servizio.
Si sono individuate due tipologie di proposte, orientate verso le due diverse utenze:
− Car sharing rivolto ad una utenza turistica e privata;
− Car sharing rivolto alle attività commerciali.
Le composizioni delle flotte sono differenti per soddisfare i diversi bisogni di mobilità. Per
un’utenza turistica e privata si è privilegiato l’inserimento di vetture elettriche a due posti,
affidabili, semplici nell’uso e, nello stesso tempo, adatte al traffico urbano per rispondere alle
esigenze di mobilità dei singoli: turisti che vogliono visitare liberamente e comodamente la città,
professionisti e rappresentanti che entrano e si spostano nell’esercizio delle loro attività nel centro
della città, persone che si recano a fare acquisti. La flotta è inoltre composta da minibus a 4 e 6 posti
per soddisfare anche i bisogni della famiglia o di piccoli gruppi di persone.
Esempio base (9 veicoli)
Modello N° veicoli
Vetture a due posti 6
Porter Glass Van da 4 posti 2
Porter Micro-Bus a 6 posti 1
Per un’utenza commerciale (commercianti e artigiani nei centri storici) si sono privilegiati veicoli
che si possano prestare a molteplici utilizzi, dal trasporto di attrezzature al trasporto merci, senza
limitare nello stesso tempo la comodità delle persone eventualmente trasportate. La tipologia dei
veicoli perciò varia dal mezzo furgonato, esclusivamente adibito al trasporto merci, a mezzi misti
capaci di trasportare sia persone che merci, al minibus a 6 posti.
Esempio base (10 veicoli)
Modello N° veicoli
Porter Furgonato 1
Porter Glass Van da 4 posti 8
Porter Micro-Bus a 6 posti 1
La particolarità della proposta di ricarica dei veicoli attraverso l’utilizzo di pannelli fotovoltaici,
rende il progetto molto vantaggioso sia dal punto di vista ambientale (rivolgendosi a fonti
26
energetiche rinnovabili si riducono ulteriormente le emissioni inquinanti imputabili al momento di
produzione di energia per l’alimentazione dei veicoli), ma anche dal punto di vista economico
(minore spesa energetica per il mantenimento del parco mezzi: se si formulano progetti con durata
almeno decennale, contrariamente a quanto comunemente creduto, risultano progetti
economicamente equivalenti a quelli che prevedono veicoli endotermici, anche in assenza di
finanziamenti).
Qualora l’Amministrazione pubblica decidesse di valorizzare il vantaggio ambientale in ambito
cittadino con un finanziamento mirato al trasporto elettrico, si crea una internalizzazione del costo
ambientale e il costo della scelta elettrica diventa complessivamente conveniente rispetto
all’alternativa endotermica, con un risparmio che si avvicina al 40% in 10 anni.
∗
Project Manager di MACROSCOPIO S.p.A. società di consulenza strategica per la sostenibilità.
27
Strategie e strumenti per la mobilità urbana: il caso di Barcellona
Laura Latora∗
La mobilità urbana
La mobilità di persone, beni ed energia è oggi chiave del funzionamento del sistema urbano, un
fattore potenzialmente favorevole (per l’aumento delle relazioni, per la pianificazione di sistemi di
vita in altra maniera inconcepibili, per la “prossimità” al lavoro, alla scuola, ai servizi), ma a sua
volta molto condizionante, in quanto generatore di scomodità ed elemento che esige continui
investimenti di tempo, denaro e ricerche.
Lo sviluppo della mobilità urbana è legato a doppio filo a quello della città, a tal punto da
determinare un’inversione di rotta dalla “mobilità per la città” alla “città per la mobilità”, avvenuta
così rapidamente da non consentire un’adeguata pianificazione del sistema stesso.
Studiare quindi la struttura urbana sottintende l’analisi della mobilità che attraversa la città,
costituita non solo da un flusso ininterrotto di persone, ma anche da uno spostamento di materiali,
energia, informazioni, che contribuisce a creare un sistema di comunicazione urbano ed
extraurbano. Così l’efficienza dei canali infrastrutturali di ogni sistema urbano è determinante per
intrecciare reti di relazioni materiali e immateriali e per determinare la polarizzazione di attività
economiche e di servizi.
A sua volta, la domanda sempre più crescente di accessibilità e mobilità, che caratterizza e
condiziona qualunque realtà attuale, è in larga misura proporzionata alla complessità e alla
articolazione urbana. La forma di una città, infatti, influisce molto sulle richieste e sui modelli di
trasporto. Una struttura urbana compatta rende la città percorribile e fruibile a piedi o in bicicletta,
mentre una forma urbana dispersa incrementa la dipendenza dai veicoli privati.
La sostituzione del carattere di prossimità, tipico della città classica, con quello della “lunga
distanza”, percorribile solo in automobile, e l’applicazione smisurata dello strumento dello zoning -
che ha privato la città della sua varietà funzionale e sociale - hanno prodotto patologie urbane
difficili da controllare ed invertire.
L’espansione urbana e la sua conseguente dispersione continuano a svilupparsi anche in città
europee storicamente concentrate e centralizzate (Parigi, Madrid), come risultato dell’incremento
demografico e dell’aumento del prezzo del suolo. Più il modello residenziale disperso prende piede
nelle città attuali, più le infrastrutture per il trasporto diventano essenziali per la crescita economica
e per la qualità di vita.
Ma la dispersione urbana rende le operazioni e i costi per la creazione di nuove reti di trasporto
pubblico sempre più elevati, trasformando il veicolo urbano nel sistema più comodo e a volte unico,
per l’accessibilità e gli spostamenti. Così alla domanda di mobilità in aree urbane e tra distanze
sempre più smagliate si risponde ancora, purtroppo, con costose operazioni di costruzione e
manutenzione di strade, per fare i conti poi con le implicazioni nell’ambiente, nell’efficienza
economica, nella vivibilità di un luogo.
Già nel 1990, il famoso “Libro verde sull’ambiente urbano”, elaborato dalla CEE, metteva in
guardia da azioni di questo tipo. “La costruzione di nuove arterie stradali urbane, finalizzate a
decongestionare la circolazione, produce però l’effetto negativo di stimolare l’aumento del traffico
e, conseguentemente, di aumentare la contaminazione”, determinando l’esposizione di un numero
sempre più elevato di popolazione ad una quantità sempre maggiore di sostanze nocive, riducendo
la vivibilità dell’habitat urbano e, di contro, aumentandone la vulnerabilità.
L’errore in cui non si deve quindi cadere, come già sottolineava il Libro verde, è “rispondere a
momenti di crisi di breve raggio, senza compiere uno sforzo di pianificazione dalla visione più
ampia; (…) l’elemento peggiore delle attuali politiche settoriali risiede proprio nel fatto che spesso
le soluzioni di un determinato problema ne causano uno nuovo, con il risultato di una creazione a
catena di problemi”.
Le difficoltà connesse al traffico e i costi ambientali e sociali, da questo scaturiti, sono
innumerevoli; dalla congestione che affligge senza differenza le grandi e piccole città (risultato di
28
una rete viaria insufficiente, ma che certo non può essere affrontata sottraendo altro suolo alla città,
per una viabilità addizionale) al consumo di energia, alla contaminazione ambientale (l’alto uso di
petrolio, da cui in larga misura il trasporto dipende, produce un ingente sperpero economico,
soprattutto per i paesi che lo importano, e genera un inquinamento non solo a scala locale, ma anche
globale), alle disuguaglianze sociali (i ceti sociali più bassi, che non possono permettersi il lusso di
un’automobile, dovendo dipendere esclusivamente da un trasporto pubblico spesso inadeguato, si
ritrovano ancora più emarginati dalle opportunità di lavoro, di educazione, di accesso alle aree
commerciali e ricreative, concentrate nelle zone più ricche della città).
Strategie e strumenti chiave
Come fare, allora, per evitare di dover considerare il fenomeno della mobilità essenzialmente
negativo?
Gli alti costi economici, sociali ed ambientali impediscono la continua estensione delle reti viarie e
la città deve trovare nuove formule per far fronte alle necessità della mobilità.
Oggi i nuovi strumenti di cui si può usufruire per rispondere in maniera più sostenibile alle esigenze
di accessibilità e contenere le esasperate domande di mobilità urbana sono diversi, ma, in una
situazione tanto complessa quale quella attuale, un reale effetto si può ottenere solo dall’uso
congiunto ed incrociato di questi.
Un primo punto sul quale agire, considerando il forte potenziale che ne può scaturire è il rapporto
concatenato, che si è già sottolineato, tra forma urbana e domanda di mobilità.
La pianificazione può fare tanto per organizzare o ripristinare forme di città tali da diminuire la
dipendenza dall’automobile, con l’utilizzazione integrata del suolo ed un’opportuna strategia di
trasporto che possano facilitare l’accessibilità alle attività urbane, anche con mezzi alternativi al
veicolo privato.
Il modello misto di utilizzazione del suolo, per il quale la prossimità e l’alta densità rendono varia e
piacevole la vita, è un valido esempio di pianificazione urbana, utile per facilitare gli spostamenti a
piedi e in bicicletta e rendere più economica e controllabile la rete del trasporto pubblico.
Certo è anche vero che modificare la forma urbana ed applicare modelli predefiniti di schemi ideali
di città non è facile né corretto, e a volte sono proprio queste azioni a generare maggiore
congestione e contaminazione ambientale.
All’interno della problematica della mobilità urbana intervengono troppi fattori e, tra questi, le forze
del mercato e i risvolti economici hanno il loro considerevole peso.
In molti Paesi si è provato a far leva proprio sull’aspetto prettamente monetario per riequilibrare e
risolvere la problematica della mobilità urbana. Il tentativo di aggiungere alle spese degli
automobilisti un’imposta che fosse riflesso anche di elementi prima mai considerati, come gli effetti
negativi prodotti sulla salute, la congestione e il blocco sui tempi e sugli spazi della città e la
mancanza di sicurezza e incolumità dei cittadini, è stato visto come una possibile operazione per
ridurre l’uso dell’auto e i viaggi antieconomici, spronare al trasporto pubblico e diminuire il prezzo
dei biglietti.
Tutti questi strumenti certo non hanno motivo di esistere se non si è in grado di proporre una valida
alternativa, che ponga l’auto come una delle tante scelte possibili, ma non l’unica ed essenziale.
Molte volte le soluzioni non vanno cercate tanto lontano e, invece di inseguire idee complesse e
dispendiose per rivalutare l’importanza del trasporto pubblico, potrebbe risultare logico rendere più
rapidi ed efficienti i sistemi esistenti, che rispondono già alle esigenze dettate dalla struttura, dalla
densità e dalla ricchezza urbana.
Il servizio degli autobus, per esempio, è la formula più ovvia per qualunque città e riservargli la
priorità nel traffico, rendere i precorsi più brevi e comodi, abbassare il prezzo dei biglietti ed
impiegare combustibili alternativi incoraggerebbe tanti potenziali passeggeri e ne attirerebbe di
nuovi.
Lo stesso ragionamento si può applicare a qualunque sistema di trasporto alternativo alla
automobile, come la bicicletta, la metropolitana, il tram o il treno.
29
Il caso di Barcellona
La proposta del sistema di mobilità urbana adottata da Barcellona, città costretta tra le montagne e il
mare, con un’altissima densità e gravi problemi di traffico, può essere un buon esempio di modello
efficace, che incide positivamente sulla qualità dello sviluppo locale.
Questa città, in seguito ai cambiamenti in occasione dei Giochi olimpici, si è ritrovata a dover
affrontare in nuovi termini gli aspetti funzionali della mobilità.
Tutti gli interventi realizzati e quelli ancora in fase di progetto mantengono come filo conduttore
due elementi caratterizzanti: il disegno urbano e l’accessibilità, tra loro concatenati, che hanno
rivestito un ruolo vitale nella nella trasformazione della città.
Partendo da piccole operazioni di rimodellazione e infrastrutturazione dei contesti storici del Casc
Antic e di Gracia, si è passato poi ad interventi di maggior volume e innovazione che, sotto diverse
forme, hanno ricucito una strategia urbana generale di rilancio di Barcellona.
La ripianificazione globale della rete viaria di Barcellona e le politiche di mobilità urbana hanno
costituito l’intelaiatura per la definizione di nuove centralità, per la cooperazione tra settore
pubblico e privato, per la realizzazione di nuovi spazi pubblici, per la fruibilità dei progetti
architettonici distribuiti nel tessuto cittadino.
La strategia operata sulla mobilità si basa sull’azione fondamentale di concepire il sistema
infrastrutturale esistente e la progettazione della nuova offerta di mobilità come elementi
qualificanti e pienamente integrati nel tessuto urbano, oltre ad incentivare le misure di dissuasione
nell’uso dell’automobile. Il potenziamento del trasporto collettivo è stato posto al centro del sistema
di mobilità pianificata. Per presentarsi più competitivo nei confronti del mezzo privato, sono stati
attivati “bus express” ad alta velocità che collegano i quartieri non ancora sufficientemente serviti
dalla metropolitana; creata la connessione di bus e metropolitane in quasi tutti i punti della città,
facilitata da strutture di stazionamento; realizzata l’estensione della metropolitana alle aree
altamente densificate e il rinnovo dell’immagine di questa; infine, attraverso la creazione di Aree di
servizio periferiche, Park & Ride, si è agevolata l’integrazione del trasporto pubblico con quello
privato.
Anche gli spostamenti a piedi, come indispensabile completamento della politica del trasporto
pubblico, sono stati facilitati con la creazione di attraenti aree pedonali dotate di scale e tappeti
mobili nei punti critici della città. Un esempio calzante è la soluzione adottata al Montjuic, o quella
realizzata a Glories, per avvicinare il Parque Guell alla metropolitana.
Gli interventi nelle infrastrutture di trasporto sono serviti a migliorare le comunicazioni tra tutte le
aree, quelle nuove e quelle già esistenti, e a recuperare la stretta relazione della città con il mare.
Anche se ogni contesto urbano, per far fronte ai differenti problemi, richiederà una propria
combinazione di azioni e politiche di mobilità, il programma strategico di Barcellona può risultare
interessante conferma del risultato positivo di un complesso di azioni, coerenti con l’obiettivo di
accompagnare una città verso il pieno sviluppo qualitativo.
∗
Dottoranda in Pianificazione territoriale, Dipartimento Scienze ambientali e territoriali - Università degli Studi
“Mediterranea” di Reggio Calabria.
30
Ambiti territoriali omogenei e regioni metropolitane: caso di studio partenopeo
Salvatore Losco∗
Le riflessioni che si propongono strutturano la metodologia di una ricerca in itinere sulla
conurbazione pseudo-metropolitana di Napoli, nella convinzione che il riconoscimento e
l’interpretazione dell’area fonda il suo interesse sul raffronto e l’integrazione tra le invarianti che
definiscono le generalità del problema delle “aree metropolitane” e le variabili locali che
definiscono la specificità dei singoli casi.
Nell’urbanistica contemporanea si è diffuso un atteggiamento che, respingendo le certezze
generalizzanti basate su teorie costruite preventivamente e per altri luoghi, privilegia le esperienze
effettuate sul campo, quasi sempre intese come uniche, atipiche e irripetibili. Questa linea di studio
vuole sopperire alla mancanza di chiari riferimenti generali; essa si attesta su un livello che
preferisce l’intervento urbanistico come un’operazione che interessa una comunità limitata. Ciò
nonostante, si sente l’esigenza di individuare alcuni elementi di generalità utili alla creazione di un
ideale “albero di navigazione” che agisca da guida e che consenta, in modo incrementale,
l’arricchimento delle connessioni sia come conoscenza che come fruibilità: uno schema di facile
lettura e interpretazione, in grado di sostenere e aiutare un ragionamento senza alcun presupposto o
giudizio di valore.
Un’area metropolitana intesa come entità territoriale identificabile e caratterizzata presenta tre
dimensioni complementari:
− una dimensione geografica, consistente nell’estensione territoriale dipendente dal numero e
dall’entità dei Comuni compresi;
− una dimensione funzionale, dipendente dal grado di integrazione tra le parti, dall’efficienza delle
attività residenziali, produttive e di servizio, dal grado di connessione garantito dal sistema della
mobilità;
− una dimensione amministrativo-gestionale, dipendente dalle prime due, ma anche dalla
sperimentazione dei criteri di rinnovamento amministrativo e dall’efficacia dei nuovi contenuti
e delle nuove forme di Piano.
Per quanto riguarda le prime due dimensioni, nel caso partenopeo, dimensione geografica e
individuazione delle nodalità funzionali e socio-culturali sono strettamente correlate.
I problemi legati alla riconoscibilità dell’area metropolitana in relazione all’estensione e alla
funzionalità potrebbero trovare una risposta per la prima dimensione, mediante una delimitazione
che includa gli insediamenti fortemente relazionati da omogeneità, complementarietà, vocazioni e
tradizioni; per la seconda, legando la funzionalità alla distribuzione delle attività, alla loro
accessibilità, al loro grado di integrazione tra le parti del sistema, all’efficienza nell’erogazione dei
servizi.
La specificità del caso Napoli è rappresentata dal forte grado di concentrazione di Comuni popolosi
che circondano il capoluogo come una costellazione di insediamenti ancora caratterizzati da uno
scarso grado di centralità urbana.
Per la corretta individuazione dell’area metropolitana, accanto al controllo delle trasformazioni, ai
fini della sua riqualificazione e riorganizzazione tramite interventi legati alle problematiche
prevalenti e caratterizzanti, appunto, un’area-problema, la verifica di nuovi elementi di conoscenza
gioca un ruolo importante. Essa è essenziale alla definizione della fisionomia urbana
contemporanea nel fenomeno della metropolizzazione senza città, ovvero della rapida espansione di
agglomerati senza strutture, privi di modelli morfologico-insediativi, di attrezzature e di
infrastrutture.
Il processo di formazione della conurbazione napoletana suggerisce una lettura attraverso due stadi
evolutivi: la conurbazione storica e le conurbazioni di recente formazione.
Quella storica nasce sul finire del XVIII secolo, quando i centri abitati di Napoli, San Giovanni a
Teduccio, Portici, San Giorgio a Cremano, Resina e Torre del Greco si erano conurbati in maniera
lineare lungo la principale strada di collegamento costiera. Nei secoli successivi il lento ma costante
31
addensarsi di persone, di attività e di abitazioni sul territorio ha fatto sì che la conurbazione si
estendesse fino a comprendere tutti i territori comunali limitrofi a Napoli.
La conurbazione di recente formazione, invece, racchiude la maggior parte dei Comuni della
Provincia e la sua area di influenza comprende parte delle Province di Caserta, l’Aversano, la
Provincia di Salerno, l’Agro nocerino-sarnese. Essa si colloca su un territorio ristretto, la Provincia
meno estesa d’Italia. Questa realtà, all’interno della quale sono in atto evoluzioni, e trasformazioni
rapide e di grande portata, rende la questione territoriale della conurbazione di Napoli di particolare
complessità.
L’individuazione della perimetrazione di un’area metropolitana, con l’identificazione dei suoi
confini più appropriati, la scelta degli indicatori e dei parametri che meglio concorrono a
comprenderne le dinamiche, sono le questioni più dibattute. Si evidenziano, per punti, alcune
problematiche emergenti dell’area di studio:
− la popolazione dell’area napoletana cresce in maniera modesta;
− l’esigenza di fornire una casa alla popolazione è quantitativamente risolta in quanto esiste un
surplus di abitazioni;
− anche nell’area metropolitana di Napoli, che è la più densamente abitata dell'intero Paese, gli
indici di affollamento per stanza sono quasi ovunque al di sotto della soglia di un abitante per
stanza;
− la corsa all’industrializzazione ha subito un forte rallentamento, una prima fase del programma
di grandi interventi infrastrutturali sul territorio è stata completata mentre se ne sta avviando una
seconda i cui effetti territoriali non sono ancora facilmente valutabili;
− sono mutati i presupposti che hanno generato il processo di addizione continua verificatosi dal
dopoguerra fino agli anni ottanta. Dopo quarant’anni di sfruttamento del territorio, si dovrebbe
passare da una pianificazione urbanocentrica ad una pianificazione ambientalmente orientata.
Tra gli obiettivi prioritari della pianificazione in regioni metropolitane vanno annoverati:
− una più equilibrata distribuzione della popolazione;
− una ricerca di quei dispositivi economico-legislativi che consentano di redistribuire le abitazioni
esistenti tenendo conto delle classi meno abbienti;
− una tutela-valorizzazione e recupero del patrimonio urbanistico-edilizio degradato, sia in termini
di sicurezza statica, che di carenza di qualità delle infrastrutture e attrezzature;
− una maggiore attenzione all’ambiente naturale, semi-naturale o rurale, rivolta alla conservazione
e/o protezione nonché alla valorizzazione delle aree protette, nazionali e regionali;
− l’adeguamento di una rete infrastrutturale, in particolare ferroviaria, per soddisfare la maggiore
domanda di mobilità;
− la diffusione di una rete info-telematica capace di ridurre gli spostamenti “superflui” e
aumentare la mobilità “immateriale”.
Ai problemi della quantità si affiancano quelli della qualità che, nelle aree metropolitane, risultano
particolarmente complessi ed interconnessi.
Dalla lettura della realtà territoriale, nell’area napoletana sono presenti alcuni centri urbani di
notevole dimensione demografica (Aversa, Afragola, Frattamaggiore, Pomigliano d’Arco, Nola,
Sarno, Nocera Inferiore) i cui contorni urbani non sono quasi mai definiti, ma si confondono con
realtà di peso demografico minore, spesso attratte dal centro maggiore. È possibile verificare che,
laddove vi è presenza di un asse, o più assi, di collegamento tra il centro maggiore e quello minore
contiguo, questo ha dato luogo ad un fenomeno di urbanizzazione lineare più rapida, rispetto
all’estendersi dell'abitato nelle altre direzioni. In questo processo, la velocità di urbanizzazione del
centro minore è quasi sempre maggiore, con una tipologia insediativa a sviluppo lineare, quasi mai
pianificata, spesso priva di infrastrutture e attrezzature, carente di urbanizzazioni primarie e
secondarie.
Altro fenomeno tipico dell’area metropolitana è l’espansione di quei centri urbani il cui territorio è
contiguo alla città di Napoli. Essa è stata interessata da un processo di crescita urbana e
demografica che, in una fase iniziale, si è attestato lungo gli assi stradali di collegamento e che
32
progressivamente, ha interessato porzioni di territorio sempre più ampie, acquisendo una
configurazione insediativa a macchia d'olio, fino ad investire, in alcuni casi, interi territori
comunali. Queste aree, più di altre, risultano prive di uno sviluppo pianificato: in esse, la forza
centripeta esercitata dal centro egemone ha prodotto i danni più rilevanti sul tessuto urbano e
sociale.
Il risultato è stato quello di aver creato periferie urbane diffuse, caotiche e invivibili. Allontanandosi
da queste aree di prima fascia, a ridosso della conurbazione storica, l’assetto insediativo acquista un
minimo di struttura; di conseguenza, anche i margini centro-periferia risultano individuabili più
facilmente. Questa situazione si ritrova nei pressi di Pomigliano d’Arco, di Nola, di Sarno, nei
Comuni vesuviani orientali e in quelli della Penisola sorrentina. In questa parte del territorio non è
solo la distanza crescente dal capoluogo che fa avvertire meno la sua forza di attrazione, ma si
modifica anche la morfologia del territorio, la consistenza infrastrutturale, la fertilità dei territori
agricoli.
Tra le svariate definizioni presenti in letteratura sembra che tutte concordino nel riconoscere come
area metropolitana un territorio di vaste dimensioni, caratterizzato dalla presenza di uno (in questo
caso l’area metropolitana si definisce monocentrica) o più centri abitati di notevoli dimensioni (in
questo caso l'area metropolitana si definisce policentrica), insieme ad una serie di piccoli e medi
centri urbani in cui vive un numero cospicuo di persone, le densità abitative sono elevate. In tali
Comuni esiste un complesso ed articolato sistema infrastrutturale (autostrade, strade a scorrimento
veloce, strade statali e altre strade, ferrovie e linee metropolitane, vie d'acqua, reti telefoniche,
infotelematiche), un’elevata concentrazione di attività produttive, numerosi centri per la cultura, lo
sport e lo svago, vi sono numerosi centri di attività terziarie anche avanzate; è elevata la frequenza
degli scambi quotidiani di cultura, di beni, di cose, di persone e di informazioni.
Va precisato che l’orizzonte teorico per la selezione dei parametri e degli indicatori è la visione
sistemica dei fenomeni urbano-territoriali.
Il primo indicatore è quello della prossimità spaziale tra i centri urbani che nei casi in cui si
riscontra un continuum urbanizzato è da ritenere condizione necessaria e sufficiente per la
determinazione della conurbazione. Il secondo indicatore è quello della frequenza di rapporti
intercorrenti tra centri urbani non contigui. La compresenza di due o più degli elementi di seguito
elencati devono essere posti alla base dell’individuazione del “nucleo conturbato”:
− la presenza di uno o più collegamenti infrastrutturali di livello superiore (autostrade e relativi
svincoli, strade a scorrimento veloce, strade statali, linee ferroviarie e relative stazioni);
− la presenza delle attrezzature (per l’istruzione, per la giustizia, per la sanità, per lo sport, lo
svago ed il tempo libero, per la cultura) con un bacino d’utenza sovracomunale;
− la presenza di Aree di sviluppo industriale (ASI), Nuclei d’industrializzazione (NI) e attività
industriali di rilievo intercomunale;
− la presenza di centri commerciali o assi a forte densità di attività commerciali di interesse
intercomunale;
− centri di attività del terziario avanzato o quaternario di interesse intercomunale.
Una volta delimitato il nucleo conurbato, per estensione amministrativa e gestionale, è da
considerare l’intero territorio comunale: detta area risultante si denomina “area conturbata”.
In base agli indicatori e ai parametri, sinteticamente elencati in seguito, si possono mettere a fuoco
sette diverse aree conurbate, intorno a quella storica di Napoli, così distribuite: Costiera Napoli-
Caserta a nord-ovest, Aversana e Flegrea Napoli-nord a nord est; Casertana e Napoli a nord-est;
Vesuviana nord-Nolana a est; Vesuviana costiera a sud-est. Per ciascuna delle aree conurbate sono
stati individuati i seguenti indicatori e parametri significativi per l'interpretazione delle singole
realtà:
− Caratteri generali: si individuano i centri dell’area conurbata, indicando il nucleo conurbato
principale, il nucleo conurbato secondario e i centri satellite;
33
− Dinamica demografica: si analizzano i dati della popolazione residente relativi ad un
determinato periodo con le variazioni percentuali che registrate negli intervalli di tempo
considerati, nonché la superficie di ogni territorio comunale e la densità abitativa;
− Dinamica spaziale: si evidenziano alcuni elementi formativi, catalizzatori della configurazione
dell’area conurbata rispetto alla variabile tempo;
− Le infrastrutture per la mobilità: si rapporta in merito agli aspetti territoriali delle infrastrutture
per la mobilità: in esercizio, realizzate, in corso di realizzazione e in progetto;
− Le attività produttive primarie: si elaborano i dati sulle caratteristiche strutturali delle aziende
agricole;
− Le attività produttive secondarie: si quantificano le attività industriali e artigianali di
produzione;
− Le attività produttive terziarie: si rilevano quelle attività ritenute più direttamente incidenti sulle
trasformazioni territoriali, quali servizi alle famiglie e alle imprese, istruzione superiore, sanità,
giustizia, cultura, tempo libero, sport e svago;
− Il patrimonio edilizio: si rapporta il patrimonio abitativo esistente come abitazioni e stanze
occupate e non alle famiglie e alla popolazione residente analizzando l’indice di affollamento
reale; si segnalano, inoltre, parti del tessuto urbano di interesse urbanistico ed emergenze
monumentali;
− Caratteri essenziali dell’area conturbata: si evidenziano i caratteri essenziali della realtà
analizzata, al fine di raggiungere gli obiettivi prioritari che consistono nell’evidenziare le
caratteristiche, le potenzialità e i problemi più condizionanti l’area conturbata, nel sottolineare i
settori problematici emersi nell’analisi quale utile testimone alle proposte progettuali e nel
rendere confrontabili, seppur in modo schematico, realtà urbane articolate e complesse così da
evidenziarne omogeneità ed eterogeneità.
∗
Ph. D. Pianificazione Territoriale e Urbana, Facoltà di Ingegneria, Seconda Università di Napoli, Aversa (Ce)
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2003 XXIV congresso INU - Istituto Nazionale di Urbanistica

  • 1. M i l a n o T r i e n n a l e d i M i l a n o T e a t r o d e l l ’ A r t e v i a l e A l e m a g n a , 6 2 5 2 6 - 2 7 2 8 g i u g n o 2 0 0 3 c i t t à e r e g i o n i m e t r o p o l i t a n e i n E u r o p a c i t t à e r e g i o n i m e t r o p o l i t a n e i n E u r o p a Contributi preparatori a cura di Ornella Segnalini Marco Tamburini INUEdizioni
  • 2. XXIV Congresso INU Città e Regioni Metropolitane in Europa Milano, Teatro dell'Arte (Triennale di Milano) 26/27 giugno 2003 Contributi preparatori a cura di Ornella Segnalini, Marco Tamburini INU Edizioni Srl Iscriz. Tribunale di Roma n. 3563/95 Iscriz. Cciaa n. 814890/95 Sede: Piazza Farnese 44 - 00186 Roma Tel. +39 06/68195562
  • 3. 3 Città e regioni metropolitane in Europa Strategie, politiche e strumenti per il governo della complessità Call for paper per il XXIV Congresso INU* In continuità con il XXIII Congresso (Napoli, 2000), che ha proposto nuovi e diversi significati e contenuti degli strumenti urbanistici per il “progetto della città contemporanea”, il XXIV Congresso INU si interroga sui caratteri delle trasformazioni insediative emergenti nell’orizzonte europeo. A fronte di una storia comune, fondata su principi di emancipazione, competizione, libertà, ma anche solidarietà, la cultura delle città europee oggi si confronta infatti con nuovi usi dello spazio urbano e metropolitano e radicali modificazioni dei relativi impianti e assetti, con la segmentazione del lavoro, con le nuove tecnologie e con il ridursi di ruolo degli Stati nazionali come fornitori di beni pubblici e servizi sociali. In questo scenario ancora incerto, il Congresso dell’INU vuole ribadire l’esigenza di mettere in campo strategie e politiche a scala vasta - di fatto proiettate nella “dimensione” europea (e nel suo prossimo ampliamento) - tenendo conto anche della contrastata riforma del nostro Paese in chiave federalista. Per questo, attraverso il proprio Congresso l’INU intende lanciare un appello all’Unione Europea, perché riconosca nella sua nuova Costituzione il territorio e le città come propri valori comuni. Ma il Congresso vuole anche riaffermare - sviluppando alcuni temi del Convegno di Firenze (2001) - che il governo della complessità non può prescindere dalla costruzione condivisa di quadri di riferimento, che restituiscano coerenza alle pianificazioni e alle politiche “separate” (mobilità, riqualificazione urbana e ambientale, servizi, ecc.), sui quali fondare le intese tra le amministrazioni e gestire coerentemente nel tempo la sequenza delle iniziative sul territorio. Con questi obiettivi il XXIV Congresso dell’INU intende rivolgere una forte sollecitazione allo Stato, alle Regioni e agli Enti locali perché siano investite le risorse finanziarie necessarie a promuovere l’innovazione, incentivare a tutti i livelli istituzionali strategie e concrete politiche territoriali integrate, favorendo i processi di aggregazione e pianificazione concertata a scala vasta, al fine di restituire centralità di ruolo ed efficienza alle nostre città e regioni metropolitane. In preparazione del XXIV Congresso sono previste numerose iniziative nazionali e regionali, per le quali sono impegnate le Commissioni nazionali e gli INU regionali, ai quali è affidata la messa a punto di alcuni approfondimenti preliminari: sul tema dell'interesse pubblico nella pianificazione, sui rapporti tra poteri legislativi centrali e regionali, sulle forme di governo e le aggregazioni istituzionali più innovative ed efficaci per il governo del territorio. Mobilità, logistica e riconversione funzionale Città e “regioni” metropolitane si fanno partecipi di più ampie reti di relazioni, spesso caratterizzate da congestione dei flussi, dall’insufficienza delle piattaforme logistiche, dall’intersezione degli spostamenti di scala locale con i grandi flussi di persone e merci. Anche nei confronti internazionali, le città e gli insediamenti metropolitani italiani registrano gravi deficit infrastrutturali, che determinano innegabili ripercussioni sull’efficienza e la competitività delle imprese, sull’accessibilità ai servizi e sui tempi d’uso delle città, sulle stesse opportunità insediative. Queste carenze sottolineano la priorità di serie politiche di adeguamento infrastrutturale, ma non possono prescindere da una riflessione più generale sulla riconversione funzionale delle città e sul riassetto del territorio, in riferimento sia alla dimensione strutturale del piano, sia alle strategie urbane che mirano a connettere i vantaggi delle trasformazioni con il cofinanziamento delle infrastrutture, alla ricerca della necessaria integrazione tra le politiche della mobilità e la pianificazione a scala vasta. Alcuni temi di riflessione − politiche per la mobilità urbana che incidano positivamente sulla qualità dello sviluppo e sulla riconversione funzionale; esempi e problematiche;
  • 4. 4 − pianificazione, decisione, regolazione della mobilità e dei trasporti a scala nazionale e regionale; il ruolo dei governi locali; − tecniche dei trasporti, pianificazione e politiche di sviluppo nelle recenti esperienze nazionali; politiche di rete e gestione del trade off trasporti/comunicazioni; − attori locali (ed esogeni) nel settore dei trasporti e dei servizi; garanzie per la qualità del servizio e continuità nella gestione; − linee di assetto, “corridoi” infrastrutturali europei e sviluppo delle città e delle regioni metropolitane. Qualità dello sviluppo della città e del territorio Oltre ad indurre incertezze e preoccupazioni nei soggetti più deboli, il ridursi delle politiche di welfare, ha rimesso in discussione la dimensione pubblica della città, fino a investire i temi della coesione sociale, della sicurezza e della convivenza multiculturale. Le “armature urbane”, i servizi, le attrezzature e le politiche di spesa su cui si fondava il piano tradizionale appaiono oggi insostenibili per la sola azione pubblica. All’arretramento dei tradizionali moduli regolamentativi corrispondono, quindi, prassi di concertazione ancora incerte associate a un latente processo di privatizzazione in materia di servizi. Tutto ciò incide sulle sorti della città, e su alcune precondizioni che dovrebbero assicurare soglie minime di qualità e sostenere la costruzione di processi condivisi di sviluppo locale. In questo scenario, anche la crescente preoccupazione per la sostenibilità ambientale deve fare i conti con un approccio integrato tra pianificazione degli spazi e degli usi della città e pianificazione dei trasporti, traducendosi in appropriati strumenti di valutazione, monitoraggio e gestione degli impatti sull’ambiente costruito. Alcuni temi di riflessione: − politiche sociali, welfare market e welfare locale; bilanci sociali e ambientali; pianificazione dei servizi; − reti ecologiche, continuità degli spazi aperti e sistema dei servizi a scala sovralocale; − qualità morfologica; competizione tra città compatte; cooperazione in rete e livelli di sostenibilità ambientale; − paesaggi metropolitani, forme insediative e qualità del progetto; procedure concorsuali e valutazione di politiche e progetti; − valorizzazione del patrimonio architettonico e della qualità della “scena urbana”; strumenti e politiche per la qualità ecologica ed estetica delle città. Forme di governo e processi di pianificazione Le esperienze della “nuova programmazione” e i programmi complessi hanno provato che è possibile disegnare aggregazioni istituzionali a partire dal basso, e come spesso sia proprio la pratica della co-pianificazione a conferire valore aggiunto e fattibilità ai singoli progetti e programmi di intervento. Se la capacità di prefigurazione è fattore indispensabile per il lungo periodo, il grado di infrastrutturazione e la qualità dello sviluppo nell’immediato dipendono soprattutto dall’abilità di coinvolgere una rete di attori pubblici e privati, contando non solo sulle risorse dell’Amministrazione locale. Intercomunalità, associazioni tra Enti locali, tavoli interistituzionali, piani d’area esigono nuove relazioni tra soggetti e livelli di pianificazione, e alcuni presupposti, riassumibili nell'operatività delle politiche urbane, nella certezza giuridica del piano, nell'esecutività degli accordi sottoscritti, infine nella coerenza della programmazione economica nazionale e regionale ai temi dello sviluppo locale e alle politiche di settore. Questa nuova dimensione dello sviluppo - e in esso del “pubblico interesse” - incardinata sulla pianificazione e sulle pratiche valutative di coerenza e compatibilità, appare anche nel confronto europeo un fertile terreno per una rilettura degli stessi criteri di valutazione, tutti incentrati sugli aspetti socio-economici o ambientali, e poco attenti al territorio nel suo insieme.
  • 5. 5 Alcuni temi di riflessione: − governo metropolitano e pianificazione di area vasta: peculiarità del territorio metropolitano e delle sue trasformazioni; specificità degli strumenti di governo e delle pianificazioni per le grandi aree urbane e i territori metropolitani; − modelli di gestione innovativi (agenzie, autorità ecc.); efficacia, limiti e vantaggi della “città metropolitana” rispetto ad aggregazioni istituzionali e volontarie a geometria variabile; − natura strategica del piano metropolitano e relazioni con la dimensione strutturale e operativa dei piani provinciali e comunali; approcci strategici e aspetti regolativi della pianificazione urbanistica; -raccordo tra città e sistemi locali e metropolitani nella prospettiva di una governance territoriale; complementarietà tra globalizzazione delle “regioni” metropolitane e sviluppo dei sistemi locali; pianificazione strategica e bilancio degli impatti nelle nuove realtà insediative; − regimi immobiliari e ruolo del piano; decadenza dei vincoli pubblicistici e permanenza dei diritti di edificabilità; strumenti perequativi e compensazioni. * Questo documento è stato predisposto dal Comitato scientifico-organizzatore del XXIV Congresso con la finalità di sollecitare la produzione di contributi originali che, uniti nella presente raccolta, costituissero stimolo e, insieme, anticipazione dei temi successivamente sottoposti al dibattito congressuale.
  • 6. 1a Sessione Mobilità, logistica e riconversione funzionale Il ruolo transfrontaliero della Regione Puglia nel contesto europeo Sezione INU Puglia p. 7 Reti infrastrutturali: azioni e politiche in Europa, Italia, Calabria Francesco Alessandria p. 8 Reti specializzate e logistica nella dimensione metropolitana Maria Cristina Angeleri p. 12 Sistema Civitavecchia Alessio De Sio p. 18 Zero emission hospital: mobilità ospedaliera a zero emissioni Matteo Foschi p. 20 Parcheggio d’interscambio elettrico - fotovoltaico Matteo Foschi p. 25 Strategie e strumenti per la mobilità urbana: il caso di Barcellona Laura Latora p. 27 Ambiti territoriali omogenei e regioni metropolitane: caso di studio partenopeo Salvatore Losco p. 30 Spazio urbano attraverso l’infrastruttura: nuovi assetti relazionali con il territorio Vanna Madama p. 34 Il Passante autostradale nord di Bologna Tiziano Rabboni p. 39 Civitavecchia: polo della logistica e dell’intermodalità Giampaolo Scacchi p. 42 Grandi infrastrutture e autofinanziamento: realtà, utopia o semplice diversivo? Alessandro Vignozzi p. 46 Che ruolo ha un Piano particolareggiato del traffico urbano? Paolo Galuzzi, Fabio Torta, Piergiorgio Vitillo p. 50
  • 7. 7 Il ruolo transfrontaliero della Regione Puglia nel contesto europeo Sezione INU Puglia Il contributo intende raccogliere le riflessioni della sezione pugliese dell’INU sul ruolo transfrontaliero della Regione, analizzandone le politiche sociali, economiche e territoriali, per tentare così di comprendere entità e qualità delle reti di relazioni, esistenti e potenziali, con i Paesi d’oltre Adriatico. La Puglia persegue da tempo un ruolo euro-mediterraneo, in relazione a quelle funzioni di “regione di frontiera” che da tempo è chiamata a svolgere e che l’allargamento ad est dell’Unione europea contribuirà quasi certamente a ridefinire. In tale prospettiva si intende indagare, in particolare, sulle dinamiche insediative legate al problema della casa per le popolazioni immigrate, sulle politiche ambientali di comune interesse con i Paesi dell’Adriatico, sul ruolo delle infrastrutture di trasporto nel sistema di connessioni con i Paesi transfrontalieri e sull’impatto delle attività economiche avviate sotto l’impulso di iniziative intraprese dall’imprenditoria regionale nell’ambito di opportunità e convenienze determinate dalle politiche internazionali. Per quanto attiene alle dinamiche insediative, si intende verificare se e come viene affrontato il problema della casa, cercando in particolare di comprendere se esso viene gestito in maniera “strutturale” o ancora in termini di “emergenza”. Si tratta ancora di verificare se l’offerta insediativa, ancorché quantitativamente definita nei piani urbanistici e/o in provvedimenti di politica sociale e territoriale, sia rispondente alle istanze “qualitative” della popolazione immigrata. Per cercare risposta a questi interrogativi si intende svolgere un’indagine presso gli IACP provinciali (per verificare ad esempio se siano state definite modalità di accesso alle abitazioni in relazione alle nuove esigenze manifestate dagli immigrati), presso le Prefetture, i sindacati degli inquilini, le consulte degli immigrati e gli stessi Comuni maggiormente investiti da tali problematiche e/o direttamente coinvolti nella gestione di programmi finalizzati in tal senso (come ad esempio per qualche programma Urban). L’analisi delle politiche ambientali cercherà di verificare se e in che misura esse siano presenti in accordi e/o programmi bilaterali avviati con i Paesi d’oltre Adriatico e, più nello specifico, quali siano le potenzialità offerte da particolari strumenti di programmazione, quali ad esempio Interreg, per perseguire obiettivi comuni e costruire azioni condivise per una corretta gestione delle risorse ambientali (in tal senso, si intende fare riferimento in particolare ai sistemi costieri come luogo di interazione di maggiore immediatezza fra i Paesi che si affacciano sull’Adriatico). Il ruolo delle infrastrutture di trasporto sarà analizzato essenzialmente in relazione ai principali porti pugliesi (Bari, Brindisi e Taranto), la cui importanza assume una particolare rilevanza anche nel più ampio sistema di connessioni delle Regioni del Mediterraneo. Si tratta ancora una volta di verificare non solo quale sia l’attuale consistenza dei flussi di trasporto in relazione al rapporto fra domanda e offerta che ne caratterizza le diverse tipologie, ma anche come questo ruolo transfrontaliero viene assolto in maniera più generale - anche in termini, perciò, di una più complessa e articolata intermodalità - e soprattutto con quali prospettive future nel contesto di una più stretta interazione con i Paesi del Mediterraneo. Le problematiche connesse alle attività economiche, infine, saranno esaminate attraverso l’analisi dei numerosi investimenti realizzati negli ultimi anni dagli imprenditori pugliesi nei Paesi transfrontalieri (attraverso interviste fatte, ad esempio, ai presidenti delle Associazioni degli Industriali delle rispettive Province), in gran parte riconducibili a quei modelli economici ampiamente praticati nei Paesi industrializzati e che rappresentano uno dei più seri ostacoli alla diffusione di politiche alternative orientate al perseguimento di obiettivi di sviluppo sostenibile. La riflessione su tali problematiche mira pertanto a evidenziare la necessità di ricondurre l’insieme delle numerose iniziative finalizzate all’implementazione di attività economiche, in passato avviate spesso sulla base di rapporti bilaterali, in maniera episodica, frammentaria e in ragione della maggiore competitività imprenditoriale dei soggetti privati, ad un sistema di politiche inteso come rete di sviluppo, al cui interno esse siano adeguatamente valutate e se necessario ridefinite nell’ottica della sostenibilità.
  • 8. 8 Reti infrastrutturali: azioni e politiche in Europa, Italia, Calabria Francesco Alessandria∗ Tendenze delle azioni e delle politiche Lo sviluppo territoriale ineguale e l’assetto strutturale differenziato del territorio europeo, unito alla generale inadeguatezza, evidenzia elementi di debolezza, aree di polarizzazione, diversità di tendenze di sviluppo, frammentazione delle reti nazionali. La situazione attuale è caratterizzata da una notevole presenza di reti infrastrutturali nelle aree centrali e rarefazione nelle zone periferiche. Le iniziative dirette a fronteggiare tale situazione tendono a prevedere interventi di riequilibrio, al fine di evitare il rafforzamento di sistemi urbani già forti. La decisione di adottare uno schema di sviluppo dello spazio comunitario1 non costituisce solo un tentativo di risposta, da parte dell’UE, ai crescenti problemi, anche di accessibilità. Soprattutto, essa si pone come la dimostrazione di una nuova consapevolezza che soltanto attraverso un uso equilibrato del territorio e tramite il miglioramento delle sue forme insediative e infrastrutturali è possibile pervenire ad una maggiore coesione tra comunità differenti e, allo stesso tempo, rispondere alla competitività che il mercato globale richiede. Si tratta, dunque, di individuare la dimensione innovativa della politica europea fondata non solo sull’integrazione economica ma, in una certa misura, condizionata dall’intensificarsi della cooperazione, in senso lato, tra Stati membri e fattasi interprete, quindi, del ruolo crescente delle autorità regionali e locali nei confronti dello sviluppo del territorio. Essersi rapportati con il territorio e con le problematiche infrastrutturali conseguenti, evidenzia una delle principali novità delle politiche europee espresse dal SSSE, approvato contestualmente alla nuova programmazione delle risorse comunitarie per il 2000-2006. Nonostante la defatigante gestazione, durata oltre venti anni, appare chiaro che per i paesi firmatari lo “schema di sviluppo” costituisca l’implicito riconoscimento che la maniera migliore di avvicinarsi alle esigenze della competizione mondiale sia sostanzialmente basata sulle risorse, non solo di tipo economico, che provengono dal territorio e al territorio sono dirette. Le ipotesi di sviluppo conseguenti sono fondate su modalità di intervento sufficientemente flessibili. Nonostante sia da collocarsi a metà strada tra un insieme di indirizzi a carattere geo-politico ed un vero schema direttore a scala europea, nel complesso il documento dovrebbe assumere la funzione di un quadro di orientamento cui ispirare le differenti politiche promosse, nell’ambito delle rispettive competenze, dalla Commissione stessa, dagli Stati membri, dalle Regioni, dagli Enti locali. Lo spazio è, quindi, reinterpretato come l’insieme delle risorse da salvaguardare, ma anche come il luogo dello sviluppo, in un’ottica che tiene conto delle innegabili opportunità fondate sulla relazione territorio/economia. E’ evidente che una componente importante di tale relazione è, oggettivamente, rappresentata dalla rete infrastrutturale. Il territorio stesso diventa un’occasione per redistribuire i vantaggi acquisiti attraverso l’integrazione economica e, al contempo, assume una funzione essenziale al fine di garantire una maggiore coesione tra i paesi aderenti, grazie alle previsioni, contenute nel documento, di rafforzare l’accessibilità, l’infrastrutturazione, gli scambi e le relazioni tra sistemi insediativi differenti. Lo schema di sviluppo intende perseguire sostanzialmente tre finalità fondamentali riconducibili alla coesione economica e sociale, alla salvaguardia delle risorse naturali e del patrimonio culturale e a una equilibrata competitività dello spazio europeo. Per certi contenuti, lo schema propone una sorta di sfida non solo dove, per controbattere i bassi livelli di vita e contrastare gli elementi di debolezza di alcune Regioni, tenta di fondare le opportunità di sviluppo sulle diversità locali, esaltandone gli aspetti peculiari. L’innovazione consiste piuttosto nel tenere conto degli effetti provocati sul territorio dalle trasformazioni conseguenti alle iniziative comunitarie di tipo economico e per questa ragione, il documento si propone di armonizzare tre obiettivi ritenuti prioritari e consistenti nello sviluppo, riequilibrio e salvaguardia dello spazio comunitario. Anche se, nella maggioranza dei casi, le politiche europee non perseguono esplicitamente obiettivi di carattere territoriale2 , il voler riflettere sulle ricadute di misure finanziarie in termini di modificazione delle strutture e dei potenziali territoriali in campo economico e sociale significa infatti, prendere coscienza delle trasformazioni
  • 9. 9 che tali misure comportano sui modelli di paesaggio esistenti, sui sistemi insediativi, sulle reti infrastrutturali e forse, persino sulle destinazioni d’uso del suolo. Sulla base di tali considerazioni lo SSSE non è un documento giuridicamente vincolante bensì un quadro di riferimento ai fini di una necessaria integrazione tra le varie politiche comunitarie. Dalla disamina della situazione emerge la necessità di migliorare la rete infrastrutturale delle aree periferiche, nonostante la bassa redditività degli investimenti rispetto al capitale impiegato, trovando soluzioni al problema dei modestissimi collegamenti alle reti principali esistenti, soprattutto nelle aree meno popolate. Per avviare l’integrazione tra reti principali e secondarie è emerso quanto sia importante incoraggiare lo sviluppo di aree industriali, direzionali, turistiche ecc., relazionare zone di attività tra loro complementari e avviare con celerità la realizzazione di nuove infrastrutture capaci di accrescere i benefici potenziali (si pensi alle stazioni ferroviarie dell’alta velocità). Problemi esistenti Una delle maggiori difficoltà ravvisate nella realizzazione di interventi sulle reti infrastrutturali consiste nel conferire capacità d’investimento alle aree più depresse per sviluppare la loro competitività, migliorandone le infrastrutture di base e incrementandone lo sviluppo delle imprese, la formazione professionale, le opportunità di occupazione ecc. E’ evidente che, accanto ai tradizionali obiettivi riguardanti le aree di incentivazione, assumono un ruolo determinante le tipologie territoriali e i vari sistemi di insediamenti umani da relazionare attraverso reti infrastrutturali anch’esse considerate in un’ottica di sistema. Dal punto di vista infrastrutturale e insediativo, l’Italia può essere divisa in due parti distinte: − l’area centro settentrionale; − il meridione. La prima si caratterizza per un sistema stradale e insediativo ramificato in modo capillare, mentre il meridione presenta un sistema a maglie larghe, realizzato nel periodo compreso tra gli anni sessanta e settanta, che si è imposto, sconvolgendole, sulle deboli trame insediative ed infrastrutturali esistenti. Certamente bisogna riconoscere che tali realizzazioni hanno consentito la connessione del sud Italia con le Regioni centro settentrionali, ma non hanno prestato attenzione al necessario potenziamento delle maglie stradali e ferroviarie minori che avrebbero fatto in modo di evitare gli effetti di marginalizzazione nelle aree non toccate dalle grandi infrastrutture. Nell’area centro settentrionale è stato, inoltre, avviato un processo di insediamento della produzione al di fuori delle città, nelle aree di urbanizzazione diffusa, sviluppando un’economia fortemente presente sui mercati internazionali. Il meridione, invece, è ancora avvolto nell’ambito dei propri consumi urbani. L’Italia presenta, pertanto, una situazione infrastrutturale dispersiva e contraddittoria, che non ha dato risposte adeguate alle esigenze del Paese. Ad acuire tale situazione ha contribuito, all’inizio degli anni novanta, una riduzione verticale di investimenti pubblici nel settore dei trasporti che, oltre a lasciare senza risposte molte esigenze locali, ha portato all’aumento del gap tra l’Italia ed il resto dell’Europa in termini di dotazioni ma anche di efficacia del sistema infrastrutturale. Allo stato dei fatti, l’adeguamento di tale sistema si pone sotto due angolazioni: da un lato è necessario dare risposta alle richieste locali di adeguamento agli standards europei delle reti esistenti, dall’altro è altrettanto necessario realizzare la serie di interventi che consentiranno di connettere la rete interna con quella europea, scongiurando i rischi di marginalizzazione che sta correndo il Paese; al tempo stesso, è urgente perseguire politiche di sostenibilità ambientale che riducano le emissioni di gas e limitino l’impatto sul territorio. Se è quindi necessario disporre di progetti “obbligati” congeniali a logiche e priorità sovra-locali, è altrettanto necessario assicurare compatibilità e interconnessione con le realtà locali. E’ indispensabile, quindi, che si superi il modello che ha caratterizzato la trasformazione del territorio italiano negli ultimi decenni, modello che intreccia ambiguamente processi di mobilitazione individualistica a un intervento diffuso e consistente dello Stato, e predisporre piani e programmi
  • 10. 10 che individuino le priorità di intervento, e permettano di allocare in modo efficace e sostenibile le risorse disponibili. Le prospettive in Italia ed in Calabria Ad analizzare l’elenco dei progetti prioritari solo tre riguardano l’Italia e sono considerati maturi per essere avviati grazie alla semicopertura finanziaria. Essi sono la linea TAV Torino Lione, con il prolungamento fino a Milano-Venezia-Trieste, il potenziamento dell’asse ferroviario Verona- Brennero, con il prolungamento verso Milano-Roma-Napoli e il potenziamento dell’aeroporto intercontinentale di Malpensa. Certamente i primi due progetti hanno un indiscusso valore strategico ai fini della connessione dell’Italia all’Europa centro-settentrionale. Con la realizzazione dei trafori italo-francese e del Brennero si migliorerebbero gli scambi con la Francia, la Germania e il Benelux coinvolgendo, conseguentemente, tutto l’arco mediterraneo e collocando in posizione strategica l’asse padano, con una forte valorizzazione sia dei sistemi territoriali sud-occidentali che delle Regioni ad est della catena alpina. Oltre a queste iniziative di carattere nazionale esiste, nella realtà calabrese, l’Intesa istituzionale di programma tra il Governo della Repubblica e la Regione Calabria che attiene all’accordo di programma quadro per il sistema delle infrastrutture di trasporto. Il sistema infrastrutturale di trasporto della Calabria non può essere assimilato al concetto promosso dalla cultura trasportistica corrente, cioè quello di rete, poiché esso non risponde a criteri di programmazione/progettazione normalmente adottati, quali l’analisi multimodale domanda/offerta, costi/benefici. In effetti, l’assetto territoriale della Calabria non consente uno sviluppo lineare delle infrastrutture stradali, e quello che due secoli fa veniva considerato un sistema di trasporto efficiente e all’avanguardia, proporzionato alle allora attuali modalità di trasporto, oggi risulta assolutamente carente. La Calabria, quindi, non è deficitaria in senso stretto di infrastrutture di trasporto, dato che l’indice di infrastrutturazione relativo alla Regione peninsulare è superiore a quello dei maggiori Paesi dell’Unione Europea. Esistono quindi delle criticità del sistema rappresentati da uno scenario non rispondente a quello che oggi è il concetto ottimale di rete. Sull’intero territorio regionale gravano pesanti carenze dal punto di vista logistico: le strade, per fare un esempio, presentano attualmente sezioni viarie ridotte, unica corsia per senso di marcia, tracciati non adeguati alle reali esigenze; la viabilità costiera, citando un altro esempio, attraversa molti abitati causando notevoli disagi, soprattutto nel periodo estivo, mentre, ancora, i collegamenti zone montuose/marine sono sottodimensionati, con evidenti carenze anche dal punto di vista manutentivo. Al fine di soddisfare la domanda di gran parte del territorio è necessario modificare l’offerta mediante l’adeguamento ai nuovi standard di gran parte del sistema viario esistente, ovvero con la costruzione di nuove trasversali con caratteristiche di strade di grande comunicazione. Un forte impulso in tal senso è dato dalla posizione assunta dal governo nazionale che, con delibera CIPE n.121/2001, ha individuato - in tutte le Regioni - le infrastrutture strategiche. In Calabria ricadono l’autostrada del sole, A3 e la strada statale 106, rispettivamente corridoi tirrenico e ionico. Con il potenziamento di tali arterie, e soprattutto con il completamento delle trasversali, si potrà consentire la chiusura delle maglie della rete. In una logica di sistema, affinché le infrastrutture di trasporto siano funzionali, è necessario un nuovo approccio nella programmazione. E’ necessario, in particolare, sovvertire la politica del non intervento o della mera conservazione dello stato di fatto. Le cosiddette “opzioni zero” o la logica puntuale sinora adottate non sono nocive solo per le singole porzioni di territorio, ma per tutta la Regione. In una politica di sviluppo del territorio, la potenzialità turistica della Calabria, rappresentata dalle sue particolari caratteristiche quali la vicinanza di marine e montagne e la presenza di paesaggi assolutamente inviolati, dovrà essere un elemento determinante nella programmazione dell’intera rete di trasporto. Per questo motivo, all’analisi costi benefici, necessaria per valutare la fattibilità dei singoli interventi, è opportuno affiancare la metodologia Trasporto- Ambiente-Turismo (T.A.T.), sviluppata secondo le fasi successive di raccolta e controllo dati,
  • 11. 11 nonché di elaborazione degli stessi con conseguente valutazione dei risultati. Questo tipo di analisi ha l’obiettivo di valutare gli effetti esterni legati alla realizzazione di infrastrutture di trasporto, in particolare in ambiente turistico. E’ ormai noto che nei progetti trasportistici, oltre alla V.I.A (Valutazione d’Impatto Ambientale) si deve considerare il V.A.T. (Valore Aggiunto Turistico), la cui variazione rappresenta un indicatore dell’impatto subito dal comparto turistico a seguito della realizzazione o meno di infrastrutture. AA.VV.,Comitato per lo sviluppo del territorio, Schéme de Dévoleppement de l’Espace Communitarie, Noordwijk, 1997. Regione Calabria, Intesa generale quadro, Roma, 2002. M. Romanazzi, Nuovo piano nazionale per lo sviluppo sostenibile Settore trasporti, Ministero dell’ambiente - Enea, Roma, 2000. ∗ Dottore di ricerca in Pianificazione Territoriale - Professore a contratto del Dipartimento S.A.T. (Scienze ambientali e territoriali) - Università degli Studi Mediterranea di Reggio Calabria 1 Schema di sviluppo sostenibile dello spazio europeo (Comitato per lo sviluppo del territorio) 2 Tale finalità è coerente con le direttive del trattato sull’U.E. del 7 febbraio 1992
  • 12. 12 Reti specializzate e logistica nella dimensione metropolitana Maria Cristina Angeleri∗ I presupposti di indagine conoscitiva per l’impostazione del problema scientifico affrontato in questa ricerca, si basano sul più esteso ed attuale concetto di rete di cui oggi disponiamo nella nostra disciplina. La rete non è più come prima basata sulle forze di orientamento, ovvero sulle economie di scala che determinati fattori produttivi generano o sui soli costi di trasporto, bensì i singoli nodi che costituiscono il modello reticolare maturano in se stessi “la vocazione” che poi determina il ruolo territoriale e, dunque, disegna, specializza e amplia il reticolo cui appartiene. La fase storica che viviamo si può dire che abbia innescato un meccanismo di relazioni, o meglio, di circuiti di relazioni, i quali fondano il proprio funzionamento su molteplici livelli di tipo non gerarchico (orizzontale) ad alta competizione e specializzazione delle grandi aree urbane tra i diversi individui (imprese) che cooperano all’interno delle maglie reticolari, oramai per molti aspetti totalmente indipendenti dal territorio nel quale si inseriscono e con il quale, di fatto, comunque interagiscono. È l’universo delle imprese a stimolare in qualche modo la capacità di risposta territoriale, a seguito di una valutazione del sito in rapporto alla tipologia di attività che si intende insediare, sia in termini di convenienze localizzative offerte sia a livello di potenziale sinergia e come complementarità tra esse e con altri livelli di reti. Il passaggio dal concetto di reti di città alle reti di luoghi, cui si è arrivati in una prima fase della ricerca, ha messo in evidenza come le maglie costituite dai nodi visibili, quali le città o le micro-città all’interno delle grandi aree urbane, intese quali aree fisiche e funzionali, stanno perdendo significato, nel quadro della conoscenza- valutazione del modello organizzativo funzionale-relazionale del territorio, rispetto a reti di luoghi specializzati che obbediscono a nuovi sistemi di convenienze localizzative. Si tratta di una maglia di reticoli immateriali, sempre più indipendenti da qualsiasi tipo di rapporto gerarchico (verticale), ove lo spazio intercities è già urbanizzato perché non sussiste più, in specie per alcuni settori di attività, una forte convenienza di crescita in contiguità o continuità spaziale con la città, per le stesse motivazioni per cui esiste una struttura reticolare. Da una lettura del sistema insediativo funzionale-relazionale su un territorio essenzialmente costituito da reti, dove appare ormai sfumato il tipico rapporto duale tra città e campagna, l’efficienza - in termini di dotazione e organizzazione - del trasporto delle merci e delle persone risulterà fondamentale per la misurazione del grado di dinamicità. Si tratta di reimpostare, caso per caso, ogni modello attraverso gli strumenti di conoscenza e valutazione, tentando un approccio il più possibile globale, in coerenza con gli obiettivi generali di un qualunque sistema funzionale: − efficienza delle relazioni rispetto alle polarità esterne; − specializzazione delle reti di comunicazione; − creazione di sinergie ed integrazioni tra le diverse offerte di trasporto (intermodalità, nodi di scambio, ecc.); − accessibilità e mobilità quali elementi chiave nella riqualificazione dei sistemi insediativi.
  • 13. 13 I presupposti di partenza e il percorso teorico (organigramma ricerca) F A S E di I M P O S T A Z I O N E Q U E S T I O N I s u l t e rr i t o ri o dalla retedimovimentazione- distribuzione flussodelle merci allacatena- logistica (approvvigionamento- produzione- distribuzione) flussodeimateriali dallaconcezione dilogistica a livelloindustriale internal supply chain la pianificazione generale di settoreil confronto internazionale external supply chain evoluzionerecente allaterziarizzazione della logistica 〈 Progettazionedellaretelogistica integrata incoerenza con ladomandaespr essadal territorio e con gliobiettiviurbani eterritoriali 〈 Riorganizzazionedeltrasporto distributivo:- plurimodalità /nuove tecnologie di trasporto - movimentazioniveloci (specialities) / movimentazionilente (commodities) - puntidi consolidamento/deconsolidamento 〈 Integrazione/messa inrete conil mercatoglobale (modelli pan-europei) (luoghispecializzatidellafiliera logistica e mercatilocali) imprese rifornimentosistemiurbani 〈 Investimentipubblici eprivati perla realizzazione deinodidellalogistica 〈 Liberalizzazionedellereti edeiservizi il casodell'areametropolitanaromana i mercatilocali nelmercatoglobale frammentazionedellacatena modellidirete nodidellarete ....dallereti gerarchizzatedi città areti indipendentidi luoghispecializzati...
  • 14. 14 Criticità tra il modello espresso dalla domanda e l'offerta programmatica L'area metropolitana romana si presenta, per struttura e dimensioni, come caso di studio esemplare per questa ricerca. Il quadro della domanda di mobilità merci nel territorio romano è composta dai seguenti elementi: − la domanda espressa dai flussi di traffico sui canali infrastrutturali, analizzata nell'area provinciale, presenta forti squilibri sia modali che territoriali: estrema concentrazione nell'area centrale urbana di Roma; preponderanza dei flussi legati ai settori più tradizionali (costruzioni, editoria e consumi della popolazione), scarsa competitività della modalità ferroviaria, in particolare per il mercato della produzione, che utilizza quasi esclusivamente trasporto su gomma; − la domanda, endogena ed esogena, espressa dagli operatori presenti sul territorio, in termini d'infrastrutture e attrezzature configura modelli organizzativi che, in modo spontaneo, tendono ad integrarsi. In particolare quella endogena è riferita, da un lato, alle PMI operanti nel settore logistico, concentrate ed organizzate in luoghi specializzati e, dall'altro, alle piccole aziende private che si insediano in modo spontaneo e diffuso nel mercato romano per sfuggire alla forte competizione nel campo dei servizi logistici. Quella esogena è, invece, riferita ai grandi operatori, a scala interregionale e nazionale, che tendono sostanzialmente al decentramento nella localizzazione di grandi aree attrezzate per lo smistamento/distribuzione dei prodotti per la Capitale, in cui vengono inseriti alcuni segmenti della catena. Esigenza primaria di queste cittadelle, quindi, è quella di connettersi a uno o due centri intermodali, per ottimizzare l'accessibilità al mercato globale e minimizzare i costi legati alla movimentazione sulle lunghe tratte, sfruttando la modalità del ferro. Il quadro dell'offerta dei programmi/progetti consiste in: − a livello regionale-provinciale viene proposto un complesso modello di reti monomodali integrate e grandi attrezzature gerarchicamente dimensionate e interconnesse. Tale modello si configura come atto di programmazione pluriennale dove gli obiettivi generali recepiscono in pieno i mutati sistemi di convenienze economiche e di mercato del settore trasporto-logistica, ma hanno scarsa aderenza con i caratteri specifici del sistema produttivo-distributivo e con la reale domanda di mobilità merci dell'ambito romano; − alla scala metropolitana-comunale i piani di recente formazione (NPrg di Roma, PUT, PUM) affrontano la complessa questione della mobilità, trascurando quasi totalmente gli aspetti relativi alla movimentazione pesante. Uno dei temi più cogenti a Roma è, invece, proprio quello relativo alla continua commistione di trasporto merci e passeggeri che viaggiano sullo stesso reticolo. Gli schemi programmatici messi a punto, mirano a garantire, dal punto di vista dell'organizzazione funzionale, la connessione di alcuni distretti produttivi o di servizi di scala metropolitana, alla rete di livello primario, senza tener conto delle esigenze strutturali insite nel concetto stesso di rete di relazione produttiva-distributiva: specializzazione dei reticoli differenziati per filiere di attività e di servizi; localizzazione/pianificazione dei luoghi attrezzati nodali. Il sistema produttivo - distributivo romano, quale componente del sistema insediativo funzionale- relazionale, pur presentando modelli localizzativi e forme di organizzazione che stanno lentamente trasformandosi secondo le nuove logiche del mercato della logistica, conserva ancora caratteri strutturali di tipo tradizionale. Si auto-organizza, secondo diverse filiere, rispetto alle tipologie dei prodotti e alla relativa quantità. Le organizzazioni logistiche variano, quindi, sulla base dei livelli/tipologie del trasporto e il numero dei depositi intermedi che le varie merci comportano. Questo elevato grado di complessità della rete è caratterizzato da un alto numero di spostamenti intermedi dovuti, oltre che alle esigenze della filiera, anche alla mancata razionalizzazione degli interventi sulla rete e sui nodi dello scambio.
  • 15. 15 L’indagine condotta sulla domanda di mobilità merci nel territorio romano, ha evidenziato una questione di fondo per la pianificazione delle reti del trasporto. La movimentazione delle merci indotta dal rifornimento dell'intero sistema urbano e quella generata dal sistema produttivo hanno logiche e modelli differenziati, modulati sulle specifiche esigenze dei propri cicli. Nella logica di ottimizzazione della catena logistica odierna determinate convenienze tendono a far convergere per alcuni aspetti operativi e distributivi, le due filiere. Luoghi della produzione e mercati locali (utenti finali) convivono nel sistema territoriale, ma si inseriscono sempre più nella stessa filiera cosiddetta logistica. Di fatto, essa mette insieme, in alcuni dei suoi segmenti, i processi tipici che regolano i due cicli di movimentazione: JIT (just in time) della produzione e QRS (quick response) mercato del consumo/vendita al dettaglio. A livello di gestione del territorio le ripercussioni non sono solo quelle che coinvolgono il sistema infrastrutturale e la gestione del trasporto. Essi restano componenti essenziali ma di un processo più ampio di ristrutturazione/riorganizzazione delle attrezzature che raccolgono, selezionano, smistano i prodotti destinati alla vendita. La razionalizzazione di questa catena costituisce, quindi, l'obiettivo finale raggiungibile attraverso la minimizzazione delle sovrapposizioni delle attività svolte dagli intermediari. Se prima l'ottimizzazione della catena logistica, per rispondere alla competitività tra aziende, si basava sull'efficienza interna, oggi occorrerà fare leva tra diversi sistemi logistici. Integrare la internal supply chain comporta il controllo della struttura dell'impresa, viceversa integrare più filiere logistiche coinvolge progressivamente una struttura più vasta, e soprattutto meno dominabile, di livello nazionale e sovranazionale. Le questioni messe in luce esprimono, quindi, una doppia logica distributiva (mercati locali da rifornire e distretti della produzione che forniscono il mercato globale) e un doppio livello di intervento (locale e globale) dove le filiere logistiche si sovrappongono in modo non gerarchico. In sintesi la catena logistica romana si configura sostanzialmente secondo due reti:
  • 16. 16 produttore prodotto impianto di montaggio globale locale Movimentazione lenta Distretto produttivo Movimentazione veloce Catena logistica primaria Catena logistica secondaria prodotto finito Rete primaria possima ai centri di produzione Rete secondaria prossima ai centri di distribuzione − Luoghi di produzione (distretti industriali) − Luoghi di concentrazione delle attività logistiche prossimi alla produzione, con attività di magazzinaggio, stoccaggio, picking, consolidamento e deconsolidamento della merce − Connessione dei luoghi di produzione e dei centri di logistica industriale con la rete internazionale per operazioni di esportazione di componenti sul mercato globale − Connessione con la rete internazionale per operazioni di importazione di componenti dal mercato mondiale e confezionamento in impianti di servizio alla produzione e alla distribuzione − Movimentazione lenta delle merci (“commodities”) nello scambio tra fabbriche e centri di servizi logistici con prodotti smembrati. − Connessione con la rete metropolitana per lo spostamento in centri di rottura di carico intermedi tra produzione/prima composizione e la distribuzione locale Piccoli centri di rottura di carico e di raccolta per la distribuzione locale Connessione con la rete urbana e locale per la consegna veloce Movimentazione veloce (“specialities”) all’interno del tessuto urbano per il raggiungimento dei mercati
  • 17. 17 Criteri per una risposta in termini di attrezzature Gli aspetti emersi dallo studio del caso di Roma pongono in luce alcune questioni ancora aperte: − il trasporto delle merci non può essere affrontato solo in termini di efficienza della catena logistica produttiva-distributiva e quindi delegato alla capacità di autorganizzazione dei sistemi di imprese; − il processo di terziarizzazione della logistica sta spontaneamente integrando il mercato della produzione con quello legato ai consumi del sistema urbano-metropolitano; − la programmazione di settore, che mira sostanzialmente all'efficienza della rete logistica per l'integrazione nel mercato globale (cooperazione/competizione), va accompagnata da una pianificazione urbanistica che risponda, in termini territoriali, alla domanda specifica dei singoli ambiti urbani, sia dal punto di vista produttivo che dei servizi ai consumatori. La risposta può, quindi, essere legata all’organizzazione/specializzazione dei canali distributivi e all’organizzazione/pianificazione dei luoghi delle attrezzature per l'intera rete produttiva- distributiva. Il criterio, secondo il quale perseguire tale risposta, emerso dal percorso teorico e confermato nel caso di studio, è quello che orienta ad una semplificazione e de-gerchizzazione dei modelli teorici proposti e ad una maggiore coerenza con la struttura urbana funzionale di riferimento. Come nel caso di Roma, rispetto al quadro strutturale e alla relativa domanda di trasporto e di attrezzature si individuano due tipologie che rispondono ai sistemi di convenienze sia dei distretti della produzione che dei luoghi di concentrazione di attività legate alla grande distribuzione: − livello territoriale. Centri intermodali che mettano in moto una riorganizzazione del sistema del trasporto mirato allo snellimento del traffico su gomma, all'ottimizzazione dei costi, al rilancio del trasporto merci su ferro, ad un minor impatto ambientale che minimizzi i costi sociali. − livello locale. Piatteforme logistiche di livello metropolitano, dove una pluralità di imprese potranno fornire a terzi o autoprodurre servizi destinati allo scambio merci, allo stoccaggio, allo smistamento, imballaggio e consolidamento dei carichi che saranno i punti di consolidamento/deconsolidamento delle merci. Tali attrezzature dovranno però essere pianificate caso per caso (investimenti privati) e non codificate attraverso parametri generali validi per ogni distretto. Questi ambiti rappresentano gli anelli essenziali della catena logistica primaria ed è questa tipologia che richiede uno sforzo progettuale, oltre che programmatico, per mettere a punto i criteri tipologici, la specializzazione, la localizzazione e le eventuali connessioni con le reti di trasporto. Potranno configurarsi come piattaforme di complemento dei distretti tipicamente e tradizionalmente produttivi o specializzarsi nel rifornimento alla popolazione dei settori urbani. Ad esempio alcune stazioni dell’anello ferroviario romano, poste in luoghi strategici e centrali, potrebbero configurarsi come luoghi di rottura di carico minori per più ristretti mercati urbani. ∗ Professore ad incarico di Analisi della Città e del Territorio Università degli Studi di Roma “La Sapienza” – Facoltà di Architettura A.
  • 18. 18 Sistema Civitavecchia Alessio De Sio* Ideare, progettare, realizzare, attuare. Sono questi, a mio avviso, i must a cui deve richiamarsi un buon amministratore nel momento in cui viene chiamato dai cittadini a ricoprire importanti incarichi nella pubblica amministrazione. Sono sicuramente questi gli imput alla base della mia azione amministrativa da quando sono stato eletto Sindaco di Civitavecchia, nel maggio 2001. Una città, Civitavecchia, che per 50 anni non è mai riuscita a svilupparsi del tutto e ad esprimere le straordinarie potenzialità di cui è dotata. La posizione geografica, al centro dell’Italia e del Mediterraneo, fa di Civitavecchia la porta ideale per costruire una grande piattaforma logistica che veda nel triangolo mare, ferro e gomma, l’hub con maggiori potenzialità di sviluppo nei prossimi 10 anni. E’ chiaro che occorre avere un quadro strategico d’insieme per riuscire ad avviare e poi a concretizzare, quello che è indubbiamente un grande cambiamento della città, non solo infrastrutturale ma direi, anzi, culturale. Ed ecco che, allora, abbiamo costruito in questi due anni una visione d’insieme che vede Civitavecchia sinergizzarsi con il suo porto, estendersi verso nord con la creazione dell’Interporto (i cui lavori sono iniziati proprio qualche settimana fa) fino a lambire la nuova grande zona industriale che stiamo progettando attraverso la redazione della variante al Piano regolatore. In tutto questo è nato “Sistema Civitavecchia” , una visione d’insieme del futuro della città che, proprio in queste settimane ha visto nascere la proposta per la costituzione della Zona Franca, il cui iter è stato avviato di concerto con l’Autorità Portuale e la Regione Lazio. Dal punto di vista infrastrutturale sono ormai nella fase di cantierizzazione una serie di opere che andranno a realizzare una rete di collegamenti interni ed esterni alla città. Primo tra tutti la copertura della cosiddetta trincea ferroviaria, ovvero la copertura dei binari FS che dividono in due la città. Tra 22 mesi, dunque, un nuovo anello stradale cingerà la città da sud a nord collegando la parte centrale, dove ha sede il Comune, fino all’imbocco nord del porto. E, in un futuro ormai vicinissimo, la Provincia di Roma costruirà, insieme alla Società Autostrade e allo stesso Comune di Civitavecchia, una grande bretella di collegamento tra l’autostrada A12 e l’ambito portuale. Un’opera da circa 25.000.000 di euro la cui progettazione definitiva è in via di definizione. Mare, terra e gomma costituiscono anche i tre biglietti da visita che la città presenta nei confronti del bacino meditteraneo, Spagna, Francia e Nord Africa in particolar modo. In questo contesto vanno inquadrate la partecipazione di Civitavecchia alle manifestazioni “Towns and Town planners” di Barcellona, al Salone della Pubblica Amministrazione di Rimini, al Forum P.A. di Roma e al Congresso INU di Milano e il recente gemellaggio con Rades in Tunisia, città portuale a pochi chilometri dalla capitale Tunisi, in forte espansione infrastrutturale ed economica. Tanti progetti, tante opere avviate ma, come dicevo in apertura, soprattutto un quadro strategico e prospettico di ciò che vogliamo realizzare nei prossimi anni. Una città che cambia e che si indirizza anche sull’aspetto turistico cercando di valorizzare, anche in questo caso, la posizione geografica e il suo clima mite. In quest’ottica l’Amministrazione che ho l’onore di guidare, ha affidato all’architetto Massimiliano Fuksas la progettazione della nuova Marina di Civitavecchia, la grande area sul mare dove l’anno scorso è sorta una spiaggia artificiale e che, una volta realizzato lo splendido progetto di uno dei maggiori architetti del mondo, diventerà il centro naturale di aggregazione e di ricezione cittadina e turistica. La Marina andrà poi a collegarsi con il totale restyling del porto storico, in merito a cui è stato bandito un concorso di idee a cui hanno partecipato grandi architetti e che è stato vinto dalla Rogedil di cui, tra gli altri, fanno parte Rocchi e Portoghesi, e che prevede la valorizzazione dell’area monumentale portuale con il restauro dell’Arsenale del Bernini, un nuovo look per il Forte Michelangelo e la nascita di un grande acquario e di un importante albergo.
  • 19. 19 Tanta carne al fuoco che ha una caratteristica rispetto ai tanti progetti che tutte le Amministrazioni e gli Enti locali predispongono: quella di avere ottenuto tutti i finanziamenti necessari grazie all’utilizzo intelligente del project-financing e soprattutto grazie alla straordinaria sinergia istituzionale con la Provincia di Roma, la Regione Lazio e il Governo Italiano. Lo scorso mese di agosto, infatti, ho firmato, insieme al Sottosegretario Letta, al Ministro Lunardi, agli Amministratori delegati di FS Cimoli e di Autostrade SpA Gamberale, oltre che a Storace e a Moffa, un Protocollo d’intesa per l’ampliamento del Porto di Civitavecchia e dei suoi sistemi di rete e di logistica che ha destinato a Civitavecchia finanziamenti per oltre 200 milioni di euro. Uno sforzo imponente, soprattutto da parte di Governo e Regione, dovuto al fatto che ormai Civitavecchia è stata individuata come futuro polo di sviluppo, non solo dell’Alto Lazio, ma di tutto il centro Italia. Basti pensare al già citato Interporto che diventerà, nel giro di soli tre anni, la più importante piattaforma logistica del Sud Italia, collocato com’è nell’area retroportuale, attraversato dalle maggiori arterie stradali tra cui l’autostrada Civitavecchia-Livorno e la Superstrada per Orte, il cui parere VIA è stato dato nel maggio scorso. Queste sono le sfide che ci aspettano a partire dai prossimi mesi, questi gli obiettivi per realizzare un grande cambiamento, questi i risultati che vogliamo raggiungere per far sì che Civitavecchia, la mia città, non sia più vista come la porta per la Sardegna, ma come la Porta verso un nuovo imponente sviluppo. * Sindaco del Comune di Civitavecchia (Roma)
  • 20. 20 Zero emission hospital: mobilità ospedaliera a zero emissioni Matteo Foschi∗ Tradizionalmente gli ospedali sono costretti ad affrontare i problemi di accessibilità e parcheggio causati dell’alto numero di persone che vi transitano ogni giorno. E’ una situazione molto complessa per la varietà di utenze che vi agiscono all’interno (dipendenti, visitatori, pazienti, fornitori esterni, trasporto pubblico, raccolta rifiuti, ecc.) di difficile controllo per le diverse esigenze che presentano. La mobilità relativa all’ospedale si può schematizzare in due categorie: da un parte la mobilità detta “obbligatoria” (dipendenti, fornitori, servizi subappaltati, ecc.) e dall’altra la mobilità “occasionale” (visitatori, visite mediche, ecc.). Il preponderante mezzo di trasporto utilizzato, sia per la mobilità obbligatoria sia per quella occasionale, è l’auto privata, che è considerata come il mezzo che offre un accesso più facile, maggiormente flessibile e più veloce. Questa percezione positiva dell’uso dell’auto aumenta nei casi in cui il parcheggio è gratis e illimitato. Riguardo alla mobilità obbligatoria, la misura principale solitamente è l’imposizione di un limite all’uso dell’auto ai dipendenti, ma come si può immaginare è un argomento molto delicato. Altre soluzioni possono essere comunque prese in considerazione (car - pooling, incentivazioni all’utilizzo di tipologie di trasporto alternativo). Nel caso della mobilità occasionale devono essere messe in atto misure alternative all’auto privata (particolarmente il trasporto pubblico), promosse mediante un piano per limitare l’accesso nell’ospedale delle auto inquinanti, per ridurne i disturbi arrecati, quali il rumore, il parcheggio selvaggio e l’inquinamento atmosferico. La restrizione degli accessi dovrebbe essere supportata da un servizio di trasporto pubblico alternativo, che provveda ai bisogni di coloro che non si servono dell’automobile. Il servizio dovrà essere di alta qualità per adattarsi anche alle richieste di persone con difficoltà fisiche. La mobilità ospedaliera è perciò sia un problema di volumi di traffico (risolvibile con interventi di mobility management) che di complessità di esigenze (numero utenze) risolvibile con misure per una mobilità alternativa. Obiettivo del progetto La risoluzione del problema della mobilità all’interno di una grande azienda ospedaliera è sicuramente uno dei nodi imprescindibili da affrontare per il miglioramento della qualità dei servizi offerti in un’ottica di sviluppo eco-compatibile. Macroscopio in collaborazione con Micro-Vett, azienda leader in Italia nella produzione di veicoli elettrici, ha intrapreso un cammino per la creazione di un progetto teso a sviluppare una mobilità ospedaliera a zero emissioni. L’obiettivo del progetto è quindi la creazione graduale di un’area ad elevato rispetto ambientale all’interno delle zone ospedaliere, attraverso l’introduzione di veicoli a basso impatto ambientale e la razionalizzazione dei diversi bisogni di mobilità. Visto il delicato equilibrio in cui si regge un’area ospedaliera, interessata giornalmente dalla forte esigenza di mobilità da parte di dipendenti, visitatori, pazienti e fornitori, la razionalizzazione dei vari bisogni di mobilità e l’introduzione di veicoli a basso impatto ambientale diventa una scelta prioritaria per diminuire l’inquinamento acustico, abbattere l’immissione di sostanze nocive in atmosfera e nello stesso tempo decongestionare l’area dall’assedio dei veicoli endotermici inquinanti. Metodologia La metodologia utilizzata nell’analisi della mobilità ospedaliera è suddivisa nelle seguenti fasi: − analisi dei flussi di traffico delle varie utenze all’interno della zona ospedaliera; − analisi dei carichi chilometrici per ogni utenza; − individuazione delle utenze maggiormente inquinanti (aria, rumore);
  • 21. 21 − valutazione dei diversi bisogni di mobilità; − valutazione Costi/Benefici delle diverse opzioni. Le utenze che operano all’interno di una grande azienda ospedaliera possono essere varie, come i mezzi di trasporto utilizzati e la loro alimentazione, come si può notare nella tabella seguente. UTENZE Trasporto persone Trasporto individuale Trasporto merci Servizi interni azienda ospedaliera Servizi tecnici Visitatori e Pazienti Dipendenti Fornitori esterni Risposte Le risposte che possiamo dare per risolvere i problemi evidenziati attraverso l’analisi effettuata, si possono suddividere principalmente in due categorie: − studio e applicazione di soluzioni di mobility management al fine di decongestionare il traffico interno e diminuire gli impatti nell’area (PSCL, Transit Point, Car Pooling, ecc.). − introduzione di veicoli elettrici a zero emissioni, per ridurre gli impatti ambientali. Consideriamo un’azienda ospedaliera standard italiana: i numeri in gioco sono di solito molto alti. Ipotizziamo un totale di circa 4000 dipendenti e una capacità ricettiva di 2000 posti letto. Analisi flussi utenze Servizi interni: i servizi interni si possono suddividere mediamente in quattro categorie principali: − trasporto persone − trasporto individuale − trasporto merci − servizi tecnici Verranno affrontati i bisogni di mobilità di ogni categoria, ricercando le soluzioni ottimali per una mobilità sostenibile, ricordando che i veicoli adibiti a tali servizi in una azienda ospedaliera come quella da noi considerata sono circa 50, un numero importante soprattutto per il loro elevato carico chilometrico. Esempi di soluzioni Si può pensare, nel momento del rinnovo del parco veicoli, di rivolgersi a mezzi a trazione elettrica; la versatilità delle flotte elettriche a disposizione sul mercato è infatti tale da poter assolvere con facilità ogni necessità che si può presentare all’interno dell’Azienda, sposandosi perfettamente con i bisogni degli utenti interni all’ospedale. Per il trasporto persone possono essere introdotti mezzi elettrici quali i micro-bus 6 posti e 4 posti. _ Carico Chilometrico _ Numero veicoli
  • 22. 22 Per la mobilità individuale (del singolo) possono esservi varie soluzioni, dalla vettura a due posti elettrica, guidabile senza patente, alla bicicletta o il motorino ecologico per i piccoli tragitti. Per i servizi tecnici e per il trasporto merci possono essere utilizzati i modelli pick-up e furgone, a zero emissioni. In tal modo si eliminerebbero completamente le emissioni nell’area ospedaliera dovute a tale utenza. Si potrà così, partendo dai dati chilometrici dei veicoli endotermici adibiti ai servizi interni, esprimere il vantaggio ambientale, in termini di riduzione di emissioni inquinanti, che il rinnovamento dei mezzi di proprietà ospedaliera verso mezzi ecologici porterà all’area ospedaliera. Visitatori e pazienti: Per tali utenze vi sono di solito due possibilità di trasporto: − auto privata − bus interno L’analisi dei flussi di traffico, dei carichi chilometrici e dei bisogni di mobilità individuale potrà portare allo sviluppo di varie soluzioni. Nell’ azienda standard i veicoli attribuibili a tale utenza mediamente si considerano nella quantità di 500 unità al giorno. Esempi di soluzioni Introduzione di un autobus interno a trazione elettrica (soluzione auspicabile visto l’elevato carico chilometrico). Vietare il transito interno alle auto dei visitatori e dei pazienti e, parallelamente creare, un servizio di noleggio di veicoli dalla bicicletta a mezzi a trazione elettrica Dipendenti: Secondo vari studi, la percentuale di dipendenti nei servizi ospedalieri che si reca al lavoro con la propria auto è mediamente il 60%. Assumendo questo valore anche per la realtà della nostra azienda si ottiene un risultato importante: nell’arco delle 24 ore transitano e sostano nell’area ospedaliera circa 2500 veicoli. Tenendo conto dei particolari ritmi di lavoro (turni notturni) del personale che lavora in ambito ospedaliero, si può ipotizzare che circa il 60% di tali veicoli, cioè 1600, sia presente costantemente all’interno dell’area ospedaliera. Per ridurre tale valore si può intervenire, dopo aver predisposto un piano spostamenti casa-lavoro del personale dipendente, incentivando l’utilizzo di mezzi alternativi all’auto privata (trasporto pubblico, sviluppo del car pooling, bus navette aziendali, incentivi all’uso di biciclette, ecc.) mediante campagne di informazione e incentivi economici e non. Fornitori esterni: sono i fornitori di servizi esternalizzati quali mensa, lavanderia, farmacia, ecc. ma anche raccolta rifiuti, che effettuano le consegne all’interno dell’area ospedaliera attraverso propri mezzi spesso a trazione endotermica. _ Carico Chilometrico _ Numero veicoli _ Carico Chilometrico __ Numero veicoli
  • 23. 23 Esempi di soluzioni − incentivare l’utilizzo di mezzi a basso inquinamento attraverso politiche di Green Procurement; − razionalizzare la logistica merci all’interno dell’area ospedaliera, mediante la creazione di piattaforme intermodali (Transit Points). Analisi globale della mobilità Oltre al problema ambientale derivante dalle emissioni inquinanti dei veicoli endotermici, è necessario considerare anche il problema di congestione dovuto al traffico all’interno dell’area, risolvibile soltanto diminuendo il numero delle auto circolanti. La minima presenza di auto all’interno dell’area è di circa 1600 auto, imputabili ai soli veicoli dei dipendenti che lavorano durante la giornata. Ponendo in tabella le considerazioni esposte nell’analisi effettuata, si può ottenere una valutazione della situazione della mobilità nell’azienda ospedaliera. Per l’azienda ospedaliera standard la tabella si riduce a un insieme di semplici indicatori qualitativi, ma nel caso di studio completo della realtà aziendale gli indicatori verranno quantificati, per avere una base razionale su cui lavorare per sviluppare i progetti risolutivi. UTENZA Carico chilometrico Numero veicoli SERVIZI INTERNI _ _ VISITATORI e PAZIENTI _ _ DIPENDENTI _ __ FORNITORI ESTERNI _ _ RACCOLTA RIFIUTI _ _ Dalle conclusioni ottenute si cercherà di sviluppare la soluzione più adatta per ogni utenza, partendo dalle utenze maggiormente impattanti. Linee progettuali percorribili Ad una prima analisi è necessario, quindi, agire lungo quattro direttrici principali: − rinnovare il parco veicoli di proprietà dell’azienda rivolgendosi a mezzi a basso impatto ambientale, anche alla luce del continuo progresso tecnologico che permette ai nuovi mezzi elettrici prestazioni ed autonomie tali da poter soddisfare ogni esigenza anche in ambito cittadino; − incentivare l’elettrificazione sia dei mezzi adibiti al trasporto pubblico interno sia di tutti i veicoli adibiti alla raccolta in area ospedaliera; _ Carico Chilometrico _ Numero veicoli
  • 24. 24 − richiedere ai fornitori ed ai gestori dei servizi appaltati esternamente (mensa, lavanderia, ecc..) di effettuare i trasporti all’interno dell’area con veicoli ZEV, mediante iniziative di Green Procurement; − Istituire un transit point per il trasporto merci da porsi all’ingresso dell’ospedale o nelle immediate vicinanze, da cui mezzi a basso impatto ambientale effettuano le consegne all’interno dell’area ospedaliera, per razionalizzare e decongestionarne il traffico. In seconda analisi, in un’ottica globale di mobilità sostenibile, bisogna affrontare la questione della mobilità individuale (dipendenti e visitatori/pazienti) per diminuire il traffico veicolare all’interno dell’area ospedaliera riconducibile a tali categorie, offrendo servizi alternativi all’auto di proprietà e implementando il trasporto pubblico. A tal fine si possono suggerire varie tipologie di intervento tra cui: − istituzione di un servizio di un servizio di noleggio per i visitatori dalla bicicletta a mezzi elettrici da affiancarsi a un più razionale e capillare servizio di trasporto pubblico; − incentivi alla creazione di iniziative di car pooling aziendale; − bus-navette aziendali ecologici da affiancarsi al servizio di trasporto pubblico esterno; − iniziative di promozione dell’uso di mezzi alternativi (biciclette, motorini ecologici, ecc.), mediante incentivi economici e non; − in definitiva, implementare il piano degli spostamenti casa-lavoro. Proseguendo questa strada si otterrà la creazione graduale di un’area ad elevato rispetto ambientale, in linea con gli ideali di prevenzione e tutela della salute principi cardine di un’azienda ospedaliera ∗ Project Manager di MACROSCOPIO S.p.A. società di consulenza strategica per la sostenibilità
  • 25. 25 Parcheggio d’interscambio elettrico - fotovoltaico Matteo Foschi∗ Nata da una collaborazione tra Macroscopio, MicroVett e ANIT Busi Group, la proposta consiste nella realizzazione di un sistema integrato di mobilità eco-sostenibile che preveda la realizzazione di un parcheggio d’interscambio (car sharing) per veicoli elettrici abbinato ad un sistema di ricarica dei mezzi basato sulla tecnologia fotovoltaica. La soluzione fotovoltaica è particolarmente adatta ad un’applicazione finalizzata alla ricarica di veicoli elettrici all’interno di un parcheggio d’interscambio. Infatti l’utilizzo di un impianto fotovoltaico “grid-connected” (connesso alla rete di distribuzione) permette di produrre energia elettrica durante il giorno e cederla alla rete nel momento di utilizzo dei veicoli elettrici, offrendo il vantaggio di essere costruito su misura, in funzione delle reali necessità dell’utente. Nei momenti di indisponibilità della radiazione solare la rete di distribuzione provvede a fornire l’energia elettrica necessaria alla ricarica dei veicoli elettrici, sfruttando la sovrapproduzione di energia delle ore notturne. L’impianto proposto può essere orientato verso due tipologie di utenza, una turistica e privata, l’altra commerciale. La struttura del parcheggio d’interscambio con la copertura di pannelli fotovoltaici sopra le pensiline di ricovero dei veicoli rimane fissa e ciò che cambia è la composizione della flotta elettrica in funzione dell’utilizzatore finale del servizio. Si sono individuate due tipologie di proposte, orientate verso le due diverse utenze: − Car sharing rivolto ad una utenza turistica e privata; − Car sharing rivolto alle attività commerciali. Le composizioni delle flotte sono differenti per soddisfare i diversi bisogni di mobilità. Per un’utenza turistica e privata si è privilegiato l’inserimento di vetture elettriche a due posti, affidabili, semplici nell’uso e, nello stesso tempo, adatte al traffico urbano per rispondere alle esigenze di mobilità dei singoli: turisti che vogliono visitare liberamente e comodamente la città, professionisti e rappresentanti che entrano e si spostano nell’esercizio delle loro attività nel centro della città, persone che si recano a fare acquisti. La flotta è inoltre composta da minibus a 4 e 6 posti per soddisfare anche i bisogni della famiglia o di piccoli gruppi di persone. Esempio base (9 veicoli) Modello N° veicoli Vetture a due posti 6 Porter Glass Van da 4 posti 2 Porter Micro-Bus a 6 posti 1 Per un’utenza commerciale (commercianti e artigiani nei centri storici) si sono privilegiati veicoli che si possano prestare a molteplici utilizzi, dal trasporto di attrezzature al trasporto merci, senza limitare nello stesso tempo la comodità delle persone eventualmente trasportate. La tipologia dei veicoli perciò varia dal mezzo furgonato, esclusivamente adibito al trasporto merci, a mezzi misti capaci di trasportare sia persone che merci, al minibus a 6 posti. Esempio base (10 veicoli) Modello N° veicoli Porter Furgonato 1 Porter Glass Van da 4 posti 8 Porter Micro-Bus a 6 posti 1 La particolarità della proposta di ricarica dei veicoli attraverso l’utilizzo di pannelli fotovoltaici, rende il progetto molto vantaggioso sia dal punto di vista ambientale (rivolgendosi a fonti
  • 26. 26 energetiche rinnovabili si riducono ulteriormente le emissioni inquinanti imputabili al momento di produzione di energia per l’alimentazione dei veicoli), ma anche dal punto di vista economico (minore spesa energetica per il mantenimento del parco mezzi: se si formulano progetti con durata almeno decennale, contrariamente a quanto comunemente creduto, risultano progetti economicamente equivalenti a quelli che prevedono veicoli endotermici, anche in assenza di finanziamenti). Qualora l’Amministrazione pubblica decidesse di valorizzare il vantaggio ambientale in ambito cittadino con un finanziamento mirato al trasporto elettrico, si crea una internalizzazione del costo ambientale e il costo della scelta elettrica diventa complessivamente conveniente rispetto all’alternativa endotermica, con un risparmio che si avvicina al 40% in 10 anni. ∗ Project Manager di MACROSCOPIO S.p.A. società di consulenza strategica per la sostenibilità.
  • 27. 27 Strategie e strumenti per la mobilità urbana: il caso di Barcellona Laura Latora∗ La mobilità urbana La mobilità di persone, beni ed energia è oggi chiave del funzionamento del sistema urbano, un fattore potenzialmente favorevole (per l’aumento delle relazioni, per la pianificazione di sistemi di vita in altra maniera inconcepibili, per la “prossimità” al lavoro, alla scuola, ai servizi), ma a sua volta molto condizionante, in quanto generatore di scomodità ed elemento che esige continui investimenti di tempo, denaro e ricerche. Lo sviluppo della mobilità urbana è legato a doppio filo a quello della città, a tal punto da determinare un’inversione di rotta dalla “mobilità per la città” alla “città per la mobilità”, avvenuta così rapidamente da non consentire un’adeguata pianificazione del sistema stesso. Studiare quindi la struttura urbana sottintende l’analisi della mobilità che attraversa la città, costituita non solo da un flusso ininterrotto di persone, ma anche da uno spostamento di materiali, energia, informazioni, che contribuisce a creare un sistema di comunicazione urbano ed extraurbano. Così l’efficienza dei canali infrastrutturali di ogni sistema urbano è determinante per intrecciare reti di relazioni materiali e immateriali e per determinare la polarizzazione di attività economiche e di servizi. A sua volta, la domanda sempre più crescente di accessibilità e mobilità, che caratterizza e condiziona qualunque realtà attuale, è in larga misura proporzionata alla complessità e alla articolazione urbana. La forma di una città, infatti, influisce molto sulle richieste e sui modelli di trasporto. Una struttura urbana compatta rende la città percorribile e fruibile a piedi o in bicicletta, mentre una forma urbana dispersa incrementa la dipendenza dai veicoli privati. La sostituzione del carattere di prossimità, tipico della città classica, con quello della “lunga distanza”, percorribile solo in automobile, e l’applicazione smisurata dello strumento dello zoning - che ha privato la città della sua varietà funzionale e sociale - hanno prodotto patologie urbane difficili da controllare ed invertire. L’espansione urbana e la sua conseguente dispersione continuano a svilupparsi anche in città europee storicamente concentrate e centralizzate (Parigi, Madrid), come risultato dell’incremento demografico e dell’aumento del prezzo del suolo. Più il modello residenziale disperso prende piede nelle città attuali, più le infrastrutture per il trasporto diventano essenziali per la crescita economica e per la qualità di vita. Ma la dispersione urbana rende le operazioni e i costi per la creazione di nuove reti di trasporto pubblico sempre più elevati, trasformando il veicolo urbano nel sistema più comodo e a volte unico, per l’accessibilità e gli spostamenti. Così alla domanda di mobilità in aree urbane e tra distanze sempre più smagliate si risponde ancora, purtroppo, con costose operazioni di costruzione e manutenzione di strade, per fare i conti poi con le implicazioni nell’ambiente, nell’efficienza economica, nella vivibilità di un luogo. Già nel 1990, il famoso “Libro verde sull’ambiente urbano”, elaborato dalla CEE, metteva in guardia da azioni di questo tipo. “La costruzione di nuove arterie stradali urbane, finalizzate a decongestionare la circolazione, produce però l’effetto negativo di stimolare l’aumento del traffico e, conseguentemente, di aumentare la contaminazione”, determinando l’esposizione di un numero sempre più elevato di popolazione ad una quantità sempre maggiore di sostanze nocive, riducendo la vivibilità dell’habitat urbano e, di contro, aumentandone la vulnerabilità. L’errore in cui non si deve quindi cadere, come già sottolineava il Libro verde, è “rispondere a momenti di crisi di breve raggio, senza compiere uno sforzo di pianificazione dalla visione più ampia; (…) l’elemento peggiore delle attuali politiche settoriali risiede proprio nel fatto che spesso le soluzioni di un determinato problema ne causano uno nuovo, con il risultato di una creazione a catena di problemi”. Le difficoltà connesse al traffico e i costi ambientali e sociali, da questo scaturiti, sono innumerevoli; dalla congestione che affligge senza differenza le grandi e piccole città (risultato di
  • 28. 28 una rete viaria insufficiente, ma che certo non può essere affrontata sottraendo altro suolo alla città, per una viabilità addizionale) al consumo di energia, alla contaminazione ambientale (l’alto uso di petrolio, da cui in larga misura il trasporto dipende, produce un ingente sperpero economico, soprattutto per i paesi che lo importano, e genera un inquinamento non solo a scala locale, ma anche globale), alle disuguaglianze sociali (i ceti sociali più bassi, che non possono permettersi il lusso di un’automobile, dovendo dipendere esclusivamente da un trasporto pubblico spesso inadeguato, si ritrovano ancora più emarginati dalle opportunità di lavoro, di educazione, di accesso alle aree commerciali e ricreative, concentrate nelle zone più ricche della città). Strategie e strumenti chiave Come fare, allora, per evitare di dover considerare il fenomeno della mobilità essenzialmente negativo? Gli alti costi economici, sociali ed ambientali impediscono la continua estensione delle reti viarie e la città deve trovare nuove formule per far fronte alle necessità della mobilità. Oggi i nuovi strumenti di cui si può usufruire per rispondere in maniera più sostenibile alle esigenze di accessibilità e contenere le esasperate domande di mobilità urbana sono diversi, ma, in una situazione tanto complessa quale quella attuale, un reale effetto si può ottenere solo dall’uso congiunto ed incrociato di questi. Un primo punto sul quale agire, considerando il forte potenziale che ne può scaturire è il rapporto concatenato, che si è già sottolineato, tra forma urbana e domanda di mobilità. La pianificazione può fare tanto per organizzare o ripristinare forme di città tali da diminuire la dipendenza dall’automobile, con l’utilizzazione integrata del suolo ed un’opportuna strategia di trasporto che possano facilitare l’accessibilità alle attività urbane, anche con mezzi alternativi al veicolo privato. Il modello misto di utilizzazione del suolo, per il quale la prossimità e l’alta densità rendono varia e piacevole la vita, è un valido esempio di pianificazione urbana, utile per facilitare gli spostamenti a piedi e in bicicletta e rendere più economica e controllabile la rete del trasporto pubblico. Certo è anche vero che modificare la forma urbana ed applicare modelli predefiniti di schemi ideali di città non è facile né corretto, e a volte sono proprio queste azioni a generare maggiore congestione e contaminazione ambientale. All’interno della problematica della mobilità urbana intervengono troppi fattori e, tra questi, le forze del mercato e i risvolti economici hanno il loro considerevole peso. In molti Paesi si è provato a far leva proprio sull’aspetto prettamente monetario per riequilibrare e risolvere la problematica della mobilità urbana. Il tentativo di aggiungere alle spese degli automobilisti un’imposta che fosse riflesso anche di elementi prima mai considerati, come gli effetti negativi prodotti sulla salute, la congestione e il blocco sui tempi e sugli spazi della città e la mancanza di sicurezza e incolumità dei cittadini, è stato visto come una possibile operazione per ridurre l’uso dell’auto e i viaggi antieconomici, spronare al trasporto pubblico e diminuire il prezzo dei biglietti. Tutti questi strumenti certo non hanno motivo di esistere se non si è in grado di proporre una valida alternativa, che ponga l’auto come una delle tante scelte possibili, ma non l’unica ed essenziale. Molte volte le soluzioni non vanno cercate tanto lontano e, invece di inseguire idee complesse e dispendiose per rivalutare l’importanza del trasporto pubblico, potrebbe risultare logico rendere più rapidi ed efficienti i sistemi esistenti, che rispondono già alle esigenze dettate dalla struttura, dalla densità e dalla ricchezza urbana. Il servizio degli autobus, per esempio, è la formula più ovvia per qualunque città e riservargli la priorità nel traffico, rendere i precorsi più brevi e comodi, abbassare il prezzo dei biglietti ed impiegare combustibili alternativi incoraggerebbe tanti potenziali passeggeri e ne attirerebbe di nuovi. Lo stesso ragionamento si può applicare a qualunque sistema di trasporto alternativo alla automobile, come la bicicletta, la metropolitana, il tram o il treno.
  • 29. 29 Il caso di Barcellona La proposta del sistema di mobilità urbana adottata da Barcellona, città costretta tra le montagne e il mare, con un’altissima densità e gravi problemi di traffico, può essere un buon esempio di modello efficace, che incide positivamente sulla qualità dello sviluppo locale. Questa città, in seguito ai cambiamenti in occasione dei Giochi olimpici, si è ritrovata a dover affrontare in nuovi termini gli aspetti funzionali della mobilità. Tutti gli interventi realizzati e quelli ancora in fase di progetto mantengono come filo conduttore due elementi caratterizzanti: il disegno urbano e l’accessibilità, tra loro concatenati, che hanno rivestito un ruolo vitale nella nella trasformazione della città. Partendo da piccole operazioni di rimodellazione e infrastrutturazione dei contesti storici del Casc Antic e di Gracia, si è passato poi ad interventi di maggior volume e innovazione che, sotto diverse forme, hanno ricucito una strategia urbana generale di rilancio di Barcellona. La ripianificazione globale della rete viaria di Barcellona e le politiche di mobilità urbana hanno costituito l’intelaiatura per la definizione di nuove centralità, per la cooperazione tra settore pubblico e privato, per la realizzazione di nuovi spazi pubblici, per la fruibilità dei progetti architettonici distribuiti nel tessuto cittadino. La strategia operata sulla mobilità si basa sull’azione fondamentale di concepire il sistema infrastrutturale esistente e la progettazione della nuova offerta di mobilità come elementi qualificanti e pienamente integrati nel tessuto urbano, oltre ad incentivare le misure di dissuasione nell’uso dell’automobile. Il potenziamento del trasporto collettivo è stato posto al centro del sistema di mobilità pianificata. Per presentarsi più competitivo nei confronti del mezzo privato, sono stati attivati “bus express” ad alta velocità che collegano i quartieri non ancora sufficientemente serviti dalla metropolitana; creata la connessione di bus e metropolitane in quasi tutti i punti della città, facilitata da strutture di stazionamento; realizzata l’estensione della metropolitana alle aree altamente densificate e il rinnovo dell’immagine di questa; infine, attraverso la creazione di Aree di servizio periferiche, Park & Ride, si è agevolata l’integrazione del trasporto pubblico con quello privato. Anche gli spostamenti a piedi, come indispensabile completamento della politica del trasporto pubblico, sono stati facilitati con la creazione di attraenti aree pedonali dotate di scale e tappeti mobili nei punti critici della città. Un esempio calzante è la soluzione adottata al Montjuic, o quella realizzata a Glories, per avvicinare il Parque Guell alla metropolitana. Gli interventi nelle infrastrutture di trasporto sono serviti a migliorare le comunicazioni tra tutte le aree, quelle nuove e quelle già esistenti, e a recuperare la stretta relazione della città con il mare. Anche se ogni contesto urbano, per far fronte ai differenti problemi, richiederà una propria combinazione di azioni e politiche di mobilità, il programma strategico di Barcellona può risultare interessante conferma del risultato positivo di un complesso di azioni, coerenti con l’obiettivo di accompagnare una città verso il pieno sviluppo qualitativo. ∗ Dottoranda in Pianificazione territoriale, Dipartimento Scienze ambientali e territoriali - Università degli Studi “Mediterranea” di Reggio Calabria.
  • 30. 30 Ambiti territoriali omogenei e regioni metropolitane: caso di studio partenopeo Salvatore Losco∗ Le riflessioni che si propongono strutturano la metodologia di una ricerca in itinere sulla conurbazione pseudo-metropolitana di Napoli, nella convinzione che il riconoscimento e l’interpretazione dell’area fonda il suo interesse sul raffronto e l’integrazione tra le invarianti che definiscono le generalità del problema delle “aree metropolitane” e le variabili locali che definiscono la specificità dei singoli casi. Nell’urbanistica contemporanea si è diffuso un atteggiamento che, respingendo le certezze generalizzanti basate su teorie costruite preventivamente e per altri luoghi, privilegia le esperienze effettuate sul campo, quasi sempre intese come uniche, atipiche e irripetibili. Questa linea di studio vuole sopperire alla mancanza di chiari riferimenti generali; essa si attesta su un livello che preferisce l’intervento urbanistico come un’operazione che interessa una comunità limitata. Ciò nonostante, si sente l’esigenza di individuare alcuni elementi di generalità utili alla creazione di un ideale “albero di navigazione” che agisca da guida e che consenta, in modo incrementale, l’arricchimento delle connessioni sia come conoscenza che come fruibilità: uno schema di facile lettura e interpretazione, in grado di sostenere e aiutare un ragionamento senza alcun presupposto o giudizio di valore. Un’area metropolitana intesa come entità territoriale identificabile e caratterizzata presenta tre dimensioni complementari: − una dimensione geografica, consistente nell’estensione territoriale dipendente dal numero e dall’entità dei Comuni compresi; − una dimensione funzionale, dipendente dal grado di integrazione tra le parti, dall’efficienza delle attività residenziali, produttive e di servizio, dal grado di connessione garantito dal sistema della mobilità; − una dimensione amministrativo-gestionale, dipendente dalle prime due, ma anche dalla sperimentazione dei criteri di rinnovamento amministrativo e dall’efficacia dei nuovi contenuti e delle nuove forme di Piano. Per quanto riguarda le prime due dimensioni, nel caso partenopeo, dimensione geografica e individuazione delle nodalità funzionali e socio-culturali sono strettamente correlate. I problemi legati alla riconoscibilità dell’area metropolitana in relazione all’estensione e alla funzionalità potrebbero trovare una risposta per la prima dimensione, mediante una delimitazione che includa gli insediamenti fortemente relazionati da omogeneità, complementarietà, vocazioni e tradizioni; per la seconda, legando la funzionalità alla distribuzione delle attività, alla loro accessibilità, al loro grado di integrazione tra le parti del sistema, all’efficienza nell’erogazione dei servizi. La specificità del caso Napoli è rappresentata dal forte grado di concentrazione di Comuni popolosi che circondano il capoluogo come una costellazione di insediamenti ancora caratterizzati da uno scarso grado di centralità urbana. Per la corretta individuazione dell’area metropolitana, accanto al controllo delle trasformazioni, ai fini della sua riqualificazione e riorganizzazione tramite interventi legati alle problematiche prevalenti e caratterizzanti, appunto, un’area-problema, la verifica di nuovi elementi di conoscenza gioca un ruolo importante. Essa è essenziale alla definizione della fisionomia urbana contemporanea nel fenomeno della metropolizzazione senza città, ovvero della rapida espansione di agglomerati senza strutture, privi di modelli morfologico-insediativi, di attrezzature e di infrastrutture. Il processo di formazione della conurbazione napoletana suggerisce una lettura attraverso due stadi evolutivi: la conurbazione storica e le conurbazioni di recente formazione. Quella storica nasce sul finire del XVIII secolo, quando i centri abitati di Napoli, San Giovanni a Teduccio, Portici, San Giorgio a Cremano, Resina e Torre del Greco si erano conurbati in maniera lineare lungo la principale strada di collegamento costiera. Nei secoli successivi il lento ma costante
  • 31. 31 addensarsi di persone, di attività e di abitazioni sul territorio ha fatto sì che la conurbazione si estendesse fino a comprendere tutti i territori comunali limitrofi a Napoli. La conurbazione di recente formazione, invece, racchiude la maggior parte dei Comuni della Provincia e la sua area di influenza comprende parte delle Province di Caserta, l’Aversano, la Provincia di Salerno, l’Agro nocerino-sarnese. Essa si colloca su un territorio ristretto, la Provincia meno estesa d’Italia. Questa realtà, all’interno della quale sono in atto evoluzioni, e trasformazioni rapide e di grande portata, rende la questione territoriale della conurbazione di Napoli di particolare complessità. L’individuazione della perimetrazione di un’area metropolitana, con l’identificazione dei suoi confini più appropriati, la scelta degli indicatori e dei parametri che meglio concorrono a comprenderne le dinamiche, sono le questioni più dibattute. Si evidenziano, per punti, alcune problematiche emergenti dell’area di studio: − la popolazione dell’area napoletana cresce in maniera modesta; − l’esigenza di fornire una casa alla popolazione è quantitativamente risolta in quanto esiste un surplus di abitazioni; − anche nell’area metropolitana di Napoli, che è la più densamente abitata dell'intero Paese, gli indici di affollamento per stanza sono quasi ovunque al di sotto della soglia di un abitante per stanza; − la corsa all’industrializzazione ha subito un forte rallentamento, una prima fase del programma di grandi interventi infrastrutturali sul territorio è stata completata mentre se ne sta avviando una seconda i cui effetti territoriali non sono ancora facilmente valutabili; − sono mutati i presupposti che hanno generato il processo di addizione continua verificatosi dal dopoguerra fino agli anni ottanta. Dopo quarant’anni di sfruttamento del territorio, si dovrebbe passare da una pianificazione urbanocentrica ad una pianificazione ambientalmente orientata. Tra gli obiettivi prioritari della pianificazione in regioni metropolitane vanno annoverati: − una più equilibrata distribuzione della popolazione; − una ricerca di quei dispositivi economico-legislativi che consentano di redistribuire le abitazioni esistenti tenendo conto delle classi meno abbienti; − una tutela-valorizzazione e recupero del patrimonio urbanistico-edilizio degradato, sia in termini di sicurezza statica, che di carenza di qualità delle infrastrutture e attrezzature; − una maggiore attenzione all’ambiente naturale, semi-naturale o rurale, rivolta alla conservazione e/o protezione nonché alla valorizzazione delle aree protette, nazionali e regionali; − l’adeguamento di una rete infrastrutturale, in particolare ferroviaria, per soddisfare la maggiore domanda di mobilità; − la diffusione di una rete info-telematica capace di ridurre gli spostamenti “superflui” e aumentare la mobilità “immateriale”. Ai problemi della quantità si affiancano quelli della qualità che, nelle aree metropolitane, risultano particolarmente complessi ed interconnessi. Dalla lettura della realtà territoriale, nell’area napoletana sono presenti alcuni centri urbani di notevole dimensione demografica (Aversa, Afragola, Frattamaggiore, Pomigliano d’Arco, Nola, Sarno, Nocera Inferiore) i cui contorni urbani non sono quasi mai definiti, ma si confondono con realtà di peso demografico minore, spesso attratte dal centro maggiore. È possibile verificare che, laddove vi è presenza di un asse, o più assi, di collegamento tra il centro maggiore e quello minore contiguo, questo ha dato luogo ad un fenomeno di urbanizzazione lineare più rapida, rispetto all’estendersi dell'abitato nelle altre direzioni. In questo processo, la velocità di urbanizzazione del centro minore è quasi sempre maggiore, con una tipologia insediativa a sviluppo lineare, quasi mai pianificata, spesso priva di infrastrutture e attrezzature, carente di urbanizzazioni primarie e secondarie. Altro fenomeno tipico dell’area metropolitana è l’espansione di quei centri urbani il cui territorio è contiguo alla città di Napoli. Essa è stata interessata da un processo di crescita urbana e demografica che, in una fase iniziale, si è attestato lungo gli assi stradali di collegamento e che
  • 32. 32 progressivamente, ha interessato porzioni di territorio sempre più ampie, acquisendo una configurazione insediativa a macchia d'olio, fino ad investire, in alcuni casi, interi territori comunali. Queste aree, più di altre, risultano prive di uno sviluppo pianificato: in esse, la forza centripeta esercitata dal centro egemone ha prodotto i danni più rilevanti sul tessuto urbano e sociale. Il risultato è stato quello di aver creato periferie urbane diffuse, caotiche e invivibili. Allontanandosi da queste aree di prima fascia, a ridosso della conurbazione storica, l’assetto insediativo acquista un minimo di struttura; di conseguenza, anche i margini centro-periferia risultano individuabili più facilmente. Questa situazione si ritrova nei pressi di Pomigliano d’Arco, di Nola, di Sarno, nei Comuni vesuviani orientali e in quelli della Penisola sorrentina. In questa parte del territorio non è solo la distanza crescente dal capoluogo che fa avvertire meno la sua forza di attrazione, ma si modifica anche la morfologia del territorio, la consistenza infrastrutturale, la fertilità dei territori agricoli. Tra le svariate definizioni presenti in letteratura sembra che tutte concordino nel riconoscere come area metropolitana un territorio di vaste dimensioni, caratterizzato dalla presenza di uno (in questo caso l’area metropolitana si definisce monocentrica) o più centri abitati di notevoli dimensioni (in questo caso l'area metropolitana si definisce policentrica), insieme ad una serie di piccoli e medi centri urbani in cui vive un numero cospicuo di persone, le densità abitative sono elevate. In tali Comuni esiste un complesso ed articolato sistema infrastrutturale (autostrade, strade a scorrimento veloce, strade statali e altre strade, ferrovie e linee metropolitane, vie d'acqua, reti telefoniche, infotelematiche), un’elevata concentrazione di attività produttive, numerosi centri per la cultura, lo sport e lo svago, vi sono numerosi centri di attività terziarie anche avanzate; è elevata la frequenza degli scambi quotidiani di cultura, di beni, di cose, di persone e di informazioni. Va precisato che l’orizzonte teorico per la selezione dei parametri e degli indicatori è la visione sistemica dei fenomeni urbano-territoriali. Il primo indicatore è quello della prossimità spaziale tra i centri urbani che nei casi in cui si riscontra un continuum urbanizzato è da ritenere condizione necessaria e sufficiente per la determinazione della conurbazione. Il secondo indicatore è quello della frequenza di rapporti intercorrenti tra centri urbani non contigui. La compresenza di due o più degli elementi di seguito elencati devono essere posti alla base dell’individuazione del “nucleo conturbato”: − la presenza di uno o più collegamenti infrastrutturali di livello superiore (autostrade e relativi svincoli, strade a scorrimento veloce, strade statali, linee ferroviarie e relative stazioni); − la presenza delle attrezzature (per l’istruzione, per la giustizia, per la sanità, per lo sport, lo svago ed il tempo libero, per la cultura) con un bacino d’utenza sovracomunale; − la presenza di Aree di sviluppo industriale (ASI), Nuclei d’industrializzazione (NI) e attività industriali di rilievo intercomunale; − la presenza di centri commerciali o assi a forte densità di attività commerciali di interesse intercomunale; − centri di attività del terziario avanzato o quaternario di interesse intercomunale. Una volta delimitato il nucleo conurbato, per estensione amministrativa e gestionale, è da considerare l’intero territorio comunale: detta area risultante si denomina “area conturbata”. In base agli indicatori e ai parametri, sinteticamente elencati in seguito, si possono mettere a fuoco sette diverse aree conurbate, intorno a quella storica di Napoli, così distribuite: Costiera Napoli- Caserta a nord-ovest, Aversana e Flegrea Napoli-nord a nord est; Casertana e Napoli a nord-est; Vesuviana nord-Nolana a est; Vesuviana costiera a sud-est. Per ciascuna delle aree conurbate sono stati individuati i seguenti indicatori e parametri significativi per l'interpretazione delle singole realtà: − Caratteri generali: si individuano i centri dell’area conurbata, indicando il nucleo conurbato principale, il nucleo conurbato secondario e i centri satellite;
  • 33. 33 − Dinamica demografica: si analizzano i dati della popolazione residente relativi ad un determinato periodo con le variazioni percentuali che registrate negli intervalli di tempo considerati, nonché la superficie di ogni territorio comunale e la densità abitativa; − Dinamica spaziale: si evidenziano alcuni elementi formativi, catalizzatori della configurazione dell’area conurbata rispetto alla variabile tempo; − Le infrastrutture per la mobilità: si rapporta in merito agli aspetti territoriali delle infrastrutture per la mobilità: in esercizio, realizzate, in corso di realizzazione e in progetto; − Le attività produttive primarie: si elaborano i dati sulle caratteristiche strutturali delle aziende agricole; − Le attività produttive secondarie: si quantificano le attività industriali e artigianali di produzione; − Le attività produttive terziarie: si rilevano quelle attività ritenute più direttamente incidenti sulle trasformazioni territoriali, quali servizi alle famiglie e alle imprese, istruzione superiore, sanità, giustizia, cultura, tempo libero, sport e svago; − Il patrimonio edilizio: si rapporta il patrimonio abitativo esistente come abitazioni e stanze occupate e non alle famiglie e alla popolazione residente analizzando l’indice di affollamento reale; si segnalano, inoltre, parti del tessuto urbano di interesse urbanistico ed emergenze monumentali; − Caratteri essenziali dell’area conturbata: si evidenziano i caratteri essenziali della realtà analizzata, al fine di raggiungere gli obiettivi prioritari che consistono nell’evidenziare le caratteristiche, le potenzialità e i problemi più condizionanti l’area conturbata, nel sottolineare i settori problematici emersi nell’analisi quale utile testimone alle proposte progettuali e nel rendere confrontabili, seppur in modo schematico, realtà urbane articolate e complesse così da evidenziarne omogeneità ed eterogeneità. ∗ Ph. D. Pianificazione Territoriale e Urbana, Facoltà di Ingegneria, Seconda Università di Napoli, Aversa (Ce)