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Trieste, …. nell’anno della fede agosto 2013 pag. 1
PROGRAMMA :
Partenza dal piazzale dell’Oratorio S.G.Bosco ore 6.00 (ritrovo 5,45 per carico bagagli)
Arrivo a Padova entro le ore 10.00. (PRATO DELLA VALLE, S. GIUSTINA, S. ANTONIO, PIAZZA
ERBE….) pranzo al sacco e in seguito visita ai principali monumenti del centro storico.
Ore 16.00 Partenza per Trieste e arrivo per le 18.30
Cena e TRIESTE by Night
HOTEL VILLA NAZARETH,
Via dell'Istria, 69, 34137 , TRIESTE
TELEFONO: 040-771682
E-MAIL: info@villanazareth.com
WEB: www.villanazareth.com
Mercoledì 21 agosto
Trieste, … nell’anno della fede agosto 2013 pag. 2
Padova
LA BASILICA DEL SANTO
L'ESTERNO
L'attuale Basilica è in gran parte l'esito a cui si
è giunti attraverso tre ricostruzioni, che si
sono succedute nell'arco di una settantina
d'anni: 1238-1310.
Ai tempi di sant'Antonio qui sorgeva la chie-
setta di Santa Maria Mater Domini, poi inglo-
bata nella Basilica quale Cappella della Ma-
donna Mora. Accanto ad essa, nel 1229, era
sorto il convento dei frati fondato probabil-
mente dallo stesso sant'Antonio.
Deceduto nel 1231 all'Arcella, a nord della
città, dove sorgeva un monastero di clarisse,
il suo corpo - secon-
do il suo stesso desi-
derio - venne tra-
sportato e sepolto
nella chiesetta di
Santa Maria Mater
Domini.
Il primo nucleo della
Basilica, una chiesa
francescana a una
sola navata con
abside corta, fu ini-
ziato nel 1238; ven-
nero poi aggiunte le due navate laterali e alla
fine si trasformò il tutto nella stupenda co-
struzione che oggi ammiriamo.
L'INTERNO
Ci si può portare agli inizi della navata centra-
le. Si noterà subito come l'architettura, pur
sempre gotica nell'alzata, si distingue netta-
mente in due parti: quella delle navate (in cui
ci si trova) e quella dell'abside oltre il transet-
to. Non soltanto perché quest'ultima è tutta
affrescata, ma soprattutto per la diversa tipo-
logia del gotico.
L'area delle navate appare di ampia spazialità,
ritmata da entrambi i lati da due calme e
solenni campate. Sopra di esse, sia a sinistra
che a destra, corre un ballatoio, il quale ac-
compagna la navata centrale, per poi rinser-
rare tutto intero il transetto.
Più che i resti di decorazioni e dipinti, colpi-
scono i numerosi monumenti funebri, che
rivestono pilastri e altri spazi e che risalgono
soprattutto ai secoli XV-XVII. Oggi noi prefe-
riamo vedere le chiese ripulite da queste
incrostazioni del passato.
Non bisogna però sottovalutare il valore arti-
stico di alcuni monumenti e il fatto che essi
costituiscono un interessante spaccato della
vita civile e culturale della città e della regio-
ne. La presenza di questi monumenti funebri
non interessa però la gran parte dei visitatori.
Prima di lasciare la navata centrale, si osservi
sulla controfacciata il grande affresco di Pie-
tro Annigoni, terminato nel 1985, raffigura
Sant'Antonio che predica dal noce. Il fatto
avvenne a Campo-
sampiero (Padova)
dove il Santo, imme-
diatamente prima
della morte, trascor-
se un breve periodo
di riposo e di racco-
glimento (dalla se-
conda metà di mag-
gio al 13 giugno
1231).
Alla gente (semplice
o malata, indifferen-
te o curiosa; simpatico il contrappunto dei tre
bimbi) e ai suoi frati (ai piedi della scala c'è il
beato Luca Belludi, successore di sant'Anto-
nio) il Santo indica il vangelo come fonte di
luce e di vita.
LA MADONNA DEI PILASTRO
Sulla prima colonna della navata sinistra si
può ammirare la Madonna del Pilastro. È
stata affrescata, pochi anni dopo la metà del
'300, da Stefano da Ferrara.
Non si badi agli angeli che stanno sopra e ai
due apostoli ai lati, che sono aggiunte poste-
riori. Così risalgono probabilmente al '600 i
brillanti diademi sul capo della Madonna e
del Bambino.
Sopra il primo altare a sinistra sta la pala di
san Massimiliano Kolbe, anch’essa dipinta da
Pietro Annigoni nel 1981.
Trieste, …. nell’anno della fede agosto 2013 pag. 3
LA CAPPELLA DEL SANTISSIMO
È la prima cappella della nava-
ta destra. Vi si conserva l'Euca-
ristia. Nel passato era detta Cappella dei
Gattamelata, perché voluta dalla famiglia del
condottiero Erasmo da Narni
(soprannominato Gattamelata, + 1443) come
luogo della sua tomba, che si può vedere
nella parete sinistra; a destra invece è la tom-
ba del figlio Giannantonio (+ 1456).
La cappella, in stile gotico, fu ultima-
ta nel 1458. È di pianta quadrata,
con quattro colonne agli angoli e la
volta a spicchi con costoloni. Tutto il
resto ha subìto varie sistemazioni nel
corso dei secoli. L'ultima, compren-
dente anche l'abside dietro l'altare,
risale agli anni 1927-1936 ed è opera di
Lodovico Pogliaghi, artista assimila-
tore e versatile.
LA CAPPELLA DI SAN GIACOMO
Proseguendo lungo la navata destra,
si raggiunge il transetto che si con-
clude con la Cappella di san Giacomo, voluta
da Bonifacio Lupi, marchese di Soragna
(Parma) con importanti incarichi diplomatici e
militari presso i Carraresi di Padova.
Trieste, … nell’anno della fede agosto 2013 pag. 4
L'elegante e arioso ambiente gotico è stato
realizzato negli anni ‘70 dei Trecento da uno
dei maggiori architetti e scultori veneziani
d'allora, Andriolo de Santi.
La cappella si apre in basso con cinque arcate
trilobate.
LA CROCIFISSIONE.
Immediata è la suggestione che attrae il visi-
tatore e lo avvolge nella calda atmosfera dei
marmi e degli affreschi, finiti di restaurare nel
2000, che ricoprono tutta la superficie interna
della cappella. Lo sguardo va spontaneamen-
te alla grandiosa e drammatica Crocifissione,
capolavoro di Altichiero da Zevio (Verona), il
massimo pittore italiano della seconda metà
del '300, che lo realizzò sempre negli anni ‘70
appena pronta la cappella.
STORIA DI SAN GIACOMO. - Le otto lunette
della cappella e uno scomparto ci presentano
alcuni momenti della storia di san Giacomo,
desunti dalla Legenda sanctorum o aurea di
Jacopo da Varazze (1255?). Era un testo allora
molto diffuso con intenti devozionali e che
dava largo spazio a tradizioni e leggende e al
quale tanti artisti hanno abbondantemente
attinto.
L'apostolo è san Giacomo il Maggiore (fratello
di san Giovanni) il cui santuario di Compostel-
la (Galizia/Spagna) era una delle grandi mete
di pellegrinaggio della cristianità, specialmen-
te nei secoli X-XV. L'autore degli affreschi è
ancora Altichiero da Zevio, ma con la collabo-
razione di Jacopo Avanzi,
bolognese, la cui mano non
è sempre facilmente distin-
guibile.
Proseguendo verso il deam-
bulatorio, si lascia a destra
l'uscita che conduce al
Chiostro della Magnolia e,
più avanti, l'entrata verso la
Sacrestia; a sinistra, invece,
il complesso presbiterio-coro chiuso da una
superba cortina marmorea. Si giunge così alla
prima cappella del deambulatorio.
LA CAPPELLA DELLE BENEDIZIONI
In questa cappella i fedeli amano far benedire
anche oggetti personali, come ricordo duratu-
ro e visibile dell’incontro di grazia avvenuto in
Basilica.
Ma ad attirare l'attenzione sono ora anche gli
affreschi di Pietro Annigoni, i quali realizzano
una stretta sintesi su un tema che ci sembra
emergere con maggiore evidenza: la tragedia
del peccato.
La predica ai pesci, a sinistra (1981). L'episo-
dio, stando alla fonte più antica, Actus beati
Francisci et sociorum eius (1327-40), avvenne
a Rimini nel 1223, alla foce della Marecchia.
li Santo, vista la sua predicazione osteggiata
da eretici e catari, se ne andò a parlare con i
pesci, che affluirono numerosi guizzando
fuori dalle onde. L'artista ci presenta il Santo
che poggia sicuro su un grosso masso
(allusione al Cristo) nell'atto di mediatore
d'una fede "rappresentata" da quell'accorrere
vivace dei pesci verso il loro Creatore. Accan-
to a lui, un compagno dalla fede tentennante
guarda impaurito la turba in arrivo. Al di là del
Santo, più che le parti impressiona l'insieme:
uomini e cose, tutto è sconvolto e sembra
sfasciarsi. Così finisce il mondo che rifiuta Dio.
Il Santo affronta il tiranno Ezzelino da Roma-
no (1982). Secondo la Chronica dei notaio
padovano Rolandino (1262) il fatto narrato
dall'affresco è avvenuto poco prima che il
Santo si ritirasse nell'eremo di Camposampie-
ro, quindi nel maggio del 1231. Pregato dagli
amici di Rizzardo di San Bonifacio (Verona)
sequestrato con altri della
fazione ghibellina, sant'An-
tonio si recò da Ezzelino III
da Romano, per otteneme il
rilascio. L'esito della missio-
ne fu negativo. L'artista
fissa l'incontro dei due per-
sonaggi nella fase finale: un
diniego che non ammette
ripensamenti.
L'ostinazione del tiranno è resa dal risoluto
gesto delle mani. Dietro di lui, il truce consi-
gliere, raffigurato nella sua vera identità: il
diavolo, l'ingannatore.
Ma Ezzelino non è dei tutto tranquillo: si pro-
Trieste, …. nell’anno della fede agosto 2013 pag. 5
tende in avanti, verso il Santo, con la bocca
contratta da una smorfia, cercando di scruta-
re diffidente la fonte di tanta semplicità e
coraggio. Antonio ha in mano il vangelo, ma
esso è ormai chiuso per il tiranno.
Sant'Antonio, rassegnato, ha compassione del
tiranno prigioniero di se stesso. Dietro, le
ombre dei prigionieri, sospinti dalle guardie;
gli uni estranei agli altri.
La Crocifissione (1983). - Le proporzioni, lo
stacco e il risalto conferito dalla finta parete
con cui è raffigurato il Crocifisso suscitano
un'immediata forte reazione. Lo sguardo
segue trepidante le gambe inarcate e lacere
di sangue di Cristo. Il petto è stirato in giù e
l'addome rigonfio, come avviene in questi
condannati. Le braccia sono crudamente sti-
rate e tutto il corpo sembra crollare. Il volto è
uno strazio. Intorno l'atmosfera umida e
plumbea è solcata da un lampo: unico segno,
tale da non disperdere l'attenzione, dell'eco
della natura. In alto, nel mezzo, una luce scar-
latta, di amore e di sangue, rivela il senso ed
esalta la sofferenza sacrificale di Cristo, che
sembra sussurrare: "Dio mio, Dio mio, perché
mi hai abbandonato?".
Uscendo dalla cappella, guardia-
mo in alto per risollevarci l'animo
nelle serene e alte volte della
parte absidale della Basilica. Pro-
seguiamo lungo il deambulatorio,
lasciando a destra la Cappella
americana o di santa Rosa da
Lima (1586-1617) patrona dell'A-
merica, delle Filippine e delle
Indie occidentali; a cui segue la
Cappella germanica o di san Boni-
facio (673-755), grande evangeliz-
zatore della Germania; infine la
Cappella di santo Stefano, primo
martire cristiano, contenente
chiari e agili affreschi dell'italiano
Ludovico Seitz (1907), fecondo pittore ade-
rente al movimento dei "Nazareni".
Si raggiunge così, sempre alla nostra destra, il
centro del deambulatorio da dove ci si im-
mette nella Cappella dei Tesoro.
LA CAPPELLA DEL TESORO
Questa cappella, iniziata nel 1691,opera ba-
rocca del Parodi, allievo dei Bernini, ha trova-
to un distinto spazio nella Basilica, senza di-
sturbarne la coerenza gotica.
L'architettura si trasforma davanti a noi in
trionfo, che inizia dalla balaustrata con le sue
sei statue in marmo, dei Parodi.
Al di là della balaustrata, il passaggio che
consente ai visitatori di ammirare il "tesoro"
della Basilica, che dà il nome alla cappella e
che è raccolto in tre nicchie distinte da para-
ste binate e precedute in basso da coppie di
angeli
L'insieme è coronato da cordoni di angeli
festanti (in stucco, di Pietro Roncaioli da Lu-
gano) che conducono a Sant'Antonio in gloria
(in marmo, del Parodi). Altre decorazioni nel
tamburo della cupola (del Roncaioli) e nella
calotta (inizi di questo secolo).
Memorie del Santo (antistanti la balaustrata).
Prima di salire verso le nicchie, sostiamo ad
osservare alcune memorie di san t'Antonio,
che nel 1981 sono state collocate nell'area e
sulle pareti antistanti la balaustrata.
Nel gennaio del 1981 in occasione dei 750
anni dalla morte del Santo,
nell'intento di precisare lo stato
dei resti mortali di sant'Antonio,
nominate allo scopo u-
na"commissione religiosa pontifi-
cia" e una "commissione tecnico -
scientifica", venne aperta la tom-
ba di sant'Antonio, per la seconda
volta nella storia. (Vedi la pagina
delle ricognizioni) Vi si trovò:
una grande cassa di legno di abe-
te, rivestita di quattro teli di lino
e, sopra di essi, due drappi dorati
finemente ricamati;
nell'interno della grande cassa,
una seconda cassa più piccola
(sempre in legno di abete) a due scomparti
disuguali e con il coperchio percorso in lun-
ghezza da una cordicella con tre sigilli; all'in-
terno tre involti di seta rosso-cremisi fine-
mente ricamati (ricavati probabilmente da un
Trieste, … nell’anno della fede agosto 2013 pag. 6
piviale) e con preziose bordure applicate cia-
scuno contrassegnato da una scritta in perga-
mena cucita indicante il contenuto e cioè:
• l'intero scheletro, ad eccezione dei men-
to, dell'avambraccio sinistro e di qualche
altra parte minore;
• gli altri resti, in gran parte allo stato di
polvere;
• la tonaca, in tessuto di lana color cinerino.
• All'esterno della grande cassa nel loculo
che la conteneva si è trovato:
• una lapide con le date della morte dei
Santo, della sua canonizzazione e della
traslazione dei suoi resti dalla chiesetta di
Santa Maria Mater Domini alla nuova
Basilica (8 aprile 1263)
• parecchi anellini (10 bianchi e 50 neri) di
collana o corona.
Per capire in parte tutto ciò, bisogna risalire al
1263. Terminata la seconda fase di costruzio-
ne della Basilica, in occasione dei "capitolo
generale" che radunava a Padova i francesca-
ni ed essendo ministro generale dell'Ordine
san Bonaventura, si trasferì la tomba del San-
to dalla chiesetta di Santa Maria Mater Domi-
ni al centro della Basilica, sotto l'attuale cupo-
la conica (davanti al presbiterio).
In quell'occasione fu aperta per la prima volta
la bara che conteneva i resti dei Santo, so-
prattutto per estrame alcune reliquie da offri-
re alla devozione dei fedeli anche in altre
chiese. Grande fu la sorpresa nel vedere an-
cora incorrotta la sua lingua. Fu allora che san
Bonaventura, con il cuore colmo di ammira-
zione, pregò ad alta voce:
O lingua benedetta, che hai sempre benedet-
to il Signore e dagli altri lo hai fatto sempre
benedire: ora appare manifesto quanti meriti
hai acquistato presso Dio.
Si decise, allora, di conservare a parte la lin-
gua dei Santo, il mento, l'avambraccio sinistro
e qualche altra reliquia minore. Tutto il resto
venne distribuito nei tre involti in seta rosso-
cremisi, di cui si è parlato, e collocato in una
piccola cassa e questa, a sua volta, nella cassa
più grande.
La recente ricognizione del 1981 ha offerto
l'opportunità di eseguire adeguate indagini di
carattere storico, tecnico e artistico, antropo-
logico e medico, su tutto il materiale che è
stato rinvenuto. Lo scheletro dei Santo è sta-
to in seguito ricomposto su un materassino e
posato in una cassa di cristallo. In essa sono
stati collocati due cofanetti in vetro con gli
altri resti. La cassa di cristallo poi è stata rin-
chiusa in una bara di rovere e ricollocata nella
tomba.
Sono invece stati esposti in questa Cappella
dei Tesoro: la tonaca del Santo, le due casse
in legno, la cordicella e due sigilli, i tre panni
di seta rosso-cremisi ricomposti in piviale, i
due grandi drappi dorati, la lapide, le moneti-
ne e gli anellini. Tutte cose che qui si possono
devotamente osservare.
Salendo da sinistra verso si trovano le tre
nicchie che racchiudono reliquie di sant'Anto-
nio e di altri santi, ma soprattutto un gran
numero di doni offerti per riconoscenza o
devozione da illustri pellegrini dei passato al
Santo di Padova. Ciò che invece deve focaliz-
zare l'attenzione sono le più prestigiose reli-
quie di sant'Antonio, che si trovano nella
nicchia centrale. La lingua del Santo (al cen-
tro). Non si pensi di vedere una lingua di colo-
re rosso vivo. Ma ciò che si vede costituisce
ugualmente un fatto inspiegabile, dato che si
tratta di una parte anatomica fragilissima e
tra le prime a dissolversi dopo la morte. Ora
sono passati oltre 770 anni dalla dipartita di
sant'Antonio e quella lingua costituisce un
miracolo perenne, unico nella storia e carico
di significato religioso, quale suggello dell'o-
pera di rievangelizzazione della società ad
opera del Santo.
Degno di accoglienza di così incredibile reli-
quia è il finissimo e delicato capolavoro di
armonia e di grazia, in argento dorato, opera
di Giuliano da Firenze (1434-36). La reliquia
del mento (in alto). Più esattamente si tratta
della mandibola, collocata in un reliquiario
concepito come un busto, con aureola e cri-
stallo in luogo dei volto. È stato commissiona-
to nel 1349 dal cardinale Guy de Boulogne-
Trieste, …. nell’anno della fede agosto 2013 pag. 7
sur-Mer, miracolato dal Santo: Egli stesso lo
portò a Padova l'anno dopo, procedendo
solennemente alla sistemazione del mento in
questo reliquiario (in argento dorato). Le
cartilagini laringee (in basso). Queste, ancora
conservate, che sono gli strumenti della fona-
zione, cioè della parola, hanno subito attirato
l'attenzione, pur non costituendo un fatto
inspiegabile come la lingua, nella recente
ricognizione dei 1981. Si è pensato quindi di
collocarle in visione insieme alla lingua del
Santo. Il reliquiario è opera del trevisano
Carlo Balljana.
Uscendo dalla Cappella dei Tesoro e prose-
guendo a destra, si incontrano: la Cappella
polacca o di san Stanislao (+ 1079), vescovo e
martire, patrono della Polonia; di seguito la
Cappella austroungarica o di san Leopoldo
(1075-1136), margravio e patrono d'Austria;
segue la Cappella di san Francesco; e infine la
Cappella di san Giuseppe.
LA CAPPELLA DELLA MADONNA MORA
Un po' più avanti, sempre sulla destra, si en-
tra nella Cappella della Madonna Mora.
Ci troviamo nell'ambiente dell'antica chieset-
ta di Santa Maria Mater Domini (fine secolo
XII-inizio XIII) inglobata nell'attuale Basilica.
Qui di certo ha pregato sant'Antonio e qui
desiderava essere portato nell'approssimarsi
della sua morte. In essa è poi stato sepolto
fino al 1263.
La statua della Madonna Mora che domina
l'altare è stata realizzata nel 1396 da Rainaldi-
no di Puy-l' Evéque, un artista guascone. I
padovani l'hanno chiamata "Madonna Mora"
per il volto colorito, ma il titolo esprime so-
prattutto il loro rapporto di confidente fami-
liarità.
A nord si apre la Cappella del beato Luca Bel-
ludi, detta anche dei Santi Filippo e Giacomo
il Minore, apostoli. È stata aggiunta al com-
plesso della Basilica nel secondo Trecento, e
chiamata del beato Luca, compagno e succes-
sore di sant'Antonio, perché sotto la mensa
dell'altare vi è la sua tomba. Qui sostano
spesso gli studenti padovani, che si affidano
all'intercessione del beato nel loro difficile
impegno di studi.
La cappella è stata, comunque, dedicata fin
dall'inizio ai santi Filippo e Giacomo. Molto
interessanti gli affreschi del fiorentino Giusto
de' Menabuoi, che risalgono sempre alla se-
conda metà del Trecento (1382). Deperiti a
causa soprattutto dell'umidità, sono stati di
recente recuperati da un riuscito restauro che
ne ha valorizzato il notevole livello artistico.
Il sarcofago pensile è oggi vuoto. L'altare è del
Duecento e pare che dal 1263 al 1310 fosse
l'altare-tomba di sant'Antonio, collocato però
davanti al presbiterio della Basilica, sotto la
cupola conica.
LA CAPPELLA DELLA TOMBA DI SANT'ANTO-
NIO
La tomba del Santo è stata chiamata fin dagli
inizi anche "Arca". In questa cappella, sotto la
mensa dell'altare e ad altezza d'uomo, c'è la
tomba del Santo, qui collocata dopo essere
stata dal 1231 al 1263 nella chiesetta Santa
Maria Mater Domini (oggi Cappella della Ma-
donna Mora) e dal 1263 al 1310 nel centro
della Basilica, di fronte al presbiterio, sotto
l'attuale cupola conica; incerta invece rimane
la collocazione della tomba dal 1310 al 1350
(che può essere stata anche l'attuale). Dal
1350 è sempre rimasta in questa cappella.
Fino agli inizi del Cinquecento lo stile con cui
era ornata la cappella era quello gotico, con
affreschi di Stefano da Ferrara, lo stesso della
Madonna del Pilastro.
L'arredo attuale, cinquecentesco, notevol-
mente unitario dal punto di vista architettoni-
co e scultoreo, sembra doversi attribuire a
Trieste, … nell’anno della fede agosto 2013 pag. 8
Tullio Lombardo.
L'altare è piuttosto invadente, ma l'artista
Tiziano Aspetti (che lo realizzò verso la fine
dei Cinquecento) era condizionato dall'altezza
difficilmente modificabile della tomba, di
certo precedente. Le statue sull'altare
(sant'Antonio tra san Bonaventura e san Lu-
dovico d'Angiò) sono dello stesso artista,
mentre altri bronzisti hanno realizzato gli
Angeli portacero, il cancelletto e i due piccoli
candelabri.
Quelli più grandi e slanciati, su supporti d'an-
geli in marmo, sono invece creazione secen-
tesca di Filippo Parodi.
Altorilievi che accompagnano l'itinerario in-
torno alla tomba. - Con un po' di attenzione e
di buon senso si può armonizzare, per chi lo
desidera, una sosta di raccoglimento presso la
tomba del Santo con uno sguardo sommario
ai nove altorilievi che la cappella ci propone.
1. Sant'Antonio riceve l'abito francescano.
Opera di Antonio Minello (1517).
2. Il marito geloso, la cui moglie, pugnalata
per gelosia, viene risanata dal Santo. Il
lavoro, iniziato da Giovanni Rubino (detto
il Dentone), fu portato a termine da Silvio
Cosini (1536).
3. Il giovane risuscitato dal Santo. Il Santo,
prodigiosamente trasferitosi in Portogal-
lo, risuscita un giovane perché riveli l'i-
dentità dei suo vero assassino così da
scagionare il padre di Antonio, nel cui
orto il cadavere era stato occultato. Inizia-
to da Danese Cattaneo, fu ultimato da
Girolamo Campagna (1573).
4. La giovane risuscitata. Si tratta di una
ragazza annegata, risuscitata dal Santo,
che nella rappresentazione non compare
anche se in alto si vede la sua Basilica. È
opera di Jacopo Sansovino (1563). Realiz-
zazione ben calibrata e intensamente
vigorosa.
5. Il bambino risuscitato. Si tratta del nipoti-
no di sant'Antonio. Opera di Antonio Mi-
nello con ritocchi del Sansovino (1536).
6. Il cuore dell'usuraio defunto non viene
trovato dove doveva essere, ma nel suo
forziere, come il Santo aveva sostenuto.
Opera di Tullio Lombardo (1525).
7. Sant'Antonio riattacca il piede a un giova-
ne, che per disperazione se l'era troncato
dopo aver dato un calcio alla madre. Evi-
dente la mano di Tullio Lombardo (1504).
8. Il bicchiere rimasto intatto, dopo essere
stato scagliato a terra per sfida da uno
che non credeva nella predicazione e nei
prodigi operati da sant'Antonio. Iniziato
da Giovanni Maria Mosca, fu portato a
termine da Paolo Stella (1529).
9. Sant'Antonio fa parlare un neonato, per-
ché attesti la fedeltà della madre, ingiu-
stamente sospettata dal marito geloso.
Opera di Antonio Lombardo (1505), fratel-
lo di Tullio.
IL COMPLESSO CORO-PRESBITERIO
Per visitare questo settore della Basilica è
necessario rivolgersi a uno dei custodi.
La decorazione della parte absidale della Basi-
lica. La decorazione pittorica che ricopre la
parte absidale della Basilica è stata realizzata
dal bolognese Achille Casanova e aiuti tra il
1903 e il 1939, secondo un ampio progetto
iconografico che non è il caso di presentare.
L'intervento è stato molto criticato, perché
troppo scolastico e disturba le pure linee
architettoniche, che avrebbe dovuto invece
accompagnare con semplicità e discrezione.
Ma sarebbe riduttivo vedere soltanto ciò.
L'opera ha in effetti qualcosa di grandioso ed
è certo unica. Quando la Basilica è debita-
mente illuminata, si resta affascinati da una
Trieste, …. nell’anno della fede agosto 2013 pag. 9
viva e avvolgente emozione
In basso, il coro: con tale termine si intende
sia l'ambiente retrostante l'altare maggiore
sia l'insieme degli stalli in cui sostano i religio-
si per la celebrazione della "Liturgia delle
ore", che è la preghiera ufficiale della Chiesa
per il mondo, e durante la quale non manca
mai il ricordo di quanti si raccomandano alle
preghiere dei frati. Fino al 1649 il coro si tro-
vava davanti all'attuale altare, nel presbiterio.
Così era fino al concilio di Trento nella gran
parte delle chiese che avevano il coro, come
si può vedere tuttora particolarmente nelle
chiese anglicane; poi gradualmente il coro è
stato trasportato dietro
l'altare per consentire ai
fedeli di vedere meglio
l'altare e di seguire con
maggiore attenzione la
liturgia. Gli attuali stalli dei
coro della Basilica risalgono
al secondo Settecento. I
precedenti, capolavoro
gotico dei fratelli Lorenzo e
Cristoforo Canozzi e aiuti
(1462-69), furono distrutti dall'incendio del
1749.
Il candelabro pasquale: capolavoro di Andrea
Briosco. A nord dell'altare si può osservare il
superbo candelabro pasquale in bronzo di
Andrea Briosco, detto il Riccio, terminato nel
1515. Non solo per dimensioni (m 3,92 più
1,44 di basamento marmoreo) ma anche per
complessità e livello di fattura esso è uno dei
massimi candelabri dell'Occidente cristiano.
IL COMPLESSO DONATELLIANO: una grandio-
sa sinfonia della vita e della fede. - Concludia-
mo la visita della Basilica, osservando alcune
delle trenta opere che il grande Donatello ha
creato a Padova, dal 1444 al 1450, e che co-
stituiscono uno degli eventi fondamentali del
rinascimento e dell'arte non solo italiana.
LA DEPOSIZIONE. - L'opera (si trova nel retro
dell'altare maggiore) è in pietra di Nanto
(Colli Berici, Vicenza). Quattro discepoli, tesi
dal dolore, adagiano il nudo inerte corpo di
Cristo nel sepolcro. Dietro esplode lo strazio
delle donne. Nel centro la Maddalena: più
delle altre 43 donne ella esprime l'orrore di
essere rimasta sola, nella memoria del suo
peccato. E, nella rivelazione cristiana, il pec-
cato è la causa profonda della morte.
Il miracolo della mula (a sinistra, piuttosto in
alto, sempre nel retro dell'altare). L'artista
situa il noto episodio nella grandiosità di una
Basilica, davanti all'altare. Gli studiosi, e non
solo loro, continuano a stupirsi di fronte alla
magia donatelliana che sa dare a spazi ridotti
ampiezza e profondità inattese, utilizzando
linee, decorazioni e materiali di vario colore.
Lo sguardo scende dalle volte laterali, dilatan-
dosi nello scorrere delle
linee trasversali, e come
un'onda raccoglie le due
masse di uomini e le spinge
verso l'altare. Qui, di fronte
all'acceso diffondersi della
luce si avverte la serena
calma della presenza di
Dio: lo rivelano la santità e
la fede di Antonio da una
parte e la voce silenziosa
della natura dall'altra. La scoperta della pre-
senza di Dio si riflette nelle risonanze indivi-
duali dei presenti: una sola umanità agitata e
ansiosa di Dio, un frantumarsi di reazioni...
Donatello, come tutti i grandi geni, trascende
la cultura dei suo tempo e ci appare quanto
mai moderno. Come si può vedere, il rilievo
molto basso riduce in prospettiva il volume
dei corpi, che vengono appiattiti e dilatati
acquistando così un suggestivo valore pittori-
co. Questa tecnica, nella quale il Donatello è
stato maestro, è chiamata con il termine to-
scano (stiacciato", che vuol dire "schiacciato".
Sulla destra del controaltare, l'artista presen-
ta Sant'Antonio che fa parlare un neonato
(perché attesti la fedeltà della madre, ingiu-
stamente sospettata dal marito). In basso a
destra: il bue (alato e nimbato per indicare
che è il simbolo di un santo, nel caso dell'e-
vangelista san Luca); a sinistra: il leone
(simbolo di san Marco).
L'ALTARE MAGGIORE. Quello che ora vedia-
Trieste, … nell’anno della fede agosto 2013 pag. 10
mo fu realizzato nel 1895 da Camillo Boito
(fratello dei musicista Arrigo) ed è l'ultimo fra
i diversi altari innalzati in Basilica nel corso
dei secoli. Queste variazioni sono dovute al
mutare della sensibilità e della prassi liturgica.
In quello attuale sono stati radunati tutti i
capolavori del Donatello, che prima erano
sparsi in altri posti della Basilica. Eccoli di
seguito descritti ad uno ad uno.
I 14 PICCOLI ANGELI E IL COMPIANTO DI
GESÙ. In basso, lungo il lato frontale e i lati
laterali dell'altare, sono stati collocati 10 ori-
ginalissimi angeli musicanti (in dieci formelle)
e 4 angeli cantori (in due formelle, quelle ai
lati del Cristo morto). Benché non manchi in
essi qualcosa di goffo, come del resto nell'ar-
te dei tempo non ancora matura nella rappre-
sentazione del bambino, questi putti suscita-
no in noi un'immediata simpa-
tia per l'impegno tutto infanti-
le con cui vivono la loro parte.
Al centro il Compianto di Gesù
morto: una pagina di commo-
vente tenerezza.
La porticina dei Tabemacolo
presenta Cristo morto assiso
sul sepolcro (dei 1496: non si
conosce lo scultore). Ai lati:
alla nostra sinistra, Sant'Anto-
nio riattacca il piede ad un
giovane (che se l'era mozzato
per disperazione dopo aver
dato un calcio alla madre); a
destra, Il cuore dell'usuraio
(che non viene trovato dal chirurgo nel petto
dell'usuraio, ma nel suo forziere).
• Santa Giustina e san Daniele. - Più in su,
sopra l'altare, alla nostra sinistra: Santa
Giustina (giovane martire padovana, il cui
culto è attestato fin dal V secolo e alla
quale è dedicata la grandiosa Basilica nel
vicino Prato della Valle); a destra, San
Daniele (giovane diacono di Padova, mar-
tire agli inizi dei IV secolo e i cui resti ripo-
sano nel Duomo).
• L'altare estende ai lati due ali più basse
sulle quali, alla nostra sinistra, si ha: sotto,
l'angelo (simbolo di san Matteo) e, sopra,
San Ludovico; alla nostra destra: sotto,
l'aquila (simbolo di san Giovanni evangeli-
sta) e, sopra, San Prosdocimo.
• San Ludovico d'Angiò San Ludovico
d'Angiò e San Prosdocimo. San Ludovico
(127 - 497), figlio di Carlo Il d'Angiò, re di
Napoli: rifiutò la successione e, prima di
accettare di essere vescovo di Tolosa,
volle passare attraverso l'esperienza fran-
cescana. Le sue scelte suscitarono una
vasta impressione. Morì a 23 anni.
• San Prosdocimo (seconda metà del III
secolo) è il fondatore e il primo vescovo
della città di Padova. La sua tarda età è
stata confermata dalla recente ricognizio-
ne delle ossa, che riposano nella Basilica
di Santa Giustina.
• San Francesco e sant'Anto-
nio. - Ai lati della Madonna
Donatello ci presenta san
Francesco e sant'Antonio,
grandi protagonisti della vita
religiosa e culturale del Due-
cento.
• La Vergine e il Figlio. Il
tema centrale di tutta la sinfo-
nia donatelliana. La Madonna
è giovanissima, anch'essa in
varie parti incompiuta: appena
uscita dall'opera del fonditore,
ha la freschezza della prima
creazione. Ci impressiona
tanta bellezza unita a tanta fissità di dolo-
rosi pensieri. Ci ricorda certa statuaria
antica, ma qui c'è anche il moto della vita
e della storia.
• Il Crocifisso. - Dietro la statua della Vergi-
ne s'innalza e domina lo spazio il Crocifis-
so. Come lasciano intuire le proporzioni,
esso non è stato realizzato dal Donatello
per l'altare, ma per essere collocato nel
mezzo della chiesa.
Lo si osservi dal basso. Il chiodo gonfia e in-
crespa le vene trasversali del piede destro.
Trieste, …. nell’anno della fede agosto 2013 pag. 11
L'occhio scorre con dolore lungo le gambe
inarcate e spostate a destra, ma non ancora
irrigidite. Impressionanti, specie se colpiti
dalla luce, il ventre e il petto, che lasciano
intravedere lo scheletro. Le braccia sono per-
corse dal fremito ancora vivo delle vene e dei
nervi. Il volto è quello di un eroe che fonde
bellezza e coraggio.
SACRESTIA
La sacrestia è preceduta da un atrio adorno di
pregevoli affreschi. Sono attribuibili a un se-
guace di Girolamo Tessari (detto anche Dal
Santo). Rappresentano due miracoli: sant'An-
tonio predica ai pesci e il bicchiere scagliato a
terra rimane intatto (entrambi dei 1528).
Nella lunetta sopra la porta murata, bell'af-
fresco della metà dei '200: Vergine coi Bambi-
no tra i santi Francesco e Antonio.
Entrati nella luminosa sacrestia, si ammiri
subito la volta tutta ravvivata dagli affreschi
di Pietro Liberi che cantano, con estro e sbri-
gliata fantasia, la gloria di sant'Antonio
(1665).
Sulla destra dopo l'entrata, la parete è occu-
pata da un grande armadio a muro, opera di
Bartolomeo Bellano (1469-1472). Le dieci
tarsie che lo illuminano sono di Lorenzo Ca-
nozzi (1474-1477); rappresentano (da sini-
stra): i santi Bernardino e Girolamo, France-
sco e Antonio, Ludovico d'Angiò e Bonaventu-
ra; nei pannelli sottostanti, nature morte con
Iibri e oggetti liturgici. Sulle altre pareti, tele a
olio di Francesco Suman (1847).
Attraversata una stretta saletta, si scende
nell'ariosa sala dei capitolo (si chiamano capi-
toli le riunioni ufficiali dei frati). Originaria-
mente era decorata con un ciclo d'affreschi
attribuiti a Giotto. Purtroppo ora ne rimango-
no pochi resti.
BASILICA DI SANTA GIUSTINA
STORIA
Nel tempo in cui la Patavium romana era nel
suo massimo splendore, nella zona in cui
ancora oggi sorge la Basilica e il Monastero di
S. Giustina, c’era uno o più sepolcreti
dell’aristocrazia pagana e un cimitero cristia-
no. Qui il 7 ottobre del 304 fu deposto il cor-
po della giovane Giustina, messa a morte
perché cristiana, per sentenza
dell’Imperatore Massimiano, allora di passag-
gio a Padova.
Poco dopo il 520, ad opera di Opilione, pre-
fetto del pretorio e patrizio, sorse la prima
Basilica con l’attiguo Oratorio, decorata di
marmi preziosi e di mosaici. Se ne ha una
descrizione nel 565 in Vita S. Martini, Libro IV,
672-670, di Venanzio Fortunato.
La Basilica cimiteriale oltre alle spoglie della
Patrona della città e diocesi, fu arricchita di
corpi e reliquie di molti santi, luogo di sepol-
tura prescelto dai vescovi. Divenne così, già
nel secolo VI, meta di pellegrinaggi dal mo-
mento che il culto di S. Giustina era ormai
diffuso nelle zone adiacenti al litorale adriati-
co. Bisogna risalire al 971 per avere notizie
certe circa la presenza dei monaci benedettini
neri a S. Giustina, e questo per merito del
Vescovo di Padova Gauslino, il quale col con-
senso del suo Capitolo ristabilì un monastero
sotto la Regola di S. Benedetto, dotandolo di
beni territoriali, di chiese e cappelle in città e
in campagna. Iniziò così lo sviluppo progressi-
vo operato dai monaci, che tanti benefici
Trieste, … nell’anno della fede agosto 2013 pag. 12
apportarono a tutto l’agro padovano con le
bonifiche terriere che trasformarono le im-
mense paludi e le sterminate boscaglie in
distese di fertilissime campagne.
ARTE
SANTA GIUSTINA
Illustre per natali, ma più ancora per il suo
cristianesimo, la sua mente pura seppe con-
seguire la palma di altissima vittoria, il marti-
rio. Trovandosi a Padova sua patria, vi soprag-
giunse il crudele imperatore Massimiano, il
quale nel Campo Marzio istituì un tribunale
per uccidere i Santi di Dio. La beatissima Giu-
stina mentre si affrettava a visitare i servi di
Dio, fu sorpresa dai soldati presso Pontecorvo
e portata al cospetto di Massimiano. Dopo
una serie di domande sprezzanti circa la sua
fede cristiana, e l’invito con minacce a sacrifi-
care al grande dio Marte, di fronte alla co-
stanza e alla fermezza della sua fede in Cristo,
il crudele imperatore, preso da ira, emanò la
sentenza: “Giustina, afferma di rimanere
vincolata alla religione cristiana; e non inten-
de obbedire alle nostre ingiunzioni, coman-
diamo che sia uccisa di spada.” Ciò udendo, la
beata Giustina esclamò: “Ti rendo grazie,
Signore Gesù Cristo, che ti sei degnato di
ascrivere nel tuo libro la tua martire. (…) ac-
cogli la tua ancella nel grembo tuo, che siedi
nel trono, mia luce, perla preziosa, che sem-
pre ho amato.”
Finita la preghiera, piegate a terra le ginoc-
chia, il sicario le immerse la spada nel fianco.
Così trafitta, fattosi il segno della santa croce,
serenamente spirò. Era il 7 ottobre 304. I
cristiani vedendo l’ardore della sua fede e la
venerabile sua passione, deposero il suo cor-
po nel cimitero appena fuori Padova, dove
attualmente sorge l’Abbazia. (Passio S. Justi-
nae Virginis et Martiris, sec.VI).
LA BASILICA DI SANTA GIUSTINA
È uno degli esemplari più grandiosi e geniali
di libera e ragionata traduzione in stile del
tardo Rinascimento, della grande architettura
imperiale romana. Nelle varie campate della
navata e delle crociere si ripete un unico mo-
tivo: una cupola, insiste mediante pennacchi
su un quadrato di quattro arconi a tutto se-
sto, i quali si scaricano sui sostegni verticali.
Un apporto prettamente veneto è dato alla
nostra chiesa dalla molteplicità delle cupole
esterne. Un influsso bramantesco permane,
forse derivante dal primo progetto del 1501,
nelle finestre delle absidi e nei grandi occhi
delle navate e della crociera. Gli autori di
questo capolavoro che è la Basilica di S. Giu-
stina, sono Andrea Briosco (1517), il cui pro-
getto fu successivamente modificato da Mat-
teo da Valle (1520).
Santa Giustina rivela un architetto di tanta
genialità, da ideare un edificio di smisurata
mole e di inusitata architettura, di tanta
scienza ed esperienza, da affrontare e risolve-
re a perfezione i difficilissimi problemi di sta-
tica, di proporzioni, di prospettiva.
Chi sia questo ignoto fino ad oggi non è dato
saperlo.
IL CAMPANILE
La parte inferiore, fino alla cornice più bassa,
è il campanile antico (secolo XII). Esso consta-
va di una canna cieca a pianta quadrata (sette
metri di lato), rafforzata su ciascuna fascia da
due lesene a doppia ghiera, continue dall’alto
al basso e legate in alto da doppia corona
d’archetti, sopra la quale era la cella campa-
naria, con una bifora per lato; era sormontata
da una cuspide.
Nel 1599, poiché la mole della nuova chiesa
impediva alla città di sentir le campane, la
vecchia torre fu raddoppiata d’altezza, mu-
rando le bifore, togliendo la cuspide, riem-
piendo i vuoti fra le lesene. L’aggiunta è una
Trieste, …. nell’anno della fede agosto 2013 pag. 13
bella costruzione, che porta il campanile a
circa 82 metri di altezza. Sostiene 7 campane
(la più grossa pesa 2 tonnellate e mezzo) del
secolo XVIII, le quali, benché fuse in anni di-
versi e da diversi maestri, formano un magni-
fico e armonioso concerto, il più bello di Pa-
dova. Dal campanile, guardando la Basilica,
sulla cupola centrale si ammira la statua di
rame di S. Giustina in atto di proteggere la
città. Sulle quattro cupolette: statue (in lami-
na di piombo) dei Santi Prosdocimo, Benedet-
to, Arnaldo, Daniele diacono.
L’INTERNO
Magnifico nella sua austera nudità, solenne
ma accogliente, poderoso e slanciato, gran-
dioso eppure raccolto, armoniosissimo nelle
perfette proporzioni, nell’equilibrio tra pieni e
vuoti, nella lieta, diffusa e ricca luminosità. E’
il trionfo della volta e dell’architettura di mas-
sa, alla quale è affidato tutto l’effetto.
Pur vincolato da precedenti lavori lasciati
incompleti, per combinazione di due schemi
architettonici diversi, presenta perfetta unità,
e pare opera di primo getto. Nel progetto
dovevano apparire visibili all’esterno ben
sette cupole grandi e quattro piccole, è inve-
ce probabile che all’interno tutte (salvo quella
centrale) dovessero essere semplici catini: tali
son restati nel braccio lungo della navata
maggiore; quelle della crociera e del presbite-
rio furono «aperte» circa il 1605 per consiglio
di Vincenzo Scamozzi, per migliorare
l’acustica, che divenne, così, perfetta.
La cupola di mezzo fu fatta negli anni tra il
1597 e il 1600; le quattro piccole furono
«aperte» anche più tardi di quelle grandi.
Il bel pavimento fu iniziato circa nel 1608 e
finito nel 1615; è di marmo di Verona giallo e
rosso, e pietra di paragone. Vi sono inseriti,
specialmente nei tratti longitudinali fra i pila-
stri, molti pezzi di marmo greco appartenenti
all’antica basilica di Opilione.
Nel mezzo della navata, ammiriamo lo stu-
pendo Crocifisso ligneo (secolo XV). Mirabile
la testa per bellezza di tratti ed efficacia di
espressione.
LE CAPPELLE
A destra e a sinistra delle navate laterali si
dispiegano venti cappelle, dieci da una parte
e dieci dall’altra: San Paolo, S. Gertrude, S.
Gerardo, S. Scolastica, S. Benedetto, i SS.
Innocenti, S. Urio, S. Mattia, S. Massimo, La
Pietà, il Santissimo, Beato Arnaldo da Limena,
S. Luca, S. Felicita, S. Giuliano, S. Mauro, S.
Placido, S. Daniele, S. Gregorio, S. Giacomo.
In ciascuna delle cappelle sono custodite
preziose tele di Palma il Giovane, Luca Gior-
dano (1676), Sebastiano Ricci (1700), Bene-
detto Caliari (1589), Antonio Zanchi (1677),
Valentino Le Fevre (1673), Giovanni Battista
Maganza (1616), Claudio Ridolfi (1616), Carlo
Loth (1678). Scultori come Francesco De Sur-
dis (1562), Bartolomeo Bellano (Sec. XV),
Filippo Parodi 1689) hanno contribuito ad
arricchire i singoli altari.
Ognuna di queste cappelle ha in comune con
quella di fronte, l’architettura dell’altare, la
qualità dei marmi, i disegni della vetrata e
spesso quello del pavimento. Belle le decora-
zioni a stucco delle volte.
Meritevole di particolare interesse è l’altare
del Santissimo, che dal 1562 al 1674 accolse i
Corpi dei SS. Innocenti; permutati titolo e
ufficio con quella primitiva del SS.mo, fu tra-
sformata con armoniosa inserzione del baroc-
co nell’architettura del rinascimento. L’altare,
bellissimo esemplare di barocco veneziano, è
opera di Giuseppe Sardi (1674), che in perfet-
ta unità di composizione vi pose il grande e
bel tabernacolo ideato da Lorenzo Bedoni
(1656) ed eseguito da Pier Paolo Corberelli
(1656) per la primitiva cappella del SS.mo.
Le sei statuine di bronzo sul tabernacolo sono
Trieste, … nell’anno della fede agosto 2013 pag. 14
di Carlo Trabucco (1697); i putti del basamen-
to del tabernacolo, di Michele Fabris (1674), i
due grandi e begli angeli, di Giusto Le Court
(1675), le altre sculture, di Alessandro Tremi-
gnon (1675), i mosaici del paliotto (i più belli
di tutta la Basilica), di Antonio Corberelli
(1675). Nel catino dell’abside: l’Eterno Padre
circondato dagli Angeli; nella volta della cap-
pella: il SS.mo Sacramento adorato dagli Apo-
stoli: ambedue belle pitture a fresco di Seba-
stiano Ricci (1700).
S. LUCA EVANGELISTA
Non era, come molti
credono, uno dei dodici
apostoli scelti da Gesù;
venne invece citato e
lodato più volte da S.
Paolo come suo fedele
collaboratore nei viaggi
che fece per evangeliz-
zare le genti. Luca scris-
se il Vangelo che da lui
prese il nome, e gli Atti
degli Apostoli. Fonti
antiche parlano della sua professione di me-
dico ed una tradizione assai diffusa lo presen-
ta anche pittore del volto di Cristo e soprat-
tutto della Madonna. Tra le icone “lucane”
una è la Madonna Costantinopolitana (XI-XII
sec.). S. Luca è festeggiato sia dalla Chiesa
Cattolica che da quelle Ortodosse il 18 otto-
bre.
Il sarcofago di S. Luca è un’opera preziosa di
scuola pisana (1313), fatta a cura dell’abate
Mussato, gli specchi sono di alabastro orien-
tale; il telaio che li inquadra, di porfido verde:
due colonne di granito orientale, due di ala-
bastro. Notare il sostegno centrale formato
da quattro angeli, di marmo greco. Le figure
dei riquadri sono così ordinate: sul lato mino-
re verso il Vangelo, l’effigie di S. Luca, centro
di tutta la composizione; sui due lati, nello
stesso ordine: due angeli che portano torce,
due angeli turiferari, due buoi (il bue è il sim-
bolo biblico di S. Luca); sulla testata opposta è
ripetuto il simbolo dell’Evangelista. Secondo
una antica tradizione l’evangelista Luca, origi-
nario di Antiochia di Siria e morto in tarda età
(84 anni), sarebbe stato sepolto nella città di
Tebe. Da lì le sue ossa furono trasportate a
Costantinopoli dopo la metà del IV sec. e da
qui nel corso dello stesso secolo o dell’VIII ,
trasportato a Padova nel Monastero di Santa
Giustina. I monaci benedettini insediatisi nel
nostro Monastero prima del 1000 iniziarono a
venerare le spoglie dell’Evangelista. Nel 1354,
l’imperatore Carlo IV di Lussemburgo, re di
Boemia, si fece consegnare il cranio che finì
nella cattedrale di San
Vito a Praga dove si
trova ancora oggi. Nel
1436 fu affidata al pit-
tore Giovanni Storlato
l’incarico di rappresen-
tare, sulle pareti della
cappella dedicata al
santo, una serie di sce-
ne che ne narrano la
vita, il trasferimento
delle reliquie
dall’Oriente e il suo
ritrovamento a Padova. Un secolo più tardi,
nel 1562, si trasferì l’arca marmorea nel brac-
cio sinistro del transetto, nell’attuale Basilica.
All’approssimarsi del Grande Giubileo del
2000 il Vescovo di Padova, anche per motivi
ecumenici, nominò una commissione di e-
sperti per avviare una ricognizione scientifica
delle reliquie di San Luca. Il 17/9/1998 fu
aperto il sarcofago e si trovò in una cassa di
piombo sigillata uno scheletro umano in buo-
no stato di conservazione. I risultati definitivi
delle indagini sono stati presentati nel Con-
gresso Internazionale, svoltosi a Padova
nell’ottobre dell’anno 2000. I dati scientifici
– come è stato affermato al termine di quelle
giornate, non smentiscono la tradizionale
attribuzione a S. Luca delle spoglie; si pongo-
no piuttosto come dati precisi, complementa-
ri alle fonti scritte, attorno a cui l’indagine
storica potrà muoversi con maggiore sicurez-
za, soprattutto per chiarire come, quando e
perché sia avvenuta la traslazione del corpo
da Costantinopoli a Padova
Trieste, …. nell’anno della fede agosto 2013 pag. 15
LA MADONNA COSTANTINOPOLITANA
In alto, sul Sarcofago di San Luca si ammira la
copia cinquecentesca della «Madonna Co-
stantinopolitana»: bella la pittura e bella la
lastra di rame sbalzato e dorato che inquadra
i due volti. La cornice di bronzo e i due Angeli
in volo di Amleto Sartori (1960). Del medesi-
mo sono gli otto bracci portalampade di bron-
zo attorno all’abside (1961), e il disegno del
piccolo coro.
I documenti in nostro possesso segnalano la
presenza della Immagine della Madonna Co-
stantinopolitana nel Monastero di Santa Giu-
stina a partire dal XII secolo e divenne ogget-
to di viva devozione popolare. Secondo alcuni
studiosi sarebbe l’immagine mariana più anti-
ca che si conosca a Padova, di stile nettamen-
te bizantino, venerata e invocata dai padova-
ni come la Salus Populi Patavini.
L’icona si presenta gravemente compromes-
sa, tranne parte del volto della Madonna e
del Bambino. La tavola è danneggiata da
evidenti bruciature, che non è dato sapere se
provocate da un incendio fortuito o dagli
iconoclasti. La provenienza è certamente da
Costantinopoli. Nel Cinquecento a un pittore
venne affidata la trascrizione del volto della
Madonna e del Bambino su cuoio e tutto il
resto fu rivestito da una rizza d’argento dora-
to e sbalzato con le figure della Vergine e del
Bambino. Dietro questa nuova immagine,
come in una teca, fu conservata l’icona anti-
ca. Mentre il Monastero subiva le trasforma-
zioni dell’occupazione napoleonica, la Chiesa
divenne Parrocchia amministrata dal clero
diocesano. Il 23 maggio 1909 Mons. Andrea
Panzoni promosse l’incoronazione solenne
dell’Icona costantinopolitana. Egli intendeva
così contribuire alla maggiore valorizzazione
del tempio che proprio in quell’anno fu eleva-
to alla dignità di Basilica Minore Romana da
Pio X. Nello stesso anno, un primo contingen-
te di monaci, proveniente da Praglia, ritornò
nel monastero dopo oltre un secolo dalla
soppressione napoleonica e riprese il culto e
la venerazione alla Madonna Costantinopoli-
tana secondo la più antica tradizione.
Ancor oggi, il 23 maggio,- giorno anniversario
della sua incoronazione si svolge una solenne
e suggestiva processione cittadina in Prato
della Valle. Nel 1959 si separò l’icona vera e
propria dalla riza di argento dorato e sbalza-
to che la proteggeva anteriormente. La riza
ha trovato la sua collocazione definitiva in
Basilica nel braccio del transetto di S. Luca,
sorretta da due angeli (opera di Amleto Sarto-
ri, 1960). I volti della Vergine e del Bambino
Gesù, dipinti su tela, sono attribuiti a Moretto
da Brescia (terzo decennio del XVI sec.). La
tavola di legno sottostante fu affidata al re-
stauro del prof. Lazzarin che sotto una patina
di resina bruciacchiata scoprì alcuni frammen-
ti di pittura originale. Al termine del restauro
venne custodita e venerata nella Cappella
interna del Monastero. La tradizione che la
vuole salvata da Costantinopoli al tempo della
persecuzione iconoclasta nell’VIII sec. non
regge alla critica storica:fu giudicata del XII
sec. circa dal prof. Lorenzoni per alcune carat-
teristiche stilistiche delle aureole e del mento
della Vergine.
IL PRESBITERIO E L’ALTARE MAGGIORE
In origine, secondo l’uso tradizionale, la situa-
zione era inversa: l’altare era in fondo, sotto il
quadro (che posava circa due metri più in
basso); il coro era dove è ora il presbiterio, e
il lato minore volgeva le spalle al popolo,
come ora le volge all’abside. La situazione
attuale è del 1623; l’inversione, diede al po-
polo la visibilità delle sacre funzioni. La scali-
nata d’accesso e le balaustre sono di France-
sco Contini, 1630. Nei pilastri, all’ingresso del
presbiterio, a destra ammiriamo il busto del
patrizio Vitaliano; a sinistra, il busto del patri-
zio Opilione, opere ambedue di Giovanni
Francesco De Surdis (1561).
L’Altare Maggiore, bellissimo e semplicissimo
(1640) progettato da Giovan Battista Nigetti;
il ricchissimo mosaico intarsiato è di Pier Pao-
lo Corberelli. L’altare racchiude il Corpo di S.
Giustina.
Ai lati si ammirano due residenze di noce,
opera magnifica di Riccardo Taurigny (1564-
1572): S. Pietro riceve dal Signore le chiavi –
Trieste, … nell’anno della fede agosto 2013 pag. 16
battezza Cornelio centurione – il castigo di
Anania e Saffira e la Conversione di S. Paolo,
la sua predicazione e la sua cattura.
I parapetti delle cantorìe sono opera di Am-
brogio Dusi, 1653. Gli organi attuali (quattro:
uno a destra, due a sinistra, l’altro dietro
all’ancona) sono opera della Ditta Pugina
(1928). Le canne dell’organo attuale di sini-
stra sono in parte quelle del Nachich e del
Callido, che restarono dalla distruzione ope-
rata da un fulmine nel 1927. A sinistra
dell’altare: candelabro bronzeo per il cero
pasquale di Arrigo Minerbi (1953).
IL CORO GRANDE
Il «Coro Maggiore»: uno dei più belli del mon-
do; ammirevoli: la maestà dell’insieme, domi-
nato dall’immensa ancona dorata;
l’adattamento perfetto dell’opera
all’ambiente; la euritmia fra i due ordini di
stalli, superiore e inferiore, e fra questi e il
dossale; l’eleganza e perfezione degli ornati
(per esempio, si osservi di scor-
cio la serie delle cariatidi sor-
reggenti i braccioli degli stalli;
si noti l’elegantissimo dossale,
col colonnato di squisite pro-
porzioni, la trabeazione col
bellissimo fregio, i bei putti
sovrapposti, ognuno in una
posa diversa; la varietà e la
finezza dei fregi sparsi dovun-
que). Di grande effetto gli spec-
chi del dossale, con le figure
scolpite in pieno rilievo.
arte-9-2L’autore è Riccardo
Taurigny, cui si deve non sol-
tanto l’esecuzione, ma anche il disegno
dell’opera, che durò dall’ottobre 1558 al lu-
glio 1566. L’artista era di Rouen in Norman-
dia: nel lavoro fu aiutato da dieci carpentieri
e dall’artista Giovanni Manetti. Gli stalli sono
88; la materia, il legno, di noce, ben conserva-
to. Il tema delle figurazioni, elaborato da
Eutizio Cordes monaco di S. Giustina e dottis-
simo teologo, si può enunciare così: «L’opera
redentrice di Gesù Cristo prefigurata nel Vec-
chio Testamento, attuata nella sua vita, appli-
cata all’umanità».
A ciascuno dei fatti della vita terrena di N. S.
Gesù Cristo (la Redenzione in atto) rappre-
sentati nei grandi specchi del dossale, corri-
sponde, in bassorilievo negli schienali degli
stalli superiori, un fatto dell’Antico Testamen-
to che è la figura profetica dell’altro; mentre
gli schienali degli stalli inferiori portano bas-
sorilievi allusivi: ai Sacramenti, che ci applica-
no la Grazia della redenzione; ai doni dello
Spirito Santo, che ci fanno agire secondo la
Grazia, alle virtù che la Grazia produce, ai vizi
che la Grazia estingue.
I banditori della Redenzione sono rappresen-
tati nelle statuine sedute poste
sull’inginocchiatoio: due profeti dell’A. T.; i
quattro evangelisti; i quattro massimi dottori
della Chiesa Latina e si aggiungono, i due
titolari della basilica: S. Giustina e S. Prosdoci-
mo.
Questo coro è un esempio dei più grandiosi e
completi, di quei cicli figurativi
storici e simbolici che il Medio-
evo ebbe giustamente cari ad
istruire nel dogma e nella mo-
rale cristiana.
Il leggìo col cassone sottoposto
è opera anch’esso di Riccardo
Taurigny (agosto 1566 – luglio
1572); vi sono raffigurati la vita
e il martirio di S. Giustina.
Nel cassone e in sagrestia si
conservavano preziose collezio-
ni di libri corali egregiamente
decorati da illustri miniatori dei
secoli XV e XVI. Ne resta oggi
solo qualche malandato avanzo (cinque volu-
mi in monastero, altri al Museo Civico). Il bel
pavimento è del sec. XVI.
n fondo al coro: il Martirio di S. Giustina: bella
opera di Paolo Veronese (1575, firmata); la
sua più grande pala d’altare. La cornice nobi-
lissima, forse disegno di Michele Sanmicheli,
fu scolpita da Giovanni Manetti, allievo e
aiuto del Taurigny: è tutta dorata ad oro di
zecchino. Sotto il quadro: bella porta in pie-
tra; nella disposizione originaria chiudeva
Trieste, …. nell’anno della fede agosto 2013 pag. 17
verso il popolo, in cima alla gradinata.
Nei pilastri sotto le finestre: a destra: David
vincitore di Golia; a sinistra: Sansone (sec.
XVII). In origine, da questi pilastri sporgevano
gli amboni per l’Epistola e il Vangelo, come fu
uso costante nella Congregazione di S. Giusti-
na fino a tutto il sec. XVI.
Lunette delle arcate piccole: a destra: Giaele
uccide Sisara: tela di Pietro Ricchi (1672);
Nadab e Abiud puniti per aver usato fuoco
profano: Giovan Francesco Cassana (1672).
A sinistra: Lotta di Giacobbe con l’Angelo:
Pietro Ricchi; Abramo riceve i tre Angeli: Gio-
van Francesco Cassana.
Sotto il presbiterio e il coro si stende una
bella e spaziosa Cripta (1562), la cui volta è un
capolavoro di statica per la piccolezza della
monta rispetto alla corda (m. 2,60 su m.14).
Da osservare, incorniciato da una nicchia del
muro di fondo, il fonte battesimale di bronzo
(Milani, 1964).
CORRIDOIO DEI MARTIRI
Costruito nel 1564 per unire la Cappella di S.
Prosdocimo con la chiesa attuale, è un am-
biente di piacevoli proporzioni, con buone
decorazioni contemporanee. Qui si può vede-
re dentro una gabbia medioevale di ferro, la
cassa di legno che custodì per qualche tempo
(forse dal 1177 al 1316) il corpo di S. Luca
Evangelista. Nel mezzo il bel pozzo (1565),
adorno di eleganti decorazioni in niello, sotto
il quale, su un tratto di pavimento in mosaico
della Basilica Opilioniana, posa il primitivo
pozzo del sec. XIII, contenente le ossa dei Ss.
Martiri. Sulla destra, sotto vetro è visibile un
lacerto di pavimento a mosaico della Basilica
paleocristiana (Sec. V- VI)
Sopra il pozzo dei Martiri: pitture della cupo-
la: di Giacomo Ceruti (1750 circa).
In fondo, sull’altare: Il ritrovamento del pozzo
dei Martiri, con la miracolosa accensione
delle 12 candeline: bella tela di Pietro Damini
(1592-1631), piena di ritratti.
Scendendo: il muro a destra è un tratto del
fianco meridionale della chiesa medioevale
riedificato sulla corrispondente parete della
Basilica Opilioniana. Le due bifore sono rico-
struzioni (1923) su tenui tracce di due impo-
ste di archi.Porta che immette nella cappella
di S. Prosdocimo (1564). Ai lati: statue dei Ss.
Pietro e Paolo, di Francesco Segala. Sono due
delle undici statue eseguite da lui in terracot-
ta (1564) per la nuova decorazione della cap-
pella di S. Prosdocimo; sono oggi conservate
nella Sala rossa all’interno del Monastero.
Sopra la porta, ai lati dell’iscrizione: il pellica-
no, la fenice: calchi di finissimi bassorilievi in
marmo greco del sec. XVI.
Gli originali furono tolti di qui per permettere
la visione delle belle sculture del sec. XIII o
XIV, che portavano nel retro. Oggi sono visibili
nell’atrio della Sacrestia.
SAN PROSDOCIMO E IL SACELLO
Prosdocimo, verosimilmente primo vescovo
della chiesa padovana (sec. III-IV), è rappre-
sentato in una «imago clipeata» di marmo
(inizi del sec. VI), riscoperta durante la rico-
gnizione della sua salma nell’omonimo orato-
rio in S. Giustina (1957). Il suo culto e la devo-
zione è confermata anche fuori del territorio
padovano prima del Mille . L’iconografia lo
presenta con il pastorale e l’ampolla
dell’acqua battesimale in mano: simboli della
sua missione pastorale in città e in diocesi.
L’antica liturgia ne celebra la fedeltà al Van-
gelo e all’insegnamento degli Apostoli.
Il Sacello è un cimelio di arte paleocristiana,
preziosissimo per l’antichità, la completezza,
le rarissime opere d’arte che custodisce. Fu
costruito (tra il 450 e il 520) dal patrizio Opi-
lione unitamente alla basilica, al sommo della
cui navata destra era innestato, allo spigolo
tra levante e mezzogiorno.
Orientato come la basilica, comunicava con
questa mediante l’atriolo di occidente. È uno
dei più begli esempi di quegli oratori, di cui
l’antichità cristiana circondava i maggiori
edifici di culto: oratori destinati a devozioni
particolari di singole persone, fisiche o morali,
e verso singoli Santi (qui, secondo un costu-
me diffusissimo nei secoli IV-VI, si veneravano
reliquie di Santi Apostoli e Martiri); e anche a
sepoltura di insigni personaggi. Più sviluppato
e più perfetto dei più fra i sacelli analoghi, il
Trieste, … nell’anno della fede agosto 2013 pag. 18
Sacello di San Prosdocimo consta di un qua-
drato centrale, cui sono innestate quattro
corte braccia coperte di volta a botte; il brac-
cio orientale, absidato; il quadrato centrale è
sormontato da cupola emisferica ad esso
collegata mediante quattro pennacchi a quar-
to di sfera. Come nella basilica annessa, le
pareti erano rive-
stite di tavole di
marmi preziosi;
dall’imposta degli
archi in su tutto
era coperto di mo-
saici. Il braccio
settentrionale
immetteva in una
sala, forse destina-
ta ad accogliere
sarcofagi di illustri
personaggi.
Nell’atrio ricostrui-
to è possibile am-
mirare il Timpano
di porta della basi-
lica opilioniana
(sec. V-VI), e un pluteo di marmo greco del
sec. VI; rarissimo perché doppio.
In fondo: frontone triangolare (timpano di
porta, sec. V-VI), con la iscrizione dedicatoria
della Basilica e del Sacello: «Opilio vir clarissi-
mus et inlustris, praefectus praetorio atque
patricius, hanc basilicam vel oratorium in
honorem sanctae Justinae Martyris a funda-
mentis caeptam Deo iuvante perfecit ». Nel
sacello: a destra: altare di S. Prosdocimo
(1564), sarcofago romano di marmo pario,
trovato (1564) nel terreno sotto il pavimento
(conteneva i corpi di due Vescovi, allora de-
posti altrove), e adibito da allora a custodia
del corpo di S. Prosdocimo. Nel paliotto: S.
Prosdocimo giacente, tra due Angeli cerofera-
ri: bella scultura di ignoto (1564 – Marcanto-
nio De Surdis).
Sopra l’altare: stupenda immagine in marmo
greco, di S. Prosdocimo (Sec. V-VI): rappre-
senta il Santo nell’eterna giovinezza del para-
diso, simboleggiata dai due palmizi laterali.
Porta la scritta contemporanea: « Sanctus
Prosdocimus Episcopus et Confessor ».
In origine era la parte centrale della fronte di
un sarcofago: tagliata poi per essere inserita
in altro monumento (come lo mostrano i due
battenti laterali) fu posata, come autentica-
zione, sull’arca in cui nel sottosuolo furono
nascoste le ossa del Santo; scoperta
nell’esumazione del 1564, accompagnò nel
1565 le sacre ossa entro l’altare, ove fu ritro-
vata nel 1957.
A sinistra, davanti all’altare principale: la pre-
ziosa « p e r g u l a» o iconostasi, l’unica del
secolo VI che ci sia pervenuta integra. Uniche
manomissioni: l’ultima colonna di destra, e i
due capitelli estremi a destra e a sinistra,
opera del Rinascimento. Come in tutte le
antiche chiese, segnava la necessaria separa-
zione tra clero e popolo, come oggi la balau-
stra, e nello stesso tempo accentuava il carat-
tere sacro del presbiterio e dell’altare. È di
marmo greco (si notino le colonne tutte di un
pezzo con gli altissimi piedistalli, e l’arco di
mezzo a ferro di cavallo). L’iscrizione, con-
temporanea, dice: «In nomine Dei. In hoc
loco conlocatae sunt reliquiae sanctorum
Apostolorum et plurimorum Martyrum qui
pro conditore omniunque fidelium plebe
orare dignentur (In nome di Dio: in questo
Trieste, …. nell’anno della fede agosto 2013 pag. 19
luogo sono state collocate le reliquie dei SS.
Apostoli e di moltissimi Martiri, i quali si de-
gnino di pregare per il fondatore e per tutto il
popolo di Dio).
Si ritorni in chiesa per la stessa via. Dall’arco
dietro l’altare di S. Mattia: bello sguardo sulla
maestosa e semplicissima crociera della Basi-
lica.
CORRIDOIO DELLE MESSE E CORO VECCHIO
Entrando nel Corridoio delle messe per la
porta accanto all’altare della Pietà, adorna di
due belle colonne di marmo greco, si accede
al Coro Vecchio, prolungamento della Chiesa
medioevale, costruito negli anni dal 1472 al
1473 col lascito di Jacopo Zocchi. Di belle
proporzioni e molto luminoso, consta di due
campate a pianta quasi quadrata con volta a
crociera; e di una abside formata da sette lati
di un dodecagono regolare. Ha conservato la
disposizione primitiva: ad oriente altare e
presbiterio, e, davanti, il coro.
Si notino la volta dell’abside di bell’effetto; le
sue lesene pensili; sotto gli archi della navata
i curiosi capitelli. La decorazione delle volte è
del sec. XV; il gran fregio a fresco attorno le
pareti è del sec. XVI. Questa cappella è nobili-
tata da insigni opere d’arte, che ne fanno un
vero museo. Il Coro ligneo è opera (1467-
1477) di Francesco da Parma e Domenico da
Piacenza, dei quali quasi nulla sappiamo. È
opera d’intaglio e di intarsio.
Bello l’insieme e molto pregevole; vigorosa ed
elegante l’opera di intaglio. Interessanti pa-
recchi dei primi specchi, per-
ché riproducenti edifici
dell’antica Padova. Nel mezzo,
il cassone per i libri corali:
opera un po’ più antica del
coro, del Canozzi di Lendinara.
Ancora nel mezzo: tomba di
Ludovico Barbo; opera di un
certo effetto, in pietra d’Istria.
Nel presbiterio, a destra, sta-
tua di S. Giustina, in pietra
tenera, opera probabilmenete
di fine sec. XIV-XV.
A sinistra, arcosolio che pro-
tegge la statua giacente di Jacopo Zocchi, di
Bartolomeo Bellano (1461); sopra: ambone
per il Vangelo; è originale solo la parte infe-
riore della gocciola di sostegno, con i suoi
finissimi ornati. Accanto: porticina intarsiata
che immette all’ambone: degli stessi autori
del coro. Bel pavimento (sec. XVI) di rosso di
Verona, con intarsi di marmi rari e riporti di
bronzo.
Funge provvisoriamente da altare un bel pa-
rapetto di cantoria, scolpito in legno di noce
da mano maestra ha sostituito un altare, di
cui sono rimasti i gradini. I pilastri addossati
alla parete sostenevano la stupenda pala,
racchiusa in una nobile cornice, che Girolamo
Romanino dipinse per questo luogo (1513-
14), e che nel 1866 un commissario regio
tolse a forza contro i diritti e le proteste della
Fabbriceria. Oggi è al Museo Civico sempre in
attesa di tornare al suo posto d’origine. Sulla
parete: bellissimo Crocifisso ligneo, d’ignoto
autore del sec. XV.
SAGRESTIA
Nell’atrio della sagrestia, si possono ammira-
re nella nicchia la Madonna col Bambino,
bellissima terracotta della fine del sec. XV.
L’Architrave insieme alla lunetta romanica
che lo sovrasta, che rappresenta la Chiesa che
dà la bevanda della vita ai fedeli.
Sull’Architrave vi sono rappresentate:
1) l’Annunciazione; 2) la Visitazione; 3) la
Natività del Signore; 4) l’Annuncio dell’Angelo
ai Pastori; 5) l’Adorazione dei Magi.
Trieste, … nell’anno della fede agosto 2013 pag. 20
REDIPUGLIA,
SANTUARIO BARBANA ,
GRADO, AQUILEIA.
REDIPUGLIA
Il più grande Sacrario Militare Italiano, sorge
sul versante occidentale del Monte Sei Busi
che nella Prima Guerra Mondiale fu aspra-
mente conteso perché, pur se poco elevato,
consentiva dalla sua sommità di dominare,
per ampio raggio, l'accesso da Ovest ai primi
gradini del tavolato carsico.
La monumentale scalea sulla quale sono alli-
neate le urne dei centomila caduti e che ha
alla base quella monolitica del Duca d'Aosta,
comandante della Terza Armata, dà l'immagi-
ne dello schieramento sul campo di una Gran-
de Unità con alla testa il suo Comandante.
Nel Sacrario di Redipuglia sono custoditi i
resti mortali di 100.187 caduti: 39.857 noti e
60.330 ignoti.
SANTUARIO BARBANA
Barbana è un’isola posta all’estremità orien-
tale della laguna di Grado, sede di un antico
santuario mariano. Si estende su circa tre
ettari e dista circa cinque chilometri da Gra-
do; è abitata in modo stabile da una comunità
di frati minori francescani. Il suo nome deriva
probabilmente da Barbano, un eremita del VI
secolo che viveva nel luogo e che raccolse
attorno a sé una comunità di monaci.
Le origini dell’isola sono relativamente recen-
ti: la laguna di Grado si è infatti formata tra il
V e il VII secolo su di un’area precedentemen-
te occupata dalla terraferma. Il luogo ospita-
va, in epoca romana, un tempio di Apollo
Beleno e, probabilmente, l’area destinata alla
quarantena del vicino porto di Aquileia.
Un piccolo bosco si estende sul lato occiden-
tale dell’isola e ne copre più della metà della
superficie: le essenze più diffuse sono i bago-
lari, i pini marittimi, le magnolie, i cipressi, gli
olmi.
L’isola di Barbana è collegata a Grado da un
regolare servizio di traghetti, con partenza dal
Canale della Schiusa. Il viaggio richiede circa
20 minuti di navigazione. L’isola è inoltre
dotata di un piccolo porto e può essere rag-
giunta anche con mezzi privati.
Giovedì 22 agosto
PROGRAMMA :
partenza ore 8.30 e arrivo a REDIPUGLIA (9.15) , visita sacrario
Ore 10.30 partenza per Grado, alle ore 11.30 partenza (motoscafo) per il Santuario di Barba-
na (arrivo alle ore 12)
Ore 12.30 Pranzo al Ristorante del Pellegrino Tel. 0431/80453
Ore 14.30 partenza per GRADO e visita alla città (15.00-16.00)
Ore 16.00 partenza per AQUILEIA - Visita guidata
Ore 17.30 partenza per Trieste
Rientro per cena
SERATA: MOMENTO DI PREGHIERA E VISITA ALLA CITTÀ DI TRIESTE
Trieste, …. nell’anno della fede agosto 2013 pag. 21
NASCITA DEL SANTUARIO
Secondo la tradizione, la nascita del santua-
rio della Madonna di Barbana risale all’anno
582, quando una violenta mareggiata minac-
ciò la città di Grado: l’eccezionale evento
meteorologico, che allora destò grande stu-
pore e preoccupazione, si inserisce probabil-
mente nella genesi dell’attuale laguna. Al
termine della tempesta un’immagine della
Madonna, trasportata dalle acque, venne
ritrovata ai piedi di un olmo (o, secondo
un’altra tradizione, sui suoi rami), nei pressi
delle capanne di due eremiti originari del
trevisano, Barbano e Tarilesso. Il luogo era
allora relativamente lontano dalla linea di
costa e il patriarca di Grado Elia (571-588),
come ringrazia-
mento alla Madon-
na per aver salvato
la città dalla mareg-
giata, fece erigere
una prima chiesa.
Attorno a Barbana
si formò una prima
comunità di monaci
che resse il santua-
rio per i successivi
quattro secoli. In
questo arco di tempo il mare proseguì la sua
avanzata: nel 734, da un documento di papa
Gregorio III, si apprende infatti che Barbana
era già un’isola. La chiesa venne probabil-
mente ricostruita più volte e la stessa imma-
gine della Madonna, non si sa se una statua o
un’icona, andò perduta.
Attorno all’anno mille, subentrarono i bene-
dettini che ufficiarono il santuario per cinque-
cento anni. A questo periodo risale la pesti-
lenza che investì Grado nel 1237 e l’origine
del pellegrinaggio annuale della città a Barba-
na.
DAL 1400 AD OGGI
Il santuario attuale
Dal 1450 è documentata la presenza di frati
francescani conventuali, che sostituirono i
benedettini prima in chiave provvisoria e poi,
dal 1619, in modo definitivo. I francescani,
che nel 1738 eressero una nuova chiesa a tre
navate, rimasero nell’isola fino al 1769, quan-
do la Repubblica di Venezia soppresse il mo-
nastero.
I legami di Venezia con il santuario, a dispetto
di questo provvedimento, furono comunque
sempre intensi, com’è testimoniato da lasciti
testamentari di dogi (Pietro Ziani, 1228) e
dall’esistenza, in passato, di un’apposita con-
fraternita di gondolieri (la “Fratellanza della
Beata Vergine di Barbana”). Lo stesso bassori-
lievo dell’altare maggiore della chiesa di Bar-
bana rappresenta, non a caso, una gondola in
laguna.
Dopo l’allontanamento dei frati, il santuario
venne quindi affidato per oltre 130 anni ai
sacerdoti diocesa-
ni, prima di Udine
(1769-1818), poi di
Gorizia (1818-
1901). Un ruolo di
particolare rilievo
venne svolto da
don Leonardo Sta-
gni, al quale si
devono la costru-
zione degli argini
(1851), la realizza-
zione dell’attuale cappella del bosco nel luogo
dove venne ritrovata l’immagine di Maria
(1854) e l’incoronazione della Madonna di
Barbana (1863).
Nel 1901 il santuario venne affidato ai frati
francescani minori della provincia dalmata
che edificarono un nuovo convento, curarono
alcune bonifiche e misero mano alla costru-
zione dell’attuale chiesa. Nel 1924, mutati i
confini politici, il testimone passò ai confratel-
li della provincia veneta di San Francesco, che
hanno provveduto alla realizzazione della
casa di esercizi spirituali “Domus Maria-
e” (1959) e delle più recenti casa del pellegri-
no (1980) e cappella della riconciliazione
(1989).
La chiesa
L’isola è dominata dalla mole della chiesa e
del campanile. La chiesa, che presenta alcuni
Trieste, … nell’anno della fede agosto 2013 pag. 22
richiami all’architettura orientale, è in stile
neoromanico ed è relativamente recente. I
lavori di costruzione dell’attuale edificio, che
sorge sul luogo delle chiese succedutesi nei
secoli passati, sono stati infatti avviati nel
1911 e completati, dopo una pausa dovuta
alla prima guerra mondiale, nel 1924. Il pro-
getto è dell’architetto goriziano Silvano Ba-
rich, che negli anni successivi disegnerà i piani
anche per il santuario di Monte Santo. La
semplice facciata è ingentilita da lesene di
pietra e da un rosone. La struttura culmina
con un’ampia cupola.
L’interno a tre navate, con soffitto a carena di
nave, presenta elementi di notevole interesse
nell’altare maggiore del 1706 e, soprattutto,
nella statua lignea della Madonna, opera di
scuola friulana della fine del Quattrocento. La
statua, a grandezza naturale, rappresenta
Maria in trono con in braccio Gesù bambino:
lei regge con la mano destra una rosa, proba-
bilmente a simboleggiare la fede, lui invece
tiene in mano un libro, chiaro riferimento al
Vangelo. I due altari laterali, in stile rinasci-
mentale-barocco, sono di scuola veneziana e
sono dedicati a San Francesco (sinistra, 1763)
e Sant’Antonio (destra, 1749). Della scuola
del Tintoretto è invece il quadro dei gondolie-
ri in pellegrinaggio (1771) custodito nella
sagrestia, dove è possibile ammirare anche
una Madonna col Bambino di autore ignoto
(1734).
Gli affreschi della cupola (oltre 500 metri
quadrati) sono un’opera più recente di Tibur-
zio Donadon (1940). Lo spazio è diviso in
quattro grandi quadri rappresentati
l’incoronazione di Maria, la processione del
perdòn di Barbana, l’apparizione della Vergi-
ne sull’olmo, e una visione del patriarca Elia. I
quadri sono separati da figure bianche che
simboleggiano le quattro virtù cardinali
(prudenza, giustizia, fortezza e temperanza).
Le vetrate della chiesa rappresentano alcuni
misteri del rosario. Il campanile, alto 47,8
metri, è stato inaugurato nel 1929: le quattro
campane attuali, come invito alla pace, sono
state ricavate dal metallo di cannoni tedeschi
della seconda guerra mondiale.
La piccola Cappella della riconciliazione, alla
destra dell’altare maggiore, conserva una
statua della Vergine del 1700 in pietra di Auri-
sina e un cippo di pietra di età romana, raffi-
gurante un magistrato.
La continua azione della laguna ha impedito
la conservazione di tracce significative dei
santuari più antichi. Tra le vestigia giunte fino
a noi, è possibile ricordare un bassorilievo
funerario rappresentate un’apparizione di
Cristo risorto (X-XI secolo), un frammento
dell’albero presso il quale secondo la tradizio-
ne venne ritrovata l’immagine della Madon-
na, un rivestimento per altare in cuoio e oro
(XVII secolo), e due colonne con capitelli co-
rinzi, quest’ultime poste oggi davanti al cam-
panile. Nella cappella della “Domus Mariae” è
custodita la statua della cosiddetta
“Madonna mora”, venerata nel santuario
dall’XI al XVI secolo. L’opera, in legno dipinto,
è stata recentemente restaurata: curiosa-
mente, la Madonna regge il bambino per i
piedini. Una tela di Madonna orante del 1500
può infine essere ammirata nella mensa dei
frati.
Della prima chiesa costruita dai francescani
(XVIII secolo) sono invece rimaste numerose
tracce, sia negli arredi interni che in materiale
iconografico (dipinti, fotografie, bassorilievi).
La chiesa, più piccola dell’attuale, si presenta-
va con una semplice facciata bianca, successi-
vamente ingentilita da un porticato, e aveva
un piccolo campanile.
La cappella nel bosco e le statue
A poca distanza dalla chiesa, sul luogo dove
secondo la tradizione si arenò l’immagine
della Madonna, sorge la cappella
dell’apparizione, costruita nel 1854 per cele-
brare il dogma dell’Immacolata Concezione.
La cappella, di forma ottagonale, ha preso il
posto di un precedente capitello votivo ed è
stata decorata nel 1860 dal pittore udinese
Rocco Pitacco. I dipinti rappresentano la glori-
ficazione di Maria tra angeli e personaggi
dell’Antico e del Nuovo Testamento. Sulle
Trieste, …. nell’anno della fede agosto 2013 pag. 23
pareti laterali, quadri relativi alla proclama-
zione del dogma e alla vita e alle origini del
santuario. La cappella, che è circondata da un
piccolo cimitero, custodisce le spoglie del
venerabile Egidio Bullesi, un giovane istriano
distintosi per il suo apostolato a Pola e a
Monfalcone.
All’ingresso del piccolo porto dell’isola è visi-
bile una statua della Madonna, eretta nel
1954 a ricordo dell’anno mariano. Altre sta-
tue dedicate a San Francesco e ad Egidio Bul-
lesi sono inoltre dislocate nei pressi della
chiesa e della “Domus Mariae”.
El Perdòn de Barbana
Il pellegrinaggio più noto è il cosiddetto
“Perdòn di Barbana”
che si svolge ogni anno
nella prima domenica
di luglio e prevede una
processione di barche
imbandierate in lagu-
na da Grado a Barba-
na. La processione,
che inizia di primo
mattino, è guidata
dalla “Battella”,
l’imbarcazione che
trasporta la statua della Madonna degli Ange-
li custodita nella basilica di Grado.
Nell’occasione viene aperto il ponte girevole
che collega Grado alla terraferma e l’autorità
civile consegna un dono simbolico alla Ma-
donna. L’origine del pellegrinaggio risale a un
voto fatto dalla comunità gradese in seguito
alla pestilenza del 1237. Il nome “perdòn”
deriva invece dalla consuetudine di accostar-
si, nell’occasione, al sacramento della confes-
sione.
Altri pellegrinaggi
Il santuario è inoltre meta di numerosi pelle-
grinaggi provenienti principalmente dai paesi
della Bassa Friulana, testimoniati anche da
documenti pittorici come, ad esempio, un
quadro votivo che ricorda la processione della
comunità di Ruda. I pellegrinaggi votivi delle
comunità si svolgono prevalentemente dal
mese di aprile allla fine di settembre.
Numerosi pellegrini partecipano inoltre il 15
agosto e l’8 settembre di ogni anno, in occa-
sione delle festività mariane dell’Assunzione e
della Natività, alle due processioni nelle quali
la statua della Madonna di Barbana viene
portata a spalla per l’isola.
GRADO
LA BASILICA PATRIARCALE DI SANT’EUFEMIA
è il principale edificio religioso di Grado (GO)
e antica cattedrale del soppresso Patriarcato
di Grado.
Risalente al VI secolo, sorge in Campo dei
Patriarchi, affiancata dal battistero e dal cam-
panile a cuspide del secolo XV.
Sul luogo dove oggi troviamo la basilica di
Sant’Eufemia, sorgeva una precedente basili-
ca del IV-V secolo. L’edificio venne ordinato
da Elia, arcivescovo di Aquileia in fuga da
un’invasione: quella dei Longobardi.
Quasi al contempo, Elia, in contrasto con
papa Pelagio II a seguito della condanna dei
Tre Capitoli, scelse la strada dell’autocefalia,
proclamandosi patriarca, e, per riaffermare la
propria fedeltà al concilio di Calcedonia, deci-
se di dedicare la nuova chiesa a Sant’Eufemia
di Calcedonia, patrona di quel concilio, consa-
crandola forse il 3 novembre 580.
Seguendo le complicate traversie della sua
diocesi, tra il VI e l’inizio del VII secolo, la
basilica fu sede del ramo filo-romano e filo-
bizantino in cui si scisse il patriarcato, fino alla
definitiva separazione tra le due chiese e la
costituzione, negli anni 717 e 739 del Patriar-
cato di Grado.
Sottoposta al sempre più stretto controllo dei
Trieste, … nell’anno della fede agosto 2013 pag. 24
Duchi di Venezia, delle cui terre era chiesa
madre, più volte coinvolta negli scontri milita-
ri per la mai sopita rivalità coi vicini Patriarchi
di Aquileia, la basilica di Sant’Eufemia prese a
decadere a partire dal 1105, quando il nuovo
patriarca, Giovanni Gradenigo, scelse di risie-
dere nella capitale: Venezia.
La basilica mantenne tuttavia la titolarità
della cattedra patriarcale anche dopo il rico-
noscimento pontificio, nel 1177, della resi-
denza veneziana dei patriarchi.
Nel 1451, però, con la soppressione del titolo
gradense e l’istituzione del nuovo Patriarcato
di Venezia, la basilica venne incorporata nella
nuova diocesi, perdendo il titolo di cattedrale,
trasferito alla basilica di San Pietro di Castello,
a Venezia. Nel 1455 venne eretto l’attuale
campanile, sormontato da una statua segna-
vento in rame sbalzato del 1462, raffigurante
San Michele Arcangelo, attuale simbolo di
Grado.
Facciata e fianco sinistro
La pala d’oro
L’esterno, in stile paleocristiano, si presenta
in mattoni e arenaria a vista e
presenta rimaneggiamenti
risalenti ai secoli XVII e XIX, in
parte rimossi coi restauri ese-
guiti a metà novecento.
La facciata, rivolta verso Cam-
po dei Patriarchi, è ripartita a
salienti e lesene e aperta da
tre ampi finestroni, al disotto
dei quali si intravvedono le
tracce dell’antico nartece, oggi
scomparso. Ad essa è addos-
sato sul lato destro il campani-
le, a cuspide, d’aspetto vene-
ziano.
L’interno, ampio e luminoso, è diviso in tre
navate, delimitate da colonne in marmi poli-
cromi, in parte di epoca romana, così come i
capitelli. Sulla parte alta e lungo le pareti
perimetrali, si aprono numerosi ed ampi fine-
stroni, che illuminano l’ambiente ed il sovra-
stante tetto a capriate.
Notevole è la decorazione musiva interna, in
particolare per quanto riguarda il grande
mosaico pavimentale, risalente alla fine del VI
secolo. Sul lato sinistro della navata centrale
si erge poi un alto ambone esagonale, con
decorazioni scultoree del XIII secolo.
Nel presbiterio, decorato in alto da affreschi
quattrocenteschi, trova posto la pala d’oro in
argento sbalzato e cesellato, donata alla basi-
lica nel 1372 dal nobile veneziano Donato
Mazzalorsa. Ripartita in tre registri, raffigura:
in quello superiore l’Annunciazione, il Cristo e
i simboli degli Evangelisti, in quello inferiore
una serie di archetti con figure di Santi e, nel
registro centrale, Cristo in trono e San Marco
che celebra messa.
La basilica ospita la statua della Madonna
degli Angeli che, in occasione della festa del
Perdon di Barbana (prima domenica di luglio),
viene portata in processione in laguna fino al
santuario di Barbana.
Accanto al complesso basilicale si trova il
battistero ottagonale con ampia vasca mar-
morea a immersione.
IL BATTISTERO di Grado è un monumento
paleocristiano che sorge
all’interno dell’antico castrum,
a fianco della Basilica di
Sant’Eufemia.
Ha forma ottagonale, con
vasca esagonale. La sua co-
struzione risale al VI secolo.
A partire dal IV e dal V secolo,
Aquileia, ripetutamente sac-
cheggiata durante le invasioni
barbariche, venne progressi-
vamente abbandonata dai
suoi abitanti, che si rifugiaro-
no nella vicina Grado. La defi-
nitiva decadenza aquileiese
venne sancita dal passaggio del patriarca, il
romano Paolino (557-569), nella nuova sede
gradese.
Stabilitosi a Grado, Paolino iniziò a progettare
una serie di edifici religiosi che dovevano
servire la crescente popolazione dell’isola e
dare alla città la dignità di sede vescovile. Al
suo successore, il beneventano Probino (569-
Trieste, …. nell’anno della fede agosto 2013 pag. 25
571), si deve il battistero, come testimoniato
dal suo monogramma riportato sulla lastra
frontale dell’altare, dove colombe e pavoni
fanno da cornice a una croce. Dopo Probinio,
Elia (571-586/87) completò i lavori con la
realizzazione della basilica di Santa Eufemia,
della prima chiesa di Barbana e, probabilmen-
te, di una prima restaurazio-
ne della basilica di Santa
Maria delle Grazie.
L’emergere di Venezia come
potenza lagunare portò a
una lenta decadenza di Gra-
do, che nel corso dei secoli
perse la sede vescovile e si
ridusse a un semplice villag-
gio di pescatori.
Nel Seicento l’edificio, che
nell’alto medio evo era stato
dotato di gradinate cerimo-
niali e di un’arca dedicata a
San Giovanni, venne restau-
rato in stile barocco e così
rimase fino al secolo scorso.
Nel 1925 vennero avviati lavori di scavo e
restauro che ne riportarono alla luce le forme
originarie, sia nell’aspetto esterno che nei
semplici interni.
L’edificio ha un impianto ottagonale.
L’esterno è in cotto ed è dotato di otto alte
finestre, una per lato, sotto le quali era pre-
sente un portico d’ingresso, oggi perduto.
L’attuale ingresso, rivolto a occidente, è di
realizzazione recente, mentre l’antica porta,
rivolta a nord-ovest, è stata murata in passa-
to.
L’interno è molto semplice. Il pavimento è
musivo, con decorazioni geometriche e flore-
ali e un’iscrizione, dedicata a Sesinio.
Al centro la vasca battesimale è curiosamente
esagonale, in contrasto con l’impianto ottago-
nale dell’edificio. L’altare sorge in un’abside
ricavato nel lato orientale: è illuminato da tre
finestre ed è decorato con frammenti sculto-
rei.
Il soffitto in legno è stato ricostruito nel 1933
sulla base dell’edificio originario.
LA BASILICA DI SANTA MARIA DELLE GRAZIE
è una delle due basiliche paleocristiane di
Grado. Si affaccia sul Campo dei Patriarchi,
nel centro storico della città, a pochi passi dal
Battistero e dalla Basilica di Sant’Eufemia,
mentre i resti di una terza basilica (la Basilica
della Corte) sono visibili a poca distanza, ai
limiti del castrum romano.
La basilica è stata costruita
alla fine del VI secolo per
volontà del Patriarca Elia,
che negli stessi anni comple-
tò la costruzione della Basili-
ca di Sant’Eufemia e avviò i
lavori per la prima chiesa di
Barbana.
La chiesa venne edificata sul
sito di una precedente basili-
ca paleocristiana risalente
alla prima metà del V secolo,
forse voluta dal vescovo
Cromazio.
I due stadi della costruzione
risultano evidenti nell’interno, che i restauri
hanno ripristinato a due livelli.
La basilica ha curiosamente una base quadra-
ta sia nella pianta che nell’alzato. L’interno è
scandito da tre navate separate da due file di
cinque colonne marmoree di provenienza
diversa. Di particolare interesse l’altare,
l’acquasantiera e la statua lignea della Ma-
donna delle Grazie, tradizionale meta devo-
zionale della popolazione gradese.
L’architettura della basilica è caratterizzata
dal forte slancio verticale della navata centra-
le. La facciata in pietra e mattoni ha tre porte
ed è ingentilita da una trifora.
AQUILEIA
Aquileia fu fondata dai Romani come colonia
militare nel 181 a.C.
Fu dapprima baluardo contro l’invasione di
popoli barbari e punto di partenza per spedi-
zioni e conquiste militari.
Grazie ad una buona rete viaria e ad un impo-
nente porto fluviale, col tempo divenne sem-
pre più importante per il suo commercio e
per lo sviluppo di un artigianato assai raffina-
Trieste, … nell’anno della fede agosto 2013 pag. 26
to (vetri, ambre, fictilia, gemme…).
Raggiunse il suo apice sotto il dominio di Ce-
sare Augusto (27 a.C. – 14 d.C.) divenendo
capitale della X Regio “Venetia et Histria” ed
accelerando quel processo che ne avrebbe
fatto una delle più importanti metropoli
dell’Impero Romano.
Durate i secoli successivi, guerre interne,
scorrerie o rappresaglie esterne e rapide
incursioni minacciarono la città che, coinvolta
nella più ampia crisi dell’Impero, iniziò lenta-
mente ad acquistare un volto nuovo divenen-
do, con l’arrivo del cristianesimo, centro di
irradiazione missionaria e di organizzazione
ecclesiastica.
CENNI STORICI SU AQUILEIA
Aquileia fu fondata dai Romani come colonia
militare nel 181 a.C. in un luogo che era all'in-
crocio di popoli e traffici commerciali. Fu
dapprima baluardo contro l'invasione di po-
poli barbari e punto di partenza per spedizio-
ni e conquiste militari.
Collegata da una buona rete viaria, col tempo
divenne sempre più importante per il suo
commercio e per lo sviluppo di un artigianato
assai raffinato. Raggiunse il suo apice sotto
l'impero di Cesare Augusto: con una popola-
zione stabile di oltre
200.000 abitanti,
divenne una delle
maggiori e più ricche
città di tutto l'impe-
ro. Fu residenza di
parecchi imperatori,
con un palazzo assai
frequentato, fino a
Costantino il Grande
e oltre.
Quando vi giunse il
messaggio cristiano
(la tradizione parla di una venuta di S.Marco
evangelista che portò a Roma S. Ermacora per
farlo consacrare da S. Pietro come primo
vescovo di Aquileia), esso ebbe rapido svilup-
po sotterraneo, tanto da esplodere pronta-
mente appena venne concesso il culto pubbli-
co con l'Editto di Milano del 313 d.C.
Basti pensare che furono erette prontamente
tre grandi aule, lussuosissime, poste tra loro a
ferro di cavallo: due principali, tra loro paral-
lele, unite da una trasversale. Ciascuna pote-
va contenere comodamente da due a tre mila
persone: cosa impensabile per un semplice
"inizio" di evangelizzazione e per le ingenti
risorse necessarie per realizzarle. Queste poi,
ben presto risultarono insufficienti per conte-
nere tutti i fedeli, e dovettero essere demoli-
te per far posto ad altre aule più ampie. Infat-
ti troviamo che, qualche decina di anni più
tardi (verso il 345), partendo dalle fondazioni
dell'Aula Nord, fu eretta una molto più ampia
(lunga ben 70 metri e larga 31: 5 metri più
lunga di quella che vediamo), la più vasta in
assoluto per Aquileia: quella che nel 452 d.C.
fu distrutta da Attila e mai più risorse. Anche
l'Aula Sud, ampliata sotto il vescovo Cromazio
rimase semidistrutta dall'invasione degli Un-
ni. A questo punto c'è da notare una caratte-
ristica tipica e unica di Aquileia: tutte le varie
basiliche erano strettamente a forma rettan-
golare e senza abside.
Quando i figli degli scampati e degli esuli ri-
tornarono ad Aquileia e pensarono ad una
ricostruzione, volsero l'attenzione alle strut-
ture residue dell'Aula
Sud, che ancora fu
ampliata in lunghezza
e larghezza: saranno
le fondazioni di
quest'ultima a fare da
supporto, dopo un
lungo periodo di com-
pleto abbandono (dai
Longobardi all'800),
alla costruzione di una
vera e propria basilica,
come noi l'intendia-
mo, e che sommariamente costituisce il peri-
metro di quella attuale. Quest' opera fu por-
tata a termine dal vescovo Massenzio (811-
838), con l'aiuto finanziario di Carlo Magno.
Successivamente però, prima gli Ungari e poi
un terremoto (988) la resero inagibile. Resti
del pavimento in mosaico di questa basilica si
Trieste, …. nell’anno della fede agosto 2013 pag. 27
possono esplorare attraverso due botole: una
presso l'altare al centro del presbiterio e l'al-
tra presso il sarcofago di San Pietro.
LA BASILICA
Il primo edificio di culto cristiano aquileiese fu
edificato nel
313 d.C. dal
vescovo Teodo-
ro. Era costitui-
to da tre grandi
aule rettangola-
ri poste a ferro
di cavallo, dal
battistero e da
ambienti di
servizio
Le due aule
parallele
(teodoriana sud
e teodoriana
nord) erano mosaicate ed adibite alla celebra-
zione della messa e all’insegnamento delle
Sacre Scritture; la sala trasversale, pavimen-
tata a cocciopesto, veniva invece utilizzata
come collegamento tra le due aule preceden-
ti.
Verso la metà del IV secolo l’aula teodoriana
nord subì un notevole ampliamento allo sco-
po di contenere un numero sempre più gran-
de di fedeli (aula post-teodoriana nord). Ac-
canto venne costruito un nuovo battistero
con vasca esagonale. Detta aula venne di-
strutta dagli Unni di Attila nel 452 d.C. e mai
più ricostruita.
Successivamente anche l’aula
teodoriana sud venne trasfor-
mata in un edificio a tre nava-
te con un grande battistero di
fronte al suo ingresso princi-
pale (aula post-teodoriana
sud).
Nella prima metà del IX secolo
il patriarca Massenzio volle
avviare i primi lavori di ristrut-
turazione di quest’ aula crean-
do il transetto, la cripta degli
affreschi (sotto il presbiterio),
il portico e la Chiesa dei Pagani.
La basilica attuale è sostanzialmente quella
consacrata nel 1031 dal patriarca Poppone
dopo le modifiche da lui eseguite
(sopraelevazione dei muri perimetrali, rifaci-
mento dei
capitelli, af-
fresco
dell’abside e
costruzione
dell’imponente campanile alto 73 metri).
Ulteriori interventi furono apportati dal patri-
arca Voldorico di Treffen nel XII sec. (affreschi
nella cripta massenziana con scene della vita
di S. Ermacora, della Passione di Cristo ed
altre a carattere allegorico e profano) e dal
patriarca Marquardo di Randek nel XIV secolo
(archi a sesto acuto fra le colonne e tutta la
parte alta della basilica compreso il tetto a
carena di nave rovesciata, lavori resi necessa-
ri dopo il terremoto del 1348).
Trieste, … nell’anno della fede agosto 2013 pag. 28
Miramare
Il Castello di Miramare, circondato da un
rigoglioso parco ricco di pregiate specie bota-
niche, gode di una posizione panoramica
incantevole, in quanto si trova a picco sul
mare, sulla punta del promontorio di Grigna-
no che si protende nel golfo di Trieste a circa
una decina di chilometri dalla città.
Voluto attorno alla metà dall’Ottocento
dall’arciduca Ferdinando Massimiliano
d’Asburgo per abitarvi insieme alla consorte
Carlotta del Belgio,
offre la testimonian-
za unica di una lus-
suosa dimora nobi-
liare conservatasi
con i suoi arredi
interni originari.
LA STORIA - IL CA-
STELLO
Il Castello di Mira-
mare e il suo Parco
sorgono per volontà
dell’arciduca Massi-
miliano d’Asburgo che decide, attorno al
1855, di farsi costruire alla periferia di Trieste
una residenza consona al proprio rango, af-
facciata sul mare e cinta da un esteso giardi-
no.
Affascinato dall’impervia bellezza del pro-
montorio di Grignano, uno sperone carsico a
dirupo sul mare, quasi privo di vegetazione,
Massimiliano ne acquista vari lotti di terreno
verso la fine del 1855. La posa della prima
pietra del Castello avviene il 1° marzo 1856.
Alla Vigilia del Natale del 1860 Massimiliano e
la consorte, Carlotta del Belgio, prendono
alloggio al pianoterra dell’edificio, che a quel-
la data presenta gli esterni del tutto comple-
tati, mentre gli interni lo sono solo parzial-
mente, in quanto il primo piano è ancora in
fase di allestimento.
Il palazzo, progettato dall’ingegnere austriaco
Carl Junker, si pre-
senta in stile ecletti-
co come professato
dalla moda architet-
tonica dell’epoca:
modelli tratti dai
periodi gotico, me-
dievale e rinascimen-
tale, si combinano in
una sorprendente
fusione, trovando
diversi riscontri nelle
dimore che all’epoca
i nobili si facevano costruire in paesaggi alpe-
stri sulle rive di laghi e fiumi.
Nel Castello di Miramare Massimiliano attua
una sintesi perfetta tra natura e arte, profumi
mediterranei e austere forme europee, ricre-
ando uno scenario assolutamente unico gra-
zie alla presenza del mare, che detta il colore
azzurro delle tappezzerie del pianoterra del
Venerdì 23 agosto
PROGRAMMA :
partenza ore 8.30 per MIRAMARE e visita guidata.
Ore 11.00 partenza per TRIESTE
Ore 13.00 Pranzo al PIZZERIA RISTORANTE COPACABANA Via del Treato Romano 24 tel. 040
370084
VISITA ALLE CHIESE PRIMA DI PRANZO , POMERIGGIO BASILICA DI S. GIUSTO, ARCO DI RICCARDO, S.
SILVESTRO PAPA, PIAZZA DELL’UNITÀ D’ITALIA, TEATRO ROMANO, CHIESA DI S. SPIRIDIONE…..ALTRE
CHIESE
SERATA: MOMENTO DI PREGHIERA E VISITA ALLA CITTÀ
Trieste, …. nell’anno della fede agosto 2013 pag. 29
Castello, e ispira nomi e arredi di diversi am-
bienti.
La realizzazione degli interni reca la firma
degli artigiani Franz e Julius Hofmann:
il pianoterra, destinato agli appartamenti
privati di Massimiliano e Carlotta, ha un ca-
rattere intimo e familiare, il primo piano è
invece quello di rappresentanza, riservato agli
ospiti che non potevano non restare abbaglia-
ti dai sontuosi ornati istoriati di stemmi e
dalle rosse tappezzerie con il simboli imperia-
li.
LA STORIA - IL PARCO
Il Parco di Mirama-
re, con i suoi venti-
due ettari di super-
ficie, è il risultato
dell’impegnativo
intervento condot-
to nell’arco di molti
anni da Massimilia-
no d’Asburgo sul
promontorio roc-
cioso di Grignano,
che aveva in origine
l’aspetto di una
landa carsica quasi del tutto priva di vegeta-
zione.
Per la progettazione, Massimiliano si avvale
dell’opera di Carl Junker, mentre per la parte
botanica si rivolge inizialmente al giardiniere
Josef Laube, sostituendolo in seguito con
Anton Jelinek, già partecipante alla famosa
spedizione della fregata “Novara” intorno al
mondo.
Grossi quantitativi di terreno vengono impor-
tati dalla Stiria e dalla Carinzia, e vivaisti so-
prattutto del Lombardo Veneto procurano
una ricca varietà di essenze arboree e arbusti-
ve, moltissime delle quali di origine extraeu-
ropea.
I lavori, avviati nella primavera del 1856, sono
seguiti costantemente da Massimiliano, che
non smetterà di interessarsi al suo giardino
anche una volta stabilitosi in Messico, da
dove farà pervenire numerose piante.
Nella zona est prevale la sistemazione “a
bosco” che asseconda l’orografia del luogo:
alberi alternati a spazi erbosi, sentieri tortuo-
si, gazebi e laghetti, ripropongono i dettami
romantici del giardino paesistico inglese.
La zona sud ovest, protetta dal vento, acco-
glie aree geometricamente impostate, come
nel caso del giardino all’italiana antistante al
“Kaffeehaus” o delle aiuole ben articolate
intorno al porticciolo.
Il Parco di Miramare, che nelle intenzioni del
committente doveva essere una stazione
sperimentale di rimboschimento e di acclima-
tazione di specie botaniche rare, è un com-
plesso insieme natu-
rale e artificiale: in
esso è possibile
ancor oggi respirare
un’atmosfera intrisa
di significati stretta-
mente legati alla
vita di Massimiliano,
e cogliere al con-
tempo il rapporto
con la natura che è
proprio di un’epoca.
Nel Parco si segnala-
no in particolare: le sculture prodotte dalla
ditta berlinese Moritz Geiss; le serre, con
vetrate che si aprono nell’originale struttura
in ferro; la “casetta svizzera” ai margini del
“Lago dei cigni”; il piccolo piazzale con i can-
noni donati da Leopoldo I re dei Belgi; la cap-
pella di San Canciano con un crocifisso scolpi-
to con il legno della fregata “Novara”, dedica-
to nel 1900 a Massimiliano da suo fratello
Ludovico Vittore.
LA STORIA - IL CASTELLETTO
In parallelo alla costruzione del Castello, Mas-
similiano fa erigere nel parco il piccolo
“Gartenhaus” anche chiamato “Castelletto”,
in quanto imita in scala ridotta gli esterni
eclettici della residenza principale.
Abitato saltuariamente da Massimiliano e
Carlotta dal 1859 fino al 1860, il Castelletto
gode di una notevole posizione panoramica:
si affaccia sul porticciolo di Grignano ed è
preceduto da una zona a parterre, abbellita
Trieste, … nell’anno della fede agosto 2013 pag. 30
da alberi e da una fontana nello spiazzo anti-
stante alle serre.
È dotato di una pianta a base quadrata, con
terrazza, torretta e pergolata di ingresso, e la
decorazione superstite al primo piano mostra
numerose analogie con quella della prima
residenza triestina di Massimiliano: Villa Laza-
rovich, che l'arciduca prese in affitto nel 1852
da Nicolò Marco Lazarovich, sistemandola
secondo il suo personale gusto.
Molti arredi di questa questa villa, sita sul
colle di S. Vito, e tutt’ora esistente in via Tigor
23, furono fatti confluire a Miramare per
esplicita disposizione di Massimiliano. Gli echi
della tragica storia di Massimiliano e Carlotta
risuonano anche nel Castelletto: qui, infatti,
tra la fine del 1866 e l’inizio del 1867, i medici
sorveglieranno strettamente Carlotta, colpita
dai primi segni di un preoccupante squilibrio
mentale.
Negli anni ‘30 del Novecento, quando il Ca-
stello è abitato dai Duchi di Savoia-Aosta, il
Castelletto diventa un museo aperto al pub-
blico, che vi può ammirare gli arredi del Ca-
stello che Amedeo di Savoia-Aosta non ha
incluso nei suoi appartamenti.
Attualmente il Castelletto ospita la sede della
Direzione della Riserva Naturale Marina di
Miramare.
Trieste
TEATRO ROMANO
via del Teatro Ro-
mano
In riva al mare, nella
estremità inferiore
del colle di S. Giu-
sto, i Romani co-
struirono un grande
teatro capace di
contenere 6.000
spettatori.
La pendenza del
colle fu utilizzata
come nei teatri
greci ma soltanto parzialmente perché è qua-
si interamente un'opera muraria. La parte più
alta delle gradinate e il palcoscenico erano in
legno. Molto poco è rimasto: soltanto il basa-
mento della parte fissa della scena e le basi in
muratura dei pilastri del portico. Al Civico
Museo di Storia e Arte sono conservate le
statue ornamentali.
In tre iscrizioni dell'epoca di Traiano compare
il nome di Q. Petronius Modestus , un perso-
naggio legato al teatro del tempo e trova
conferma la data della costruzione del teatro
intorno alla seconda metà del I sec.
Come per gli altri monumenti romani subì la
spoliazione delle pietre pregiate e già pronte
ad altri usi. Divenne così il solido fondamento
delle case che si costruirono sopra. Pietro
Nobile, architetto neoclassico e studioso delle
antichità locali, lo individuò nel 1814 guidato
anche dal nome del luogo "Rena ve-
cia" (Arena vecchia). .
SINAGOGA TEMPIO ISRAELITICO
via S. Francesco d'Assisi, 19
Il documento ufficiale più antico reperibile
che menzioni un insediamento ebraico, sep-
pur piccolo, a Trieste è datato 1236 ed è co-
stituito da un atto notarile che menziona
l'ebreo Daniel David di Trieste, che spese 500
marchi per combattere i ladroni sul Carso.
A cominciare dal XIV sec. vi si stabilirono E-
brei provenienti dai paesi tedeschi; alcuni
erano sudditi dei Duchi d'Austria ed altri dei
Principi locali. Durante il periodo medioevale
gli Ebrei della città
erano dediti princi-
palmente ad attività
bancarie (prestiti) e
commerciali; dal XIV
sec. troviamo Ebrei
banchieri ufficiali
del municipio.
Alla fine del XVII
sec. gli Ebrei di Trie-
ste, così come quelli
di molte altre comu-
nità d'Europa, si
trovarono al centro di una battaglia con le
autorità cittadine che pretendevano la co-
Trieste 2013 - Trieste 2013  ...nell'anno della fede,  alle radici della evangelizzazione, in Italia e in Europa.
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Trieste 2013 - Trieste 2013 ...nell'anno della fede, alle radici della evangelizzazione, in Italia e in Europa.

  • 1. Trieste, …. nell’anno della fede agosto 2013 pag. 1 PROGRAMMA : Partenza dal piazzale dell’Oratorio S.G.Bosco ore 6.00 (ritrovo 5,45 per carico bagagli) Arrivo a Padova entro le ore 10.00. (PRATO DELLA VALLE, S. GIUSTINA, S. ANTONIO, PIAZZA ERBE….) pranzo al sacco e in seguito visita ai principali monumenti del centro storico. Ore 16.00 Partenza per Trieste e arrivo per le 18.30 Cena e TRIESTE by Night HOTEL VILLA NAZARETH, Via dell'Istria, 69, 34137 , TRIESTE TELEFONO: 040-771682 E-MAIL: info@villanazareth.com WEB: www.villanazareth.com Mercoledì 21 agosto
  • 2. Trieste, … nell’anno della fede agosto 2013 pag. 2 Padova LA BASILICA DEL SANTO L'ESTERNO L'attuale Basilica è in gran parte l'esito a cui si è giunti attraverso tre ricostruzioni, che si sono succedute nell'arco di una settantina d'anni: 1238-1310. Ai tempi di sant'Antonio qui sorgeva la chie- setta di Santa Maria Mater Domini, poi inglo- bata nella Basilica quale Cappella della Ma- donna Mora. Accanto ad essa, nel 1229, era sorto il convento dei frati fondato probabil- mente dallo stesso sant'Antonio. Deceduto nel 1231 all'Arcella, a nord della città, dove sorgeva un monastero di clarisse, il suo corpo - secon- do il suo stesso desi- derio - venne tra- sportato e sepolto nella chiesetta di Santa Maria Mater Domini. Il primo nucleo della Basilica, una chiesa francescana a una sola navata con abside corta, fu ini- ziato nel 1238; ven- nero poi aggiunte le due navate laterali e alla fine si trasformò il tutto nella stupenda co- struzione che oggi ammiriamo. L'INTERNO Ci si può portare agli inizi della navata centra- le. Si noterà subito come l'architettura, pur sempre gotica nell'alzata, si distingue netta- mente in due parti: quella delle navate (in cui ci si trova) e quella dell'abside oltre il transet- to. Non soltanto perché quest'ultima è tutta affrescata, ma soprattutto per la diversa tipo- logia del gotico. L'area delle navate appare di ampia spazialità, ritmata da entrambi i lati da due calme e solenni campate. Sopra di esse, sia a sinistra che a destra, corre un ballatoio, il quale ac- compagna la navata centrale, per poi rinser- rare tutto intero il transetto. Più che i resti di decorazioni e dipinti, colpi- scono i numerosi monumenti funebri, che rivestono pilastri e altri spazi e che risalgono soprattutto ai secoli XV-XVII. Oggi noi prefe- riamo vedere le chiese ripulite da queste incrostazioni del passato. Non bisogna però sottovalutare il valore arti- stico di alcuni monumenti e il fatto che essi costituiscono un interessante spaccato della vita civile e culturale della città e della regio- ne. La presenza di questi monumenti funebri non interessa però la gran parte dei visitatori. Prima di lasciare la navata centrale, si osservi sulla controfacciata il grande affresco di Pie- tro Annigoni, terminato nel 1985, raffigura Sant'Antonio che predica dal noce. Il fatto avvenne a Campo- sampiero (Padova) dove il Santo, imme- diatamente prima della morte, trascor- se un breve periodo di riposo e di racco- glimento (dalla se- conda metà di mag- gio al 13 giugno 1231). Alla gente (semplice o malata, indifferen- te o curiosa; simpatico il contrappunto dei tre bimbi) e ai suoi frati (ai piedi della scala c'è il beato Luca Belludi, successore di sant'Anto- nio) il Santo indica il vangelo come fonte di luce e di vita. LA MADONNA DEI PILASTRO Sulla prima colonna della navata sinistra si può ammirare la Madonna del Pilastro. È stata affrescata, pochi anni dopo la metà del '300, da Stefano da Ferrara. Non si badi agli angeli che stanno sopra e ai due apostoli ai lati, che sono aggiunte poste- riori. Così risalgono probabilmente al '600 i brillanti diademi sul capo della Madonna e del Bambino. Sopra il primo altare a sinistra sta la pala di san Massimiliano Kolbe, anch’essa dipinta da Pietro Annigoni nel 1981.
  • 3. Trieste, …. nell’anno della fede agosto 2013 pag. 3 LA CAPPELLA DEL SANTISSIMO È la prima cappella della nava- ta destra. Vi si conserva l'Euca- ristia. Nel passato era detta Cappella dei Gattamelata, perché voluta dalla famiglia del condottiero Erasmo da Narni (soprannominato Gattamelata, + 1443) come luogo della sua tomba, che si può vedere nella parete sinistra; a destra invece è la tom- ba del figlio Giannantonio (+ 1456). La cappella, in stile gotico, fu ultima- ta nel 1458. È di pianta quadrata, con quattro colonne agli angoli e la volta a spicchi con costoloni. Tutto il resto ha subìto varie sistemazioni nel corso dei secoli. L'ultima, compren- dente anche l'abside dietro l'altare, risale agli anni 1927-1936 ed è opera di Lodovico Pogliaghi, artista assimila- tore e versatile. LA CAPPELLA DI SAN GIACOMO Proseguendo lungo la navata destra, si raggiunge il transetto che si con- clude con la Cappella di san Giacomo, voluta da Bonifacio Lupi, marchese di Soragna (Parma) con importanti incarichi diplomatici e militari presso i Carraresi di Padova.
  • 4. Trieste, … nell’anno della fede agosto 2013 pag. 4 L'elegante e arioso ambiente gotico è stato realizzato negli anni ‘70 dei Trecento da uno dei maggiori architetti e scultori veneziani d'allora, Andriolo de Santi. La cappella si apre in basso con cinque arcate trilobate. LA CROCIFISSIONE. Immediata è la suggestione che attrae il visi- tatore e lo avvolge nella calda atmosfera dei marmi e degli affreschi, finiti di restaurare nel 2000, che ricoprono tutta la superficie interna della cappella. Lo sguardo va spontaneamen- te alla grandiosa e drammatica Crocifissione, capolavoro di Altichiero da Zevio (Verona), il massimo pittore italiano della seconda metà del '300, che lo realizzò sempre negli anni ‘70 appena pronta la cappella. STORIA DI SAN GIACOMO. - Le otto lunette della cappella e uno scomparto ci presentano alcuni momenti della storia di san Giacomo, desunti dalla Legenda sanctorum o aurea di Jacopo da Varazze (1255?). Era un testo allora molto diffuso con intenti devozionali e che dava largo spazio a tradizioni e leggende e al quale tanti artisti hanno abbondantemente attinto. L'apostolo è san Giacomo il Maggiore (fratello di san Giovanni) il cui santuario di Compostel- la (Galizia/Spagna) era una delle grandi mete di pellegrinaggio della cristianità, specialmen- te nei secoli X-XV. L'autore degli affreschi è ancora Altichiero da Zevio, ma con la collabo- razione di Jacopo Avanzi, bolognese, la cui mano non è sempre facilmente distin- guibile. Proseguendo verso il deam- bulatorio, si lascia a destra l'uscita che conduce al Chiostro della Magnolia e, più avanti, l'entrata verso la Sacrestia; a sinistra, invece, il complesso presbiterio-coro chiuso da una superba cortina marmorea. Si giunge così alla prima cappella del deambulatorio. LA CAPPELLA DELLE BENEDIZIONI In questa cappella i fedeli amano far benedire anche oggetti personali, come ricordo duratu- ro e visibile dell’incontro di grazia avvenuto in Basilica. Ma ad attirare l'attenzione sono ora anche gli affreschi di Pietro Annigoni, i quali realizzano una stretta sintesi su un tema che ci sembra emergere con maggiore evidenza: la tragedia del peccato. La predica ai pesci, a sinistra (1981). L'episo- dio, stando alla fonte più antica, Actus beati Francisci et sociorum eius (1327-40), avvenne a Rimini nel 1223, alla foce della Marecchia. li Santo, vista la sua predicazione osteggiata da eretici e catari, se ne andò a parlare con i pesci, che affluirono numerosi guizzando fuori dalle onde. L'artista ci presenta il Santo che poggia sicuro su un grosso masso (allusione al Cristo) nell'atto di mediatore d'una fede "rappresentata" da quell'accorrere vivace dei pesci verso il loro Creatore. Accan- to a lui, un compagno dalla fede tentennante guarda impaurito la turba in arrivo. Al di là del Santo, più che le parti impressiona l'insieme: uomini e cose, tutto è sconvolto e sembra sfasciarsi. Così finisce il mondo che rifiuta Dio. Il Santo affronta il tiranno Ezzelino da Roma- no (1982). Secondo la Chronica dei notaio padovano Rolandino (1262) il fatto narrato dall'affresco è avvenuto poco prima che il Santo si ritirasse nell'eremo di Camposampie- ro, quindi nel maggio del 1231. Pregato dagli amici di Rizzardo di San Bonifacio (Verona) sequestrato con altri della fazione ghibellina, sant'An- tonio si recò da Ezzelino III da Romano, per otteneme il rilascio. L'esito della missio- ne fu negativo. L'artista fissa l'incontro dei due per- sonaggi nella fase finale: un diniego che non ammette ripensamenti. L'ostinazione del tiranno è resa dal risoluto gesto delle mani. Dietro di lui, il truce consi- gliere, raffigurato nella sua vera identità: il diavolo, l'ingannatore. Ma Ezzelino non è dei tutto tranquillo: si pro-
  • 5. Trieste, …. nell’anno della fede agosto 2013 pag. 5 tende in avanti, verso il Santo, con la bocca contratta da una smorfia, cercando di scruta- re diffidente la fonte di tanta semplicità e coraggio. Antonio ha in mano il vangelo, ma esso è ormai chiuso per il tiranno. Sant'Antonio, rassegnato, ha compassione del tiranno prigioniero di se stesso. Dietro, le ombre dei prigionieri, sospinti dalle guardie; gli uni estranei agli altri. La Crocifissione (1983). - Le proporzioni, lo stacco e il risalto conferito dalla finta parete con cui è raffigurato il Crocifisso suscitano un'immediata forte reazione. Lo sguardo segue trepidante le gambe inarcate e lacere di sangue di Cristo. Il petto è stirato in giù e l'addome rigonfio, come avviene in questi condannati. Le braccia sono crudamente sti- rate e tutto il corpo sembra crollare. Il volto è uno strazio. Intorno l'atmosfera umida e plumbea è solcata da un lampo: unico segno, tale da non disperdere l'attenzione, dell'eco della natura. In alto, nel mezzo, una luce scar- latta, di amore e di sangue, rivela il senso ed esalta la sofferenza sacrificale di Cristo, che sembra sussurrare: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?". Uscendo dalla cappella, guardia- mo in alto per risollevarci l'animo nelle serene e alte volte della parte absidale della Basilica. Pro- seguiamo lungo il deambulatorio, lasciando a destra la Cappella americana o di santa Rosa da Lima (1586-1617) patrona dell'A- merica, delle Filippine e delle Indie occidentali; a cui segue la Cappella germanica o di san Boni- facio (673-755), grande evangeliz- zatore della Germania; infine la Cappella di santo Stefano, primo martire cristiano, contenente chiari e agili affreschi dell'italiano Ludovico Seitz (1907), fecondo pittore ade- rente al movimento dei "Nazareni". Si raggiunge così, sempre alla nostra destra, il centro del deambulatorio da dove ci si im- mette nella Cappella dei Tesoro. LA CAPPELLA DEL TESORO Questa cappella, iniziata nel 1691,opera ba- rocca del Parodi, allievo dei Bernini, ha trova- to un distinto spazio nella Basilica, senza di- sturbarne la coerenza gotica. L'architettura si trasforma davanti a noi in trionfo, che inizia dalla balaustrata con le sue sei statue in marmo, dei Parodi. Al di là della balaustrata, il passaggio che consente ai visitatori di ammirare il "tesoro" della Basilica, che dà il nome alla cappella e che è raccolto in tre nicchie distinte da para- ste binate e precedute in basso da coppie di angeli L'insieme è coronato da cordoni di angeli festanti (in stucco, di Pietro Roncaioli da Lu- gano) che conducono a Sant'Antonio in gloria (in marmo, del Parodi). Altre decorazioni nel tamburo della cupola (del Roncaioli) e nella calotta (inizi di questo secolo). Memorie del Santo (antistanti la balaustrata). Prima di salire verso le nicchie, sostiamo ad osservare alcune memorie di san t'Antonio, che nel 1981 sono state collocate nell'area e sulle pareti antistanti la balaustrata. Nel gennaio del 1981 in occasione dei 750 anni dalla morte del Santo, nell'intento di precisare lo stato dei resti mortali di sant'Antonio, nominate allo scopo u- na"commissione religiosa pontifi- cia" e una "commissione tecnico - scientifica", venne aperta la tom- ba di sant'Antonio, per la seconda volta nella storia. (Vedi la pagina delle ricognizioni) Vi si trovò: una grande cassa di legno di abe- te, rivestita di quattro teli di lino e, sopra di essi, due drappi dorati finemente ricamati; nell'interno della grande cassa, una seconda cassa più piccola (sempre in legno di abete) a due scomparti disuguali e con il coperchio percorso in lun- ghezza da una cordicella con tre sigilli; all'in- terno tre involti di seta rosso-cremisi fine- mente ricamati (ricavati probabilmente da un
  • 6. Trieste, … nell’anno della fede agosto 2013 pag. 6 piviale) e con preziose bordure applicate cia- scuno contrassegnato da una scritta in perga- mena cucita indicante il contenuto e cioè: • l'intero scheletro, ad eccezione dei men- to, dell'avambraccio sinistro e di qualche altra parte minore; • gli altri resti, in gran parte allo stato di polvere; • la tonaca, in tessuto di lana color cinerino. • All'esterno della grande cassa nel loculo che la conteneva si è trovato: • una lapide con le date della morte dei Santo, della sua canonizzazione e della traslazione dei suoi resti dalla chiesetta di Santa Maria Mater Domini alla nuova Basilica (8 aprile 1263) • parecchi anellini (10 bianchi e 50 neri) di collana o corona. Per capire in parte tutto ciò, bisogna risalire al 1263. Terminata la seconda fase di costruzio- ne della Basilica, in occasione dei "capitolo generale" che radunava a Padova i francesca- ni ed essendo ministro generale dell'Ordine san Bonaventura, si trasferì la tomba del San- to dalla chiesetta di Santa Maria Mater Domi- ni al centro della Basilica, sotto l'attuale cupo- la conica (davanti al presbiterio). In quell'occasione fu aperta per la prima volta la bara che conteneva i resti dei Santo, so- prattutto per estrame alcune reliquie da offri- re alla devozione dei fedeli anche in altre chiese. Grande fu la sorpresa nel vedere an- cora incorrotta la sua lingua. Fu allora che san Bonaventura, con il cuore colmo di ammira- zione, pregò ad alta voce: O lingua benedetta, che hai sempre benedet- to il Signore e dagli altri lo hai fatto sempre benedire: ora appare manifesto quanti meriti hai acquistato presso Dio. Si decise, allora, di conservare a parte la lin- gua dei Santo, il mento, l'avambraccio sinistro e qualche altra reliquia minore. Tutto il resto venne distribuito nei tre involti in seta rosso- cremisi, di cui si è parlato, e collocato in una piccola cassa e questa, a sua volta, nella cassa più grande. La recente ricognizione del 1981 ha offerto l'opportunità di eseguire adeguate indagini di carattere storico, tecnico e artistico, antropo- logico e medico, su tutto il materiale che è stato rinvenuto. Lo scheletro dei Santo è sta- to in seguito ricomposto su un materassino e posato in una cassa di cristallo. In essa sono stati collocati due cofanetti in vetro con gli altri resti. La cassa di cristallo poi è stata rin- chiusa in una bara di rovere e ricollocata nella tomba. Sono invece stati esposti in questa Cappella dei Tesoro: la tonaca del Santo, le due casse in legno, la cordicella e due sigilli, i tre panni di seta rosso-cremisi ricomposti in piviale, i due grandi drappi dorati, la lapide, le moneti- ne e gli anellini. Tutte cose che qui si possono devotamente osservare. Salendo da sinistra verso si trovano le tre nicchie che racchiudono reliquie di sant'Anto- nio e di altri santi, ma soprattutto un gran numero di doni offerti per riconoscenza o devozione da illustri pellegrini dei passato al Santo di Padova. Ciò che invece deve focaliz- zare l'attenzione sono le più prestigiose reli- quie di sant'Antonio, che si trovano nella nicchia centrale. La lingua del Santo (al cen- tro). Non si pensi di vedere una lingua di colo- re rosso vivo. Ma ciò che si vede costituisce ugualmente un fatto inspiegabile, dato che si tratta di una parte anatomica fragilissima e tra le prime a dissolversi dopo la morte. Ora sono passati oltre 770 anni dalla dipartita di sant'Antonio e quella lingua costituisce un miracolo perenne, unico nella storia e carico di significato religioso, quale suggello dell'o- pera di rievangelizzazione della società ad opera del Santo. Degno di accoglienza di così incredibile reli- quia è il finissimo e delicato capolavoro di armonia e di grazia, in argento dorato, opera di Giuliano da Firenze (1434-36). La reliquia del mento (in alto). Più esattamente si tratta della mandibola, collocata in un reliquiario concepito come un busto, con aureola e cri- stallo in luogo dei volto. È stato commissiona- to nel 1349 dal cardinale Guy de Boulogne-
  • 7. Trieste, …. nell’anno della fede agosto 2013 pag. 7 sur-Mer, miracolato dal Santo: Egli stesso lo portò a Padova l'anno dopo, procedendo solennemente alla sistemazione del mento in questo reliquiario (in argento dorato). Le cartilagini laringee (in basso). Queste, ancora conservate, che sono gli strumenti della fona- zione, cioè della parola, hanno subito attirato l'attenzione, pur non costituendo un fatto inspiegabile come la lingua, nella recente ricognizione dei 1981. Si è pensato quindi di collocarle in visione insieme alla lingua del Santo. Il reliquiario è opera del trevisano Carlo Balljana. Uscendo dalla Cappella dei Tesoro e prose- guendo a destra, si incontrano: la Cappella polacca o di san Stanislao (+ 1079), vescovo e martire, patrono della Polonia; di seguito la Cappella austroungarica o di san Leopoldo (1075-1136), margravio e patrono d'Austria; segue la Cappella di san Francesco; e infine la Cappella di san Giuseppe. LA CAPPELLA DELLA MADONNA MORA Un po' più avanti, sempre sulla destra, si en- tra nella Cappella della Madonna Mora. Ci troviamo nell'ambiente dell'antica chieset- ta di Santa Maria Mater Domini (fine secolo XII-inizio XIII) inglobata nell'attuale Basilica. Qui di certo ha pregato sant'Antonio e qui desiderava essere portato nell'approssimarsi della sua morte. In essa è poi stato sepolto fino al 1263. La statua della Madonna Mora che domina l'altare è stata realizzata nel 1396 da Rainaldi- no di Puy-l' Evéque, un artista guascone. I padovani l'hanno chiamata "Madonna Mora" per il volto colorito, ma il titolo esprime so- prattutto il loro rapporto di confidente fami- liarità. A nord si apre la Cappella del beato Luca Bel- ludi, detta anche dei Santi Filippo e Giacomo il Minore, apostoli. È stata aggiunta al com- plesso della Basilica nel secondo Trecento, e chiamata del beato Luca, compagno e succes- sore di sant'Antonio, perché sotto la mensa dell'altare vi è la sua tomba. Qui sostano spesso gli studenti padovani, che si affidano all'intercessione del beato nel loro difficile impegno di studi. La cappella è stata, comunque, dedicata fin dall'inizio ai santi Filippo e Giacomo. Molto interessanti gli affreschi del fiorentino Giusto de' Menabuoi, che risalgono sempre alla se- conda metà del Trecento (1382). Deperiti a causa soprattutto dell'umidità, sono stati di recente recuperati da un riuscito restauro che ne ha valorizzato il notevole livello artistico. Il sarcofago pensile è oggi vuoto. L'altare è del Duecento e pare che dal 1263 al 1310 fosse l'altare-tomba di sant'Antonio, collocato però davanti al presbiterio della Basilica, sotto la cupola conica. LA CAPPELLA DELLA TOMBA DI SANT'ANTO- NIO La tomba del Santo è stata chiamata fin dagli inizi anche "Arca". In questa cappella, sotto la mensa dell'altare e ad altezza d'uomo, c'è la tomba del Santo, qui collocata dopo essere stata dal 1231 al 1263 nella chiesetta Santa Maria Mater Domini (oggi Cappella della Ma- donna Mora) e dal 1263 al 1310 nel centro della Basilica, di fronte al presbiterio, sotto l'attuale cupola conica; incerta invece rimane la collocazione della tomba dal 1310 al 1350 (che può essere stata anche l'attuale). Dal 1350 è sempre rimasta in questa cappella. Fino agli inizi del Cinquecento lo stile con cui era ornata la cappella era quello gotico, con affreschi di Stefano da Ferrara, lo stesso della Madonna del Pilastro. L'arredo attuale, cinquecentesco, notevol- mente unitario dal punto di vista architettoni- co e scultoreo, sembra doversi attribuire a
  • 8. Trieste, … nell’anno della fede agosto 2013 pag. 8 Tullio Lombardo. L'altare è piuttosto invadente, ma l'artista Tiziano Aspetti (che lo realizzò verso la fine dei Cinquecento) era condizionato dall'altezza difficilmente modificabile della tomba, di certo precedente. Le statue sull'altare (sant'Antonio tra san Bonaventura e san Lu- dovico d'Angiò) sono dello stesso artista, mentre altri bronzisti hanno realizzato gli Angeli portacero, il cancelletto e i due piccoli candelabri. Quelli più grandi e slanciati, su supporti d'an- geli in marmo, sono invece creazione secen- tesca di Filippo Parodi. Altorilievi che accompagnano l'itinerario in- torno alla tomba. - Con un po' di attenzione e di buon senso si può armonizzare, per chi lo desidera, una sosta di raccoglimento presso la tomba del Santo con uno sguardo sommario ai nove altorilievi che la cappella ci propone. 1. Sant'Antonio riceve l'abito francescano. Opera di Antonio Minello (1517). 2. Il marito geloso, la cui moglie, pugnalata per gelosia, viene risanata dal Santo. Il lavoro, iniziato da Giovanni Rubino (detto il Dentone), fu portato a termine da Silvio Cosini (1536). 3. Il giovane risuscitato dal Santo. Il Santo, prodigiosamente trasferitosi in Portogal- lo, risuscita un giovane perché riveli l'i- dentità dei suo vero assassino così da scagionare il padre di Antonio, nel cui orto il cadavere era stato occultato. Inizia- to da Danese Cattaneo, fu ultimato da Girolamo Campagna (1573). 4. La giovane risuscitata. Si tratta di una ragazza annegata, risuscitata dal Santo, che nella rappresentazione non compare anche se in alto si vede la sua Basilica. È opera di Jacopo Sansovino (1563). Realiz- zazione ben calibrata e intensamente vigorosa. 5. Il bambino risuscitato. Si tratta del nipoti- no di sant'Antonio. Opera di Antonio Mi- nello con ritocchi del Sansovino (1536). 6. Il cuore dell'usuraio defunto non viene trovato dove doveva essere, ma nel suo forziere, come il Santo aveva sostenuto. Opera di Tullio Lombardo (1525). 7. Sant'Antonio riattacca il piede a un giova- ne, che per disperazione se l'era troncato dopo aver dato un calcio alla madre. Evi- dente la mano di Tullio Lombardo (1504). 8. Il bicchiere rimasto intatto, dopo essere stato scagliato a terra per sfida da uno che non credeva nella predicazione e nei prodigi operati da sant'Antonio. Iniziato da Giovanni Maria Mosca, fu portato a termine da Paolo Stella (1529). 9. Sant'Antonio fa parlare un neonato, per- ché attesti la fedeltà della madre, ingiu- stamente sospettata dal marito geloso. Opera di Antonio Lombardo (1505), fratel- lo di Tullio. IL COMPLESSO CORO-PRESBITERIO Per visitare questo settore della Basilica è necessario rivolgersi a uno dei custodi. La decorazione della parte absidale della Basi- lica. La decorazione pittorica che ricopre la parte absidale della Basilica è stata realizzata dal bolognese Achille Casanova e aiuti tra il 1903 e il 1939, secondo un ampio progetto iconografico che non è il caso di presentare. L'intervento è stato molto criticato, perché troppo scolastico e disturba le pure linee architettoniche, che avrebbe dovuto invece accompagnare con semplicità e discrezione. Ma sarebbe riduttivo vedere soltanto ciò. L'opera ha in effetti qualcosa di grandioso ed è certo unica. Quando la Basilica è debita- mente illuminata, si resta affascinati da una
  • 9. Trieste, …. nell’anno della fede agosto 2013 pag. 9 viva e avvolgente emozione In basso, il coro: con tale termine si intende sia l'ambiente retrostante l'altare maggiore sia l'insieme degli stalli in cui sostano i religio- si per la celebrazione della "Liturgia delle ore", che è la preghiera ufficiale della Chiesa per il mondo, e durante la quale non manca mai il ricordo di quanti si raccomandano alle preghiere dei frati. Fino al 1649 il coro si tro- vava davanti all'attuale altare, nel presbiterio. Così era fino al concilio di Trento nella gran parte delle chiese che avevano il coro, come si può vedere tuttora particolarmente nelle chiese anglicane; poi gradualmente il coro è stato trasportato dietro l'altare per consentire ai fedeli di vedere meglio l'altare e di seguire con maggiore attenzione la liturgia. Gli attuali stalli dei coro della Basilica risalgono al secondo Settecento. I precedenti, capolavoro gotico dei fratelli Lorenzo e Cristoforo Canozzi e aiuti (1462-69), furono distrutti dall'incendio del 1749. Il candelabro pasquale: capolavoro di Andrea Briosco. A nord dell'altare si può osservare il superbo candelabro pasquale in bronzo di Andrea Briosco, detto il Riccio, terminato nel 1515. Non solo per dimensioni (m 3,92 più 1,44 di basamento marmoreo) ma anche per complessità e livello di fattura esso è uno dei massimi candelabri dell'Occidente cristiano. IL COMPLESSO DONATELLIANO: una grandio- sa sinfonia della vita e della fede. - Concludia- mo la visita della Basilica, osservando alcune delle trenta opere che il grande Donatello ha creato a Padova, dal 1444 al 1450, e che co- stituiscono uno degli eventi fondamentali del rinascimento e dell'arte non solo italiana. LA DEPOSIZIONE. - L'opera (si trova nel retro dell'altare maggiore) è in pietra di Nanto (Colli Berici, Vicenza). Quattro discepoli, tesi dal dolore, adagiano il nudo inerte corpo di Cristo nel sepolcro. Dietro esplode lo strazio delle donne. Nel centro la Maddalena: più delle altre 43 donne ella esprime l'orrore di essere rimasta sola, nella memoria del suo peccato. E, nella rivelazione cristiana, il pec- cato è la causa profonda della morte. Il miracolo della mula (a sinistra, piuttosto in alto, sempre nel retro dell'altare). L'artista situa il noto episodio nella grandiosità di una Basilica, davanti all'altare. Gli studiosi, e non solo loro, continuano a stupirsi di fronte alla magia donatelliana che sa dare a spazi ridotti ampiezza e profondità inattese, utilizzando linee, decorazioni e materiali di vario colore. Lo sguardo scende dalle volte laterali, dilatan- dosi nello scorrere delle linee trasversali, e come un'onda raccoglie le due masse di uomini e le spinge verso l'altare. Qui, di fronte all'acceso diffondersi della luce si avverte la serena calma della presenza di Dio: lo rivelano la santità e la fede di Antonio da una parte e la voce silenziosa della natura dall'altra. La scoperta della pre- senza di Dio si riflette nelle risonanze indivi- duali dei presenti: una sola umanità agitata e ansiosa di Dio, un frantumarsi di reazioni... Donatello, come tutti i grandi geni, trascende la cultura dei suo tempo e ci appare quanto mai moderno. Come si può vedere, il rilievo molto basso riduce in prospettiva il volume dei corpi, che vengono appiattiti e dilatati acquistando così un suggestivo valore pittori- co. Questa tecnica, nella quale il Donatello è stato maestro, è chiamata con il termine to- scano (stiacciato", che vuol dire "schiacciato". Sulla destra del controaltare, l'artista presen- ta Sant'Antonio che fa parlare un neonato (perché attesti la fedeltà della madre, ingiu- stamente sospettata dal marito). In basso a destra: il bue (alato e nimbato per indicare che è il simbolo di un santo, nel caso dell'e- vangelista san Luca); a sinistra: il leone (simbolo di san Marco). L'ALTARE MAGGIORE. Quello che ora vedia-
  • 10. Trieste, … nell’anno della fede agosto 2013 pag. 10 mo fu realizzato nel 1895 da Camillo Boito (fratello dei musicista Arrigo) ed è l'ultimo fra i diversi altari innalzati in Basilica nel corso dei secoli. Queste variazioni sono dovute al mutare della sensibilità e della prassi liturgica. In quello attuale sono stati radunati tutti i capolavori del Donatello, che prima erano sparsi in altri posti della Basilica. Eccoli di seguito descritti ad uno ad uno. I 14 PICCOLI ANGELI E IL COMPIANTO DI GESÙ. In basso, lungo il lato frontale e i lati laterali dell'altare, sono stati collocati 10 ori- ginalissimi angeli musicanti (in dieci formelle) e 4 angeli cantori (in due formelle, quelle ai lati del Cristo morto). Benché non manchi in essi qualcosa di goffo, come del resto nell'ar- te dei tempo non ancora matura nella rappre- sentazione del bambino, questi putti suscita- no in noi un'immediata simpa- tia per l'impegno tutto infanti- le con cui vivono la loro parte. Al centro il Compianto di Gesù morto: una pagina di commo- vente tenerezza. La porticina dei Tabemacolo presenta Cristo morto assiso sul sepolcro (dei 1496: non si conosce lo scultore). Ai lati: alla nostra sinistra, Sant'Anto- nio riattacca il piede ad un giovane (che se l'era mozzato per disperazione dopo aver dato un calcio alla madre); a destra, Il cuore dell'usuraio (che non viene trovato dal chirurgo nel petto dell'usuraio, ma nel suo forziere). • Santa Giustina e san Daniele. - Più in su, sopra l'altare, alla nostra sinistra: Santa Giustina (giovane martire padovana, il cui culto è attestato fin dal V secolo e alla quale è dedicata la grandiosa Basilica nel vicino Prato della Valle); a destra, San Daniele (giovane diacono di Padova, mar- tire agli inizi dei IV secolo e i cui resti ripo- sano nel Duomo). • L'altare estende ai lati due ali più basse sulle quali, alla nostra sinistra, si ha: sotto, l'angelo (simbolo di san Matteo) e, sopra, San Ludovico; alla nostra destra: sotto, l'aquila (simbolo di san Giovanni evangeli- sta) e, sopra, San Prosdocimo. • San Ludovico d'Angiò San Ludovico d'Angiò e San Prosdocimo. San Ludovico (127 - 497), figlio di Carlo Il d'Angiò, re di Napoli: rifiutò la successione e, prima di accettare di essere vescovo di Tolosa, volle passare attraverso l'esperienza fran- cescana. Le sue scelte suscitarono una vasta impressione. Morì a 23 anni. • San Prosdocimo (seconda metà del III secolo) è il fondatore e il primo vescovo della città di Padova. La sua tarda età è stata confermata dalla recente ricognizio- ne delle ossa, che riposano nella Basilica di Santa Giustina. • San Francesco e sant'Anto- nio. - Ai lati della Madonna Donatello ci presenta san Francesco e sant'Antonio, grandi protagonisti della vita religiosa e culturale del Due- cento. • La Vergine e il Figlio. Il tema centrale di tutta la sinfo- nia donatelliana. La Madonna è giovanissima, anch'essa in varie parti incompiuta: appena uscita dall'opera del fonditore, ha la freschezza della prima creazione. Ci impressiona tanta bellezza unita a tanta fissità di dolo- rosi pensieri. Ci ricorda certa statuaria antica, ma qui c'è anche il moto della vita e della storia. • Il Crocifisso. - Dietro la statua della Vergi- ne s'innalza e domina lo spazio il Crocifis- so. Come lasciano intuire le proporzioni, esso non è stato realizzato dal Donatello per l'altare, ma per essere collocato nel mezzo della chiesa. Lo si osservi dal basso. Il chiodo gonfia e in- crespa le vene trasversali del piede destro.
  • 11. Trieste, …. nell’anno della fede agosto 2013 pag. 11 L'occhio scorre con dolore lungo le gambe inarcate e spostate a destra, ma non ancora irrigidite. Impressionanti, specie se colpiti dalla luce, il ventre e il petto, che lasciano intravedere lo scheletro. Le braccia sono per- corse dal fremito ancora vivo delle vene e dei nervi. Il volto è quello di un eroe che fonde bellezza e coraggio. SACRESTIA La sacrestia è preceduta da un atrio adorno di pregevoli affreschi. Sono attribuibili a un se- guace di Girolamo Tessari (detto anche Dal Santo). Rappresentano due miracoli: sant'An- tonio predica ai pesci e il bicchiere scagliato a terra rimane intatto (entrambi dei 1528). Nella lunetta sopra la porta murata, bell'af- fresco della metà dei '200: Vergine coi Bambi- no tra i santi Francesco e Antonio. Entrati nella luminosa sacrestia, si ammiri subito la volta tutta ravvivata dagli affreschi di Pietro Liberi che cantano, con estro e sbri- gliata fantasia, la gloria di sant'Antonio (1665). Sulla destra dopo l'entrata, la parete è occu- pata da un grande armadio a muro, opera di Bartolomeo Bellano (1469-1472). Le dieci tarsie che lo illuminano sono di Lorenzo Ca- nozzi (1474-1477); rappresentano (da sini- stra): i santi Bernardino e Girolamo, France- sco e Antonio, Ludovico d'Angiò e Bonaventu- ra; nei pannelli sottostanti, nature morte con Iibri e oggetti liturgici. Sulle altre pareti, tele a olio di Francesco Suman (1847). Attraversata una stretta saletta, si scende nell'ariosa sala dei capitolo (si chiamano capi- toli le riunioni ufficiali dei frati). Originaria- mente era decorata con un ciclo d'affreschi attribuiti a Giotto. Purtroppo ora ne rimango- no pochi resti. BASILICA DI SANTA GIUSTINA STORIA Nel tempo in cui la Patavium romana era nel suo massimo splendore, nella zona in cui ancora oggi sorge la Basilica e il Monastero di S. Giustina, c’era uno o più sepolcreti dell’aristocrazia pagana e un cimitero cristia- no. Qui il 7 ottobre del 304 fu deposto il cor- po della giovane Giustina, messa a morte perché cristiana, per sentenza dell’Imperatore Massimiano, allora di passag- gio a Padova. Poco dopo il 520, ad opera di Opilione, pre- fetto del pretorio e patrizio, sorse la prima Basilica con l’attiguo Oratorio, decorata di marmi preziosi e di mosaici. Se ne ha una descrizione nel 565 in Vita S. Martini, Libro IV, 672-670, di Venanzio Fortunato. La Basilica cimiteriale oltre alle spoglie della Patrona della città e diocesi, fu arricchita di corpi e reliquie di molti santi, luogo di sepol- tura prescelto dai vescovi. Divenne così, già nel secolo VI, meta di pellegrinaggi dal mo- mento che il culto di S. Giustina era ormai diffuso nelle zone adiacenti al litorale adriati- co. Bisogna risalire al 971 per avere notizie certe circa la presenza dei monaci benedettini neri a S. Giustina, e questo per merito del Vescovo di Padova Gauslino, il quale col con- senso del suo Capitolo ristabilì un monastero sotto la Regola di S. Benedetto, dotandolo di beni territoriali, di chiese e cappelle in città e in campagna. Iniziò così lo sviluppo progressi- vo operato dai monaci, che tanti benefici
  • 12. Trieste, … nell’anno della fede agosto 2013 pag. 12 apportarono a tutto l’agro padovano con le bonifiche terriere che trasformarono le im- mense paludi e le sterminate boscaglie in distese di fertilissime campagne. ARTE SANTA GIUSTINA Illustre per natali, ma più ancora per il suo cristianesimo, la sua mente pura seppe con- seguire la palma di altissima vittoria, il marti- rio. Trovandosi a Padova sua patria, vi soprag- giunse il crudele imperatore Massimiano, il quale nel Campo Marzio istituì un tribunale per uccidere i Santi di Dio. La beatissima Giu- stina mentre si affrettava a visitare i servi di Dio, fu sorpresa dai soldati presso Pontecorvo e portata al cospetto di Massimiano. Dopo una serie di domande sprezzanti circa la sua fede cristiana, e l’invito con minacce a sacrifi- care al grande dio Marte, di fronte alla co- stanza e alla fermezza della sua fede in Cristo, il crudele imperatore, preso da ira, emanò la sentenza: “Giustina, afferma di rimanere vincolata alla religione cristiana; e non inten- de obbedire alle nostre ingiunzioni, coman- diamo che sia uccisa di spada.” Ciò udendo, la beata Giustina esclamò: “Ti rendo grazie, Signore Gesù Cristo, che ti sei degnato di ascrivere nel tuo libro la tua martire. (…) ac- cogli la tua ancella nel grembo tuo, che siedi nel trono, mia luce, perla preziosa, che sem- pre ho amato.” Finita la preghiera, piegate a terra le ginoc- chia, il sicario le immerse la spada nel fianco. Così trafitta, fattosi il segno della santa croce, serenamente spirò. Era il 7 ottobre 304. I cristiani vedendo l’ardore della sua fede e la venerabile sua passione, deposero il suo cor- po nel cimitero appena fuori Padova, dove attualmente sorge l’Abbazia. (Passio S. Justi- nae Virginis et Martiris, sec.VI). LA BASILICA DI SANTA GIUSTINA È uno degli esemplari più grandiosi e geniali di libera e ragionata traduzione in stile del tardo Rinascimento, della grande architettura imperiale romana. Nelle varie campate della navata e delle crociere si ripete un unico mo- tivo: una cupola, insiste mediante pennacchi su un quadrato di quattro arconi a tutto se- sto, i quali si scaricano sui sostegni verticali. Un apporto prettamente veneto è dato alla nostra chiesa dalla molteplicità delle cupole esterne. Un influsso bramantesco permane, forse derivante dal primo progetto del 1501, nelle finestre delle absidi e nei grandi occhi delle navate e della crociera. Gli autori di questo capolavoro che è la Basilica di S. Giu- stina, sono Andrea Briosco (1517), il cui pro- getto fu successivamente modificato da Mat- teo da Valle (1520). Santa Giustina rivela un architetto di tanta genialità, da ideare un edificio di smisurata mole e di inusitata architettura, di tanta scienza ed esperienza, da affrontare e risolve- re a perfezione i difficilissimi problemi di sta- tica, di proporzioni, di prospettiva. Chi sia questo ignoto fino ad oggi non è dato saperlo. IL CAMPANILE La parte inferiore, fino alla cornice più bassa, è il campanile antico (secolo XII). Esso consta- va di una canna cieca a pianta quadrata (sette metri di lato), rafforzata su ciascuna fascia da due lesene a doppia ghiera, continue dall’alto al basso e legate in alto da doppia corona d’archetti, sopra la quale era la cella campa- naria, con una bifora per lato; era sormontata da una cuspide. Nel 1599, poiché la mole della nuova chiesa impediva alla città di sentir le campane, la vecchia torre fu raddoppiata d’altezza, mu- rando le bifore, togliendo la cuspide, riem- piendo i vuoti fra le lesene. L’aggiunta è una
  • 13. Trieste, …. nell’anno della fede agosto 2013 pag. 13 bella costruzione, che porta il campanile a circa 82 metri di altezza. Sostiene 7 campane (la più grossa pesa 2 tonnellate e mezzo) del secolo XVIII, le quali, benché fuse in anni di- versi e da diversi maestri, formano un magni- fico e armonioso concerto, il più bello di Pa- dova. Dal campanile, guardando la Basilica, sulla cupola centrale si ammira la statua di rame di S. Giustina in atto di proteggere la città. Sulle quattro cupolette: statue (in lami- na di piombo) dei Santi Prosdocimo, Benedet- to, Arnaldo, Daniele diacono. L’INTERNO Magnifico nella sua austera nudità, solenne ma accogliente, poderoso e slanciato, gran- dioso eppure raccolto, armoniosissimo nelle perfette proporzioni, nell’equilibrio tra pieni e vuoti, nella lieta, diffusa e ricca luminosità. E’ il trionfo della volta e dell’architettura di mas- sa, alla quale è affidato tutto l’effetto. Pur vincolato da precedenti lavori lasciati incompleti, per combinazione di due schemi architettonici diversi, presenta perfetta unità, e pare opera di primo getto. Nel progetto dovevano apparire visibili all’esterno ben sette cupole grandi e quattro piccole, è inve- ce probabile che all’interno tutte (salvo quella centrale) dovessero essere semplici catini: tali son restati nel braccio lungo della navata maggiore; quelle della crociera e del presbite- rio furono «aperte» circa il 1605 per consiglio di Vincenzo Scamozzi, per migliorare l’acustica, che divenne, così, perfetta. La cupola di mezzo fu fatta negli anni tra il 1597 e il 1600; le quattro piccole furono «aperte» anche più tardi di quelle grandi. Il bel pavimento fu iniziato circa nel 1608 e finito nel 1615; è di marmo di Verona giallo e rosso, e pietra di paragone. Vi sono inseriti, specialmente nei tratti longitudinali fra i pila- stri, molti pezzi di marmo greco appartenenti all’antica basilica di Opilione. Nel mezzo della navata, ammiriamo lo stu- pendo Crocifisso ligneo (secolo XV). Mirabile la testa per bellezza di tratti ed efficacia di espressione. LE CAPPELLE A destra e a sinistra delle navate laterali si dispiegano venti cappelle, dieci da una parte e dieci dall’altra: San Paolo, S. Gertrude, S. Gerardo, S. Scolastica, S. Benedetto, i SS. Innocenti, S. Urio, S. Mattia, S. Massimo, La Pietà, il Santissimo, Beato Arnaldo da Limena, S. Luca, S. Felicita, S. Giuliano, S. Mauro, S. Placido, S. Daniele, S. Gregorio, S. Giacomo. In ciascuna delle cappelle sono custodite preziose tele di Palma il Giovane, Luca Gior- dano (1676), Sebastiano Ricci (1700), Bene- detto Caliari (1589), Antonio Zanchi (1677), Valentino Le Fevre (1673), Giovanni Battista Maganza (1616), Claudio Ridolfi (1616), Carlo Loth (1678). Scultori come Francesco De Sur- dis (1562), Bartolomeo Bellano (Sec. XV), Filippo Parodi 1689) hanno contribuito ad arricchire i singoli altari. Ognuna di queste cappelle ha in comune con quella di fronte, l’architettura dell’altare, la qualità dei marmi, i disegni della vetrata e spesso quello del pavimento. Belle le decora- zioni a stucco delle volte. Meritevole di particolare interesse è l’altare del Santissimo, che dal 1562 al 1674 accolse i Corpi dei SS. Innocenti; permutati titolo e ufficio con quella primitiva del SS.mo, fu tra- sformata con armoniosa inserzione del baroc- co nell’architettura del rinascimento. L’altare, bellissimo esemplare di barocco veneziano, è opera di Giuseppe Sardi (1674), che in perfet- ta unità di composizione vi pose il grande e bel tabernacolo ideato da Lorenzo Bedoni (1656) ed eseguito da Pier Paolo Corberelli (1656) per la primitiva cappella del SS.mo. Le sei statuine di bronzo sul tabernacolo sono
  • 14. Trieste, … nell’anno della fede agosto 2013 pag. 14 di Carlo Trabucco (1697); i putti del basamen- to del tabernacolo, di Michele Fabris (1674), i due grandi e begli angeli, di Giusto Le Court (1675), le altre sculture, di Alessandro Tremi- gnon (1675), i mosaici del paliotto (i più belli di tutta la Basilica), di Antonio Corberelli (1675). Nel catino dell’abside: l’Eterno Padre circondato dagli Angeli; nella volta della cap- pella: il SS.mo Sacramento adorato dagli Apo- stoli: ambedue belle pitture a fresco di Seba- stiano Ricci (1700). S. LUCA EVANGELISTA Non era, come molti credono, uno dei dodici apostoli scelti da Gesù; venne invece citato e lodato più volte da S. Paolo come suo fedele collaboratore nei viaggi che fece per evangeliz- zare le genti. Luca scris- se il Vangelo che da lui prese il nome, e gli Atti degli Apostoli. Fonti antiche parlano della sua professione di me- dico ed una tradizione assai diffusa lo presen- ta anche pittore del volto di Cristo e soprat- tutto della Madonna. Tra le icone “lucane” una è la Madonna Costantinopolitana (XI-XII sec.). S. Luca è festeggiato sia dalla Chiesa Cattolica che da quelle Ortodosse il 18 otto- bre. Il sarcofago di S. Luca è un’opera preziosa di scuola pisana (1313), fatta a cura dell’abate Mussato, gli specchi sono di alabastro orien- tale; il telaio che li inquadra, di porfido verde: due colonne di granito orientale, due di ala- bastro. Notare il sostegno centrale formato da quattro angeli, di marmo greco. Le figure dei riquadri sono così ordinate: sul lato mino- re verso il Vangelo, l’effigie di S. Luca, centro di tutta la composizione; sui due lati, nello stesso ordine: due angeli che portano torce, due angeli turiferari, due buoi (il bue è il sim- bolo biblico di S. Luca); sulla testata opposta è ripetuto il simbolo dell’Evangelista. Secondo una antica tradizione l’evangelista Luca, origi- nario di Antiochia di Siria e morto in tarda età (84 anni), sarebbe stato sepolto nella città di Tebe. Da lì le sue ossa furono trasportate a Costantinopoli dopo la metà del IV sec. e da qui nel corso dello stesso secolo o dell’VIII , trasportato a Padova nel Monastero di Santa Giustina. I monaci benedettini insediatisi nel nostro Monastero prima del 1000 iniziarono a venerare le spoglie dell’Evangelista. Nel 1354, l’imperatore Carlo IV di Lussemburgo, re di Boemia, si fece consegnare il cranio che finì nella cattedrale di San Vito a Praga dove si trova ancora oggi. Nel 1436 fu affidata al pit- tore Giovanni Storlato l’incarico di rappresen- tare, sulle pareti della cappella dedicata al santo, una serie di sce- ne che ne narrano la vita, il trasferimento delle reliquie dall’Oriente e il suo ritrovamento a Padova. Un secolo più tardi, nel 1562, si trasferì l’arca marmorea nel brac- cio sinistro del transetto, nell’attuale Basilica. All’approssimarsi del Grande Giubileo del 2000 il Vescovo di Padova, anche per motivi ecumenici, nominò una commissione di e- sperti per avviare una ricognizione scientifica delle reliquie di San Luca. Il 17/9/1998 fu aperto il sarcofago e si trovò in una cassa di piombo sigillata uno scheletro umano in buo- no stato di conservazione. I risultati definitivi delle indagini sono stati presentati nel Con- gresso Internazionale, svoltosi a Padova nell’ottobre dell’anno 2000. I dati scientifici – come è stato affermato al termine di quelle giornate, non smentiscono la tradizionale attribuzione a S. Luca delle spoglie; si pongo- no piuttosto come dati precisi, complementa- ri alle fonti scritte, attorno a cui l’indagine storica potrà muoversi con maggiore sicurez- za, soprattutto per chiarire come, quando e perché sia avvenuta la traslazione del corpo da Costantinopoli a Padova
  • 15. Trieste, …. nell’anno della fede agosto 2013 pag. 15 LA MADONNA COSTANTINOPOLITANA In alto, sul Sarcofago di San Luca si ammira la copia cinquecentesca della «Madonna Co- stantinopolitana»: bella la pittura e bella la lastra di rame sbalzato e dorato che inquadra i due volti. La cornice di bronzo e i due Angeli in volo di Amleto Sartori (1960). Del medesi- mo sono gli otto bracci portalampade di bron- zo attorno all’abside (1961), e il disegno del piccolo coro. I documenti in nostro possesso segnalano la presenza della Immagine della Madonna Co- stantinopolitana nel Monastero di Santa Giu- stina a partire dal XII secolo e divenne ogget- to di viva devozione popolare. Secondo alcuni studiosi sarebbe l’immagine mariana più anti- ca che si conosca a Padova, di stile nettamen- te bizantino, venerata e invocata dai padova- ni come la Salus Populi Patavini. L’icona si presenta gravemente compromes- sa, tranne parte del volto della Madonna e del Bambino. La tavola è danneggiata da evidenti bruciature, che non è dato sapere se provocate da un incendio fortuito o dagli iconoclasti. La provenienza è certamente da Costantinopoli. Nel Cinquecento a un pittore venne affidata la trascrizione del volto della Madonna e del Bambino su cuoio e tutto il resto fu rivestito da una rizza d’argento dora- to e sbalzato con le figure della Vergine e del Bambino. Dietro questa nuova immagine, come in una teca, fu conservata l’icona anti- ca. Mentre il Monastero subiva le trasforma- zioni dell’occupazione napoleonica, la Chiesa divenne Parrocchia amministrata dal clero diocesano. Il 23 maggio 1909 Mons. Andrea Panzoni promosse l’incoronazione solenne dell’Icona costantinopolitana. Egli intendeva così contribuire alla maggiore valorizzazione del tempio che proprio in quell’anno fu eleva- to alla dignità di Basilica Minore Romana da Pio X. Nello stesso anno, un primo contingen- te di monaci, proveniente da Praglia, ritornò nel monastero dopo oltre un secolo dalla soppressione napoleonica e riprese il culto e la venerazione alla Madonna Costantinopoli- tana secondo la più antica tradizione. Ancor oggi, il 23 maggio,- giorno anniversario della sua incoronazione si svolge una solenne e suggestiva processione cittadina in Prato della Valle. Nel 1959 si separò l’icona vera e propria dalla riza di argento dorato e sbalza- to che la proteggeva anteriormente. La riza ha trovato la sua collocazione definitiva in Basilica nel braccio del transetto di S. Luca, sorretta da due angeli (opera di Amleto Sarto- ri, 1960). I volti della Vergine e del Bambino Gesù, dipinti su tela, sono attribuiti a Moretto da Brescia (terzo decennio del XVI sec.). La tavola di legno sottostante fu affidata al re- stauro del prof. Lazzarin che sotto una patina di resina bruciacchiata scoprì alcuni frammen- ti di pittura originale. Al termine del restauro venne custodita e venerata nella Cappella interna del Monastero. La tradizione che la vuole salvata da Costantinopoli al tempo della persecuzione iconoclasta nell’VIII sec. non regge alla critica storica:fu giudicata del XII sec. circa dal prof. Lorenzoni per alcune carat- teristiche stilistiche delle aureole e del mento della Vergine. IL PRESBITERIO E L’ALTARE MAGGIORE In origine, secondo l’uso tradizionale, la situa- zione era inversa: l’altare era in fondo, sotto il quadro (che posava circa due metri più in basso); il coro era dove è ora il presbiterio, e il lato minore volgeva le spalle al popolo, come ora le volge all’abside. La situazione attuale è del 1623; l’inversione, diede al po- polo la visibilità delle sacre funzioni. La scali- nata d’accesso e le balaustre sono di France- sco Contini, 1630. Nei pilastri, all’ingresso del presbiterio, a destra ammiriamo il busto del patrizio Vitaliano; a sinistra, il busto del patri- zio Opilione, opere ambedue di Giovanni Francesco De Surdis (1561). L’Altare Maggiore, bellissimo e semplicissimo (1640) progettato da Giovan Battista Nigetti; il ricchissimo mosaico intarsiato è di Pier Pao- lo Corberelli. L’altare racchiude il Corpo di S. Giustina. Ai lati si ammirano due residenze di noce, opera magnifica di Riccardo Taurigny (1564- 1572): S. Pietro riceve dal Signore le chiavi –
  • 16. Trieste, … nell’anno della fede agosto 2013 pag. 16 battezza Cornelio centurione – il castigo di Anania e Saffira e la Conversione di S. Paolo, la sua predicazione e la sua cattura. I parapetti delle cantorìe sono opera di Am- brogio Dusi, 1653. Gli organi attuali (quattro: uno a destra, due a sinistra, l’altro dietro all’ancona) sono opera della Ditta Pugina (1928). Le canne dell’organo attuale di sini- stra sono in parte quelle del Nachich e del Callido, che restarono dalla distruzione ope- rata da un fulmine nel 1927. A sinistra dell’altare: candelabro bronzeo per il cero pasquale di Arrigo Minerbi (1953). IL CORO GRANDE Il «Coro Maggiore»: uno dei più belli del mon- do; ammirevoli: la maestà dell’insieme, domi- nato dall’immensa ancona dorata; l’adattamento perfetto dell’opera all’ambiente; la euritmia fra i due ordini di stalli, superiore e inferiore, e fra questi e il dossale; l’eleganza e perfezione degli ornati (per esempio, si osservi di scor- cio la serie delle cariatidi sor- reggenti i braccioli degli stalli; si noti l’elegantissimo dossale, col colonnato di squisite pro- porzioni, la trabeazione col bellissimo fregio, i bei putti sovrapposti, ognuno in una posa diversa; la varietà e la finezza dei fregi sparsi dovun- que). Di grande effetto gli spec- chi del dossale, con le figure scolpite in pieno rilievo. arte-9-2L’autore è Riccardo Taurigny, cui si deve non sol- tanto l’esecuzione, ma anche il disegno dell’opera, che durò dall’ottobre 1558 al lu- glio 1566. L’artista era di Rouen in Norman- dia: nel lavoro fu aiutato da dieci carpentieri e dall’artista Giovanni Manetti. Gli stalli sono 88; la materia, il legno, di noce, ben conserva- to. Il tema delle figurazioni, elaborato da Eutizio Cordes monaco di S. Giustina e dottis- simo teologo, si può enunciare così: «L’opera redentrice di Gesù Cristo prefigurata nel Vec- chio Testamento, attuata nella sua vita, appli- cata all’umanità». A ciascuno dei fatti della vita terrena di N. S. Gesù Cristo (la Redenzione in atto) rappre- sentati nei grandi specchi del dossale, corri- sponde, in bassorilievo negli schienali degli stalli superiori, un fatto dell’Antico Testamen- to che è la figura profetica dell’altro; mentre gli schienali degli stalli inferiori portano bas- sorilievi allusivi: ai Sacramenti, che ci applica- no la Grazia della redenzione; ai doni dello Spirito Santo, che ci fanno agire secondo la Grazia, alle virtù che la Grazia produce, ai vizi che la Grazia estingue. I banditori della Redenzione sono rappresen- tati nelle statuine sedute poste sull’inginocchiatoio: due profeti dell’A. T.; i quattro evangelisti; i quattro massimi dottori della Chiesa Latina e si aggiungono, i due titolari della basilica: S. Giustina e S. Prosdoci- mo. Questo coro è un esempio dei più grandiosi e completi, di quei cicli figurativi storici e simbolici che il Medio- evo ebbe giustamente cari ad istruire nel dogma e nella mo- rale cristiana. Il leggìo col cassone sottoposto è opera anch’esso di Riccardo Taurigny (agosto 1566 – luglio 1572); vi sono raffigurati la vita e il martirio di S. Giustina. Nel cassone e in sagrestia si conservavano preziose collezio- ni di libri corali egregiamente decorati da illustri miniatori dei secoli XV e XVI. Ne resta oggi solo qualche malandato avanzo (cinque volu- mi in monastero, altri al Museo Civico). Il bel pavimento è del sec. XVI. n fondo al coro: il Martirio di S. Giustina: bella opera di Paolo Veronese (1575, firmata); la sua più grande pala d’altare. La cornice nobi- lissima, forse disegno di Michele Sanmicheli, fu scolpita da Giovanni Manetti, allievo e aiuto del Taurigny: è tutta dorata ad oro di zecchino. Sotto il quadro: bella porta in pie- tra; nella disposizione originaria chiudeva
  • 17. Trieste, …. nell’anno della fede agosto 2013 pag. 17 verso il popolo, in cima alla gradinata. Nei pilastri sotto le finestre: a destra: David vincitore di Golia; a sinistra: Sansone (sec. XVII). In origine, da questi pilastri sporgevano gli amboni per l’Epistola e il Vangelo, come fu uso costante nella Congregazione di S. Giusti- na fino a tutto il sec. XVI. Lunette delle arcate piccole: a destra: Giaele uccide Sisara: tela di Pietro Ricchi (1672); Nadab e Abiud puniti per aver usato fuoco profano: Giovan Francesco Cassana (1672). A sinistra: Lotta di Giacobbe con l’Angelo: Pietro Ricchi; Abramo riceve i tre Angeli: Gio- van Francesco Cassana. Sotto il presbiterio e il coro si stende una bella e spaziosa Cripta (1562), la cui volta è un capolavoro di statica per la piccolezza della monta rispetto alla corda (m. 2,60 su m.14). Da osservare, incorniciato da una nicchia del muro di fondo, il fonte battesimale di bronzo (Milani, 1964). CORRIDOIO DEI MARTIRI Costruito nel 1564 per unire la Cappella di S. Prosdocimo con la chiesa attuale, è un am- biente di piacevoli proporzioni, con buone decorazioni contemporanee. Qui si può vede- re dentro una gabbia medioevale di ferro, la cassa di legno che custodì per qualche tempo (forse dal 1177 al 1316) il corpo di S. Luca Evangelista. Nel mezzo il bel pozzo (1565), adorno di eleganti decorazioni in niello, sotto il quale, su un tratto di pavimento in mosaico della Basilica Opilioniana, posa il primitivo pozzo del sec. XIII, contenente le ossa dei Ss. Martiri. Sulla destra, sotto vetro è visibile un lacerto di pavimento a mosaico della Basilica paleocristiana (Sec. V- VI) Sopra il pozzo dei Martiri: pitture della cupo- la: di Giacomo Ceruti (1750 circa). In fondo, sull’altare: Il ritrovamento del pozzo dei Martiri, con la miracolosa accensione delle 12 candeline: bella tela di Pietro Damini (1592-1631), piena di ritratti. Scendendo: il muro a destra è un tratto del fianco meridionale della chiesa medioevale riedificato sulla corrispondente parete della Basilica Opilioniana. Le due bifore sono rico- struzioni (1923) su tenui tracce di due impo- ste di archi.Porta che immette nella cappella di S. Prosdocimo (1564). Ai lati: statue dei Ss. Pietro e Paolo, di Francesco Segala. Sono due delle undici statue eseguite da lui in terracot- ta (1564) per la nuova decorazione della cap- pella di S. Prosdocimo; sono oggi conservate nella Sala rossa all’interno del Monastero. Sopra la porta, ai lati dell’iscrizione: il pellica- no, la fenice: calchi di finissimi bassorilievi in marmo greco del sec. XVI. Gli originali furono tolti di qui per permettere la visione delle belle sculture del sec. XIII o XIV, che portavano nel retro. Oggi sono visibili nell’atrio della Sacrestia. SAN PROSDOCIMO E IL SACELLO Prosdocimo, verosimilmente primo vescovo della chiesa padovana (sec. III-IV), è rappre- sentato in una «imago clipeata» di marmo (inizi del sec. VI), riscoperta durante la rico- gnizione della sua salma nell’omonimo orato- rio in S. Giustina (1957). Il suo culto e la devo- zione è confermata anche fuori del territorio padovano prima del Mille . L’iconografia lo presenta con il pastorale e l’ampolla dell’acqua battesimale in mano: simboli della sua missione pastorale in città e in diocesi. L’antica liturgia ne celebra la fedeltà al Van- gelo e all’insegnamento degli Apostoli. Il Sacello è un cimelio di arte paleocristiana, preziosissimo per l’antichità, la completezza, le rarissime opere d’arte che custodisce. Fu costruito (tra il 450 e il 520) dal patrizio Opi- lione unitamente alla basilica, al sommo della cui navata destra era innestato, allo spigolo tra levante e mezzogiorno. Orientato come la basilica, comunicava con questa mediante l’atriolo di occidente. È uno dei più begli esempi di quegli oratori, di cui l’antichità cristiana circondava i maggiori edifici di culto: oratori destinati a devozioni particolari di singole persone, fisiche o morali, e verso singoli Santi (qui, secondo un costu- me diffusissimo nei secoli IV-VI, si veneravano reliquie di Santi Apostoli e Martiri); e anche a sepoltura di insigni personaggi. Più sviluppato e più perfetto dei più fra i sacelli analoghi, il
  • 18. Trieste, … nell’anno della fede agosto 2013 pag. 18 Sacello di San Prosdocimo consta di un qua- drato centrale, cui sono innestate quattro corte braccia coperte di volta a botte; il brac- cio orientale, absidato; il quadrato centrale è sormontato da cupola emisferica ad esso collegata mediante quattro pennacchi a quar- to di sfera. Come nella basilica annessa, le pareti erano rive- stite di tavole di marmi preziosi; dall’imposta degli archi in su tutto era coperto di mo- saici. Il braccio settentrionale immetteva in una sala, forse destina- ta ad accogliere sarcofagi di illustri personaggi. Nell’atrio ricostrui- to è possibile am- mirare il Timpano di porta della basi- lica opilioniana (sec. V-VI), e un pluteo di marmo greco del sec. VI; rarissimo perché doppio. In fondo: frontone triangolare (timpano di porta, sec. V-VI), con la iscrizione dedicatoria della Basilica e del Sacello: «Opilio vir clarissi- mus et inlustris, praefectus praetorio atque patricius, hanc basilicam vel oratorium in honorem sanctae Justinae Martyris a funda- mentis caeptam Deo iuvante perfecit ». Nel sacello: a destra: altare di S. Prosdocimo (1564), sarcofago romano di marmo pario, trovato (1564) nel terreno sotto il pavimento (conteneva i corpi di due Vescovi, allora de- posti altrove), e adibito da allora a custodia del corpo di S. Prosdocimo. Nel paliotto: S. Prosdocimo giacente, tra due Angeli cerofera- ri: bella scultura di ignoto (1564 – Marcanto- nio De Surdis). Sopra l’altare: stupenda immagine in marmo greco, di S. Prosdocimo (Sec. V-VI): rappre- senta il Santo nell’eterna giovinezza del para- diso, simboleggiata dai due palmizi laterali. Porta la scritta contemporanea: « Sanctus Prosdocimus Episcopus et Confessor ». In origine era la parte centrale della fronte di un sarcofago: tagliata poi per essere inserita in altro monumento (come lo mostrano i due battenti laterali) fu posata, come autentica- zione, sull’arca in cui nel sottosuolo furono nascoste le ossa del Santo; scoperta nell’esumazione del 1564, accompagnò nel 1565 le sacre ossa entro l’altare, ove fu ritro- vata nel 1957. A sinistra, davanti all’altare principale: la pre- ziosa « p e r g u l a» o iconostasi, l’unica del secolo VI che ci sia pervenuta integra. Uniche manomissioni: l’ultima colonna di destra, e i due capitelli estremi a destra e a sinistra, opera del Rinascimento. Come in tutte le antiche chiese, segnava la necessaria separa- zione tra clero e popolo, come oggi la balau- stra, e nello stesso tempo accentuava il carat- tere sacro del presbiterio e dell’altare. È di marmo greco (si notino le colonne tutte di un pezzo con gli altissimi piedistalli, e l’arco di mezzo a ferro di cavallo). L’iscrizione, con- temporanea, dice: «In nomine Dei. In hoc loco conlocatae sunt reliquiae sanctorum Apostolorum et plurimorum Martyrum qui pro conditore omniunque fidelium plebe orare dignentur (In nome di Dio: in questo
  • 19. Trieste, …. nell’anno della fede agosto 2013 pag. 19 luogo sono state collocate le reliquie dei SS. Apostoli e di moltissimi Martiri, i quali si de- gnino di pregare per il fondatore e per tutto il popolo di Dio). Si ritorni in chiesa per la stessa via. Dall’arco dietro l’altare di S. Mattia: bello sguardo sulla maestosa e semplicissima crociera della Basi- lica. CORRIDOIO DELLE MESSE E CORO VECCHIO Entrando nel Corridoio delle messe per la porta accanto all’altare della Pietà, adorna di due belle colonne di marmo greco, si accede al Coro Vecchio, prolungamento della Chiesa medioevale, costruito negli anni dal 1472 al 1473 col lascito di Jacopo Zocchi. Di belle proporzioni e molto luminoso, consta di due campate a pianta quasi quadrata con volta a crociera; e di una abside formata da sette lati di un dodecagono regolare. Ha conservato la disposizione primitiva: ad oriente altare e presbiterio, e, davanti, il coro. Si notino la volta dell’abside di bell’effetto; le sue lesene pensili; sotto gli archi della navata i curiosi capitelli. La decorazione delle volte è del sec. XV; il gran fregio a fresco attorno le pareti è del sec. XVI. Questa cappella è nobili- tata da insigni opere d’arte, che ne fanno un vero museo. Il Coro ligneo è opera (1467- 1477) di Francesco da Parma e Domenico da Piacenza, dei quali quasi nulla sappiamo. È opera d’intaglio e di intarsio. Bello l’insieme e molto pregevole; vigorosa ed elegante l’opera di intaglio. Interessanti pa- recchi dei primi specchi, per- ché riproducenti edifici dell’antica Padova. Nel mezzo, il cassone per i libri corali: opera un po’ più antica del coro, del Canozzi di Lendinara. Ancora nel mezzo: tomba di Ludovico Barbo; opera di un certo effetto, in pietra d’Istria. Nel presbiterio, a destra, sta- tua di S. Giustina, in pietra tenera, opera probabilmenete di fine sec. XIV-XV. A sinistra, arcosolio che pro- tegge la statua giacente di Jacopo Zocchi, di Bartolomeo Bellano (1461); sopra: ambone per il Vangelo; è originale solo la parte infe- riore della gocciola di sostegno, con i suoi finissimi ornati. Accanto: porticina intarsiata che immette all’ambone: degli stessi autori del coro. Bel pavimento (sec. XVI) di rosso di Verona, con intarsi di marmi rari e riporti di bronzo. Funge provvisoriamente da altare un bel pa- rapetto di cantoria, scolpito in legno di noce da mano maestra ha sostituito un altare, di cui sono rimasti i gradini. I pilastri addossati alla parete sostenevano la stupenda pala, racchiusa in una nobile cornice, che Girolamo Romanino dipinse per questo luogo (1513- 14), e che nel 1866 un commissario regio tolse a forza contro i diritti e le proteste della Fabbriceria. Oggi è al Museo Civico sempre in attesa di tornare al suo posto d’origine. Sulla parete: bellissimo Crocifisso ligneo, d’ignoto autore del sec. XV. SAGRESTIA Nell’atrio della sagrestia, si possono ammira- re nella nicchia la Madonna col Bambino, bellissima terracotta della fine del sec. XV. L’Architrave insieme alla lunetta romanica che lo sovrasta, che rappresenta la Chiesa che dà la bevanda della vita ai fedeli. Sull’Architrave vi sono rappresentate: 1) l’Annunciazione; 2) la Visitazione; 3) la Natività del Signore; 4) l’Annuncio dell’Angelo ai Pastori; 5) l’Adorazione dei Magi.
  • 20. Trieste, … nell’anno della fede agosto 2013 pag. 20 REDIPUGLIA, SANTUARIO BARBANA , GRADO, AQUILEIA. REDIPUGLIA Il più grande Sacrario Militare Italiano, sorge sul versante occidentale del Monte Sei Busi che nella Prima Guerra Mondiale fu aspra- mente conteso perché, pur se poco elevato, consentiva dalla sua sommità di dominare, per ampio raggio, l'accesso da Ovest ai primi gradini del tavolato carsico. La monumentale scalea sulla quale sono alli- neate le urne dei centomila caduti e che ha alla base quella monolitica del Duca d'Aosta, comandante della Terza Armata, dà l'immagi- ne dello schieramento sul campo di una Gran- de Unità con alla testa il suo Comandante. Nel Sacrario di Redipuglia sono custoditi i resti mortali di 100.187 caduti: 39.857 noti e 60.330 ignoti. SANTUARIO BARBANA Barbana è un’isola posta all’estremità orien- tale della laguna di Grado, sede di un antico santuario mariano. Si estende su circa tre ettari e dista circa cinque chilometri da Gra- do; è abitata in modo stabile da una comunità di frati minori francescani. Il suo nome deriva probabilmente da Barbano, un eremita del VI secolo che viveva nel luogo e che raccolse attorno a sé una comunità di monaci. Le origini dell’isola sono relativamente recen- ti: la laguna di Grado si è infatti formata tra il V e il VII secolo su di un’area precedentemen- te occupata dalla terraferma. Il luogo ospita- va, in epoca romana, un tempio di Apollo Beleno e, probabilmente, l’area destinata alla quarantena del vicino porto di Aquileia. Un piccolo bosco si estende sul lato occiden- tale dell’isola e ne copre più della metà della superficie: le essenze più diffuse sono i bago- lari, i pini marittimi, le magnolie, i cipressi, gli olmi. L’isola di Barbana è collegata a Grado da un regolare servizio di traghetti, con partenza dal Canale della Schiusa. Il viaggio richiede circa 20 minuti di navigazione. L’isola è inoltre dotata di un piccolo porto e può essere rag- giunta anche con mezzi privati. Giovedì 22 agosto PROGRAMMA : partenza ore 8.30 e arrivo a REDIPUGLIA (9.15) , visita sacrario Ore 10.30 partenza per Grado, alle ore 11.30 partenza (motoscafo) per il Santuario di Barba- na (arrivo alle ore 12) Ore 12.30 Pranzo al Ristorante del Pellegrino Tel. 0431/80453 Ore 14.30 partenza per GRADO e visita alla città (15.00-16.00) Ore 16.00 partenza per AQUILEIA - Visita guidata Ore 17.30 partenza per Trieste Rientro per cena SERATA: MOMENTO DI PREGHIERA E VISITA ALLA CITTÀ DI TRIESTE
  • 21. Trieste, …. nell’anno della fede agosto 2013 pag. 21 NASCITA DEL SANTUARIO Secondo la tradizione, la nascita del santua- rio della Madonna di Barbana risale all’anno 582, quando una violenta mareggiata minac- ciò la città di Grado: l’eccezionale evento meteorologico, che allora destò grande stu- pore e preoccupazione, si inserisce probabil- mente nella genesi dell’attuale laguna. Al termine della tempesta un’immagine della Madonna, trasportata dalle acque, venne ritrovata ai piedi di un olmo (o, secondo un’altra tradizione, sui suoi rami), nei pressi delle capanne di due eremiti originari del trevisano, Barbano e Tarilesso. Il luogo era allora relativamente lontano dalla linea di costa e il patriarca di Grado Elia (571-588), come ringrazia- mento alla Madon- na per aver salvato la città dalla mareg- giata, fece erigere una prima chiesa. Attorno a Barbana si formò una prima comunità di monaci che resse il santua- rio per i successivi quattro secoli. In questo arco di tempo il mare proseguì la sua avanzata: nel 734, da un documento di papa Gregorio III, si apprende infatti che Barbana era già un’isola. La chiesa venne probabil- mente ricostruita più volte e la stessa imma- gine della Madonna, non si sa se una statua o un’icona, andò perduta. Attorno all’anno mille, subentrarono i bene- dettini che ufficiarono il santuario per cinque- cento anni. A questo periodo risale la pesti- lenza che investì Grado nel 1237 e l’origine del pellegrinaggio annuale della città a Barba- na. DAL 1400 AD OGGI Il santuario attuale Dal 1450 è documentata la presenza di frati francescani conventuali, che sostituirono i benedettini prima in chiave provvisoria e poi, dal 1619, in modo definitivo. I francescani, che nel 1738 eressero una nuova chiesa a tre navate, rimasero nell’isola fino al 1769, quan- do la Repubblica di Venezia soppresse il mo- nastero. I legami di Venezia con il santuario, a dispetto di questo provvedimento, furono comunque sempre intensi, com’è testimoniato da lasciti testamentari di dogi (Pietro Ziani, 1228) e dall’esistenza, in passato, di un’apposita con- fraternita di gondolieri (la “Fratellanza della Beata Vergine di Barbana”). Lo stesso bassori- lievo dell’altare maggiore della chiesa di Bar- bana rappresenta, non a caso, una gondola in laguna. Dopo l’allontanamento dei frati, il santuario venne quindi affidato per oltre 130 anni ai sacerdoti diocesa- ni, prima di Udine (1769-1818), poi di Gorizia (1818- 1901). Un ruolo di particolare rilievo venne svolto da don Leonardo Sta- gni, al quale si devono la costru- zione degli argini (1851), la realizza- zione dell’attuale cappella del bosco nel luogo dove venne ritrovata l’immagine di Maria (1854) e l’incoronazione della Madonna di Barbana (1863). Nel 1901 il santuario venne affidato ai frati francescani minori della provincia dalmata che edificarono un nuovo convento, curarono alcune bonifiche e misero mano alla costru- zione dell’attuale chiesa. Nel 1924, mutati i confini politici, il testimone passò ai confratel- li della provincia veneta di San Francesco, che hanno provveduto alla realizzazione della casa di esercizi spirituali “Domus Maria- e” (1959) e delle più recenti casa del pellegri- no (1980) e cappella della riconciliazione (1989). La chiesa L’isola è dominata dalla mole della chiesa e del campanile. La chiesa, che presenta alcuni
  • 22. Trieste, … nell’anno della fede agosto 2013 pag. 22 richiami all’architettura orientale, è in stile neoromanico ed è relativamente recente. I lavori di costruzione dell’attuale edificio, che sorge sul luogo delle chiese succedutesi nei secoli passati, sono stati infatti avviati nel 1911 e completati, dopo una pausa dovuta alla prima guerra mondiale, nel 1924. Il pro- getto è dell’architetto goriziano Silvano Ba- rich, che negli anni successivi disegnerà i piani anche per il santuario di Monte Santo. La semplice facciata è ingentilita da lesene di pietra e da un rosone. La struttura culmina con un’ampia cupola. L’interno a tre navate, con soffitto a carena di nave, presenta elementi di notevole interesse nell’altare maggiore del 1706 e, soprattutto, nella statua lignea della Madonna, opera di scuola friulana della fine del Quattrocento. La statua, a grandezza naturale, rappresenta Maria in trono con in braccio Gesù bambino: lei regge con la mano destra una rosa, proba- bilmente a simboleggiare la fede, lui invece tiene in mano un libro, chiaro riferimento al Vangelo. I due altari laterali, in stile rinasci- mentale-barocco, sono di scuola veneziana e sono dedicati a San Francesco (sinistra, 1763) e Sant’Antonio (destra, 1749). Della scuola del Tintoretto è invece il quadro dei gondolie- ri in pellegrinaggio (1771) custodito nella sagrestia, dove è possibile ammirare anche una Madonna col Bambino di autore ignoto (1734). Gli affreschi della cupola (oltre 500 metri quadrati) sono un’opera più recente di Tibur- zio Donadon (1940). Lo spazio è diviso in quattro grandi quadri rappresentati l’incoronazione di Maria, la processione del perdòn di Barbana, l’apparizione della Vergi- ne sull’olmo, e una visione del patriarca Elia. I quadri sono separati da figure bianche che simboleggiano le quattro virtù cardinali (prudenza, giustizia, fortezza e temperanza). Le vetrate della chiesa rappresentano alcuni misteri del rosario. Il campanile, alto 47,8 metri, è stato inaugurato nel 1929: le quattro campane attuali, come invito alla pace, sono state ricavate dal metallo di cannoni tedeschi della seconda guerra mondiale. La piccola Cappella della riconciliazione, alla destra dell’altare maggiore, conserva una statua della Vergine del 1700 in pietra di Auri- sina e un cippo di pietra di età romana, raffi- gurante un magistrato. La continua azione della laguna ha impedito la conservazione di tracce significative dei santuari più antichi. Tra le vestigia giunte fino a noi, è possibile ricordare un bassorilievo funerario rappresentate un’apparizione di Cristo risorto (X-XI secolo), un frammento dell’albero presso il quale secondo la tradizio- ne venne ritrovata l’immagine della Madon- na, un rivestimento per altare in cuoio e oro (XVII secolo), e due colonne con capitelli co- rinzi, quest’ultime poste oggi davanti al cam- panile. Nella cappella della “Domus Mariae” è custodita la statua della cosiddetta “Madonna mora”, venerata nel santuario dall’XI al XVI secolo. L’opera, in legno dipinto, è stata recentemente restaurata: curiosa- mente, la Madonna regge il bambino per i piedini. Una tela di Madonna orante del 1500 può infine essere ammirata nella mensa dei frati. Della prima chiesa costruita dai francescani (XVIII secolo) sono invece rimaste numerose tracce, sia negli arredi interni che in materiale iconografico (dipinti, fotografie, bassorilievi). La chiesa, più piccola dell’attuale, si presenta- va con una semplice facciata bianca, successi- vamente ingentilita da un porticato, e aveva un piccolo campanile. La cappella nel bosco e le statue A poca distanza dalla chiesa, sul luogo dove secondo la tradizione si arenò l’immagine della Madonna, sorge la cappella dell’apparizione, costruita nel 1854 per cele- brare il dogma dell’Immacolata Concezione. La cappella, di forma ottagonale, ha preso il posto di un precedente capitello votivo ed è stata decorata nel 1860 dal pittore udinese Rocco Pitacco. I dipinti rappresentano la glori- ficazione di Maria tra angeli e personaggi dell’Antico e del Nuovo Testamento. Sulle
  • 23. Trieste, …. nell’anno della fede agosto 2013 pag. 23 pareti laterali, quadri relativi alla proclama- zione del dogma e alla vita e alle origini del santuario. La cappella, che è circondata da un piccolo cimitero, custodisce le spoglie del venerabile Egidio Bullesi, un giovane istriano distintosi per il suo apostolato a Pola e a Monfalcone. All’ingresso del piccolo porto dell’isola è visi- bile una statua della Madonna, eretta nel 1954 a ricordo dell’anno mariano. Altre sta- tue dedicate a San Francesco e ad Egidio Bul- lesi sono inoltre dislocate nei pressi della chiesa e della “Domus Mariae”. El Perdòn de Barbana Il pellegrinaggio più noto è il cosiddetto “Perdòn di Barbana” che si svolge ogni anno nella prima domenica di luglio e prevede una processione di barche imbandierate in lagu- na da Grado a Barba- na. La processione, che inizia di primo mattino, è guidata dalla “Battella”, l’imbarcazione che trasporta la statua della Madonna degli Ange- li custodita nella basilica di Grado. Nell’occasione viene aperto il ponte girevole che collega Grado alla terraferma e l’autorità civile consegna un dono simbolico alla Ma- donna. L’origine del pellegrinaggio risale a un voto fatto dalla comunità gradese in seguito alla pestilenza del 1237. Il nome “perdòn” deriva invece dalla consuetudine di accostar- si, nell’occasione, al sacramento della confes- sione. Altri pellegrinaggi Il santuario è inoltre meta di numerosi pelle- grinaggi provenienti principalmente dai paesi della Bassa Friulana, testimoniati anche da documenti pittorici come, ad esempio, un quadro votivo che ricorda la processione della comunità di Ruda. I pellegrinaggi votivi delle comunità si svolgono prevalentemente dal mese di aprile allla fine di settembre. Numerosi pellegrini partecipano inoltre il 15 agosto e l’8 settembre di ogni anno, in occa- sione delle festività mariane dell’Assunzione e della Natività, alle due processioni nelle quali la statua della Madonna di Barbana viene portata a spalla per l’isola. GRADO LA BASILICA PATRIARCALE DI SANT’EUFEMIA è il principale edificio religioso di Grado (GO) e antica cattedrale del soppresso Patriarcato di Grado. Risalente al VI secolo, sorge in Campo dei Patriarchi, affiancata dal battistero e dal cam- panile a cuspide del secolo XV. Sul luogo dove oggi troviamo la basilica di Sant’Eufemia, sorgeva una precedente basili- ca del IV-V secolo. L’edificio venne ordinato da Elia, arcivescovo di Aquileia in fuga da un’invasione: quella dei Longobardi. Quasi al contempo, Elia, in contrasto con papa Pelagio II a seguito della condanna dei Tre Capitoli, scelse la strada dell’autocefalia, proclamandosi patriarca, e, per riaffermare la propria fedeltà al concilio di Calcedonia, deci- se di dedicare la nuova chiesa a Sant’Eufemia di Calcedonia, patrona di quel concilio, consa- crandola forse il 3 novembre 580. Seguendo le complicate traversie della sua diocesi, tra il VI e l’inizio del VII secolo, la basilica fu sede del ramo filo-romano e filo- bizantino in cui si scisse il patriarcato, fino alla definitiva separazione tra le due chiese e la costituzione, negli anni 717 e 739 del Patriar- cato di Grado. Sottoposta al sempre più stretto controllo dei
  • 24. Trieste, … nell’anno della fede agosto 2013 pag. 24 Duchi di Venezia, delle cui terre era chiesa madre, più volte coinvolta negli scontri milita- ri per la mai sopita rivalità coi vicini Patriarchi di Aquileia, la basilica di Sant’Eufemia prese a decadere a partire dal 1105, quando il nuovo patriarca, Giovanni Gradenigo, scelse di risie- dere nella capitale: Venezia. La basilica mantenne tuttavia la titolarità della cattedra patriarcale anche dopo il rico- noscimento pontificio, nel 1177, della resi- denza veneziana dei patriarchi. Nel 1451, però, con la soppressione del titolo gradense e l’istituzione del nuovo Patriarcato di Venezia, la basilica venne incorporata nella nuova diocesi, perdendo il titolo di cattedrale, trasferito alla basilica di San Pietro di Castello, a Venezia. Nel 1455 venne eretto l’attuale campanile, sormontato da una statua segna- vento in rame sbalzato del 1462, raffigurante San Michele Arcangelo, attuale simbolo di Grado. Facciata e fianco sinistro La pala d’oro L’esterno, in stile paleocristiano, si presenta in mattoni e arenaria a vista e presenta rimaneggiamenti risalenti ai secoli XVII e XIX, in parte rimossi coi restauri ese- guiti a metà novecento. La facciata, rivolta verso Cam- po dei Patriarchi, è ripartita a salienti e lesene e aperta da tre ampi finestroni, al disotto dei quali si intravvedono le tracce dell’antico nartece, oggi scomparso. Ad essa è addos- sato sul lato destro il campani- le, a cuspide, d’aspetto vene- ziano. L’interno, ampio e luminoso, è diviso in tre navate, delimitate da colonne in marmi poli- cromi, in parte di epoca romana, così come i capitelli. Sulla parte alta e lungo le pareti perimetrali, si aprono numerosi ed ampi fine- stroni, che illuminano l’ambiente ed il sovra- stante tetto a capriate. Notevole è la decorazione musiva interna, in particolare per quanto riguarda il grande mosaico pavimentale, risalente alla fine del VI secolo. Sul lato sinistro della navata centrale si erge poi un alto ambone esagonale, con decorazioni scultoree del XIII secolo. Nel presbiterio, decorato in alto da affreschi quattrocenteschi, trova posto la pala d’oro in argento sbalzato e cesellato, donata alla basi- lica nel 1372 dal nobile veneziano Donato Mazzalorsa. Ripartita in tre registri, raffigura: in quello superiore l’Annunciazione, il Cristo e i simboli degli Evangelisti, in quello inferiore una serie di archetti con figure di Santi e, nel registro centrale, Cristo in trono e San Marco che celebra messa. La basilica ospita la statua della Madonna degli Angeli che, in occasione della festa del Perdon di Barbana (prima domenica di luglio), viene portata in processione in laguna fino al santuario di Barbana. Accanto al complesso basilicale si trova il battistero ottagonale con ampia vasca mar- morea a immersione. IL BATTISTERO di Grado è un monumento paleocristiano che sorge all’interno dell’antico castrum, a fianco della Basilica di Sant’Eufemia. Ha forma ottagonale, con vasca esagonale. La sua co- struzione risale al VI secolo. A partire dal IV e dal V secolo, Aquileia, ripetutamente sac- cheggiata durante le invasioni barbariche, venne progressi- vamente abbandonata dai suoi abitanti, che si rifugiaro- no nella vicina Grado. La defi- nitiva decadenza aquileiese venne sancita dal passaggio del patriarca, il romano Paolino (557-569), nella nuova sede gradese. Stabilitosi a Grado, Paolino iniziò a progettare una serie di edifici religiosi che dovevano servire la crescente popolazione dell’isola e dare alla città la dignità di sede vescovile. Al suo successore, il beneventano Probino (569-
  • 25. Trieste, …. nell’anno della fede agosto 2013 pag. 25 571), si deve il battistero, come testimoniato dal suo monogramma riportato sulla lastra frontale dell’altare, dove colombe e pavoni fanno da cornice a una croce. Dopo Probinio, Elia (571-586/87) completò i lavori con la realizzazione della basilica di Santa Eufemia, della prima chiesa di Barbana e, probabilmen- te, di una prima restaurazio- ne della basilica di Santa Maria delle Grazie. L’emergere di Venezia come potenza lagunare portò a una lenta decadenza di Gra- do, che nel corso dei secoli perse la sede vescovile e si ridusse a un semplice villag- gio di pescatori. Nel Seicento l’edificio, che nell’alto medio evo era stato dotato di gradinate cerimo- niali e di un’arca dedicata a San Giovanni, venne restau- rato in stile barocco e così rimase fino al secolo scorso. Nel 1925 vennero avviati lavori di scavo e restauro che ne riportarono alla luce le forme originarie, sia nell’aspetto esterno che nei semplici interni. L’edificio ha un impianto ottagonale. L’esterno è in cotto ed è dotato di otto alte finestre, una per lato, sotto le quali era pre- sente un portico d’ingresso, oggi perduto. L’attuale ingresso, rivolto a occidente, è di realizzazione recente, mentre l’antica porta, rivolta a nord-ovest, è stata murata in passa- to. L’interno è molto semplice. Il pavimento è musivo, con decorazioni geometriche e flore- ali e un’iscrizione, dedicata a Sesinio. Al centro la vasca battesimale è curiosamente esagonale, in contrasto con l’impianto ottago- nale dell’edificio. L’altare sorge in un’abside ricavato nel lato orientale: è illuminato da tre finestre ed è decorato con frammenti sculto- rei. Il soffitto in legno è stato ricostruito nel 1933 sulla base dell’edificio originario. LA BASILICA DI SANTA MARIA DELLE GRAZIE è una delle due basiliche paleocristiane di Grado. Si affaccia sul Campo dei Patriarchi, nel centro storico della città, a pochi passi dal Battistero e dalla Basilica di Sant’Eufemia, mentre i resti di una terza basilica (la Basilica della Corte) sono visibili a poca distanza, ai limiti del castrum romano. La basilica è stata costruita alla fine del VI secolo per volontà del Patriarca Elia, che negli stessi anni comple- tò la costruzione della Basili- ca di Sant’Eufemia e avviò i lavori per la prima chiesa di Barbana. La chiesa venne edificata sul sito di una precedente basili- ca paleocristiana risalente alla prima metà del V secolo, forse voluta dal vescovo Cromazio. I due stadi della costruzione risultano evidenti nell’interno, che i restauri hanno ripristinato a due livelli. La basilica ha curiosamente una base quadra- ta sia nella pianta che nell’alzato. L’interno è scandito da tre navate separate da due file di cinque colonne marmoree di provenienza diversa. Di particolare interesse l’altare, l’acquasantiera e la statua lignea della Ma- donna delle Grazie, tradizionale meta devo- zionale della popolazione gradese. L’architettura della basilica è caratterizzata dal forte slancio verticale della navata centra- le. La facciata in pietra e mattoni ha tre porte ed è ingentilita da una trifora. AQUILEIA Aquileia fu fondata dai Romani come colonia militare nel 181 a.C. Fu dapprima baluardo contro l’invasione di popoli barbari e punto di partenza per spedi- zioni e conquiste militari. Grazie ad una buona rete viaria e ad un impo- nente porto fluviale, col tempo divenne sem- pre più importante per il suo commercio e per lo sviluppo di un artigianato assai raffina-
  • 26. Trieste, … nell’anno della fede agosto 2013 pag. 26 to (vetri, ambre, fictilia, gemme…). Raggiunse il suo apice sotto il dominio di Ce- sare Augusto (27 a.C. – 14 d.C.) divenendo capitale della X Regio “Venetia et Histria” ed accelerando quel processo che ne avrebbe fatto una delle più importanti metropoli dell’Impero Romano. Durate i secoli successivi, guerre interne, scorrerie o rappresaglie esterne e rapide incursioni minacciarono la città che, coinvolta nella più ampia crisi dell’Impero, iniziò lenta- mente ad acquistare un volto nuovo divenen- do, con l’arrivo del cristianesimo, centro di irradiazione missionaria e di organizzazione ecclesiastica. CENNI STORICI SU AQUILEIA Aquileia fu fondata dai Romani come colonia militare nel 181 a.C. in un luogo che era all'in- crocio di popoli e traffici commerciali. Fu dapprima baluardo contro l'invasione di po- poli barbari e punto di partenza per spedizio- ni e conquiste militari. Collegata da una buona rete viaria, col tempo divenne sempre più importante per il suo commercio e per lo sviluppo di un artigianato assai raffinato. Raggiunse il suo apice sotto l'impero di Cesare Augusto: con una popola- zione stabile di oltre 200.000 abitanti, divenne una delle maggiori e più ricche città di tutto l'impe- ro. Fu residenza di parecchi imperatori, con un palazzo assai frequentato, fino a Costantino il Grande e oltre. Quando vi giunse il messaggio cristiano (la tradizione parla di una venuta di S.Marco evangelista che portò a Roma S. Ermacora per farlo consacrare da S. Pietro come primo vescovo di Aquileia), esso ebbe rapido svilup- po sotterraneo, tanto da esplodere pronta- mente appena venne concesso il culto pubbli- co con l'Editto di Milano del 313 d.C. Basti pensare che furono erette prontamente tre grandi aule, lussuosissime, poste tra loro a ferro di cavallo: due principali, tra loro paral- lele, unite da una trasversale. Ciascuna pote- va contenere comodamente da due a tre mila persone: cosa impensabile per un semplice "inizio" di evangelizzazione e per le ingenti risorse necessarie per realizzarle. Queste poi, ben presto risultarono insufficienti per conte- nere tutti i fedeli, e dovettero essere demoli- te per far posto ad altre aule più ampie. Infat- ti troviamo che, qualche decina di anni più tardi (verso il 345), partendo dalle fondazioni dell'Aula Nord, fu eretta una molto più ampia (lunga ben 70 metri e larga 31: 5 metri più lunga di quella che vediamo), la più vasta in assoluto per Aquileia: quella che nel 452 d.C. fu distrutta da Attila e mai più risorse. Anche l'Aula Sud, ampliata sotto il vescovo Cromazio rimase semidistrutta dall'invasione degli Un- ni. A questo punto c'è da notare una caratte- ristica tipica e unica di Aquileia: tutte le varie basiliche erano strettamente a forma rettan- golare e senza abside. Quando i figli degli scampati e degli esuli ri- tornarono ad Aquileia e pensarono ad una ricostruzione, volsero l'attenzione alle strut- ture residue dell'Aula Sud, che ancora fu ampliata in lunghezza e larghezza: saranno le fondazioni di quest'ultima a fare da supporto, dopo un lungo periodo di com- pleto abbandono (dai Longobardi all'800), alla costruzione di una vera e propria basilica, come noi l'intendia- mo, e che sommariamente costituisce il peri- metro di quella attuale. Quest' opera fu por- tata a termine dal vescovo Massenzio (811- 838), con l'aiuto finanziario di Carlo Magno. Successivamente però, prima gli Ungari e poi un terremoto (988) la resero inagibile. Resti del pavimento in mosaico di questa basilica si
  • 27. Trieste, …. nell’anno della fede agosto 2013 pag. 27 possono esplorare attraverso due botole: una presso l'altare al centro del presbiterio e l'al- tra presso il sarcofago di San Pietro. LA BASILICA Il primo edificio di culto cristiano aquileiese fu edificato nel 313 d.C. dal vescovo Teodo- ro. Era costitui- to da tre grandi aule rettangola- ri poste a ferro di cavallo, dal battistero e da ambienti di servizio Le due aule parallele (teodoriana sud e teodoriana nord) erano mosaicate ed adibite alla celebra- zione della messa e all’insegnamento delle Sacre Scritture; la sala trasversale, pavimen- tata a cocciopesto, veniva invece utilizzata come collegamento tra le due aule preceden- ti. Verso la metà del IV secolo l’aula teodoriana nord subì un notevole ampliamento allo sco- po di contenere un numero sempre più gran- de di fedeli (aula post-teodoriana nord). Ac- canto venne costruito un nuovo battistero con vasca esagonale. Detta aula venne di- strutta dagli Unni di Attila nel 452 d.C. e mai più ricostruita. Successivamente anche l’aula teodoriana sud venne trasfor- mata in un edificio a tre nava- te con un grande battistero di fronte al suo ingresso princi- pale (aula post-teodoriana sud). Nella prima metà del IX secolo il patriarca Massenzio volle avviare i primi lavori di ristrut- turazione di quest’ aula crean- do il transetto, la cripta degli affreschi (sotto il presbiterio), il portico e la Chiesa dei Pagani. La basilica attuale è sostanzialmente quella consacrata nel 1031 dal patriarca Poppone dopo le modifiche da lui eseguite (sopraelevazione dei muri perimetrali, rifaci- mento dei capitelli, af- fresco dell’abside e costruzione dell’imponente campanile alto 73 metri). Ulteriori interventi furono apportati dal patri- arca Voldorico di Treffen nel XII sec. (affreschi nella cripta massenziana con scene della vita di S. Ermacora, della Passione di Cristo ed altre a carattere allegorico e profano) e dal patriarca Marquardo di Randek nel XIV secolo (archi a sesto acuto fra le colonne e tutta la parte alta della basilica compreso il tetto a carena di nave rovesciata, lavori resi necessa- ri dopo il terremoto del 1348).
  • 28. Trieste, … nell’anno della fede agosto 2013 pag. 28 Miramare Il Castello di Miramare, circondato da un rigoglioso parco ricco di pregiate specie bota- niche, gode di una posizione panoramica incantevole, in quanto si trova a picco sul mare, sulla punta del promontorio di Grigna- no che si protende nel golfo di Trieste a circa una decina di chilometri dalla città. Voluto attorno alla metà dall’Ottocento dall’arciduca Ferdinando Massimiliano d’Asburgo per abitarvi insieme alla consorte Carlotta del Belgio, offre la testimonian- za unica di una lus- suosa dimora nobi- liare conservatasi con i suoi arredi interni originari. LA STORIA - IL CA- STELLO Il Castello di Mira- mare e il suo Parco sorgono per volontà dell’arciduca Massi- miliano d’Asburgo che decide, attorno al 1855, di farsi costruire alla periferia di Trieste una residenza consona al proprio rango, af- facciata sul mare e cinta da un esteso giardi- no. Affascinato dall’impervia bellezza del pro- montorio di Grignano, uno sperone carsico a dirupo sul mare, quasi privo di vegetazione, Massimiliano ne acquista vari lotti di terreno verso la fine del 1855. La posa della prima pietra del Castello avviene il 1° marzo 1856. Alla Vigilia del Natale del 1860 Massimiliano e la consorte, Carlotta del Belgio, prendono alloggio al pianoterra dell’edificio, che a quel- la data presenta gli esterni del tutto comple- tati, mentre gli interni lo sono solo parzial- mente, in quanto il primo piano è ancora in fase di allestimento. Il palazzo, progettato dall’ingegnere austriaco Carl Junker, si pre- senta in stile ecletti- co come professato dalla moda architet- tonica dell’epoca: modelli tratti dai periodi gotico, me- dievale e rinascimen- tale, si combinano in una sorprendente fusione, trovando diversi riscontri nelle dimore che all’epoca i nobili si facevano costruire in paesaggi alpe- stri sulle rive di laghi e fiumi. Nel Castello di Miramare Massimiliano attua una sintesi perfetta tra natura e arte, profumi mediterranei e austere forme europee, ricre- ando uno scenario assolutamente unico gra- zie alla presenza del mare, che detta il colore azzurro delle tappezzerie del pianoterra del Venerdì 23 agosto PROGRAMMA : partenza ore 8.30 per MIRAMARE e visita guidata. Ore 11.00 partenza per TRIESTE Ore 13.00 Pranzo al PIZZERIA RISTORANTE COPACABANA Via del Treato Romano 24 tel. 040 370084 VISITA ALLE CHIESE PRIMA DI PRANZO , POMERIGGIO BASILICA DI S. GIUSTO, ARCO DI RICCARDO, S. SILVESTRO PAPA, PIAZZA DELL’UNITÀ D’ITALIA, TEATRO ROMANO, CHIESA DI S. SPIRIDIONE…..ALTRE CHIESE SERATA: MOMENTO DI PREGHIERA E VISITA ALLA CITTÀ
  • 29. Trieste, …. nell’anno della fede agosto 2013 pag. 29 Castello, e ispira nomi e arredi di diversi am- bienti. La realizzazione degli interni reca la firma degli artigiani Franz e Julius Hofmann: il pianoterra, destinato agli appartamenti privati di Massimiliano e Carlotta, ha un ca- rattere intimo e familiare, il primo piano è invece quello di rappresentanza, riservato agli ospiti che non potevano non restare abbaglia- ti dai sontuosi ornati istoriati di stemmi e dalle rosse tappezzerie con il simboli imperia- li. LA STORIA - IL PARCO Il Parco di Mirama- re, con i suoi venti- due ettari di super- ficie, è il risultato dell’impegnativo intervento condot- to nell’arco di molti anni da Massimilia- no d’Asburgo sul promontorio roc- cioso di Grignano, che aveva in origine l’aspetto di una landa carsica quasi del tutto priva di vegeta- zione. Per la progettazione, Massimiliano si avvale dell’opera di Carl Junker, mentre per la parte botanica si rivolge inizialmente al giardiniere Josef Laube, sostituendolo in seguito con Anton Jelinek, già partecipante alla famosa spedizione della fregata “Novara” intorno al mondo. Grossi quantitativi di terreno vengono impor- tati dalla Stiria e dalla Carinzia, e vivaisti so- prattutto del Lombardo Veneto procurano una ricca varietà di essenze arboree e arbusti- ve, moltissime delle quali di origine extraeu- ropea. I lavori, avviati nella primavera del 1856, sono seguiti costantemente da Massimiliano, che non smetterà di interessarsi al suo giardino anche una volta stabilitosi in Messico, da dove farà pervenire numerose piante. Nella zona est prevale la sistemazione “a bosco” che asseconda l’orografia del luogo: alberi alternati a spazi erbosi, sentieri tortuo- si, gazebi e laghetti, ripropongono i dettami romantici del giardino paesistico inglese. La zona sud ovest, protetta dal vento, acco- glie aree geometricamente impostate, come nel caso del giardino all’italiana antistante al “Kaffeehaus” o delle aiuole ben articolate intorno al porticciolo. Il Parco di Miramare, che nelle intenzioni del committente doveva essere una stazione sperimentale di rimboschimento e di acclima- tazione di specie botaniche rare, è un com- plesso insieme natu- rale e artificiale: in esso è possibile ancor oggi respirare un’atmosfera intrisa di significati stretta- mente legati alla vita di Massimiliano, e cogliere al con- tempo il rapporto con la natura che è proprio di un’epoca. Nel Parco si segnala- no in particolare: le sculture prodotte dalla ditta berlinese Moritz Geiss; le serre, con vetrate che si aprono nell’originale struttura in ferro; la “casetta svizzera” ai margini del “Lago dei cigni”; il piccolo piazzale con i can- noni donati da Leopoldo I re dei Belgi; la cap- pella di San Canciano con un crocifisso scolpi- to con il legno della fregata “Novara”, dedica- to nel 1900 a Massimiliano da suo fratello Ludovico Vittore. LA STORIA - IL CASTELLETTO In parallelo alla costruzione del Castello, Mas- similiano fa erigere nel parco il piccolo “Gartenhaus” anche chiamato “Castelletto”, in quanto imita in scala ridotta gli esterni eclettici della residenza principale. Abitato saltuariamente da Massimiliano e Carlotta dal 1859 fino al 1860, il Castelletto gode di una notevole posizione panoramica: si affaccia sul porticciolo di Grignano ed è preceduto da una zona a parterre, abbellita
  • 30. Trieste, … nell’anno della fede agosto 2013 pag. 30 da alberi e da una fontana nello spiazzo anti- stante alle serre. È dotato di una pianta a base quadrata, con terrazza, torretta e pergolata di ingresso, e la decorazione superstite al primo piano mostra numerose analogie con quella della prima residenza triestina di Massimiliano: Villa Laza- rovich, che l'arciduca prese in affitto nel 1852 da Nicolò Marco Lazarovich, sistemandola secondo il suo personale gusto. Molti arredi di questa questa villa, sita sul colle di S. Vito, e tutt’ora esistente in via Tigor 23, furono fatti confluire a Miramare per esplicita disposizione di Massimiliano. Gli echi della tragica storia di Massimiliano e Carlotta risuonano anche nel Castelletto: qui, infatti, tra la fine del 1866 e l’inizio del 1867, i medici sorveglieranno strettamente Carlotta, colpita dai primi segni di un preoccupante squilibrio mentale. Negli anni ‘30 del Novecento, quando il Ca- stello è abitato dai Duchi di Savoia-Aosta, il Castelletto diventa un museo aperto al pub- blico, che vi può ammirare gli arredi del Ca- stello che Amedeo di Savoia-Aosta non ha incluso nei suoi appartamenti. Attualmente il Castelletto ospita la sede della Direzione della Riserva Naturale Marina di Miramare. Trieste TEATRO ROMANO via del Teatro Ro- mano In riva al mare, nella estremità inferiore del colle di S. Giu- sto, i Romani co- struirono un grande teatro capace di contenere 6.000 spettatori. La pendenza del colle fu utilizzata come nei teatri greci ma soltanto parzialmente perché è qua- si interamente un'opera muraria. La parte più alta delle gradinate e il palcoscenico erano in legno. Molto poco è rimasto: soltanto il basa- mento della parte fissa della scena e le basi in muratura dei pilastri del portico. Al Civico Museo di Storia e Arte sono conservate le statue ornamentali. In tre iscrizioni dell'epoca di Traiano compare il nome di Q. Petronius Modestus , un perso- naggio legato al teatro del tempo e trova conferma la data della costruzione del teatro intorno alla seconda metà del I sec. Come per gli altri monumenti romani subì la spoliazione delle pietre pregiate e già pronte ad altri usi. Divenne così il solido fondamento delle case che si costruirono sopra. Pietro Nobile, architetto neoclassico e studioso delle antichità locali, lo individuò nel 1814 guidato anche dal nome del luogo "Rena ve- cia" (Arena vecchia). . SINAGOGA TEMPIO ISRAELITICO via S. Francesco d'Assisi, 19 Il documento ufficiale più antico reperibile che menzioni un insediamento ebraico, sep- pur piccolo, a Trieste è datato 1236 ed è co- stituito da un atto notarile che menziona l'ebreo Daniel David di Trieste, che spese 500 marchi per combattere i ladroni sul Carso. A cominciare dal XIV sec. vi si stabilirono E- brei provenienti dai paesi tedeschi; alcuni erano sudditi dei Duchi d'Austria ed altri dei Principi locali. Durante il periodo medioevale gli Ebrei della città erano dediti princi- palmente ad attività bancarie (prestiti) e commerciali; dal XIV sec. troviamo Ebrei banchieri ufficiali del municipio. Alla fine del XVII sec. gli Ebrei di Trie- ste, così come quelli di molte altre comu- nità d'Europa, si trovarono al centro di una battaglia con le autorità cittadine che pretendevano la co-