Oltre il mobbing c’è lo “straining” – Avv. Francesco Rotondi
1. o
Il lavoro è legge
Rubrica a cura dell’Avvocato Francesco Rotondi founding partner dello
studio legale LABLAW
SABATO, 14 SETTEMBRE 2013
Oltre il mobbing c’è lo “straining”. Si tratta
dello stress psico-fisico indotto dal capo
Un recente sentenza della Cassazione che da ragione ad
un lavoratore privato delle sue mansioni e relegato in uno
“sgabuzzino”, certifica il nuovo fenomeno.
Merita una breve riflessione la pronunzia n. 28603 resa dalla Corte di
Cassazione, VI° sez. pen., in data 28.03.2013 e pubblicata il
3.7.2013, in quanto offre l’opportunità di parlare dello “straining”
(termine di derivazione inglese che allude allo stato di stress psico –
fisico indotto da un illegittimo atto del datore di lavoro) e di fissarne i
tratti distintivi rispetto alla similare fattispecie di “mobbing”.
Nel caso sottoposto all’attenzione del Supremo Collegio, il ricorrente,
dipendente di una importante banca nazionale, soccombente sia in
primo grado sia in grado di appello, lamentava di essere stato privato
delle sue mansioni presso l’unità di “Customer Care” presso cui
operava e di essere stato quindi relegato in uno sgabuzzino “sporco e
2. spoglio”, con mansioni dequalificanti e meramente esecutive: il che, a
detta del ricorrente, integrava il reato di cui all’art. 572 c.p.
(“Maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli”), sul presupposto che il
contesto lavorativo in cui era maturata la sua emarginazione era
assimilabile a un ambiente para – familiare, con relativa applicazione
della citata norma incriminatrice.
La Suprema Corte, nel rigettare una tale assimilazione in
considerazione della dimensione multinazionale della banca datrice di
lavoro, richiama, per la prima volta in sede di legittimità la nozione di
“straining”, che sino ad ora, era stata enucleata in poche sentenze di
merito, la più importante delle quali, per il suo carattere innovativo, è
la n. 286/2005 dal Tribunale di Bergamo.
Lo straining, in via di prima definizione, può essere definito come una
forma attenuata dimobbing, parimenti riconducibile, sul piano
normativo, sia alla nozione di “molestia” contenuta nei DD. Lgs. nn.
215 e 216 del 2003 – dovendosi intendere con tale espressione
qualsiasi comportamento che abbia lo scopo o l’effetto di violare la
dignità delle persone e di creare un clima intimidatorio, ostile,
degradante, umiliante od offensivo (art. 2, comma 3, dei citati
Decreti) – sia, soprattutto, al principio generale contenuto nell’art.
2087 c.c., che obbliga il datore di lavoro ad adottare tutte le misure
necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei
prestatori di lavoro.
Salvo il comune fondamento normativo della fattispecie di “straining”
e di quella di “mobbing”, le due ipotesi non possono considerarsi,
però, perfettamente coincidenti sul piano strutturale.
Ed infatti, sulla scorta della consolidata giurisprudenza della Suprema
Corte formatasi in materia di “mobbing”, ai fini della configurabilità in
tali termini della condotta lesiva del datore di lavoro è necessario che
ricorrano i seguenti elementi: una molteplicità di comportamenti di
carattere persecutorio, caratterizzati da sistematicità e da reiterazione
nel tempo (almeno 6 mesi, secondo l’indirizzo predominante);
l’evento lesivo della salute o della personalità del dipendente; il nesso
di derivazione causale tra le suddette condotte persecutorie e il
pregiudizio alla integrità psicofisica del lavoratore e, infine,
l’intenzione persecutoria del mobber (tra le tante: Cass. 23.05.2013,
n. 12725; Cass. 2.4.2013, n. 7985; Cass. 23.7.2012, n. 12770; Cass.
10.1.2012, n. 87; Cass. 27.12.2011, n. 28962; Cass. 31.5.2011 n.
3. 12048; Cass. 26.3.2010, n. 7382; Cass. 17.2.2009, n. 3785; Cass.
9.9.2008, n. 22858).
Lo “straining”, diversamente dal “mobbing”, non richiede una pluralità
di atti persecutori, posti in essere con carattere di sistematicità e di
progressività in un arco temporale di almeno sei mesi, ma si esaurisce
in poche e sporadiche azioni ostili, anche in una soltanto al limite, a
condizione, però, che da esse derivino conseguenze negative durature
nel tempo per la vittima
In altre parole la frequenza temporale, che nel caso del mobbing deve
connotare le azioni ostili del datore di lavoro, nel caso dello “straining”
assume, invece, valenza qualificatoria con riferimento alla durature
ripercussioni negative che l’illegittimo atto datoriale ha provocato.
di Avv. Francesco Rotondi