SlideShare une entreprise Scribd logo
1  sur  73
Télécharger pour lire hors ligne
Indice

Introduzione                                                        p. 2

Cap. I: Il teatro                                                   p. 6

1.1 Dalla magia alla realtà: principali sviluppi del teatro
1.2 L’attore tra immedesimazione e straniamento
1.3 Teatro: copia del mondo o evento autonomo?


Cap. II: Il cinema                                                  p. 23


2.1 Nascita e sviluppo del medium cinematografico
2.2 L’illusione della realtà tra crisi della pittura e cinema
2.3 L’immedesimazione nel cinema: la finestra sul cortile
2.4 Do ut des: nuove frontiere tecniche e tecnologiche nel cinema


Cap. III: I videogiochi                                             p. 43


3.1 L’alba dei giochi viventi: dai computer alla Playstation
3.2 Realismo videoludico
         3.2.1 Gioco quindi sono
         3.2.2 Lo schermo
         3.2.3 Lo spazio e il tempo
3.3 Simulazione e immersione
3.4. La vita è un gioco: dalla realtà virtuale alla gamification
3.5 “Limbo”: il videogioco come oggetto artistico?


Conclusione                                                         p. 65

Indicazioni bibliografiche                                          p. 69

Indicazioni ludografiche                                            p. 72




                                      1
Introduzione




           Fin dal loro avvento sul mercato di massa negli anni ’70 del Novecento, i
videogiochi hanno goduto di un enorme successo di pubblico, tanto da diventare, ai
giorni nostri, uno dei settori più redditizi in ambito economico. Nonostante questo,
una vastissima quantità di critiche, provenienti dai più svariati ambiti (a partire da
quello familiare per arrivare a quelli accademici), hanno sempre contribuito a
relegare questo medium nell’ambito del prodotto d’intrattenimento fine sé stesso,
nonché a tacciarlo come deviante per le giovani menti. Mio intento è dimostrare
come i videogiochi possano fregiarsi a pieno titolo dello statuto di opera d’arte e di
come rappresentino, a tutti gli effetti, una “continuazione” del percorso iniziato
millenni fa dal teatro. Le difficoltà sono molte, del resto ‹‹l’aspetto giocoso e
infantile del videogioco, mal si sposa con la serietà e l’autorità conferite, nonché
richieste, ad altre opere dell’ingegno umano, le quali possono di diritto fregiarsi di
uno status artistico››1. Eppure, al di sotto della superficialità attribuita spesso al
mondo videoludico, è nascosto ‹‹uno degli indicatori più significativi per la
comprensione dell’immaginario collettivo della contemporaneità››2.
Non è un caso se i videogiochi, negli ultimi anni, hanno raggiunto e superato gli
incassi del cinema. Essi infatti, si fanno carico delle fantasie e dei bisogni della
società contemporanea, non diversamente da come altri media hanno fatto in passato
e continuano, seppur con qualche difficoltà, a fare tutt’oggi. Al fine di questa
continuità, analizzerò separatamente teatro, cinema e videogiochi per mostrare
analogie e differenze di quest’ultimo media coi precedenti.

           Nel primo capitolo affronteremo il teatro, incentrando il discorso sulla sua
Storia per evidenziare i diversi snodi principali che nel corso dei secoli hanno portato
questo strumento “mediatico” a diventare “arte”. Ci soffermeremo, in particolare,
sulle origini rituali del teatro, per sviluppare poi la trattazione, dopo un breve cenno
ai periodi romani e medievali, sulla rifondazione del teatro del XV secolo, e la sua
rivoluzione, avvenuta nel XVIII secolo, ad opera di autori quali Diderot, Lessing e

1
    F. Vanzo, Killer 7, identikit di un videogioco d’autore, Unicopli, Milano, 2010, p. 15.
2
    Ibidem.


                                                     2
Goldoni.
Ci si concentrerà poi sulla figura dell’attore, in quanto elemento fondante del teatro,
prima concentrandoci brevemente sulla storia, analizzando la figura dell’attore nel
corso dei secoli e il suo rapporto con la società, sempre in bilico tra l’accettazione e
la denigrazione. Successivamente, incentrando la discussione sulle principali
tecniche attoriali della rappresentazione teatrale, mostreremo come queste tecniche
costituiscano oggi la base degli alter ego virtuali che ci rappresentano nei
videogames. In particolare, ci soffermeremo sui metodi elaborati da Stanislavskij e
Brecht, nell’ottica di analizzare separatamente questi due momenti tesi ad indagare la
natura del teatro per riformarlo dalle precedenti convenzioni. In ultimo
confronteremo le due principali tipologie di teatro, derivate dai suddetti metodi, ossia
il teatro come copia della realtà e come evento al di fuori di essa, confronto teso a
mettere in rapporto queste modalità teatrali con gli strumenti cinematografici e
videoludici odierni.

       Nel secondo capitolo invece, inquadreremo a livello storico il cinema,
concentrandoci sulle tecniche che ne hanno permesso lo sviluppo e l’affermazione
come mezzo di comunicazione, e, infine, sulle correnti artistiche che ne hanno
decretato l’affermazione sul piano artistico, configurandolo come settima arte. In
seguito, cercheremo di capire perché nacque il cinema, andando ad approfondire la
ricerca sulla crisi della pittura e la nascita della fotografia, entrambi strumenti che
hanno influito, seppur in maniera diversa, sul cinema. Continueremo con un’analisi
più specifica dei momenti cinematografici coincidenti con le avanguardie storiche;
tenendo in considerazione soprattutto i movimenti impressionisti, espressionisti e il
movimento sovietico del montaggio, vedremo come queste avanguardie portarono
avanti, ognuna concentrandosi su aspetti differenti, un attento studio del mezzo
cinematografico che tenesse in considerazione le caratteristiche più squisitamente
rappresentative e identificative (per quanto riguarda l’immedesimazione dello
spettatore) del nuovo medium, tale da configurarlo come nuova forma artistica.
L’ultima parte del capitolo è invece dedicata alla comparazione del mezzo
cinematografico con quello videoludico, al fine di mostrare come tra i due media si
sia instaurato un vero e proprio rapporto di dare e avere che ha portato il primo a
“tornare alle origini” da un punto di vista tecnico (secondo quanto afferma Manovich


                                           3
in relazione all’utilizzo della computer grafica nel cinema), mentre ha permesso al
medium videoludico di far sue le tecniche di immedesimazione sviluppate nel corso
del Novecento in ambito cinematografico e di costituirsi, difatto, come una “nuova
forma di cinema”, in cui si mischiano rappresentazione e simulazione, al fine di
rendere l’esperienza (o, come si vuole arrivare ad affermare in questo studio,
l’evento) il più possibile immersiva.

Il terzo ed ultimo capitolo, infine, presenta un’analisi degli strumenti videoludici.
Iniziando da un inquadramento storico del medium, in cui si mostreranno le sue non
recenti origini, vedremo come, parallelamente al cinema e proprio grazie alla sua
creazione, si iniziarono a sviluppare i primi calcolatori elettronici, ossia ciò che
possiamo, senza alcun problema, considerare la base tecnologica dei videogiochi.
Specificamente, vedremo come, a partire dagli anni ’40 del secolo scorso, i
videogames abbiano iniziato ad essere utilizzati in ambito scientifico per poi
approdare, negli anni ’70, anche sul mercato di massa. Per ragioni di spazio ci
fermeremo a quella che può essere considerata la capostipite delle console
casalinghe, ossia la Playstation, mentre verrano escluse in questa parte le console più
recenti, analizzate invece in seguito.
La seconda parte di questo capitolo è divisa in tre sottoparagrafi che analizzano le
funzioni del gioco per l’uomo (secondo le teorie sviluppate da McLuhan), lo schermo
come scarto tra l’esperienza reale e quella videoludica (inteso in continuità con
quanto afferma Manovich più in generale col mondo dei computer) e, infine, lo
spazio e il tempo all’interno dei videogiochi, mostrando diversi esempi di titoli che
permettono un’esperienza “reale” di continuità temporale e spaziale. Nella terza
parte, invece, entreremo più nello specifico della trattazione andando ad analizzare il
fenomeno che contraddistingue i videogiochi dalle altre forme di rappresentazione: la
simulazione. Riprendendo le tecniche narrative sviluppate nel cinema, vedremo come
queste abbiano trovato nei videogiochi una piena attuazione (proprio in forza di
quella continuità spaziale e temporale di cui sopra), ci soffermeremo sui varie aspetti
e possibilità permessi dalla grafica tridimensionale, fino ad arrivare all’analisi degli
strumenti sviluppati da Nintendo e Microsoft per rendere l’esperienza videoludica
prettamente simulativa. Infine, dopo un breve cenno alla gamification, a cui qui si
vuole solo accennare per dimostrare la pervasività dei videogiochi nei più diversi


                                           4
ambiti della nostra vita quotidiana, passeremo alla trattazione del videogioco in
quanto oggetto artistico (o esperienza, o evento), analizzando alcune delle dinamiche
del mercato e delle grandi aziende videoludiche per poi considerare nel dettaglio
Limbo, un videogioco a cui può essere attribuito, a tutti gli effetti e senza alcun
dubbio, un valore artistico pari a quello di un film o di uno spettacolo teatrale.




                                            5
Capitolo I

           Il teatro




           1.1 Dalla magia alla realtà: principali sviluppi del teatro




           Non è mia intenzione riassumere tutta la storia del teatro in poche pagine, dal
momento che sarebbe impossibile e quanto meno inutile. Il mio scopo è prendere in
considerazione solo i momenti che reputo fondamentali per quanto riguarda il
rapporto del teatro col cinema e i videogiochi, media apparentemente lontani anni
luce dalla rappresentazione scenica ma che invece devono parte della loro essenza
proprio al teatro, strumento di rappresentazione che accompagna l’uomo da più di
due millenni. È infatti a partire dal V secolo a.C. che possiamo stabilire la nascita del
teatro greco: ‹‹nessuna testimonianza documenta le tappe evolutive del complesso
fenomeno che condusse i greci a elaborare un originale modello di edificio teatrale e
a creare, apparentemente senza precedente alcuno,                               generi drammaturgici
rigorosamente codificati, destinati a condizionare il futuro sviluppo di tutto il teatro
occidentale››3. L’origine di alcuni elementi del luogo, come l’orchéstra (dal greco
orchéomai: “mi muovo danzando”), dà luogo alle ipotesi di un legame del teatro con
il contesto rituale dell’antica grecia; anche le maschere, tipiche delle cerimonie, e la
posizione dei teatri, in prossimità dei templi, contribuiscono a queste ipotesi. Le
origini religiose ‹‹determinarono fin dalle origini l’esigenza di ampi spazi all’aperto
per gli edifici teatrali, concepiti come luoghi di riunione per il pubblico popolare
raccolto intorno a un’area destinata alle evoluzioni del coro››4: il termine teatro
deriva proprio da questa parte destinata al pubblico (théatron, “luogo in cui si vede”).
Ma probabilmente c’è qualcosa di più dietro alla creazione di questo “medium”.
Infatti, la rappresentazione scenica del mondo greco, come testimonia Luigi Lunari,
‹‹non può essere interpretata come mero fatto “teatrale” o “spettacolare”. Essa fu
[…] un vero e proprio rito, civile e religioso, frutto particolarissimo di un particolare

3
    P. Bosisio, Il teatro dell’occidente (1995), Led edizioni, Milano, 2006, p. 21 (vol. I).
4
    Ivi, p. 22.


                                                       6
e irripetibile momento storico››5. Questo “momento particolarissimo” coincise con la
grande abbondanza di mezzi economici dell’Atene del V secolo a.C. in cui, per la
prima volta nella storia dell’uomo, la ricchezza favorì il pensiero e l’arte. In questo
periodo, dunque, avviene per la prima volta una “presa di coscienza” dell’uomo, una
sorta di primo umanesimo, che segna il passaggio da una società tribale ad una
democratica e il conseguente crollo delle antiche credenze e dei tabù dell’uomo
tribale. Il teatro, quindi, nasce in seno al primo periodo di maturazione dell’uomo, il
primo periodo di dubbi potremmo dire - o l’adolescenza volendo fare un paragone
con la vita di ognuno - e nasce con il preciso compito di ‹‹narrare, celebrare,
lamentare, esorcizzare i conflitti che il grande passo ha provocato››6. Non solo
origini religiose, quindi, ma anche bisogno di scaricare la tensione inconscia
provocata da questo passaggio fondamentale della storia dell’uomo, proprio come
avverrà, secoli dopo, con la nascita del cinema e, ancor più tardi, con quella dei
videogiochi. Pian piano il teatro greco abbandonò il “mistero religioso”, tipico del
primo periodo, preoccupandosi di narrare “bene”, in modo suggestivo e
coinvolgendo lo spettatore. L’affermarsi della componente estetica rese dunque il
teatro finalmente un ‹‹autonomo fatto d’arte››7.

         Le prime notizie certe sulla rappresentazione di spettacoli teatrali in Grecia
risalgono al 534 a.C.; le fondamentali differenze tra gli spettacoli di allora e quelli
del teatro moderno, al di là della cornice in cui erano inseriti e delle strutture
architettoniche, riguardano il come e il quando delle rappresentazioni drammatiche.
Queste, infatti, si svolgevano soltanto in alcuni periodi dell’anno, coincidenti alle
tante feste Dionisiache che popolavano il caledario greco8, ed erano alimentate da
uno spirito competitivo che le accostava, nell’impegno dei partecipanti e
nell’entusiasmo del pubblico, ai giochi olimpici: erano ‹‹delle vere e proprie contese
per conseguire un primato di fronte alla comunità che consacrava con la sua
approvazione la bravura del vincitore e sbeffeggiava impietosamente gli sconfitti››9.
Inoltre, le opere venivano create esclusivamente in vista degli agoni drammatici, ed

5
  L. Lunari, Breve Storia del teatro (2007), Bompiani, Milano, 2010, p. 7.
6
  Ivi, p. 12.
7
  Ibidem.
8
  Le più importanti erano comunque solo due: le Lenee e le Grandi Dionisie. Queste feste investivano
tutta la comunità nella preparazione ed erano totalmente finanziate dallo stato e dai cittadini più ricchi.
9
  P. Bosisio, Il teatro dell’occidente, p. 33 (vol. I).


                                                    7
erano rappresentate un’unica volta al cospetto del pubblico. Solo nel IV secolo si
affermò l’abitudine a riprendere le opere di alcuni tragediografi del passato,
escludendole dalla “gara”10. La struttura del teatro, così come i generi teatrali,
rimarranno sempre ancorati ai modelli stabiliti dai greci.

        La forma tragica sviluppatasi in Grecia, venne adottata poi, con scarsi
risultati, anche dai romani. Nella Roma antica, però, si preferì concentrare l’abilità
personale nei campi dell’oratoria, politica e giuridica, considerando il teatro come
qualcosa di inferiore e di indegno per i cittadini romani. Inoltre, alla profondità delle
opere greche, tragiche e comiche, i romani preferirono sempre i giochi del circo e i
mimi, facendo così, di fatto, decadere il teatro a uno stato di immobilità11. È da
notare come il mimo in particolare giocò tanta parte nell’affermazione del cinema e
come, fino al recente avvento di una “interpretazione virtuale” degli avatar, ne giocò
altrettanto in ambito videoludico.

        Tra il medioevo e l’età umanistica si continua sulla linea tracciata da Roma;
vi fu infatti una ‹‹fiera avversione della chiesa cristiana nei confronti degli spettacoli,
genericamente considerati occasione di perdizione e espressione di idolatria, e
deprecati in particolare per l’oscenità di alcuni generi di intrattenimento e per la
crudeltà delle manifestazioni circensi››12. Questa “crociata” intrapresa dalla chiesa
comportò, nel VII secolo, l’abbandono degli edifici teatrali antichi e alla rimozione
dell’idea stessa di teatro; si dovrà attendere fino al X secolo per assistere alla (lenta)
rinascita del teatro in un’Europa cristiana e contadina, in cui ricchezza e potere si
concentrano nelle mani della Chiesa, non solo nel papato, ma soprattutto nei grandi
monasteri. È da qui, da quei monasteri lontani dalle città, che “riparte” la tradizione
teatrale. ‹‹Non c’è il fervore di ricerca che aveva caratterizzato la civiltà ateniese
appena uscita dalla cultura tribale […], da un lato perché la cultura stava ancora
faticosamente decifrando i testi del passato dei quali si era persa la comprensione,
dall’altro perché la Chiesa cattolica […] al dubbio fecondo che aveva caratterizzato
la rivoluzione dei Greci, preferiva di gran lunga la tranquilla e fidente acquiescenza

10
   Tra queste “opere riprese” ci sono, ovviamente, quelle di Eschilo, Sofocle e Euripide.
11
   Perlomeno un certo teatro, dal momento che le abilità tecniche e tecnologiche sviluppate dai romani
per gli spettacoli circensi avranno grande importanza per tutto il teatro successivo, mentre quello che
era stato il “vero” teatro greco sopravvisse solo in cerchie ristrette come esercizio poetico.
12
   P. Bosisio, Il teatro dell’occidente, p. 149 (vol.I).


                                                  8
alle parole dei pulpiti […]; se il teatro greco testimonia della ribellione agli dèi, il
teatro medievale nasce nel clima di un’accettazione totale della religione››13.

         Durante il Rinascimento si assiste non solo alla effettiva rinascita del teatro
dopo il buio del Medioevo, ma alla vera e propria invenzione del teatro, ‹‹nel senso
etimologico e retorico di ritrovamento››14, così come lo conosciamo oggi. In questo
periodo, infatti, grazie alla ricchezza delle esperienze culturali, si rinnovarono le
componenti fondamentali del teatro, dal luogo scenico al pubblico. Un aspetto
fondamentale per la rinascita del teatro fu il ritrovamento del trattato De architettura
di Vitruvio, architetto romano del I secolo a.C. Questo trattato fu alla base della
nuova nozione di edificio teatrale e della nuova concezione dello spazio scenico,
collegata alla scenografia a immagine urbana, nata grazie all’applicazione delle leggi
della prospettiva maturate durante l’Umanesimo. Era in atto uno spirito di imitazione
del mito della classicità, dal testo, con la riscoperta dei testi teatrali greci e latini,
all’impianto scenico e architettonico.

         Nell’arco di tempo tra il XVII e il XIX secolo, vi è un’intensa produzione
artistica che, in molti casi, si risolve in un’attenta analisi del mezzo teatrale, in una
ricerca profonda dei significati del teatro, dal ruolo dell’attore a quello dello
spettatore. Autori come Shakespeare, Molière e Racine, nel Seicento; come Goldoni,
Alfieri, Diderot e d’Alembert, nel Settecento; e le compagnie teatrali stabili nate
nell’Ottocento, permettono al teatro di diventare un mezzo maturo, configurandolo
definitivamente come arte, e non come semplice intrattenimento come avvenuto fino
ad allora15.

         La nascita del teatro contemporaneo può essere situata nel periodo compreso
tra la fine del XIX secolo e i primi anni del ‘900 in cui, nuovamente, ‹‹si sviluppa in
Europa un’ansia di rinnovamento che impronta di sé tutti gli aspetti del teatro››16.
Questo desiderio di cambiamento è connesso con la crisi dei valori positivisti dei
decenni precedenti e con la crescente sfiducia ‹‹in un’analisi scientifica della realtà e


13
   L. Lunari, Breve Storia del teatro, pp. 14, 15.
14
   P. Bosisio, Il teatro dell’occidente, p. 235 (vol. I).
15
   Più avanti verranno affrontati, in particolare, il ruolo di queste ricerche nella definizione del teatro
tout court e gli autori che portarono avanti un “discorso sul teatro”.
16
   P. Bosisio, Il teatro dell’occidente, p. 213 (vol. II).


                                                    9
nelle sue possibili applicazioni in teatro, mediante la mimesi della realtà stessa››17; e
se da un lato questo comporta un approfondimento delle concezioni naturalistiche,
portate all’estremo, dall’altro comportano un allontanamento dalle stesse. Come
vedremo nel prossimo capitolo, questo è anche alla base della crisi della pittura e
della nascita della fotografia e del cinema come mezzi di rappresentazione della
realtà.

           Per la nostra trattazione terremo in considerazione il teatro greco, in quanto
origine, e il teatro sviluppatosi a seguito delle teorie del Sette/Ottocento sull’attore e
il teatro stesso in generale. Il breve riassunto sulla storia del teatro è stato intrapreso
solo per facilitare una collocazione cronologica dei fatti che andrò ad esporre. In
seguito affronterò la storia dell’attore soffermandomi sulle nozioni teoriche
sviluppate negli ultimi due secoli, in quanto più vicine all’argomentazione principale
di questo testo, ossia i videogiochi come mezzi artistici e non come semplice merce.




17
     Ibidem.


                                             10
1.2 L’attore tra immedesimazione e straniamento




         ‹‹Narra la leggenda che, nel 536 a.C., quando il mitico Tespi – il primo attore
di cui ci è tramandato il nome – si presentò per la prima volta al pubblico di Atene,
alla fine dello spettacolo fu raggiunto da Solone, arconte della città, legislatore e
filosofo, che gli chiese se non si vergognasse a fingere così. L’aneddoto è inventato
ma significativo dello “scandalo” provocato dall’attore al suo primo apparire››18.

         Nonostante la fondamentale importanza del suo ruolo per il teatro, l’attore ha
dovuto affrontare numerose difficoltà nel corso dei secoli prima di essere
riconosciuto come tale. Dall’iniziale accettazione della figura attoriale nel mondo
greco, seppur con la distinzione tra attori tragici, responsabili di ‹‹un incarico
onorifico e meritorio››19, e attori comici, scarsamente considerati, si arrivò a
screditare completamente il ruolo dell’attore nel mondo latino. Nell’antica Roma,
come già accennato, gli attori erano considerati al pari di schiavi o prostitute, tanto
da vietare ai cittadini romani tale attività. Nel Medioevo la situazione non cambiò e
perdurò la condanna degli attori ad essere relegati negli angoli più profondi della
società. Ma nonostante tutto, la figura dell’attore sopravvisse, seppur in altre forme
da quelle a cui siamo abituati oggi e a cui lo furono i greci: i giullari, i mimi, i
circensi, con modalità differenti, portarono avanti la tradizione attoriale, rendendosi
poi, di fatto, gli artefici della rinascita del teatro nel X secolo e della sua
riconfigurazione nel corso del Rinascimento e dei secoli successivi, a partire dalla
cosiddetta commedia delle maschere, che altro non sono che ‹‹l’identificazione delle
quattro colonne portanti della società in altrettanti tipi umani che le
simboleggiano››20.
Ma la vera rivoluzione, quella cioè che portò il teatro a divenire come oggi lo
conosciamo, parte dal XVIII secolo per continuare fino al XX (e probabilmente fino
ai giorni nostri, dal momento che la rappresentazione della realtà, e quindi il ruolo
dell’attore nel rappresentarla, è un bisogno che cambia col cambiare della realtà
stessa). L’avvento del ceto medio comportò, infatti, anche un ripensamento del
18
   L. Lunari, Breve Storia del teatro, p. 27.
19
   Ivi, p. 29.
20
   Ivi, p. 43.


                                                11
teatro, finora diviso nel filone dedicato ai nobili e in quello dedicato al popolo; la
nascente borghesia invece necessitava, per riconoscervisi, un tipo di teatro “a propria
immagine e somiglianza”: un teatro reale, o quantomeno il più realistico possibile.
Goldoni, Diderot, Lessing, portarono avanti, rispettivamente in Italia, Francia e
Germania, una riforma del teatro che prevedesse una maggiore adesione alla realtà
quotidiana, sia nell’impianto letterario che in quello attoriale. Si chiese dunque
all’attore di fingere di essere quello che appare e allo spettatore di credere
ciecamente a questa finzione: ‹‹tutto il suo talento non consiste nel sentimento, ma
nel rendere i segni esteriori del sentimento in modo così accurato da ingannarvi››21
affermava Diderot nel suo Paradosso sull’attore; entra dunque in atto l’illusione
della verità attraverso un realismo tale da farci credere di essere davvero in scena.
Si può quindi ancora parlare di interpretazione, dal momento che l’attore sembra
cercare più un’identificazione col suo personaggio in modo da “essere lui” non
verosimilmente, ma per davvero?

         Nel corso dell’800 questa tendenza all’identificazione andò proseguendo,
arrivando persino a esortare gli attori a fare come se il pubblico non ci fosse, come
se, durante la rappresentazione teatrale, loro stessero effettivamente vivendo, non
recitando una parte. Stanislavskij, autore e teorico del naturalismo teatrale,
interrompeva spesso gli attori durante le prove esclamando: “non ci credo!”. Questo
grande regista russo fu il primo, a partire dalla riflessione settecentesca sull’attore, a
sperimentare procedimenti che compongono una tecnica che si distingue per la
creazione dell’effetto d’immedesimazione.
La mimesis aristotelica prende dunque forma attraverso un atto creativo che non può
avvenire in assenza di un allenamento mirato, che rende l’attore pronto e credibile
nell’azione; allenamento che verrà poi ripreso e modificato da Strasberg nel suo
Actor’s Studio di New York e che inciderà non solo sul mondo teatrale ma anche, e
forse soprattutto, su quello cinematografico, andando a prendere il nome di “The
method” 22.


21
  D. Diderot, Paradosso sull’attore (1830), a cura di R. Rossi, Abscondita, Milano, 2002, p. 20.
22
   ‹‹Se Stanislavskij esortava l’attore ad un maggiore approfondimento del personaggio che si trovava
di fronte, il metodo di Strasberg spinge l’attore ad un approfondimento di se stesso, ad un’opera di
introspezione, e di vera e propria psicanalisi, che lo aiuti a portare alla luce il proprio carattere, le
proprie capacità, la propria sensibilità››. (L. Lunari, Breve Storia del teatro, p. 72).


                                                   12
Secondo il metodo di Stanislavskij, dunque, è fondamentale vivere la scena
attraverso il subconscio, la volontà e la coscienza, giungendo ad esprimere
esternamente l’interiorità anche attraverso voce e corpo. Fondamentale è l’apporto
psicologico a questa tecnica: l’autoanalisi psicanalitica diventa la base dello studio
dell’attore. Ma in un mondo profondamente in crisi, in cui, tra l’altro, la “scoperta”
della psicanalisi aveva portato non poco scompiglio, i personaggi teatrali iniziano a
godere di una propria personalità, iniziano a vivere, e farlo forse più di quanto
avvenga nella vita reale: il lavoro dell’attore porta infatti il personaggio teatrale a
interrogarsi su di sé, a desiderare di vivere davvero e a far di tutto pur di riuscirci; ed
ecco che scoprono il proprio limite: l’autore.
Nei Sei personaggi in cerca di autore Pirandello, tra le altre cose, porta alle estreme
conseguenze il discorso naturalistico di Stanislavskij, mettendo in scena il dramma di
personaggi che vogliono vivere: ‹‹A esser vivi, più vivi di quelli che respirano e
vestono panni! Meno reali, forse, ma più veri!››23. Il teatro diventa più vero della
realtà quotidiana. Con la trilogia del “teatro nel teatro” di Pirandello, ‹‹la vecchia
tentazione del teatro come illusione della realtà viene superata nella concezione del
teatro come realtà tout court››24: cade la “quarta parete” per permettere alla vicenda
scenica di invadere la realtà, di confrontarsi con essa e di pretendere di essere più
vera di quella25. Ma, insieme a ciò, viene messa in crisi la stessa concezione di teatro:
‹‹la messa in scena esalta il lavoro e favorisce l’illusione. Questo cielo che è un cielo
di teatro, questi alberi che sono di stoffa, non ingannano nessuno, né gli attori che
provano, né noi, né queste larve in cerca di uno stampo in cui prendere forma. Allora
dov’è il teatro? ESSI vivono, affermano di essere reali. Ce l’hanno fatto credere.
Allora noi, che cosa siamo? Eppure questi sei personaggi, sono ancora degli attori ad
incarnarli! Si pone in questo modo tutto il problema del teatro. Ed è come un gioco di




23
   L. Pirandello, Sei personaggi in cerca di autore, 1920, contenuta in “Maschere nude” (vol. I), a cura
di I. Borzi, M. Argenziano, Newton Compton, Roma, 1993, p. 44.
24
   L. Lunari, Breve Storia del teatro, p. 104.
25
   A partire da questa opera, molti critici ipotizzano che Pirandello abbia compiuto un passaggio
(probabilmente non voluto) dal naturalismo all’anti-naturalismo, se non già ad un vero e proprio
straniamento.


                                                  13
specchi in cui l’immagine iniziale si assorbe e rimbalza ininterrottamente, cosicchè
ogni immagine riflessa è più reale della prima e il problema non cessa di porsi››26.

        Parallelamente, si sviluppa anche una corrente anti-naturalistica che vede in
Brecht il massimo teorico ed esponente con la formulazione di un “teatro epico”.
Con l’avvento del cinema, si venne ad ‹‹integrare l’attrezzamento scenico
precisamente al momento in cui non era più tanto semplice rappresentare i principali
eventi umani mediante una personificazione delle loro forze motrici o col porre i
personaggi sotto l’influsso di invisibili forze metafisiche. Per la comprensione di
quegli avvenimenti era diventato necessario dare un grande, “significativo”, rilievo al
mondo, all’ambiente nel quale vivevano gli uomini››27. Dal momento che il grado di
immedesimazione proposto dal cinema è superiore a quello che, allora ed tutt’oggi,
permetteva il teatro28, è chiaro come quest’ultimo dovesse riconfigurarsi per
mantenere una certa autonomia e continuare a suscitare interesse nel pubblico,
attratto ora più dal cinema per i più vasti motivi (la novità del mezzo, il costo più
basso, gli orari delle proiezioni…).
Abbandonare l’immedesimazione coatta, dunque, per permettere una nuova forma di
teatro che suggerisca invece di mostrare, e che sia più “teatro” e meno letteratura.
‹‹Come è possibile che a teatro […] tutto ciò che è specificamente teatrale, ossia tutto
ciò che non è discorso e parola, debba rimanere in secondo piano?››29. La domanda
che si pone Artaud, per quanto successiva al periodo di cui stiamo parlando, mette in
luce il grave limite a cui è andato incontro il teatro già dalla rivoluzione avvenuta nel
XVIII secolo, ossia l’incapacità di essere davvero teatro, teatro totale, in cui tutti gli
elementi e le tecniche si mischiano per dare luogo all’evento teatrale tout court, e non
a una banale trasposizione di un testo. Il teatro ‹‹consiste in tutto ciò che occupa la
scena, in tutto ciò che può manifestarsi ed esprimersi materialmente su una scena, e
che si rivolge anzitutto ai sensi, invece che rivolgersi anzitutto allo spirito come il



26
   A. Artaud, Il teatro e il suo doppio (1964), a cura di G. R. Morteo e G. Neri, trad. it. della I ed.
(1968) di E. Capriolo e G. Marchi, Einaudi, Torino, 2010, p. 111.
27
   B. Brecht, Scritti teatrali (1957) trad. it. della I ed. (1962) di E. Castellani, R. Fertonani e R.
Mertens, Einaudi, Torino, 2001, p. 63.
28
   Vedremo meglio, quando parleremo più specificamente di cinema, cosa comporta questo tipo di
immedesimazione.
29
   A. Artaud, Il teatro e il suo doppio, p. 154.


                                                  14
linguaggio della parola››30 afferma Artaud, e con la nascita del cinema, dove il cielo
è cielo per davvero, gli alberi sono fatti di legno e foglie e non di stoffa, il (falso)
realismo del teatro deve cedere il posto ad un linguaggio più consono agli strumenti a
disposizione: lo straniamento.
‹‹Nessun aspetto della rappresentazione doveva più consentire allo spettatore di
abbandonarsi, attraverso la semplice immedesimazione, ad emozioni incontrollate (e
inconcludenti). La recita sottoponeva dati e vicende a un processo di straniamento:
quello straniamento che è appunto necessario perché si capisca››31. La
preoccupazione di Brecht era quella che il pubblico, nell’identificazione emozionale
con l’attore o la vicenda, perdesse la capacità di giudizio razionale, privando l’evento
teatrale delle sue intrinseche possibilità di insegnamento e di lezione per la vita. Così
Brecht si promosse nel distruggere ogni possibilità di illusione, andando totalmente
contro a quella che ormai costituiva la tendenza principale del teatro occidentale, e
che aveva caratterizzato la ricerca teatrale degli ultimi due secoli, ossia
l’immedesimazione.
Scopo di Brecht era di far assumere al naturale l’importanza del sorprendente, così
da non rendere la rappresentazione ovvia ed evidente, ma al contrario di ripulirla da
ogni ovvietà in modo da portare lo spettatore da uno stato passivo ad uno attivo, da
semplice voyeur a partecipante (seppur sempre relegato su una comoda poltrona), a
obbligarlo a una visione complessa, a trasformare il suo atteggiamento da un “penso
perché guardo” ad un “guardo perché penso”.
Prendendo ad esempio l’arte scenica orientale, cinese in particolare, in cui l’attore
non recita come se esistesse una quarta parete, ma tendendo a sottolineare la sua
consapevolezza di essere visto, tende a far recitare gli attori del teatro epico in
maniera da rendere impossibile allo spettatore di immedesimarsi sentimentalmente
coi personaggi del dramma: ‹‹l’accettazione o il rifiuto di ciò che essi facevano o
dicevano, doveva avvenire nella sfera cosciente dello spettatore, e non, come era
avvenuto finora, nel suo inconscio››32. Lo spettatore, quindi, non può più illudersi di
assistere come essere invisibile ad una vicenda che stia realmente accadendo, al
contrario, deve essere ben consapevole della finzionalità della scena, solo così potrà

30
   Ivi, p. 155.
31
   B. Brecht, Scritti teatrali, p. 63.
32
   Ivi, p. 72.


                                           15
godere di un buon teatro.
L’attore, per permettere che tutto ciò abbia luogo, deve sforzarsi di riuscire “strano”
e “sorprendente” allo spettatore, considerando da ”estraneo” se stesso e la sua
esibizione, così da provocare stupore nel pubblico, solitamente soffocato
dall’ovvietà, come già visto.
Ma l’effetto di straniamento non si basa su una recitazione artificiosa. Esso, infatti,
‹‹funziona non già sotto la forma di assenza di emozioni, bensì sotto la forma di
emozioni che non hanno bisogno di farsi credere quelle del personaggio
rappresentato. […] Una recitazione del genere è più valida e più degna di un essere
pensante, esige una notevole dose di esperienza umana e di intelligenza della vita, e
un’acuta intuizione di ciò che è socialmente importante››33. Distanziandosi dal
personaggio raffigurato, quindi, l’attore “strania” un piccolo avvenimento
particolare, un piccolo gesto o movimento che diviene un elemento su cui porre
attenzione nel momento in cui ne viene messa in luce l’importanza; così facendo,
presenta le situazioni drammatiche in una prospettiva tale che lo spettatore viene
necessariamente portato a considerarle in modo critico. Per cui ci si sforza di non
permettere al pubblico di cadere in uno stato di trance, di non dargli l’illusione di
assistere a un fatto naturale e spontaneo: gli si rende subito chiaro che ciò a cui sta
assistendo è semplicemente Teatro.

            ‹‹Guardare e ascoltare sono attività, all’occasione anche divertenti; ma questa
gente, nonché aliena da qualsiasi attività, sembra materia passiva. Il rapimento col
quale paiono abbandonarsi a sensazioni imprecise ma violente, è tanto più profondo
quanto meglio gli attori sanno recitare; talchè noi, disapprovando questo stato di
cose, ci troviamo spinti a desiderare che recitino nel peggior modo possibile››34.

            Oggi, a partire da molteplici sperimentazioni iniziate negli anni ’60 del
Novecento, l’effetto di straniamento creato (o meglio, trasposto, dal momento che
proviene originariamente dal teatro orientale) da Brecht sta vivendo una seconda fase
nel cinema in cui è diventato una vera e propria tecnica non solo recitativa ma anche
registica. Non solo, anche nel videogioco sempre più spesso si assiste ad uno
straniamento in cui il nostro avatar, ma sarebbe meglio dire alter ego, si rivolge
33
     Ivi, pp. 77, 78.
34
     Ivi, p. 125.


                                              16
direttamente a noi. Un aspetto particolarmente interessante dello straniamento
presente in entrambi i media è la citazione. Attraverso questo processo il film o il
videogioco sembra “prendere vita” e diventare un angolo di realtà in cui i
protagonisti hanno assistito, come noi, a dati film più vecchi, o ad aver giocato a
titoli passati e ne parlano come ne parleremmo noi coi nostri amici35.




35
   A tal proposito sono interessanti alcuni film di autori che spaziano da Godard a Tarantino e
videogiochi quali Metal Gear Solid 2 o Donkey Kong 64, in cui è addirittura possibile rigiocare alla
versione originale del 1981.


                                                17
1.3 Teatro: copia del mondo o evento autonomo?




            Dopo questo breve riassunto sulla storia del teatro, dell’attore e delle tecniche
recitative, è bene chiedersi: che cos’è il teatro? Il mio rispondere alla domanda, come
vedremo, è prettamente strumentale per poter comprendere meglio il ruolo che
rivestono il cinema e i videogiochi nel mondo attuale, in vista della continuità che
questi ultimi media hanno nei confronti del mezzo teatrale. L’analisi profonda
compiuta a partire dal 1700 getta le basi per quello che saranno per l’uomo, dal punto
di vista rappresentativo, il cinematografo e i videogames. Perché se il teatro
‹‹consiste nel produrre rappresentazioni vive di fatti umani tramandati o inventati››36,
è suo compito farlo “divertendo”, con tutte le complicazioni che l’uso di questa
parola comporta. ‹‹Quando si dice che il teatro ha la sua origine nel culto, si dice
appunto che divenne teatro per selezione; dei misteri non si appropriò la missione
liturgica, ma il puro e semplice piacere che essi procuravano. E quella catarsi di cui
parla Aristotele, la purificazione attraverso l’orrore e la pietà, o dall’orrore e dalla
pietà, è un lavacro che non solo avveniva in modo divertente, ma che avveniva
propriamente allo scopo di divertire››37.

            Nato come rito, il teatro ne perse ben presto il carattere e già Platone,
fieramente avverso a questo mezzo di rappresentazione, ne indica la fallacità. Per il
filosofo greco, infatti, la realtà tangibile è una copia imperfetta del mondo delle idee,
quindi l’arte, per definizione copia della realtà, è l’inattendibile copia della copia. La
realtà tangibile è dominio dei sensi, che non generano verità ma una fallibile
opinione e l’arte teatrale è illusione dello stesso mondo sensibile: per questo si
rivolge alla componente irrazionale dell’uomo, turbandone il delicato equilibrio di
istinto ed emotività. Aristotele rispose al maestro sostenendo che il teatro è sì
imitazione della natura, ma ha per oggetto le vicende e i comportamenti dell’uomo
che ricevono dunque, nella rappresentazione, una chiarificazione: è la cosiddetta
funzione catartica che permette allo spettatore di “imparare” a dominare e superare
certi suoi istinti, vissuti virtualmente a teatro.

36
     Ivi, p. 114.
37
     Ivi, p. 115.


                                               18
Compito del teatro è dunque “ricreare” le persone, sia dal punto di vista creativo che
da quello più specificamente ricreativo: ‹‹deve assolutamente poter restare una cosa
superflua, il che significa, beninteso, che per il superfluo allora si vive››38. Risulta
chiaro dunque come una componente fondamentale sia il divertire, ovviamente non
inteso come “far ridere”, bensì come coinvolgimento emozionale e sinestesico39,
proprio come un gioco. Ma ‹‹se il teatro non è un gioco, se è una realtà vera – come
per troppo tempo si è ritenuto – , il problema che abbiamo da risolvere è quello dei
mezzi attraverso i quali restituirgli quest’ordine di realtà, fare di ogni spettacolo una
sorta di avvenimento››40; ecco che finalmente risulta chiara la natura evenemenziale
specifica del teatro: ‹‹l’arte teatrale non produce opere ma eventi››41 e come tale va
considerato. Il teatro è dunque rappresentazione dell’uomo, è evento, ma prima di
tutto è simbolico; ciò che Goodman afferma riguardo all’arte rappresentativa, può
essere infatti traslato, senza poi molte difficoltà, al mondo teatrale: ‹‹la verità è che
un quadro, per rappresentare un oggetto42, deve essere simbolo di esso, stare per
esso, riferirsi ad esso››43. Deve essere una copia del mondo (dell’uomo), dunque, ma
in che misura? Quali aspetti dell’uomo, quali caratteri, vanno presi in
considerazione? Insomma, cosa si deve copiare dell’uomo a teatro affinchè si abbia
una rappresentazione fedele del mondo? La risposta è stata data durante il
Rinascimento con l’introduzione delle maschere, degli stereotipi: si prende in
considerazione solo un aspetto da analizzare e il personaggio in questione
rappresenterà sempre quell’unico aspetto (le “quattro colonne portanti della società”
viste nel paragrafo precedente); ma proprio in questo sta il problema. La complessità
del mondo viene raffigurata per mezzo di stereotipi che rendono la vita rappresentata
estremamente banale e scontata, e lo spettatore un semplice voyeur acritico:
imbalsamato in una comoda poltrona osserva lo scorrere di una vita perfetta davanti
ai suoi occhi e l’assimila come sogno, come necessità e desiderio da realizzare nel




38
   Ibidem.
39
   Quest’ultimo presente soprattutto nell’happening, che qui eviteremo di trattare.
40
   A. Artaud, Il teatro e il suo doppio, p. 5.
41
   W. Conrad, Scena e dramma, per una fenomenologia del teatro (1911), a cura di C. Cappelletto,
trad. it. della VI ed. (2008) di P. Conte, CLUEB, Bologna, 2008, p. 9.
42
   Intendendo per oggetto, in questo caso specifico, la vita dell’uomo.
43
   N. Goodman, I linguaggi dell’arte (1968), a cura di F. Brioschi, Il Saggiatore, Milano, 2008, p. 13.


                                                  19
mondo reale44.
Superata la fase di “superficialità” del teatro (che nonostante tutto permane
continuamente per un semplice bisogno di mercato, così come è presente anche nel
cinema e in tutte le arti in generale), lo spettatore rimane comunque schiavo
dell’inganno primario del teatro, quello per cui ‹‹la misura di realismo proposta
coincide con la probabilità di scambiare la rappresentazione con ciò che è
rappresentato››45.
Il lavoro sull’immedesimazione dell’Otto/Novecento non fece altro che acuire questo
problema, se di problema si tratta: la scena diventa sogno e quindi, proprio come il
mondo onirico ‹‹”è una difesa contro la regolarità e la banalità della vita, una libera
ricreazione della fantasia legata, in cui essa sovverte tutte le immagini del giorno e
interrompe con un lieto gioco infantile la costante serietà dell’uomo adulto”››46, così
in teatro ‹‹il sipario libera l’azione scenica dallo scorrere quotidiano della vita››47.
Inoltre, ricorda Freud come ‹‹tra le relazioni logiche, una sola si avvantaggia
straordinariamente del meccanismo di formazione del sogni. È la relazione della
somiglianza, della connessione, il come se››48. Noi, assistendo allo spettacolo come
spettatori, siamo ben consci che l’azione scenica è ‹‹oggettivamente irreale››49: è
necessario dunque dimenticarci di noi stessi e delle regole imposteci per poter
credere alla realtà altra messa in scena sul palco.
Infine, non bisogna dimenticare che ‹‹l’azione del teatro è benefica perché,
spingendo gli uomini a vedersi quali sono, fa cadere la maschera, mette a nudo la
menzogna, la rilassatezza, la bassezza e l’ipocrisia››50. Ma questo nel momento in cui
siamo portati a immedesimarci coi personaggi sul palcoscenico, a rivivire attraverso

44
   Si tenga presente che questo processo avviene tuttora ed è uno degli elementi su cui più si dibatte
per combattere la diffusione dei videogiochi (“che portano i ragazzi a fare cose spregevoli”), così
come lo si usò per combattere il ruolo pedagogico negativo del cinema sui ragazzi di allora (e spesso
ancora oggi lo si accusa della medesima cosa). Semplicemente, a parer mio, non si tiene mai in debita
considerazione il ruolo che un media, di qualsiasi tipo esso sia, ha nella società. Vedremo più avanti
come già il teatro fosse uno strumento di fuga dalla realtà come lo sono oggi il cinema e i videogiochi.
Io credo semplicemente che sia inutile scagliarsi contro ciò che permette un po’ di libertà dalle
costrizioni del mondo, ben altra cosa sarebbe cercare di capire perché così tanta gente cerca rifugio in
un’illusione.
45
   Ivi, p. 37.
46
   S. Freud, L’interpretazione dei sogni (1899), trad. it. della I ed. (1973) di E. Fachinelli e H. Trettl,
Universale Bollati Boringhieri, Torino, 2007, p. 97.
47
   W. Conrad, Scena e dramma, per una fenomenologia del teatro, p. 21.
48
   S. Freud, L’interpretazione dei sogni, p. 304.
49
   W. Conrad, Scena e dramma, per una fenomenologia del teatro, p. 21.
50
   A. Artaud, Il teatro e il suo doppio, p. 150.


                                                    20
loro le nostre emozioni più profonde. Eppure non è l’unica modalità, a teatro, per
permettere a noi stessi di guardarci e scoprirci per come siamo davvero.
Brecht, infatti, come già visto, andò contro tutto ciò che il teatro era ormai diventato
e cercò di riportarlo ad un’origine ormai remota nel tempo: il rito. ‹‹Occorreva
ottenere e comunicare una visione del mondo che fosse prima di tutto armoniosa, ma
non necessariamente serena, bisognava, cioè, abbandonare volontariamente un certo
numero di sfumature, di curiosità, di possibilità, per presentare l’enigma umano nella
sua nuda essenza››51. Quel teatro che non consiste in nulla, ma che si serve di tutti i
linguaggi, nel fissarsi su un solo tipo di linguaggio ha segnato la sua rovina. Nel
momento in cui scrive Brecht, come abbiamo già visto, il teatro è diventato schiavo
della parola. Tutta la commistione di tecniche e stili è relegata ad un                       ruolo
marginale, potremmo dire artigianale: il teatro è la parola, il resto serve unicamente a
renderla nel migliore dei modi.

        Dimentichi della natura del teatro, seduti nelle nostre comode poltrone e ben
distanti dalla scena, godiamo passivamente di ciò che il teatro ha da offrirci: una
semplice manciata di parole vuote accompagnate da una recitazione che vuole essere
la più realistica possibile ma che non dice assolutamente nulla.
Brecht ci scuote dal nostro torpore, ci impone un risveglio forzato. Elimina la
separazione tra pubblico e scena, facendo scomparire, di fatto, la “quarta parete”52 e
permettendo così alla scena di avanzare liberamente verso lo spettatore, inglobandolo
in essa. Prima “entrare dentro” la vicenda avveniva per mezzo dell’immedesimazione
nell’attore, ora, annullando ogni finzione, si mostrano i preparativi dello spettacolo,
si mostra la finzione stessa, facendo diventare lo spettatore parte della
rappresentazione, non della vicenda! Quindi, contrariamente all’abitudine di
trasportare     lo     spettatore     all’interno      della     rappresentazione        attraverso
l’immedesimazione col protagonista, il metodo di Brecht lo porta per la prima volta a
far parte della scena come autore e regista (vedremo più avanti come componente
essenziale del videogioco sia proprio la caratteristica di rendere il giocatore non solo
immedesimato con il suo alter ego, ma anche con la telecamera, costituendosi, quindi

51
   R. Barthes, Sul teatro (1993), a cura di M. Consolini, Meltemi, Roma, 2002, p. 37.
52
   Cosa che avvenne anche nella trilogia del teatro nel teatro di Pirandello, autore che sicuramente
prese spunto dalle teorie di Brecht per un teatro epico, fondendole con il processo di realismo messo
in atto da Stanislavskij.


                                                 21
come vero e proprio regista).
Lo smascheramento della finzione scenica, mostra allo spettatore cos’è il teatro,
rivelando ogni intimità della preparazione scenica, ogni “dietro le quinte”. Straniato,
lo spettatore assiste alla rappresentazione per ciò che è: puro e semplice teatro. Ma
forse è proprio questo l’aspetto controverso della teoria di Brecht: se da un lato,
infatti, “mostra il teatro” nel tentativo di ripulirlo dall’ambizione di realismo che si
era preposto, dall’altro, proprio portando avanti questa “pulizia”, gli permette di
diventare ancora più reale. Perché noi non assistiamo più a delle opere di finzione
propriamente dette, ma al rivelarsi della realtà teatrale. Noi assistiamo, in altre
parole, alla mise en scene del teatro stesso. E probabilmente, come gli anziani che
non hanno più nulla da aggiungere si prodigano nel raccontare la propria vita nella
speranza che qualcuno ne tragga degli insegnamenti, così il teatro, forte della sua vita
millenaria, ha smesso di avere nuove storie degne di nota da aggiungere e si “limita”
a raccontarsi, a svelarsi, per trarre da lui insegnamenti che altrimenti non potremmo
avere. Almeno fino al momento in cui potrà nascere di nuovo e, fresco di una nuova
giovinezza, ricominciare a vivere, come del resto ha fatto più volte nel corso della
storia, come visto precedentemente.

            ‹‹Scene, costumi, gesti e grida false non sostituiranno mai la realtà che ci
aspettiamo. L’importante è questo: la formazione di una realtà, l’irruzione inedita di
un mondo. Il teatro deve darci questo mondo effimero, ma vero, questo mondo
tangente al reale. Sarà questo stesso mondo o altrimenti faremo a meno del teatro››53




53
     A. Artaud, Il teatro e il suo doppio, p. 6.


                                                   22
Capitolo II

        Il cinema




        2.1 Nascita e sviluppo del medium cinematografico




        Parallelamente al manifestarsi di una profonda discussione su cosa è il Teatro
(con la T maiuscola), si assiste all’avvento di un altro mezzo che “ruberà” al teatro,
per i più svariati motivi, il dominio su ciò che è la rappresentazione della società e
dell’uomo. Ma andiamo con ordine: ‹‹la cultura popolare del diciannovesimo secolo
conobbe una vasta proliferazione di forme visive. L’era industriale offrì i mezzi per
duplicare facilmente un grande numero di lastre per lanterne magiche, libri di
fotografie e di narrativa economica illustrata. [..] Circhi, parchi divertimenti e teatri
di varietà offrivano altre forme di svago a buon mercato. […] Trasportare intere
produzioni teatrali di città in città era però costoso; il pubblico nella maggior parte
dei casi doveva percorrere lunghe distanze per visitare i principali diorami o parchi di
divertimento. […] Il cinema offrì alle masse uno spettacolo visivo economico››54.
Sono quindi necessità economiche e d’intrattenimento che diedero vita a quella che è
ormai riconosciuta come settima arte.

        Iniziato a sviluppare già dagli anni ’30 del XIX secolo, il cinema, così come
noi lo conosciamo, nasce ufficialmente nel corso dell’ultimo decennio dell’Ottocento
per mano dei fratelli Lumière. La sortie des usines Lumière (“L’uscita dalle fabriche
Lumière”) rappresenta infatti la prima, vera, esperienza cinematografica, che
raccolse le esperienze maturate nel campo a partire dallo storico esperimento di
Muybridge, primo esempio di fotografia in movimento55.
Il cinema, infatti, non avrebbe avuto vita senza la precedente invenzione della
fotografia: è da quest’ultimo medium che si sviluppa la possibilità delle immagini
(realistiche) in movimento.
54
   D. Bordwell, K. Thompson, Storia del cinema e dei film, dalle origini a oggi, trad. it. della I ed.
(1998) di A. Farina, R. Centola, A. Rocchi, Editrice Il Castoro, Milano, 2007, p. 49.
55
   Per approfondire il discorso sui precursori del cinema, si veda sempre il testo di Bordwell e
Thompson.


                                                 23
‹‹La famiglia Lumière possedeva la più grande azienda europea di prodotti
fotografici. Nel 1894 un concessionario del kinetoscopio56 chiese loro di realizzare
pellicole meno costose di quelle vendute da Edison. In poco tempo idearono […] il
cinematografo, che utilizzava la pellicola 35mm e un meccanismo a intermittenza
ispirato a quello della macchina da cucire […] Mentre i Lumière perfezionavano la
loro cinepresa, in Inghilterra si stava sviluppando un analogo processo di
invenzione››57. Si tratta del già citato kinetoscopio di Edison. Questo tipo di
proiezione ebbe un tale successo in Inghilterra che un gestore di una sala con
apparecchi kinetoscopici chiese a Robert W. Paul, fabbricante di materiale
fotografico, di costruire altre macchine sul modello di quella di Edison, ma per
problemi di brevetti si vide costretto a inventare una nuova macchina da presa per
realizzare i film per i kinetoscopi. In breve Paul ebbe la geniale idea di non dare in
affitto le sue cineprese, com’era consuetudine, ma di venderle direttamente, il che
contribuì a rendere più veloce la diffusione dell’industria cinematografica a livello
mondiale.
George Melies, uno dei più importanti registi delle origini (fu il primo ad utilizzare
gli “effetti speciali”), fu uno dei numerosi acquirenti di Paul. Ben presto si
affermarono i film di finzione come principale attrazione del cinema popolare, e
fiorirono molte case di produzione cinematografica in quasi ogni Paese (alcune di
esse, come la Pathè e la Gaumont, sorte in Francia all’inizio del ‘900, continuano
tuttora la loro attività): nei primi anni di sfruttamento commerciale del cinema si
stabilirono, quindi, le condizioni per la diffusione internazionale dell’industria,
inoltre si iniziò gradualmente a studiare le possibilità espressive del nuovo medium58.

         Tra il 1905 e il 1912 si assiste a quella che può essere considerata come la
fase adolescenziale del mezzo cinematografico: i film divennero più lunghi, più
tecnici e con storie più complesse; ma soprattutto fu in questo periodo che il cinema
si espanse a livello internazionale e si diffusero le sale cinematografiche vere e


56
   Il kinetoscopio è un apparecchio ideato da Thomas Edison nel 1888, precursore di un proiettore
cinematografico. Si trattava di una sorta di grande cassa sulla cui sommità si trovava un oculare; lo
spettatore poggiava l'occhio su di esso, girava la manovella e poteva guardare il film montato nella
macchina                          su                     rocchetti.                        (Kinetoscopio,
http://it.wikipedia.org/w/index.php?title=Kinetoscopio&oldid=42219298) (ultima visita il 13/09/11).
57
   D. Bordwell, K. Thompson, Storia del cinema e dei film, dalle origini a oggi, p. 55.
58
   Per un’analisi di quelle che sono le tecniche cinematografiche, si veda il capitolo successivo.


                                                   24
proprie, in seguito all’affermazione del cinema come forma d’intrattenimento
regolare. Sono gli anni dello star system59, della nascita di Hollywood60 e
dell’avvento delle produzioni americane sulle concorrenti francesi e italiane, che fino
ad allora erano state dominanti nel mercato internazionale. Lo scoppio della Prima
Guerra Mondiale, infatti, frenò lo sviluppo europeo del cinema (in alcuni casi lo
interruppe drasticamente, dal momento che gli stabilimenti vennero utilizzati per la
produzione di armi e munizioni), favorendo l’ascesa del modello cinematografico
hollywoodiano nel mercato.

        La fine della Guerra decretò la ripresa della produzione cinematografica al di
fuori degli Stati Uniti. Il primato americano nel mercato internazionale era ormai
irraggiungibile, pertanto s’imposero, al fianco di vani tentativi di rivalsa delle case
europee (soprattutto francesi), approcci cinematografici alternativi e indipendenti
mirati allo studio e all’analisi del nuovo medium che si inserirono nel percorso
intrapreso dalle avanguardie artistiche in ambito figurativo.
Tra il 1918 e il 1933 si svilupparono le tre correnti avanguardistiche principali del
mondo del cinema: l’impressionismo francese, l’espressionismo tedesco e la scuola
sovietica del montaggio, di cui parleremo più approfonditamente in seguito. Oltre a
queste vanno considerate anche le incursioni degli artisti del surrealismo e del
dadaismo nel mondo cinematografico che tanta parte ebbero nelle sperimentazioni
più eccessive del nuovo medium. ‹‹Sin dalla sua apparizione, il cinema è stato
considerato da tutti come una forma di intrattenimento da sfruttare commercialmente.
A parte significative eccezioni, fino agli anni Venti pochi credevano che si potessero
estendere al cinema le sperimentazioni d’avanguardia delle altre arti››61.
L’importanza che rivestirono le sperimentazioni delle avanguardie nel mondo del
cinema fu, ed è, enorme, dal momento che influirono su tutta la produzione




59
   Il cosiddetto divismo.
60
    Prima della nascita di Hollywood, un centro importante nella produzione cinematografica
americana è stato New York.
61
   D. Bordwell, K. Thompson, Storia del cinema e dei film, dalle origini a oggi, p. 140; si noti, tra le
altre cose, come l’idea dello sfruttamento economico e della mancanza di artisticità nei confronti dei
nuovi medium si ripeta nel tempo. Anche i videogiochi, infatti, hanno subito lo stesso trattamento del
cinema: pochi credono che essi possano essere uno strumento artistico vero e proprio.


                                                  25
cinematografica mondiale, configurando il nuovo medium come mezzo artistico.62
Se dunque il teatro impiegò migliaia di secoli prima di giungere ad una definitiva
affermazione come strumento artistico nel corso dell’800, il percorso che portò il
cinema allo stesso livello fu molto più breve, forse anche in considerazione delle
analisi perpetrate sullo strumento teatrale che, con lievi modifiche, si applicavano
benissimo anche al mondo cinematografico. Così come le analisi del mezzo
cinematografico si applicano benissimo a quello videoludico che tenta oggi di
giungere allo status artistico raggiunto dal teatro e dal cinema.

         Se alle produzioni europee può essere attribuito il merito dell’analisi artistica,
a quelle americane va senza dubbio attribuito quello del progresso tecnico:
parallelamente alle avanguardie in Europa, infatti, ad Hollywood si sviluppava il
cinema sonoro (è il 1927 quando vede la luce The jazz Singer, il primo film sonoro).
Nonostante la comparsa del sonoro segni, per una minoranza di cinefili e registi, la
morte del cinema63, esso ebbe importanti implicazioni economiche, tecnologiche ma
soprattutto stilistiche nel mondo cinematografico, in quanto introduceva maggiori
possibilità espressive. Le case cinematografiche americane scelsero di agire insieme
per trovare il migliore sistema sonoro da adottare come standard64 e da esportare in
tutto il mondo: fu solo nel 1935 che il sonoro si diffuse a livello internazionale,
ponendo, per la prima volta, il problema linguistico, risolto ben presto con




62
   Si tenga presente che gli Studios americani ingaggiarono ben presto i registi europei più importanti,
favorendo la fine delle avanguardie, dettata anche dalla esigua disponibilità economica delle case
produttrici di questi film.
63
   Tra questi va segnalato Alfred Hitchcock, come testimoniato in F. Truffaut, Il cinema secondo
Hitchcock, trad. it. della I ed. (1997) di G. Ferrari e F. Pititto, Il Saggiatore, Milano, 2008.
Ma si può contobattere alle insinuazioni sulla morte del cinema per colpa del sonoro con le parole di
Andrè Bazin: ”se le origini di un’arte permettono di cogliere qualcosa della sua essenza si può
considerare il cinema muto e quello parlato come le tappe di uno sviluppo tecnico che realizza poco a
poco il mito originale dei ricercatori. Si capisce, in questa prospettiva, come sia assurdo considerare il
cinema muto come una sorta di perfezione primitiva da cui lo allontanerebbe sempre di più il realismo
del suono e del colore. Il primato dell’immagine è storicamente e tecnicamente accidentale; la
nostalgia che nutrono ancora molti per il mutismo dello schermo non risale molto lontano
nell’infanzia della settima arte; gli autentici primitivi del cinema, quelli che non sono esistiti che
nell’immaginazione di alcune decine di uomini del XIX secolo, sono a imitazione integrale della
natura. Tutti i perfezionamenti che assomma il cinema non possono dunque paradossalmente che
riavvicinarlo alle sue origini. Il cinema non è ancora stato inventato!” (A. Bazin, Che cos’è il cinema?
(1958), trad. it. della I ed. della collana elefanti (1999) di A. Aprà, Garzanti, Milano, 2008, p. 15).
64
   Nel 1927 firmarono il cosiddetto “accordo delle Cinque Grandi”, ossie delle cinque principali major
cinematografiche: Warner bros., 20th Century-Fox, MGM, Paramount e RKO.


                                                   26
l’introduzione dei sottotitoli o del doppiaggio.65 In questi anni fecero la comparsa
nuovi generi cinematografici dettati sia dalle nuove tecniche che dai mutamenti
sociali in atto: i musical, le screwball comedy (“commedie svitate” in italiano),
assimilabili alle moderne commedie demenziali, i film horror, i film sociali, dettati
dall’interesse crescente per i problemi causati dalla Grande Depressione, i film di
gangster66, i film noir, quelli di guerra e i film animati della Disney.
Verso la fine degli anni ’30, inoltre, apparve per la prima volta il colore67.
In Europa, nel frattempo, faceva capolino il cinema di propaganda, dettato dalle
sigenze dei vari regimi presenti in quel periodo storico in Italia, Spagna, Germania e
Urss. La Seconda Guerra Mondiale non fu, come la Prima, causa di cessazione di
attività cinematografica, al contrario, le fasi altalenanti della guerra diedero luogo,
nelle Nazioni belligeranti, ad un altrettanto altalenante incremento della produzione,
dettato dal riconoscimento, da parte dei dittatori, dell’importanza che il cinema
rivestiva nei confronti dell’opinione pubblica.

        Tra la fine della Guerra e gli anni ‘60 si assistette a un boom di produzione
cinematografica e di frequentazione di sale. L’Europa godette della prosperità
postbellica e riuscì ad imporre il proprio cinema sulla scena mondiale, così come il
Giappone, andando a costituire il cosiddetto cinema d’essai. L’Urss mantenne il
cinema sotto il controllo statale, mentre nel terzo Mondo il settore di rafforzò
notevolmente. In Europa la Guerra aveva drasticamente diminuito la circolazione di
film americani, dando spazio alle cinematografie interne. Esclusa la Germania, le
altre nazioni europee, nel dopoguerra, riuscirono a mantenersi indipendenti dalle
società americane, grazie a leggi protezionistiche, a contributi statali e a
coproduzioni tra diversi Paesi. Oltre a ciò, va segnalata l’importanza che rivestirono i
festival cinematografici creati sul modello della Mostra d’Arte Cinematografica di
Venezia68.

65
   Una tecnica poco nota utilizzata in via sperimentale durante l’avvento del sonoro, prevedeva di
girare ogni film in più versioni, ognuna con attori di lingua diversa. Ma il pubblico non gradì attori
secondari in ruoli resi celebri dalle star…
66
   In merito al comportamento adottato dagli Studios americani nei confronti di questi film si veda il
Codice Hays, sempre in D. Bordwell, K. Thompson, Storia del cinema e dei film, dalle origini a oggi,
p. 307.
67
   The wizard of Oz, Victor Fleming, MGM, 1939.
68
    Voluta da Mussolini, la Mostra del cinema di Venezia si svolse tra il 1932 e il 1940,
interrompendosi poi fino al 1946, anno in cui vennero creati anche i festival di Cannes e Locarno.


                                                 27
Nel mercato americano le major persero l’importanza ottenuta negli anni precedenti e
s’imposero le produzioni indipendenti che coprirono la quasi totalità della
produzione cinematografica statunitense, in quanto le Cinque Grandi si dedicarono
quasi esclusivamente alla produzione televisiva.
In questi anni fa la sua introduzione il mercato giovanile, diventando ben presto il
target principale per la maggior parte dei film69.
Contemporaneamente una nuova generazione di cineasti s’impose in tutto il mondo,
dando vita al cinema moderno, un connubio tra cinema popolare accessibile e di
facile comprensione e cinema sperimentale; sono gli anni della Nouvelle Vague70,
del Neorealismo71, dell’affermazione di Hitchcock e di Orson Welles, di autori come
Fellini, Pasolini, Antonioni e Bresson. Questi autori furono i primi ad avere ben
chiaro il senso della storia del cinema e a sfruttare ampiamente questa conoscenza.
Sono oltrettutto questi gli autori che diedero la spinta a fare il cinema in modo più
soggettivo e realistico e che ispirarono i “Movie Brats”72, movimento di registi che
determinò l’affermazione del cinema d’autore anche negli Stati Uniti. È da questi
ultimi, infine, che prese spunto tutta una serie di nuovi registi attivi oggi
nell’espansione e nella ricerca tecnica e tecnologica del cinema contemporaneo,
facendo di Hollywood l’industria più potente del mondo dal punto di vista
economico e culturale, almeno fino all’affermazione dei videogiochi, che hanno
inglobato non solo tutta la ricerca tecnica e tecnologia fatta da questi ultimi autori,
ma anche le più utilizzate tecniche cinematografiche e andando a sostituire
Hollywood nel primato economico mondiale.




69
    In questi anni, inoltre, fecero la loro comparsa i cosiddetti “b movie”, film di serie b, che tanta parte
avranno poi sia nel cinema d’autore, con registi quali Quentin Tarantino e Robert Rodriguez, che nei
videogiochi.
70
     Gruppo di critici e cinefili, poi registi, impegnati nell’affermazione del cinema come mezzo
artistico; il loro cinema prende il via dalle basi teoriche elaborate da Andrè Bazin, critico francese
“maestro” degli autori del movimento (Truffaut, Godard, Chabrol, per citarne alcuni).
71
     Impegnato nel descrivere la vita comune dell’Italia postbellica. Gli ultimi film del movimento,
perlomeno idealmente, coincidono con l’avvento del boom economico degli anni ’60.
72
   “I ragazzacci del cinema”, ossia George Lucas, Steven Spielberg, Francis Ford Coppola e Martin
Scorsese, che diventarono i nuovi leader creativi dell’industria cinematografica americana negli anni.
‘70, detenendone tuttora il ruolo.


                                                     28
2.2 L’illusione della realtà tra crisi della pittura e cinema




        ‹‹In Inghilterra il cinematografo era chiamato un tempo bioscope perché
presentava in termini visivi i movimenti delle forme di vita (dal greco bios, vita). Il
cinema, mediante il quale arrotoliamo il mondo reale su una bobina per poi srotolarlo
come un tappeto magico della fantasia, è un sensazionale connubio tra la vecchia
tecnologia meccanica e il nuovo mondo elettrico››73.
Il cinema si offrì alle masse in un momento di grande crisi spirituale e tecnica della
pittura moderna iniziata già nel XV secolo con l’invenzione della prospettiva. Essa
permetteva all’artista di dare l’illusione di uno spazio a tre dimensioni dove gli
oggetti potessero situarsi come nella nostra percezione diretta.
A quel punto la pittura fu divisa fra due aspirazioni: una propriamente estetica e
guidata dal simbolismo delle forme, l’altra psicologica legata al desiderio di
rimpiazzare il mondo esterno col suo doppio artificiale. ‹‹L’arte, come i giochi,
divenne un’eco mimetica dell’antica magia del coinvolgimento totale e insieme una
difesa da questa stessa magia. Man mano che il pubblico dei giochi e degli spettacoli
magici divenne più individualista, la funzione dell’arte si spostò da un livello
cosmico a un livello psicologico››74; fece capolino, insomma, il bisogno di illusione
che corrose a poco a poco le arti plastiche nel tentativo di riprodurre nella maniera
più fedele possibile il reale percepito dall’uomo. Dopo diversi secoli, e all’apice di
questo percorso di riproduzione del reale, fece la sua comparsa il primo strumento
meccanico che permetteva la riproduzione del reale in maniera obiettiva: la
fotografia.

        ‹‹L’età pittorica è finita, incomincia l’età iconica››75; si potrebbe anche
affermare che è finita l’era figurativa e incomincia quella simbolica, ma preferisco
nettamente utilizzare i termini di “astrazione” ed “empatia” di Worringer che scrive:
‹‹mentre l’impulso di empatia è condizionato da un felice rapporto di panteistica
fiducia tra l’uomo e i fenomeni del mondo esterno, l’impulso di astrazione è

73
   M. McLuhan, Gli strumenti del comunicare (1964), trad. it. della I ed. (1967) di E. Capriolo, Il
saggiatore, Milano, 2009, p. 257.
74
   Ivi, p. 217.
75
   Ivi, p. 161.


                                                29
conseguenza di una grande inquietudine interiore provata dall’uomo di fronte a
essi››76.
Le opere rappresentative, fino all’avvento delle avanguardie storiche, hanno un
carattere fortemente empatico e naturalistico venuto via via meno, man mano che
facevano la loro comparsa nuovi media in grado di ottemperare con più facilità al
bisogno di empatia della società.
La fotografia per prima rende necessario un cambiamento di rotta nel mondo
pittorico (e artistico in generale): ‹‹il pittore non poteva più dipingere un mondo tanto
fotografato. Passò allora, con l’espressionismo e l’arte astratta, a rivelare il processo
interno della creatività. […] L’arte insomma passò dalla creazione del mondo esterno
a quella del mondo interiore››77.
La fotografia era ora in grado di imbalsamare la realtà al di fuori del tempo,
sottraendola alla sua corruzione. Permetteva uno sguardo oggettivo della realtà
catturata, possedendo in sé un potere di credibilità assente da qualsiasi opera pittorica
soggetta all’interpretazione dell’artista. La fotografia appare come l’avvenimento più
importante della storia delle arti plastiche: contemporaneamente liberazione e
compimento78,         essa    permette       alla    pittura    di    sbarazzarsi       definitivamente
dell’ossesione realista per ritrovare la sua autonomia estetica.79




76
   W. Worringer, Astrazione e empatia (1908), trad. it. della I ed. (1975) di E. De Angeli, Einaudi,
Torino, 2008, p. 18.
77
   M. McLuhan, Gli strumenti del comunicare, p. 183.
78
   Liberazione dall’aspetto cultuale dell’arte pittorica, e compimento del desiderio di riproduzione del
reale. “La disputa, che ebbe luogo nel corso del XIX secolo, tra la pittura e la fotografia, intorno al
valore artistico dei reciproci prodotti appare oggi fuori luogo e confusa. Ciò non intacca tuttavia il suo
significato e anzi potrebbe anche sottolinearlo. Di fatto questa disputa era espressione di un
rivolgimento di portata storica mondiale, di cui nessuno dei due contendenti era consapevole.
Privando l’arte del suo fondamento cultuale, l’epoca della sua riproducibilità tecnica estinse anche e
per sempre l’apparenza della sua autonomia”. (W. Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua
riproducibilità tecnica (1936), trad. it. della I ed. (1966) di E. Filippini, Einaudi, Torino, 1972, p. 29).
79
   La fotografia, sebbene fu la causa ultima della crisi della pittura, non fu la sola. Infatti, sempre
citando Benjamin: “l’osservazione simultanea da parte di un vasto pubblico, quale si delinea nel
secolo XIX, è un primo sintomo della crisi della pittura, crisi che non è stata affatto suscitata dalla
fotografia soltanto, bensì, in modo relativamente autonomo, attraverso la pretesa dell’opera d’arte di
trovare un accesso alle masse. Il fatto è appunto questo, che la pittura non è in grado di proporre
l’oggetto della ricezione collettiva simultanea, cosa che invece è sempre riuscita all’architettura, che
riusciva un tempo all’epopea, che riesce oggi ai film. E per quanto, in sé, da questa circostanza non
vadano tratte conclusioni riguardanti il ruolo sociale della pittura, nel momento in cui, in seguito a
particolari circostanze e in certo modo contro la sua natura, la pittura viene messa a diretto confronto
con le masse, precisamente quella circostanza agisce come una grave limitazione.” (Ivi, p. 39).


                                                    30
Scrive Morin: ‹‹”il movimento restituisce la corporeità e la vita che la
fotografia aveva immobilizzato. Introduce un’irresistibile sensazione di realtà”››80.
Il cinema appare dunque come il compimento nel tempo dell’oggettività fotografica:
per la prima volta l’immagine delle cose è anche quella della loro durata.
‹‹Il mito direttore dell’invenzione del cinema è dunque il compimento di quello che
domina confusamente tutte le tecniche di riproduzione meccanica della realtà che
nacquero nel XIX secolo, dalla fotografia al fonografo. È quello del realismo
integrale, di una ricreazione del mondo a sua immagine, un’immagine sulla quale
non pesasse l’ipoteca della libertà d’interpretazione dell’artista né l’irreversibilità del
tempo››81.

        Se la prospettiva è stata il peccato originale della pittura occidentale, Niepce e
Lumiere, il primo con la fotografia, il secondo col cinema, ne furono i redentori:
questi due medium, infatti, soddisfano definitivamente e nella sua stessa essenza
l’ossessione del realismo. Ma a differenza della fotografia, che isola nel tempo
momenti singoli, il cinema compie un’azione continua, esplorativa, eludendo il
momento o l’aspetto isolato, per presentare sullo schermo la vita. ‹‹Si confronti la
tela su cui viene proiettato il film con la tela su cui si trova il dipinto. Quest’ultimo
invita l’osservatore alla contemplazione; di fronte ad esso lo spettatore può
abbandonarsi al flusso delle sue associazioni. Di fronte all’immagine filmica non può
farlo. Non appena la coglie visivamente, essa si è già modificata. Non può venir
fissata››82: deve essere vissuta.

        Come abbiamo visto precedentemente, negli anni ’20 si svilupparono diverse
correnti avanguardistiche nel mondo cinematografico. L’intento di queste
avanguardie era quello di elevare il cinema a mezzo artistico tout court attraverso
l’analisi e la sperimentazione delle sue possibilità narrative. Vediamone brevemente
gli aspetti salienti.

        Il primo movimento che si affermò sulla scena internazionale fu
l’impressionismo francese. ‹‹Partendo dall’assioma che l’arte è tale perché esprime

80
   Citato in R. Campari, Sogni in celluloide, reale e immaginario nel cinema, Marsilio, Venezia, 2008,
p. 18.
81
   A. Bazin, Che cos’è il cinema?, p. 15.
82
   W. Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, p. 43.


                                                 31
qualcosa, e che questo qualcosa è riferibile più alla visione personale dell’artista che
a un generale concetto di verità, gli impressionisti cercavano di creare un’esperienza
emotiva per lo spettatore, suggerendo ed evocando più che affermando chiaramente.
In poche parole, il lavoro dell’arte è quello di creare emozioni transitorie,
impressioni. […] I teorici impressionisti attribuivano quindi al cinema la capacità di
far accedere lo spettatore ad una visione della realtà oltre la quotidiana esperienza,
capace di mettere a nudo l’anima delle persone e l’essenza degli oggetti››83.
Si tratta di un primo tentativo di inserire una dimensione psicologica rilevante nel
cinema, che sarà poi di un’importanza fondamentale, anche per quanto riguarda la
“semplice” immedesimazione dello spettatore. Per far questo, i registi impressionisti
basarono la loro ricerca sull’uso della macchina da presa e sui significati delle varie
tipologie di inquadratura.

        L’espressionismo tedesco, al contrario, puntava la sua ricerca stilistica sulla
messa in scena e sul tipo di recitazione. ‹‹L’espressionismo rappresentava […] il
tentativo di esprimere, attraverso distorsioni estreme, le emozioni più vere e
profonde, nascoste al di sotto della superficie della realtà››84.
Sempre nell’ambito di una ricerca psicologica, dunque, ma esprimendo le emozioni
dei personaggi nella maniera più diretta ed estrema, accompagnandole con una
scenografia che risaltasse le profondità psicologiche dei personaggi e dell’azione,
tanto che le figure umane si fondono con l’ambiente che le circonda creando una
sorta di labirinto senza via d’uscita (tant’è che gli autori espressionisti prediligevano
i finali aperti).

        L’ultimo movimento avanguardistico vero e proprio85 fu il movimento
sovietico del montaggio. Figlio delle esperienze artistiche costruttiviste e cubo-
futuriste, questo movimento è forse il più complesso del cinema. Sia per la struttura
narrativa in cui era azzerata la presenza del soprannaturale ed era fortemente
ridimensionata la figura dell’individuo a favore di un personaggio “corale” costituito
dalle masse, sia per l’analisi tecnica compiuta sul mezzo cinematografico.


83
   D. Bordwell, K. Thompson, Storia del cinema e dei film, dalle origini a oggi, pp. 148, 149.
84
   Ivi, p. 166.
85
   In quanto il surrealismo e il dadaismo non furono dei movimenti espressamente cinematografici,
nonostante utilizzassero il cinema abbondantemente per la loro ricerca artistica.


                                               32
Attraverso l’uso del montaggio, infatti, i registi sovietici volevano incrementare il
dinamismo visivo, creando relazioni temporali ellittiche o sovrapposte e dando così
al film un ritmo molto rapido e accelerato. ‹‹Il montaggio veloce non serviva per
comunicare la percezione soggettiva del protagonista, come succedeva per il
movimento francese, ma per suggerire ritmi sonori o intensificare gli effetti di azioni
esposive e violente››86. Altra tecnica importantissima fu il montaggio delle attrazioni
con cui, attraverso inserti non diegetici accostati a momenti diegetici, gli autori russi
costringevano gli spettatori a mettere in relazione ciò vedevano sullo schermo,
creando dei concetti che attribuissero senso all’accostamento apparentemente senza
senso. Le tecniche sul montaggio più azzardate avrebbero avuto enorme successo, a
partire dagli anni ’60, nei film d’essai e nei b movie.

         Aldilà del movimento espressionista, che punta verso un’estetizzazione
estrema per la rappresentazione dell’interiorità umana, si può riconoscere nelle
avanguardie degli anni ’20, oltre che un fine artistico, un tentativo di trasposizione
della realtà sullo schermo. Sia l’impressionismo con i suoi intenti psicologici svelati
attraverso il sapiente uso della macchina da presa e di una recitazione lontana da
quella teatrale, sia il movimento sovietico del montaggio, con i suoi scorci non
diegetici di vita reale e la scelta di non utilizzare attori professionisti per rendere più
reale la rappresentazione, sono tesi al realismo. ‹‹Dopo la fine dell’eresia
espressionista87 e soprattutto dopo il parlato, si può ritenere che il cinema non abbia
smesso di tendere verso il realismo. […] Esso vuol dare allo spettatore un’illusione il
più perfetta possibile della realtà, compatibile con le esigenze logiche del racconto
cinematografico e i limiti attuali della tecnica. In questo il cinema si oppone
nettamente alla poesia, alla pittura, al teatro, per avvicinarsi sempre di più al
romanzo››88. Da questo punto di vista, i movimenti che più di altri furono mossi
dall’intento della rappresentazione del reale furono la nouvelle vague, il neorealismo

86
   D. Bordwell, K. Thompson, Storia del cinema e dei film, dalle origini a oggi, p. 205.
87
   Personalmente non ritengo eretico lo studio portato avanti dal movimento espressionista, in quanto
si fa carico di una “rappresentazione interna di realtà”, ovvero di come noi ci figuriamo il mondo
circostante nei nostri ricordi e soprattutto nei nostri sogni. Proprio per questo, anzi, può essere
considerato uno dei movimenti più interessanti di sempre nel mondo cinematografico, nonostante sia
evidente l’influenza teatrale, sia per le scenografie che per la recitazione; e forse proprio per questo i
critici che credono in un cinema puro, ossia in un cinema non contaminato dal teatro, tendono a
snobbare questo movimento o a etichettarlo come eretico.
88
   A. Bazin, Che cos’è il cinema?, pp. 285, 286.


                                                   33
e, singolarmente, Orson Welles e Alfred Hitchcock, movimenti e autori che
contribuirono anche alla maturazione del cinema come arte.

         Il neorealismo deve il suo successo alle caratteristiche quasi da reportage dei
suoi film. Girati quasi tutti in esterno, con attori non professionisti in prima linea
affiancati da professionisti non noti, questi film sono esempio di un realismo sociale.
Il loro intento era quello di rappresentare la situazione italiana del dopoguerra,
catturando la vita della gente normale, creando un’intensa sensazione di verità.
Orson Welles, invece, è il primo che permette allo spettatore di scegliere cosa
guardare: ‹‹grazie alla profondità di campo89 dell’obiettivo, Orson Welles ha
restituito alla realtà la sua continuità sensibile››90, inoltre è il primo ad approfondire
l’analisi, e a fare un uso massiccio, del piano sequenza91, così come fece Hitchcock.
La nouvelle vague riprende e porta avanti le tecniche messe a punto da questi autori:
girano film in esterno, prevalentemente con telecamera a spalla e con lunghissimi
piani sequenza, e spesso fanno ricorso alla profondità di campo per permettere allo
spettatore di “entrare dentro” alla scena. Tutte queste tecniche avvicinano il cinema
ad una riproduzione fedele della realtà, ‹‹ma il realismo in arte non può
evidentemente derivare che da artifici. […] Di fatto l’arte cinematografica […]
utilizza come meglio può le possibilità di astrazione e di simbolo che gli offrono i
limiti temporanei dello schermo. […] Si è sostituita alla realtà iniziale un’illusione di
realtà fatta di un complesso di astrazione (il bianco e nero, la superficie piana), di
convenzioni (le leggi del montaggio per esempio) e di realtà autentica››92.



89
   La profondità di campo è la distanza davanti e dietro al soggetto principale che appare nitida (a
fuoco). Il campo nitido è quell’intervallo di distanze davanti e dietro al soggetto in cui la sfocatura è
impercettibile         o       comunque           tollerabile.      (Profondità         di        campo,
http://it.wikipedia.org/w/index.php?title=Profondit%C3%A0_di_campo&oldid=42910883)                (ultima
visita il 13/09/11).
La profondità di campo permette allo spettatore di scegliere cosa guardare sullo schermo: non è la
telecamera che mette a fuoco, ma l’occhio dello spettatore.
90
   A. Bazin, Che cos’è il cinema?, p. 288.
91
   Il piano sequenza è una tecnica cinematografica che consiste nella modulazione di una sequenza (un
segmento narrativo autonomo) attraverso una sola inquadratura, generalmente piuttosto lunga. Come
la profondità di campo, il piano sequenza prescinde dal montaggio (che attua un processo di sintesi
eliminando tutto ciò che non serve al racconto), sfruttando la molteplicità dei piani all’interno della
singola inquadratura e rispettando il tempo del mondo reale. (Piano sequenza,
http://it.wikipedia.org/w/index.php?title=Piano_sequenza&oldid=40735840)          (ultima     visita    il
13/09/11).
92
   A. Bazin, Che cos’è il cinema?, pp. 286, 287.


                                                   34
2.3 L’immedesimazione nel cinema: la finestra sul cortile




        ‹‹Le nostre bettole e le vie delle nostre metropoli, i nostri uffici e le nostre
camere ammobiliate, le nostre stazioni e le nostre fabbriche sembravano chiuderci
irrimediabilmente. Poi è venuto il cinema e con la dinamite dei decimi di secondo ha
fatto saltare questo mondo simile a un carcere; così noi siamo ormai in grado di
intraprendere tranquillamente avventurosi viaggi in mezzo alle sue sparse rovine››93.

        Il cinema, fin dalla sua nascita, ha la capacità di trasportarci in un altro
mondo, di farci viaggiare in luoghi sconosciuti, di farci vivere i nostri sogni e di
sperimentare esperienze che altrimenti non avremmo potuto fare. Lo spettatore,
seduto in poltrona e immerso nel buio è un po’ come colui che si prepara a dormire:
‹‹se il sogno presuppone il sonno, è anche perché quest’ultimo sospende ogni azione
e blocca la motilità. […] La situazione filmica porta in sé certi elementi di inibizione
motoria, ed è sotto questo aspetto un piccolo sonno, un sonno da svegli. Lo spettatore
è relativamente immobile, immerso in una relativa oscurità, e, soprattutto, non ignora
la natura spettacolare dell’oggetto-film. […] Durante la durata della proiezione,
sospende ogni progetto di azione. […] Il soggetto sottoposto allo stato filmico si
sente come inghiottito, e gli spettatori all’uscita, brutalmente vomitati dal ventre nero
della sala nella luce vivida e aggressiva dell’ingresso, hanno a volte il volto stordito
(felice o infelice) di quelli che si svegliano. Uscire dal cinema è un po’ come
alzarsi››94.
Ma se la condizione del sognatore è spaventosa, dal momento che è impotente di
fronte alla sensazione di stare vivendo qualcosa di reale, quella dello spettatore è
meno traumatica, proprio perché non perde mai (o quasi mai) la coscienza
dell’irrealtà dello spettacolo a cui assiste. In quanto spettatori noi sappiamo di stare
assistendo a uno spettacolo e siamo consci delle nostre capacità percettive, non ci
illudiamo che ciò a cui assistiamo sia davvero reale, anche se facciamo finta, con noi
stessi, che lo sia: è, questo fare finta, una sorta di muto accordo tra gli spettatori e i
registi che presuppone la capacità di assistere allo spettacolo                           filmico.
93
  W. Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, p. 41.
94
  C. Metz, Cinema e psicanalisi (1993), trad. it. della I ed. (2002) di D. Orati, Marsilio, Venezia,
2006, pp. 124, 125.


                                                35
‹‹Il film non è solo un’espressione suprema del meccanismo, ma offre
paradossalmente come prodotto il più magico dei beni di consumo e cioè i sogni.
[…] E il mondo s’affrettò a mettersi in coda per comprare sogni in scatola››95.
Proseguendo questa analogia col sogno, McLuhan afferma: ‹‹compito dello scrittore
o del regista è quello di trasportare il lettore o lo spettatore da un mondo che è il suo
a un altro che viene creato dalla tipografia o dal film. È un fatto così ovvio e si
verifica in misura così completa che coloro che subiscono questa esperienza
l’accettano subliminalmente senza esserne criticamente consapevoli. Cervantes
viveva in un mondo nel quale la stampa era nuova come ora il cinema in Occidente, e
gli pareva ovvio affermare che essa, come oggi le immagini che vediamo sugli
schermi, avesse usurpato il mondo reale. Soggetto al loro incantesimo, il lettore o lo
spettatore era divenuto un sognatore, come diceva René Clair nel 1926 a proposito
del film. […] Il pubblico cinematografico, come il lettore di libri, accetta come un
fatto razionale la sequenza in se stessa. Dovunque si volga la cinepresa, per lo
spettatore va bene. Siamo trasportati in un altro mondo››96. ‹‹C’è da osservare che se
l’accostamento col sogno emerse ben presto in critici e saggisti, lo si può trovare
anche prima in coloro che il cinema lo facevano e non lo pensavano soltanto, quasi
che il magico impatto provocato dalle immagini in movimento, l’impressione di
assistere a qualcosa di reale, fosse di per sé già un elemento spettacolare, che andava
sottolineato e potenziato››97; d’altronde è nota la leggenda degli spettatori spaventati
dall’arrivo del treno in una delle prime proiezioni parigine dei Lumière, nella quale,
attraverso il primo utilizzo cinematografico della prospettiva, realizzarono la ripresa
dell’arrivo in stazione di un treno. Leggenda vuole che gli spettatori, non abituati a
questo tipo di rappresentazioni, credessero che il treno stesse veramente arrivando
loro addosso! Del resto è ancor più noto l’appellativo con cui ci si riferisce spesso a
Hollywood: la fabbrica dei sogni.

95
   M. McLuhan, Gli strumenti del comunicare, p. 262.
96
   Ivi, p. 258. Il capitolo preso in considerazione de Gli strumenti del comunicare è tutto articolato
sull’analogia tra cinematografia e tipografia, ma non essendo utile all’argomentazione in corso, non
terrò in considerazione il discorso sulla letteratura portato avanti da McLuhan. C’è da dire, inoltre, che
‹‹il film produce un’impressione di realtà molto più viva del romanzo, perché la natura del significante
cinematografico, con le sue immagini fotografiche particolarmente somiglianti, con la presenza reale
del movimento e del suono ecc., produce l’effetto di sospingere il fenomeno-finzione, pure molto
antico, verso forme storicamente più recenti e socialmente specifiche››. (C. Metz, Cinema e
psicanalisi , p. 127).
97
   R. Campari, Sogni in celluloide, reale e immaginario nel cinema, p. 115.


                                                   36
Di primaria importanza è dunque l’immedesimazione, che avviene con
l’identificazione del nostro Io con i protagonisti, o co-protagonisti, in azione sullo
schermo, con la situazione messa in scena e, soprattutto, con la cinepresa stessa.
Questa identificazione avviene principalmente attraverso i vari punti di vista
utilizzati, ossia le inquadrature che il regista sceglie di usare a seconda dei casi. ‹‹Al
cinema si usa distinguere una doppia identificazione: l’identificazione primaria
(l’identificazione con il soggetto della visione) e l’identificazione secondaria
(identificazione incentrata sul personaggio, sulla finzione stessa), di cui la prima
sarebbe la base e la condizione dell’altra››98.
L’identificazione primaria corrisponde, in sostanza, all’identificazione con l’occhio
della cinepresa (in pratica con il nostro stesso sguardo) e prevede, nello spettatore, la
sensazione di essere il soggetto privilegiato della visione: è l’identificazione con il
dispositivo stesso della rappresentazione.
L’identificazione secondaria avviene invece con l’universo del racconto filmico e,
generalmente, con il personaggio, con cui s’instaura un rapporto basato sulle sue
caratteristiche psicologiche e, più frequentemente, sul suo ruolo nella finzione
cinematografica99.
L’identificazione con la cinepresa è quella che comporta in noi un’illusione di
movimento: con il movimento della camera, infatti, abbiamo l’impressione di
muoverci anche noi nello spazio filmico, di essere parte della rappresentazione o
perlomeno dell’ambiente rappresentato, senza per questo avervi nessun ruolo100.
Diversa considerazione per l’identificazione con il personaggio, che non è semplice e
diretta come può esserlo con la cinepresa101, ma prevede un passaggio in più: le
capacità dell’attore. Ma a differenza del teatro, nel cinema l’attore deve cercare di


98
    J. Magny, Il punto di vista. Dalla visione del regista allo sguardo dello spettatore (2001), trad. it.
della I ed. di M. Greco, Lindau, Torino, 2004, p. 83.
99
    Identificazione che sfocia poi nel divismo, per cui gli attori, spesso e volentieri, ricoprono ruoli
simili in film diversi arrivando a ricoprire le caratteristiche generali dei loro personaggi persino nelle
apparizioni in pubblico.
100
     Questa percezione di apparente mobilità appare più evidente nei momenti in cui non ci sono
personaggi in scena e il nostro sguardo è unicamente la cinepresa. Ad esempio in vedute aeree di
paesaggi. In questi casi si parla di “Occhio di Dio” per identificare il punto di vista dello spettatore.
Nome riutilizzato anche nel mondo videoludico attraverso i cosiddetti God games.
101
     Identificarsi con la cinepresa è un requisito fondamentale del cinema, non facendolo non si
potrebbe assistere alla rappresentazione. Poi sta al regista utilizzare al meglio i movimenti di
macchina e le inquadrature per permetterci di viaggiare, o di averne la sensazione, all’interno del film,
ma l’identificazione di per sé è causa necessaria e sufficiente.


                                                   37
riprodurre fedelmente un comportamento realistico in linea con le tecniche messe a
punto da Stanislavskij viste nel precedente capitolo, ma con qualcosa in più di quanto
è richiesto a teatro: lo spettatore richiede infatti che il personaggio filmico sia come
lui, che viva una vita normale, vada in metro, ascolti musica sull’ipod e quant’altro;
dev’essere una persona normale a cui succedono cose straordinarie, come vorremmo
che accadesse a noi nella nostra vita reale102.

         È a partire dagli anni ’30 che venne trapiantato a Broadway, con il Group
Theatre, il metodo naturalistico di recitazione insegnato da Stanislavskij al Teatro
d’arte di Mosca. Dopo la Guerra, Elia Kazan, principale allievo del Group Theatre,
fondò a New York l’Actors Studio, con cui promosse il metodo Stanislavkij nel
cinema. Lo studio dell’attore secondo Stanislavskij, come già visto, verte sulla sua
stessa immedesimazione nel ruolo che deve ricoprire, condendolo con le sue
esperienze personali, i propri ricordi, i tic e tutti quei comportamenti tipici e reali che
l’attore ritiene necessari per dare letteralmente vita al suo personaggio
cinematografico. ‹‹Il metodo si basa sull'approfondimento psicologico del
personaggio e sulla ricerca di affinità tra il mondo interiore del personaggio e quello
dell'attore. Si basa sulla esternazione delle emozioni interiori attraverso la loro
interpretazione e rielaborazione a livello intimo››103.
Ma al di là del lavoro svolto dall’attore, questo deve rispettare un fondamentale
vincolo affinchè l’immedesimazione dello spettatore non subisca “traumi”, affinchè,
cioè, lo spettatore continui a essere dimentico di sé, a fare come se ‹‹vivesse immerso
in quel sistema simbolico, indipendentemente da qualsiasi altro sistema, in un
processo di dissoluzione dell’autocoscienza e di identificazione con il doppio››104:
questo vincolo è non rivolgersi mai a lui direttamente, mai guardare in camera.
‹‹È evidente che lo sguardo in macchina designa la presenza di uno spettatore e di un


102
    Paradossalmente questo essere “normali” è richiesto anche ai personaggi meno normali che
esistano: i supereroi. Al di là di Superman, che meriterebbe una trattazione a parte essendo lui un
supereroe alieno che vuole essere come gli umani, gli altri supereroi devono essere il più possibile
reali, concreti, umani. Di super devono avere giusto il costume, secondo la regola stabilita da Stan Lee
(creatore di fumetti Marvel quali “L’uomo ragno”) negli anni ’60: supereroi con superproblemi.
103
                                          Metodo                                           Stanislavskij,
http://it.wikipedia.org/w/index.php?title=Metodo_Stanislavskij&oldid=39424929 (ultima visita il
13/09/11).
104
    G. Pecchinenda, Videogiochi e cultura della simulazione, la nascita dell’homo game (2003),
Laterza, Roma-Bari, 2010, p. 24.


                                                   38
punto di vista››105, ma è ancor più evidente che esso renda noto allo spettattore come
l’attore sappia di stare recitando, di essere parte di un mondo di finzione, e
soprattutto di essere guardato106. ‹‹Lo spettatore è prima un uomo estesiologicamente
connotato, non introduce un vincolo naturalistico della rappresentazione che
costringa a credere alla verità di corpi e forme di scena al di là della cornice della
finzione […], dunque l’essenziale sta nel distinguere l’oggetto estetico dalle
esecuzioni cui dà luogo, e soprattutto dalle percezioni che ne abbiamo››107.
Ma guardando in macchina l’attore rivela la finzione o invita lo spettatore ad
entravici definitivamente?

        Come già visto, questo comportamento non è che una continuazione del
metodo di Brecht, con la sola differenza che ora, a “svelarsi”, è il cinema e, ormai,
anche il videogioco ha iniziato ad affacciarsi su questo percorso.




105
    J. Magny, Il punto di vista. Dalla visione del regista allo sguardo dello spettatore, p. 44.
106
     Ovviamente lo sguardo in macchina è entrato a far parte enormemente della produzione
cinematografica, a partire dalle provocazioni della nouvelle vague, fino ad arrivare ai racconti
metacinematografici di Fellini, che addirittura svelava gran parte della messa in scena mostrando la
troupe e i macchinari del set (come in E la nave va…, 1983).
107
    W. Conrad, Scena e dramma..., p. 19.


                                                39
Teatro, cinema, videogioco: dalla rappresentazione alla simulazione
Teatro, cinema, videogioco: dalla rappresentazione alla simulazione
Teatro, cinema, videogioco: dalla rappresentazione alla simulazione
Teatro, cinema, videogioco: dalla rappresentazione alla simulazione
Teatro, cinema, videogioco: dalla rappresentazione alla simulazione
Teatro, cinema, videogioco: dalla rappresentazione alla simulazione
Teatro, cinema, videogioco: dalla rappresentazione alla simulazione
Teatro, cinema, videogioco: dalla rappresentazione alla simulazione
Teatro, cinema, videogioco: dalla rappresentazione alla simulazione
Teatro, cinema, videogioco: dalla rappresentazione alla simulazione
Teatro, cinema, videogioco: dalla rappresentazione alla simulazione
Teatro, cinema, videogioco: dalla rappresentazione alla simulazione
Teatro, cinema, videogioco: dalla rappresentazione alla simulazione
Teatro, cinema, videogioco: dalla rappresentazione alla simulazione
Teatro, cinema, videogioco: dalla rappresentazione alla simulazione
Teatro, cinema, videogioco: dalla rappresentazione alla simulazione
Teatro, cinema, videogioco: dalla rappresentazione alla simulazione
Teatro, cinema, videogioco: dalla rappresentazione alla simulazione
Teatro, cinema, videogioco: dalla rappresentazione alla simulazione
Teatro, cinema, videogioco: dalla rappresentazione alla simulazione
Teatro, cinema, videogioco: dalla rappresentazione alla simulazione
Teatro, cinema, videogioco: dalla rappresentazione alla simulazione
Teatro, cinema, videogioco: dalla rappresentazione alla simulazione
Teatro, cinema, videogioco: dalla rappresentazione alla simulazione
Teatro, cinema, videogioco: dalla rappresentazione alla simulazione
Teatro, cinema, videogioco: dalla rappresentazione alla simulazione
Teatro, cinema, videogioco: dalla rappresentazione alla simulazione
Teatro, cinema, videogioco: dalla rappresentazione alla simulazione
Teatro, cinema, videogioco: dalla rappresentazione alla simulazione
Teatro, cinema, videogioco: dalla rappresentazione alla simulazione
Teatro, cinema, videogioco: dalla rappresentazione alla simulazione
Teatro, cinema, videogioco: dalla rappresentazione alla simulazione
Teatro, cinema, videogioco: dalla rappresentazione alla simulazione
Teatro, cinema, videogioco: dalla rappresentazione alla simulazione

Contenu connexe

Similaire à Teatro, cinema, videogioco: dalla rappresentazione alla simulazione

L'evoluzione dell'immagine elettronica nel cinema
L'evoluzione dell'immagine elettronica nel cinemaL'evoluzione dell'immagine elettronica nel cinema
L'evoluzione dell'immagine elettronica nel cinemaSilvia Venturino
 
Un successo tutto azzurro
Un successo tutto azzurroUn successo tutto azzurro
Un successo tutto azzurroml c
 
Intelligenza Artificiale e Interazione Cibernetica nella Musica Elettronica
Intelligenza Artificiale e Interazione Cibernetica nella Musica Elettronica  Intelligenza Artificiale e Interazione Cibernetica nella Musica Elettronica
Intelligenza Artificiale e Interazione Cibernetica nella Musica Elettronica Francesco Corsello
 
Tesi_Giorgio_Santini.pdf
Tesi_Giorgio_Santini.pdfTesi_Giorgio_Santini.pdf
Tesi_Giorgio_Santini.pdfGiorgio Santini
 
Spaghetti comics cos'e' e come si fa il giornalismo a fumetti
Spaghetti comics   cos'e' e come si fa il giornalismo a fumettiSpaghetti comics   cos'e' e come si fa il giornalismo a fumetti
Spaghetti comics cos'e' e come si fa il giornalismo a fumettiCarlo Gubitosa
 
Il Calendario del Popolo - Venezuela, la rivoluzione della settima arte
Il Calendario del Popolo - Venezuela, la rivoluzione della settima arteIl Calendario del Popolo - Venezuela, la rivoluzione della settima arte
Il Calendario del Popolo - Venezuela, la rivoluzione della settima arteBarbara Meo Evoli
 
Videogame e convergenza - Romina Nesti
Videogame e convergenza - Romina NestiVideogame e convergenza - Romina Nesti
Videogame e convergenza - Romina NestiMED Toscana
 
Una sala da gnomi (ma non tanto)...
Una sala da gnomi (ma non tanto)...Una sala da gnomi (ma non tanto)...
Una sala da gnomi (ma non tanto)...ml c
 
Il ritorno dell'aura e nuove forme di partecipazione
Il ritorno dell'aura e nuove forme di partecipazioneIl ritorno dell'aura e nuove forme di partecipazione
Il ritorno dell'aura e nuove forme di partecipazioneEleonora Lai
 
6 aprile 2032 di luigi lopez === siae viva verdi 2012 n2 pag. 40
6 aprile 2032 di luigi lopez === siae viva verdi 2012  n2  pag. 406 aprile 2032 di luigi lopez === siae viva verdi 2012  n2  pag. 40
6 aprile 2032 di luigi lopez === siae viva verdi 2012 n2 pag. 40lillolop
 
Realtà Virtuale: il punto di vista del professor Ernesto Hofmann
Realtà Virtuale: il punto di vista del professor Ernesto HofmannRealtà Virtuale: il punto di vista del professor Ernesto Hofmann
Realtà Virtuale: il punto di vista del professor Ernesto HofmannMarco Turolla
 
Realtà Virtuale: il punto di vista del professor Hofmann
Realtà Virtuale: il punto di vista del professor HofmannRealtà Virtuale: il punto di vista del professor Hofmann
Realtà Virtuale: il punto di vista del professor HofmannMarco Turolla
 
Realtà Virtuale: il punto di vista del professor Ernesto Hofmann
Realtà Virtuale: il punto di vista del professor Ernesto HofmannRealtà Virtuale: il punto di vista del professor Ernesto Hofmann
Realtà Virtuale: il punto di vista del professor Ernesto Hofmannmobi-TECH
 

Similaire à Teatro, cinema, videogioco: dalla rappresentazione alla simulazione (20)

L'evoluzione dell'immagine elettronica nel cinema
L'evoluzione dell'immagine elettronica nel cinemaL'evoluzione dell'immagine elettronica nel cinema
L'evoluzione dell'immagine elettronica nel cinema
 
Un successo tutto azzurro
Un successo tutto azzurroUn successo tutto azzurro
Un successo tutto azzurro
 
Intelligenza Artificiale e Interazione Cibernetica nella Musica Elettronica
Intelligenza Artificiale e Interazione Cibernetica nella Musica Elettronica  Intelligenza Artificiale e Interazione Cibernetica nella Musica Elettronica
Intelligenza Artificiale e Interazione Cibernetica nella Musica Elettronica
 
Analogico e digitale
Analogico e digitaleAnalogico e digitale
Analogico e digitale
 
Tesi_Giorgio_Santini.pdf
Tesi_Giorgio_Santini.pdfTesi_Giorgio_Santini.pdf
Tesi_Giorgio_Santini.pdf
 
N 14 dicembre 2011
N 14 dicembre 2011N 14 dicembre 2011
N 14 dicembre 2011
 
Teoria e analisi del cinema 3. Cinema e videoarte
Teoria e analisi del cinema 3. Cinema e videoarteTeoria e analisi del cinema 3. Cinema e videoarte
Teoria e analisi del cinema 3. Cinema e videoarte
 
Spaghetti comics cos'e' e come si fa il giornalismo a fumetti
Spaghetti comics   cos'e' e come si fa il giornalismo a fumettiSpaghetti comics   cos'e' e come si fa il giornalismo a fumetti
Spaghetti comics cos'e' e come si fa il giornalismo a fumetti
 
Il Calendario del Popolo - Venezuela, la rivoluzione della settima arte
Il Calendario del Popolo - Venezuela, la rivoluzione della settima arteIl Calendario del Popolo - Venezuela, la rivoluzione della settima arte
Il Calendario del Popolo - Venezuela, la rivoluzione della settima arte
 
Videogame e convergenza - Romina Nesti
Videogame e convergenza - Romina NestiVideogame e convergenza - Romina Nesti
Videogame e convergenza - Romina Nesti
 
Una sala da gnomi (ma non tanto)...
Una sala da gnomi (ma non tanto)...Una sala da gnomi (ma non tanto)...
Una sala da gnomi (ma non tanto)...
 
Il ritorno dell'aura e nuove forme di partecipazione
Il ritorno dell'aura e nuove forme di partecipazioneIl ritorno dell'aura e nuove forme di partecipazione
Il ritorno dell'aura e nuove forme di partecipazione
 
6 aprile 2032 di luigi lopez === siae viva verdi 2012 n2 pag. 40
6 aprile 2032 di luigi lopez === siae viva verdi 2012  n2  pag. 406 aprile 2032 di luigi lopez === siae viva verdi 2012  n2  pag. 40
6 aprile 2032 di luigi lopez === siae viva verdi 2012 n2 pag. 40
 
Master mondadori
Master mondadoriMaster mondadori
Master mondadori
 
Teoria e analisi del cinema 1. intermedialita
Teoria e analisi del cinema 1. intermedialitaTeoria e analisi del cinema 1. intermedialita
Teoria e analisi del cinema 1. intermedialita
 
Realtà Virtuale: il punto di vista del professor Ernesto Hofmann
Realtà Virtuale: il punto di vista del professor Ernesto HofmannRealtà Virtuale: il punto di vista del professor Ernesto Hofmann
Realtà Virtuale: il punto di vista del professor Ernesto Hofmann
 
Realtà Virtuale: il punto di vista del professor Hofmann
Realtà Virtuale: il punto di vista del professor HofmannRealtà Virtuale: il punto di vista del professor Hofmann
Realtà Virtuale: il punto di vista del professor Hofmann
 
Realtà Virtuale: il punto di vista del professor Ernesto Hofmann
Realtà Virtuale: il punto di vista del professor Ernesto HofmannRealtà Virtuale: il punto di vista del professor Ernesto Hofmann
Realtà Virtuale: il punto di vista del professor Ernesto Hofmann
 
Fenomenologia dei media 3. Il cinema
Fenomenologia dei media 3. Il cinemaFenomenologia dei media 3. Il cinema
Fenomenologia dei media 3. Il cinema
 
Avanguardie e Città
Avanguardie e CittàAvanguardie e Città
Avanguardie e Città
 

Teatro, cinema, videogioco: dalla rappresentazione alla simulazione

  • 1. Indice Introduzione p. 2 Cap. I: Il teatro p. 6 1.1 Dalla magia alla realtà: principali sviluppi del teatro 1.2 L’attore tra immedesimazione e straniamento 1.3 Teatro: copia del mondo o evento autonomo? Cap. II: Il cinema p. 23 2.1 Nascita e sviluppo del medium cinematografico 2.2 L’illusione della realtà tra crisi della pittura e cinema 2.3 L’immedesimazione nel cinema: la finestra sul cortile 2.4 Do ut des: nuove frontiere tecniche e tecnologiche nel cinema Cap. III: I videogiochi p. 43 3.1 L’alba dei giochi viventi: dai computer alla Playstation 3.2 Realismo videoludico 3.2.1 Gioco quindi sono 3.2.2 Lo schermo 3.2.3 Lo spazio e il tempo 3.3 Simulazione e immersione 3.4. La vita è un gioco: dalla realtà virtuale alla gamification 3.5 “Limbo”: il videogioco come oggetto artistico? Conclusione p. 65 Indicazioni bibliografiche p. 69 Indicazioni ludografiche p. 72 1
  • 2. Introduzione Fin dal loro avvento sul mercato di massa negli anni ’70 del Novecento, i videogiochi hanno goduto di un enorme successo di pubblico, tanto da diventare, ai giorni nostri, uno dei settori più redditizi in ambito economico. Nonostante questo, una vastissima quantità di critiche, provenienti dai più svariati ambiti (a partire da quello familiare per arrivare a quelli accademici), hanno sempre contribuito a relegare questo medium nell’ambito del prodotto d’intrattenimento fine sé stesso, nonché a tacciarlo come deviante per le giovani menti. Mio intento è dimostrare come i videogiochi possano fregiarsi a pieno titolo dello statuto di opera d’arte e di come rappresentino, a tutti gli effetti, una “continuazione” del percorso iniziato millenni fa dal teatro. Le difficoltà sono molte, del resto ‹‹l’aspetto giocoso e infantile del videogioco, mal si sposa con la serietà e l’autorità conferite, nonché richieste, ad altre opere dell’ingegno umano, le quali possono di diritto fregiarsi di uno status artistico››1. Eppure, al di sotto della superficialità attribuita spesso al mondo videoludico, è nascosto ‹‹uno degli indicatori più significativi per la comprensione dell’immaginario collettivo della contemporaneità››2. Non è un caso se i videogiochi, negli ultimi anni, hanno raggiunto e superato gli incassi del cinema. Essi infatti, si fanno carico delle fantasie e dei bisogni della società contemporanea, non diversamente da come altri media hanno fatto in passato e continuano, seppur con qualche difficoltà, a fare tutt’oggi. Al fine di questa continuità, analizzerò separatamente teatro, cinema e videogiochi per mostrare analogie e differenze di quest’ultimo media coi precedenti. Nel primo capitolo affronteremo il teatro, incentrando il discorso sulla sua Storia per evidenziare i diversi snodi principali che nel corso dei secoli hanno portato questo strumento “mediatico” a diventare “arte”. Ci soffermeremo, in particolare, sulle origini rituali del teatro, per sviluppare poi la trattazione, dopo un breve cenno ai periodi romani e medievali, sulla rifondazione del teatro del XV secolo, e la sua rivoluzione, avvenuta nel XVIII secolo, ad opera di autori quali Diderot, Lessing e 1 F. Vanzo, Killer 7, identikit di un videogioco d’autore, Unicopli, Milano, 2010, p. 15. 2 Ibidem. 2
  • 3. Goldoni. Ci si concentrerà poi sulla figura dell’attore, in quanto elemento fondante del teatro, prima concentrandoci brevemente sulla storia, analizzando la figura dell’attore nel corso dei secoli e il suo rapporto con la società, sempre in bilico tra l’accettazione e la denigrazione. Successivamente, incentrando la discussione sulle principali tecniche attoriali della rappresentazione teatrale, mostreremo come queste tecniche costituiscano oggi la base degli alter ego virtuali che ci rappresentano nei videogames. In particolare, ci soffermeremo sui metodi elaborati da Stanislavskij e Brecht, nell’ottica di analizzare separatamente questi due momenti tesi ad indagare la natura del teatro per riformarlo dalle precedenti convenzioni. In ultimo confronteremo le due principali tipologie di teatro, derivate dai suddetti metodi, ossia il teatro come copia della realtà e come evento al di fuori di essa, confronto teso a mettere in rapporto queste modalità teatrali con gli strumenti cinematografici e videoludici odierni. Nel secondo capitolo invece, inquadreremo a livello storico il cinema, concentrandoci sulle tecniche che ne hanno permesso lo sviluppo e l’affermazione come mezzo di comunicazione, e, infine, sulle correnti artistiche che ne hanno decretato l’affermazione sul piano artistico, configurandolo come settima arte. In seguito, cercheremo di capire perché nacque il cinema, andando ad approfondire la ricerca sulla crisi della pittura e la nascita della fotografia, entrambi strumenti che hanno influito, seppur in maniera diversa, sul cinema. Continueremo con un’analisi più specifica dei momenti cinematografici coincidenti con le avanguardie storiche; tenendo in considerazione soprattutto i movimenti impressionisti, espressionisti e il movimento sovietico del montaggio, vedremo come queste avanguardie portarono avanti, ognuna concentrandosi su aspetti differenti, un attento studio del mezzo cinematografico che tenesse in considerazione le caratteristiche più squisitamente rappresentative e identificative (per quanto riguarda l’immedesimazione dello spettatore) del nuovo medium, tale da configurarlo come nuova forma artistica. L’ultima parte del capitolo è invece dedicata alla comparazione del mezzo cinematografico con quello videoludico, al fine di mostrare come tra i due media si sia instaurato un vero e proprio rapporto di dare e avere che ha portato il primo a “tornare alle origini” da un punto di vista tecnico (secondo quanto afferma Manovich 3
  • 4. in relazione all’utilizzo della computer grafica nel cinema), mentre ha permesso al medium videoludico di far sue le tecniche di immedesimazione sviluppate nel corso del Novecento in ambito cinematografico e di costituirsi, difatto, come una “nuova forma di cinema”, in cui si mischiano rappresentazione e simulazione, al fine di rendere l’esperienza (o, come si vuole arrivare ad affermare in questo studio, l’evento) il più possibile immersiva. Il terzo ed ultimo capitolo, infine, presenta un’analisi degli strumenti videoludici. Iniziando da un inquadramento storico del medium, in cui si mostreranno le sue non recenti origini, vedremo come, parallelamente al cinema e proprio grazie alla sua creazione, si iniziarono a sviluppare i primi calcolatori elettronici, ossia ciò che possiamo, senza alcun problema, considerare la base tecnologica dei videogiochi. Specificamente, vedremo come, a partire dagli anni ’40 del secolo scorso, i videogames abbiano iniziato ad essere utilizzati in ambito scientifico per poi approdare, negli anni ’70, anche sul mercato di massa. Per ragioni di spazio ci fermeremo a quella che può essere considerata la capostipite delle console casalinghe, ossia la Playstation, mentre verrano escluse in questa parte le console più recenti, analizzate invece in seguito. La seconda parte di questo capitolo è divisa in tre sottoparagrafi che analizzano le funzioni del gioco per l’uomo (secondo le teorie sviluppate da McLuhan), lo schermo come scarto tra l’esperienza reale e quella videoludica (inteso in continuità con quanto afferma Manovich più in generale col mondo dei computer) e, infine, lo spazio e il tempo all’interno dei videogiochi, mostrando diversi esempi di titoli che permettono un’esperienza “reale” di continuità temporale e spaziale. Nella terza parte, invece, entreremo più nello specifico della trattazione andando ad analizzare il fenomeno che contraddistingue i videogiochi dalle altre forme di rappresentazione: la simulazione. Riprendendo le tecniche narrative sviluppate nel cinema, vedremo come queste abbiano trovato nei videogiochi una piena attuazione (proprio in forza di quella continuità spaziale e temporale di cui sopra), ci soffermeremo sui varie aspetti e possibilità permessi dalla grafica tridimensionale, fino ad arrivare all’analisi degli strumenti sviluppati da Nintendo e Microsoft per rendere l’esperienza videoludica prettamente simulativa. Infine, dopo un breve cenno alla gamification, a cui qui si vuole solo accennare per dimostrare la pervasività dei videogiochi nei più diversi 4
  • 5. ambiti della nostra vita quotidiana, passeremo alla trattazione del videogioco in quanto oggetto artistico (o esperienza, o evento), analizzando alcune delle dinamiche del mercato e delle grandi aziende videoludiche per poi considerare nel dettaglio Limbo, un videogioco a cui può essere attribuito, a tutti gli effetti e senza alcun dubbio, un valore artistico pari a quello di un film o di uno spettacolo teatrale. 5
  • 6. Capitolo I Il teatro 1.1 Dalla magia alla realtà: principali sviluppi del teatro Non è mia intenzione riassumere tutta la storia del teatro in poche pagine, dal momento che sarebbe impossibile e quanto meno inutile. Il mio scopo è prendere in considerazione solo i momenti che reputo fondamentali per quanto riguarda il rapporto del teatro col cinema e i videogiochi, media apparentemente lontani anni luce dalla rappresentazione scenica ma che invece devono parte della loro essenza proprio al teatro, strumento di rappresentazione che accompagna l’uomo da più di due millenni. È infatti a partire dal V secolo a.C. che possiamo stabilire la nascita del teatro greco: ‹‹nessuna testimonianza documenta le tappe evolutive del complesso fenomeno che condusse i greci a elaborare un originale modello di edificio teatrale e a creare, apparentemente senza precedente alcuno, generi drammaturgici rigorosamente codificati, destinati a condizionare il futuro sviluppo di tutto il teatro occidentale››3. L’origine di alcuni elementi del luogo, come l’orchéstra (dal greco orchéomai: “mi muovo danzando”), dà luogo alle ipotesi di un legame del teatro con il contesto rituale dell’antica grecia; anche le maschere, tipiche delle cerimonie, e la posizione dei teatri, in prossimità dei templi, contribuiscono a queste ipotesi. Le origini religiose ‹‹determinarono fin dalle origini l’esigenza di ampi spazi all’aperto per gli edifici teatrali, concepiti come luoghi di riunione per il pubblico popolare raccolto intorno a un’area destinata alle evoluzioni del coro››4: il termine teatro deriva proprio da questa parte destinata al pubblico (théatron, “luogo in cui si vede”). Ma probabilmente c’è qualcosa di più dietro alla creazione di questo “medium”. Infatti, la rappresentazione scenica del mondo greco, come testimonia Luigi Lunari, ‹‹non può essere interpretata come mero fatto “teatrale” o “spettacolare”. Essa fu […] un vero e proprio rito, civile e religioso, frutto particolarissimo di un particolare 3 P. Bosisio, Il teatro dell’occidente (1995), Led edizioni, Milano, 2006, p. 21 (vol. I). 4 Ivi, p. 22. 6
  • 7. e irripetibile momento storico››5. Questo “momento particolarissimo” coincise con la grande abbondanza di mezzi economici dell’Atene del V secolo a.C. in cui, per la prima volta nella storia dell’uomo, la ricchezza favorì il pensiero e l’arte. In questo periodo, dunque, avviene per la prima volta una “presa di coscienza” dell’uomo, una sorta di primo umanesimo, che segna il passaggio da una società tribale ad una democratica e il conseguente crollo delle antiche credenze e dei tabù dell’uomo tribale. Il teatro, quindi, nasce in seno al primo periodo di maturazione dell’uomo, il primo periodo di dubbi potremmo dire - o l’adolescenza volendo fare un paragone con la vita di ognuno - e nasce con il preciso compito di ‹‹narrare, celebrare, lamentare, esorcizzare i conflitti che il grande passo ha provocato››6. Non solo origini religiose, quindi, ma anche bisogno di scaricare la tensione inconscia provocata da questo passaggio fondamentale della storia dell’uomo, proprio come avverrà, secoli dopo, con la nascita del cinema e, ancor più tardi, con quella dei videogiochi. Pian piano il teatro greco abbandonò il “mistero religioso”, tipico del primo periodo, preoccupandosi di narrare “bene”, in modo suggestivo e coinvolgendo lo spettatore. L’affermarsi della componente estetica rese dunque il teatro finalmente un ‹‹autonomo fatto d’arte››7. Le prime notizie certe sulla rappresentazione di spettacoli teatrali in Grecia risalgono al 534 a.C.; le fondamentali differenze tra gli spettacoli di allora e quelli del teatro moderno, al di là della cornice in cui erano inseriti e delle strutture architettoniche, riguardano il come e il quando delle rappresentazioni drammatiche. Queste, infatti, si svolgevano soltanto in alcuni periodi dell’anno, coincidenti alle tante feste Dionisiache che popolavano il caledario greco8, ed erano alimentate da uno spirito competitivo che le accostava, nell’impegno dei partecipanti e nell’entusiasmo del pubblico, ai giochi olimpici: erano ‹‹delle vere e proprie contese per conseguire un primato di fronte alla comunità che consacrava con la sua approvazione la bravura del vincitore e sbeffeggiava impietosamente gli sconfitti››9. Inoltre, le opere venivano create esclusivamente in vista degli agoni drammatici, ed 5 L. Lunari, Breve Storia del teatro (2007), Bompiani, Milano, 2010, p. 7. 6 Ivi, p. 12. 7 Ibidem. 8 Le più importanti erano comunque solo due: le Lenee e le Grandi Dionisie. Queste feste investivano tutta la comunità nella preparazione ed erano totalmente finanziate dallo stato e dai cittadini più ricchi. 9 P. Bosisio, Il teatro dell’occidente, p. 33 (vol. I). 7
  • 8. erano rappresentate un’unica volta al cospetto del pubblico. Solo nel IV secolo si affermò l’abitudine a riprendere le opere di alcuni tragediografi del passato, escludendole dalla “gara”10. La struttura del teatro, così come i generi teatrali, rimarranno sempre ancorati ai modelli stabiliti dai greci. La forma tragica sviluppatasi in Grecia, venne adottata poi, con scarsi risultati, anche dai romani. Nella Roma antica, però, si preferì concentrare l’abilità personale nei campi dell’oratoria, politica e giuridica, considerando il teatro come qualcosa di inferiore e di indegno per i cittadini romani. Inoltre, alla profondità delle opere greche, tragiche e comiche, i romani preferirono sempre i giochi del circo e i mimi, facendo così, di fatto, decadere il teatro a uno stato di immobilità11. È da notare come il mimo in particolare giocò tanta parte nell’affermazione del cinema e come, fino al recente avvento di una “interpretazione virtuale” degli avatar, ne giocò altrettanto in ambito videoludico. Tra il medioevo e l’età umanistica si continua sulla linea tracciata da Roma; vi fu infatti una ‹‹fiera avversione della chiesa cristiana nei confronti degli spettacoli, genericamente considerati occasione di perdizione e espressione di idolatria, e deprecati in particolare per l’oscenità di alcuni generi di intrattenimento e per la crudeltà delle manifestazioni circensi››12. Questa “crociata” intrapresa dalla chiesa comportò, nel VII secolo, l’abbandono degli edifici teatrali antichi e alla rimozione dell’idea stessa di teatro; si dovrà attendere fino al X secolo per assistere alla (lenta) rinascita del teatro in un’Europa cristiana e contadina, in cui ricchezza e potere si concentrano nelle mani della Chiesa, non solo nel papato, ma soprattutto nei grandi monasteri. È da qui, da quei monasteri lontani dalle città, che “riparte” la tradizione teatrale. ‹‹Non c’è il fervore di ricerca che aveva caratterizzato la civiltà ateniese appena uscita dalla cultura tribale […], da un lato perché la cultura stava ancora faticosamente decifrando i testi del passato dei quali si era persa la comprensione, dall’altro perché la Chiesa cattolica […] al dubbio fecondo che aveva caratterizzato la rivoluzione dei Greci, preferiva di gran lunga la tranquilla e fidente acquiescenza 10 Tra queste “opere riprese” ci sono, ovviamente, quelle di Eschilo, Sofocle e Euripide. 11 Perlomeno un certo teatro, dal momento che le abilità tecniche e tecnologiche sviluppate dai romani per gli spettacoli circensi avranno grande importanza per tutto il teatro successivo, mentre quello che era stato il “vero” teatro greco sopravvisse solo in cerchie ristrette come esercizio poetico. 12 P. Bosisio, Il teatro dell’occidente, p. 149 (vol.I). 8
  • 9. alle parole dei pulpiti […]; se il teatro greco testimonia della ribellione agli dèi, il teatro medievale nasce nel clima di un’accettazione totale della religione››13. Durante il Rinascimento si assiste non solo alla effettiva rinascita del teatro dopo il buio del Medioevo, ma alla vera e propria invenzione del teatro, ‹‹nel senso etimologico e retorico di ritrovamento››14, così come lo conosciamo oggi. In questo periodo, infatti, grazie alla ricchezza delle esperienze culturali, si rinnovarono le componenti fondamentali del teatro, dal luogo scenico al pubblico. Un aspetto fondamentale per la rinascita del teatro fu il ritrovamento del trattato De architettura di Vitruvio, architetto romano del I secolo a.C. Questo trattato fu alla base della nuova nozione di edificio teatrale e della nuova concezione dello spazio scenico, collegata alla scenografia a immagine urbana, nata grazie all’applicazione delle leggi della prospettiva maturate durante l’Umanesimo. Era in atto uno spirito di imitazione del mito della classicità, dal testo, con la riscoperta dei testi teatrali greci e latini, all’impianto scenico e architettonico. Nell’arco di tempo tra il XVII e il XIX secolo, vi è un’intensa produzione artistica che, in molti casi, si risolve in un’attenta analisi del mezzo teatrale, in una ricerca profonda dei significati del teatro, dal ruolo dell’attore a quello dello spettatore. Autori come Shakespeare, Molière e Racine, nel Seicento; come Goldoni, Alfieri, Diderot e d’Alembert, nel Settecento; e le compagnie teatrali stabili nate nell’Ottocento, permettono al teatro di diventare un mezzo maturo, configurandolo definitivamente come arte, e non come semplice intrattenimento come avvenuto fino ad allora15. La nascita del teatro contemporaneo può essere situata nel periodo compreso tra la fine del XIX secolo e i primi anni del ‘900 in cui, nuovamente, ‹‹si sviluppa in Europa un’ansia di rinnovamento che impronta di sé tutti gli aspetti del teatro››16. Questo desiderio di cambiamento è connesso con la crisi dei valori positivisti dei decenni precedenti e con la crescente sfiducia ‹‹in un’analisi scientifica della realtà e 13 L. Lunari, Breve Storia del teatro, pp. 14, 15. 14 P. Bosisio, Il teatro dell’occidente, p. 235 (vol. I). 15 Più avanti verranno affrontati, in particolare, il ruolo di queste ricerche nella definizione del teatro tout court e gli autori che portarono avanti un “discorso sul teatro”. 16 P. Bosisio, Il teatro dell’occidente, p. 213 (vol. II). 9
  • 10. nelle sue possibili applicazioni in teatro, mediante la mimesi della realtà stessa››17; e se da un lato questo comporta un approfondimento delle concezioni naturalistiche, portate all’estremo, dall’altro comportano un allontanamento dalle stesse. Come vedremo nel prossimo capitolo, questo è anche alla base della crisi della pittura e della nascita della fotografia e del cinema come mezzi di rappresentazione della realtà. Per la nostra trattazione terremo in considerazione il teatro greco, in quanto origine, e il teatro sviluppatosi a seguito delle teorie del Sette/Ottocento sull’attore e il teatro stesso in generale. Il breve riassunto sulla storia del teatro è stato intrapreso solo per facilitare una collocazione cronologica dei fatti che andrò ad esporre. In seguito affronterò la storia dell’attore soffermandomi sulle nozioni teoriche sviluppate negli ultimi due secoli, in quanto più vicine all’argomentazione principale di questo testo, ossia i videogiochi come mezzi artistici e non come semplice merce. 17 Ibidem. 10
  • 11. 1.2 L’attore tra immedesimazione e straniamento ‹‹Narra la leggenda che, nel 536 a.C., quando il mitico Tespi – il primo attore di cui ci è tramandato il nome – si presentò per la prima volta al pubblico di Atene, alla fine dello spettacolo fu raggiunto da Solone, arconte della città, legislatore e filosofo, che gli chiese se non si vergognasse a fingere così. L’aneddoto è inventato ma significativo dello “scandalo” provocato dall’attore al suo primo apparire››18. Nonostante la fondamentale importanza del suo ruolo per il teatro, l’attore ha dovuto affrontare numerose difficoltà nel corso dei secoli prima di essere riconosciuto come tale. Dall’iniziale accettazione della figura attoriale nel mondo greco, seppur con la distinzione tra attori tragici, responsabili di ‹‹un incarico onorifico e meritorio››19, e attori comici, scarsamente considerati, si arrivò a screditare completamente il ruolo dell’attore nel mondo latino. Nell’antica Roma, come già accennato, gli attori erano considerati al pari di schiavi o prostitute, tanto da vietare ai cittadini romani tale attività. Nel Medioevo la situazione non cambiò e perdurò la condanna degli attori ad essere relegati negli angoli più profondi della società. Ma nonostante tutto, la figura dell’attore sopravvisse, seppur in altre forme da quelle a cui siamo abituati oggi e a cui lo furono i greci: i giullari, i mimi, i circensi, con modalità differenti, portarono avanti la tradizione attoriale, rendendosi poi, di fatto, gli artefici della rinascita del teatro nel X secolo e della sua riconfigurazione nel corso del Rinascimento e dei secoli successivi, a partire dalla cosiddetta commedia delle maschere, che altro non sono che ‹‹l’identificazione delle quattro colonne portanti della società in altrettanti tipi umani che le simboleggiano››20. Ma la vera rivoluzione, quella cioè che portò il teatro a divenire come oggi lo conosciamo, parte dal XVIII secolo per continuare fino al XX (e probabilmente fino ai giorni nostri, dal momento che la rappresentazione della realtà, e quindi il ruolo dell’attore nel rappresentarla, è un bisogno che cambia col cambiare della realtà stessa). L’avvento del ceto medio comportò, infatti, anche un ripensamento del 18 L. Lunari, Breve Storia del teatro, p. 27. 19 Ivi, p. 29. 20 Ivi, p. 43. 11
  • 12. teatro, finora diviso nel filone dedicato ai nobili e in quello dedicato al popolo; la nascente borghesia invece necessitava, per riconoscervisi, un tipo di teatro “a propria immagine e somiglianza”: un teatro reale, o quantomeno il più realistico possibile. Goldoni, Diderot, Lessing, portarono avanti, rispettivamente in Italia, Francia e Germania, una riforma del teatro che prevedesse una maggiore adesione alla realtà quotidiana, sia nell’impianto letterario che in quello attoriale. Si chiese dunque all’attore di fingere di essere quello che appare e allo spettatore di credere ciecamente a questa finzione: ‹‹tutto il suo talento non consiste nel sentimento, ma nel rendere i segni esteriori del sentimento in modo così accurato da ingannarvi››21 affermava Diderot nel suo Paradosso sull’attore; entra dunque in atto l’illusione della verità attraverso un realismo tale da farci credere di essere davvero in scena. Si può quindi ancora parlare di interpretazione, dal momento che l’attore sembra cercare più un’identificazione col suo personaggio in modo da “essere lui” non verosimilmente, ma per davvero? Nel corso dell’800 questa tendenza all’identificazione andò proseguendo, arrivando persino a esortare gli attori a fare come se il pubblico non ci fosse, come se, durante la rappresentazione teatrale, loro stessero effettivamente vivendo, non recitando una parte. Stanislavskij, autore e teorico del naturalismo teatrale, interrompeva spesso gli attori durante le prove esclamando: “non ci credo!”. Questo grande regista russo fu il primo, a partire dalla riflessione settecentesca sull’attore, a sperimentare procedimenti che compongono una tecnica che si distingue per la creazione dell’effetto d’immedesimazione. La mimesis aristotelica prende dunque forma attraverso un atto creativo che non può avvenire in assenza di un allenamento mirato, che rende l’attore pronto e credibile nell’azione; allenamento che verrà poi ripreso e modificato da Strasberg nel suo Actor’s Studio di New York e che inciderà non solo sul mondo teatrale ma anche, e forse soprattutto, su quello cinematografico, andando a prendere il nome di “The method” 22. 21 D. Diderot, Paradosso sull’attore (1830), a cura di R. Rossi, Abscondita, Milano, 2002, p. 20. 22 ‹‹Se Stanislavskij esortava l’attore ad un maggiore approfondimento del personaggio che si trovava di fronte, il metodo di Strasberg spinge l’attore ad un approfondimento di se stesso, ad un’opera di introspezione, e di vera e propria psicanalisi, che lo aiuti a portare alla luce il proprio carattere, le proprie capacità, la propria sensibilità››. (L. Lunari, Breve Storia del teatro, p. 72). 12
  • 13. Secondo il metodo di Stanislavskij, dunque, è fondamentale vivere la scena attraverso il subconscio, la volontà e la coscienza, giungendo ad esprimere esternamente l’interiorità anche attraverso voce e corpo. Fondamentale è l’apporto psicologico a questa tecnica: l’autoanalisi psicanalitica diventa la base dello studio dell’attore. Ma in un mondo profondamente in crisi, in cui, tra l’altro, la “scoperta” della psicanalisi aveva portato non poco scompiglio, i personaggi teatrali iniziano a godere di una propria personalità, iniziano a vivere, e farlo forse più di quanto avvenga nella vita reale: il lavoro dell’attore porta infatti il personaggio teatrale a interrogarsi su di sé, a desiderare di vivere davvero e a far di tutto pur di riuscirci; ed ecco che scoprono il proprio limite: l’autore. Nei Sei personaggi in cerca di autore Pirandello, tra le altre cose, porta alle estreme conseguenze il discorso naturalistico di Stanislavskij, mettendo in scena il dramma di personaggi che vogliono vivere: ‹‹A esser vivi, più vivi di quelli che respirano e vestono panni! Meno reali, forse, ma più veri!››23. Il teatro diventa più vero della realtà quotidiana. Con la trilogia del “teatro nel teatro” di Pirandello, ‹‹la vecchia tentazione del teatro come illusione della realtà viene superata nella concezione del teatro come realtà tout court››24: cade la “quarta parete” per permettere alla vicenda scenica di invadere la realtà, di confrontarsi con essa e di pretendere di essere più vera di quella25. Ma, insieme a ciò, viene messa in crisi la stessa concezione di teatro: ‹‹la messa in scena esalta il lavoro e favorisce l’illusione. Questo cielo che è un cielo di teatro, questi alberi che sono di stoffa, non ingannano nessuno, né gli attori che provano, né noi, né queste larve in cerca di uno stampo in cui prendere forma. Allora dov’è il teatro? ESSI vivono, affermano di essere reali. Ce l’hanno fatto credere. Allora noi, che cosa siamo? Eppure questi sei personaggi, sono ancora degli attori ad incarnarli! Si pone in questo modo tutto il problema del teatro. Ed è come un gioco di 23 L. Pirandello, Sei personaggi in cerca di autore, 1920, contenuta in “Maschere nude” (vol. I), a cura di I. Borzi, M. Argenziano, Newton Compton, Roma, 1993, p. 44. 24 L. Lunari, Breve Storia del teatro, p. 104. 25 A partire da questa opera, molti critici ipotizzano che Pirandello abbia compiuto un passaggio (probabilmente non voluto) dal naturalismo all’anti-naturalismo, se non già ad un vero e proprio straniamento. 13
  • 14. specchi in cui l’immagine iniziale si assorbe e rimbalza ininterrottamente, cosicchè ogni immagine riflessa è più reale della prima e il problema non cessa di porsi››26. Parallelamente, si sviluppa anche una corrente anti-naturalistica che vede in Brecht il massimo teorico ed esponente con la formulazione di un “teatro epico”. Con l’avvento del cinema, si venne ad ‹‹integrare l’attrezzamento scenico precisamente al momento in cui non era più tanto semplice rappresentare i principali eventi umani mediante una personificazione delle loro forze motrici o col porre i personaggi sotto l’influsso di invisibili forze metafisiche. Per la comprensione di quegli avvenimenti era diventato necessario dare un grande, “significativo”, rilievo al mondo, all’ambiente nel quale vivevano gli uomini››27. Dal momento che il grado di immedesimazione proposto dal cinema è superiore a quello che, allora ed tutt’oggi, permetteva il teatro28, è chiaro come quest’ultimo dovesse riconfigurarsi per mantenere una certa autonomia e continuare a suscitare interesse nel pubblico, attratto ora più dal cinema per i più vasti motivi (la novità del mezzo, il costo più basso, gli orari delle proiezioni…). Abbandonare l’immedesimazione coatta, dunque, per permettere una nuova forma di teatro che suggerisca invece di mostrare, e che sia più “teatro” e meno letteratura. ‹‹Come è possibile che a teatro […] tutto ciò che è specificamente teatrale, ossia tutto ciò che non è discorso e parola, debba rimanere in secondo piano?››29. La domanda che si pone Artaud, per quanto successiva al periodo di cui stiamo parlando, mette in luce il grave limite a cui è andato incontro il teatro già dalla rivoluzione avvenuta nel XVIII secolo, ossia l’incapacità di essere davvero teatro, teatro totale, in cui tutti gli elementi e le tecniche si mischiano per dare luogo all’evento teatrale tout court, e non a una banale trasposizione di un testo. Il teatro ‹‹consiste in tutto ciò che occupa la scena, in tutto ciò che può manifestarsi ed esprimersi materialmente su una scena, e che si rivolge anzitutto ai sensi, invece che rivolgersi anzitutto allo spirito come il 26 A. Artaud, Il teatro e il suo doppio (1964), a cura di G. R. Morteo e G. Neri, trad. it. della I ed. (1968) di E. Capriolo e G. Marchi, Einaudi, Torino, 2010, p. 111. 27 B. Brecht, Scritti teatrali (1957) trad. it. della I ed. (1962) di E. Castellani, R. Fertonani e R. Mertens, Einaudi, Torino, 2001, p. 63. 28 Vedremo meglio, quando parleremo più specificamente di cinema, cosa comporta questo tipo di immedesimazione. 29 A. Artaud, Il teatro e il suo doppio, p. 154. 14
  • 15. linguaggio della parola››30 afferma Artaud, e con la nascita del cinema, dove il cielo è cielo per davvero, gli alberi sono fatti di legno e foglie e non di stoffa, il (falso) realismo del teatro deve cedere il posto ad un linguaggio più consono agli strumenti a disposizione: lo straniamento. ‹‹Nessun aspetto della rappresentazione doveva più consentire allo spettatore di abbandonarsi, attraverso la semplice immedesimazione, ad emozioni incontrollate (e inconcludenti). La recita sottoponeva dati e vicende a un processo di straniamento: quello straniamento che è appunto necessario perché si capisca››31. La preoccupazione di Brecht era quella che il pubblico, nell’identificazione emozionale con l’attore o la vicenda, perdesse la capacità di giudizio razionale, privando l’evento teatrale delle sue intrinseche possibilità di insegnamento e di lezione per la vita. Così Brecht si promosse nel distruggere ogni possibilità di illusione, andando totalmente contro a quella che ormai costituiva la tendenza principale del teatro occidentale, e che aveva caratterizzato la ricerca teatrale degli ultimi due secoli, ossia l’immedesimazione. Scopo di Brecht era di far assumere al naturale l’importanza del sorprendente, così da non rendere la rappresentazione ovvia ed evidente, ma al contrario di ripulirla da ogni ovvietà in modo da portare lo spettatore da uno stato passivo ad uno attivo, da semplice voyeur a partecipante (seppur sempre relegato su una comoda poltrona), a obbligarlo a una visione complessa, a trasformare il suo atteggiamento da un “penso perché guardo” ad un “guardo perché penso”. Prendendo ad esempio l’arte scenica orientale, cinese in particolare, in cui l’attore non recita come se esistesse una quarta parete, ma tendendo a sottolineare la sua consapevolezza di essere visto, tende a far recitare gli attori del teatro epico in maniera da rendere impossibile allo spettatore di immedesimarsi sentimentalmente coi personaggi del dramma: ‹‹l’accettazione o il rifiuto di ciò che essi facevano o dicevano, doveva avvenire nella sfera cosciente dello spettatore, e non, come era avvenuto finora, nel suo inconscio››32. Lo spettatore, quindi, non può più illudersi di assistere come essere invisibile ad una vicenda che stia realmente accadendo, al contrario, deve essere ben consapevole della finzionalità della scena, solo così potrà 30 Ivi, p. 155. 31 B. Brecht, Scritti teatrali, p. 63. 32 Ivi, p. 72. 15
  • 16. godere di un buon teatro. L’attore, per permettere che tutto ciò abbia luogo, deve sforzarsi di riuscire “strano” e “sorprendente” allo spettatore, considerando da ”estraneo” se stesso e la sua esibizione, così da provocare stupore nel pubblico, solitamente soffocato dall’ovvietà, come già visto. Ma l’effetto di straniamento non si basa su una recitazione artificiosa. Esso, infatti, ‹‹funziona non già sotto la forma di assenza di emozioni, bensì sotto la forma di emozioni che non hanno bisogno di farsi credere quelle del personaggio rappresentato. […] Una recitazione del genere è più valida e più degna di un essere pensante, esige una notevole dose di esperienza umana e di intelligenza della vita, e un’acuta intuizione di ciò che è socialmente importante››33. Distanziandosi dal personaggio raffigurato, quindi, l’attore “strania” un piccolo avvenimento particolare, un piccolo gesto o movimento che diviene un elemento su cui porre attenzione nel momento in cui ne viene messa in luce l’importanza; così facendo, presenta le situazioni drammatiche in una prospettiva tale che lo spettatore viene necessariamente portato a considerarle in modo critico. Per cui ci si sforza di non permettere al pubblico di cadere in uno stato di trance, di non dargli l’illusione di assistere a un fatto naturale e spontaneo: gli si rende subito chiaro che ciò a cui sta assistendo è semplicemente Teatro. ‹‹Guardare e ascoltare sono attività, all’occasione anche divertenti; ma questa gente, nonché aliena da qualsiasi attività, sembra materia passiva. Il rapimento col quale paiono abbandonarsi a sensazioni imprecise ma violente, è tanto più profondo quanto meglio gli attori sanno recitare; talchè noi, disapprovando questo stato di cose, ci troviamo spinti a desiderare che recitino nel peggior modo possibile››34. Oggi, a partire da molteplici sperimentazioni iniziate negli anni ’60 del Novecento, l’effetto di straniamento creato (o meglio, trasposto, dal momento che proviene originariamente dal teatro orientale) da Brecht sta vivendo una seconda fase nel cinema in cui è diventato una vera e propria tecnica non solo recitativa ma anche registica. Non solo, anche nel videogioco sempre più spesso si assiste ad uno straniamento in cui il nostro avatar, ma sarebbe meglio dire alter ego, si rivolge 33 Ivi, pp. 77, 78. 34 Ivi, p. 125. 16
  • 17. direttamente a noi. Un aspetto particolarmente interessante dello straniamento presente in entrambi i media è la citazione. Attraverso questo processo il film o il videogioco sembra “prendere vita” e diventare un angolo di realtà in cui i protagonisti hanno assistito, come noi, a dati film più vecchi, o ad aver giocato a titoli passati e ne parlano come ne parleremmo noi coi nostri amici35. 35 A tal proposito sono interessanti alcuni film di autori che spaziano da Godard a Tarantino e videogiochi quali Metal Gear Solid 2 o Donkey Kong 64, in cui è addirittura possibile rigiocare alla versione originale del 1981. 17
  • 18. 1.3 Teatro: copia del mondo o evento autonomo? Dopo questo breve riassunto sulla storia del teatro, dell’attore e delle tecniche recitative, è bene chiedersi: che cos’è il teatro? Il mio rispondere alla domanda, come vedremo, è prettamente strumentale per poter comprendere meglio il ruolo che rivestono il cinema e i videogiochi nel mondo attuale, in vista della continuità che questi ultimi media hanno nei confronti del mezzo teatrale. L’analisi profonda compiuta a partire dal 1700 getta le basi per quello che saranno per l’uomo, dal punto di vista rappresentativo, il cinematografo e i videogames. Perché se il teatro ‹‹consiste nel produrre rappresentazioni vive di fatti umani tramandati o inventati››36, è suo compito farlo “divertendo”, con tutte le complicazioni che l’uso di questa parola comporta. ‹‹Quando si dice che il teatro ha la sua origine nel culto, si dice appunto che divenne teatro per selezione; dei misteri non si appropriò la missione liturgica, ma il puro e semplice piacere che essi procuravano. E quella catarsi di cui parla Aristotele, la purificazione attraverso l’orrore e la pietà, o dall’orrore e dalla pietà, è un lavacro che non solo avveniva in modo divertente, ma che avveniva propriamente allo scopo di divertire››37. Nato come rito, il teatro ne perse ben presto il carattere e già Platone, fieramente avverso a questo mezzo di rappresentazione, ne indica la fallacità. Per il filosofo greco, infatti, la realtà tangibile è una copia imperfetta del mondo delle idee, quindi l’arte, per definizione copia della realtà, è l’inattendibile copia della copia. La realtà tangibile è dominio dei sensi, che non generano verità ma una fallibile opinione e l’arte teatrale è illusione dello stesso mondo sensibile: per questo si rivolge alla componente irrazionale dell’uomo, turbandone il delicato equilibrio di istinto ed emotività. Aristotele rispose al maestro sostenendo che il teatro è sì imitazione della natura, ma ha per oggetto le vicende e i comportamenti dell’uomo che ricevono dunque, nella rappresentazione, una chiarificazione: è la cosiddetta funzione catartica che permette allo spettatore di “imparare” a dominare e superare certi suoi istinti, vissuti virtualmente a teatro. 36 Ivi, p. 114. 37 Ivi, p. 115. 18
  • 19. Compito del teatro è dunque “ricreare” le persone, sia dal punto di vista creativo che da quello più specificamente ricreativo: ‹‹deve assolutamente poter restare una cosa superflua, il che significa, beninteso, che per il superfluo allora si vive››38. Risulta chiaro dunque come una componente fondamentale sia il divertire, ovviamente non inteso come “far ridere”, bensì come coinvolgimento emozionale e sinestesico39, proprio come un gioco. Ma ‹‹se il teatro non è un gioco, se è una realtà vera – come per troppo tempo si è ritenuto – , il problema che abbiamo da risolvere è quello dei mezzi attraverso i quali restituirgli quest’ordine di realtà, fare di ogni spettacolo una sorta di avvenimento››40; ecco che finalmente risulta chiara la natura evenemenziale specifica del teatro: ‹‹l’arte teatrale non produce opere ma eventi››41 e come tale va considerato. Il teatro è dunque rappresentazione dell’uomo, è evento, ma prima di tutto è simbolico; ciò che Goodman afferma riguardo all’arte rappresentativa, può essere infatti traslato, senza poi molte difficoltà, al mondo teatrale: ‹‹la verità è che un quadro, per rappresentare un oggetto42, deve essere simbolo di esso, stare per esso, riferirsi ad esso››43. Deve essere una copia del mondo (dell’uomo), dunque, ma in che misura? Quali aspetti dell’uomo, quali caratteri, vanno presi in considerazione? Insomma, cosa si deve copiare dell’uomo a teatro affinchè si abbia una rappresentazione fedele del mondo? La risposta è stata data durante il Rinascimento con l’introduzione delle maschere, degli stereotipi: si prende in considerazione solo un aspetto da analizzare e il personaggio in questione rappresenterà sempre quell’unico aspetto (le “quattro colonne portanti della società” viste nel paragrafo precedente); ma proprio in questo sta il problema. La complessità del mondo viene raffigurata per mezzo di stereotipi che rendono la vita rappresentata estremamente banale e scontata, e lo spettatore un semplice voyeur acritico: imbalsamato in una comoda poltrona osserva lo scorrere di una vita perfetta davanti ai suoi occhi e l’assimila come sogno, come necessità e desiderio da realizzare nel 38 Ibidem. 39 Quest’ultimo presente soprattutto nell’happening, che qui eviteremo di trattare. 40 A. Artaud, Il teatro e il suo doppio, p. 5. 41 W. Conrad, Scena e dramma, per una fenomenologia del teatro (1911), a cura di C. Cappelletto, trad. it. della VI ed. (2008) di P. Conte, CLUEB, Bologna, 2008, p. 9. 42 Intendendo per oggetto, in questo caso specifico, la vita dell’uomo. 43 N. Goodman, I linguaggi dell’arte (1968), a cura di F. Brioschi, Il Saggiatore, Milano, 2008, p. 13. 19
  • 20. mondo reale44. Superata la fase di “superficialità” del teatro (che nonostante tutto permane continuamente per un semplice bisogno di mercato, così come è presente anche nel cinema e in tutte le arti in generale), lo spettatore rimane comunque schiavo dell’inganno primario del teatro, quello per cui ‹‹la misura di realismo proposta coincide con la probabilità di scambiare la rappresentazione con ciò che è rappresentato››45. Il lavoro sull’immedesimazione dell’Otto/Novecento non fece altro che acuire questo problema, se di problema si tratta: la scena diventa sogno e quindi, proprio come il mondo onirico ‹‹”è una difesa contro la regolarità e la banalità della vita, una libera ricreazione della fantasia legata, in cui essa sovverte tutte le immagini del giorno e interrompe con un lieto gioco infantile la costante serietà dell’uomo adulto”››46, così in teatro ‹‹il sipario libera l’azione scenica dallo scorrere quotidiano della vita››47. Inoltre, ricorda Freud come ‹‹tra le relazioni logiche, una sola si avvantaggia straordinariamente del meccanismo di formazione del sogni. È la relazione della somiglianza, della connessione, il come se››48. Noi, assistendo allo spettacolo come spettatori, siamo ben consci che l’azione scenica è ‹‹oggettivamente irreale››49: è necessario dunque dimenticarci di noi stessi e delle regole imposteci per poter credere alla realtà altra messa in scena sul palco. Infine, non bisogna dimenticare che ‹‹l’azione del teatro è benefica perché, spingendo gli uomini a vedersi quali sono, fa cadere la maschera, mette a nudo la menzogna, la rilassatezza, la bassezza e l’ipocrisia››50. Ma questo nel momento in cui siamo portati a immedesimarci coi personaggi sul palcoscenico, a rivivire attraverso 44 Si tenga presente che questo processo avviene tuttora ed è uno degli elementi su cui più si dibatte per combattere la diffusione dei videogiochi (“che portano i ragazzi a fare cose spregevoli”), così come lo si usò per combattere il ruolo pedagogico negativo del cinema sui ragazzi di allora (e spesso ancora oggi lo si accusa della medesima cosa). Semplicemente, a parer mio, non si tiene mai in debita considerazione il ruolo che un media, di qualsiasi tipo esso sia, ha nella società. Vedremo più avanti come già il teatro fosse uno strumento di fuga dalla realtà come lo sono oggi il cinema e i videogiochi. Io credo semplicemente che sia inutile scagliarsi contro ciò che permette un po’ di libertà dalle costrizioni del mondo, ben altra cosa sarebbe cercare di capire perché così tanta gente cerca rifugio in un’illusione. 45 Ivi, p. 37. 46 S. Freud, L’interpretazione dei sogni (1899), trad. it. della I ed. (1973) di E. Fachinelli e H. Trettl, Universale Bollati Boringhieri, Torino, 2007, p. 97. 47 W. Conrad, Scena e dramma, per una fenomenologia del teatro, p. 21. 48 S. Freud, L’interpretazione dei sogni, p. 304. 49 W. Conrad, Scena e dramma, per una fenomenologia del teatro, p. 21. 50 A. Artaud, Il teatro e il suo doppio, p. 150. 20
  • 21. loro le nostre emozioni più profonde. Eppure non è l’unica modalità, a teatro, per permettere a noi stessi di guardarci e scoprirci per come siamo davvero. Brecht, infatti, come già visto, andò contro tutto ciò che il teatro era ormai diventato e cercò di riportarlo ad un’origine ormai remota nel tempo: il rito. ‹‹Occorreva ottenere e comunicare una visione del mondo che fosse prima di tutto armoniosa, ma non necessariamente serena, bisognava, cioè, abbandonare volontariamente un certo numero di sfumature, di curiosità, di possibilità, per presentare l’enigma umano nella sua nuda essenza››51. Quel teatro che non consiste in nulla, ma che si serve di tutti i linguaggi, nel fissarsi su un solo tipo di linguaggio ha segnato la sua rovina. Nel momento in cui scrive Brecht, come abbiamo già visto, il teatro è diventato schiavo della parola. Tutta la commistione di tecniche e stili è relegata ad un ruolo marginale, potremmo dire artigianale: il teatro è la parola, il resto serve unicamente a renderla nel migliore dei modi. Dimentichi della natura del teatro, seduti nelle nostre comode poltrone e ben distanti dalla scena, godiamo passivamente di ciò che il teatro ha da offrirci: una semplice manciata di parole vuote accompagnate da una recitazione che vuole essere la più realistica possibile ma che non dice assolutamente nulla. Brecht ci scuote dal nostro torpore, ci impone un risveglio forzato. Elimina la separazione tra pubblico e scena, facendo scomparire, di fatto, la “quarta parete”52 e permettendo così alla scena di avanzare liberamente verso lo spettatore, inglobandolo in essa. Prima “entrare dentro” la vicenda avveniva per mezzo dell’immedesimazione nell’attore, ora, annullando ogni finzione, si mostrano i preparativi dello spettacolo, si mostra la finzione stessa, facendo diventare lo spettatore parte della rappresentazione, non della vicenda! Quindi, contrariamente all’abitudine di trasportare lo spettatore all’interno della rappresentazione attraverso l’immedesimazione col protagonista, il metodo di Brecht lo porta per la prima volta a far parte della scena come autore e regista (vedremo più avanti come componente essenziale del videogioco sia proprio la caratteristica di rendere il giocatore non solo immedesimato con il suo alter ego, ma anche con la telecamera, costituendosi, quindi 51 R. Barthes, Sul teatro (1993), a cura di M. Consolini, Meltemi, Roma, 2002, p. 37. 52 Cosa che avvenne anche nella trilogia del teatro nel teatro di Pirandello, autore che sicuramente prese spunto dalle teorie di Brecht per un teatro epico, fondendole con il processo di realismo messo in atto da Stanislavskij. 21
  • 22. come vero e proprio regista). Lo smascheramento della finzione scenica, mostra allo spettatore cos’è il teatro, rivelando ogni intimità della preparazione scenica, ogni “dietro le quinte”. Straniato, lo spettatore assiste alla rappresentazione per ciò che è: puro e semplice teatro. Ma forse è proprio questo l’aspetto controverso della teoria di Brecht: se da un lato, infatti, “mostra il teatro” nel tentativo di ripulirlo dall’ambizione di realismo che si era preposto, dall’altro, proprio portando avanti questa “pulizia”, gli permette di diventare ancora più reale. Perché noi non assistiamo più a delle opere di finzione propriamente dette, ma al rivelarsi della realtà teatrale. Noi assistiamo, in altre parole, alla mise en scene del teatro stesso. E probabilmente, come gli anziani che non hanno più nulla da aggiungere si prodigano nel raccontare la propria vita nella speranza che qualcuno ne tragga degli insegnamenti, così il teatro, forte della sua vita millenaria, ha smesso di avere nuove storie degne di nota da aggiungere e si “limita” a raccontarsi, a svelarsi, per trarre da lui insegnamenti che altrimenti non potremmo avere. Almeno fino al momento in cui potrà nascere di nuovo e, fresco di una nuova giovinezza, ricominciare a vivere, come del resto ha fatto più volte nel corso della storia, come visto precedentemente. ‹‹Scene, costumi, gesti e grida false non sostituiranno mai la realtà che ci aspettiamo. L’importante è questo: la formazione di una realtà, l’irruzione inedita di un mondo. Il teatro deve darci questo mondo effimero, ma vero, questo mondo tangente al reale. Sarà questo stesso mondo o altrimenti faremo a meno del teatro››53 53 A. Artaud, Il teatro e il suo doppio, p. 6. 22
  • 23. Capitolo II Il cinema 2.1 Nascita e sviluppo del medium cinematografico Parallelamente al manifestarsi di una profonda discussione su cosa è il Teatro (con la T maiuscola), si assiste all’avvento di un altro mezzo che “ruberà” al teatro, per i più svariati motivi, il dominio su ciò che è la rappresentazione della società e dell’uomo. Ma andiamo con ordine: ‹‹la cultura popolare del diciannovesimo secolo conobbe una vasta proliferazione di forme visive. L’era industriale offrì i mezzi per duplicare facilmente un grande numero di lastre per lanterne magiche, libri di fotografie e di narrativa economica illustrata. [..] Circhi, parchi divertimenti e teatri di varietà offrivano altre forme di svago a buon mercato. […] Trasportare intere produzioni teatrali di città in città era però costoso; il pubblico nella maggior parte dei casi doveva percorrere lunghe distanze per visitare i principali diorami o parchi di divertimento. […] Il cinema offrì alle masse uno spettacolo visivo economico››54. Sono quindi necessità economiche e d’intrattenimento che diedero vita a quella che è ormai riconosciuta come settima arte. Iniziato a sviluppare già dagli anni ’30 del XIX secolo, il cinema, così come noi lo conosciamo, nasce ufficialmente nel corso dell’ultimo decennio dell’Ottocento per mano dei fratelli Lumière. La sortie des usines Lumière (“L’uscita dalle fabriche Lumière”) rappresenta infatti la prima, vera, esperienza cinematografica, che raccolse le esperienze maturate nel campo a partire dallo storico esperimento di Muybridge, primo esempio di fotografia in movimento55. Il cinema, infatti, non avrebbe avuto vita senza la precedente invenzione della fotografia: è da quest’ultimo medium che si sviluppa la possibilità delle immagini (realistiche) in movimento. 54 D. Bordwell, K. Thompson, Storia del cinema e dei film, dalle origini a oggi, trad. it. della I ed. (1998) di A. Farina, R. Centola, A. Rocchi, Editrice Il Castoro, Milano, 2007, p. 49. 55 Per approfondire il discorso sui precursori del cinema, si veda sempre il testo di Bordwell e Thompson. 23
  • 24. ‹‹La famiglia Lumière possedeva la più grande azienda europea di prodotti fotografici. Nel 1894 un concessionario del kinetoscopio56 chiese loro di realizzare pellicole meno costose di quelle vendute da Edison. In poco tempo idearono […] il cinematografo, che utilizzava la pellicola 35mm e un meccanismo a intermittenza ispirato a quello della macchina da cucire […] Mentre i Lumière perfezionavano la loro cinepresa, in Inghilterra si stava sviluppando un analogo processo di invenzione››57. Si tratta del già citato kinetoscopio di Edison. Questo tipo di proiezione ebbe un tale successo in Inghilterra che un gestore di una sala con apparecchi kinetoscopici chiese a Robert W. Paul, fabbricante di materiale fotografico, di costruire altre macchine sul modello di quella di Edison, ma per problemi di brevetti si vide costretto a inventare una nuova macchina da presa per realizzare i film per i kinetoscopi. In breve Paul ebbe la geniale idea di non dare in affitto le sue cineprese, com’era consuetudine, ma di venderle direttamente, il che contribuì a rendere più veloce la diffusione dell’industria cinematografica a livello mondiale. George Melies, uno dei più importanti registi delle origini (fu il primo ad utilizzare gli “effetti speciali”), fu uno dei numerosi acquirenti di Paul. Ben presto si affermarono i film di finzione come principale attrazione del cinema popolare, e fiorirono molte case di produzione cinematografica in quasi ogni Paese (alcune di esse, come la Pathè e la Gaumont, sorte in Francia all’inizio del ‘900, continuano tuttora la loro attività): nei primi anni di sfruttamento commerciale del cinema si stabilirono, quindi, le condizioni per la diffusione internazionale dell’industria, inoltre si iniziò gradualmente a studiare le possibilità espressive del nuovo medium58. Tra il 1905 e il 1912 si assiste a quella che può essere considerata come la fase adolescenziale del mezzo cinematografico: i film divennero più lunghi, più tecnici e con storie più complesse; ma soprattutto fu in questo periodo che il cinema si espanse a livello internazionale e si diffusero le sale cinematografiche vere e 56 Il kinetoscopio è un apparecchio ideato da Thomas Edison nel 1888, precursore di un proiettore cinematografico. Si trattava di una sorta di grande cassa sulla cui sommità si trovava un oculare; lo spettatore poggiava l'occhio su di esso, girava la manovella e poteva guardare il film montato nella macchina su rocchetti. (Kinetoscopio, http://it.wikipedia.org/w/index.php?title=Kinetoscopio&oldid=42219298) (ultima visita il 13/09/11). 57 D. Bordwell, K. Thompson, Storia del cinema e dei film, dalle origini a oggi, p. 55. 58 Per un’analisi di quelle che sono le tecniche cinematografiche, si veda il capitolo successivo. 24
  • 25. proprie, in seguito all’affermazione del cinema come forma d’intrattenimento regolare. Sono gli anni dello star system59, della nascita di Hollywood60 e dell’avvento delle produzioni americane sulle concorrenti francesi e italiane, che fino ad allora erano state dominanti nel mercato internazionale. Lo scoppio della Prima Guerra Mondiale, infatti, frenò lo sviluppo europeo del cinema (in alcuni casi lo interruppe drasticamente, dal momento che gli stabilimenti vennero utilizzati per la produzione di armi e munizioni), favorendo l’ascesa del modello cinematografico hollywoodiano nel mercato. La fine della Guerra decretò la ripresa della produzione cinematografica al di fuori degli Stati Uniti. Il primato americano nel mercato internazionale era ormai irraggiungibile, pertanto s’imposero, al fianco di vani tentativi di rivalsa delle case europee (soprattutto francesi), approcci cinematografici alternativi e indipendenti mirati allo studio e all’analisi del nuovo medium che si inserirono nel percorso intrapreso dalle avanguardie artistiche in ambito figurativo. Tra il 1918 e il 1933 si svilupparono le tre correnti avanguardistiche principali del mondo del cinema: l’impressionismo francese, l’espressionismo tedesco e la scuola sovietica del montaggio, di cui parleremo più approfonditamente in seguito. Oltre a queste vanno considerate anche le incursioni degli artisti del surrealismo e del dadaismo nel mondo cinematografico che tanta parte ebbero nelle sperimentazioni più eccessive del nuovo medium. ‹‹Sin dalla sua apparizione, il cinema è stato considerato da tutti come una forma di intrattenimento da sfruttare commercialmente. A parte significative eccezioni, fino agli anni Venti pochi credevano che si potessero estendere al cinema le sperimentazioni d’avanguardia delle altre arti››61. L’importanza che rivestirono le sperimentazioni delle avanguardie nel mondo del cinema fu, ed è, enorme, dal momento che influirono su tutta la produzione 59 Il cosiddetto divismo. 60 Prima della nascita di Hollywood, un centro importante nella produzione cinematografica americana è stato New York. 61 D. Bordwell, K. Thompson, Storia del cinema e dei film, dalle origini a oggi, p. 140; si noti, tra le altre cose, come l’idea dello sfruttamento economico e della mancanza di artisticità nei confronti dei nuovi medium si ripeta nel tempo. Anche i videogiochi, infatti, hanno subito lo stesso trattamento del cinema: pochi credono che essi possano essere uno strumento artistico vero e proprio. 25
  • 26. cinematografica mondiale, configurando il nuovo medium come mezzo artistico.62 Se dunque il teatro impiegò migliaia di secoli prima di giungere ad una definitiva affermazione come strumento artistico nel corso dell’800, il percorso che portò il cinema allo stesso livello fu molto più breve, forse anche in considerazione delle analisi perpetrate sullo strumento teatrale che, con lievi modifiche, si applicavano benissimo anche al mondo cinematografico. Così come le analisi del mezzo cinematografico si applicano benissimo a quello videoludico che tenta oggi di giungere allo status artistico raggiunto dal teatro e dal cinema. Se alle produzioni europee può essere attribuito il merito dell’analisi artistica, a quelle americane va senza dubbio attribuito quello del progresso tecnico: parallelamente alle avanguardie in Europa, infatti, ad Hollywood si sviluppava il cinema sonoro (è il 1927 quando vede la luce The jazz Singer, il primo film sonoro). Nonostante la comparsa del sonoro segni, per una minoranza di cinefili e registi, la morte del cinema63, esso ebbe importanti implicazioni economiche, tecnologiche ma soprattutto stilistiche nel mondo cinematografico, in quanto introduceva maggiori possibilità espressive. Le case cinematografiche americane scelsero di agire insieme per trovare il migliore sistema sonoro da adottare come standard64 e da esportare in tutto il mondo: fu solo nel 1935 che il sonoro si diffuse a livello internazionale, ponendo, per la prima volta, il problema linguistico, risolto ben presto con 62 Si tenga presente che gli Studios americani ingaggiarono ben presto i registi europei più importanti, favorendo la fine delle avanguardie, dettata anche dalla esigua disponibilità economica delle case produttrici di questi film. 63 Tra questi va segnalato Alfred Hitchcock, come testimoniato in F. Truffaut, Il cinema secondo Hitchcock, trad. it. della I ed. (1997) di G. Ferrari e F. Pititto, Il Saggiatore, Milano, 2008. Ma si può contobattere alle insinuazioni sulla morte del cinema per colpa del sonoro con le parole di Andrè Bazin: ”se le origini di un’arte permettono di cogliere qualcosa della sua essenza si può considerare il cinema muto e quello parlato come le tappe di uno sviluppo tecnico che realizza poco a poco il mito originale dei ricercatori. Si capisce, in questa prospettiva, come sia assurdo considerare il cinema muto come una sorta di perfezione primitiva da cui lo allontanerebbe sempre di più il realismo del suono e del colore. Il primato dell’immagine è storicamente e tecnicamente accidentale; la nostalgia che nutrono ancora molti per il mutismo dello schermo non risale molto lontano nell’infanzia della settima arte; gli autentici primitivi del cinema, quelli che non sono esistiti che nell’immaginazione di alcune decine di uomini del XIX secolo, sono a imitazione integrale della natura. Tutti i perfezionamenti che assomma il cinema non possono dunque paradossalmente che riavvicinarlo alle sue origini. Il cinema non è ancora stato inventato!” (A. Bazin, Che cos’è il cinema? (1958), trad. it. della I ed. della collana elefanti (1999) di A. Aprà, Garzanti, Milano, 2008, p. 15). 64 Nel 1927 firmarono il cosiddetto “accordo delle Cinque Grandi”, ossie delle cinque principali major cinematografiche: Warner bros., 20th Century-Fox, MGM, Paramount e RKO. 26
  • 27. l’introduzione dei sottotitoli o del doppiaggio.65 In questi anni fecero la comparsa nuovi generi cinematografici dettati sia dalle nuove tecniche che dai mutamenti sociali in atto: i musical, le screwball comedy (“commedie svitate” in italiano), assimilabili alle moderne commedie demenziali, i film horror, i film sociali, dettati dall’interesse crescente per i problemi causati dalla Grande Depressione, i film di gangster66, i film noir, quelli di guerra e i film animati della Disney. Verso la fine degli anni ’30, inoltre, apparve per la prima volta il colore67. In Europa, nel frattempo, faceva capolino il cinema di propaganda, dettato dalle sigenze dei vari regimi presenti in quel periodo storico in Italia, Spagna, Germania e Urss. La Seconda Guerra Mondiale non fu, come la Prima, causa di cessazione di attività cinematografica, al contrario, le fasi altalenanti della guerra diedero luogo, nelle Nazioni belligeranti, ad un altrettanto altalenante incremento della produzione, dettato dal riconoscimento, da parte dei dittatori, dell’importanza che il cinema rivestiva nei confronti dell’opinione pubblica. Tra la fine della Guerra e gli anni ‘60 si assistette a un boom di produzione cinematografica e di frequentazione di sale. L’Europa godette della prosperità postbellica e riuscì ad imporre il proprio cinema sulla scena mondiale, così come il Giappone, andando a costituire il cosiddetto cinema d’essai. L’Urss mantenne il cinema sotto il controllo statale, mentre nel terzo Mondo il settore di rafforzò notevolmente. In Europa la Guerra aveva drasticamente diminuito la circolazione di film americani, dando spazio alle cinematografie interne. Esclusa la Germania, le altre nazioni europee, nel dopoguerra, riuscirono a mantenersi indipendenti dalle società americane, grazie a leggi protezionistiche, a contributi statali e a coproduzioni tra diversi Paesi. Oltre a ciò, va segnalata l’importanza che rivestirono i festival cinematografici creati sul modello della Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia68. 65 Una tecnica poco nota utilizzata in via sperimentale durante l’avvento del sonoro, prevedeva di girare ogni film in più versioni, ognuna con attori di lingua diversa. Ma il pubblico non gradì attori secondari in ruoli resi celebri dalle star… 66 In merito al comportamento adottato dagli Studios americani nei confronti di questi film si veda il Codice Hays, sempre in D. Bordwell, K. Thompson, Storia del cinema e dei film, dalle origini a oggi, p. 307. 67 The wizard of Oz, Victor Fleming, MGM, 1939. 68 Voluta da Mussolini, la Mostra del cinema di Venezia si svolse tra il 1932 e il 1940, interrompendosi poi fino al 1946, anno in cui vennero creati anche i festival di Cannes e Locarno. 27
  • 28. Nel mercato americano le major persero l’importanza ottenuta negli anni precedenti e s’imposero le produzioni indipendenti che coprirono la quasi totalità della produzione cinematografica statunitense, in quanto le Cinque Grandi si dedicarono quasi esclusivamente alla produzione televisiva. In questi anni fa la sua introduzione il mercato giovanile, diventando ben presto il target principale per la maggior parte dei film69. Contemporaneamente una nuova generazione di cineasti s’impose in tutto il mondo, dando vita al cinema moderno, un connubio tra cinema popolare accessibile e di facile comprensione e cinema sperimentale; sono gli anni della Nouvelle Vague70, del Neorealismo71, dell’affermazione di Hitchcock e di Orson Welles, di autori come Fellini, Pasolini, Antonioni e Bresson. Questi autori furono i primi ad avere ben chiaro il senso della storia del cinema e a sfruttare ampiamente questa conoscenza. Sono oltrettutto questi gli autori che diedero la spinta a fare il cinema in modo più soggettivo e realistico e che ispirarono i “Movie Brats”72, movimento di registi che determinò l’affermazione del cinema d’autore anche negli Stati Uniti. È da questi ultimi, infine, che prese spunto tutta una serie di nuovi registi attivi oggi nell’espansione e nella ricerca tecnica e tecnologica del cinema contemporaneo, facendo di Hollywood l’industria più potente del mondo dal punto di vista economico e culturale, almeno fino all’affermazione dei videogiochi, che hanno inglobato non solo tutta la ricerca tecnica e tecnologia fatta da questi ultimi autori, ma anche le più utilizzate tecniche cinematografiche e andando a sostituire Hollywood nel primato economico mondiale. 69 In questi anni, inoltre, fecero la loro comparsa i cosiddetti “b movie”, film di serie b, che tanta parte avranno poi sia nel cinema d’autore, con registi quali Quentin Tarantino e Robert Rodriguez, che nei videogiochi. 70 Gruppo di critici e cinefili, poi registi, impegnati nell’affermazione del cinema come mezzo artistico; il loro cinema prende il via dalle basi teoriche elaborate da Andrè Bazin, critico francese “maestro” degli autori del movimento (Truffaut, Godard, Chabrol, per citarne alcuni). 71 Impegnato nel descrivere la vita comune dell’Italia postbellica. Gli ultimi film del movimento, perlomeno idealmente, coincidono con l’avvento del boom economico degli anni ’60. 72 “I ragazzacci del cinema”, ossia George Lucas, Steven Spielberg, Francis Ford Coppola e Martin Scorsese, che diventarono i nuovi leader creativi dell’industria cinematografica americana negli anni. ‘70, detenendone tuttora il ruolo. 28
  • 29. 2.2 L’illusione della realtà tra crisi della pittura e cinema ‹‹In Inghilterra il cinematografo era chiamato un tempo bioscope perché presentava in termini visivi i movimenti delle forme di vita (dal greco bios, vita). Il cinema, mediante il quale arrotoliamo il mondo reale su una bobina per poi srotolarlo come un tappeto magico della fantasia, è un sensazionale connubio tra la vecchia tecnologia meccanica e il nuovo mondo elettrico››73. Il cinema si offrì alle masse in un momento di grande crisi spirituale e tecnica della pittura moderna iniziata già nel XV secolo con l’invenzione della prospettiva. Essa permetteva all’artista di dare l’illusione di uno spazio a tre dimensioni dove gli oggetti potessero situarsi come nella nostra percezione diretta. A quel punto la pittura fu divisa fra due aspirazioni: una propriamente estetica e guidata dal simbolismo delle forme, l’altra psicologica legata al desiderio di rimpiazzare il mondo esterno col suo doppio artificiale. ‹‹L’arte, come i giochi, divenne un’eco mimetica dell’antica magia del coinvolgimento totale e insieme una difesa da questa stessa magia. Man mano che il pubblico dei giochi e degli spettacoli magici divenne più individualista, la funzione dell’arte si spostò da un livello cosmico a un livello psicologico››74; fece capolino, insomma, il bisogno di illusione che corrose a poco a poco le arti plastiche nel tentativo di riprodurre nella maniera più fedele possibile il reale percepito dall’uomo. Dopo diversi secoli, e all’apice di questo percorso di riproduzione del reale, fece la sua comparsa il primo strumento meccanico che permetteva la riproduzione del reale in maniera obiettiva: la fotografia. ‹‹L’età pittorica è finita, incomincia l’età iconica››75; si potrebbe anche affermare che è finita l’era figurativa e incomincia quella simbolica, ma preferisco nettamente utilizzare i termini di “astrazione” ed “empatia” di Worringer che scrive: ‹‹mentre l’impulso di empatia è condizionato da un felice rapporto di panteistica fiducia tra l’uomo e i fenomeni del mondo esterno, l’impulso di astrazione è 73 M. McLuhan, Gli strumenti del comunicare (1964), trad. it. della I ed. (1967) di E. Capriolo, Il saggiatore, Milano, 2009, p. 257. 74 Ivi, p. 217. 75 Ivi, p. 161. 29
  • 30. conseguenza di una grande inquietudine interiore provata dall’uomo di fronte a essi››76. Le opere rappresentative, fino all’avvento delle avanguardie storiche, hanno un carattere fortemente empatico e naturalistico venuto via via meno, man mano che facevano la loro comparsa nuovi media in grado di ottemperare con più facilità al bisogno di empatia della società. La fotografia per prima rende necessario un cambiamento di rotta nel mondo pittorico (e artistico in generale): ‹‹il pittore non poteva più dipingere un mondo tanto fotografato. Passò allora, con l’espressionismo e l’arte astratta, a rivelare il processo interno della creatività. […] L’arte insomma passò dalla creazione del mondo esterno a quella del mondo interiore››77. La fotografia era ora in grado di imbalsamare la realtà al di fuori del tempo, sottraendola alla sua corruzione. Permetteva uno sguardo oggettivo della realtà catturata, possedendo in sé un potere di credibilità assente da qualsiasi opera pittorica soggetta all’interpretazione dell’artista. La fotografia appare come l’avvenimento più importante della storia delle arti plastiche: contemporaneamente liberazione e compimento78, essa permette alla pittura di sbarazzarsi definitivamente dell’ossesione realista per ritrovare la sua autonomia estetica.79 76 W. Worringer, Astrazione e empatia (1908), trad. it. della I ed. (1975) di E. De Angeli, Einaudi, Torino, 2008, p. 18. 77 M. McLuhan, Gli strumenti del comunicare, p. 183. 78 Liberazione dall’aspetto cultuale dell’arte pittorica, e compimento del desiderio di riproduzione del reale. “La disputa, che ebbe luogo nel corso del XIX secolo, tra la pittura e la fotografia, intorno al valore artistico dei reciproci prodotti appare oggi fuori luogo e confusa. Ciò non intacca tuttavia il suo significato e anzi potrebbe anche sottolinearlo. Di fatto questa disputa era espressione di un rivolgimento di portata storica mondiale, di cui nessuno dei due contendenti era consapevole. Privando l’arte del suo fondamento cultuale, l’epoca della sua riproducibilità tecnica estinse anche e per sempre l’apparenza della sua autonomia”. (W. Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica (1936), trad. it. della I ed. (1966) di E. Filippini, Einaudi, Torino, 1972, p. 29). 79 La fotografia, sebbene fu la causa ultima della crisi della pittura, non fu la sola. Infatti, sempre citando Benjamin: “l’osservazione simultanea da parte di un vasto pubblico, quale si delinea nel secolo XIX, è un primo sintomo della crisi della pittura, crisi che non è stata affatto suscitata dalla fotografia soltanto, bensì, in modo relativamente autonomo, attraverso la pretesa dell’opera d’arte di trovare un accesso alle masse. Il fatto è appunto questo, che la pittura non è in grado di proporre l’oggetto della ricezione collettiva simultanea, cosa che invece è sempre riuscita all’architettura, che riusciva un tempo all’epopea, che riesce oggi ai film. E per quanto, in sé, da questa circostanza non vadano tratte conclusioni riguardanti il ruolo sociale della pittura, nel momento in cui, in seguito a particolari circostanze e in certo modo contro la sua natura, la pittura viene messa a diretto confronto con le masse, precisamente quella circostanza agisce come una grave limitazione.” (Ivi, p. 39). 30
  • 31. Scrive Morin: ‹‹”il movimento restituisce la corporeità e la vita che la fotografia aveva immobilizzato. Introduce un’irresistibile sensazione di realtà”››80. Il cinema appare dunque come il compimento nel tempo dell’oggettività fotografica: per la prima volta l’immagine delle cose è anche quella della loro durata. ‹‹Il mito direttore dell’invenzione del cinema è dunque il compimento di quello che domina confusamente tutte le tecniche di riproduzione meccanica della realtà che nacquero nel XIX secolo, dalla fotografia al fonografo. È quello del realismo integrale, di una ricreazione del mondo a sua immagine, un’immagine sulla quale non pesasse l’ipoteca della libertà d’interpretazione dell’artista né l’irreversibilità del tempo››81. Se la prospettiva è stata il peccato originale della pittura occidentale, Niepce e Lumiere, il primo con la fotografia, il secondo col cinema, ne furono i redentori: questi due medium, infatti, soddisfano definitivamente e nella sua stessa essenza l’ossessione del realismo. Ma a differenza della fotografia, che isola nel tempo momenti singoli, il cinema compie un’azione continua, esplorativa, eludendo il momento o l’aspetto isolato, per presentare sullo schermo la vita. ‹‹Si confronti la tela su cui viene proiettato il film con la tela su cui si trova il dipinto. Quest’ultimo invita l’osservatore alla contemplazione; di fronte ad esso lo spettatore può abbandonarsi al flusso delle sue associazioni. Di fronte all’immagine filmica non può farlo. Non appena la coglie visivamente, essa si è già modificata. Non può venir fissata››82: deve essere vissuta. Come abbiamo visto precedentemente, negli anni ’20 si svilupparono diverse correnti avanguardistiche nel mondo cinematografico. L’intento di queste avanguardie era quello di elevare il cinema a mezzo artistico tout court attraverso l’analisi e la sperimentazione delle sue possibilità narrative. Vediamone brevemente gli aspetti salienti. Il primo movimento che si affermò sulla scena internazionale fu l’impressionismo francese. ‹‹Partendo dall’assioma che l’arte è tale perché esprime 80 Citato in R. Campari, Sogni in celluloide, reale e immaginario nel cinema, Marsilio, Venezia, 2008, p. 18. 81 A. Bazin, Che cos’è il cinema?, p. 15. 82 W. Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, p. 43. 31
  • 32. qualcosa, e che questo qualcosa è riferibile più alla visione personale dell’artista che a un generale concetto di verità, gli impressionisti cercavano di creare un’esperienza emotiva per lo spettatore, suggerendo ed evocando più che affermando chiaramente. In poche parole, il lavoro dell’arte è quello di creare emozioni transitorie, impressioni. […] I teorici impressionisti attribuivano quindi al cinema la capacità di far accedere lo spettatore ad una visione della realtà oltre la quotidiana esperienza, capace di mettere a nudo l’anima delle persone e l’essenza degli oggetti››83. Si tratta di un primo tentativo di inserire una dimensione psicologica rilevante nel cinema, che sarà poi di un’importanza fondamentale, anche per quanto riguarda la “semplice” immedesimazione dello spettatore. Per far questo, i registi impressionisti basarono la loro ricerca sull’uso della macchina da presa e sui significati delle varie tipologie di inquadratura. L’espressionismo tedesco, al contrario, puntava la sua ricerca stilistica sulla messa in scena e sul tipo di recitazione. ‹‹L’espressionismo rappresentava […] il tentativo di esprimere, attraverso distorsioni estreme, le emozioni più vere e profonde, nascoste al di sotto della superficie della realtà››84. Sempre nell’ambito di una ricerca psicologica, dunque, ma esprimendo le emozioni dei personaggi nella maniera più diretta ed estrema, accompagnandole con una scenografia che risaltasse le profondità psicologiche dei personaggi e dell’azione, tanto che le figure umane si fondono con l’ambiente che le circonda creando una sorta di labirinto senza via d’uscita (tant’è che gli autori espressionisti prediligevano i finali aperti). L’ultimo movimento avanguardistico vero e proprio85 fu il movimento sovietico del montaggio. Figlio delle esperienze artistiche costruttiviste e cubo- futuriste, questo movimento è forse il più complesso del cinema. Sia per la struttura narrativa in cui era azzerata la presenza del soprannaturale ed era fortemente ridimensionata la figura dell’individuo a favore di un personaggio “corale” costituito dalle masse, sia per l’analisi tecnica compiuta sul mezzo cinematografico. 83 D. Bordwell, K. Thompson, Storia del cinema e dei film, dalle origini a oggi, pp. 148, 149. 84 Ivi, p. 166. 85 In quanto il surrealismo e il dadaismo non furono dei movimenti espressamente cinematografici, nonostante utilizzassero il cinema abbondantemente per la loro ricerca artistica. 32
  • 33. Attraverso l’uso del montaggio, infatti, i registi sovietici volevano incrementare il dinamismo visivo, creando relazioni temporali ellittiche o sovrapposte e dando così al film un ritmo molto rapido e accelerato. ‹‹Il montaggio veloce non serviva per comunicare la percezione soggettiva del protagonista, come succedeva per il movimento francese, ma per suggerire ritmi sonori o intensificare gli effetti di azioni esposive e violente››86. Altra tecnica importantissima fu il montaggio delle attrazioni con cui, attraverso inserti non diegetici accostati a momenti diegetici, gli autori russi costringevano gli spettatori a mettere in relazione ciò vedevano sullo schermo, creando dei concetti che attribuissero senso all’accostamento apparentemente senza senso. Le tecniche sul montaggio più azzardate avrebbero avuto enorme successo, a partire dagli anni ’60, nei film d’essai e nei b movie. Aldilà del movimento espressionista, che punta verso un’estetizzazione estrema per la rappresentazione dell’interiorità umana, si può riconoscere nelle avanguardie degli anni ’20, oltre che un fine artistico, un tentativo di trasposizione della realtà sullo schermo. Sia l’impressionismo con i suoi intenti psicologici svelati attraverso il sapiente uso della macchina da presa e di una recitazione lontana da quella teatrale, sia il movimento sovietico del montaggio, con i suoi scorci non diegetici di vita reale e la scelta di non utilizzare attori professionisti per rendere più reale la rappresentazione, sono tesi al realismo. ‹‹Dopo la fine dell’eresia espressionista87 e soprattutto dopo il parlato, si può ritenere che il cinema non abbia smesso di tendere verso il realismo. […] Esso vuol dare allo spettatore un’illusione il più perfetta possibile della realtà, compatibile con le esigenze logiche del racconto cinematografico e i limiti attuali della tecnica. In questo il cinema si oppone nettamente alla poesia, alla pittura, al teatro, per avvicinarsi sempre di più al romanzo››88. Da questo punto di vista, i movimenti che più di altri furono mossi dall’intento della rappresentazione del reale furono la nouvelle vague, il neorealismo 86 D. Bordwell, K. Thompson, Storia del cinema e dei film, dalle origini a oggi, p. 205. 87 Personalmente non ritengo eretico lo studio portato avanti dal movimento espressionista, in quanto si fa carico di una “rappresentazione interna di realtà”, ovvero di come noi ci figuriamo il mondo circostante nei nostri ricordi e soprattutto nei nostri sogni. Proprio per questo, anzi, può essere considerato uno dei movimenti più interessanti di sempre nel mondo cinematografico, nonostante sia evidente l’influenza teatrale, sia per le scenografie che per la recitazione; e forse proprio per questo i critici che credono in un cinema puro, ossia in un cinema non contaminato dal teatro, tendono a snobbare questo movimento o a etichettarlo come eretico. 88 A. Bazin, Che cos’è il cinema?, pp. 285, 286. 33
  • 34. e, singolarmente, Orson Welles e Alfred Hitchcock, movimenti e autori che contribuirono anche alla maturazione del cinema come arte. Il neorealismo deve il suo successo alle caratteristiche quasi da reportage dei suoi film. Girati quasi tutti in esterno, con attori non professionisti in prima linea affiancati da professionisti non noti, questi film sono esempio di un realismo sociale. Il loro intento era quello di rappresentare la situazione italiana del dopoguerra, catturando la vita della gente normale, creando un’intensa sensazione di verità. Orson Welles, invece, è il primo che permette allo spettatore di scegliere cosa guardare: ‹‹grazie alla profondità di campo89 dell’obiettivo, Orson Welles ha restituito alla realtà la sua continuità sensibile››90, inoltre è il primo ad approfondire l’analisi, e a fare un uso massiccio, del piano sequenza91, così come fece Hitchcock. La nouvelle vague riprende e porta avanti le tecniche messe a punto da questi autori: girano film in esterno, prevalentemente con telecamera a spalla e con lunghissimi piani sequenza, e spesso fanno ricorso alla profondità di campo per permettere allo spettatore di “entrare dentro” alla scena. Tutte queste tecniche avvicinano il cinema ad una riproduzione fedele della realtà, ‹‹ma il realismo in arte non può evidentemente derivare che da artifici. […] Di fatto l’arte cinematografica […] utilizza come meglio può le possibilità di astrazione e di simbolo che gli offrono i limiti temporanei dello schermo. […] Si è sostituita alla realtà iniziale un’illusione di realtà fatta di un complesso di astrazione (il bianco e nero, la superficie piana), di convenzioni (le leggi del montaggio per esempio) e di realtà autentica››92. 89 La profondità di campo è la distanza davanti e dietro al soggetto principale che appare nitida (a fuoco). Il campo nitido è quell’intervallo di distanze davanti e dietro al soggetto in cui la sfocatura è impercettibile o comunque tollerabile. (Profondità di campo, http://it.wikipedia.org/w/index.php?title=Profondit%C3%A0_di_campo&oldid=42910883) (ultima visita il 13/09/11). La profondità di campo permette allo spettatore di scegliere cosa guardare sullo schermo: non è la telecamera che mette a fuoco, ma l’occhio dello spettatore. 90 A. Bazin, Che cos’è il cinema?, p. 288. 91 Il piano sequenza è una tecnica cinematografica che consiste nella modulazione di una sequenza (un segmento narrativo autonomo) attraverso una sola inquadratura, generalmente piuttosto lunga. Come la profondità di campo, il piano sequenza prescinde dal montaggio (che attua un processo di sintesi eliminando tutto ciò che non serve al racconto), sfruttando la molteplicità dei piani all’interno della singola inquadratura e rispettando il tempo del mondo reale. (Piano sequenza, http://it.wikipedia.org/w/index.php?title=Piano_sequenza&oldid=40735840) (ultima visita il 13/09/11). 92 A. Bazin, Che cos’è il cinema?, pp. 286, 287. 34
  • 35. 2.3 L’immedesimazione nel cinema: la finestra sul cortile ‹‹Le nostre bettole e le vie delle nostre metropoli, i nostri uffici e le nostre camere ammobiliate, le nostre stazioni e le nostre fabbriche sembravano chiuderci irrimediabilmente. Poi è venuto il cinema e con la dinamite dei decimi di secondo ha fatto saltare questo mondo simile a un carcere; così noi siamo ormai in grado di intraprendere tranquillamente avventurosi viaggi in mezzo alle sue sparse rovine››93. Il cinema, fin dalla sua nascita, ha la capacità di trasportarci in un altro mondo, di farci viaggiare in luoghi sconosciuti, di farci vivere i nostri sogni e di sperimentare esperienze che altrimenti non avremmo potuto fare. Lo spettatore, seduto in poltrona e immerso nel buio è un po’ come colui che si prepara a dormire: ‹‹se il sogno presuppone il sonno, è anche perché quest’ultimo sospende ogni azione e blocca la motilità. […] La situazione filmica porta in sé certi elementi di inibizione motoria, ed è sotto questo aspetto un piccolo sonno, un sonno da svegli. Lo spettatore è relativamente immobile, immerso in una relativa oscurità, e, soprattutto, non ignora la natura spettacolare dell’oggetto-film. […] Durante la durata della proiezione, sospende ogni progetto di azione. […] Il soggetto sottoposto allo stato filmico si sente come inghiottito, e gli spettatori all’uscita, brutalmente vomitati dal ventre nero della sala nella luce vivida e aggressiva dell’ingresso, hanno a volte il volto stordito (felice o infelice) di quelli che si svegliano. Uscire dal cinema è un po’ come alzarsi››94. Ma se la condizione del sognatore è spaventosa, dal momento che è impotente di fronte alla sensazione di stare vivendo qualcosa di reale, quella dello spettatore è meno traumatica, proprio perché non perde mai (o quasi mai) la coscienza dell’irrealtà dello spettacolo a cui assiste. In quanto spettatori noi sappiamo di stare assistendo a uno spettacolo e siamo consci delle nostre capacità percettive, non ci illudiamo che ciò a cui assistiamo sia davvero reale, anche se facciamo finta, con noi stessi, che lo sia: è, questo fare finta, una sorta di muto accordo tra gli spettatori e i registi che presuppone la capacità di assistere allo spettacolo filmico. 93 W. Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, p. 41. 94 C. Metz, Cinema e psicanalisi (1993), trad. it. della I ed. (2002) di D. Orati, Marsilio, Venezia, 2006, pp. 124, 125. 35
  • 36. ‹‹Il film non è solo un’espressione suprema del meccanismo, ma offre paradossalmente come prodotto il più magico dei beni di consumo e cioè i sogni. […] E il mondo s’affrettò a mettersi in coda per comprare sogni in scatola››95. Proseguendo questa analogia col sogno, McLuhan afferma: ‹‹compito dello scrittore o del regista è quello di trasportare il lettore o lo spettatore da un mondo che è il suo a un altro che viene creato dalla tipografia o dal film. È un fatto così ovvio e si verifica in misura così completa che coloro che subiscono questa esperienza l’accettano subliminalmente senza esserne criticamente consapevoli. Cervantes viveva in un mondo nel quale la stampa era nuova come ora il cinema in Occidente, e gli pareva ovvio affermare che essa, come oggi le immagini che vediamo sugli schermi, avesse usurpato il mondo reale. Soggetto al loro incantesimo, il lettore o lo spettatore era divenuto un sognatore, come diceva René Clair nel 1926 a proposito del film. […] Il pubblico cinematografico, come il lettore di libri, accetta come un fatto razionale la sequenza in se stessa. Dovunque si volga la cinepresa, per lo spettatore va bene. Siamo trasportati in un altro mondo››96. ‹‹C’è da osservare che se l’accostamento col sogno emerse ben presto in critici e saggisti, lo si può trovare anche prima in coloro che il cinema lo facevano e non lo pensavano soltanto, quasi che il magico impatto provocato dalle immagini in movimento, l’impressione di assistere a qualcosa di reale, fosse di per sé già un elemento spettacolare, che andava sottolineato e potenziato››97; d’altronde è nota la leggenda degli spettatori spaventati dall’arrivo del treno in una delle prime proiezioni parigine dei Lumière, nella quale, attraverso il primo utilizzo cinematografico della prospettiva, realizzarono la ripresa dell’arrivo in stazione di un treno. Leggenda vuole che gli spettatori, non abituati a questo tipo di rappresentazioni, credessero che il treno stesse veramente arrivando loro addosso! Del resto è ancor più noto l’appellativo con cui ci si riferisce spesso a Hollywood: la fabbrica dei sogni. 95 M. McLuhan, Gli strumenti del comunicare, p. 262. 96 Ivi, p. 258. Il capitolo preso in considerazione de Gli strumenti del comunicare è tutto articolato sull’analogia tra cinematografia e tipografia, ma non essendo utile all’argomentazione in corso, non terrò in considerazione il discorso sulla letteratura portato avanti da McLuhan. C’è da dire, inoltre, che ‹‹il film produce un’impressione di realtà molto più viva del romanzo, perché la natura del significante cinematografico, con le sue immagini fotografiche particolarmente somiglianti, con la presenza reale del movimento e del suono ecc., produce l’effetto di sospingere il fenomeno-finzione, pure molto antico, verso forme storicamente più recenti e socialmente specifiche››. (C. Metz, Cinema e psicanalisi , p. 127). 97 R. Campari, Sogni in celluloide, reale e immaginario nel cinema, p. 115. 36
  • 37. Di primaria importanza è dunque l’immedesimazione, che avviene con l’identificazione del nostro Io con i protagonisti, o co-protagonisti, in azione sullo schermo, con la situazione messa in scena e, soprattutto, con la cinepresa stessa. Questa identificazione avviene principalmente attraverso i vari punti di vista utilizzati, ossia le inquadrature che il regista sceglie di usare a seconda dei casi. ‹‹Al cinema si usa distinguere una doppia identificazione: l’identificazione primaria (l’identificazione con il soggetto della visione) e l’identificazione secondaria (identificazione incentrata sul personaggio, sulla finzione stessa), di cui la prima sarebbe la base e la condizione dell’altra››98. L’identificazione primaria corrisponde, in sostanza, all’identificazione con l’occhio della cinepresa (in pratica con il nostro stesso sguardo) e prevede, nello spettatore, la sensazione di essere il soggetto privilegiato della visione: è l’identificazione con il dispositivo stesso della rappresentazione. L’identificazione secondaria avviene invece con l’universo del racconto filmico e, generalmente, con il personaggio, con cui s’instaura un rapporto basato sulle sue caratteristiche psicologiche e, più frequentemente, sul suo ruolo nella finzione cinematografica99. L’identificazione con la cinepresa è quella che comporta in noi un’illusione di movimento: con il movimento della camera, infatti, abbiamo l’impressione di muoverci anche noi nello spazio filmico, di essere parte della rappresentazione o perlomeno dell’ambiente rappresentato, senza per questo avervi nessun ruolo100. Diversa considerazione per l’identificazione con il personaggio, che non è semplice e diretta come può esserlo con la cinepresa101, ma prevede un passaggio in più: le capacità dell’attore. Ma a differenza del teatro, nel cinema l’attore deve cercare di 98 J. Magny, Il punto di vista. Dalla visione del regista allo sguardo dello spettatore (2001), trad. it. della I ed. di M. Greco, Lindau, Torino, 2004, p. 83. 99 Identificazione che sfocia poi nel divismo, per cui gli attori, spesso e volentieri, ricoprono ruoli simili in film diversi arrivando a ricoprire le caratteristiche generali dei loro personaggi persino nelle apparizioni in pubblico. 100 Questa percezione di apparente mobilità appare più evidente nei momenti in cui non ci sono personaggi in scena e il nostro sguardo è unicamente la cinepresa. Ad esempio in vedute aeree di paesaggi. In questi casi si parla di “Occhio di Dio” per identificare il punto di vista dello spettatore. Nome riutilizzato anche nel mondo videoludico attraverso i cosiddetti God games. 101 Identificarsi con la cinepresa è un requisito fondamentale del cinema, non facendolo non si potrebbe assistere alla rappresentazione. Poi sta al regista utilizzare al meglio i movimenti di macchina e le inquadrature per permetterci di viaggiare, o di averne la sensazione, all’interno del film, ma l’identificazione di per sé è causa necessaria e sufficiente. 37
  • 38. riprodurre fedelmente un comportamento realistico in linea con le tecniche messe a punto da Stanislavskij viste nel precedente capitolo, ma con qualcosa in più di quanto è richiesto a teatro: lo spettatore richiede infatti che il personaggio filmico sia come lui, che viva una vita normale, vada in metro, ascolti musica sull’ipod e quant’altro; dev’essere una persona normale a cui succedono cose straordinarie, come vorremmo che accadesse a noi nella nostra vita reale102. È a partire dagli anni ’30 che venne trapiantato a Broadway, con il Group Theatre, il metodo naturalistico di recitazione insegnato da Stanislavskij al Teatro d’arte di Mosca. Dopo la Guerra, Elia Kazan, principale allievo del Group Theatre, fondò a New York l’Actors Studio, con cui promosse il metodo Stanislavkij nel cinema. Lo studio dell’attore secondo Stanislavskij, come già visto, verte sulla sua stessa immedesimazione nel ruolo che deve ricoprire, condendolo con le sue esperienze personali, i propri ricordi, i tic e tutti quei comportamenti tipici e reali che l’attore ritiene necessari per dare letteralmente vita al suo personaggio cinematografico. ‹‹Il metodo si basa sull'approfondimento psicologico del personaggio e sulla ricerca di affinità tra il mondo interiore del personaggio e quello dell'attore. Si basa sulla esternazione delle emozioni interiori attraverso la loro interpretazione e rielaborazione a livello intimo››103. Ma al di là del lavoro svolto dall’attore, questo deve rispettare un fondamentale vincolo affinchè l’immedesimazione dello spettatore non subisca “traumi”, affinchè, cioè, lo spettatore continui a essere dimentico di sé, a fare come se ‹‹vivesse immerso in quel sistema simbolico, indipendentemente da qualsiasi altro sistema, in un processo di dissoluzione dell’autocoscienza e di identificazione con il doppio››104: questo vincolo è non rivolgersi mai a lui direttamente, mai guardare in camera. ‹‹È evidente che lo sguardo in macchina designa la presenza di uno spettatore e di un 102 Paradossalmente questo essere “normali” è richiesto anche ai personaggi meno normali che esistano: i supereroi. Al di là di Superman, che meriterebbe una trattazione a parte essendo lui un supereroe alieno che vuole essere come gli umani, gli altri supereroi devono essere il più possibile reali, concreti, umani. Di super devono avere giusto il costume, secondo la regola stabilita da Stan Lee (creatore di fumetti Marvel quali “L’uomo ragno”) negli anni ’60: supereroi con superproblemi. 103 Metodo Stanislavskij, http://it.wikipedia.org/w/index.php?title=Metodo_Stanislavskij&oldid=39424929 (ultima visita il 13/09/11). 104 G. Pecchinenda, Videogiochi e cultura della simulazione, la nascita dell’homo game (2003), Laterza, Roma-Bari, 2010, p. 24. 38
  • 39. punto di vista››105, ma è ancor più evidente che esso renda noto allo spettattore come l’attore sappia di stare recitando, di essere parte di un mondo di finzione, e soprattutto di essere guardato106. ‹‹Lo spettatore è prima un uomo estesiologicamente connotato, non introduce un vincolo naturalistico della rappresentazione che costringa a credere alla verità di corpi e forme di scena al di là della cornice della finzione […], dunque l’essenziale sta nel distinguere l’oggetto estetico dalle esecuzioni cui dà luogo, e soprattutto dalle percezioni che ne abbiamo››107. Ma guardando in macchina l’attore rivela la finzione o invita lo spettatore ad entravici definitivamente? Come già visto, questo comportamento non è che una continuazione del metodo di Brecht, con la sola differenza che ora, a “svelarsi”, è il cinema e, ormai, anche il videogioco ha iniziato ad affacciarsi su questo percorso. 105 J. Magny, Il punto di vista. Dalla visione del regista allo sguardo dello spettatore, p. 44. 106 Ovviamente lo sguardo in macchina è entrato a far parte enormemente della produzione cinematografica, a partire dalle provocazioni della nouvelle vague, fino ad arrivare ai racconti metacinematografici di Fellini, che addirittura svelava gran parte della messa in scena mostrando la troupe e i macchinari del set (come in E la nave va…, 1983). 107 W. Conrad, Scena e dramma..., p. 19. 39