2. Ritrovo nel piazzale del liceo alle
ore 07.00 circa; partenza per
l’aeroporto di Catullo di Verona
con pullman, partenza in aereo
per Palermo alle ore 13.20.
Prima di andare in albergo nei
pressi di Cinisi, si effettuerà la
visita, verso le 15.00, del Duomo
di Monreale e il Chiostro dei
Benedettini.
Arrivo in albergo, sistemazione
e cena
3. Il Duomo di Monreale fu edificato in breve tempo,
probabilmente fra il 1174 e il 1185, per volere di Guglielmo II
e si compone di tre corpi organicamente concepiti: chiesa,
convento e palazzo reale. L'imponenza e i tempi di
realizzazione dell'opera confermano come la dinastia normanna
facesse ampio uso dell'arte come mezzo di affermazione e
glorificazione del giovane e ambizioso regno (1130-1260). I re
normanni, investiti della legatio apostolica, artefici della
riconquista della Sicilia al Cristianesimo avevano come
riferimento le grandi basiliche di Costantinopoli e Roma.
Inoltre Monreale nata ad affermare e riconoscere l'impero di
Guglielmo II in vita, veniva edificata in contemporanea ed in
aperta competizione con il Duomo di Palermo, simbolo del
potere del vescovo della città. È pure significativo il fatto che,
nel Duomo monrealese, oltre al sepolcro regio, si trovi, nel
fregio musivo, la raffigurazione del sovrano incoronato da
Cristo, unica in Occidente, dove, dopo il conflitto tra il Papato
e l'Impero, nell'XI sec., non era più pensabile una simile
rappresentazione. Alla realizzazione del complesso
architettonico concorsero i migliori artisti ed artigiani
dell'epoca.
Gli elementi stilistici più diversi, dalla pianta della chiesa
longitudinale, tipicamente occidentale, ai motivi tipici dell'arte
islamica, quali le colonne angolari ai lati delle absidi e la linea
ogivale delle arcate, delle finestre, degli archi ciechi, ai mosaici
di chiara derivazione bizantina, si intersecano e amalgamano in
un unicum armonico che non ha eguali.
Veduta della facciata principale
4. Il complesso monrealese si è mantenuto attraverso i secoli
senza subire gravi manomissioni, eccezion fatta per il
restauro del 1811 che comunque non ne ha turbato
l'equilibrio. Anticamente l'insieme edilizio si presentava, a
chi proveniva da Palermo, con le absidi del Duomo e la
facciata dell'Abbazia e del Palazzo reale. Oggi questa
visione può essere ricostruita soltanto idealmente. Del
Palazzo reale, di compatta massa geometrica, forse a più
piani, restano due finestre esterne a feritoia, un vano
rettangolare all'ingresso con bifore ed un atrio di cui
rimangono tre grossi archi ogivali oggi inclusi nell'edificio
del seminario.
Il Duomo ha prospetto serrato da due poderose torri
quadre, a cui nel 1770 venne aggiunto l'attuale portico che
ne occulta una parte; è decorato da una serie di archi
intrecciati e da tarsie in tufo chiaro e pietra lavica. Questa
decorazione si estende ai prospetti laterali e alle absidi
(dove agli archi e alle tarsie si aggiunge il rilievo di
colonnine addossate). Sul lato settentrionale della chiesa
tra il 1546 e il 1569 fu aggiunto un elegante portico su
colonne di Gian Domenico e Fazio Gagini, sotto il quale si
apre un semplice portale ornato di fasce a mosaico. Le
porte in bronzo sono opera dei più importanti artigiani
dell'epoca, quella principale del 1186 di Bonanno Pisano
rappresenta 42 episodi biblici con iscrizioni in tardo latino
ed è esaltata dalla ricca cornice del portale dove si Veduta dell’interno: navata centrale e abside
alternano decorazioni plastiche e musive. Nella parte
inferiore della porta troviamo due leoni e due grifi, simboli
della monarchia normanna. La porta settentrionale scolpita
nel 1179 da Barisano da Trani rappresenta in 28 formelle
figure di santi ed evangelisti. La chiesa, il cui interno
basilicale a croce latina lunga, è orientata, secondo la
tradizione bizantina, ad Oriente.
5. Le tre navate sono divise da due file di nove colonne di
granito ad eccezione della prima di destra, che è di
cipollino. Provenendo da materiale antico di spoglio,
come i capitelli ornati da cornucopie, foglie d'acanto,
immagini di Cerere e Proserpina, hanno diverse
dimensioni e sostengono archi a sesto acuto di tipo arabo.
La crociera a quattro arcate ogivali, è delimitata da
transenne a mosaico (ottocentesche, rifatte su disegno
antico). Il santuario quadrangolare a tre absidi è
imponente per struttura e altezza. Tutto l'interno della
chiesa, al di sopra dello zoccolo marmoreo, è rivestito da
mosaici a fondo d'oro (6.340 mq). La qualità dei mosaici
non è costante, variano per finezza di disegno ed
espressività. Ciò sembra rivelare, verosimilmente, che
l'esecuzione fu affidata ad artisti di diversa provenienza,
sia bizantini che locali e musulmani. Il ciclo musivo
svolge ordinatamente una narrazione del mondo secondo
la Bibbia, cominciando dalle sette giornate della creazione
e terminando con le attività degli Apostoli, che fondarono
la Chiesa di Cristo sulla terra, a cui, nell'abside, si
aggiunge il Cristo Pantocratore con la corte celeste di
angeli, profeti e santi. Il soffitto, a capriate lignee,
policromo fu ricostruito nel 1816-37 dopo l'incendio del
1811, su disegno dell'originale. Il pavimento a dischi di
porfido e granito con fasce marmoree intrecciate a linee
spezzate è in parte originale, in parte del 1559. Navata centrale, abside e capriate lignee
6. All'Apogeo della loro avventura mediterranea, l'ultimo
Altavilla fece costruire annesso al Tempio di S. Maria La
Nuova, tra gli anni 1174-1176, ed esattamente nella parte
rivolta ad oriente, un Monastero destinato ai P.P. Benedettini i
quali erano stati chiamati da un convento di Cava dei Tirreni
per la custodia del Tempio cristiano e dello stesso Cenobio. Per
i resti che conserva dell'antica architettura è considerato tra i
più importanti d'Europa. Parallelo alla Chiesa, il grande
dormitorio, oggi in parte restaurato, è da ritenersi grande opera
d'arte vista la severità e magnificenza delle sue strutture, ma
più che altro degno di particolare attenzione è il Chiostro, fatto
realizzare da Guglielmo II con maestranze arabe, con forme di
straordinaria eleganza, di forma quadrata, 47 metri per lato, è
formato da 228 colonne bine e relativi capitelli che sostengono
degli archi a ogiva. Le doppie colonne sono alternativamente
mosaicate in diverse forme geometriche ed i capitelli circondati
da arabeschi con tarsie laviche, di forma differente, sono in
gran parte istoriati da un grande numero di scene bibliche,
vicende sacre e simboli cristiani. Questo Chiostro è considerato
tra i capolavori dell'architettura Arabo-Normanna nella Sicilia
del Xll secolo ed uno degli esempi più belli dell'arte claustrale.
I gioielli del chiostro sono i capitelli romanici sulle colonne,
diversi l'uno dall'altro, ornati mirabilmente con motivi
antropomorfici, fitomorfici e con altri elementi di fantasia,
tradizionali dell'immaginario medievale, e disposti in modo
Veduta dal chiostro interno
decorativo, senza una precisa sequenza; si vedono Adamo ed
Eva cacciati dal Paradiso terrestre, l'assassinio di Abele, la
storia di Sansone, l'Annunciazione, l'Allegoria dei mesi, scene
di caccia, di mietitura, ed ancora: putti intenti a nutrire animali,
7. uccelli che si protendono a beccare i girali del capitello, personaggi
orientali con turbanti e serpenti, Raffigurazione dei dodici mesi , ed
altro.
Sul capitello diciannove del braccio destro c'è scolpito re Guglielmo
II che offre la chiesa alla Madonna (una scena simile si vede anche in
un mosaico della chiesa). Particolare anche un capitello in cui viene
rappresentato un uomo che uccide un toro, immagine simbolica che
allude al culto orientale di Mithra, e quello in cui viene raffigurato
un acrobata, la cui posizione, in verticale con le gambe piegate e
tutto il peso sulle due braccia, richiama alla mente la figura della
Trinacria, simbolo della Sicilia.
Insomma una straordinaria varietà di forme e di immagini presentate
come fosse una mostra fotografica, da lasciarci senza fiato, e
veramente stupiti!
Questo chiostro ricorda molto l'Alhambra di Granada piuttosto che
un Monastero benedettino. In effetti, Guglielmo II, molto legato
all'arte islamica, ha voluto probabilmente esprimere qui tutto ciò che
non aveva potuto fare apparire nella sua basilica cristiana (motivi
geometrici ed archi arabi). Anche qui, in questo miracolo di
perfezione architettonica, si è raggiunta una sintesi precisa dei vari
stili, dall'islamico al romanico.
Nel lato a nord si alza un antico muro di un'ala dell'antico Convento
benedettino; l'interno, scoperchiato, presenta tre navate con portale e
bifore a incrostazioni di calcare e lava.
Nel versante sud, si trova un recinto quadrato, con tre arcate ad ogni
lato, che racchiude una elegante e bella fontana al cui centro si erge
una colonna intarsiata con caproni, di chiara ispirazione moresca e di
forte valenza simbolica, l'acqua è elemento di purificazione sia nella
Chiostro e porticato
tradizione cristiana che musulmana. La vasca è sormontata da un
fusto con dodici piccole teste di leone.
Dal Chiostro si può passare, attraverso il Dormitorio benedettino, da
poco splendidamente restaurato, al Giardino del Belvedere (belli gli
esemplari di magnolia), dal quale si gode di una vista amplissima
sulla Conca d'Oro e la Valle dell'Oreto.
8. Visita alla città di Palermo; in
particolare: Fontana della Vergogna,
Oratorio di Sant’Agostino, Teatro
Massimo, Museo Archeologico
(frontoni di Selinunte), Oratorio di
San Domenico e di Santa Zita con
stucchi settecenteschi del Serpotta.
Pranzo al sacco nei dintorni della
Cattedrale.
Nel pomeriggio visita guidata alla
Cattedrale, al Palazzo dei Normanni,
alloa Cappella Palatina e a San
Giovanni degli Eremiti.
9. La Fontana della Vergogna, più propriamente chiamata
Fontana Pretoria, è stata ideata e realizzata a Firenze fra il
1552 e il 1555 dallo scultore fiorentino Francesco
Camilliani con l’aiuto successivo di Michelangelo
Naccherino e altri collaboratori fu dallo stesso,per
necessità economiche,venduta con la mediazione del
fratello Garçia,l’8 gennaio 1573, al Senato Palermitano
che mirava a sottolineare platealmente il ruolo dell’autorità
municipale a confronto con le altre istituzioni dell’epoca.
Fra il 1574 e il 1584 Camillo,figlio di Francesco
Camilliani, giunto a Palermo provvide alla sistemazione,al
montaggio e al completamento dei pezzi della fontana
,giunti da Firenze, per adattarla alla piazza Pretoria, con
interventi integrativi,cui parteciparono,oltre al
Naccherino,scultori locali,marmorai e maestri d’acqua.
Dopo il 1584 si succedono nel corso dei secoli vari
interventi di pulitura e riparazione dei danneggiamenti con
metodi empirici, lontani dalle moderne metodologie di
conservazione e restauro. L’adattamento dei vari elementi
della Fontana fiorentina e probabilmente di altre piccole
fonti che si trovavano nello spazio ampio e articolato del
giardino di Firenze, a quello, oggettivamente più angusto
della Piazza Pretoria,obbliga l’architetto fiorentino ad una
disposizione piramidale dei pezzi
Fontana e piazza Pretoria
10. La fontana,nella parte centrale, è del tipo a “candelabra” (o a
kylix) ,secondo la tradizione rinascimentale fiorentina,con
pianta ellittica con tre tazze che si susseguono in modo
degradante in altezza attorno ad uno stelo,culminante con la
figura di Bacco;alla base è stata aggiunta una vasca grande.
Al livello inferiore sono quattro vasche ovali con quattro figure
adagiate,personificazioni di fiumi (Oreto, Papireto, Gabriele e
Maredolce),addossate al bordo esterno della grande peschiera
all’interno della quale versano acqua le teste di sei animali
fuoriuscenti da nicchie; la peschiera è divisa in quattro settori
separati da gradinate,che conducono al circuito superiore, e da
balaustre su cui spiccano quattro figure di divinità. Una
balaustra recinta il tutto,interrotta da quattro aperture inquadrate
da due Erme ciascuna.
Il progetto di restauro redatto dal Centro Regionale per la
progettazione e il restauro nel 1993, è stato approvato e
finanziato dall’Assessorato regionale per i BB CC. AA. che ha
affidato alla Soprintendenza per i BB. CC. AA. di Palermo
l’incarico di stazione appaltante nel 1996, l’appalto dei lavori è
stato aggiudicato all’Impresa Tecnorestauri di Acireale( CT ). I
lavori iniziati a novembre del 1998 avranno termine a novembre
2003. Allo stato iniziale di degrado,dovuto ai danneggiamenti
dei bombardamenti e degli atti vandalici o degli
impiantiidraulici invasivi,o alle incrostazioni di varia natura
delle superfici,si aggiungeva nella parte alta centrale (lo stelo ),
che solo il ponteggio permetteva di osservare da vicino,dopo
l’asportazione di spessi strati (3 – 4 cm) di calcare che alterava
persino la morfologia delle sculture, uno stato di degrado
preoccupante (fratture,lesioni,dissesti statici, macchie di natura Particolare delle statue della fontana
organica e da ossidazioni, materiali eterogenei) assolutamente
difficilmente prevedibile, che ha costretto la direzione dei lavori
a delle variazioni in corso d’opera con un conseguente
rallentamento dei lavori; anche l’impianto idrico più recente
non seguiva più i vecchi e originari condotti di alimentazione e
distribuzione dell’acqua.
11. La chiesa di Sant'Agostino fu elevata al tempo degli
Angioini, intorno al 1275, nel luogo dove sorgeva la
cappella della famiglia Maida. Il portale, di stile gotico,
venne realizzato nel Quattrocento da Domenico Gagini e
Giuliano Mancino. Sulla facciata romanica si trova un
sontuoso rosone. Interventi di modifica vennero attuati
nel corso del Seicento. L'interno è composto da una sola
navata e presenta le decorazioni settecentesche,
realizzate a stucco da Giacomo Serpotta e rappresentanti
santi e figure allegoriche. L'originaria copertura in legno
venne sostituita da una volta a botte. Adiacente alla
Chiesa si trova un Chiostro risalente al Cinquecento
attribuito ad un progetto di Vincenzo Gagini. Qui furono
ritrovati capitelli risalenti al Trecento e un sarcofago di
stile barocco. Al Quattrocento risale lo splendido
portale laterale attribuito a Giuliano Mancino e
Bartolomeo Berrettaro, che denota un gusto fastoso
caratterizzato da un’esuberante decorazione. Immagini
di santi agostiniani sono incastonate all’interno di tondi
circondati da elementi vegetali. Al lato settentrionale
della chiesa è affiancato un chiostro (1560), attribuito a
Vincenzo Gagini.
Particolare dei capitelli
12. Il Teatro Massimo Vittorio Emanuele di Palermo è uno dei più
grandi teatri lirici del mondo; di gusto neoclassico, sorge sulle
aree di risulta della chiesa delle Stimmate e del monastero di San
Giuliano che vennero demoliti alla fine dell’Ottocento per fare
spazio alla grandiosa costruzione. I lavori furono iniziati nel 1875
dopo vicende travagliate che seguirono il concorso del 1864 vinto
dall’architetto Giovan Battista Filippo Basile; il teatro venne
completato da Ernesto Basile che, nel 1801 alla morte del padre,
gli era subentrato nella costruzione. L’esterno del teatro, seguendo
la moda neoclassica dell'attualizzazione delle architetture antiche,
presenta un pronao corinzio esastilo elevato su una monumentale
scalinata ai lati della quale sono due leoni bronzei con le allegorie
della Tragedia e della Lirica; in alto l'edificio è sovrastato da
un'enorme cupola emisferica. L'ossatura della cupola è una
struttura metallica reticolare che s'appoggia ad un sistema di rulli a
consentirne gli spostamenti dovuti alle variazioni di temperatura.
La simmetria compositiva attorno all’asse dell’ingresso, la
ripetizione costante degli elementi (colonne, finestre ad archi), la
decorazione rigorosamente composta, definiscono una struttura
spaziale semplice ed una volumetria chiara, armonica e
geometrica, d’ispirazione greca e romana. I riferimenti formali di
quest'edificio sono, oltre che nei teatri antichi, anche nelle
costruzioni religiose e pubbliche romane quali il tempio, la
basilica civile e le terme soprattutto nello sviluppo planimetrico
dei volumi e nella copertura. L'interno, decorato da valenti pittori,
può contenere circa tremilacinquecento posti.
Riaperto dopo un lungo periodo d'abbandono, il grande teatro
palermitano si propone oggi come una fucina ricchissima di Veduta esterna del teatro
iniziative ed eventi culturali: balletti con artisti di fama
internazionale, concerti ed allestimenti di opere liriche, mostre ed
incontri con i loro protagonisti della musica contemporanea.
13. Il Museo Archeologico Regionale quot;Antonio Salinasquot;
ha sede a Palermo, in Italia, e possiede una delle più
ricche collezioni d‘arte punica e greca d’Italia,
nonché testimonianze di gran parte della storia della
Sicilia. Il museo è stato dedicato ad Antonio Salinas,
celebre archeologo e numismatico palermitano. Al
piano terreno, una sezione è dedicata ai reperti
rinvenuti durante gli scavi subacquei: materiali che
facevano parte del carico delle navi, ancore di pietra,
ceppi di piombo, lucerne, anfore ed iscrizioni che
vanno dalla cultura dei Punici a quella dei Romani.
Alla sezione fenicio-punica appartengono due grandi
sarcofagi antropomorfi del V secolo a.C., provenienti
dalla necropoli di Pizzo Cannito; vi sono anche
sculture di divinità fenicie e stele votive da Mozia e
da Lilibeo, insieme ad una splendida serie di edicole
dipinte recanti il segno di Tanit e il caduceo. All'area
archeologica di Selinunte, infine, sono dedicate
alcune sale con la ricomposizione del frontone
orientale con Gorgone del Tempio C, numerose
metope con rilievi mitologici (Templi C ed E),
sculture d’età arcaica e classica, la Tavola Selinuntina
che celebra la ricchezza della città, le stele gemine del
santuario di Zeus Meilichios.
Particolari di una metopa
14. In un altro ambiente sono custoditi i reperti provenienti da
Himera e vi è stata ricomposta, tra l'altro, la sima laterale
dell'Athenaion, il tempio dedicato alla dea Atena, con i
gocciolatoi a testa leonina. Altre sale raccolgono oggetti e
sculture provenienti da Solunto, Megara Hyblaea, Tindari,
Camarina ed Agrigento. Tra le opere di maggior rilievo
artistico segnaliamo il grande ariete in bronzo del III secolo
a.C. proveniente da Siracusa, l‘Eracle che abbatte la cerva,
copia romana da un originale di Lisippo, ed infine una copia
romana in marmo del Satiro versante di Prassitele. L’rpoca
romana è, invece, documentata da una collezione di sculture
e da mosaici staccati dalle ville di Piazza Vittoria a
Palermo, nei cui pressi era certamente collocato il foro della
città romana; anche le culture preistoriche presenti nelle
grotte del territorio palermitano hanno avuto spazio nei
locali del museo. Di grande interesse, infine, la collezione
etrusca. È costituita da sarcofagi, cippi, statue-cinerarie,
urne, ceramiche attiche a figure rosse e nere, bronzi e interi
corredi funebri. Viene considerata la più importante
collezione etrusca al di fuori della Toscana.Gli oggetti
esposti provengono da Chiusi, dagli scavi effettuati nei
possedimenti del conte Pietro Bonci Casuccini, il quale
aveva dato vita ad una collezione di oltre diecimila pezzi,
custoditi in un Museo pubblico. La collezione venne messa
in vendita dai nipoti del fondatore, Ottavio e Pietro.
Acquistata dal Regno d’Italia nel 1865, grazie all’intervento
di Michele Amari, in quegli anni Ministro della Pubblica
Istruzione, venne destinata al quot;Regio Museo Archeologico
di Palermoquot; per la disponibilità di spazi espositivi adeguati.
Un mosaico
15. Nella fase della piena maturità di Giacomo Serpotta si pone
l’oratorio costruito dalla compagnia della Madonna del Rosario
in San Domenico, fondata nel 1568, ed oggi restaurato a cura
della Soprintendenza ai Beni Culturali e Ambientali di Palermo.
L’artista vi mise mano tra i primi anni del Settecento e il 1717
dialogando con la straordinaria pinacoteca lì contenuta.
L’oratorio, difatti, dai primi del ’600 era divenuto il contenitore
di quadri commissionati per conto degli illustri e colti membri
del sodalizio. Spicca ancora oggi la maestosa pala d’altare della
Madonna del Rosario con San Domenico e Santa Caterina da
Siena, e i Santi Vincenzo Ferreri, Oliva, Ninfa, Agata, Cristina e
Rosalia, dipinta dal celeberrimo pittore fiammingo Anton Van
Dyck, allievo di Rubens (1625-1627). Il quadro è dedicato alla
memoria del flagello della peste che aveva colpito Palermo nel
1624, e che era stato debellato dal salvifico intervento di Santa
Rosalia, da allora Patrona della città. Altre pregevoli pitture
raffiguranti i quindici Misteri del Rosario ad opera di
fiamminghi, genovesi e artisti locali avevano arricchito l’oratorio
entro la prima metà del XVII secolo, e tra queste ricordiamo solo
la Disputa di Gesù al Tempio, la Pentecoste, e l’Incoronazione
della Vergine di Pietro Novelli, l’Assunzione di Giovan Andrea
de Ferrari, la Resurrezione di Orazio de Ferrari, Cristo alla
colonna di Matthias Stom, ed ancora nel secondo decennio del
’700 la Visitazione di Guglielmo Borremans . Il maestro
palermitano dovette dunque valorizzare questi quadri esaltandone
la bellezza e i significati teologici. A tal fine furono realizzati, al
di sopra delle pitture, entro ovali ad altorilievo, episodi
dell’Apocalisse e due del Vecchio Testamento, legati ai Misteri
del Rosario di cui sono la prefigurazione.
L’interno
16. Ai lati, invece, stanno le statue allegoriche di Virtù:
Obbedienza, Fortezza, Pazienza, ecc., incredibilmente abbigliate
come dame. E tra le dame palermitane sono le più à la page,
vestite alla moda secondo il gusto corrente di derivazione
francese. Sfoggiano pizzi e merletti, silhouette invidiabili,
corredate da accessori pretenziosi, copricapi piumati e
acconciature fissate da diademi, spille, e movenze da smaliziate
“modelle” d’altri tempi. Sono in posa, bloccate come in
un’istantanea o da un deciso comando di un abile regista che
dirige uno spettacolo, un vero e proprio sacro teatro barocco.
Particolare del monumento
17. La Cattedrale di Palermo è un grandioso complesso
architettonico composto in diversi stili, dovuti alle
varie fasi di costruzione. Eretta nel 1185
dall'arcivescovo Gualtiero Offamilio sull'area della
prima basilica che i Saraceni avevano trasformato in
moschea, ha subito nel corso dei secoli vari
rimaneggiamenti; l'ultimo è stato alla fine del
Settecento, quando, in occasione del consolidamento
strutturale, si rifece radicalmente l'interno su progetto
di Ferdinando Fuga. Nel 1767 infatti, l'arcivescovo
Filangieri aveva commissionato a Ferdinando Fuga un
restauro conservativo dell'edificio, teso solamente a
consolidarne la struttura. I lavori ebbero inizio solo dal
1781, eseguiti non dal Fuga ma dal palermitano
Giuseppe Venanzio Marvuglia e durarono fino al XIX
secolo inoltrato. I rifacimenti del Marvuglia furono in
realtà molto più invasivi e radicali dei progetti
dell'architetto fiorentino, che pensava invece di
conservare, almeno in parte, il complesso longitudinale
delle navate e l'originario soffitto ligneo. Il restauro
intervenne a cambiare l'aspetto originario del
complesso, dotando la chiesa della caratteristica ma
discordante cupola, eseguita secondo i disegni del
Fuga. Fu in quest'occasione che si distrusse la preziosa
tribuna che Antonello Gagini aveva innalzato all'inizio
del XVI secolo e che era ornata di statue, fregi e
rilievi. Anche le pittoresche cupolette maiolicate
destinate alla copertura delle navate laterali risalgono Veduta del corpo della cattedrale
al rifacimento del 1781.
18. Il fianco destro della costruzione, con le
caratteristiche torrette avanzate e l'ampio portico in stile
gotico-catalano (l'attuale accesso), eretto intorno al
1465, si affaccia sulla piazza. Il portale di questo
ingresso è opera magnifica di Antonio Gambara,
eseguita nel 1426, mentre i meravigliosi battenti lignei
sono del Miranda (1432). La Madonna a mosaico è del
XIII secolo; i due monumenti alle pareti, opere del
primo Settecento, rappresentano Carlo III di Borbone a
destra e Vittorio Amedeo II di Savoia a sinistra.
La parte absidale stretta fra le torricelle è quella più
originale del XII secolo, mentre la parte più manomessa
è il fianco sinistro, dove si apre un bel portale gaginesco
degli inizi del Cinquecento; la facciata sud-occidentale,
che guarda l'arcivescovado, va riferita ai secoli XIV-
XV.
L'interno è a croce latina, a tre navate e diviso da
pilastri. Nelle prime due cappelle della navata di destra
ci sono le tombe degli imperatori e dei reali quivi
sistemati nel Settecento, dopo il restauro, spostati dal
loro sito originario che, comunque, era nella medesima
basilica.
Nel sarcofago romano posto sul muro di destra, vi
sono le spoglie di Costanza, sorella del re d'Aragona e
moglie di Federico II, morta nel 1222. Le urne, in
profilo sotto il baldacchino, sono di Enrico VI, morto
nel 1197 (a destra) e di Federico II, morto nel 1250 (a
sinistra). Qui sono racchiuse anche le spoglie di Pietro II Particolari della cupola e il corpo sottostante
d'Aragona, morto nel 1338. In secondo piano, sotto i
baldacchini a mosaico, vi sono le tombe di Ruggero II,
morto nel 1154, e di sua figlia Costanza, morta nel
1198.
19. Queste ultime due sono quelle che originariamente si
trovavano nel transetto del Duomo di Cefalù. A destra del
presbiterio si trova la cappella di Santa Rosalia, patrona di
Palermo, con le reliquie e l'urna d'argento, opera
seicentesca di Matteo Lo Castro, Francesco Ruvolo e
Giancola Viviano.
Oltre al coro ligneo in stile gotico-catalano del 1466 e ai
resti marmorei della tribuna gaginiana riadattati, di alto
interesse artistico sono la statua marmorea della Madonna
con Bambino di Francesco Laurana, eseguita insieme ad
altri aiuti nel 1469, la pregiata acquasantiera (posta al
quarto pilastro) opera incerta di Domenico Gagini e la
Madonna della Scala eseguita nel 1503 da Antonello
Gagini e posta sull'altare della sacrestia nuova.
La cattedrale è fiancheggiata da quattro torri d'epoca
normanna, sovrastata da una cupola. A sud è collegata al
Palazzo Arcivescovile con due grandi arcate ogivali si cui
s'innalza la torre campanaria con l’orologio; la facciata
principale sulla Via Bonello presenta decorazioni dovute a
maestri lapicidi (scultori della pietra) trecenteschi e
quattrocenteschi. L'aspetto goticheggiante deriva dalla
presenza delle torri a bifore e colonnine e dalle merlature
ad archetti che corrono lungo tutto il fianco destro della
costruzione. L'interno, che ha subito profonde
trasformazioni tra la fine del Settecento e i primi
dell’Ottocento, è a croce latina con tre navate divise da La facciata principale
pilastri con statue di santi che facevano parte della
decorazione della tribuna del Gagini.
Nella navata destra, la prima e la seconda cappella,
comunicanti fra di loro, custodiscono le tombe imperiali e
reali dei normanni, intorno alle quali ruota una storia
romanzesca e ricca d'interesse.
20. Ruggero II, re dal 1130, aveva stabilito già nel 1145 che il
Duomo di Cefalù da lui fondato diventasse il mausoleo della
famiglia reale. In tal senso aveva predisposto la sistemazione
di due sarcofagi in porfido, un granito molto prezioso e di
notevole durezza, originario dell'Egitto, dal colore rosso
cupo che, nell'antichità, era usato esclusivamente per le
commissioni imperiali. Alla sua morte nel 1154, però, egli
venne sepolto nella cattedrale di Palermo in un avello di
porfido dalla forma molto più semplice. Nel 1215 Federico II
fece trasportare i due sarcofagi da Cefalù alla cattedrale di
Palermo destinandoli a sé e al padre Enrico VI. Il sarcofago
di Federico II è sormontato da un baldacchino con colonne in
porfido e l'urna è sorretta da due coppie di leoni; insieme a
quelli di Federico II sono stati conservati anche i resti di
Pietro II d’Aragona. A destra del presbiterio è la Cappella di
Santa Rosalia con l'altare che custodisce l'urna argentea
seicentesca, contenente le reliquie della patrona di Palermo.
Le pareti laterali sono abbellite da grandi rilievi marmorei, in
stile neoclassico, con immagini della santa.
Da ricordare anche il ricco Altare del Sacramento, in
bronzo, lapislazzulo e marmi colorati, opera del XVII secolo
realizzata su disegno di Cosimo Fanzago.
Sul pavimento della navata centrale, davanti all'altare
maggiore, è stata realizzata, durante i rifacimenti moderni,
una meridiana in marmo con tarsie colorate che L’interno
rappresentano i segni zodiacali; nel presbiterio si dispone il
bellissimo coro ligneo tardo-quattrocentesco in stile gotico-
catalano e il trono episcopale, ricomposto in parte con
frammenti d'antichi mosaici del XII secolo. Nella chiesa si
conservano affreschi e tele di Mariano Rossi, dei Gagini ed
opere del Laurana.
21. In alcuni ambienti della cattedrale è esposto il Tesoro:
paramenti sacri dal XVI al XVIII secolo, paliotti, ostensori,
calici, un breviario miniato del Quattrocento, la tiara d'oro di
Costanza d'Aragona (prelevata dal suo sepolcro), splendido
esempio di gioielleria medievale con smalti, ricami, gemme e
perle. Altri oggetti preziosi provenienti dalle tombe reali,
smalti, ricami e gioielli, sono esposti nelle bacheche centrali.
Dal lato sinistro della cattedrale s'accede alla cripta con le volte
a crociera sostenute da colonne di granito: questo luogo di
grande suggestione contiene le tombe e i sarcofagi d'età romana.
Tra i personaggi famosi racchiusi in questa cripta, va ricordato
l'arcivescovo Giovanni Paternò, morto nel 1511, che fu il
mecenate di Antonello Gagini il quale ne scolpì la commovente
immagine giacente.
Altri particolari
22. Lo storico Giuseppe Di Stefano lo ritenne una
costruzione sorta su una fortezza araba, ristruttura e
ampliata da Ruggero II che fece costruire la Cappella
Palatina e aggiungere dei corpi turriformi la cui altezza
venne ridotta nel XVI secolo; identifica le parti
normanne con la Torre Pisana (con la stanza del Tesoro)
e con la Torre della Gioaria (con la sala degli Armigeri
al piano inferiore, e con la sala di re Ruggero e la
restrostante sala dei Venti al piano superiore). Al
secondo piano del palazzo (cosidetto quot;Piano
parlamentarequot;) si trovano la Sala d'Ercole, dove si
riunisce il Parlamento siciliano, e la Sala di re Ruggero
II, ricca di preziosi mosaici con motivi ornamentali,
raffiguranti animali ed intrecci floreali, la sala dei venti,
la sala Giallae la sala dei Viceré; due scale laterali
portano alla cripta. Questa si articola in un vano a pianta
quadrata sottostante al presbiterio, scompartito mediante
due colonne di pietra e con un'ampia abside centrale e
due piccole laterali.Il palazzo reale è posto nel luogo più
elevato dell'antica città tra le depressioni dei fiumi
Kemonia e Papireto. Anche se alla costruzione vengono
attribuite origini molto antiche risalenti alle dominazioni
puniche, romane e bizantine, è all'epoca araba (IX
secolo) che si deve attribuire l'edificazione del maestoso
Qasr,
Veduta della facciata esterna
23. quot;Palazzoquot; o quot;Castelloquot;, da cui ha preso il nome la via del
Cassaro, l'odierno corso Vittorio Emanuele. Tuttavia,
furono i Normanni a trasformare questo luogo in un centro
polifunzionale, simbolo del potere della monarchia. Scrive
Maria Teresa Montesanto in Palermo città d'arte (a cura di
Cesare De Seta, Maria Antonietta Spadaro e Sergio Troisi):
“Il palazzo era costituito da edifici turriformi collegati da
portici e giardini che formavano un complesso unitario
comprendente anche opifici tessili (il tiraz) e laboratori di
oreficeria. Una via coperta lo collegava direttamente con la
cattedrale. Nello spiazzo antistante vi era anche la
cosiddetta Aula verde, di epoca anteriore, un ambiente
aperto e riccamente decorato dove il re accoglieva i suoi
ospiti. Nel 1132 venne costruita la Cappella Palatina che
assunse una funzione baricentrica dei vari organismi in cui
si articolava il palazzo. Con gli Svevi di Re Federico II, che
vi risiede solo nell'età giovanile, il palazzo rimane sede
dell'attività amministrativa, della cancelleria e della scuola
poetica siciliana. Il ruolo periferico della città inizia con gli
Angioini e gli Aragonesi che privilegiarono altre sedi. La
rinascita del palazzo si ha con i viceré spagnoli che, nella
seconda metà del XVI secolo, scelsero di risiedervi
adeguandolo alle nuove esigenze difensive e di
rappresentanza, ristrutturandolo notevolemte, creando
bastioni e modificando il palazzo. Durante i Borboni furono
create le sale di rappresentanza (Sala Rossa, sala Gialla e
Sala Verde) e fu ristrutturate Sala d'Ercole, con gli
affreeschi raffiguranti le fatiche dell'eroe mitologico. Un Alcuni particolari all’interno del comprensorio
profondo restauro ha subito negli anni '60, sotto la cura di
Rosario La Duca. Dal 1947 il Palazzo dei Normanni è sede
dell’Assemblea Rgionale di Sicilia.
24. La Cappella Palatina, che sorge nel Palazzo Reale, è a
schema basilicale a tre navate, divise da archi di ogive con la
particolarità della cupola eretta sul santuario triabsidato. Le
navate sono suddivise da colonne di spoglio in granito e
marmo cipollinocon capitelli compositi. Originariamente, la
cupola visibile era dall'esterno insieme con il campanile,
mentre ora la costruzione è inglobata dal Palazzo Reale.
Cupola, transetto ed absidi sono interamente rivestiti nella
parte superiore da splendidi mosaici bizantini, che sono tra i
più importanti della Sicilia. Raffigurano Cristo Pantocratore
benedicente, gli evangelisti e scene bibliche varie. I più antichi
sono quelli della cupola, che risalgono al 1143.
Il soffitto ligneo della navata mediana e la travatura delle altre
sono intagliati e dipinti in stile arabo. Nelle stelle lignee in
ogni spicchio ci sono animali, danzatori e scene di vita
cortigiana islamica.La Cappella Palatina fu consacrata nel
1140 e dedicata ai santi Pietro e Paolo da Ruggero II di Sicilia
(si dice palatina una chiesa o una cappella riservata ad un
regnante e alla sua famiglia. Il termine latino palatinus deriva
infatti da palatium, quot;palazzo imperialequot;; nel medioevo
l'aggettivo ha preso il significato di “appartenente al palazzo
imperiale”). Lo splendido edificio palermitano è interamente
rivestito di un tappeto musivo, che è più libero nella
concezione dello schema iconografico rispetto ai mosaici della
chiesa di Santa Maria dell’Ammiraglio, detta anche la
Martorana; la Cappella è stata definita un vero miracolo
d'armonia spaziale e decorativa, quest'ultima frutto di una
Decorazioni della cupola
felice fusione tra impianto centrale bizantino (presbiterio) e
schema basilicale latino (navata).
25. quali il soffitto ligneo a lacunari – elementi realizzati in differenti
materiali che ornano i soffitti – e mugarmas, o la serie di
vivacissimi dipinti (del quarto decennio del XII secolo),
raffiguranti i piaceri della vita di corte e gli svaghi del principe
(giocatori di scacchi, danzatrici, dromedari e bevitori) che
costituiscono il più vasto ciclo pittorico islamico pervenutoci.
Dopo il terremoto del settembre 2004, è sottoposta a restauri.
La decorazione a mosaico fu ispirata nei temi da Ruggero II e,
in un magico connubio di stili e capacità tecniche, in essa
convivono esperienze culturali differenti comprese quelle in
purissimo stile islamico,
Particolari all’interno
26. La chiesa, le cui origini risalgono al VI secolo, subì la
trasformazione in moschea prima di essere ricondotta all’antico
culto da Ruggero IIche, intorno al 1136, affidò la costruzione ai
discepoli di San Guglielmo da Vercelli. Pesantemente
manomessa nel corso dei secoli è stata ripristinata intorno al
1880, dall’architetto Giuseppe Patricolo. La chiesa, a tutti nota
per le sue caratteristiche cupole di colore rosso, appoggiata con
un fianco ad un corpo quadrato anteriore (forse una moschea) e
realizzata a croce divisa in campate quadrate su ciascuna delle
quali poggia una semisfera. Il presbiterio, terminante in nicchia,
è sormontato da una cupola, come quella dei due corpi
quadrangolari che la fiancheggiano e di cui quello di sinistra si
eleva a campanile. Il chiostro, abbellito da un lussureggiante
giardino, è la parte meglio conservata del convento antico;
spiccano per bellezza e leggerezza le colonnine binate con
capitelli a figlie d’acanto che reggono archi ogivali a doppia
ghiera. Vi si trova inoltre una cisterna araba. Oggi l’edificio
presenta, invece, una nuda cortina muraria fatta con conci di
tufo squadrati; l’interno ha tre absidi semicircolari ed è
suddiviso in cinque campate quadrate coperte da.
Veduta dall’esterno
27. Partenza per Segesta, visita
del sito archeologico. Pranzo
al sacco. Partenza per
Agrigento e visita alla Valle
dei Templi. Arrivo in
albergo, sistemazione e cena
28. Segesta è una città storica non più abitata, fondata dagli
Elimi e situata nella parte nord-occidentale della Sicilia. La
vecchia città sorge sul monte Bàrbaro, nel comune di
Calatafimi-Segesta, a una decina di chilometri da Alcamo e
da Castellammare del Golfo. Di particolare bellezza sono il
tempio, in stile dorico, e il teatro, in parte scavato nella
roccia della collina. La data della fondazione non è
conosciuta, ma da documenti risulta che la città era abitata
nel IV secolo a.C.. Lo storico greco Tucidide narra che i
profughi troiani, attraversando il Mar Mediterraneo,
giunsero fino in Sicilia, e fondarono Segesta ed Erice.
Questi profughi presero il nome di Elimi. Secondo il mito,
Segesta sarebbe stata fondata da Aceste (di cui fu il primo
re), figlio della nobile troiana Egesta e del dio fluviale
Crimiso.Da sempre Segesta e Selinunte, la città greca
confinante, furono in guerra fra loro per motivi di confine.
Le prime guerre scoppiarono nel 580 a.C., quindi nel 414
a.C., quando Segesta chiese aiuto ad Atene. Gli scontri si
conclusero nel 409 a.C., quando Selinunte fu distrutta da
parte dei cartaginesi, alleati dei segestani. Nel 307 a.C.
Segesta fu distrutta dal siracusano Agàtocle. Nel 276 a.C. la
città fu alleata di Pirro, ma cambiò fronte nel 260 a.C.
quando si arrese ai Romani. I Romani non distrussero
Segesta, perché entrambe le città avevano origini comuni,
discendendo dai rifugiati di Troia. Le fu, quindi, garantito lo
stato di città libera, con esenzione dalle imposizioni di
tributi dovuti, invece, dalle altre città siciliane. Fu nel 104
Dall’interno di un tempio
a.C. che da Segesta iniziarono le rivolte degli schiavi in
Sicilia, le cosiddette guerre servili, guidate da Atenione.
Queste rivolte furono soffocate nel sangue dai Romani nel
99 a.C..
29. Segesta fu distrutta dai Vandali nel V secolo, e mai più
ricostruita nelle dimensioni del periodo precedente.
Ciononostante, vi rimase un piccolo insediamento e, dopo la
cacciata degli Arabi, i Normanni vi costruirono un castello.
Questo, ampliato in epoca sveva, fu il centro di un borgo
medievale. Se ne perse poi quasi il nome fino al 1574,
quando lo storico domenicano Tommaso Fazello, artefice
dell'identificazione di moltissime città antiche della Sicilia,
ne localizzò il sito. Parlando del tempio che ancora oggi si
erge, si può dire che si pensa che il tempio di Segesta, di
stile dorico, non sia mai stato terminato, anche perché non
presenta resti della cella e della copertura. Si è allora
pensato che potrebbe esser stato costruito per ospitare riti
indigeni; o che la cella e la copertura fossero stati costruiti
in legno; o, ancora, che la terminazione della costruzione
sarebbe stata impedita a causa della guerra contro la rivale
Selinunte nel 416 a.C. Si tratta di un tempio periptero
esastilo (ossia con sei colonne sul lato più corto, non
scanalate). Sul lato lungo presenta invece quattordici
colonne. Il tempio è stato costruito, probabilmente, intorno
alla seconda metà del V secolo a.C., sulla cima di una
collina a ovest della città, fuori dalle sue mura. Per la sua
fattura e per il suo attuale stato di conservazione, può
considerarsi uno fra i templi più belli dell'antichità. Il teatro
invece, che può datarsi intorno alla metà del III secolo a.C.,
è posto sulla collina opposta a quella del tempio, a circa 440
metri di altezza. Sette cunei dividono i posti degli spettatori. Antico teatro
Le separazioni sono fatte in travertino. La divisione
orizzontale del teatro (diazoma) permetteva lo spostamento
degli spettatori da una sezione all'altra del teatro. La zona
superiore purtroppo è semidistrutta, e assai poco resta anche
della scena, che secondo gli studiosi sarebbe stata decorata
da colonne e pilastri; poteva ospitare oltre 3000 persone.
30. La Valle dei Templi è un sito archeologico risalente al
periodo della Magna Grecia, ubicato nei pressi di
Agrigento, in Sicilia. Dal 1998 è stata inserita nella lista
dei luoghi Patrimonio mondiale dell’umanità, redatta
dall'UNESCO. È considerata un'ambita meta turistica,
oltre alla più elevata fonte di turismo per l'intera città di
Agrigento e una delle principali di tutta la Sicilia. La
Valle dei Templi è caratterizzata dai resti di ben sette
templi in stile dorico: le loro denominazioni e relative
identificazioni, tranne quella dell'Olympeion, si
presumono essere pure speculazioni umanistiche, che
sono però rimaste nell'uso comune.
Il Tempio di Giunone, dedicato all'omonima dea greca,
fu costruito nel V secolo a.C. e incendiato nel 406 dai
cartaginesi. Era il tempio in cui di solito si celebravano
le nozze.
Il Tempio della Concordia, il cui nome deriva da
un'iscrizione latina ritrovata nelle vicinanze dello stesso
tempio, costruito anch'esso nel V secolo. Attualmente è
con ogni probabilità quello meglio conservato. Fu
trasformato in tempio sacro nel VI secolo d.C.
Il Tempio di Eracle, il più antico, era dedicato alla
venerazione del dio Eracle (o Ercole), uno dei più
rispettati dagli abitanti dell'antica Akragas. Distrutto da
un terremoto, è oggi formato da appena otto colonne. Veduta notturna di un tempio
31. Il Tempio di Zeus Olimpico (Giove), edificato per onorare
l'omonimo dio dopo la vittoria del 480 a.C. sui cartaginesi,
è caratterizzato dalla presenza dei cosiddetti talamoni,
statue di notevoli dimensioni con sembianze umane.
Il Tempio dei Dioscuri (o di Castore e Polluce) fu costruito
per onorare i due gemelli figli di Sparta e Giove. Restano
appena quattro colonne. È il simbolo della città di
Agrigento.
Il Tempio di Vulcano, anch'esso risalente al V secolo, che
si pensa essere una delle costruzione più imponenti della
valle, è però uno dei templi più danneggiati dal tempo e dai
fenomeni naturali.
Il Tempio di Esculapio, costruito lontano dalle mura delle
città, era luogo di pellegrinaggio dei malati in ricerca di
guarigione.
La valle dei Templi inoltre ospita la tomba di Terone, un
monumento di tufo di notevoli dimensioni a forma di
piramide, che si pensa eretto per ricordare i caduti della
Seconda guerra punica. All'estremità ovest dell'area su cui
sorge il Tempio della Concordia, nel giardino di Villa
Aurea si trova una parte della necropoli tardo-antica ed
alto-medievale, in parte ricavata in antiche cisterne, di cui
sono ancora conservati numerosi altri esempi. Notevoli due
ipogei, uno ad ovest dell'ingresso, con le pareti munite
d'arcosoli e il pavimento di fosse sepolcrali, ed un altro Alcuni resti di un tempio
presso l'angolo sud-est della casa del custode, con un
ambiente illuminato da un pozzo di luce nel soffitto e due
cripte sottostanti.
32. Una di queste tombe monumentali, un heròon ellenistico
prostilo tetrastilo su podio, è stato recentemente scavato,
mentre il monumento più noto è la tomba di Terone. Si tratta
di un sepolcro a naiskos (con probabile coronamento
cuspidato) su alto podio a pianta quadrata, sormontato dal
naiskos vero e proprio a parete piena e finte porte centrali, con
colonne ioniche e trabeazione dorica, di un modello ben noto
nell'Oriente ellenistico e poi diffuso attraverso la cultura
ellenistica italica anche nelle province occidentali, tra tarda
repubblica e primo impero. Per visitare questo sepolcro da
vicino, basta attraversare la Porta IV (detta Aurea) che, pur
conservata solo nei tagli della roccia, doveva essere una delle
più importanti della città, poiché la collegava col mare e con
Emporion: perciò qui si collocano più fitti i sepolcri ellenistici
e romani e, fra questi, anche gli esempi più monumentali.
Altri ruderi
33. Partenza per Catania. Lungo il
tragitto visita alla Villa del Casale
di Piazza Armerina e Caltagirone.
Arrivo in albergo, sistemazione e
cena.
34. La Villa del Casale fu costruita tra la fine del sec. III e l'inizio
del sec. IV d.C., con le esigenze di alcune famiglie romane
piuttosto ricche, che vi si recavano a caccia o in vacanza. La
Villa vene utilizzata anche in età araba, ma venne
successivamente distrutta dall’arrivo dei normanni; In età più
tarda però una valanga di fango proveniente dal monte
Mangone la seppellì quasi completamente. Le prime
campagne di scavo a livello scientifico, promosse dal Comune
di Piazza Armerina, furono eseguite nell'anno 1881. Gli scavi
furono ripresi nel 1935 fino al 1939, ed infine, con l'intervento
della Regione Siciliana negli anni 50, fu portato
completamente alla luce l'intero complesso, grazie all'opera
dell'archeologo Vinicio Gentilini.
La morfologia del terreno ha determinato la planimetria molto
articolata della villa: vi si possono distinguere una parte
residenziale intorno al grande peristilio centrale su cui si
affaccia anche la basilica, una zona di rappresentanza con il
peristilio ellittico e la grande sala trilobata, il complesso delle
terme dal movimentato impianto planimetrico. Il cortile-
porticato d'ingresso, a pianta irregolare, funge da cerniera tra
queste tre parti. I mosaici furono realizzati da diversi gruppi di
maestranze nordafricane che mediavano eredità alessandrine e
tendenze siriache.
Di grande bellezza sono, senza dubbio, sono i magnifici
mosaici del pavimento, presenti in tutte le sale, che sono di
una ricchezza e di una varietà tale che non ci sono paragoni
nel mondo.
Tra i resti della villa si individuano quattro nuclei separati e di
diverso orientamento, ma strettamente connessi tra loro:
Un ingresso monumentale a tre arcate con cortile a ferro di Veduta di alcuni reperti con apposite protezioni
cavallo;
35. Il corpo centrale della villa, organizzato intorno ad una corte
peristilio quadrangolare, dotata di giardino con vasca
mistilinea al centro;
Una grande trichora (tipo di cella a pianta quadrangolare con
tre absidi posti a tre lati della costruzione, mentre il quarto
contiene l’ingresso) preceduta da un peristilio ovoidale
circondato a sua volta da un altro gruppo di vani;
complesso termale, con accesso dall’angolo nord-occidentale
del peristilio quadrangolare
Ognuno dei quattro nuclei della villa è disposto secondo un
proprio asse direzionale. Tuttavia tutti gli assi convergono al
centro della vasca del peristilio quadrangolare. Nonostante le
apparenti asimmetrie planimetriche, la villa sarebbe dunque
il frutto di un progetto organico ed unitario che, partendo dai
modelli correnti nell’edilizia privata del tempo, vi introdusse
una serie di variazioni in grado di conferire originalità e
straordinaria monumentalità all’intero complesso.
L'identificazione del proprietario è stata a lungo discussa e
molte diverse ipotesi sono state formulate. L'ipotesi
attualmente più accreditata identifica il proprietario con una
prestigiosa figura dell'età costantiniana, Lucio Aradio
Valerio Proculo Populonio, governatore della Sicilia tra il
327 e il 321 e console nel 340. L'accesso alla residenza
avveniva attraverso un passaggio a tre archi, decorato da
fontane e da pitture di carattere militare, che richiama da
vicino un arco trionfale. Il cortile a ferro di cavallo è
circondato da colonne in marmo con capitelli ionici, al
centro sono i resti di una fontana quadrata. Dell’originaria
Ecco alcuni reperti
pavimentazione si conserva lungo il lato nord del cortile un
lacerto di mosaico bicromo con decorazione a squame.
Dall'ingresso alcuni gradini conducono al vestibolo: al centro
di un pavimento geometrico è inserita una scena
parzialmente conservata di Adventus su due registri. Dal
vestibolo si accede al peristilio: il mosaico presenta qui una
serie di ghirlande d’alloro includenti teste di animali di
36. L’orientamento delle teste cambia in due punti: in corrispondenza
dell’ingresso dal vestibolo, e ai piedi della scala d’accesso al
complesso della sala absidata sul lato orientale. Questo
cambiamento aveva probabilmente la funzione di enfatizzare i due
itinerari percorribili all’interno dell’edificio: quello privato, a
sinistra dell’entrata, che conduceva alle stanze del lato
settentrionale, e quello pubblico, verso la sala absidata sul lato est
ed il nucleo del triclinio con peristilio ovoidale. Lungo il lato
settentrionale del peristilio si aprono ambienti di varia
destinazione. Tre vani iniziali, ambienti di servizio in funzione
della cucina, e altri due in fondo, a servizio del vicino
appartamento padronale, hanno pavimenti a mosaico con motivi
geometrici. Gli schemi decorativi presenti si ritrovano nel
repertorio dei mosaici nordafricani: le ipotesi sono che i motivi
adottati nella villa siano stati elaborati a Roma o in Italia, e siano
quindi passati successivamente in Africa, oppure che fossero già
stati rielaborati nell'ambiente artistico nordafricano tra la fine del
II e gli inizi del III secolo. I due ambienti successivi che si aprono
su questo braccio del peristilio sono probabilmente camere da letto
(cubicula), preceduti da anticamere e con pareti decorate da
pitture.
In uno dei vani sul pavimento a mosaico sono raffigurate sei
coppie di personaggi, disposte su due registri. La seconda camera
da letto presenta un mosaico pavimentale con Eroti pescatori, con
ricca decorazione sulle barche e negli abiti. La successiva sala che
si apre sul lato settentrionale del peristilio, forse una sala da Altri scavi
pranzo invernale, di maggiori dimensioni delle altre e con
l'ingresso preceduto da due colonne, conserva il mosaico
pavimentale della quot;Piccola cacciaquot;. Sono raffigurate dodici scene
disposte su quattro registri. Dal lato di fondo orientale del
peristilio si accede al corridoio della quot;Grande Cacciaquot;, con le
estremità absidate. Su questo corridoio, elemento di raccordo e
separazione tra parte pubblica e privata, si aprivano la grande sala
absidata di rappresentanza e gli appartamenti padronali.
37. L'importanza era sottolineata dal portico che si apre nella sua
parte centrale verso il peristilio e dalla leggera soprelevazione: vi
accedevano due scale dai bracci nord e sud del peristilio, e una
terza centrale, di fronte all'ingresso della grande sala absidata. A
dispetto del nome con cui è conosciuto, il soggetto del mosaico
pavimentale rappresenta una grande battuta di cattura di bestie
selvatiche per i giochi dell’anfiteatro a Roma: nessun animale
viene infatti abbattuto ed i cacciatori usano le armi solo per
difendersi. Le caratteristiche tecniche, unite all’analisi delle
cesure evidenti sullo sfondo del mosaico, hanno consentito di
individuare 7 scene, eseguite da due gruppi distinti di mosaicisti.
La rappresentazione di una caccia o di una cattura di bestie è un
soggetto abbastanza ovvio per una villa di campagna e, in
generale, fa parte del tipico repertorio iconografico
dell’esaltazione aristocratica o regale. Tuttavia, ciò che rende
unica la caccia di Piazza Armerina è la rappresentazione delle
terre conosciute dall’Occidente all’Oriente, con personificazioni
e specie d’animali caratteristiche d’ogni regione. Tutto ciò fa sì
che questo mosaico debba essere visto come una sorta di carta
geografica, dono degno di un imperatore: si credeva che il
possesso di una rappresentazione cartografica potesse in qualche
modo accrescere magicamente il potere del sovrano su quelle
terre. Inoltre, uno dei temi ricorrenti dei panegirici imperiali era
la diffusione della fama e della gloria imperiali fino agli estremi
confini del mondo. E proprio questo è il significato degli animali
fantastici quali il grifone e la fenice, simboli dei paesi più remoti
e misteriosi. Solo con l’identificazione certa del proprietario
della villa potrebbe chiarire le motivazioni di questa scelta, ma
questo è un problema ancora aperto. Per quanto riguarda lo stile,
il mosaico della quot;Grande Cacciaquot; si inquadra perfettamente nel
Particolare di alcuni reperti
clima artistico di IV secolo.
38. Vi ritroviamo, infatti, una serie di moduli espressivi che ricorrono
sull’arco di Costantino a Roma, come le teste rotonde pettinate a
calotta con ciocche che scendono sul cranio senza sopraffarlo, la
disposizione delle scene su registri sovrapposti, la frontalità, la
bidimensionalità e le proporzioni gerarchiche, per cui la
narrazione prevarica le dimensioni degli elementi del paesaggio,
che sono ridotti al minimo. Il decorativismo molto curato,
l’attenzione al dettaglio, il vivo cromatismo (nelle vesti di
inservienti, cacciatori e funzionari, nelle penne degli struzzi)
anticipano l’arte bizantina, dove i broccati e i gioielli
cancelleranno i volumi della figura umana. Sotto questa ricchezza
decorativa si cela infatti già una sostanziale perdita del senso
dell’organicità naturalistica., come rivelano anche le ombre
portate utilizzate a caso e certe incomprensioni dei modelli
originari, come nelle zampe dei buoi che trainano il carro al centro
del mosaico. Si aprono inoltre sul corridoio della quot;Grande Cacciaquot;
i due appartamenti padronali: quello più a nord, più prossimo agli
ambienti di servizio e di dimensioni inferiori era probabilmente
riservato alla famiglia e l'altro più importante e con decorazione
musiva più ricca e articolata era probabilmente quello del
proprietario. Per quanto riguarda l’appartamento settentrionale, un
primo ambiente funge da anticamera; il pavimento è decorato con
l’episodio di Ulisse che vince Polifemo per mezzo dell'astuzia,
porgendogli il kantharos del vino. Pitture con il medesimo
soggetto si trovavano sul Palatino potrebbero farne ipotizzare la
derivazione da un originale pittorico. Si tratta in ogni caso, di una
testimonianza della cultura del proprietario e della sua Ecco altre zone di scavo
dimestichezza con l'ambiente romano. Una sala absidata che si
apre sull'anticamera, forse identificabile con una sala da pranzo
(triclinio), oppure con una stanza da letto (cubicolo) con
rientranza per il letto (alcova) nell'abside. La sala presenta pitture
parietali di Eroti e sul pavimento un mosaico geometrico in cui
sono inseriti tondi con le Stagioni e ceste di frutta, mentre
nell'abside si trova un motivo a squame con elementi naturalistici
molto raffinati. Un secondo ambiente ugualmente aperto
sull'anticamera è un altro cubicolo con alcova.
39. Il pavimento è un tappeto geometrico con schemi poligonali,
stelle stilizzate e Stagioni nei tondi, che circondano un
medaglione con coppia di amanti. Il passaggio all'alcova, la
rientranza occupata dal letto, mostra scene di fanciulli che
giocano, mentre l'alcova stessa presenta una decorazione
geometrica. L'appartamento si apriva sul corridoio della
quot;Grande Cacciaquot; con un imponente ingresso costituito da un
peristilio a ferro di cavallo con quattro colonne ioniche e una
fontana al centro. Il peristilio era pavimentato con un
mosaico raffigurante la veduta di un intero porto, che gira
intorno alla composizione ed Eroti pescatori, con tematiche
simili a quelle presenti in uno dei cubicoli del lato nord. In
quest’ambiente esiste una differenza stilistica fra la metà
nord e sud della composizione. Infatti, nella metà sud degli
alberi sono meno numerosi, il mare è disegnato da poche
linee a zig-zag e da molte linee dritte, gli edifici sullo sfondo
sono visti di fronte e non sono collegati fra loro. Tutto ciò
evidentemente rivela l’utilizzo di diversi modelli. Un'aula
absidata si apre sul lato di fondo del peristilio e costituiva
forse la biblioteca privata del proprietario. Il pavimento a
mosaico presenta la scena mitologica del poeta Arione, al
centro, che incanta gli animali marini, tritoni, Nereidi e
cavalli marini con la musica e la poesia. Nell’abside si trova
una grande testa di Oceano circondata da varie specie di
pesci. Le acconciature ad elmo delle Nereidi hanno fornito
importanti dati cronologici sulla base dei ritratti numismatici
delle imperatrici della dinastia costantiniana. La disposizione
della scena e il suo significato sono molto simili a quelle del
mosaico con Orfeo nella sala absidata che si apre sul lato sud Particolare di un mosaico
del grande peristilio quadrangolare. Direttamente
dall'ingresso monumentale della villa si accedeva ad un
complesso termale, che poteva dunque essere frequentato
anche da estranei e che ripete l'orientamento di un
precedente edificio termale.
40. La città è ubicata sulla sella di collegamento tra gli Erei e gli
Iblei in cui passa la Strada Statale 417, che la collega a Catania
e a Gela. Caltagirone si trova a poco meno di 70 km a sud-ovest
del capoluogo. La città (610 s.l.m.)si sviluppa su tre colli
adiacenti della catena dei monti Erei e presenta un assetto
urbanistico in cui la parte del centro storico, collocata più in
alto, è nettamente distinta dalla zona di nuova espansione, più a
sud-est. Presso la parte nuova della città si trova la nuova
stazione ferroviaria della linea a binario unico Catania-Gela. La
precedente stazione venne disattivata alla fine degli anni
settanta in concomitanza con l'attivazione della nuova linea per
Gela e la costruzione della nuova grande stazione. La linea
ferroviaria a scartamento ridotto che collegava il centro con
Piazza Armerina (EN) e la Stazione di Dittaino era già stata
disattivata negli anni '60. La città sorge al margine occidentale
della provincia, a 608m di altitudine, adagiata su tre colli che
formano un anfiteatro naturale e che costituiscono lo
spartiacque tra le valli del fiume Maroglio, che sfocia nel golfo
di Gela, e il fiume Caltagirone che scende verso la piana di
Catania. Il comune di Caltagirone rientra tra i primi 30 comuni
più estesi d'Italia: Il territorio di Caltagirone con i suoi 382km²
è il più esteso della Sicilia dopo quello di Monreale e Ragusa;
il territorio è prevalentemente collinoso con ampie vallate al
sud, al nord vicino al confine territoriale di Mineo e quasi
pianeggiante. Nella parte meridionale si trova un piccolo
altopiano sabbioso dove sorge il piccolo borgo di Santo Pietro
con la sua riserva naturale, nell'altopiano si può godere il
panorama del golfo di Gela. Sempre nella parte meridionale
sorge il piccolo centro di Granieri, situata a 351m di altitudine,
era un feudo fin quando nei primi anni del novecento entrò a
far parte nel territorio di Caltagirone. Veduta della città
41. Data l'altitudine di poco superiore ai 608 m. s.l.m., il clima è
generalmente umido, anche per il fatto di trovarsi sullo
spartiacque tra la piana di Gela e la piana di Catania.
L'inverno è piuttosto rigido, con temperature comunque quasi
sempre sopra lo zero, ed è caratterizzato da precipitazioni
abbastanza copiose, soprattutto piovose. La nebbia
caratterizza l'autunno in quasi tutte le zone della città. La
primavera è abbastanza fresca, con temperature superiori ai
10-15° C, mentre l'estate si manifesta con alte temperature
(sopra i 30-35° C), che degenerano a volte in afa tra luglio e
agosto. Il simbolo di Caltagirone risale al 1030, anno della
liberazione della città da parte dei genovesi dal dominio
saraceno. I calatini, per riconoscenza, avrebbero adottato nel
loro stemma, nel petto dell'aquila che tiene tra gli artigli un
osso, lo scudo crociato rosso sostenuto da due grifoni, per
ricordare l'antica origine, quella della Repubblica marinara.
Colline circostanti alla città
42. Visita alla città di Catania, in
particolare alla Piazza
dell’elefante, al Duomo, alla
Chiesa della Collegiata, alla
Badia di Sant’Agata. Pranzo
al sacco. Partenza per
Siracusa, visita al sito
archeologico, in particolare
il teatro grego, l’orecchio di
Dioniso e la grotta dei
Cordari. Visita all’isola di
Ortigia
43. Catania è una delle poche città in Italia ad offrire paesaggi
tanto diversi concentrati in un solo sito. Sorge sulla costa
orientale dell'isola, ai piedi del vulcano Etna (il più alto
d'europa) e a metà strada tra le città di Messina e Siracusa.
Il suo territorio comprende anche una vasta fetta della piana
di Catania e tutto il Calatino. La piana di Catania ('a chiana)
è una tra le più estese aree coltivate della Sicilia e la sua
zona più vicina al mare costituisce l'oasi del Simeto, riserva
regionale di circa 2.000 ettari istituita nel 1984. L'Oasi del
Simeto prende nome dal fiume Simeto, il più importante
dell'isola, che sfocia a sud della città. Catania si affaccia sul
mar Ionio con il golfo che prende il suo nome. Inoltre
intorno al vulcano sorge un'altra famosa area naturale
protetta, quella del Parco dell'Etna. Il territorio è
prettamente pianeggiante a sud e sud est, e montuoso a nord
per la presenza del vulcano Etna. Il nucleo originario della
città era situato su un colle che corrisponde all'odierna
piazza Dante, dove sorge l'ex-monastero dei benedettini.
L'unico altro rilievo importante è la collina Santa Sofia,
dove sorge la Cittadella Universitaria, al confine con
Gravina, comune del vasto hinterland. Il verde pubblico è
costituito dai parchi situati all'interno della città. Sono
cinque quelli di una certa grandezza e importanza: il
Giardino Bellini, detto 'a villa o Villa Bellini e dedicato a
La città e l’Etna
Vincenzo Bellini, il Giardino Pacini, detto Villa 'e varagghi
(cioè quot;degli sbadigliquot;, perché frequentata soprattutto da
pensionati e da sfaccendati in genere), il Parco Gioeni
(situato a nord, alla fine della via Etnea), il Parco Falcone e
Borsellino (a nord del Corso Italia) e il Boschetto della
Plaia (nella zona tra l'Aeroporto Vincenzo Bellini e la città).
44. La città è attraversata da un fiume sotterraneo, l'Amenano.
In passato, poco fuori le mura ad ovest, si poteva trovare il
lago di Nicito, al fiume collegato e ormai coperto dalla
colata lavica del 1669 (l'omonima via ne ricorda
l'ubicazione). Attualmente, l'Amenano si rende visibile
all'Acqua o linzolu, fontana in marmo bianco che sorge tra
la Pescheria e la piazza del Duomo e nei sotterranei del
locale Ostello della Gioventù. Ma è stato tutto il territorio
circostante a mutare profondamente in seguito a questa
calamità naturale: la costa a nord del porto è appunto una
scogliera sorta in seguito alla colata (la Scogliera, con la
famosa spiaggia di San Giovanni li Cuti). La costa a sud del
porto è, invece, sabbiosa (la Plaia). Catania era
originariamente un insediamento siculo, rifondato come
Kατάvη nel 729 a.C. da coloni greci calcidesi guidati da
Tucle. Dopo la dominazione siracusana, è stata conquistata
dai romani nel 263 a.C. Alla caduta dell'Impero romano ha
seguito le sorti della Sicilia, venendo conquistata prima
dagli ostrogoti, poi dagli arabi, dai normanni, dagli svevi e
dagli angioini. Nel 1282, passò agli aragonesi e con re
Martino I di Sicilia Catania divenne capitale del Regno di
Sicilia dal 1402 al 1416. Passata sotto i domini spagnolo,
piemontese e borbonico, nel 1860 Catania entrò a far parte
del Regno d'Italia. Del periodo greco e della dominazione
romana a Catania rimangono pochissime tracce e reperti, a
causa dei disastrosi terremoti (che hanno raso al suolo la
città) e delle conseguenti ricostruzioni che spesso hanno Panoramica della città dal mare
ricoperto le precedenti architetture. Inoltre, non sono mai
state eseguite grandi campagne di scavi e studi archeologici
se non in casi sporadici della sua storia recente.
45. Il Teatro Romano (del II secolo), l'Odeon (III secolo),
l'Anfiteatro (II secolo), le Terme dell'Indirizzo, le Terme della
Rotonda, le Terme Achilliane, i resti di un acquedotto presso il
parco Gioeni e alcuni edifici funerari sono tutti i resti
attualmente visibili della Catania romana. Il Teatro romano e
l'Odeon sono stati restaurati negli ultimi anni e sono
comodamente visitabili. Anche i resti dell'anfiteatro sono
visitabili dal 1907 (anno in cui sono stati riportati alla luce)
dall'ingresso di piazza Stesicoro. Probabilmente anche u Liotru,
il simbolo della città situato attualmente al centro di Piazza
Duomo, è stato costruito in epoca romana. È un manufatto in
pietra lavica porosa, che raffigura un elefante. Il nome deriva
probabilmente dalla storpiatura del nome di Eliodoro,
necromante semi-leggendario e grande avversario di Leone il
Taumaturgo. L'elefante sormonta un obelisco egittizzante di
cronologia incerta con figure puramente decorative. Inoltre,
sono state prodotte a Catania una serie di monete, che
comprende bellissimi conii - da quelli arcaici - con Nike e Zeus
in trono - a quelli dei grandi incisori - Eveneto, Eraclide e
Procle, con testa di Apollo. Del periodo normanno si
conservano principalmente il castello di Aci Castello e le absidi
della Cattedrale di Sant'Agata (il Duomo), che poi sarebbe stata
ristrutturata dopo il terremoto del 1693. Oggi la cattedrale
conserva la vara, il busto-reliquiario e la cassa-reliquiaria di
Sant'Agata, realizzato dal senese Giovanni di Bartolo nel XIV
secolo. Unico monumento di età bizantina è la Cappella
Bonajuto (nome derivante dalla famiglia nobiliare che l'aveva
tenuta come sacrario di famiglia nonché cappella privata): si Tra le vie
tratta di una quot;trichoraquot; bizantina cioè un edificio con tre absidi;
prima del suo restauro se ne aveva conoscenza grazie ai disegni
di Jean Houel. Del periodo svevo (XIII secolo) è il portale della
chiesa di Sant'Agata al Carcere e il federiciano Castello Ursino
(di recente restaurato, è ora sede del Museo civico (raccolte
Biscari e dei benedettini) coevo del più famoso castello
pugliese di Castel del Monte.
46. Della dominazione aragonese rimane la chiesa di Santa
Maria di Gesù situata nella piazza omonima, costruita nel
Cinquecento e ristrutturata nel Settecento. Nel 1558, fu
iniziata la costruzione del Monastero dei Benedettini, a cui
sarebbe poi stata affiancata la chiesa di San Nicolò
l'Arena. Distrutto dalla colata lavica del 1669 e dal
terremoto del 1693, nel 1703 se ne avviò la ricostruzione
che tuttavia non è stata mai più portata a termine. Le
cosiddette Mura di Carlo V, che racchiudono il centro
storico, furono iniziate nel XVI secolo ma vennero
praticamente ricostruite dopo il terremoto. Catania è stata
ampiamente distrutta nel 1169 e nel 1693 dai terremoti. Il
suo territorio circostante è stato più volte coperto da colate
laviche che hanno raggiunto il mare. Ma i catanesi
caparbiamente l'hanno ricostruita sulle sue stesse macerie.
La leggenda vuole che la città sia stata distrutta sette volte
durante la sua storia, ma in realtà tali eventi disastrosi si
possono sicuramente riferire a pochi ma terribili terremoti.
Anche le distruzioni del centro urbano a causa delle colate
laviche sono frutto di una storiografia fantasiosa. Tutti i
monumenti antichi sono stati inseriti nel tessuto urbano
della città ricostruita grazie all'opera dell'architetto Giovan
Battista Vaccarini, che ha dato alla città una chiara
impronta barocca. Tra gli altri che hanno aiutato la
rinascita della città si ricordano Francesco Battaglia,
Stefano Ittar, Alonzo Di Benedetto e Girolamo Palazzotto. Nel centro storico
47. Il castello Ursino, sito in piazza Federico di Svevia, ebbe
origine con la costruzione di una 'roche' da parte dei
Normanni, per controllare la popolazione musulmana della
città. Questa prima fortezza sorse in un luogo diverso da
quello prescelto più tardi per l'impianto del Castello, da
alcuni studiosi identificato a Montevergini. Di tale fortilizio
normanno non restano tracce. Risale al 1239 l'avvio del
cantiere per la costruzione dell'attuale Castello, sotto la
direzione dell'architetto militare Riccardo da Lentini, per
volontà di Federico II Imperatore di Svevia. Nel 1255 è
attestata per la prima volta la denominazione di 'castrum
Ursinum', divenuta poi usuale. Tra il 1296 e il 1336 il
Castello è a più riprese residenza di Federico III; anche
negli anni successivi, durante i brevi regni di Pietro II, di
Ludovico e quindi sotto Federico IV, mantiene il ruolo di
residenza reale e sede di importanti eventi politici. Nel
1392, dopo lo sbarco dei Martini, Catania si rivolta contro
gli Aragonesi; il presidio regio si chiude nel castello.
Negli anni tra la fine del '300 ed i primi del '400 il Castello
è spesso residenza ufficiale dei sovrani e della corte. Nel
XV ( primo venticinquennio) il Castello mantiene il suo
ruolo di reggia; verso la seconda metà del secolo è a più
riprese sede di sessioni parlamentari e residenza viceregia.
Nel 1669 una disastrosa eruzione dell'Etna modifica
sostanzialmente la topografia del luogo, dove sorge il Veduta esterna
Castello che rischia di essere seppellito. Nel 1693 il
Castello subisce alcuni danni a seguito dei terremoti di
gennaio. Nel 1837 vengono realizzati alcuni lavori al fine di
riutilizzare militarmente il Castello, già adibito a prigione.
Dal 1931 al 1934 vengono realizzati restauri e
trasformazione del Castello in museo.
48. Il Castello è un grande complesso edilizio ad ali con corte
centrale. Ogni lato misura m 50 circa. I quattro angoli sono
dotati di torri circolari di poco superiori ai 10 metri. Delle
torri semicilindriche mediane, solo 2 si sono conservate, ma
è certa anche l'esistenza delle altre due. Le mura, realizzate
in pietra lavica, presentano spessore di metri 2,50.
L'aspetto esterno del Castello è caratterizzato da numerose
aperture in buona parte posteriori al progetto originario.
All'interno, originariamente, l'edificio svevo presentava al
pianterreno quattro ali edilizie con ambienti a pianta
rettangolare coperti ognuno da tre volte a crociera; quattro
stanze quadrate, anch'esse coperte da crociere, raccordavano
tra loro i saloni. L'aspetto originario si è mantenuto nell'ala
settentrionale che conserva integro il trionfo delle cinque
crociere. Secondo un recente contributo il progetto
originario prevedeva un piano superiore solo sull'aria
settentrionale, diversamente da quello che sosteneva
Giuseppe Agnello, secondo il quale il piano superiore era
stato previsto nel disegno federiciano, realizzato e poi
trasformato tra il XV e il XVI secolo.
Il Castello è sede del Museo Civico dal 20 ottobre 1934.
Esso ospita le raccolte civiche in cui sono presenti le sezioni
archeologiche Medievale, Rinascimentale e Moderna. Vi si
conservano 8043 pezzi tra reperti archeologici, epigrafi,
monete, sculture, pitture, sarcofaghi fittili greci, romani,
mosaici. Sono presenti infatti vari reperti archeologici Veduta delle mura
provenienti dalle città e dai territori di Catania, Paternò,
Centuripe, Lentini, Roma, Trapani Caltagirone (ceramiche),
Ercolano, Camarina.
49. Inoltre si conserva la statua fittile di Kore trovata ad
Inessa-Civita in territorio di Paternò, Nel museo è
custodita l'iscrizione latina trovata nella fonte dell'antico
acquedotto greco-romano presso il monastero benedettino
di Santa Maria di Licodia già in territorio di Paternò.
Il Castello ospita anche, nelle splendide sale situate al
piano terra, un prezioso patrimonio composto da donazioni
di illustri catanesi, opere provenienti da chiese e conventi
soppressi, dal Museo dei Benedettini e dalla collezione del
principe di Biscari. Il nucleo principe della raccolta di
questo illustre catanese è costituito da materiale
archeologico proveniente dagli scavi eseguiti a Catania,
nonchè da acquisti fatti a Napoli, Roma, Firenze. Tra i
pezzi più pregevoli della collezione alcuni splendidi vasi
attici, terrecotte arcaiche ed un cospicuo gruppo di bronzi.
Il Castello inoltre ospita spesso mostre itineranti di
rilevanza nazionale ed internazionale.
Il nome quot;castrum Ursinumquot; potrebbe essere collegato al
quot;vir consularis Flavius Arsiniusquot;, che governò la Sicilia
prima del 359 d.C e promosse il restauro del ninfeo di
Catania; il ricordo di lui potrebbe essersi conservato nella
denominazione dell'area su cui poi sorse il Castello,
passando quindi a quest'ultimo.
Veduta dall’alto
50. La Fontana dell'Elefante è stata realizzata da Vaccarini
nell'ambito della ricostruzione della città etnea dopo il
terremoto dell'11 gennaio 1693. In modo acritico è stato
ribadito che l'architetto palermitano si ispirò all'Obelisco della
Minerva di Gian Lorenzo Bernini.In realtà l'iconografia
dell'elefante sormontato da un obelisco con palla sulla
sommità è documentata nell'quot;Hyptenoromachia Poliphiliquot;
(Venezia, 1499) attribuita a Francesco Colonna. Il basamento
è formato da un piedistallo di marmo bianco situato al centro
di una vasca, anch'essa in marmo, in cui cadono dei getti
d'acqua che fuoriescono dal basamento. Sul basamento due
sculture riproducono i due fiumi di Catania, il Simeto e
l'Amenano. Al di sopra si trova la statua dell'elefante, rivolto
con la proboscide verso la Cattedrale di Sant'Agata. Questa
statua è di epoca romana ed è stata realizzata con più blocchi
assemblati di pietra lavica. Ai lati dell'elefante cade una
gualdrappa marmorea sulla quale sono incisi gli stemmi di
Sant'Agata, patrona di Catania. Sulla schiena del mammifero è
stato collocato un obelisco egittizzante. Alto 3,61 metri, è stato
realizzato in granito e ha una forma ottagonale. Vi sono incise
delle figure decorative di stile egizio, ma non geroglifici. Sulla
parte sommitale dell'obelisco sono stati montati un globo,
circondato da una corona di foglie di palma e ulivo (alcune
fonti riportano palma e gigli), più sopra una tavoletta metallica
su cui vi è l'iscrizione dedicata a Sant'Agata MSSHDPL
(«Mente sana e sincera, per l'onore di Dio e per la liberazione
della sua patria»), e infine una croce. Secondo il geografo
Idrisi, la statua dell'elefante era stata realizzata durante la
dominazione cartaginese o bizantina.
Veduta notturna della fontana
51. Nel periodo in cui visitò Catania (XII secolo), l'elefante di
pietra lavica si trovava già all'interno delle mura della
città. Vi sarebbe stato portato dai benedettini del
monastero di Sant'Agata, che lo avrebbero posto sotto un
arco detto quot;di Liodoroquot;. Nel 1239 la statua dell'elefante fu
scelta come simbolo di Catania. Alcuni sostengono che il
trasferimento all'interno delle mura avvenne proprio in
quest'occasione. L'obelisco, invece, probabilmente fu
portato a Catania durante le crociate, proveniente da
Syene. In città fu collocato nel Circo Massimo. Nel 1508
venne trasferito sul lato ovest (o nord) del municipio e gli
venne affiancata l'iscrizione «Ferdinandus. Hispaniae
utriusque. Siciliae. Rege - Elephans erectus fuit a Cesare
Jojenio - Justitiario - MDVII». In tale collocazione fu
gravemente danneggiato durante il terremoto del 1693; il
crollo dei palazzi circostanti infatti provocò la rottura della
proboscide e delle zampe, che furono ricostruite da
Vaccarini nel 1735 su sollecitazione di Filippo d'Orville.
Fino al 1737 Vaccarini lavorò per costruire la fontana, che
fu poi completata con l'obelisco egizio e con l'iscrizione
agatina. Nel 1757 venne ristrutturata per la prima volta,
per aggiungere una vasca. Nel 1826 la fontana fu
circoscritta da una cancellata di ferro, entro la quale fu
realizzato un piccolo giardino. Poco dopo l'unità d'Italia,
venne presa la decisione di spostare la fontana dalla piazza
del Duomo a piazza Palestro: il 30 maggio 1862, però,
Bonaventura Gravina organizzò una sommossa popolare
che bloccò il trasferimento. Sono stati due i restauri
eseguiti nel corso del XX secolo: nel 1905 venne realizzata Particolare del monumento
una seconda vasca e nel 1998 sono stati eliminati la
cancellata e il giardino per cui oggi è possibile sedersi su
alcuni gradoni ai piedi del basamento.
52. Non ci sono dati certi su quando e da chi sia stata realizzata
la statua dell'elefante. Nel corso dei secoli, vari studiosi
hanno cercato di dare una risposta a questa domanda, in
alcuni casi rifacendosi anche al mito. Tra questi ultimi, si
ricorda Pietro Carrera, che nel 1639 scrisse che il liotru
ricordava una vittoria in una guerra tra i catanesi e i libici.
La storia, che il pittore Giuseppe Sciuti immortalò nel
grande sipario storico del Teatro Massimo Bellini, è però
totalmente inventata. Più probabili furono le teorie concepite
da Ignazio II Paternò Castello, Santi Consoli e Matteo
Gaudioso. Il primo sosteneva che l'elefante provenisse da un
circo (successivamente sarebbe stato appurato che in realtà
era l'obelisco ad essere stato tra le attrazioni di un antico
circo), gli ultimi due che fosse il ricordo di una religione di
cui oggi si sono perse completamente le tracce. È però ormai
accettata l'interpretazione che venne data dal geografo Idrisi,
durante il suo viaggio in Sicilia nel XII secolo. Egli riportò
che i catanesi consideravano l'elefante una statua magica, in
grado di proteggere il centro abitato dalle eruzioni dell'Etna.
Sempre secondo il geografo arabo, la statua sarebbe stata
costruita durante la dominazione cartaginese. l legame tra
Catania e il liotru è molto antico. Un'antica leggenda narra di
un elefante che avrebbe cacciato degli animali feroci durante
la fondazione di Kατάvη. Sotto la dominazione araba, la città
era conosciuta con il nome di Balad-el-fil o Medinat-el-fil,
cioè «città dell'elefante». Il Liotru è diventato simbolo
ufficiale della città solo nel 1239: prima di allora, l'emblema
cittadino era l'effigie di San Giorgio. I catanesi decisero di
cambiare in seguito ad una serie di rivolte per poter passare Ecco la piazza in una foto d’epoca
da semplice dominio di un vescovo-conte a città demaniale.
Dopo aver fallito nei moti del 1195, 1207 e 1221, il successo
arrivò con la concessione ufficiale firmata da Federico II. La
prima quot;uscita ufficialequot; del nuovo simbolo avvenne in
occasione di una seduta del Parlamento a Foggia, nel 1240.
53. La chiesa della Collegiata fu costruita fra il 1744 e il 1758 su
progetto dell’architetto riminese Giovan Francesco Buonamici.
All’interno si conservano alcuni dipinti del Cagnacci, del
Centino e un crocefisso di scuola riminese del trecento. La
chiesa della Collegiata è la più grande della città: è costruita in
semplice mattone a vista; la facciata, assai sobria, divisa in due
da un cornicione modanato, ha un solo portale, un ampio
finestrone centrale, timpano e coronamento. Era chiusa da due
torri campanarie, di cui quello di destra mai terminato; il
coronamento del campanile, così come il portale, risale al 1937.
Imponente la struttura absidale che domina il paesaggio
retrostante l’edificio. Interno: la pianta è a croce latina con
transetto non molto profondo, presbiterio sopraelevato, abside
semicircolare, cripta e cappelle laterali. All’incrocio tra la
navata e il transetto s’innesta una cupola, cui corrispondono
esternamente un tamburo e un tetto piramidale.
Elementi di rilievo architettonico che abbelliscono l’interno
sono le lesene lise in ordine corinzio e la mobilissima
trabeazione. La copertura della navata è a vela. La recente
ristrutturazione (1976-1977) ha rilevato un’interessante
copertura lignea. La chiesa di S. Maria dell'Elemosina, era il
riferimento religioso delle famiglie patrizie. Venne denominata
nel 1446 Collegiata, con la costituzione di un capitolo di preti,
che rivendicava autonomia dallo strapotere del vescovo. Dopo
il terremoto venne ricostruita su progetto di Angelo Italia, ma a
rovescio, con l'attuale orientamento e la facciata sulla via
Etnea.
Veduta della facciata
54. Questa nuova collocazione consentiva alla chiesa di
affacciarsi sulla via più larga e importante di Catania. La
facciata, opera di Stefano Ittar 1781, rappresenta il meglio
del tardo barocco catanese. Essa poggia su un podio
sopraelevato preceduto da una larga gradinata; il portone
centrale e gli ingressi laterali sono incorniciati da sei
colonne con eleganti capitelli corinzi. L'arco del nicchione
centrale è sormontato da un'aquila con le ali spiegate; ai
lati sono due angeli che reggono una tromba. Nelle altre
nicchie sono le sculture con S.Pietro e S.Paolo. L'interno è
a tre navate riccamente decorate, addossati ai pilastri sono
alcuni medaglioni con gli attributi Vergine Maria.
All'interno della chiesa sono custodite grandi tele che
raffigurano S.Euplio e S.Apollonia e un Martirio di
S.Agata. Il presbiterio è un coro ligneo formato da 36
stalli.
Foto dell’interno del XVII secolo
55. Di fronte al prospetto nord della cattedrale, affacciata sulla
via V. Emanuele, la chiesa della Badia di S. Agata occupa,
insieme all’annesso ex monastero (oggi di proprietà
comunale) un intero isolato. La morbida tela del prospetto,
mossa dal ritmo di onde leggere, cattura su di sé l’attenzione
altrimenti distratta dalle altre macchine barocche del
Duomo, della fontana dell’Elefante e del palazzo
municipale. L’edificio che oggi vediamo poggia sulle rovine
dell’antica chiesa e convento dedicati a S. Agata, nel 1620,
da Erasmo Cicala e crollati a causa del terremoto del 1693.
quot;Vaccarini non era un architetto di quelli che pretendono di
applicare il bagaglio delle loro nozioni senza considerare il
luogo in cui sono chiamati ad operare; luogo inteso come
scena fisica preesistente e come caratteri figurativi della
tradizione. Egli ha saputo risolvere il compito straordinario
di realizzare un’architettura che era in armonia con i
principi del suo tempo e che, insieme, era del tutto catanese,
tanto intimamente egli seppe penetrare il carattere distintivo
dei materiali locali e del loro effetto cromatico alla luce
violenta e tanto egli seppe interpretare gli stilemi del
repertorio tradizionale. Vaccarini non esitava ad accogliere
nel disegno delle sue opere parti già costruite o elementi già
approntati e, come nel palazzo del Senato (Municipio), su
un preesistente basamento a paraste bugnate, seppe
innestare lo slancio delle piatte lesene degli ordini superiori,
così nella Badia di Sant’Agata non si rifiutò di incastonate
nell’onda tesa della parete concava un portale a colonne
binate e a minutissima decorazione, che la badessa aveva
già fatto realizzarequot; (Giuseppe Pagnano da La pietra di La facciata principale
fuoco, 1994).
56. La chiesa della Badia di S. Agata, capolavoro
architettonico di G.B. Vaccarini (1735-1767) ha la pianta a
croce greca allungata inscritta in un ovale che ha l’asse
maggiore ortogonale alla facciata; essa con la sua
alternanza di superfici convessa-concava-convessa, al
primo ordine, e tre volte concava al piano attico, ripropone
una tematica molto cara al barocco e cioè quella
dell’architettura in movimento. La prodigiosa vitalità
visiva fa sì che le linee spezzate dell’edificio esprimano un
tale effetto di modellazione plastica da infondere
movimento all’intera struttura e a tutte le sue parti
decorative. La costruzione è chiusa, in alto, da una cupola.
La forza espressiva della costruzione è replicata nella parte
interna dove la scelta della croce greca rivela
un’aspirazione alla perfezione, nell’equilibrio tra staticità
ed armonia. La decorazione interna è molto semplice ed
essenziale, stucchi bianchi alle pareti, statue, preziosi altari
e ricami di marmo sul pavimento. Su ogni altare sono
poste statue di stucco lucido: S. Euplio, S. Giuseppe, S.
Agata, l’Immacolata e S. Benedetto. Attorno alle pareti si
trovano semicolonne chiare che incorniciano le gelosie
dorate. Dall’alto abside pendono 25 piccole luci e attorno
al cornicione gira un’inferriata decorata da candelieri. La
chiesa non ha tele come di solito avviene negli altri edifici
religiosi; dentro la sagrestia, invece, sono custoditi molti La chiesa e la piazza
dipinti di carattere sacro.
57. Città di mare, che nel mare si allunga con l'isola di Ortigia,
Siracusa è adagiata lungo una baia armoniosa. Il nome
evoca subito il passato greco, i tiranni e la rivalità con
Atene e con Cartagine, passato di cui la città conserva
numerose testimonianze, questo si affianca un periodo forse
meno conosciuto, ma non meno suggestivo, che si rivive
percorrendo le stradine dell'isola, dove il tempo sembra
essersi fermato in bilico tra Medioevo e Barocco. Subito
alle spalle di Ortigia si estende l'Acradina, come veniva
chiamata nell'antichità la zona pianeggiante contigua ad
Ortigia. E poi la Neaú polis, area quot;nuovaquot; dove si trova il
teatro, l'Orecchio di Dionisio e la latomia del Paradiso, una
delle più belle, e, ad oriente, il quartiere di Tyche che
ricorda la presenza di un tempio dedicato alla dea Fortuna
(dal greco Tyche, il caso). Domina tutta l'Epipoli, custodita
e difesa dal castello Eurialo, in posizione elevata e
strategica. Dalla forma irregolare e leggermente
tondeggiante lungo il lato che fronteggia la cattedrale,
l’incantevole piazza del duomosi permea di un'atmosfera
particolarmente suggestiva al tramonto ed al calare della
notte, quando viene illuminata. E' delimitata da bei palazzi
barocchi tra i quali spiccano la notevole facciata di Palazzo
Beneventano del Bosco, dalla bella corte interna, con di
fronte il Palazzo del Senato (nel cui cortile è custodita una
Carrozza del Senato del XVIII sec.) e la Chiesa di S. Lucia a Piazza duomo
chiudere il lato corto. Il sito ove sorge il Duomo viene
destinato fin dall'antichità ad ospitare un luogo di culto. Ad
un tempio eretto nel VI sec. a.C. si sostituì il Tempio di
Atena, innalzato in onore della dea con i proventi della
fatidica e schiacciante vittoria ad Himera (480 a.C.) contro i
Cartaginesi.
58. Il tempio viene inglobato, nel VII sec., in un edificio cristiano:
vengono innalzati muri a chiudere lo spazio tra le colonne del
penistilio e vengono aperte otto arcate nella cella centrale per
permettere il passaggio alle due navate laterali così ottenute. Le
imponenti colonne doniche sono ancora oggi visibili sul lato
sinistro, sia all'esterno che all'interno dell'edificio. Forse
trasformata in moschea durante la dominazione araba, la chiesa
viene rimaneggiata in epoca normanna. Il terremoto del 1693
causò il crollo della facciata che viene rifatta in forme barocche
(XVIII sec.) dal palermitano Andrea Palma che utilizzò come
modulo compositivo basilare la colonna. L'ingresso è preceduto
da un atrio con un bel portale fiancheggiato da due colonne a
torciglioni lungo le cui spire si avvolgono rami d'uva.
All'interno, il lato destro della navata laterale è delimitato dalle
colonne del tempio, che oggi danno accesso alle cappelle. Nella
1° cappella di destra è conservato un bel fonte battesimale
formato da un cratere greco in marmo sostenuto da sette
leoncini in ferro battuto del XIII sec.
La cappella di S. Lucia presenta un bel paliotto argenteo del
'700. Nella nicchia è conservata la statua argentea della santa,
opera di Pietro Rizzo (1599). La cattedrale raccoglie molte
statue dei Gagini tra cui quella della Vergine (di Domenico) e
di S. Lucia (di Antonello) lungo la navata laterale sinistra e la
Madonna della Neve (di Antonello) nell'abside sinistra. A nord
della piazza, in via Landauna, si trova la Chiesa dei Gesuiti,
dall'imponente facciata. Importantissimo è il teatro greco, uno
dei più imponenti dell'antichità. La cavea è stata completamente
scavata nella pietra sfruttando la naturale pendenza del colle
Temenite.
Il duomo
59. La data di costruzione è stata stabilita intorno al V sec. a.C. in
base alla notizia della rappresentazione della prima dei Persiani
di Eschilo. Ci è giunto anche il nome del probabile costruttore:
Damocopo, detto Myrilla per aver utilizzato unguenti (miroi)
all'inaugurazione del teatro.
Il teatro viene modificato da Ierone II nel III sec. a.C.: divisa in
nove cunei, la cavea è percorsa, a metà circa, da un corridoio.
Lungo la parete, in corrispondenza di ogni settore, viene inciso
il nome di una personalità o di una divinità. Ancora oggi è
possibile distinguere le lettere che formano il nome di Giove
Olimpio (DIOS OLYMPIOS ) nel cuneo centrale e,
proseguendo a destra, fronte alla scena, quelli dello stesso
Ierone II (BASILEOS IERONOS), della moglie Filistide
(BASILISSAS FILISTIDOS), e della nuora Nereide
(BASILISSAS NEREIDOS). Adattato in epoca romana per
giochi d'acqua (si suppone) e combattimenti fra gladiatori prima
della costruzione dell'anfiteatro, lo spazio viene utilizzato anche
in epoche successive in modo improprio. Gli spagnoli infatti vi
impiantano dei mulini ad acqua.
Nel settore centrale della cavea sono ancora visibili i solchi
lasciati da due macine ed il canale di scolo dell'acqua. Alle
spalle della cavea si trova un grande spiazzo su cui si apre, al
centro, la cosiddetta Grotta del Ninfeo con vasca rettangolare
ravvivata dalle acque di un acquedotto greco che corre per circa
35 km e nasce dal Rio Bottiglieria, affluente del fiume Anapo,
nella zona di Pantalica. In disuso durante il Medioevo, nel XVI
sec, l'acquedotto viene riattivato dal marchese di Sortino per Il teatro greco
alimentare i mulini impiantati nel teatro. Sulla sinistra si apre la
Via dei Sepolcri. Nelle pareti che la fiancheggiano sono scavati
ipogei di epoca bizantina e nicchie votive che servivano,
appunto, per depositare offerte.
Ancora oggi al teatro vengono messi in scena spettacoli classici
greci e latini che si svolgono durante l'estate (in giugno, tutti gli
anni pari).
60. Il così detto Parco Archeologico della Neapolis (dal greco
quot;nuova città quot;), che ospita la maggior parte dei monumenti
classici della Siracusa greca e romana, fu realizzato, con i
fondi della Cassa per il Mezzogiorno tra il 1952 ed il 1955,
con lo scopo di riunire in un unico ed organico complesso i
maggiori monumenti di quell'antico quartiere. Prima della
costituzione di questo quot;Parcoquot;, dall'estensione di 240.000
mq., i monumenti si trovavano in un contesto molto
frazionato di proprietà private. Proprio all'ingresso del parco
troviamo la quot;Basilica di S. Nicolò dei Cordariquot; (XI secolo
d.c.), che oggi accoglie un ufficio turistico. Ma il primo vero
monumento che si propone alla visita del parco è
l'quot;Anfiteatro Romanoquot; (II-IV secolo d.c.), posto quasi di
fronte alla basilica, che rappresenta una delle realizzazioni
edilizie più rappresentative della prima età imperiale romana.
Immediatamente a ovest dell'Anfiteatro incontriamo l'quot;Ara di
Ierone IIquot; (III secolo a.c.), che rappresenta la terza grande
opera monumentale che ci è pervenuta dell'antico quartiere
della Neapolis . Più avanti, sulla destra, nelle immediate
vicinanze del quot;Teatro Grecoquot; (V secolo a.c.) che è il più
grande teatro della Sicilia ed uno dei maggiori dell'intero
mondo greco, si incontrano le quot;Latomiequot;, tra cui la più
interessante è la quot;Latomia del Paradisoquot;, attraverso cui si
giunge alla più famosa delle grotte di questo parco: quella
detta quot;Orecchio di Dioniso”, che costituisce la maggiore
attrazione, assieme al teatro greco, per i turisti che visitano
Siracusa. Fuori dal recinto del Parco Archeologico, più a
Sud, all'inizio della cosiddetta Via Panoramica che porta alla
sommità del colle Temenite, vi è un Teatro Arcaico scavato
nella roccia con cavea rettilinea anzichè curva, detto quot;Teatro
Linearequot;. Panoramica del sito
61. Per completare il quadro dei rinvenimenti archeologici
nel Parco bisogna menzionare le opere di esplorazione,
eseguite negli anni '50, riguardanti soprattutto il quot;
Santuario di Apollo Temenitequot;. Ai limiti orientali del
Parco Archeologico all'incrocio tra viale Teracati e via
Romagnoli, visibile dall'esterno, vi è la quot;Necropoli
Grotticellequot;, con le sue numerose tombe scavate nella
roccia, tra cui quella detta quot;Tomba di Archimedequot;.
Teatro greco