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Raccolta di notizie e di testimonianze
della II Guerra Mondiale
Un lavoro svolto dai ragazzi di III A della Scuola Media
Jacopo da Volterra – Anno Scolastico 2012-2013
“ Ci si ritrovava tra noi e al posto
delle fucilate ci si abbracciava…”
(Fabio piange dicendo queste cose)
“Mangiavamo quando ci capitava,
io ho resistito una settimana
solo a frutta.
Accoglievamo tutti come
FRATELLI, chiunque,
anche tedeschi …”
“ La guerra non è bella,
ci vanno di mezzo sempre le persone
che non c’ entrano nulla! ”
“Scusami se piango ma i ricordi mi
riempiono la mente”
“ Le famiglie, soprattutto le persone
anziane, prendevano in casa dieci,
venti ragazzi. Gli Emiliani e i Toscani
sono stati qualcosa! ”
“ NON BISOGNEREBE FARE LA GUERRA
NEMMENO PENSARLA ”
Mio nonno mi ha raccontato di come suo padre ha vissuto la guerra: nel
1939 Enrico fu chiamato a fare il militare e dopo alcuni mesi iniziò la
Seconda Guerra Mondiale, fortunatamente fu mandato in Italia, a
Trapani. Dopo poco riuscì ad ottenere una licenza e tornò a casa per
sposarsi. Con lo sbarco degli alleati in Sicilia si ritrovò, come tanti altri, a
dover scegliere contro chi combattere e con chi schierarsi, lui si dichiarò
neutrale e non si alleò con nessuno. Rimase in Sicilia senza poter tornare
a casa perché la guerra stava avanzando verso Nord, la moglie non
sapeva se il marito fosse ancora vivo e neanche se la bambina che aveva
in grembo avrebbe mai conosciuto il padre. Dopo 5 anni, Enrico tornò a
casa senza che nessuno lo sapesse. Con sua grande sorpresa Anna, la
figlia mai conosciuta e che non aveva visto nascere e crescere, si vide
arrivare a prenderla all’asilo da uno sconosciuto e disse a sua madre: ‘’ E’
quello mio babbo?’’.
Alla fine del 1944 il Comitato di
Liberazione era in piena attività, i
Tedeschi minacciavano di distruggere
la Porta All’Arco.
All’incrocio delle vie le persone si
mettevano a commentare la nuova
notizia. Fu chiaro che bisognava
raccogliere la sfida, tutte le persone si
misero d’accordo e si ritrovarono
muratori, ingegneri, contadini,
commercianti e artigiani volenterosi
muniti di attrezzi per salvare la Porta
All’Arco. Alle 16 la Porta All’Arco era
sigillata e salva.
Ricerca di Elena e Margherita
Nel momento in cui fu salva la
Porta All’Arco, si notò che la
caserma della Milizia alla Dogana
stava bruciando e le fiamme
stavano raggiungendo il Palazzo
Inghirami. Faceva caldo e
l’acquedotto non funzionava e
alcuni volontari della Porta
All’Arco accorse sul posto. Si
formò una catena umana dal
Palazzo fino al tetto della
caserma: tutti si misero a lavoro
per spegnere l’incendio e ci
riuscirono.
Ricerca di Elena e Margherita
Alle 17:15 ci fu una prima esplosione e poi
una seconda: gli otto morti e i tanti feriti
vennero trasportati all’ospedale di Santa
Maria Maddalena.
Dopo l’8 settembre anche a Volterra nacquero dei
gruppi di donne legati al Comitato di Liberazione
Nazionale. Svolgevano qualsiasi tipo di compito,
dalle staffette che accompagnavano i ragazzi
nella Brigata a preparare indumenti di lana per
l’inverno.
Le donne non parlarono mai anche se minacciate,
a costo di perdere la vita per salvare i loro cari.
Rischiavano anche le donne di campagna,
nascondendo i partigiani. Uno dei tanti episodi
parla di una donna che, non avendo altro da
offrire per seppellire un partigiano ucciso, mise a
disposizione la propria tavola del pane
Alessio Marco
e Veronica
Questa era la vita in caserma: la mattina alle 6:00 un militare suonava la tromba
per la sveglia e in pochi minuti si dovevano vestire e rifare la branda. Per lavarsi
dovevano raggiungere un ruscello e il “bagno” per fare i propri bisogni era fuori
dalla caserma. Dalle 6:30 alle 9:00 dovevano fare dei giri a corsa nell’enorme
cortile. Alle 9:00 facevano colazione con una piccola tazza di caffè nero e una
piccolissima pagnotta di pane. Dopo la colazione si esercitavano a marciare dentro
il cortile. Alle 16:00 del pomeriggio c’era il “ Rancio “, un pranzo-cena composto da
una pagnotta di pane (più grossa di quella della colazione) e una marmitta di
brodo. Il brodo veniva dato cinque giorni a settimana, mentre il sabato e la
domenica veniva data la pastasciutta. Una volta ogni quindici giorni i familiari da
casa inviavano un pacco alimentare che però alcune volte veniva rubato da altri
militari.
.
L’8 dicembre del ’43 fu fatto l’armistizio e
io saltai di gioia insieme ai miei
compagni, ma un ufficiale disse:” Il bello
della guerra deve sempre avvenire”. Il
giorno dopo io e i miei compagni
decidemmo di partire, ma i tedeschi
avevano bombardato la stazione e quindi
partimmo il giorno seguente. Durante il
cammino trovammo una signorina che ci
accompagnò alla stazione di Trieste di
cui era molto pratica. Io e i miei
compagni eravamo stati disarmati dai
partigiani per impadronirsi delle nostre
armi d’assalto. Alla stazione di Bolzano
scendemmo dal treno perché c’erano i
tedeschi.
Nel giro di dieci giorni camminammo lungo le campagne attraversando
più volte i fiumi con delle barchette di persone che aiutavano i militari.
Durante questi giorni alcune famiglie ci indicavano la strada libera dai
tedeschi e ci offrivano un pezzo di pane e indumenti borghesi. Arrivati ad
Empoli una famiglia ci ospitò dandoci la cena e un letto per dormire. La
mattina seguente la famiglia ci preparò la colazione e partimmo per
arrivare a Volterra. Arrivati in Era le persone ci consigliavano di non
passare da Roncolla perché c’erano le pattuglie armate tedesche. Nel
pomeriggio verso le 18:00 arrivammo al padiglione Ferri. Io e i miei amici
di viaggio ci siamo messi a riposare davanti al tramonto per ammirare il
panorama che conoscevamo. Alle 20:00 di sera arrivammo al podere
Casalino dove abitavo, i miei genitori mi saltarono addosso e mi
abbracciarono, mi prepararono una bella cena e insieme ai miei amici
andammo a letto. La mattina seguente i tre amici di viaggio partirono, uno
per Pomarance, uno per Chianni e uno per Bibbona.
Purtroppo la felicità del ritorno durò poco
perché tutti i militari che erano tornati
dopo l’ armistizio, dovevano presentarsi di
nuovo al distretto militare di Pisa altrimenti
venivano arrestati i genitori.
A quel punto non potevo più stare a casa a
lavorare nei campi, quindi avvertii i miei
genitori che qualsiasi persona mi avesse
cercato, dovevano rispondere che ero a Pisa
al distretto. Come aveva purtroppo
preannunciato l’ufficiale in Jugoslavia il
peggio stava arrivando. Io passai molti mesi
nascosto nel bosco come partigiano, fino
alla liberazione da parte degli americani
nell’ aprile del ’44. Io potetti così ritornare a
casa senza più dover andare in guerra.
“ Avevo 8 anni quando Volterra fu liberata dall’ occupazione tedesca nel 1944.
Insieme alla mia famiglia mi sono rifugiata in via sarti in una cantina che si
trovava sotto una strada. La mia famiglia era composta da 10 persone e i
rifugiati in cantina erano 36, tutto il casamento. Essendo una bambina non
capivo molto di quello che succedeva là fuori, e sono successi molti episodi
spiacevoli come la morte di mio cugino preso in pieno da una cannonata e le
gravi ferite di mia zia che venne ustionata. Vivevo queste tragedie con
leggerezza e spensieratezza proprio come una bambina di 8 anni. In seguito
sono successi molti episodi gravi: il bombardamento di alcune case e della
caserma dei carabinieri sui ponti.
La tristezza più grande della nostra famiglia era la mancanza di mio padre,
Mario che era prigioniero in un campo di concentramento e tornò a casa dopo
28 mesi. Sentivo dire che nei campi di concentramento le condizioni di vita
erano pessime. Mio padre fu portato in treno in Germania in un vagone
bestiame. Lì il lavoro era duro e li ricompensavano con poche briciole di pane e
acqua, però si arrangiava mangiando bucce di patate dalla spazzatura.”
“Un giorno si fece prendere dalla disperazione e si fece scivolare sulla mano una
palla da cannone; dalle gravi condizioni si fece portare in infermeria dove chiese
di essere trasferito in una fattoria tedesca, ma le cose non migliorarono. Il
giorno di Natale mio padre decise di uccidere un gatto dei padroni e mangiarselo
insieme agli altri prigionieri. Egli per ripararsi dal freddo indossava abiti e
scarpe degli altri soldati morti e questa fu la sua salvezza. Nel 1945 scappò dalla
Germania per tornare ad abbracciare la sua famiglia.
Nel 1943, arrivò nella nostra cantina una lettera inviata da mio padre :
Per Scarselli Gabriella,
Cara Gabriella non puoi credere quanto sia grande il mio desiderio di vederti e dirti tante
belle cosine come una volta in quella sera del mio soggiorno in Italia. Prendi tanti bacini
dal tuo babbo, tanti baci anche alla Mamma, tuo Mario.
.
“ Questa lettera sarà per sempre un mio grandissimo ricordo
del mio babbo e me la porterò sempre con me. ”
Intervista realizzata da Matteo
Era iniziata una fame terribile,
inoltre l'invero del 1941 era
molto freddo e il riscaldamento
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rimasti vivi continuavano a
lavorare. Mio padre è
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come altre persone, era stato
portato via dalla città passando
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mamma ci siamo trovate
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raggiungere Mosca. Loro si
fermavano nelle case dei
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galline, il latte e altri
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per il latte di famiglia. Un giorno
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entrarono nella stanza dove c’era il
babbo: spararono una fucilata in
aria e cominciarono a parlare in
tedesco. Questo por’ omo non
capiva, (infatti se la fece quasi
addosso!) poi però riuscì a capire
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ne andarono. E dopo quest’ episodio
il poro babbo che fece? Prese la
mucca e la nascose nel bosco! ”
Mia nonna Maria abitava nel
comune di Montecatini, a Gello.
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padre, il mio bisnonno Ottavino:
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aveva tre o quattro anni c’era la guerra. Lei e
la sua famiglia abitavano in una cantina di
una chiesa che essendo consacrata era
immune ai bombardamenti. Gli americani
portavano loro il cibo tra cui anche la
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Mio nonno aveva 19 anni quando partì per il fronte Africano, lasciò sua moglie
incinta di sette mesi. Partì con il cognato Michele, obbligato dallo stato
Italiano. Dopo tre mesi di guerra vennero imprigionati per tutta la durata della
guerra. Il nonno mi ha raccontato che durante quegli anni di guerra si
mangiava di tutto, pezzi di pane duro sporchi di fango e qualunque altra cosa
che fosse commestibile. L’igiene non esisteva, erano sudati, sporchi e mal
nutriti. Nella prigione in cui stavano videro gente che urlava e si disperava,
vivevano con i cadaveri umani. Dopo quattro anni di prigionia la guerra era
ormai finita e i soldati presero la via del ritorno, ma non c’era traccia del nonno
e dello zio. La nonna ogni giorno andava in chiesa a pregare per loro
chiedendo a Padre Pio che li facesse tornare a casa. Erano ormai passati due
anni dalla fine della guerra e la speranza di rivederli vivi stava scomparendo,
ma il 27 luglio del 1948 due uomini in condizioni pietose tornarono a casa,
erano il nonno e lo zio miracolosamente sopravvissuti alla Seconda guerra
mondiale.
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fanciulli della Gioventù Italiana del Littorio
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e li abitua all’ordine e alla disciplina, imprime
loro quel vigore di vita che è il fondamento
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popolo. Le marce, il campeggio, il maneggio
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Cara Giustina,
sono passati nove anni da quando hai scritto alla spalletta e noi ti
abbiamo ascoltata, abbiamo ascoltato la tua storia drammatica e ci
siamo commosse. E’ probabile che tu sia morta, speriamo di no. Siamo
due ragazze della terza media sezione ‘A’: Kia e Simonetta.
Nutriamo profondo rammarico per te e tuo fratello. La tua lettera
trasmette perfettamente l’inutilità della guerra: persone innocenti
muoiano per dei litigi coinvolte in guerre non proprie.
Hai ragione da essere arrabbiata con gli americani per quella
cannonata micidiale. Speriamo che la tua rabbia si sia placata. Noi
abbiamo capito che solo degli stupidi fanno la guerra.
A presto...
Abbiamo letto sul giornale di Volterra “La Spalletta” del 04 Luglio del 2004
la testimonianza di Giustina Sammicheli e abbiamo deciso di risponderle
con una lettera e con una poesia.
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I nostri ricordi - 3A Volterra 2013

  • 1. Raccolta di notizie e di testimonianze della II Guerra Mondiale Un lavoro svolto dai ragazzi di III A della Scuola Media Jacopo da Volterra – Anno Scolastico 2012-2013
  • 2.
  • 3. “ Ci si ritrovava tra noi e al posto delle fucilate ci si abbracciava…” (Fabio piange dicendo queste cose) “Mangiavamo quando ci capitava, io ho resistito una settimana solo a frutta. Accoglievamo tutti come FRATELLI, chiunque, anche tedeschi …”
  • 4. “ La guerra non è bella, ci vanno di mezzo sempre le persone che non c’ entrano nulla! ” “Scusami se piango ma i ricordi mi riempiono la mente” “ Le famiglie, soprattutto le persone anziane, prendevano in casa dieci, venti ragazzi. Gli Emiliani e i Toscani sono stati qualcosa! ” “ NON BISOGNEREBE FARE LA GUERRA NEMMENO PENSARLA ”
  • 5. Mio nonno mi ha raccontato di come suo padre ha vissuto la guerra: nel 1939 Enrico fu chiamato a fare il militare e dopo alcuni mesi iniziò la Seconda Guerra Mondiale, fortunatamente fu mandato in Italia, a Trapani. Dopo poco riuscì ad ottenere una licenza e tornò a casa per sposarsi. Con lo sbarco degli alleati in Sicilia si ritrovò, come tanti altri, a dover scegliere contro chi combattere e con chi schierarsi, lui si dichiarò neutrale e non si alleò con nessuno. Rimase in Sicilia senza poter tornare a casa perché la guerra stava avanzando verso Nord, la moglie non sapeva se il marito fosse ancora vivo e neanche se la bambina che aveva in grembo avrebbe mai conosciuto il padre. Dopo 5 anni, Enrico tornò a casa senza che nessuno lo sapesse. Con sua grande sorpresa Anna, la figlia mai conosciuta e che non aveva visto nascere e crescere, si vide arrivare a prenderla all’asilo da uno sconosciuto e disse a sua madre: ‘’ E’ quello mio babbo?’’.
  • 6. Alla fine del 1944 il Comitato di Liberazione era in piena attività, i Tedeschi minacciavano di distruggere la Porta All’Arco. All’incrocio delle vie le persone si mettevano a commentare la nuova notizia. Fu chiaro che bisognava raccogliere la sfida, tutte le persone si misero d’accordo e si ritrovarono muratori, ingegneri, contadini, commercianti e artigiani volenterosi muniti di attrezzi per salvare la Porta All’Arco. Alle 16 la Porta All’Arco era sigillata e salva.
  • 7. Ricerca di Elena e Margherita
  • 8. Nel momento in cui fu salva la Porta All’Arco, si notò che la caserma della Milizia alla Dogana stava bruciando e le fiamme stavano raggiungendo il Palazzo Inghirami. Faceva caldo e l’acquedotto non funzionava e alcuni volontari della Porta All’Arco accorse sul posto. Si formò una catena umana dal Palazzo fino al tetto della caserma: tutti si misero a lavoro per spegnere l’incendio e ci riuscirono. Ricerca di Elena e Margherita Alle 17:15 ci fu una prima esplosione e poi una seconda: gli otto morti e i tanti feriti vennero trasportati all’ospedale di Santa Maria Maddalena.
  • 9. Dopo l’8 settembre anche a Volterra nacquero dei gruppi di donne legati al Comitato di Liberazione Nazionale. Svolgevano qualsiasi tipo di compito, dalle staffette che accompagnavano i ragazzi nella Brigata a preparare indumenti di lana per l’inverno. Le donne non parlarono mai anche se minacciate, a costo di perdere la vita per salvare i loro cari. Rischiavano anche le donne di campagna, nascondendo i partigiani. Uno dei tanti episodi parla di una donna che, non avendo altro da offrire per seppellire un partigiano ucciso, mise a disposizione la propria tavola del pane Alessio Marco e Veronica
  • 10. Questa era la vita in caserma: la mattina alle 6:00 un militare suonava la tromba per la sveglia e in pochi minuti si dovevano vestire e rifare la branda. Per lavarsi dovevano raggiungere un ruscello e il “bagno” per fare i propri bisogni era fuori dalla caserma. Dalle 6:30 alle 9:00 dovevano fare dei giri a corsa nell’enorme cortile. Alle 9:00 facevano colazione con una piccola tazza di caffè nero e una piccolissima pagnotta di pane. Dopo la colazione si esercitavano a marciare dentro il cortile. Alle 16:00 del pomeriggio c’era il “ Rancio “, un pranzo-cena composto da una pagnotta di pane (più grossa di quella della colazione) e una marmitta di brodo. Il brodo veniva dato cinque giorni a settimana, mentre il sabato e la domenica veniva data la pastasciutta. Una volta ogni quindici giorni i familiari da casa inviavano un pacco alimentare che però alcune volte veniva rubato da altri militari. .
  • 11. L’8 dicembre del ’43 fu fatto l’armistizio e io saltai di gioia insieme ai miei compagni, ma un ufficiale disse:” Il bello della guerra deve sempre avvenire”. Il giorno dopo io e i miei compagni decidemmo di partire, ma i tedeschi avevano bombardato la stazione e quindi partimmo il giorno seguente. Durante il cammino trovammo una signorina che ci accompagnò alla stazione di Trieste di cui era molto pratica. Io e i miei compagni eravamo stati disarmati dai partigiani per impadronirsi delle nostre armi d’assalto. Alla stazione di Bolzano scendemmo dal treno perché c’erano i tedeschi.
  • 12. Nel giro di dieci giorni camminammo lungo le campagne attraversando più volte i fiumi con delle barchette di persone che aiutavano i militari. Durante questi giorni alcune famiglie ci indicavano la strada libera dai tedeschi e ci offrivano un pezzo di pane e indumenti borghesi. Arrivati ad Empoli una famiglia ci ospitò dandoci la cena e un letto per dormire. La mattina seguente la famiglia ci preparò la colazione e partimmo per arrivare a Volterra. Arrivati in Era le persone ci consigliavano di non passare da Roncolla perché c’erano le pattuglie armate tedesche. Nel pomeriggio verso le 18:00 arrivammo al padiglione Ferri. Io e i miei amici di viaggio ci siamo messi a riposare davanti al tramonto per ammirare il panorama che conoscevamo. Alle 20:00 di sera arrivammo al podere Casalino dove abitavo, i miei genitori mi saltarono addosso e mi abbracciarono, mi prepararono una bella cena e insieme ai miei amici andammo a letto. La mattina seguente i tre amici di viaggio partirono, uno per Pomarance, uno per Chianni e uno per Bibbona.
  • 13. Purtroppo la felicità del ritorno durò poco perché tutti i militari che erano tornati dopo l’ armistizio, dovevano presentarsi di nuovo al distretto militare di Pisa altrimenti venivano arrestati i genitori. A quel punto non potevo più stare a casa a lavorare nei campi, quindi avvertii i miei genitori che qualsiasi persona mi avesse cercato, dovevano rispondere che ero a Pisa al distretto. Come aveva purtroppo preannunciato l’ufficiale in Jugoslavia il peggio stava arrivando. Io passai molti mesi nascosto nel bosco come partigiano, fino alla liberazione da parte degli americani nell’ aprile del ’44. Io potetti così ritornare a casa senza più dover andare in guerra.
  • 14. “ Avevo 8 anni quando Volterra fu liberata dall’ occupazione tedesca nel 1944. Insieme alla mia famiglia mi sono rifugiata in via sarti in una cantina che si trovava sotto una strada. La mia famiglia era composta da 10 persone e i rifugiati in cantina erano 36, tutto il casamento. Essendo una bambina non capivo molto di quello che succedeva là fuori, e sono successi molti episodi spiacevoli come la morte di mio cugino preso in pieno da una cannonata e le gravi ferite di mia zia che venne ustionata. Vivevo queste tragedie con leggerezza e spensieratezza proprio come una bambina di 8 anni. In seguito sono successi molti episodi gravi: il bombardamento di alcune case e della caserma dei carabinieri sui ponti. La tristezza più grande della nostra famiglia era la mancanza di mio padre, Mario che era prigioniero in un campo di concentramento e tornò a casa dopo 28 mesi. Sentivo dire che nei campi di concentramento le condizioni di vita erano pessime. Mio padre fu portato in treno in Germania in un vagone bestiame. Lì il lavoro era duro e li ricompensavano con poche briciole di pane e acqua, però si arrangiava mangiando bucce di patate dalla spazzatura.”
  • 15. “Un giorno si fece prendere dalla disperazione e si fece scivolare sulla mano una palla da cannone; dalle gravi condizioni si fece portare in infermeria dove chiese di essere trasferito in una fattoria tedesca, ma le cose non migliorarono. Il giorno di Natale mio padre decise di uccidere un gatto dei padroni e mangiarselo insieme agli altri prigionieri. Egli per ripararsi dal freddo indossava abiti e scarpe degli altri soldati morti e questa fu la sua salvezza. Nel 1945 scappò dalla Germania per tornare ad abbracciare la sua famiglia. Nel 1943, arrivò nella nostra cantina una lettera inviata da mio padre : Per Scarselli Gabriella, Cara Gabriella non puoi credere quanto sia grande il mio desiderio di vederti e dirti tante belle cosine come una volta in quella sera del mio soggiorno in Italia. Prendi tanti bacini dal tuo babbo, tanti baci anche alla Mamma, tuo Mario. .
  • 16. “ Questa lettera sarà per sempre un mio grandissimo ricordo del mio babbo e me la porterò sempre con me. ” Intervista realizzata da Matteo
  • 17.
  • 18. Era iniziata una fame terribile, inoltre l'invero del 1941 era molto freddo e il riscaldamento non funzionava. La gente moriva, ma quelli che erano rimasti vivi continuavano a lavorare. Mio padre è sopravvissuto solo perché lui, come altre persone, era stato portato via dalla città passando sul ghiaccio del lago di Ladoga.
  • 19. I miei nonni sono morti nella città assediata. Io e mia mamma ci siamo trovate nella zona occupata, quando i fascisti cercavano di raggiungere Mosca. Loro si fermavano nelle case dei contadini, gli prendevano le galline, il latte e altri prodotti alimentari
  • 20. “ Aveva una mucca che gli serviva per il latte di famiglia. Un giorno arrivarono i Tedeschi con i fucili, entrarono nella stanza dove c’era il babbo: spararono una fucilata in aria e cominciarono a parlare in tedesco. Questo por’ omo non capiva, (infatti se la fece quasi addosso!) poi però riuscì a capire che i Tedeschi volevano il latte. Allora glielo munse, glielo dette e se ne andarono. E dopo quest’ episodio il poro babbo che fece? Prese la mucca e la nascose nel bosco! ” Mia nonna Maria abitava nel comune di Montecatini, a Gello. Ecco un episodio accaduto a suo padre, il mio bisnonno Ottavino:
  • 21. La mia tata mi ha raccontato che quando aveva tre o quattro anni c’era la guerra. Lei e la sua famiglia abitavano in una cantina di una chiesa che essendo consacrata era immune ai bombardamenti. Gli americani portavano loro il cibo tra cui anche la cioccolata.
  • 22. Mio nonno aveva 19 anni quando partì per il fronte Africano, lasciò sua moglie incinta di sette mesi. Partì con il cognato Michele, obbligato dallo stato Italiano. Dopo tre mesi di guerra vennero imprigionati per tutta la durata della guerra. Il nonno mi ha raccontato che durante quegli anni di guerra si mangiava di tutto, pezzi di pane duro sporchi di fango e qualunque altra cosa che fosse commestibile. L’igiene non esisteva, erano sudati, sporchi e mal nutriti. Nella prigione in cui stavano videro gente che urlava e si disperava, vivevano con i cadaveri umani. Dopo quattro anni di prigionia la guerra era ormai finita e i soldati presero la via del ritorno, ma non c’era traccia del nonno e dello zio. La nonna ogni giorno andava in chiesa a pregare per loro chiedendo a Padre Pio che li facesse tornare a casa. Erano ormai passati due anni dalla fine della guerra e la speranza di rivederli vivi stava scomparendo, ma il 27 luglio del 1948 due uomini in condizioni pietose tornarono a casa, erano il nonno e lo zio miracolosamente sopravvissuti alla Seconda guerra mondiale.
  • 23. “ Il Partito Nazionale Fascista addestra i fanciulli della Gioventù Italiana del Littorio fisicamente, moralmente, professionalmente e li abitua all’ordine e alla disciplina, imprime loro quel vigore di vita che è il fondamento della potenza civile e militare di un gran popolo. Le marce, il campeggio, il maneggio della armi, la ginnastica, le esercitazioni tattiche fanno parte della normale vita di piccoli soldati dela Nuova Italia ”
  • 24.
  • 25.
  • 26.
  • 27.
  • 28. Cara Giustina, sono passati nove anni da quando hai scritto alla spalletta e noi ti abbiamo ascoltata, abbiamo ascoltato la tua storia drammatica e ci siamo commosse. E’ probabile che tu sia morta, speriamo di no. Siamo due ragazze della terza media sezione ‘A’: Kia e Simonetta. Nutriamo profondo rammarico per te e tuo fratello. La tua lettera trasmette perfettamente l’inutilità della guerra: persone innocenti muoiano per dei litigi coinvolte in guerre non proprie. Hai ragione da essere arrabbiata con gli americani per quella cannonata micidiale. Speriamo che la tua rabbia si sia placata. Noi abbiamo capito che solo degli stupidi fanno la guerra. A presto... Abbiamo letto sul giornale di Volterra “La Spalletta” del 04 Luglio del 2004 la testimonianza di Giustina Sammicheli e abbiamo deciso di risponderle con una lettera e con una poesia. Kia e Simonetta
  • 29. L’ASSENZA Cara mamma, Caro papà, la vostra assenza, ha forato il mio cuore. La vostra assenza, mi ha tolto l’unica ragione di vita... La vostra assenza, ha strappato pianti ovunque. Kia e Simonetta DONNE ? Quel loro dolore che traspariva negli occhi impauriti, e in quel sorriso falso, che dava speranza ai figli, privi di libertà. Quella libertà che ogni donna desiderava Julia e Zoe