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ROTARY INTERNATIONAL
DISTRETTO 2100 ITALIA
Service Above Self - He Profit Most Who Serves Best
Raimondo Villano
Verso la società globale
dell’informazione
A. R. 2000-2001
4
L’elaborazione e la scrittura di questo testo è stata ultimata nel mese di maggio 1996.
© Rotary International - Club Pompei Oplonti Vesuvio Est
Elaborazione, impaginazione e correzioni a cura di Raimondo Villano
Edizioni Eidos, Castellammare di Stabia (Na)
5
Indice
Presentazione 7
Prefazione 9
CAPITOLO I
Analisi settoriale delle principali applicazioni telematiche 11
CAPITOLO II
Analisi settoriale dei problemi tecnici di applicazione
e/o sviluppo delle tecnologie informatiche 33
CAPITOLO III
Sicurezza e reati informatici: problemi tecnici, giuridici e normativi 85
CAPITOLO IV
Problematiche ed azioni politiche 113
CAPITOLO V
Politica, attività e problematiche delle imprese del settore informatico 135
CAPITOLO VI
Stime di mercato 149
CAPITOLO VII
Aspetti filosofici, morali ed esistenziali 155
CAPITOLO VIII
Impatto spaziale. Problemi urbanistici 163
CAPITOLO IX
Impatto sociale 169
Conclusioni 177
Note 180
Bibliografia 183
7
Presentazione
Un grande dono offerto con grande umiltà.
Ecco come si può definire questa lunga e non lieve fatica di Raimondo Villano, il quale,
per mero spirito di servizio e non certo per ambizioni accademiche, ha voluto assumere la
parte e l’ufficio di mediatore tra una materia intrinsecamente complessa e in rapida evolu-
zione e la gran massa di coloro che, in numero e in misura crescenti, son destinati a fare i
conti con essa, anche se non per loro scelta.
Il discorso sull’attuale società dell’informazione è tanto diffuso, che rischia di apparire
un luogo comune. Ma proprio il fatto di essere comune comporta la necessità che se ne
conoscano, sia pure a grandi linee ma non superficialmente, contenuti metodi e finalità non
con la pretesa di dominare il nuovo universo disciplinare ma con il legittimo desiderio di
non esserne dominati e manipolati. La nuova realtà creata dalla scienza informatica ed
elettronica ha profondamente mutato, abbreviandole fin quasi a cancellarle, le tradizionali
coordinate spaziali e temporali dell’umano agire e comunicare, costringendo anche menta-
lità e abitudini a rapidi processi di adattamento.
Quando gli adattamenti ci sono stati (con o senza traumi conta poco), si son ritrovati
enormemente accresciuti i poteri di ciascun individuo di mettersi in relazione con gli altri e
quindi di moltiplicare, attraverso lo scambio di informazioni, le occasioni e le modalità
della crescita globale della personalità. Quando, invece, gli adattamenti non sono stati nep-
pure tentati o, se avviati, non hanno creato le sperate abilità, s’è avvertita una progressiva
emerginazione dal flusso delle informazioni e s’è instaurata la non felice condizione di do-
ver utilizzare informazioni manipolate da altri o comunque di seconda mano.
Ecco perché oggi non è più possibile scegliere tra l’adesione alla nuova realtà e il rifiuto
di essa. Nella società dell’informazione ci siamo già e, ci piaccia o no, l’unica libertà di
scelta che rimane è tra il rassegnarsi a subirla o il prepararsi a guidarla.
E l’uomo, se non vuole abdicare alla propria dignità, non può non provvedere in tempo
alla propria libertà con lo scegliere la seconda ipotesi.
È davvero un Giano bifronte quello che sfida l’uomo contemporaneo a scelte difficili e
irrevocabili: esso promette e fa intravvedere un gran bene, ma contiene anche, occulte, le
insidie di un gran male.
Ancora una volta, come all’inizio della storia, l’uomo deve vivere e risolvere dentro di sé
l’eterno dramma della scelta. Ma in ogni caso la via resta sempre una: quella della cono-
scenza. Per accettare o per respingere.
* * *
L’autore non chiude gli occhi di fronte ai problemi che vien ponendo all’uomo di oggi la
trasformazione in atto della società. Al contrario: li fa suoi, quei problemi, e, pur con le
debite cautele e riserve, assume coraggiosamente posizione a favore della prospettiva di
cambiamento, ovviamente governato e diretto dall’uomo. Il cap. VII, in particolare, con-
tiene una diligente e accurata disamina del pensiero filosofico contemporaneo nel suo
8
misurarsi con la tecnologia informatica e con i problemi ch’essa pone alla perplessa intel-
ligenza e all’ancor più perplessa sensibilità degli uomini.
Sembra proprio che l’intera civiltà occidentale, di plurimillenaria durata, sia giunta ad
una svolta decisiva del suo cammino: la macchina, che pur è frutto dell’umano pensiero, ne
incrementa ed amplifica le potenzialità in misura incredibile e imprevedibile, ma restano
molto difformi da essa i ritmi con cui le masse degli uomini si adeguano alle nuove possibi-
lità operative. È come se l’immensa eredità della storia dell’umana intelligenza e ricerca
oggi costituisse una remora o un gravame per l’uomo dannato al cambiamento: questo c’è
sempre stato, ma, per i ritmi che ne scandivano il processo, è stato sempre agevolmente
“metabolizzato” dall’uomo. Oggi è l’incalzante rapidità dei processi innovativi che mette a
nudo la lentezza dell’adeguamento dell’uomo e della sua struttura psichica e mentale.
Ed è proprio lì, nello scarto tra le due velocità, che si annida il rischio: la liberazione
dalla ripetitività meccanica di certe operazioni, offerta dalla macchina, potrebbe tramutarsi
in un forma sconosciuta di asservimento delle masse. Da parte di chi? e a vantaggio di chi?
Se a questo punto della riflessione interviene l’inevitabile avvertimento di tener sempre
l’uomo come fine, ecco che ammonitore si leva il passato con tutto il fascino dei valori
ch’esso ha creati e consegnati alla nostra coscienza e alla nostra responsabilità. Il cammino
verso il nuovo è inarrestabile. L’augurio è che l’uomo sappia percorrerlo con saggezza, con
coraggio e con umiltà, traghettando sempre nei nuovi approdi l’eredità delle passate gene-
razioni, in virtù della quale egli può ancora riconoscersi e dirsi uomo.
La riflessione dell’autore su tutta quest’area problematica dura da alcuni anni, nel cor-
so dei quali egli ne ha fatto partecipi gli amici rotariani del suo club con la generosità di chi
mette a vantaggio degli altri la propria fatica e con l’umiltà di chi sente il proprio dono
inadeguato al sentimento che lo muove e lo accompagna.
Alcune tappe di questo fecondo e costante rapporto della silenziosa operosità del singolo
con la vita del gruppo sono state contrassegnate da concrete proposte di notevole utilità e
rilevanza sociale: ricordo le validissime indicazioni sull’organizzazione del servizio sanita-
rio e dell’assistenza agli anziani, sull’orientamento dei giovani nella scelta degli studi uni-
versitari e nella ricerca del lavoro nonché le preziose applicazioni della razionalità infor-
matica alla sistemazione dell’archivio del Distretto 2100 del R.I.
Di tutta l’esperienza acquisita e della conoscenza accumulata nell’itinerario degli ultimi
anni quest’opera rappresenta la “summa”, della quale non saprei se apprezzare di più l’ampiez-
za della materia trattata o lo sforzo di renderla accessibile alla comprensione di persone sforni-
te di competenza specifica ma dotate di buona volontà, quali son certamente i Rotariani.
A me, che ho avuto più volte l’occasione di apprezzare la serietà dell’impegno professio-
nale e civile dell’autore, piace concludere questa presentazione col notare ch’egli, nel
delineare l’avvento del nuovo universalismo tecnologico come versione contempora-
nea degli universalismi classici (cristiano, umanistico, razionalistico), ha saputo far
sua la pedagogia rotariana dell’uomo come fine.
Gennaio 2000 Antonio Carosella
9
Prefazione
Il presente lavoro è scaturito dall’analisi, a mano a mano sem-
pre più approfondita, degli aspetti e delle problematiche della so-
cietà globale dell’informazione, condotta sulla scorta di numerosi
testi e pubblicazioni, tra le quali ultime mi piace ricordare qui il
prestigioso quotidiano nazionale IL SOLE 24 ORE, che al fenome-
no delle telecomunicazioni riserva con costanza la sua ben nota e
non superficiale attenzione.
A me pare, invero, ch’esso, pur senza la pretesa di essere esau-
stivo in una materia oltremodo complessa a causa dell’intrinseca
multifattorialità e polivalenza nonché della magmatica evoluzione
del fenomeno, possa tuttavia divenire un utile strumento di ulterio-
re comprensione e punto di partenza per l’aggiornamento delle co-
noscenze.
Ciò a beneficio di una platea non di addetti ai lavori ma di sog-
getti di buona volontà, che con attenzione, sensibilità e sollecitudi-
ne recano il loro tassello, piccolo ma pur sempre prezioso, alla gran-
de opera collettiva dell’edificazione della società contemporanea.
Raimondo Villano
163
CAPITOLO VIII
Impatto spaziale. Problemi urbanistici
L’introduzione di nuove tecnologie nei processi produttivi, nei prodotti, nei servizi, sta cam-
biando ad un ritmo sempre più accelerato i comportamenti sociali e le relazioni tra i diversi
soggetti. Ciò dà luogo al modificarsi delle interazioni spaziali che tendono ad evolvere verso
nuove forme di organizzazione sempre più complesse. Cambiano, infatti, non solo i tradizionali
fattori di localizzazione delle imprese, delle residenze e dei servizi ma anche l’uso del tempo
libero, provocando nuove forme di congestione e ancora, cambiano le strutture, con economie di
scala che le attuali tecnologie tendono a ridurre, mettendo in moto processi di accentramento o di
decentramento motivati da elementi finora non determinati.
Ma, soprattutto, ciò che inizialmente rappresentava soltanto una intuizione, ovvero il legame
stretto che intercorre fra territorio e telecomunicazioni, arricchendosi di numerosi contributi scien-
tifici, si configura oggi come ipotesi di lavoro di notevole rilievo sulla quale impegnarsi colletti-
vamente per la realizzazione di un progetto di ridisegno territoriale: la città cablata.
Questa è un’idea nata dalla convinzione che, attraverso un uso corretto dell’innovazione tec-
nologica, si può ottenere il ridisegno formale e la semplificazione dei problemi relativi all’orga-
nizzazione ed alla gestione del territorio concorrendo all’innalzamento del grado di vivibilità, di
sicurezza e di efficienza dei sistemi urbani e rendendone, quindi, possibile la governabilità e la
stessa sopravvivenza umana.
Il rapporto risorse-esigenze, infatti, tende sempre più a squilibrarsi rendendo più ardua la
risposta, in termini adeguati, alla “domanda” che nasce sulla città e nel territorio, soprattutto in
conseguenza della localizzazione casuale delle funzioni, del fenomeno dello spontaneismo e
dell’immobilismo, che hanno innestato processi di concentrazione e talora di degrado, e la ge-
stione empirica delle stesse.
Attualmente la configurazione di molte aree metropolitane, inoltre, può essere assimilata a
quella di un arcipelago: un’alta concentrazione di strutture urbane, spesso di dimensioni consi-
derevoli, sviluppata sulla base di successive espansioni realizzate seguendo la logica della ca-
sualità e, non di rado, degli interessi speculativi.
Il risultato di tale sviluppo è stato la formazione di un sistema di nuclei urbani non interrelato
e contraddistinto da un rapporto squilibrato fra i livelli demografici e la “densità sociale”.
A tale fenomeno sovente vanno sommate le conseguenze del deficitario rapporto esistente
fra infrastrutture urbane, attrezzature e popolazione servita all’interno delle aree metropolitane:
si finisce per sovraccaricare il centro cittadino di una “domanda” di servizi cui l’hinterland non
è in grado di rispondere.
Ma per capire quale destino avrà la città dell’era post-industriale occorre innanzitutto com-
prendere quali forze, indirizzi e tendenze si agitano nella complessità del presente. La città, nel
corso dei secoli, è stata sempre il luogo della espressione e della celebrazione dell’interesse
collettivo. Questo è il principio verso il quale si è sempre indirizzata la pianificazione. Il risulta-
to, però, non è stato sempre quello desiderato. Anzi, attualmente l’immagine della città tende a
scomparire e con essa la sua identità; il territorio sembra aver smarrito ogni traccia di organizza-
zione; regna indisturbata la “crescita senza sviluppo”.
164
Questa situazione determina una elevata mobilità quotidiana sul territorio metropolitano che
l’insufficiente sistema infrastrutturale portante dell’area non riesce sempre a smaltire. La
conseguente congestione evidenzia il dato di fondo: le diverse destinazioni d’uso, distribuite nel
territorio, non seguono una logica di piano ma risultano essere il frutto di allocazioni casuali,
spesso contraddittorie, e che possono essere origine di ulteriori effetti distorcenti sul sistema
insediativo come l’inquinamento, il degrado ambientale, il basso livello di vivibilità.
Emerge allora, sulla base di quanto esposto, l’esigenza di organizzare un nuovo quadro di
riferimento territoriale attraverso il quale modificare e riorganizzare i rapporti funzionali esisten-
ti fra i vari elementi del sistema territoriale con l’obiettivo di utilizzare impianti, strutture, tradizioni
e potenziale economico-produttivo, adottando la politica del recupero e della valorizzazione del-
le risorse, delle energie e delle situazioni pregresse presenti nel territorio. Tutto ciò in linea con il
concetto che l’azione del recupero non è separata da quella del riuso.
Da questi dati occorre partire per costruire la città futura.
L’adozione delle tecnologie telematiche e informatiche dovrebbe consentire il passaggio
dell’accettazione consuetudinaria e fatalistica della “domanda” ad una fase di regolazione e
semplificazione della stessa.
Siamo infatti ad un momento di svolta nella storia della città che, in modo icastico, può dirsi
di svolta dalla città dell’automobile alla città dell’elettronica.
L’idea di città cablata solleva, quindi, tanti problemi ma anche qualche certezza. I problemi
sono relativi alla diversa concezione che dovremo sviluppare dello spazio fisico da ristrutturare,
del tempo da contrarre e dell’innovazione tecnologica da governare e razionalizzare; ciò compor-
terà l’impegno di prevedere e di approfondire i probabili “impatti” che lo sviluppo e la diffusione
delle nuove tecnologie determineranno nella città e sul territorio.
Occorre valutare l’impatto spaziale procurato dall’inserimento di una nuova rete di telecomu-
nicazioni, realizzata con il supporto delle fibre ottiche, nel disegno di piano. Lo sviluppo della
telematica offre l’opportunità di liberare le attività e gli stessi rapporti umani dai vincoli della
prossimità spaziale e rappresenta un potenziale fattore di decentramento. La modificazione del-
le tradizionali reti di trasporto sul territorio prefigura nuove possibilità di concentrazioni spaziali,
mettendo in discussione le attuali motivazioni di esistenza della città basate su criteri di centralità.
Si avrà, quindi, una società in cui il tempo libero sarà di gran lunga superiore a quello lavorativo
e sarà fattore principale di mobilità.
Si può ipotizzare che la società del 2000 sarà composta da una popolazione “stanziale” e da
una “nomade” tra le quali agirà da mediatrice la classe degli addetti nel terziario.
Il lavoro extra-meccanico (intellettuale, dirigenziale, di ricerca) si svolgerà presso la resi-
denza nella quale verranno concentrate tutte le attività umane. Bisogna evitare l’errore
dell’urbanistica contemporanea che ha contrapposto aree centrali, altamente qualificate ed at-
trezzate, alla periferia povera e senza connotati urbani.
Emerge la necessità di realizzare luoghi di incontro nei punti nodali e di contatto fra l’habitat
degli “stanziali” e quello dei “nomadi” per consentire uno sviluppo adeguato della città telematica.
Un fenomeno certamente da prendere in considerazione è la cosiddetta “rivoluzione dei
colletti bianchi” che determina una notevole concentrazione, nei centri urbani, di attività lavo-
rative legate al terziario avanzato.
Tali attività sono indirizzate allo svolgimento delle funzioni direttive, di consulenza e di elabora-
zionedelleinformazioniechestannoconfigurandounnuovosettoreproduttivodefinito“quaternario”.
Di contro, vanno individuati la nuova logistica industriale e trasporto merci, i nuovi rapporti
e vincoli tra localizzazioni industriali e residenziali e i nuovi comportamenti localizzativi delle
imprese. Ovviamente lo studio di modelli di sviluppo è tutt’altro che semplice a causa, in primo
luogo, del ritmo con cui l’innovazione viene prodotta, diffusa e utilizzata dalle imprese, dai
165
servizi e dai cittadini che conferisce ai processi una dinamica sempre più accelerata che rende
difficile l’attuazione di politiche di governo del sistema volte alla eliminazione o, quantomeno,
all’attenuazione delle esternabilità negative inevitabili in ogni processo di trasformazione; in
secondo luogo a causa del ritardo accumulato da un Paese in alcuni settori strategici, e ciò non
tanto e non solo rispetto alla introduzione dell’innovazione nei processi produttivi o nei prodotti,
quanto soprattutto nel campo dei servizi ai cittadini.
Nell’ambito del ridisegno urbano, dunque, elementi importanti da considerare per la proget-
tazione sono: l’importanza sempre maggiore che la cultura e le strutture educative assumono
nelle città dove si sviluppano funzioni quaternarie e l’attenzione crescente verso una maggiore
qualità della vita richiesta nei centri urbani aventi funzioni direttive e culturali, legata alle spe-
cifiche istanze di una forza di lavoro particolarmente qualificata.
Fra le trasformazioni attuali più significative due sembrano rilevanti: la riduzione dello spa-
zio occupato dalle attività produttive, e la disseminazione e la dispersione degli insediamenti
residenziali sul territorio.
Ad esse bisogna affiancare i fenomeni che hanno accompagnato l’urbanizzazione negli ulti-
mi decenni quali l’abusivismo, il degrado ed ancora la ingovernabilità dell’azienda città.
Emerge una domanda concreta di pianificazione indirizzata al controllo e alla gestione dei feno-
meni urbani che sia però innovativa rispetto a quella tradizionale. Una pianificazione che sia soprat-
tutto indirizzata al recupero dell’esistente e alla tutela e valorizzazione del patrimonio ambientale.
Bisogna combattere contro due tendenze attuali che vorrebbero indirizzare la nuova pianifi-
cazione o verso un riassetto territoriale determinato da una ridistribuzione delle “grandi opere
infrastrutturali” o verso un’espansione della motorizzazione individuale.
Questi indirizzi che si vogliono dare allo sviluppo del fenomeno urbano futuro possono de-
terminare un’ulteriore esasperazione dei problemi attuali.
La strada da percorrere è diversa.
Quando la comunicazione avviene a distanza, attraverso un terzo elemento che media e
supporta la relazione, si ha l’illusione del superamento della barriera senza che questo sia
concretizzato nella pratica; si ha nell’immaginario la sensazione di essere in uno spazio diverso
da quello nel quale si è realmente.
L’applicazione di questo concetto allo spazio urbano, nel quale ogni uomo trova la propria
identità collettiva e nel quale ha riposto la propria memoria storica, porta alla formulazione di
un’ipotesi di neutralità locativa delle parti della città; si può vivere nella periferia con l’illusione
di vivere nel centro. Questo è reso possibile dal poter afferire agli stessi servizi negli stessi tempi e
dal partecipare alla medesima vita sociale mediante la “trasmissione” di un mondo di immagini.
Due questioni fondamentali guidano tutto lo studio: può la telematica essere uno strumento di
governo del territorio? E quale aiuto le nuove tecnologie possono apportare alla decentralizzazione
delle attività e del potere decisionale e allo sviluppo delle zone rurali?
In risposta a queste domande esistono due tendenze diverse: una asserisce che dal punto di
vista tecnico la telematica rende possibile la decentralizzazione; l’altra osserva che le domande
disponibili fino ad oggi non confermano tale tendenza, ma al contrario, i segnali di un
rinforzamento nella centralizzazione devono essere seriamente considerati.
Con il progresso, infatti, che le TLC hanno apportato ai processi di trasmissione a distanza,
la “prossimità fisica” non è più una condizione necessaria per soddisfare i bisogni di scambio di
informazioni essendo attuabile il fenomeno della “prossimità informatica” che determina l’indiffe-
renza dei tempi occorrenti per comunicare da un punto all’altro del territorio.
Sviluppo delle TLC, pertanto, significa accrescimento delle possibilità di decentramento del-
le attività produttive, in particolare proprio per quei settori che richiedono tempi veloci nello
scambio di un flusso massiccio di informazioni e che non pongono come vincolante la necessità
166
della prossimità fisica. Altri fattori che favoriscono la decentralizzazione sono il risparmio del
consumo di energia, le possibilità di telelavoro e, soprattutto, la mancanza di vincolo territoriale
tradizionale nella scelta ubicativa.
Il superamento della concentrazione spaziale quale fattore fondamentale è determinato, dun-
que, molte volte dalla facilità e dalla convenienza di separare le diverse unità di produzione,
distribuzione e direzione. Notevole importanza viene a rivestire, così, lo spazio dei flussi, anzi-
ché quello dei luoghi.
Malgrado tutte queste previsioni favorevoli rispetto al tema della centralizzazione o
decentralizzazione degli insediamenti urbani, le prime esperienze con risultati di studi econo-
mici riferiti a realtà produttive sembrerebbero indicare la tendenza alla polarizzazione, intorno
ad aree già attrezzate, delle attività produttive legate al trattamento e allo scambio di informa-
zioni, per cui si sviluppa un grosso processo di concentrazione di centri raccolta dati nonché di
banche-dati. La conseguenza più immediata di tale fenomeno risiede nella crescita del divario,
già esistente, fra aree sviluppate ed altamente tecnologizzate ed aree più arretrate, contraddistinte
da un minore livello di crescita economica.
Tra gli elementi fondamentali che possono favorire questo tipo di orientamento sicuramente
hanno un ruolo significativo i costi di installazione della rete telematica distributiva e le carat-
teristiche tecnologiche della stessa nel caso in cui la configurino come una applicazione a scala
locale.Alcune ricerche tendono, inoltre, a dimostrare l’esistenza di un processo di centralizzazione
delle attività produttive di carattere manageriale e direzionale, mentre la decentralizzazione è
legata soltanto alle attività economiche di ordinaria programmazione.
Negli Stati Uniti, poi, sono stati condotti studi per indagare sui fattori che favoriscono la
concentrazione spaziale delle attività terziarie e sono stati individuati tre fenomeni principali
rappresentati dalla rivalorizzazione dei centri di formazione professionale e delle strutture edu-
cative, dall’aumento del livello della qualità della vita e dall’assenza totale del decentramento
delle attività terziarie.
La diversità delle risposte fornite dalle varie ricerche condotte può essere spiegata introdu-
cendo questo concetto: il particolare contesto politico, economico e culturale nel quale le nuove
tecnologie di telecomunicazioni vengono calate finisce per determinare, a seconda delle realtà,
trasformazioni diverse e fenomeni apparentemente incompatibili fra loro. Seguendo il filo di
tale discorso si può affermare che i nuovi sistemi di telecomunicazioni accrescono la funzione
accentatrice di strutture urbane già attrezzate in questo senso, mentre per realtà meno sviluppa-
te, come quelle rurali, consolidano la distribuzione spaziale e ricoprono un ruolo integrativo
alle tradizionali strutture sociali.
La concentrazione spaziale, ancora, è nella visione di Gottman determinata dal proliferare
delle attività del settore “quaternario”, comprendente funzioni direttive, di consulenza e di elabora-
zione delle informazioni nonché funzioni legislative, giuridiche, commerciali e culturali, cui si
deve la vitalità dei centri urbani, fra i quali tendono a verificarsi nuovi rapporti di complementarietà.
Lo studioso evidenzia, quindi, come alcune trasformazioni tecniche e di mercato abbiano finito
col centralizzare le più sofisticate attività manageriali e direzionali mentre si decentralizzano
quelle di ordinaria programmazione. Inoltre, alcune ricerche svolte in Germania, alle quali Turke
fa ampio riferimento, hanno cercato di comprendere gli eventuali effetti centralizzanti o decen-
tralizzanti prodotti dai nuovi “media”, nonché il loro ruolo nel modificare il mercato del lavoro e
l’attuale divario fra aree urbane e aree rurali. Ciò che risulta è una notevole ambivalenza delle
telecomunicazioni che, pur possedendo un innegabile potenziale di decentramento, producono
anche fenomeni di concentrazione in relazione alla disponibilità sociale ad accettare i nuovi
prodotti e processi economici, ovvero una nuova struttura del lavoro.
In conclusione sembra di poter affermare che la telematica, pur offrendo potenzialmente la
possibilità di delocalizzazione, incentiva invece la tendenza alla concentrazione in una stessa
167
area di attività similari; ciò è deducibile anche dagli esempi americani, giapponesi ed europei
(primi fra tutti, per dimensione e per realizzazione, Silicon Valleye e Silicon Glen) con la realizza-
zione di isole ottiche, poli tecnologici o parchi scientifici.
Appare, pertanto, quanto mai opportuno evitare che si amplifichi un siffatto modello
tendenziale che con la presenza del terziario avanzato va ad aumentare il divario spesso già
forte fra zone depresse e zone sviluppate di un Paese.
Prevedere con anticipo l’assetto insediativo cui tende la società cosiddetta post-industriale
non è vano tentativo di profezie né indebita invasione nel dominio della futurologia, bensì indispen-
sabile “momento” della riflessione sul progetto di piano territoriale.
Valga per tutti l’esempio dei danni prodotti dal mancato o a volte tardivo adeguamento delle
strutture” insediative, vecchie e nuove, alla diffusione generalizzata del mezzo di trasporto indi-
viduale. Strade bloccate, città che scoppiano, inquinamento, diseconomie da congestione potreb-
bero presto diventare il corrispettivo “storico” di un’altra disfunzione, questa volta di segno
opposto, conseguente alla mancata previsione dei nuovi modelli di vita e di uso degli spazi urba-
ni indotti dalla diffusione, presto altrettanto generalizzata, del mezzo di comunicazione individuale
a distanza. In virtù di essa, le grandi infrastrutture territoriali che ancora si progettano per rispon-
dere alla domanda di servizi concentrata nelle grandi città e negli agglomerati metropolitani
potrebbero in breve tempo risultare obsolete, sotto-utilizzate o addirittura inutili e comunque
superate dall’effetto “disperdente” prevedibile da parte di una società cablata.
La conoscenza per quanto possibile anticipata e comunque tempestiva degli assetti territo-
riali da governare è, inoltre, molto importante per la predisposizione di interventi in risposta a
domande a volte latenti e per lungo tempo inespresse ma che d’un tratto emergono e condizio-
nano fortemente lo sviluppo dei nostri territori.
In tale contesto l’uso della telematica non è soltanto finalizzato al recupero dell’esistente ma
agisce anche da deterrente nei confronti dell’elevata “domanda” che si sviluppa all’interno del-
l’area metropolitana contribuendo, in maniera determinante, alla razionalizzazione dell’offerta.
Far sì che l’innovazione tecnologica contribuisca alla crescita civile significa ridisegnare la città
nella quale viviamo ed è per questo motivo che il nuovo disegno va sperimentato: per evitare che
la civiltà dell’elettronica sia subita come è avvenuto per la civiltà dell’automobile.
E’ inevitabile, allora, passare attraverso una fase di sperimentazione di tipo progettuale su
aree metropolitane significative; e il discorso vale soprattutto per quelle aree caratterizzate da
una elevata complessità di problemi e per le quali è auspicabile un’immediata inversione di
tendenza nel modo di gestire il sistema territoriale.
Il lavoro si deve articolare in diverse linee di ricerca e fasi operative tra le quali emerge, per
ordine di importanza, la costruzione di un modello interpretativo, a scala regionale, sul quale
trasferire informazioni sui rapporti funzionali dei vari elementi che costituiscono il sistema terri-
toriale. Il modello interpretativo dovrebbe garantire l’elaborazione di programmi di intervento su
aree di scala inferiore (sub regionale) mediante i quali verificare gli obiettivi prefissati.
Il tutto finalizzato all’acquisizione di una metodologia - di carattere sia interpretativo che
previsionale - attraverso cui formulare politiche nazionali e regionali di trasporto ma anche in
grado di assicurare i necessari elementi per l’elaborazione di nuovi modelli di gestione delle
aree metropolitane rendendo così possibile l’attuazione di una proposta di “città cablata” carat-
terizzata dall’impiego dell’innovazione tecnologica e dal recupero dei valori urbani.
Il mondo del XXI secolo sarà un mondo di città. Aquesta previsione, per altro unanimemente
condivisa, fa seguito un interrogativo: come saranno le città del XXI secolo? A giudicare dai
fenomeni in atto, si può definire una ipotesi, altamente probabile, che vede le città divise in due
gruppi: le città del “primo” mondo, innervate da infrastrutture di comunicazione e connesse in
rete (le città cablate); e le città del “secondo” e del “terzo” mondo, devastate dalla congestione,
168
dalla insicurezza e dalla invivibilità. L’Onu affronterà i problemi del degrado degli insediamenti
umani, a scala planetaria, in una conferenza mondiale, la seconda dopo la Conferenza di Vancouver
del 1975, che si svolgerà a Istambul nel giugno 1996. In quella sede, definiti i principi e gli
obiettivi, individuati gli impegni, sono stati formulati i programmi di azioni e le strategie per la
lotta al degrado. Tutti i Paesi, a livello di Governo o con associazioni non governative, sono
chiamati a fornire il loro contributo, di idee e di proposte, per avviare a soluzione questo proble-
ma. Il contributo italiano, come ha dichiarato il sottosegretario Scalzini, presidente del Comitato
nazionale Habitat II, si avvarrà del lavoro scientifico e delle proposte del dipartimento di Piani-
ficazione e Scienza del territorio dell’Università di Napoli, che ha organizzato, lo scorso 2 di-
cembre 1995 a Napoli, un Congresso mondiale, in preparazione di Istambul ’96, dal titolo “De-
grado urbano e città cablata”. E’ appunto questa la novità di grande rilievo che ha caratterizzato
questo incontro: non solo elencare i problemi degli insediamenti umani ma individuare delle
linee di soluzione che, utilizzando al meglio l’innovazione tecnologica, portino alla costruzione
della città del XXI secolo come città cablata, città della pace, città della scienza.
Il contributo che studiosi e tecnici del territorio intendono offrire al cablaggio della città e
con esso alla lotta al degrado urbano è quello di utilizzare le opportunità della tecnologia al fine
di riorganizzare il sistema urbano e di formare il cittadino-utente in modo che possa usare in
maniera intelligente i nuovi servizi.
La mozione finale del convegno di Napoli, proposta dal Comitato promotore del Congresso
costituito da studiosi di 23 Paesi e approvata all’unanimità, in uno dei suoi passi più significa-
tivi recita: “La città non sembra più essere il nucleo vitale delle forme di organizzazione collet-
tiva dello spazio, espressione del potenziale creativo e innovativo della umanità, quanto, piutto-
sto, luogo di invivibilità e insicurezza caratterizzato da bassi livelli della qualità della vita.
Questo degrado è oggi così diffuso da mettere in crisi l’idea stessa di città come sistema orga-
nizzato, teso a fornire risposte adeguate alle diverse domande dei suoi utenti”.
Le nuove tecnologie possono essere, anche in questo caso, un potente fattore di cambiamen-
to; tuttavia, il segno di questo cambiamento dipende dall’uso che si fa delle innovazioni: se l’uso
è orientato a risolvere i problemi reali delle persone, il segno è certamente positivo; se l’uso
invece è orientato a incrementare i consumi, allora il segno è e sarà sempre più negativo.
169
CAPITOLO IX
Impatto sociale
Esiste un impatto di carattere sociale dovuto all’adozione delle nuove tecnologie di teleco-
municazioni; impatto che incide (come si è potuto constatare o desumere da quanto trattato nei
precedenti capitoli) sulle relazioni, sulle abitudini, sul modo di comunicare dell’uomo poiché
trasferisce ad altro sistema ciò che oggi è svolto, in maniera quasi esclusiva, dal rapporto
interfaccia. L’adozione della telematica, infatti, potrebbe risultare determinante ai fini della
risoluzione di problemi sociali e soddisfare il bisogno emergente di ulteriori scambi e contatti.
L’interattività consentita dalle nuove tecnologie di telecomunicazioni garantirebbe, ad esem-
pio, una maggiore partecipazione dei cittadini ai processi di pianificazione territoriale.
Le TLC sicuramente modificano le relazioni sociali se non altro perché eliminano la barriera
distanza; così come ipotizzato nel “Villaggio Universale” di Mac-Luhan, la comunicazione è
diventata immediata in ogni punto del mondo. Ma se da un lato esse “avvicinano” le persone,
dall’altro esasperano l’individualismo privilegiando il rapporto uomo-macchina col pericolo di
accelerare un processo di disgregazione sociale. Superando quelle che sono due posizioni anti-
tetiche, una messianica e l’altra catastrofica, il rapporto cultura-società può essere affrontato con
una analisi più articolata che entra nello specifico delle relazioni sociali in rapporto allo spazio.
Per chiarire i termini del discorso è necessario precisare che il concetto di relazione sociale
non può essere ridotto a quello di semplice relazione personale con l’implicazione di una com-
presenza fisica di interlocutori; esso va analizzato nella distinzione di classi o gruppi dove la
“promiscuità” non elimina la “differenza”.
Si possono distinguere: pratiche sociali che implicano un’azione collettiva; rapporti che
richiedono compresenza; relazioni a distanza; relazioni di individui mediate dall’uso collettivo
di uno stesso servizio.
E’ necessario precisare che quest’analisi, che si limita esclusivamente all’interpretazione em-
pirica del fenomeno, parte dal presupposto che ormai un qualunque tipo di comunicazione può
avvenire a distanza attraverso un terzo elemento che media e supporta la relazione.
Le TLC, qualunque sia la tecnica usata (telematica, radio o CB), sembrano non trasformare
la spazialità delle relazioni; esse si strutturano intorno alle relazioni sociali in rapporto stretta-
mente interattivo, inserendosi all’interno di uno spazio sociale già prefigurato.
Alcuni promotori sperano che le TLC possano ricomporre quelle relazioni sociali destrutturate
dall’eccessiva urbanizzazione degli ultimi 30 anni ed individuano questo ruolo nello creazione di
nuovi lavori del tipo “animatore”. Ma questo nuovo “operatore sociale”, che comunica con deter-
minati gruppi, mette in luce la possibilità che ha in mano il gestore del media; egli può egemoniz-
zare la realtà sociale alla quale si rivolge inducendo nuove tendenze dello sviluppo collettivo.
L’utenza si aggrega intorno al media ma non struttura una nuova forma di socializzazione,
essa rappresenta una serie di individui che si rapporta in modo univoco al “mezzo”.
Le TLC assumono in questo senso il ruolo di supporto all’immaginario sociale; esse mimano
una comunicazione che non è reale incarnando il simulacro necessario alla crisi della civiltà
urbana, ed, ancora, rispondono in maniera funzionale al bisogno di relazione sociale.
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La comunicazione a distanza consente l’anonimato e dà la possibilità di “agire” senza muo-
versi; ma non sono le TLC a creare questa “socializzazione immaginaria”, è questo tipo di biso-
gno che utilizza le TLC in tale maniera.
L’ambiente urbano offre a ciascun individuo un supporto di identificazione legata allo spazio
nel quale vive; la comunicazione a distanza permette, illusoriamente, di evadere in un altro luogo
in maniera economica e senza fatica. Ma questo nega chi vuol vedere nelle TLC un mezzo per
rafforzare i rapporti di vicinanza che in questo modo diventano intercambiabili e variabili contrad-
dicendo il carattere stabile e fisso che hanno quando sono reali e concreti.
Le TLC creano uno spazio simbolico ma, per il momento, non raggiungono l’obiettivo di
quei promotori che vorrebbero giungere alla strutturazione di una nuova aggregazione sociale
che modifichi la spazialità.
Questo tipo di comunicazione promuove un’identità collettiva ma non lo sviluppo delle rela-
zioni sociali; il processo che si crea è un processo di identificazione collettiva analogo al proces-
so di identificazione freudiana di un gruppo intorno al “terzo simbolico”.
L’adesione al “tramite” è tanto più sentita quando il dispositivo risponde ad esigenze di rivendi-
cazione sociale. La co-identificazione può essere ottenuta attraverso la telematica associativa
che fa partecipare l’utenza alla formazione di banche-dati o di pagine.
Un’altra forma di co-identificazione si può ottenere creando un’emittente che serve comunità
limitrofe, ma diverse per caratteri morfologici e culturali, in cui gli ascoltatori si riconoscono
come appartenenti ad un’unica realtà.
I mezzi di comunicazione producono una rappresentazione coesiva dello spazio sociale, raffor-
zando il ruolo dei mezzi diffusivi locali tradizionali e in tal modo si riesce a gestire una comunità
differenziata (periferia e centro) in una strategia di ricomposizione dei gruppi sociali creando
l’illusione a tutti di vivere al centro della città.
Va, inoltre, considerato che gli effetti e le “ricadute” indirette di quelle reti comunicative di
varia natura, dai circuiti televisivi ai flussi di risorse del mercato finanziario internazionale, van-
no giorno dopo giorno svuotando di ogni significato il controllo statuale del territorio. Non vi è,
infatti, alcun bisogno di essere fisicamente presenti su un dato territorio per controllarlo direttamen-
te, dal momento che se ne può influenzare potentemente la cultura e il modo di vita, le abitudini
economiche e gli atteggiamenti intellettuali, semplicemente irradiandovi programmi e notizie.
L’ingresso dell’elettronica e dei mass media nel mondo, con la loro caratteristica capacità di
abolire la “frizione dello spazio”, elaborando e trasmettendo in tempo reale dati e programmi su
scala planetaria, colpisce al cuore quella che Badie chiama la “pesanteur territoriale” (la pesantezza
territoriale). Naturalmente, nessun superficiale ottimismo circa una crescita indolore transnazionale
può essere comprovato in termini puramente tecnologici. La crisi dello Stato-nazione, con le sue
dogane e gli uffici della polizia di frontiera incapaci ovviamente di controllare i flussi di notizie
oggi trasmessi sul piano internazionale via etere o via cavo o ancora grazie ai satelliti, indica
nuove responsabilità e compiti inediti per i Governi democratici. Questi non possono lasciare
mano libera in questo campo alle società private multinazionali che oggi inevitabilmente si trovano
a dover riempire i vuoti legislativi determinati dai ritardi delle strutture politiche.
Vi è, poi, la scena del lavoro che appare sottoposta a radicali cambiamenti. Nozioni canoniche,
già ritenute acquisizioni permanenti dell’analisi sociale, come quella elaborata a proposito della
burocrazia da Max Weber - fenomeno considerato eminentemente razionale e depersonalizzato -
mostrano i loro limiti. Le grandi carriere che duravano tutta una vita ed esigevano una dedizione
quasi sacrale sono finite. Alla granitica lealtà alla propria organizzazione subentra la flessibilità,
mobile e adattabile, del singolo operatore.
Inoltre, tutta la varia e ricca rete di intermediari fra fonti e utenti dell’informazione sarà
spazzata via. Le grandi strutture di servizio, dalle banche ai giornali e ai più diversi uffici di
consulenza, ridurranno drammaticamente la loro forza lavoro fissa in pianta stabile.
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Si passerà e, anzi, si sta già passando dagli ordini di servizio e dalle istruzioni su carta stam-
pata ai dischetti e ai programmi elettronici.
Già sta sorgendo una figura nuova, la figura dell’impiegato-nomade, l’operatore informatico
non più radicato in un ufficio ma pronto a spostarsi là dove la sua opera è richiesta.
Dunque, nell’economia di oggi, liberata dai meccanismi di controllo, rivoluzionata nell’in-
novazione tecnologica e sempre più aperta alla concorrenza internazionale, nessuna impresa e
certamente nessun posto di lavoro o attività indipendente possono considerarsi al sicuro, per
quanto positivi siano i dati complessivi e, conseguentemente, l’insicurezza economica è diventa-
ta sempre più un fenomeno centrale in molti Paesi.
Quello che è nuovo rispetto al passato, però, è l’accelerazione dei cambiamenti strutturali in
ogni fase della crescita economica.
Va, ancora, tenuto presente che nonostante la globalizzazione della economia di per sé non
determini il livello salariale (ad esempio, il lavoratore statunitense che si trova a competere testa
a testa con un indiano nella sua stessa posizione viene pagato in base alla domanda ed all’offerta
per le sue competenze esistenti sul mercato del lavoro USA, non di quello indiano), è indubbio
che ha portato e continua a provocare mutamenti massicci e talora destabilizzanti nell’economia
là dove più pesanti sono, ad esempio, i tagli occupazionali.
Pertanto, pur in presenza di una crescita della ricchezza complessiva di un Paese, in specifici
settori può crescere il bisogno psicologico e pratico di intere famiglie e comunità di un ragione-
vole grado di stabilità socio-economica.
Inoltre, l’equazione forte mobilità del lavoro e più alta proporzione di coppie uguale crisi
della famiglia sembra abbastanza semplice.
L’eccessiva mobilità del lavoro, poi, può causare ancora altri effetti negativi, come la perdita
continua di colleghi di lavoro e di legami comunitari, compresi i bambini strappati dal loro quar-
tiere e dalla scuola, una delle cause riconosciute di devianza e/o delinquenza giovanile.
Per quanto concerne, più in particolare, il telelavoro domiciliare va tenuto presente che:
- gli stessi spostamenti giornalieri tra il domicilio e il posto di lavoro, spesso considerati
faticosi, possono essere valutati diversamente ovvero, per esempio, come dei momenti di relax;
- non c’è differenza fra giorno e notte per il disbrigo delle mansioni professionali. Contano le
ore di lavoro che sono dedicate, non la loro distribuzione giornaliera;
- scompare anche la distinzione fra tempo del lavoro e tempo del gioco. I rapporti umani sono
quasi inesistenti ed alta è la percentuale di divorzi;
- i ritmi intensi di lavoro provocano un esaurimento dei soggetti per cui, ottenuto il successo
economico, si abbandona il lavoro molto presto;
- la società sarà solo per uomini “forti” in cui la meritocrazia ha un ruolo predominante.
Quindi, il telelavoratore deve avere poco bisogno di contatti interfaccia con quelli con cui lavora,
deve avere una situazione casalinga che gli permetta di lavorare con una certa continuità senza
interruzioni o, comunque, deve essere capace di separare la vita privata da quella lavorativa.
Il telelavoratore, poi, deve avere una grande sicurezza interiore e spirito di iniziativa ed esse-
re capace di lavorare senza accusare la mancanza del feedback dei capi: i diretti superiori giudi-
cano dai risultati , non da quanto o da come si lavora. In genere, infine, quando si passa dall’uffi-
cio a casa chi ha buoni rapporti con i capi li migliora mentre chi li ha cattivi li peggiora: in questo
caso il telelavoro è il preludio alla ricerca di un nuovo posto di lavoro.
Nella società globale dell’informazione, inoltre, sarà più facile non solo informarsi ma an-
che far girare le opinioni favorendo forme sia di democrazia diretta che semi-diretta. Ciò offri-
rebbe molte possibilità fra cui il permettere alla gente di votare e di prendere elettronicamente
tutte le decisioni politiche ed amministrative giorno dopo giorno; la massima partecipazione dei
cittadini senza affidare ai sondaggi o al voto elettronico tutte le decisioni; l’uso più capillare dei
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sondaggi elettronici per avere un’idea aggiornata dell’opinione più diffusa in un Paese e, quindi,
aiutare i rappresentanti eletti nello loro decisioni; l’uso dei sondaggi come voti per rendere più
rappresentativo e non per sostituire un Parlamento: si potrebbe, per esempio, stabilire che per
prendere una decisione oltre ai voti dei componenti l’Assemblea, si debba tener conto anche di
altri voti che vengono assegnati in base ai sondaggi.
Ovviamente sono molti i modi per integrare la democrazia elettronica con le istituzioni
parlamentari. Sarà, quindi, anche probabile la diffusione di canali televisivi che consentono sia
di controllare le istituzioni e giudicarle in tempo reale che di far svolgere talune attività politi-
che ed assumere decisioni in videoconferenza.
Indubbiamente dovranno essere effettuate approfondite valutazioni in merito alla necessità
ed alla superiorità o meno della democrazia diretta rispetto a quella rappresentativa. Infatti, se da
un lato effettivamente c’è il rischio che le istituzioni che devono deliberare, un Congresso, un
Parlamento, possano diventare soggetti alle ondate emotive della pubblica opinione, dall’altro è
più facile ritenere che queste istituzioni hanno resistito ai cambiamenti tecnologici per generazioni
ed alla fine tutti si imparerà a convivere anche con questa nuova era globale dell’informazione.
Inoltre, benché già adesso i sondaggi di opinione possano tirar fuori il lato peggiore di taluni
che governano, stimolando ad assecondare di volta in volta opportunisticamente le opinioni della
maggioranza invece che a progettare con lungimiranza il futuro del proprio Paese e benché il
sondaggio possa risultare uno strumento addirittura preistorico se paragonato alle possibilità di
consultazione che consentono le TLC, il rischio estremo che la democrazia rappresentativa degeneri
nel senso radicale di un ingovernabile sistema plebiscitario è funzione, a monte, di una totale, gene-
ralizzata quanto improbabile leadership priva del coraggio di resistere alle opinioni popolari.
Ancora, si dovrà vedere quanti si appassioneranno ai processi democratici in diretta ed alle
decisioni collettive giacché non è accettabile un universo composto solo da attivisti cittadini
esperti nell’uso delle nuove tecnologie, considerando anche il fatto che la telematica può permet-
tere di fare referendum istantanei ma non può spiegare istantaneamente questioni complesse.
Dunque, sia il sondaggio direzione che il sondaggio soggezione possono indebolire ed esau-
torare la democrazia rappresentativa.
Tuttavia, ritenendo che di per sé le nuove tecnologie sono da considerare neutrali e accetta-
bili, il problema riguarda l’assoluta adeguatezza e validità delle regole che devono governare il
sistema democratico. Se lo Stato sovrano diventerà obsoleto, dunque, saranno le idee a renderlo
tale, certamente non la tecnologia.
Date, poi, le caratteristiche della rivoluzione digitale, si può ritenere che la società si trovi in
prossimità di una svolta storica: un taglio netto col passato, un momento di discontinuità, che
diverrà concreto ed evidente all’improvviso, non appena la crescita esponenziale delle reti tele-
matiche e degli utenti che se ne servono per comunicare e scambiare informazioni avrà raggiun-
to la necessaria massa critica.
La digitalizzazione e la multimedialità, inoltre, conducono in una dimensione nuova per almeno
due ordini di motivi. Il primo è che le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione
potenziano la capacità conoscitiva dell’uomo favorendo l’ingresso nell’era post-industriale, nel-
l’era dell’immateriale e dei servizi nella società in cui la conoscenza, le informazioni, l’intelligenza,
prendono il posto delle materie prime e persino della energia, come fattori strategici dello sviluppo.
Il secondo motivo è che le nuove tecnologie dell’informazione e comunicazione sono più
pervasive e trasversali di ogni altra tecnologia. Penetrano in ogni settore produttivo, nelle ammini-
strazioni, nella scuola, nella vita quotidiana dei cittadini, con un impatto a 360 gradi. Trasforma-
no ogni tipo di attività, il modo di lavorare, di insegnare, di apprendere, di divertirsi. Incidono sul-
l’organizzazione delle imprese, dei processi produttivi e dei servizi. Consentono di rinnovare radi-
calmente vecchi prodotti e servizi o di portare sul mercato prodotti e servizi completamente nuovi.
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E’ una nuova sfida per tutti: il modo di organizzarsi, di produrre e di competere deve essere
ripensato in modo totale. Ed il passaggio dalla potenzialità delle risorse rese disponibili dalla
tecnologia alla realtà delle risorse sfruttate in maniera adeguata e diffusa si presenta irto di
difficoltà di ogni genere. Specialmente se si ritenesse di poter vivere il futuro con i vecchi arnesi
culturali del passato.
In questa ottica gli Stati hanno almeno due funzioni da esercitare: quella di utente e acquiren-
te di impianti e servizi per le proprie strutture amministrative ed istituzionali, e quella di promo-
tore, oltre che di attore diretto, di investimenti immateriali nell’istruzione e nella formazione dei
cittadini, dei giovani che dovranno vivere nella società dell’informazione di domani e dei meno
giovani che dovranno non essere marginalizzati.
Inoltre, pur dipendendo sempre più la forza di un Paese dalla quantità di intelligenza incorpo-
rata nei prodotti e nei servizi della sua amministrazione e delle sue imprese e pur essendo, quindi,
il capitale umano la fonte più importante delle competitività, investire nell’istruzione e formazione
non risponde solo a esigenze economiche. La rivoluzione elettronica e la diffusione del computer
stanno determinando anche nei Paesi più evoluti nuove forme di analfabetismo e di emarginazione.
Spesso la “computer illiteracy” si traduce in “information illiteracy” e cioè nell’incapacità di
accedere ai nuovi modi di comunicare, raccogliere ed elaborare informazioni.
Questo nuovo analfabetismo, che non si rintraccia solo all’interno delle classi sociali più
povere, va combattuto perché crea nuove povertà, nuove divisioni e dipendenze culturali.
La logica delle information highways è di per sé una logica di democrazia e di mercato aperto,
nel senso che non crea discriminazioni e monopoli, ma offre a tutti, dovunque, la possibilità di
accedere a tutte le informazioni. Le reti per loro natura non sono gerarchiche ma di fatto è possibile
che la computer illiteracy (o la information illiteracy) crei discriminazioni tra “haves” e “have-nots”,
tra chi dispone delle competenze necessarie per vivere nella società dell’informazione e chi non ne
dispone. Questo pericolo riguarda i rapporti tra le classi sociali ma anche tra le nazioni.
Per questo è da ritenere che un grande impegno a favore dell’istruzione risponda a pressanti
esigenze politiche e sociali, oltre che economiche. Questo impegno deve riguardare sia i conte-
nuti (più attenzione alle nuove tecnologie) sia i tempi (formazione permanente) sia i modi e gli
strumenti dell’education.
Inoltre, se la formazione è un diritto per tutti, come si sostiene in ambito internazionale, lo è
a maggior ragione la formazione permanente.
Nel nostro Paese, ad esempio, non meno di 10 milioni di italiani tra i 24 e i 44 anni sono in
possessodellalicenzadiscuolamediadell’obbligocomemassimotitolodistudio.Iltrenddemografico
negativo, la difficoltà dei giovani a entrare nel mercato del lavoro, l’impatto delle tecnologie “digita-
li” sposteranno sempre più l’attenzione dall’utenza giovane a quella adulta dei sistemi formativi. Si
riscopre un nuovo ruolo del sistema scolastico, parallelo all’impegno che le imprese dovranno assu-
mere nell’assicurare opportunità di formazione permanente per i lavoratori adulti.
Tutto ciò implicherà la revisione dei criteri di scelta nell’utilizzo delle risorse che interessano
le politiche dell’istruzione e quelle economico-sociali: individuazione delle priorità, distribuzio-
ne diversa degli stanziamenti in rapporto all’utenza, incentivi fiscali alle aziende.
Ancora, è evidente che in questa situazione, ormai non più lontana da non essere già percepibile
in molti campi, le tecniche della formazione professionale, anche le più avanzate e non solo
quelle arcaiche basate sui vecchi “profili di mestiere”, entrano in una crisi irreversibile.
La tecnologia e le pratiche del lavoro cambiano così rapidamente che le specializzazioni
(job skills) imparate a scuola hanno scarse possibilità di restare rilevanti dalla laurea alla pen-
sione. Chiaramente, le esigenze di un’economia a grande intensità di conoscenze (knowledge-
intensive economy) richiederanno una preparazione, ma le tendenze probabili favoriranno certi
tipi di addestramento a scapito di altri. In particolare, poiché possiamo aspettarci che acquisiti
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contenuti cognitivi siano parecchie volte rivoluzionati nel corso di una singola vita, la capacità di
maggior valore sembra consistere nell’imparare come imparare.
Altro aspetto da considerare, poi, è che pur rendendosi urgente il problema della formazione
di una cultura adeguata è necessario porsi in guardia contro le facili scorciatoie formative che
spesso approdano soltanto al lamentevole esito della conferma pomposa dello statu quo. “Impiegato
nelle circostanze più svariate - scrive Ravaglioli - il termine cultura ha acquistato una radicale
ambiguità. E’ un’impresa disperata enumerarne i significati sanciti dall’uso. Eppure una distinzione
pare esistere: quella che rileva la differenza fra le conoscenze controllate e le rappresentazioni o
speculazioni o argomentazioni che pur mostrando una coerenza interna non sono sottoposte a
prove empiriche. In breve, la differenza è fra conoscenza e cultura”.
In questa divaricazione, si può vedere un rischio: quello di scavare nuovamente un fosso, che
potrà anche divenire fossato e frattura, fra scienze tecniche in senso proprio e cultura umanistica
in senso lato. Di nuovo si porrà dunque il dilemma se fare imparare e spiegare la seconda legge
della termodinamica agli umanisti letterati oppure costringere gli ingegneri a leggere Shakespeare
e a mandare a memoria la Divina Commedia.
Nulla di tutto questo, evidentemente. La polemica sulle famose “due culture” era viziata da
una seria carenza interna. Sembrava non rendersi conto che la cultura ha da essere insieme
umanistica e scientifica nel senso di una valutazione dei fenomeni e delle situazioni umane che
sia globale e complessiva, non ridotta a una formula meccanica da applicarsi caso per caso, ma
neppure condannata a una genericità che termini in romantica vaghezza, incapace di offrire gli
strumenti necessari alla comprensione dei problemi specifici. Forse solo per questa via sarà
possibile non separare la scienza dalla coscienza e riscoprire nella cultura uno strumento essen-
ziale di auto-consapevolezza.
Un’altra delle chiavi di volta della trasformazione in atto è la disponibilità di informatica
amichevole, che vuol dire anzitutto sviluppare un software ultracomplesso ma di facilissimo uso,
che internalizzi tutte le complicazioni che non debbono neppure essere intuibili, e questo è pos-
sibile oggi con la potenza dei nuovi chip e il loro basso costo. Ancora informatica amichevole
significa ideare servizi che interessino tante persone e siano di immediata presa.
Per quanto concerne, poi, più particolarmente la televisione, la diffusione di Pay-TV e di reti
tematiche mirate, va detto che esse costituiranno una sempre più accentuata personalizzazione
del rapporto fra utente ed emittente che consiste, quindi, nella graduale trasformazione di un
mezzo e di un consumo per definizione “di massa” in una serie di proposte differenziate. Inoltre,
la TV interattiva consente all’utente un intervento attivo per esercitare la possibilità di realizzare
un percorso personale all’interno delle informazioni, la cui emissione, in gradi diversi, dipende
dalle richieste dell’utente stesso. In queste situazioni muta e, in un certo senso, si radicalizza
rispetto ai precedenti tentativi di personalizzazione l’attività di cooperazione del destinatario.
Cambia il suo ruolo, cambia il suo tipo di azione, ma cambia anche la competenza richiestagli,
intesa come capacità di utilizzare tecnicamente gli strumenti e di approfittarne creativamente per
costruire un “suo” percorso di senso; per non parlare, poi, del livello economico che, per il
momento, implica l’accesso a questi nuovi media.
Di fronte a uno spettatore apparentemente “libero” (e sicuramente in una situazione di mag-
gior libertà rispetto a quella della TV monodirezionale), si riafferma comunque il ruolo centrale
dell’emittente che fa da filo di collegamento delle esperienze di TV interattiva.
Quella che potremmo chiamare genericamente come “personal TV”, sia nelle sue forme
ascrivibili alla televisione monodirezionale sia in quelle definibili in senso stretto come interattive,
manifesta dunque due caratteristiche: il ruolo sempre più attivo dello spettatore (coinvolto nel
processo di consumo del testo anche come soggetto concreto, chiamato a una serie di azioni) e
il progressivo assorbimento di questa presenza attiva, di questa collaborazione alla costruzione
del testo, all’interno del progetto del trasmittente.
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Ma la “personal TV”, insieme alle innovazioni tecnologiche che stanno sempre più trasformando
il campo delle telecomunicazioni, pone anche molti interrogativi sociali, umani e culturali.
Ci si limita a indicarne soltanto due fra i tanti.
In prima istanza, il problema di un corretto controllo sociale su beni simbolici cosi numerosi,
mobili e sfuggenti come i prodotti audiovisivi. E’ in gioco la qualità dei prodotti televisivi: se le
possibilità di trasmissione e di “conversazione” mediata con le emittenti aumentano sempre più,
è necessario pensare seriamente a “cosa” si diffonderà attraverso gli innumerevoli canali per
attivare, interessare e soddisfare il pubblico (o suoi diversi segmenti) senza venir meno a una
scelta fondativa di rispetto nei suoi confronti.
Se la TV di domani impone un ripensamento non solo tecnologico ma semantico, estenden-
dosi da strumento esclusivo di svago anche a strumento di democrazia che consente di pensare
e agire conseguentemente, ovviamente nella sua qualità di cultura democratica disponibile a
tutti ed interamente governata da quel che la gente vuole, pone il problema, talora terrificante,
proprio di ciò che la gente potrebbe volere.
A mano a mano che l’onda della tecnofilia cresce, poi, è possibile riscontrare più chiaramen-
te anche due fenomeni di polarizzazione estrema: accanto ad una utopia tecnicista, accarezzata
da coloro i quali sperano in un cambiamento dei principi di dominazione sociale, diviene sem-
pre maggiore la paura di coloro che avendo potere nel mondo attuale temono di perderlo in un
contesto che non riescono a capire e finiscono per favorire, direttamente o indirettamente, una
nuova popolarità del luddismo.
Il mondo inizialmente potrà essere diviso tra collegati e scollegati alle reti. Come il telefono
all’inizio non fu disponibile per tutti, anche le autostrade informatiche cominceranno a servire
prima un ceto medio.
Ma intanto le città si libereranno dal traffico. Costeranno meno per quelli che ci restano, ci
sarà meno inquinamento. Anche i non collegati ne avranno giovamento.
Del resto, la digitalizzazione, nonostante la sua pervasività, non è necessariamente un fenomeno
di tipo “coloniale” per cui la cultura del computer si impone imperialisticamente sulle altre trasfor-
mandole o addirittura eliminandole. La società è multiculturale e la forza della diversità è im-
mensa. Per questo si osserva che la diffusione dei computer incontra importanti discontinuità.
Trarrà, comunque, il massimo vantaggio colui che saprà comprendere più che i soli elementi
tecnologici soprattutto quelli umani e sociali.
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Conclusioni
Le nuove realtà stanno entrando, dunque, nella vita attuale ma la nostra cultura, invero, non
sembra aiutare molto il Paese e, soprattutto, i giovani a sviluppare quella qualità che appare oggi
indispensabile per muoversi verso il futuro: la flessibilità, cioè l’essere aperti alle cose nuove e
l’essere capaci di adattarvisi.
L’ambiente in cui viviamo, infatti, è in continua trasformazione con tempi che sono rapidissi-
mi. La genetica non permette questo genere di adattamenti possibili invece con la cultura. Con
quest’ultima, nel corso di una sola generazione, si può passare dalla preistoria alla micro-elettro-
nica poiché i cambiamenti non sono biologici ma mentali.
E la nostra capacità di adattamento dipende solo dall’elasticità intellettuale con cui sappia-
mo imparare, capire, creare, cambiare: cioè dalla nostra intelligenza o, come direbbe il paleo-
antropologo, dalla nostra flessibilità.
Questo continuo adattamento culturale riguarda oggi non solo i singoli individui ma le im-
prese e la stessa collettività: perché comporta a “ogni livello” una perenne verifica delle idee,
delle tecniche, degli obiettivi.
Oggi i grandi mutamenti sono quelli indotti soprattutto dalla tecnologia. Va considerato,
inoltre, che l’economia moderna può essere definita combinatoria nel senso che, combinando
insieme in modo intelligente gli elementi in circolazione, si possono creare innovazioni non
solo tecnologiche, ma organizzative, finanziarie, manageriali che corrispondono sia all’obietti-
vo del massimo rendimento col minimo costo sia alle esigenze di un mondo in continua trasfor-
mazione. Un mondo che, tra l’altro, richiede un sempre maggiore benessere. In questo senso
“flessibilità” è certamente sinonimo di intelligenza; poiché anche il nostro cervello, in pratica,
opera in modo analogo per risolvere un problema.
Rimane un’ultima domanda, al termine di questa trattazione, che è quasi doverosa: ma questi
cambiamenti sempre più rapidi dove ci portano?
Questo sviluppo sempre più tumultuoso, in cui la tecnologia trasforma, accelera, innova,
modificando il modo di vivere, il modo di produrre, il modo di lavorare, non potrebbe essere in
definitiva un boomerang e ritorcersi contro l’uomo, cioè contro noi stessi?
Quello che si può fare è prendere atto di questa situazione e, per quanto possibile, governar-
la. Il problema, cioè, è quello di tentare di conciliare i vantaggi e gli svantaggi di questo svilup-
po tecnologico che ha senza dubbio già migliorato l’alimentazione e il reddito, ha diminuito la
mortalità infantile e l’analfabetismo, ha aumentato la durata della vita e l’assistenza medica, ha
accorciato gli orari di lavoro e ha creato, ancora, circolazione di idee ed emancipazione ma che
può anche apportare effetti negativi.
E’ allora possibile riuscire ad avere uno sviluppo equilibrato che permetta all’uomo di avere
i vantaggi della crescita senza pagarli con un prezzo talora molto alto? Questa è senz’altro una
sfida difficile ma la si può affrontare. L’obiettivo deve essere quello di riuscire a comprendere le
potenzialità offerte dallo sviluppo tecnologico e gli usi applicativi possibili considerando che
nelle macchine si trova solo ciò che si è precedentemente inserito e che è importante, dunque,
inserire algoritmi frutto di problematiche gestionali corrette.
E’ necessario, inoltre, possedere una formazione e una cultura molto diverse da quelle cui
spesso siamo abituati, che sono troppo rivolte al passato anziché al futuro e che guardano più
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alle nostre grandi tradizioni letterarie, storiche, artistiche di ieri, che alle sfide tecnologiche,
economiche e culturali di ‘oggi’ e di ‘domani’. Accettare le opportunità che la situazione ci
offre richiede, pertanto, di compiere alcuni .passi fondamentali sul piano culturale collettivo, il
cui ruolo è centrale.
Il primo è quello di capire ciò che siamo diventati e quello che abbiamo avuto, non per difenderlo
ma per costruire quello che possiamo diventare e possiamo avere ancora. Ma questo significa accet-
tare e scommettere sulla ‘idea del rischio’ rispetto alla tradizione protettiva di cui abbiamo goduto.
Il secondo passo, conseguente dal primo, è quello di investire il patrimonio sinora accumu-
lato per poter raggiungere nuovi traguardi e innescare un’ulteriore fase del nostro collettivo
sviluppo. Abbiamo ricchezza collettiva e individuale, abbiamo istruzione, abbiamo società pur
con tutti i suoi difetti, abbiamo imprenditorialità che vanno nel loro insieme investite con un
‘atto di maturità’. Poiché di questo si tratta, soprattutto in Italia: un Paese che ha goduto di una
lunga rincorsa di sviluppo all’insegna dei principi della creatività e della vitalità e che oggi deve
affrontare la sua fase piena di maturità, con le conseguenze che questo comporta anche sul
piano delle decisioni ulteriori da prendere.
Ed ecco allora che il terzo passo ha a che fare con lo sviluppo di tanti e diffusi atti di responsabi-
lità individuale e collettiva, che debbono alimentare l’innervatura civile, politica, istituzionale, cultu-
rale e ovviamente economica del nostro sviluppo attuale, per poter avere sviluppo futuro.
Rischio, maturità, responsabilità costituiscono i tre ingredienti sul piano politico e sociale,
ma anche educativo, che ci sono richiesti dalla nuova frontiera dello sviluppo.
Bisogna uscire dalle analisi con le decisioni, la scelta, l’azione, i progetti. Bisogna creare la
nuova “etica del fare” finalizzata allo sviluppo complessivo della collettività nella società dei
servizi. Bisogna operare per realizzare le nuove infrastrutture della modernizzazione.
Nella moderna società dei servizi la rete delle connessioni sociali assume ancora maggiore
centralità, sia per la capacità di creare ricchezza dentro la nuova economia industriale sia per la
capacità di rappresentare gli interessi degli associati.
Mentre si discute sull’assetto istituzionale dei poteri, non si può trascurare la necessità di
investire sulle reti di tessuto civile, sociale ed economico, soprattutto su quelle legate all’istruzione
e alla conoscenza. L’apporto, però, delle strutture istituzionali dello Stato non è sufficiente di
per sé. Si richiedono, dunque, interventi di promozione e di sollecitazione sulle componenti
della società civile.
E’ su questo terreno che si misurerà la capacità di realizzare una nuova fase di sviluppo per il
Paese, garantendo il passaggio della società industriale alla società dei servizi. E’ questa, a mio
parere, la responsabilità della classe dirigente che è chiamata a governare il cambiamento.
E’opportuno, infine, considerare che la conoscenza di quella catena di cause ed effetti, che può
determinarsi ex post nel passato, poco serve a predeterminare il futuro, regno degli eventi possibili.
E’ delineabile una dicotomia profonda fra l’analisi storica dei fatti conclusi, fra loro concatenati
dal rapporto di causa ed effetto, e le azioni che quei fatti determineranno attualizzandoli dal futuro.
Quelle azioni nascono in funzione di specifiche finalità e sono sempre propositive fra causalità del
passato e finalità del futuro che il presente costantemente media costruendo le vicende del mondo.
In una evoluzione magmatica degli eventi attuali, ogni componente strutturale della società
contemporanea dovrà esser sempre più capace di saldare il dominio del presente con l’appro-
priazione del futuro, concependo ed attuando con grande attenzione una strategia duale che
consenta la distinzione fra pianificazione dell’azione, o pianificazione operativa, a breve termi-
ne, e pianificazione per il cambiamento strategico, o a lungo termine.
Di fatto, alcune componenti o parti di esse privilegiano il presente mentre altre si lasciano
troppo attrarre dal futuro. E’ raro che venga raggiunto uno scambio efficace fra i due tipi di
approcci, che cioè venga raggiunto un adeguato equilibrio fra la gestione delle attività correnti e la
179
pianificazione del futuro. E questo perché gestire con strategie duali impone profondi cambiamenti,
non soltanto nella pianificazione, ma anche nella struttura organizzativa e nei controlli di gestione.
Sarà necessario che ciascuna componente sviluppi sempre il dominio del presente, la esigen-
za di condurre un’azione coordinata e collettiva basata sulla visione di come gestire oggi, indivi-
duando le opportunità vincenti e prestando la dovuta attenzione alle diverse attrattive. In questo
senso è importante distinguere fra rapporti orizzontali, che definiscono e mettono in evidenza le
strategie interne, e rapporti verticali, necessari a sintonizzarsi con le mutevoli realtà esterne.
In secondo luogo sarà sempre necessaria la programmazione del futuro nel cui scenario l’in-
gresso può esser consentito ed anche accelerato soprattutto dal contributo che ciascuno di noi
deve portare per cambiare una cultura che ancor vede nel cambiamento una minaccia anziché
una opportunità. E’, infatti, chiaro che le opportunità non si conquistano opponendo ostacoli al
cambiamento e difendendo un passato che non abbia futuro; le opportunità si conquistano solo se
ciascuno, nel proprio ambito di responsabilità, è capace di cogliere correttamente il significato e
la portata delle nuove sfide e di affrontare con coraggio i costi e i rischi del cambiamento.
180
Note
1
Si può scegliere tra due grandi famiglie di fornitori: quella rivolta alle aziende e quella rivolta ai privati. I
primi hanno un costo variabile tra le 200mila lire e i 2 milioni al’ anno, a seconda dei servizi richiesti. I
secondi forniscono abbonamenti ai servizi telematici italiani in contatto con Internet a un canone annuo
variabile dalle 60 alle 200 mila lire.
2
Ed in parte si sta già attuando, ad esempio: Conferenza Onu sulla donna, Pechino 1995.
3
Nicholas Negroponte, Media Lab. di Boston, U.S.A.
4
Gli indicatori sulle dotazioni tecniche nelle scuole superiori (indagine a campione) rivelano che:
a) Il numero di studenti per ogni macchina fotocopiatrice è di: 237,25 nei Licei e nei Magistrali; 197,17 nel
Liceo artistico; 206,29 negli Istituti professionali; 245,12 negli Istituti tecnici; per una media complessiva di
231,52;
b) il numero di studenti per ogni computer destinato ad attività didattica è di: 37,95 nei Licei e nei Magistrali;
45,58 nel Liceo artistico; 15,12 negli Istituti professionali; 17,4 negli Istituti tecnici; per una media comples-
siva di 24,14.
Fonte: indagine Censis-Cnel, anno scolastico 1993-94 (i dati si riferiscono ai primi 570 questionari elaborati
sui 1600 pervenuti dalle scuole).
5
Giuliano Beretta, direttore commerciale Eutelstat
6
Servizi per i quali i telespettatori sono disposti a pagare un supplemento (dati percentuali; fonte: Inteco):
Film senza alcuna pubblicità: Gran Bretagna 39, Italia 57, Francia 70, Germania 49;
Ampia possibilità di scelta dei programmi multimediali interattivi: Gran Bretagna 60; Italia 47; Francia 82;
Germania 45;
Possibilità di decidere l’ora di inizio del programma scelto: Gran Bretagna 28; Italia 25; Francia 69; Germa-
nia 30;
Possibilità di vedere le anteprime dei film: Gran Bretagna 40; Italia 43; Francia 80; Germania 41.
7
Percentuale di persone “molto interessate” alla Tv interattiva (Vod): Gran Bretagna 19; Italia 101; Francia
19; Germania 12; U.S.A. 43;
Percentuale di proprietari di videoregistratori che noleggiano almeno un film al mese: Gran
Bretagna 37; Italia 39; Francia 29; Germania 35; U.S.A. 75;
Percentuale di telespettatori che programmano il videoregistratore parecchie volte la settimana: Gran Bretagna
60; Italia 28; Francia 40; Germania 32; U.S.A. 26.
Fonte: Inteco
8
Consumi giornalieri di Tv nel 194, espressi in minuti pro capite, in alcuni Paesi europei (Fonte: Carat-Tv
Minibook 1994): Gran Bretagna 230,6; Spagna 198,2; Italia 197,3 Germania 193,3; Francia 185,2; Media
europea 185,4.
9
Dati di utilizzo in percentuale di satellite e cavo rispetto alla diffusione degli apparecchi televisivi
(Fonte: elaborazioni del Sole-24 Ore su dati Frost and Sullivan, Dataquest, Datamonitor, Alcatel):
Satellite
1994: Germania 25, Gran Bretagna 20, U.S.A. 10, Francia 8, Olanda 4, Italia 1;
1997(previsioni): Gran Bretagna 35,Germania 34,U.S.A. 10, Italia 1O,Francia 9, Olanda 6
Cavo
1994: Olanda 82, U.S.A. 65, Germania 45, Francia 15, Gran Bretagna 15, Italia 0;
1997 (previsioni): Olanda 85, USA 70, Germania 48, Gran Bretagna 30, Francia 23, Italia 8.
10
Mercato del cavo in Europa occidentale dal 1993 al 2003 (Fonte: Cit Research):
Famiglie con Tv (in milioni): 155 nel 1993, 161 nel 1995, 166 nel 1997, 175 nel 2001, 179 nel 2003;
Famiglie con Tv cavo (in milioni): 32 nel 1993, 38 nel 1995, 43 nel 1997,52 nel 2001, 55 nel 2003;
Renetrazione Tv cavo (in % su case con Tv): 21 nel 1993, 23 nel 1995, 26 nel 1997, 30 nel 2001, 31 nel 2003;
Penetrazione Pay-Tv (in % su case con Tv): 7 nel 1993, 9 nel 1995, 12 nel 1997,16 nel 2001, 18 nel 2003.
11
Ricerca Inteco.
12
Sartori.
13
B.Miccio, Consigliere RAI.
14
Giulio Carminati, Responsabile Studi e Ricerche RAI.
15
Investimenti in informatica delle industrie italiane espressi in miliardi di lire (Fonte Teknibank per Osserva-
torio Smau 1995): 4199 nel 1993,4173 nel 1994 e 4882 nel ’95. Gli investimenti delle aziende fino a 99
addetti hanno registrato un incremento dello 1,8% nel 1994 rispetto al 1993 e del 40% nel 1995 rispetto al
181
1994. Gli investimenti delle aziende da 100 a 499 addetti hanno registrato un decremento dell’0,8% nel
1994/93 ed un incremento dell’1,4% nel 1995/94.
Gli investimenti delle aziende con 500 ed oltre addetti hanno registrato una flessione del 3,1% nel 1994/93
ed un incremento dell’1,9% nel 1995/94. Complessivamente gli investimenti dei tre comparti hanno regi-
strato una flessione del 10,6% nel 1994/93 ed un incremento del 2,7% nel 1995/94.
16
Giovanna Scarpitti, sociologa, Società Italiana Telelavoro.
17
Carlo De Benedetti, presidente Olivetti.
18
Ettore Pietrabissa, direttore centrali ABI. Nona conferenza di IPACRI su “I nuovi orizzonti nelle relazioni
banche-clienti” (Barcellona, 1995).
19
Ricerca dell’ABI, Associazione Bancaria Italiana, illustrata da Fernando Fabiano, responsabile del Servizio
automazione interbancaria dell’ABI, al Convegno su “ L’informatica nelle banche: stato dell’arte e prospet-
tive” (Roma, 1995).
20
Fonte: Nomos Ricerca.
21
Fonte: Andersen Consulting.
22
Andrea Corbella, Vice direttore generale Banca Popolare di Milano.
23
Alberto Crippa, Vice direttore generale CARIPLO.
24
Fabio Chiusa, Direttore generale IPACRI.
25
Anna Maria Llopis, Open Bank.
26
Costantino Lauria, dirigente Servizio Antiriciclaggio Ministero del Tesoro - Convegno Assofiduciaria su
aggiornamento delle istruzioni per la lotta al riciclaggio (Roma,1995).
27
Carlo Pisanti, funzionario Settore Normativo Ufficio Vigilanza Banca d’Italia.
28
Fonte: Commerce dept., Killen and Associates-Business Week.
29
Pierfrancesco Gaggi, coordinatore del gruppo di lavoro dell’ABI.
30
Tommaso Padoa Schioppa .
31
Ettore Pietrabissa, direttore centrale ABI.
32
Elserino Piol, Presidente Olivetti-Telemedia.
33
Libro mutante, Ipertesto: si comincia il primo breve capitolo, poi si sceglie subito, a un bivio elettronico, se
proseguire all’antica con pagina 2, oppure soffermarsi su una delle parole del testo, schiacciare un tasto
quando il cursore del computer la incontra sullo schermo e di li balzare a una pagina collegata, seguendo una
storia nella storia, un sentiero che si biforca cento volte. Per tornare poi alla storia principale, oppure lasciar-
la in cambio di altre.
34
Il Sole-24 Ore è attivo anche su Audiotel con informazioni di Borsa e di tipo normativo.
35
Fonte: Informatica pubblica.
36
Giancarlo Scatassa, dirigente generale Ministero Funzione Pubblica.
37
Guido Rey, Presidente A.I.P.A.
38
Fonte: Ministero Pubblica Istruzione.
39
Fulvio Berghella, vice direttore generale ISTINFORM (Istituto Consulenza Bancaria) e responsabile Security
Net, che collega oltre 300 aziende fornendo servizi per la prevenzione contro il computer crime.
40
Dati Security Net.
41
Il gruppo di specialisti in materia costituito dall’Associazione italiana per il calcolo automatico (Aica) inten-
de proporsi, per l’appunto, come osservatorio sull’impiego dei sistemi di sicurezza e diventare al tempo
stesso un punto d’incontro e discussione su questi temi fra utenti, costruttori e ricercatori.
42
Sicurforum Italia-F.T.I.: Giornate di studio “La sicurezza informatica: il progetto intersettoriale A.I.P.A.11,
Roma 1995.
43
Vedasi appendice legislativa.
44
Giusella Finocchiaro.
45
Guido Rey, Presidente A.I.P.A., Convegno Technimedia su “Comportamenti e norme nella società vulnera-
bile” nell’ambito del Forum multimediale “La società dell’informazione” (Libera Università Studi Sociali
“Guido Carli” - 1995).
46
Martino Pompilj, dirigente Confindustria.
47
Angelo Mancusi, presidente Infocamere.
48
Dossier pubblico ANASIN sull’eccesso di privacy.
49
Herschel Fink, U.S.A.
50
Electronic Frontier Foundation.
51
Giuseppe Verrini, presidente Task force antipirateria di BSA Italia.
52
Giuseppe Pirillo, presidente Gruppo Informatici Tecnico-Giuridici.
53
Mario Monti, Commissario al Mercato Interno U.E.
182
54
Esempio: in Italia accordo Telecom (agosto 1995).
55
Jacques Santer, Presidente Commissione Europea: relazione di apertura G7 (Bruxelles, 24.2.1995).
56
Fonte: Commissione Europea.
57
Fabio Cammarano, Amministratore delegato Saritel.
58
Fonte: Pat McGovern, presidente e amministratore delegato di Ide, che ha aperto i lavori dell’European It
Forum organizzato nel 1995 a Parigi.
59
Fonte: elaborazioni e stime Nomos Ricerca su fonti varie.
60
Fonte: Eito, Dataquest, Ide - 60/B. Fonte: Nomos Ricerca-Assinform.
61
Fonte: Eito ’95.
62
Fonte: Eito 1995.
63
Fonte: Dataquest.
64
Fonte: Direzione generale Intel, 1995.
65
Fonte: Osservatorio Smau.
66
Fonte: Assinform-Nomos Ricerca.
67
Fonte: Assinform-Nomos Ricerca.
68
Fonte: Assinform-Nomos Ricerca.
69
Fonte: Ide Italia.
70
Fonte: Ed. Zander, Amministratore delegato Sun Microsystem (Madrid, 1995).
71
Fonte: Eito ’95.
72
Fonte: Gartner Group
73
Stime Teknibank, società di analisi e consulenza italiana nel settore delle Tlc.
74
Fonte: OVUM.
75
Fonte: Associazione Italiana Internet Providers.
76
Elaborata da Charles Sanders Peirce.
77
Paolo Parrini - “Conoscenza e realtà. Saggio di filosofia positiva” - Laterza, Bari 1995 .
78
ABS. e/o Rif. “Evangelium Vitae” 21+24, Enciclica S. S. Giovanni Paolo II (1995).
79
ABS e/o Rif. “Criteri di collaborazione ecumenica ed interreligiosa nel campo delle comunicazioni sociali”,
15+17, 21+23 Pontificio Consiglio delle Comunicazioni sociali (1989).
80
ABS e/o Rif. “Le università cattoliche” 5,7,17,18, Costituzione apostolica S.S.Giovanni Paolo II (1990).
183
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M. ZE, Anche l’Unione Europea si organizza per l’utente - Sole 21/9/95.
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Raimondo Villano - Impatto spaziale e problemi urbanistici delle nuove TLC

  • 1.
  • 2. 3 ROTARY INTERNATIONAL DISTRETTO 2100 ITALIA Service Above Self - He Profit Most Who Serves Best Raimondo Villano Verso la società globale dell’informazione A. R. 2000-2001
  • 3. 4 L’elaborazione e la scrittura di questo testo è stata ultimata nel mese di maggio 1996. © Rotary International - Club Pompei Oplonti Vesuvio Est Elaborazione, impaginazione e correzioni a cura di Raimondo Villano Edizioni Eidos, Castellammare di Stabia (Na)
  • 4. 5 Indice Presentazione 7 Prefazione 9 CAPITOLO I Analisi settoriale delle principali applicazioni telematiche 11 CAPITOLO II Analisi settoriale dei problemi tecnici di applicazione e/o sviluppo delle tecnologie informatiche 33 CAPITOLO III Sicurezza e reati informatici: problemi tecnici, giuridici e normativi 85 CAPITOLO IV Problematiche ed azioni politiche 113 CAPITOLO V Politica, attività e problematiche delle imprese del settore informatico 135 CAPITOLO VI Stime di mercato 149 CAPITOLO VII Aspetti filosofici, morali ed esistenziali 155 CAPITOLO VIII Impatto spaziale. Problemi urbanistici 163 CAPITOLO IX Impatto sociale 169 Conclusioni 177 Note 180 Bibliografia 183
  • 5. 7 Presentazione Un grande dono offerto con grande umiltà. Ecco come si può definire questa lunga e non lieve fatica di Raimondo Villano, il quale, per mero spirito di servizio e non certo per ambizioni accademiche, ha voluto assumere la parte e l’ufficio di mediatore tra una materia intrinsecamente complessa e in rapida evolu- zione e la gran massa di coloro che, in numero e in misura crescenti, son destinati a fare i conti con essa, anche se non per loro scelta. Il discorso sull’attuale società dell’informazione è tanto diffuso, che rischia di apparire un luogo comune. Ma proprio il fatto di essere comune comporta la necessità che se ne conoscano, sia pure a grandi linee ma non superficialmente, contenuti metodi e finalità non con la pretesa di dominare il nuovo universo disciplinare ma con il legittimo desiderio di non esserne dominati e manipolati. La nuova realtà creata dalla scienza informatica ed elettronica ha profondamente mutato, abbreviandole fin quasi a cancellarle, le tradizionali coordinate spaziali e temporali dell’umano agire e comunicare, costringendo anche menta- lità e abitudini a rapidi processi di adattamento. Quando gli adattamenti ci sono stati (con o senza traumi conta poco), si son ritrovati enormemente accresciuti i poteri di ciascun individuo di mettersi in relazione con gli altri e quindi di moltiplicare, attraverso lo scambio di informazioni, le occasioni e le modalità della crescita globale della personalità. Quando, invece, gli adattamenti non sono stati nep- pure tentati o, se avviati, non hanno creato le sperate abilità, s’è avvertita una progressiva emerginazione dal flusso delle informazioni e s’è instaurata la non felice condizione di do- ver utilizzare informazioni manipolate da altri o comunque di seconda mano. Ecco perché oggi non è più possibile scegliere tra l’adesione alla nuova realtà e il rifiuto di essa. Nella società dell’informazione ci siamo già e, ci piaccia o no, l’unica libertà di scelta che rimane è tra il rassegnarsi a subirla o il prepararsi a guidarla. E l’uomo, se non vuole abdicare alla propria dignità, non può non provvedere in tempo alla propria libertà con lo scegliere la seconda ipotesi. È davvero un Giano bifronte quello che sfida l’uomo contemporaneo a scelte difficili e irrevocabili: esso promette e fa intravvedere un gran bene, ma contiene anche, occulte, le insidie di un gran male. Ancora una volta, come all’inizio della storia, l’uomo deve vivere e risolvere dentro di sé l’eterno dramma della scelta. Ma in ogni caso la via resta sempre una: quella della cono- scenza. Per accettare o per respingere. * * * L’autore non chiude gli occhi di fronte ai problemi che vien ponendo all’uomo di oggi la trasformazione in atto della società. Al contrario: li fa suoi, quei problemi, e, pur con le debite cautele e riserve, assume coraggiosamente posizione a favore della prospettiva di cambiamento, ovviamente governato e diretto dall’uomo. Il cap. VII, in particolare, con- tiene una diligente e accurata disamina del pensiero filosofico contemporaneo nel suo
  • 6. 8 misurarsi con la tecnologia informatica e con i problemi ch’essa pone alla perplessa intel- ligenza e all’ancor più perplessa sensibilità degli uomini. Sembra proprio che l’intera civiltà occidentale, di plurimillenaria durata, sia giunta ad una svolta decisiva del suo cammino: la macchina, che pur è frutto dell’umano pensiero, ne incrementa ed amplifica le potenzialità in misura incredibile e imprevedibile, ma restano molto difformi da essa i ritmi con cui le masse degli uomini si adeguano alle nuove possibi- lità operative. È come se l’immensa eredità della storia dell’umana intelligenza e ricerca oggi costituisse una remora o un gravame per l’uomo dannato al cambiamento: questo c’è sempre stato, ma, per i ritmi che ne scandivano il processo, è stato sempre agevolmente “metabolizzato” dall’uomo. Oggi è l’incalzante rapidità dei processi innovativi che mette a nudo la lentezza dell’adeguamento dell’uomo e della sua struttura psichica e mentale. Ed è proprio lì, nello scarto tra le due velocità, che si annida il rischio: la liberazione dalla ripetitività meccanica di certe operazioni, offerta dalla macchina, potrebbe tramutarsi in un forma sconosciuta di asservimento delle masse. Da parte di chi? e a vantaggio di chi? Se a questo punto della riflessione interviene l’inevitabile avvertimento di tener sempre l’uomo come fine, ecco che ammonitore si leva il passato con tutto il fascino dei valori ch’esso ha creati e consegnati alla nostra coscienza e alla nostra responsabilità. Il cammino verso il nuovo è inarrestabile. L’augurio è che l’uomo sappia percorrerlo con saggezza, con coraggio e con umiltà, traghettando sempre nei nuovi approdi l’eredità delle passate gene- razioni, in virtù della quale egli può ancora riconoscersi e dirsi uomo. La riflessione dell’autore su tutta quest’area problematica dura da alcuni anni, nel cor- so dei quali egli ne ha fatto partecipi gli amici rotariani del suo club con la generosità di chi mette a vantaggio degli altri la propria fatica e con l’umiltà di chi sente il proprio dono inadeguato al sentimento che lo muove e lo accompagna. Alcune tappe di questo fecondo e costante rapporto della silenziosa operosità del singolo con la vita del gruppo sono state contrassegnate da concrete proposte di notevole utilità e rilevanza sociale: ricordo le validissime indicazioni sull’organizzazione del servizio sanita- rio e dell’assistenza agli anziani, sull’orientamento dei giovani nella scelta degli studi uni- versitari e nella ricerca del lavoro nonché le preziose applicazioni della razionalità infor- matica alla sistemazione dell’archivio del Distretto 2100 del R.I. Di tutta l’esperienza acquisita e della conoscenza accumulata nell’itinerario degli ultimi anni quest’opera rappresenta la “summa”, della quale non saprei se apprezzare di più l’ampiez- za della materia trattata o lo sforzo di renderla accessibile alla comprensione di persone sforni- te di competenza specifica ma dotate di buona volontà, quali son certamente i Rotariani. A me, che ho avuto più volte l’occasione di apprezzare la serietà dell’impegno professio- nale e civile dell’autore, piace concludere questa presentazione col notare ch’egli, nel delineare l’avvento del nuovo universalismo tecnologico come versione contempora- nea degli universalismi classici (cristiano, umanistico, razionalistico), ha saputo far sua la pedagogia rotariana dell’uomo come fine. Gennaio 2000 Antonio Carosella
  • 7. 9 Prefazione Il presente lavoro è scaturito dall’analisi, a mano a mano sem- pre più approfondita, degli aspetti e delle problematiche della so- cietà globale dell’informazione, condotta sulla scorta di numerosi testi e pubblicazioni, tra le quali ultime mi piace ricordare qui il prestigioso quotidiano nazionale IL SOLE 24 ORE, che al fenome- no delle telecomunicazioni riserva con costanza la sua ben nota e non superficiale attenzione. A me pare, invero, ch’esso, pur senza la pretesa di essere esau- stivo in una materia oltremodo complessa a causa dell’intrinseca multifattorialità e polivalenza nonché della magmatica evoluzione del fenomeno, possa tuttavia divenire un utile strumento di ulterio- re comprensione e punto di partenza per l’aggiornamento delle co- noscenze. Ciò a beneficio di una platea non di addetti ai lavori ma di sog- getti di buona volontà, che con attenzione, sensibilità e sollecitudi- ne recano il loro tassello, piccolo ma pur sempre prezioso, alla gran- de opera collettiva dell’edificazione della società contemporanea. Raimondo Villano
  • 8. 163 CAPITOLO VIII Impatto spaziale. Problemi urbanistici L’introduzione di nuove tecnologie nei processi produttivi, nei prodotti, nei servizi, sta cam- biando ad un ritmo sempre più accelerato i comportamenti sociali e le relazioni tra i diversi soggetti. Ciò dà luogo al modificarsi delle interazioni spaziali che tendono ad evolvere verso nuove forme di organizzazione sempre più complesse. Cambiano, infatti, non solo i tradizionali fattori di localizzazione delle imprese, delle residenze e dei servizi ma anche l’uso del tempo libero, provocando nuove forme di congestione e ancora, cambiano le strutture, con economie di scala che le attuali tecnologie tendono a ridurre, mettendo in moto processi di accentramento o di decentramento motivati da elementi finora non determinati. Ma, soprattutto, ciò che inizialmente rappresentava soltanto una intuizione, ovvero il legame stretto che intercorre fra territorio e telecomunicazioni, arricchendosi di numerosi contributi scien- tifici, si configura oggi come ipotesi di lavoro di notevole rilievo sulla quale impegnarsi colletti- vamente per la realizzazione di un progetto di ridisegno territoriale: la città cablata. Questa è un’idea nata dalla convinzione che, attraverso un uso corretto dell’innovazione tec- nologica, si può ottenere il ridisegno formale e la semplificazione dei problemi relativi all’orga- nizzazione ed alla gestione del territorio concorrendo all’innalzamento del grado di vivibilità, di sicurezza e di efficienza dei sistemi urbani e rendendone, quindi, possibile la governabilità e la stessa sopravvivenza umana. Il rapporto risorse-esigenze, infatti, tende sempre più a squilibrarsi rendendo più ardua la risposta, in termini adeguati, alla “domanda” che nasce sulla città e nel territorio, soprattutto in conseguenza della localizzazione casuale delle funzioni, del fenomeno dello spontaneismo e dell’immobilismo, che hanno innestato processi di concentrazione e talora di degrado, e la ge- stione empirica delle stesse. Attualmente la configurazione di molte aree metropolitane, inoltre, può essere assimilata a quella di un arcipelago: un’alta concentrazione di strutture urbane, spesso di dimensioni consi- derevoli, sviluppata sulla base di successive espansioni realizzate seguendo la logica della ca- sualità e, non di rado, degli interessi speculativi. Il risultato di tale sviluppo è stato la formazione di un sistema di nuclei urbani non interrelato e contraddistinto da un rapporto squilibrato fra i livelli demografici e la “densità sociale”. A tale fenomeno sovente vanno sommate le conseguenze del deficitario rapporto esistente fra infrastrutture urbane, attrezzature e popolazione servita all’interno delle aree metropolitane: si finisce per sovraccaricare il centro cittadino di una “domanda” di servizi cui l’hinterland non è in grado di rispondere. Ma per capire quale destino avrà la città dell’era post-industriale occorre innanzitutto com- prendere quali forze, indirizzi e tendenze si agitano nella complessità del presente. La città, nel corso dei secoli, è stata sempre il luogo della espressione e della celebrazione dell’interesse collettivo. Questo è il principio verso il quale si è sempre indirizzata la pianificazione. Il risulta- to, però, non è stato sempre quello desiderato. Anzi, attualmente l’immagine della città tende a scomparire e con essa la sua identità; il territorio sembra aver smarrito ogni traccia di organizza- zione; regna indisturbata la “crescita senza sviluppo”.
  • 9. 164 Questa situazione determina una elevata mobilità quotidiana sul territorio metropolitano che l’insufficiente sistema infrastrutturale portante dell’area non riesce sempre a smaltire. La conseguente congestione evidenzia il dato di fondo: le diverse destinazioni d’uso, distribuite nel territorio, non seguono una logica di piano ma risultano essere il frutto di allocazioni casuali, spesso contraddittorie, e che possono essere origine di ulteriori effetti distorcenti sul sistema insediativo come l’inquinamento, il degrado ambientale, il basso livello di vivibilità. Emerge allora, sulla base di quanto esposto, l’esigenza di organizzare un nuovo quadro di riferimento territoriale attraverso il quale modificare e riorganizzare i rapporti funzionali esisten- ti fra i vari elementi del sistema territoriale con l’obiettivo di utilizzare impianti, strutture, tradizioni e potenziale economico-produttivo, adottando la politica del recupero e della valorizzazione del- le risorse, delle energie e delle situazioni pregresse presenti nel territorio. Tutto ciò in linea con il concetto che l’azione del recupero non è separata da quella del riuso. Da questi dati occorre partire per costruire la città futura. L’adozione delle tecnologie telematiche e informatiche dovrebbe consentire il passaggio dell’accettazione consuetudinaria e fatalistica della “domanda” ad una fase di regolazione e semplificazione della stessa. Siamo infatti ad un momento di svolta nella storia della città che, in modo icastico, può dirsi di svolta dalla città dell’automobile alla città dell’elettronica. L’idea di città cablata solleva, quindi, tanti problemi ma anche qualche certezza. I problemi sono relativi alla diversa concezione che dovremo sviluppare dello spazio fisico da ristrutturare, del tempo da contrarre e dell’innovazione tecnologica da governare e razionalizzare; ciò compor- terà l’impegno di prevedere e di approfondire i probabili “impatti” che lo sviluppo e la diffusione delle nuove tecnologie determineranno nella città e sul territorio. Occorre valutare l’impatto spaziale procurato dall’inserimento di una nuova rete di telecomu- nicazioni, realizzata con il supporto delle fibre ottiche, nel disegno di piano. Lo sviluppo della telematica offre l’opportunità di liberare le attività e gli stessi rapporti umani dai vincoli della prossimità spaziale e rappresenta un potenziale fattore di decentramento. La modificazione del- le tradizionali reti di trasporto sul territorio prefigura nuove possibilità di concentrazioni spaziali, mettendo in discussione le attuali motivazioni di esistenza della città basate su criteri di centralità. Si avrà, quindi, una società in cui il tempo libero sarà di gran lunga superiore a quello lavorativo e sarà fattore principale di mobilità. Si può ipotizzare che la società del 2000 sarà composta da una popolazione “stanziale” e da una “nomade” tra le quali agirà da mediatrice la classe degli addetti nel terziario. Il lavoro extra-meccanico (intellettuale, dirigenziale, di ricerca) si svolgerà presso la resi- denza nella quale verranno concentrate tutte le attività umane. Bisogna evitare l’errore dell’urbanistica contemporanea che ha contrapposto aree centrali, altamente qualificate ed at- trezzate, alla periferia povera e senza connotati urbani. Emerge la necessità di realizzare luoghi di incontro nei punti nodali e di contatto fra l’habitat degli “stanziali” e quello dei “nomadi” per consentire uno sviluppo adeguato della città telematica. Un fenomeno certamente da prendere in considerazione è la cosiddetta “rivoluzione dei colletti bianchi” che determina una notevole concentrazione, nei centri urbani, di attività lavo- rative legate al terziario avanzato. Tali attività sono indirizzate allo svolgimento delle funzioni direttive, di consulenza e di elabora- zionedelleinformazioniechestannoconfigurandounnuovosettoreproduttivodefinito“quaternario”. Di contro, vanno individuati la nuova logistica industriale e trasporto merci, i nuovi rapporti e vincoli tra localizzazioni industriali e residenziali e i nuovi comportamenti localizzativi delle imprese. Ovviamente lo studio di modelli di sviluppo è tutt’altro che semplice a causa, in primo luogo, del ritmo con cui l’innovazione viene prodotta, diffusa e utilizzata dalle imprese, dai
  • 10. 165 servizi e dai cittadini che conferisce ai processi una dinamica sempre più accelerata che rende difficile l’attuazione di politiche di governo del sistema volte alla eliminazione o, quantomeno, all’attenuazione delle esternabilità negative inevitabili in ogni processo di trasformazione; in secondo luogo a causa del ritardo accumulato da un Paese in alcuni settori strategici, e ciò non tanto e non solo rispetto alla introduzione dell’innovazione nei processi produttivi o nei prodotti, quanto soprattutto nel campo dei servizi ai cittadini. Nell’ambito del ridisegno urbano, dunque, elementi importanti da considerare per la proget- tazione sono: l’importanza sempre maggiore che la cultura e le strutture educative assumono nelle città dove si sviluppano funzioni quaternarie e l’attenzione crescente verso una maggiore qualità della vita richiesta nei centri urbani aventi funzioni direttive e culturali, legata alle spe- cifiche istanze di una forza di lavoro particolarmente qualificata. Fra le trasformazioni attuali più significative due sembrano rilevanti: la riduzione dello spa- zio occupato dalle attività produttive, e la disseminazione e la dispersione degli insediamenti residenziali sul territorio. Ad esse bisogna affiancare i fenomeni che hanno accompagnato l’urbanizzazione negli ulti- mi decenni quali l’abusivismo, il degrado ed ancora la ingovernabilità dell’azienda città. Emerge una domanda concreta di pianificazione indirizzata al controllo e alla gestione dei feno- meni urbani che sia però innovativa rispetto a quella tradizionale. Una pianificazione che sia soprat- tutto indirizzata al recupero dell’esistente e alla tutela e valorizzazione del patrimonio ambientale. Bisogna combattere contro due tendenze attuali che vorrebbero indirizzare la nuova pianifi- cazione o verso un riassetto territoriale determinato da una ridistribuzione delle “grandi opere infrastrutturali” o verso un’espansione della motorizzazione individuale. Questi indirizzi che si vogliono dare allo sviluppo del fenomeno urbano futuro possono de- terminare un’ulteriore esasperazione dei problemi attuali. La strada da percorrere è diversa. Quando la comunicazione avviene a distanza, attraverso un terzo elemento che media e supporta la relazione, si ha l’illusione del superamento della barriera senza che questo sia concretizzato nella pratica; si ha nell’immaginario la sensazione di essere in uno spazio diverso da quello nel quale si è realmente. L’applicazione di questo concetto allo spazio urbano, nel quale ogni uomo trova la propria identità collettiva e nel quale ha riposto la propria memoria storica, porta alla formulazione di un’ipotesi di neutralità locativa delle parti della città; si può vivere nella periferia con l’illusione di vivere nel centro. Questo è reso possibile dal poter afferire agli stessi servizi negli stessi tempi e dal partecipare alla medesima vita sociale mediante la “trasmissione” di un mondo di immagini. Due questioni fondamentali guidano tutto lo studio: può la telematica essere uno strumento di governo del territorio? E quale aiuto le nuove tecnologie possono apportare alla decentralizzazione delle attività e del potere decisionale e allo sviluppo delle zone rurali? In risposta a queste domande esistono due tendenze diverse: una asserisce che dal punto di vista tecnico la telematica rende possibile la decentralizzazione; l’altra osserva che le domande disponibili fino ad oggi non confermano tale tendenza, ma al contrario, i segnali di un rinforzamento nella centralizzazione devono essere seriamente considerati. Con il progresso, infatti, che le TLC hanno apportato ai processi di trasmissione a distanza, la “prossimità fisica” non è più una condizione necessaria per soddisfare i bisogni di scambio di informazioni essendo attuabile il fenomeno della “prossimità informatica” che determina l’indiffe- renza dei tempi occorrenti per comunicare da un punto all’altro del territorio. Sviluppo delle TLC, pertanto, significa accrescimento delle possibilità di decentramento del- le attività produttive, in particolare proprio per quei settori che richiedono tempi veloci nello scambio di un flusso massiccio di informazioni e che non pongono come vincolante la necessità
  • 11. 166 della prossimità fisica. Altri fattori che favoriscono la decentralizzazione sono il risparmio del consumo di energia, le possibilità di telelavoro e, soprattutto, la mancanza di vincolo territoriale tradizionale nella scelta ubicativa. Il superamento della concentrazione spaziale quale fattore fondamentale è determinato, dun- que, molte volte dalla facilità e dalla convenienza di separare le diverse unità di produzione, distribuzione e direzione. Notevole importanza viene a rivestire, così, lo spazio dei flussi, anzi- ché quello dei luoghi. Malgrado tutte queste previsioni favorevoli rispetto al tema della centralizzazione o decentralizzazione degli insediamenti urbani, le prime esperienze con risultati di studi econo- mici riferiti a realtà produttive sembrerebbero indicare la tendenza alla polarizzazione, intorno ad aree già attrezzate, delle attività produttive legate al trattamento e allo scambio di informa- zioni, per cui si sviluppa un grosso processo di concentrazione di centri raccolta dati nonché di banche-dati. La conseguenza più immediata di tale fenomeno risiede nella crescita del divario, già esistente, fra aree sviluppate ed altamente tecnologizzate ed aree più arretrate, contraddistinte da un minore livello di crescita economica. Tra gli elementi fondamentali che possono favorire questo tipo di orientamento sicuramente hanno un ruolo significativo i costi di installazione della rete telematica distributiva e le carat- teristiche tecnologiche della stessa nel caso in cui la configurino come una applicazione a scala locale.Alcune ricerche tendono, inoltre, a dimostrare l’esistenza di un processo di centralizzazione delle attività produttive di carattere manageriale e direzionale, mentre la decentralizzazione è legata soltanto alle attività economiche di ordinaria programmazione. Negli Stati Uniti, poi, sono stati condotti studi per indagare sui fattori che favoriscono la concentrazione spaziale delle attività terziarie e sono stati individuati tre fenomeni principali rappresentati dalla rivalorizzazione dei centri di formazione professionale e delle strutture edu- cative, dall’aumento del livello della qualità della vita e dall’assenza totale del decentramento delle attività terziarie. La diversità delle risposte fornite dalle varie ricerche condotte può essere spiegata introdu- cendo questo concetto: il particolare contesto politico, economico e culturale nel quale le nuove tecnologie di telecomunicazioni vengono calate finisce per determinare, a seconda delle realtà, trasformazioni diverse e fenomeni apparentemente incompatibili fra loro. Seguendo il filo di tale discorso si può affermare che i nuovi sistemi di telecomunicazioni accrescono la funzione accentatrice di strutture urbane già attrezzate in questo senso, mentre per realtà meno sviluppa- te, come quelle rurali, consolidano la distribuzione spaziale e ricoprono un ruolo integrativo alle tradizionali strutture sociali. La concentrazione spaziale, ancora, è nella visione di Gottman determinata dal proliferare delle attività del settore “quaternario”, comprendente funzioni direttive, di consulenza e di elabora- zione delle informazioni nonché funzioni legislative, giuridiche, commerciali e culturali, cui si deve la vitalità dei centri urbani, fra i quali tendono a verificarsi nuovi rapporti di complementarietà. Lo studioso evidenzia, quindi, come alcune trasformazioni tecniche e di mercato abbiano finito col centralizzare le più sofisticate attività manageriali e direzionali mentre si decentralizzano quelle di ordinaria programmazione. Inoltre, alcune ricerche svolte in Germania, alle quali Turke fa ampio riferimento, hanno cercato di comprendere gli eventuali effetti centralizzanti o decen- tralizzanti prodotti dai nuovi “media”, nonché il loro ruolo nel modificare il mercato del lavoro e l’attuale divario fra aree urbane e aree rurali. Ciò che risulta è una notevole ambivalenza delle telecomunicazioni che, pur possedendo un innegabile potenziale di decentramento, producono anche fenomeni di concentrazione in relazione alla disponibilità sociale ad accettare i nuovi prodotti e processi economici, ovvero una nuova struttura del lavoro. In conclusione sembra di poter affermare che la telematica, pur offrendo potenzialmente la possibilità di delocalizzazione, incentiva invece la tendenza alla concentrazione in una stessa
  • 12. 167 area di attività similari; ciò è deducibile anche dagli esempi americani, giapponesi ed europei (primi fra tutti, per dimensione e per realizzazione, Silicon Valleye e Silicon Glen) con la realizza- zione di isole ottiche, poli tecnologici o parchi scientifici. Appare, pertanto, quanto mai opportuno evitare che si amplifichi un siffatto modello tendenziale che con la presenza del terziario avanzato va ad aumentare il divario spesso già forte fra zone depresse e zone sviluppate di un Paese. Prevedere con anticipo l’assetto insediativo cui tende la società cosiddetta post-industriale non è vano tentativo di profezie né indebita invasione nel dominio della futurologia, bensì indispen- sabile “momento” della riflessione sul progetto di piano territoriale. Valga per tutti l’esempio dei danni prodotti dal mancato o a volte tardivo adeguamento delle strutture” insediative, vecchie e nuove, alla diffusione generalizzata del mezzo di trasporto indi- viduale. Strade bloccate, città che scoppiano, inquinamento, diseconomie da congestione potreb- bero presto diventare il corrispettivo “storico” di un’altra disfunzione, questa volta di segno opposto, conseguente alla mancata previsione dei nuovi modelli di vita e di uso degli spazi urba- ni indotti dalla diffusione, presto altrettanto generalizzata, del mezzo di comunicazione individuale a distanza. In virtù di essa, le grandi infrastrutture territoriali che ancora si progettano per rispon- dere alla domanda di servizi concentrata nelle grandi città e negli agglomerati metropolitani potrebbero in breve tempo risultare obsolete, sotto-utilizzate o addirittura inutili e comunque superate dall’effetto “disperdente” prevedibile da parte di una società cablata. La conoscenza per quanto possibile anticipata e comunque tempestiva degli assetti territo- riali da governare è, inoltre, molto importante per la predisposizione di interventi in risposta a domande a volte latenti e per lungo tempo inespresse ma che d’un tratto emergono e condizio- nano fortemente lo sviluppo dei nostri territori. In tale contesto l’uso della telematica non è soltanto finalizzato al recupero dell’esistente ma agisce anche da deterrente nei confronti dell’elevata “domanda” che si sviluppa all’interno del- l’area metropolitana contribuendo, in maniera determinante, alla razionalizzazione dell’offerta. Far sì che l’innovazione tecnologica contribuisca alla crescita civile significa ridisegnare la città nella quale viviamo ed è per questo motivo che il nuovo disegno va sperimentato: per evitare che la civiltà dell’elettronica sia subita come è avvenuto per la civiltà dell’automobile. E’ inevitabile, allora, passare attraverso una fase di sperimentazione di tipo progettuale su aree metropolitane significative; e il discorso vale soprattutto per quelle aree caratterizzate da una elevata complessità di problemi e per le quali è auspicabile un’immediata inversione di tendenza nel modo di gestire il sistema territoriale. Il lavoro si deve articolare in diverse linee di ricerca e fasi operative tra le quali emerge, per ordine di importanza, la costruzione di un modello interpretativo, a scala regionale, sul quale trasferire informazioni sui rapporti funzionali dei vari elementi che costituiscono il sistema terri- toriale. Il modello interpretativo dovrebbe garantire l’elaborazione di programmi di intervento su aree di scala inferiore (sub regionale) mediante i quali verificare gli obiettivi prefissati. Il tutto finalizzato all’acquisizione di una metodologia - di carattere sia interpretativo che previsionale - attraverso cui formulare politiche nazionali e regionali di trasporto ma anche in grado di assicurare i necessari elementi per l’elaborazione di nuovi modelli di gestione delle aree metropolitane rendendo così possibile l’attuazione di una proposta di “città cablata” carat- terizzata dall’impiego dell’innovazione tecnologica e dal recupero dei valori urbani. Il mondo del XXI secolo sarà un mondo di città. Aquesta previsione, per altro unanimemente condivisa, fa seguito un interrogativo: come saranno le città del XXI secolo? A giudicare dai fenomeni in atto, si può definire una ipotesi, altamente probabile, che vede le città divise in due gruppi: le città del “primo” mondo, innervate da infrastrutture di comunicazione e connesse in rete (le città cablate); e le città del “secondo” e del “terzo” mondo, devastate dalla congestione,
  • 13. 168 dalla insicurezza e dalla invivibilità. L’Onu affronterà i problemi del degrado degli insediamenti umani, a scala planetaria, in una conferenza mondiale, la seconda dopo la Conferenza di Vancouver del 1975, che si svolgerà a Istambul nel giugno 1996. In quella sede, definiti i principi e gli obiettivi, individuati gli impegni, sono stati formulati i programmi di azioni e le strategie per la lotta al degrado. Tutti i Paesi, a livello di Governo o con associazioni non governative, sono chiamati a fornire il loro contributo, di idee e di proposte, per avviare a soluzione questo proble- ma. Il contributo italiano, come ha dichiarato il sottosegretario Scalzini, presidente del Comitato nazionale Habitat II, si avvarrà del lavoro scientifico e delle proposte del dipartimento di Piani- ficazione e Scienza del territorio dell’Università di Napoli, che ha organizzato, lo scorso 2 di- cembre 1995 a Napoli, un Congresso mondiale, in preparazione di Istambul ’96, dal titolo “De- grado urbano e città cablata”. E’ appunto questa la novità di grande rilievo che ha caratterizzato questo incontro: non solo elencare i problemi degli insediamenti umani ma individuare delle linee di soluzione che, utilizzando al meglio l’innovazione tecnologica, portino alla costruzione della città del XXI secolo come città cablata, città della pace, città della scienza. Il contributo che studiosi e tecnici del territorio intendono offrire al cablaggio della città e con esso alla lotta al degrado urbano è quello di utilizzare le opportunità della tecnologia al fine di riorganizzare il sistema urbano e di formare il cittadino-utente in modo che possa usare in maniera intelligente i nuovi servizi. La mozione finale del convegno di Napoli, proposta dal Comitato promotore del Congresso costituito da studiosi di 23 Paesi e approvata all’unanimità, in uno dei suoi passi più significa- tivi recita: “La città non sembra più essere il nucleo vitale delle forme di organizzazione collet- tiva dello spazio, espressione del potenziale creativo e innovativo della umanità, quanto, piutto- sto, luogo di invivibilità e insicurezza caratterizzato da bassi livelli della qualità della vita. Questo degrado è oggi così diffuso da mettere in crisi l’idea stessa di città come sistema orga- nizzato, teso a fornire risposte adeguate alle diverse domande dei suoi utenti”. Le nuove tecnologie possono essere, anche in questo caso, un potente fattore di cambiamen- to; tuttavia, il segno di questo cambiamento dipende dall’uso che si fa delle innovazioni: se l’uso è orientato a risolvere i problemi reali delle persone, il segno è certamente positivo; se l’uso invece è orientato a incrementare i consumi, allora il segno è e sarà sempre più negativo.
  • 14. 169 CAPITOLO IX Impatto sociale Esiste un impatto di carattere sociale dovuto all’adozione delle nuove tecnologie di teleco- municazioni; impatto che incide (come si è potuto constatare o desumere da quanto trattato nei precedenti capitoli) sulle relazioni, sulle abitudini, sul modo di comunicare dell’uomo poiché trasferisce ad altro sistema ciò che oggi è svolto, in maniera quasi esclusiva, dal rapporto interfaccia. L’adozione della telematica, infatti, potrebbe risultare determinante ai fini della risoluzione di problemi sociali e soddisfare il bisogno emergente di ulteriori scambi e contatti. L’interattività consentita dalle nuove tecnologie di telecomunicazioni garantirebbe, ad esem- pio, una maggiore partecipazione dei cittadini ai processi di pianificazione territoriale. Le TLC sicuramente modificano le relazioni sociali se non altro perché eliminano la barriera distanza; così come ipotizzato nel “Villaggio Universale” di Mac-Luhan, la comunicazione è diventata immediata in ogni punto del mondo. Ma se da un lato esse “avvicinano” le persone, dall’altro esasperano l’individualismo privilegiando il rapporto uomo-macchina col pericolo di accelerare un processo di disgregazione sociale. Superando quelle che sono due posizioni anti- tetiche, una messianica e l’altra catastrofica, il rapporto cultura-società può essere affrontato con una analisi più articolata che entra nello specifico delle relazioni sociali in rapporto allo spazio. Per chiarire i termini del discorso è necessario precisare che il concetto di relazione sociale non può essere ridotto a quello di semplice relazione personale con l’implicazione di una com- presenza fisica di interlocutori; esso va analizzato nella distinzione di classi o gruppi dove la “promiscuità” non elimina la “differenza”. Si possono distinguere: pratiche sociali che implicano un’azione collettiva; rapporti che richiedono compresenza; relazioni a distanza; relazioni di individui mediate dall’uso collettivo di uno stesso servizio. E’ necessario precisare che quest’analisi, che si limita esclusivamente all’interpretazione em- pirica del fenomeno, parte dal presupposto che ormai un qualunque tipo di comunicazione può avvenire a distanza attraverso un terzo elemento che media e supporta la relazione. Le TLC, qualunque sia la tecnica usata (telematica, radio o CB), sembrano non trasformare la spazialità delle relazioni; esse si strutturano intorno alle relazioni sociali in rapporto stretta- mente interattivo, inserendosi all’interno di uno spazio sociale già prefigurato. Alcuni promotori sperano che le TLC possano ricomporre quelle relazioni sociali destrutturate dall’eccessiva urbanizzazione degli ultimi 30 anni ed individuano questo ruolo nello creazione di nuovi lavori del tipo “animatore”. Ma questo nuovo “operatore sociale”, che comunica con deter- minati gruppi, mette in luce la possibilità che ha in mano il gestore del media; egli può egemoniz- zare la realtà sociale alla quale si rivolge inducendo nuove tendenze dello sviluppo collettivo. L’utenza si aggrega intorno al media ma non struttura una nuova forma di socializzazione, essa rappresenta una serie di individui che si rapporta in modo univoco al “mezzo”. Le TLC assumono in questo senso il ruolo di supporto all’immaginario sociale; esse mimano una comunicazione che non è reale incarnando il simulacro necessario alla crisi della civiltà urbana, ed, ancora, rispondono in maniera funzionale al bisogno di relazione sociale.
  • 15. 170 La comunicazione a distanza consente l’anonimato e dà la possibilità di “agire” senza muo- versi; ma non sono le TLC a creare questa “socializzazione immaginaria”, è questo tipo di biso- gno che utilizza le TLC in tale maniera. L’ambiente urbano offre a ciascun individuo un supporto di identificazione legata allo spazio nel quale vive; la comunicazione a distanza permette, illusoriamente, di evadere in un altro luogo in maniera economica e senza fatica. Ma questo nega chi vuol vedere nelle TLC un mezzo per rafforzare i rapporti di vicinanza che in questo modo diventano intercambiabili e variabili contrad- dicendo il carattere stabile e fisso che hanno quando sono reali e concreti. Le TLC creano uno spazio simbolico ma, per il momento, non raggiungono l’obiettivo di quei promotori che vorrebbero giungere alla strutturazione di una nuova aggregazione sociale che modifichi la spazialità. Questo tipo di comunicazione promuove un’identità collettiva ma non lo sviluppo delle rela- zioni sociali; il processo che si crea è un processo di identificazione collettiva analogo al proces- so di identificazione freudiana di un gruppo intorno al “terzo simbolico”. L’adesione al “tramite” è tanto più sentita quando il dispositivo risponde ad esigenze di rivendi- cazione sociale. La co-identificazione può essere ottenuta attraverso la telematica associativa che fa partecipare l’utenza alla formazione di banche-dati o di pagine. Un’altra forma di co-identificazione si può ottenere creando un’emittente che serve comunità limitrofe, ma diverse per caratteri morfologici e culturali, in cui gli ascoltatori si riconoscono come appartenenti ad un’unica realtà. I mezzi di comunicazione producono una rappresentazione coesiva dello spazio sociale, raffor- zando il ruolo dei mezzi diffusivi locali tradizionali e in tal modo si riesce a gestire una comunità differenziata (periferia e centro) in una strategia di ricomposizione dei gruppi sociali creando l’illusione a tutti di vivere al centro della città. Va, inoltre, considerato che gli effetti e le “ricadute” indirette di quelle reti comunicative di varia natura, dai circuiti televisivi ai flussi di risorse del mercato finanziario internazionale, van- no giorno dopo giorno svuotando di ogni significato il controllo statuale del territorio. Non vi è, infatti, alcun bisogno di essere fisicamente presenti su un dato territorio per controllarlo direttamen- te, dal momento che se ne può influenzare potentemente la cultura e il modo di vita, le abitudini economiche e gli atteggiamenti intellettuali, semplicemente irradiandovi programmi e notizie. L’ingresso dell’elettronica e dei mass media nel mondo, con la loro caratteristica capacità di abolire la “frizione dello spazio”, elaborando e trasmettendo in tempo reale dati e programmi su scala planetaria, colpisce al cuore quella che Badie chiama la “pesanteur territoriale” (la pesantezza territoriale). Naturalmente, nessun superficiale ottimismo circa una crescita indolore transnazionale può essere comprovato in termini puramente tecnologici. La crisi dello Stato-nazione, con le sue dogane e gli uffici della polizia di frontiera incapaci ovviamente di controllare i flussi di notizie oggi trasmessi sul piano internazionale via etere o via cavo o ancora grazie ai satelliti, indica nuove responsabilità e compiti inediti per i Governi democratici. Questi non possono lasciare mano libera in questo campo alle società private multinazionali che oggi inevitabilmente si trovano a dover riempire i vuoti legislativi determinati dai ritardi delle strutture politiche. Vi è, poi, la scena del lavoro che appare sottoposta a radicali cambiamenti. Nozioni canoniche, già ritenute acquisizioni permanenti dell’analisi sociale, come quella elaborata a proposito della burocrazia da Max Weber - fenomeno considerato eminentemente razionale e depersonalizzato - mostrano i loro limiti. Le grandi carriere che duravano tutta una vita ed esigevano una dedizione quasi sacrale sono finite. Alla granitica lealtà alla propria organizzazione subentra la flessibilità, mobile e adattabile, del singolo operatore. Inoltre, tutta la varia e ricca rete di intermediari fra fonti e utenti dell’informazione sarà spazzata via. Le grandi strutture di servizio, dalle banche ai giornali e ai più diversi uffici di consulenza, ridurranno drammaticamente la loro forza lavoro fissa in pianta stabile.
  • 16. 171 Si passerà e, anzi, si sta già passando dagli ordini di servizio e dalle istruzioni su carta stam- pata ai dischetti e ai programmi elettronici. Già sta sorgendo una figura nuova, la figura dell’impiegato-nomade, l’operatore informatico non più radicato in un ufficio ma pronto a spostarsi là dove la sua opera è richiesta. Dunque, nell’economia di oggi, liberata dai meccanismi di controllo, rivoluzionata nell’in- novazione tecnologica e sempre più aperta alla concorrenza internazionale, nessuna impresa e certamente nessun posto di lavoro o attività indipendente possono considerarsi al sicuro, per quanto positivi siano i dati complessivi e, conseguentemente, l’insicurezza economica è diventa- ta sempre più un fenomeno centrale in molti Paesi. Quello che è nuovo rispetto al passato, però, è l’accelerazione dei cambiamenti strutturali in ogni fase della crescita economica. Va, ancora, tenuto presente che nonostante la globalizzazione della economia di per sé non determini il livello salariale (ad esempio, il lavoratore statunitense che si trova a competere testa a testa con un indiano nella sua stessa posizione viene pagato in base alla domanda ed all’offerta per le sue competenze esistenti sul mercato del lavoro USA, non di quello indiano), è indubbio che ha portato e continua a provocare mutamenti massicci e talora destabilizzanti nell’economia là dove più pesanti sono, ad esempio, i tagli occupazionali. Pertanto, pur in presenza di una crescita della ricchezza complessiva di un Paese, in specifici settori può crescere il bisogno psicologico e pratico di intere famiglie e comunità di un ragione- vole grado di stabilità socio-economica. Inoltre, l’equazione forte mobilità del lavoro e più alta proporzione di coppie uguale crisi della famiglia sembra abbastanza semplice. L’eccessiva mobilità del lavoro, poi, può causare ancora altri effetti negativi, come la perdita continua di colleghi di lavoro e di legami comunitari, compresi i bambini strappati dal loro quar- tiere e dalla scuola, una delle cause riconosciute di devianza e/o delinquenza giovanile. Per quanto concerne, più in particolare, il telelavoro domiciliare va tenuto presente che: - gli stessi spostamenti giornalieri tra il domicilio e il posto di lavoro, spesso considerati faticosi, possono essere valutati diversamente ovvero, per esempio, come dei momenti di relax; - non c’è differenza fra giorno e notte per il disbrigo delle mansioni professionali. Contano le ore di lavoro che sono dedicate, non la loro distribuzione giornaliera; - scompare anche la distinzione fra tempo del lavoro e tempo del gioco. I rapporti umani sono quasi inesistenti ed alta è la percentuale di divorzi; - i ritmi intensi di lavoro provocano un esaurimento dei soggetti per cui, ottenuto il successo economico, si abbandona il lavoro molto presto; - la società sarà solo per uomini “forti” in cui la meritocrazia ha un ruolo predominante. Quindi, il telelavoratore deve avere poco bisogno di contatti interfaccia con quelli con cui lavora, deve avere una situazione casalinga che gli permetta di lavorare con una certa continuità senza interruzioni o, comunque, deve essere capace di separare la vita privata da quella lavorativa. Il telelavoratore, poi, deve avere una grande sicurezza interiore e spirito di iniziativa ed esse- re capace di lavorare senza accusare la mancanza del feedback dei capi: i diretti superiori giudi- cano dai risultati , non da quanto o da come si lavora. In genere, infine, quando si passa dall’uffi- cio a casa chi ha buoni rapporti con i capi li migliora mentre chi li ha cattivi li peggiora: in questo caso il telelavoro è il preludio alla ricerca di un nuovo posto di lavoro. Nella società globale dell’informazione, inoltre, sarà più facile non solo informarsi ma an- che far girare le opinioni favorendo forme sia di democrazia diretta che semi-diretta. Ciò offri- rebbe molte possibilità fra cui il permettere alla gente di votare e di prendere elettronicamente tutte le decisioni politiche ed amministrative giorno dopo giorno; la massima partecipazione dei cittadini senza affidare ai sondaggi o al voto elettronico tutte le decisioni; l’uso più capillare dei
  • 17. 172 sondaggi elettronici per avere un’idea aggiornata dell’opinione più diffusa in un Paese e, quindi, aiutare i rappresentanti eletti nello loro decisioni; l’uso dei sondaggi come voti per rendere più rappresentativo e non per sostituire un Parlamento: si potrebbe, per esempio, stabilire che per prendere una decisione oltre ai voti dei componenti l’Assemblea, si debba tener conto anche di altri voti che vengono assegnati in base ai sondaggi. Ovviamente sono molti i modi per integrare la democrazia elettronica con le istituzioni parlamentari. Sarà, quindi, anche probabile la diffusione di canali televisivi che consentono sia di controllare le istituzioni e giudicarle in tempo reale che di far svolgere talune attività politi- che ed assumere decisioni in videoconferenza. Indubbiamente dovranno essere effettuate approfondite valutazioni in merito alla necessità ed alla superiorità o meno della democrazia diretta rispetto a quella rappresentativa. Infatti, se da un lato effettivamente c’è il rischio che le istituzioni che devono deliberare, un Congresso, un Parlamento, possano diventare soggetti alle ondate emotive della pubblica opinione, dall’altro è più facile ritenere che queste istituzioni hanno resistito ai cambiamenti tecnologici per generazioni ed alla fine tutti si imparerà a convivere anche con questa nuova era globale dell’informazione. Inoltre, benché già adesso i sondaggi di opinione possano tirar fuori il lato peggiore di taluni che governano, stimolando ad assecondare di volta in volta opportunisticamente le opinioni della maggioranza invece che a progettare con lungimiranza il futuro del proprio Paese e benché il sondaggio possa risultare uno strumento addirittura preistorico se paragonato alle possibilità di consultazione che consentono le TLC, il rischio estremo che la democrazia rappresentativa degeneri nel senso radicale di un ingovernabile sistema plebiscitario è funzione, a monte, di una totale, gene- ralizzata quanto improbabile leadership priva del coraggio di resistere alle opinioni popolari. Ancora, si dovrà vedere quanti si appassioneranno ai processi democratici in diretta ed alle decisioni collettive giacché non è accettabile un universo composto solo da attivisti cittadini esperti nell’uso delle nuove tecnologie, considerando anche il fatto che la telematica può permet- tere di fare referendum istantanei ma non può spiegare istantaneamente questioni complesse. Dunque, sia il sondaggio direzione che il sondaggio soggezione possono indebolire ed esau- torare la democrazia rappresentativa. Tuttavia, ritenendo che di per sé le nuove tecnologie sono da considerare neutrali e accetta- bili, il problema riguarda l’assoluta adeguatezza e validità delle regole che devono governare il sistema democratico. Se lo Stato sovrano diventerà obsoleto, dunque, saranno le idee a renderlo tale, certamente non la tecnologia. Date, poi, le caratteristiche della rivoluzione digitale, si può ritenere che la società si trovi in prossimità di una svolta storica: un taglio netto col passato, un momento di discontinuità, che diverrà concreto ed evidente all’improvviso, non appena la crescita esponenziale delle reti tele- matiche e degli utenti che se ne servono per comunicare e scambiare informazioni avrà raggiun- to la necessaria massa critica. La digitalizzazione e la multimedialità, inoltre, conducono in una dimensione nuova per almeno due ordini di motivi. Il primo è che le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione potenziano la capacità conoscitiva dell’uomo favorendo l’ingresso nell’era post-industriale, nel- l’era dell’immateriale e dei servizi nella società in cui la conoscenza, le informazioni, l’intelligenza, prendono il posto delle materie prime e persino della energia, come fattori strategici dello sviluppo. Il secondo motivo è che le nuove tecnologie dell’informazione e comunicazione sono più pervasive e trasversali di ogni altra tecnologia. Penetrano in ogni settore produttivo, nelle ammini- strazioni, nella scuola, nella vita quotidiana dei cittadini, con un impatto a 360 gradi. Trasforma- no ogni tipo di attività, il modo di lavorare, di insegnare, di apprendere, di divertirsi. Incidono sul- l’organizzazione delle imprese, dei processi produttivi e dei servizi. Consentono di rinnovare radi- calmente vecchi prodotti e servizi o di portare sul mercato prodotti e servizi completamente nuovi.
  • 18. 173 E’ una nuova sfida per tutti: il modo di organizzarsi, di produrre e di competere deve essere ripensato in modo totale. Ed il passaggio dalla potenzialità delle risorse rese disponibili dalla tecnologia alla realtà delle risorse sfruttate in maniera adeguata e diffusa si presenta irto di difficoltà di ogni genere. Specialmente se si ritenesse di poter vivere il futuro con i vecchi arnesi culturali del passato. In questa ottica gli Stati hanno almeno due funzioni da esercitare: quella di utente e acquiren- te di impianti e servizi per le proprie strutture amministrative ed istituzionali, e quella di promo- tore, oltre che di attore diretto, di investimenti immateriali nell’istruzione e nella formazione dei cittadini, dei giovani che dovranno vivere nella società dell’informazione di domani e dei meno giovani che dovranno non essere marginalizzati. Inoltre, pur dipendendo sempre più la forza di un Paese dalla quantità di intelligenza incorpo- rata nei prodotti e nei servizi della sua amministrazione e delle sue imprese e pur essendo, quindi, il capitale umano la fonte più importante delle competitività, investire nell’istruzione e formazione non risponde solo a esigenze economiche. La rivoluzione elettronica e la diffusione del computer stanno determinando anche nei Paesi più evoluti nuove forme di analfabetismo e di emarginazione. Spesso la “computer illiteracy” si traduce in “information illiteracy” e cioè nell’incapacità di accedere ai nuovi modi di comunicare, raccogliere ed elaborare informazioni. Questo nuovo analfabetismo, che non si rintraccia solo all’interno delle classi sociali più povere, va combattuto perché crea nuove povertà, nuove divisioni e dipendenze culturali. La logica delle information highways è di per sé una logica di democrazia e di mercato aperto, nel senso che non crea discriminazioni e monopoli, ma offre a tutti, dovunque, la possibilità di accedere a tutte le informazioni. Le reti per loro natura non sono gerarchiche ma di fatto è possibile che la computer illiteracy (o la information illiteracy) crei discriminazioni tra “haves” e “have-nots”, tra chi dispone delle competenze necessarie per vivere nella società dell’informazione e chi non ne dispone. Questo pericolo riguarda i rapporti tra le classi sociali ma anche tra le nazioni. Per questo è da ritenere che un grande impegno a favore dell’istruzione risponda a pressanti esigenze politiche e sociali, oltre che economiche. Questo impegno deve riguardare sia i conte- nuti (più attenzione alle nuove tecnologie) sia i tempi (formazione permanente) sia i modi e gli strumenti dell’education. Inoltre, se la formazione è un diritto per tutti, come si sostiene in ambito internazionale, lo è a maggior ragione la formazione permanente. Nel nostro Paese, ad esempio, non meno di 10 milioni di italiani tra i 24 e i 44 anni sono in possessodellalicenzadiscuolamediadell’obbligocomemassimotitolodistudio.Iltrenddemografico negativo, la difficoltà dei giovani a entrare nel mercato del lavoro, l’impatto delle tecnologie “digita- li” sposteranno sempre più l’attenzione dall’utenza giovane a quella adulta dei sistemi formativi. Si riscopre un nuovo ruolo del sistema scolastico, parallelo all’impegno che le imprese dovranno assu- mere nell’assicurare opportunità di formazione permanente per i lavoratori adulti. Tutto ciò implicherà la revisione dei criteri di scelta nell’utilizzo delle risorse che interessano le politiche dell’istruzione e quelle economico-sociali: individuazione delle priorità, distribuzio- ne diversa degli stanziamenti in rapporto all’utenza, incentivi fiscali alle aziende. Ancora, è evidente che in questa situazione, ormai non più lontana da non essere già percepibile in molti campi, le tecniche della formazione professionale, anche le più avanzate e non solo quelle arcaiche basate sui vecchi “profili di mestiere”, entrano in una crisi irreversibile. La tecnologia e le pratiche del lavoro cambiano così rapidamente che le specializzazioni (job skills) imparate a scuola hanno scarse possibilità di restare rilevanti dalla laurea alla pen- sione. Chiaramente, le esigenze di un’economia a grande intensità di conoscenze (knowledge- intensive economy) richiederanno una preparazione, ma le tendenze probabili favoriranno certi tipi di addestramento a scapito di altri. In particolare, poiché possiamo aspettarci che acquisiti
  • 19. 174 contenuti cognitivi siano parecchie volte rivoluzionati nel corso di una singola vita, la capacità di maggior valore sembra consistere nell’imparare come imparare. Altro aspetto da considerare, poi, è che pur rendendosi urgente il problema della formazione di una cultura adeguata è necessario porsi in guardia contro le facili scorciatoie formative che spesso approdano soltanto al lamentevole esito della conferma pomposa dello statu quo. “Impiegato nelle circostanze più svariate - scrive Ravaglioli - il termine cultura ha acquistato una radicale ambiguità. E’ un’impresa disperata enumerarne i significati sanciti dall’uso. Eppure una distinzione pare esistere: quella che rileva la differenza fra le conoscenze controllate e le rappresentazioni o speculazioni o argomentazioni che pur mostrando una coerenza interna non sono sottoposte a prove empiriche. In breve, la differenza è fra conoscenza e cultura”. In questa divaricazione, si può vedere un rischio: quello di scavare nuovamente un fosso, che potrà anche divenire fossato e frattura, fra scienze tecniche in senso proprio e cultura umanistica in senso lato. Di nuovo si porrà dunque il dilemma se fare imparare e spiegare la seconda legge della termodinamica agli umanisti letterati oppure costringere gli ingegneri a leggere Shakespeare e a mandare a memoria la Divina Commedia. Nulla di tutto questo, evidentemente. La polemica sulle famose “due culture” era viziata da una seria carenza interna. Sembrava non rendersi conto che la cultura ha da essere insieme umanistica e scientifica nel senso di una valutazione dei fenomeni e delle situazioni umane che sia globale e complessiva, non ridotta a una formula meccanica da applicarsi caso per caso, ma neppure condannata a una genericità che termini in romantica vaghezza, incapace di offrire gli strumenti necessari alla comprensione dei problemi specifici. Forse solo per questa via sarà possibile non separare la scienza dalla coscienza e riscoprire nella cultura uno strumento essen- ziale di auto-consapevolezza. Un’altra delle chiavi di volta della trasformazione in atto è la disponibilità di informatica amichevole, che vuol dire anzitutto sviluppare un software ultracomplesso ma di facilissimo uso, che internalizzi tutte le complicazioni che non debbono neppure essere intuibili, e questo è pos- sibile oggi con la potenza dei nuovi chip e il loro basso costo. Ancora informatica amichevole significa ideare servizi che interessino tante persone e siano di immediata presa. Per quanto concerne, poi, più particolarmente la televisione, la diffusione di Pay-TV e di reti tematiche mirate, va detto che esse costituiranno una sempre più accentuata personalizzazione del rapporto fra utente ed emittente che consiste, quindi, nella graduale trasformazione di un mezzo e di un consumo per definizione “di massa” in una serie di proposte differenziate. Inoltre, la TV interattiva consente all’utente un intervento attivo per esercitare la possibilità di realizzare un percorso personale all’interno delle informazioni, la cui emissione, in gradi diversi, dipende dalle richieste dell’utente stesso. In queste situazioni muta e, in un certo senso, si radicalizza rispetto ai precedenti tentativi di personalizzazione l’attività di cooperazione del destinatario. Cambia il suo ruolo, cambia il suo tipo di azione, ma cambia anche la competenza richiestagli, intesa come capacità di utilizzare tecnicamente gli strumenti e di approfittarne creativamente per costruire un “suo” percorso di senso; per non parlare, poi, del livello economico che, per il momento, implica l’accesso a questi nuovi media. Di fronte a uno spettatore apparentemente “libero” (e sicuramente in una situazione di mag- gior libertà rispetto a quella della TV monodirezionale), si riafferma comunque il ruolo centrale dell’emittente che fa da filo di collegamento delle esperienze di TV interattiva. Quella che potremmo chiamare genericamente come “personal TV”, sia nelle sue forme ascrivibili alla televisione monodirezionale sia in quelle definibili in senso stretto come interattive, manifesta dunque due caratteristiche: il ruolo sempre più attivo dello spettatore (coinvolto nel processo di consumo del testo anche come soggetto concreto, chiamato a una serie di azioni) e il progressivo assorbimento di questa presenza attiva, di questa collaborazione alla costruzione del testo, all’interno del progetto del trasmittente.
  • 20. 175 Ma la “personal TV”, insieme alle innovazioni tecnologiche che stanno sempre più trasformando il campo delle telecomunicazioni, pone anche molti interrogativi sociali, umani e culturali. Ci si limita a indicarne soltanto due fra i tanti. In prima istanza, il problema di un corretto controllo sociale su beni simbolici cosi numerosi, mobili e sfuggenti come i prodotti audiovisivi. E’ in gioco la qualità dei prodotti televisivi: se le possibilità di trasmissione e di “conversazione” mediata con le emittenti aumentano sempre più, è necessario pensare seriamente a “cosa” si diffonderà attraverso gli innumerevoli canali per attivare, interessare e soddisfare il pubblico (o suoi diversi segmenti) senza venir meno a una scelta fondativa di rispetto nei suoi confronti. Se la TV di domani impone un ripensamento non solo tecnologico ma semantico, estenden- dosi da strumento esclusivo di svago anche a strumento di democrazia che consente di pensare e agire conseguentemente, ovviamente nella sua qualità di cultura democratica disponibile a tutti ed interamente governata da quel che la gente vuole, pone il problema, talora terrificante, proprio di ciò che la gente potrebbe volere. A mano a mano che l’onda della tecnofilia cresce, poi, è possibile riscontrare più chiaramen- te anche due fenomeni di polarizzazione estrema: accanto ad una utopia tecnicista, accarezzata da coloro i quali sperano in un cambiamento dei principi di dominazione sociale, diviene sem- pre maggiore la paura di coloro che avendo potere nel mondo attuale temono di perderlo in un contesto che non riescono a capire e finiscono per favorire, direttamente o indirettamente, una nuova popolarità del luddismo. Il mondo inizialmente potrà essere diviso tra collegati e scollegati alle reti. Come il telefono all’inizio non fu disponibile per tutti, anche le autostrade informatiche cominceranno a servire prima un ceto medio. Ma intanto le città si libereranno dal traffico. Costeranno meno per quelli che ci restano, ci sarà meno inquinamento. Anche i non collegati ne avranno giovamento. Del resto, la digitalizzazione, nonostante la sua pervasività, non è necessariamente un fenomeno di tipo “coloniale” per cui la cultura del computer si impone imperialisticamente sulle altre trasfor- mandole o addirittura eliminandole. La società è multiculturale e la forza della diversità è im- mensa. Per questo si osserva che la diffusione dei computer incontra importanti discontinuità. Trarrà, comunque, il massimo vantaggio colui che saprà comprendere più che i soli elementi tecnologici soprattutto quelli umani e sociali.
  • 21. 176
  • 22. 177 Conclusioni Le nuove realtà stanno entrando, dunque, nella vita attuale ma la nostra cultura, invero, non sembra aiutare molto il Paese e, soprattutto, i giovani a sviluppare quella qualità che appare oggi indispensabile per muoversi verso il futuro: la flessibilità, cioè l’essere aperti alle cose nuove e l’essere capaci di adattarvisi. L’ambiente in cui viviamo, infatti, è in continua trasformazione con tempi che sono rapidissi- mi. La genetica non permette questo genere di adattamenti possibili invece con la cultura. Con quest’ultima, nel corso di una sola generazione, si può passare dalla preistoria alla micro-elettro- nica poiché i cambiamenti non sono biologici ma mentali. E la nostra capacità di adattamento dipende solo dall’elasticità intellettuale con cui sappia- mo imparare, capire, creare, cambiare: cioè dalla nostra intelligenza o, come direbbe il paleo- antropologo, dalla nostra flessibilità. Questo continuo adattamento culturale riguarda oggi non solo i singoli individui ma le im- prese e la stessa collettività: perché comporta a “ogni livello” una perenne verifica delle idee, delle tecniche, degli obiettivi. Oggi i grandi mutamenti sono quelli indotti soprattutto dalla tecnologia. Va considerato, inoltre, che l’economia moderna può essere definita combinatoria nel senso che, combinando insieme in modo intelligente gli elementi in circolazione, si possono creare innovazioni non solo tecnologiche, ma organizzative, finanziarie, manageriali che corrispondono sia all’obietti- vo del massimo rendimento col minimo costo sia alle esigenze di un mondo in continua trasfor- mazione. Un mondo che, tra l’altro, richiede un sempre maggiore benessere. In questo senso “flessibilità” è certamente sinonimo di intelligenza; poiché anche il nostro cervello, in pratica, opera in modo analogo per risolvere un problema. Rimane un’ultima domanda, al termine di questa trattazione, che è quasi doverosa: ma questi cambiamenti sempre più rapidi dove ci portano? Questo sviluppo sempre più tumultuoso, in cui la tecnologia trasforma, accelera, innova, modificando il modo di vivere, il modo di produrre, il modo di lavorare, non potrebbe essere in definitiva un boomerang e ritorcersi contro l’uomo, cioè contro noi stessi? Quello che si può fare è prendere atto di questa situazione e, per quanto possibile, governar- la. Il problema, cioè, è quello di tentare di conciliare i vantaggi e gli svantaggi di questo svilup- po tecnologico che ha senza dubbio già migliorato l’alimentazione e il reddito, ha diminuito la mortalità infantile e l’analfabetismo, ha aumentato la durata della vita e l’assistenza medica, ha accorciato gli orari di lavoro e ha creato, ancora, circolazione di idee ed emancipazione ma che può anche apportare effetti negativi. E’ allora possibile riuscire ad avere uno sviluppo equilibrato che permetta all’uomo di avere i vantaggi della crescita senza pagarli con un prezzo talora molto alto? Questa è senz’altro una sfida difficile ma la si può affrontare. L’obiettivo deve essere quello di riuscire a comprendere le potenzialità offerte dallo sviluppo tecnologico e gli usi applicativi possibili considerando che nelle macchine si trova solo ciò che si è precedentemente inserito e che è importante, dunque, inserire algoritmi frutto di problematiche gestionali corrette. E’ necessario, inoltre, possedere una formazione e una cultura molto diverse da quelle cui spesso siamo abituati, che sono troppo rivolte al passato anziché al futuro e che guardano più
  • 23. 178 alle nostre grandi tradizioni letterarie, storiche, artistiche di ieri, che alle sfide tecnologiche, economiche e culturali di ‘oggi’ e di ‘domani’. Accettare le opportunità che la situazione ci offre richiede, pertanto, di compiere alcuni .passi fondamentali sul piano culturale collettivo, il cui ruolo è centrale. Il primo è quello di capire ciò che siamo diventati e quello che abbiamo avuto, non per difenderlo ma per costruire quello che possiamo diventare e possiamo avere ancora. Ma questo significa accet- tare e scommettere sulla ‘idea del rischio’ rispetto alla tradizione protettiva di cui abbiamo goduto. Il secondo passo, conseguente dal primo, è quello di investire il patrimonio sinora accumu- lato per poter raggiungere nuovi traguardi e innescare un’ulteriore fase del nostro collettivo sviluppo. Abbiamo ricchezza collettiva e individuale, abbiamo istruzione, abbiamo società pur con tutti i suoi difetti, abbiamo imprenditorialità che vanno nel loro insieme investite con un ‘atto di maturità’. Poiché di questo si tratta, soprattutto in Italia: un Paese che ha goduto di una lunga rincorsa di sviluppo all’insegna dei principi della creatività e della vitalità e che oggi deve affrontare la sua fase piena di maturità, con le conseguenze che questo comporta anche sul piano delle decisioni ulteriori da prendere. Ed ecco allora che il terzo passo ha a che fare con lo sviluppo di tanti e diffusi atti di responsabi- lità individuale e collettiva, che debbono alimentare l’innervatura civile, politica, istituzionale, cultu- rale e ovviamente economica del nostro sviluppo attuale, per poter avere sviluppo futuro. Rischio, maturità, responsabilità costituiscono i tre ingredienti sul piano politico e sociale, ma anche educativo, che ci sono richiesti dalla nuova frontiera dello sviluppo. Bisogna uscire dalle analisi con le decisioni, la scelta, l’azione, i progetti. Bisogna creare la nuova “etica del fare” finalizzata allo sviluppo complessivo della collettività nella società dei servizi. Bisogna operare per realizzare le nuove infrastrutture della modernizzazione. Nella moderna società dei servizi la rete delle connessioni sociali assume ancora maggiore centralità, sia per la capacità di creare ricchezza dentro la nuova economia industriale sia per la capacità di rappresentare gli interessi degli associati. Mentre si discute sull’assetto istituzionale dei poteri, non si può trascurare la necessità di investire sulle reti di tessuto civile, sociale ed economico, soprattutto su quelle legate all’istruzione e alla conoscenza. L’apporto, però, delle strutture istituzionali dello Stato non è sufficiente di per sé. Si richiedono, dunque, interventi di promozione e di sollecitazione sulle componenti della società civile. E’ su questo terreno che si misurerà la capacità di realizzare una nuova fase di sviluppo per il Paese, garantendo il passaggio della società industriale alla società dei servizi. E’ questa, a mio parere, la responsabilità della classe dirigente che è chiamata a governare il cambiamento. E’opportuno, infine, considerare che la conoscenza di quella catena di cause ed effetti, che può determinarsi ex post nel passato, poco serve a predeterminare il futuro, regno degli eventi possibili. E’ delineabile una dicotomia profonda fra l’analisi storica dei fatti conclusi, fra loro concatenati dal rapporto di causa ed effetto, e le azioni che quei fatti determineranno attualizzandoli dal futuro. Quelle azioni nascono in funzione di specifiche finalità e sono sempre propositive fra causalità del passato e finalità del futuro che il presente costantemente media costruendo le vicende del mondo. In una evoluzione magmatica degli eventi attuali, ogni componente strutturale della società contemporanea dovrà esser sempre più capace di saldare il dominio del presente con l’appro- priazione del futuro, concependo ed attuando con grande attenzione una strategia duale che consenta la distinzione fra pianificazione dell’azione, o pianificazione operativa, a breve termi- ne, e pianificazione per il cambiamento strategico, o a lungo termine. Di fatto, alcune componenti o parti di esse privilegiano il presente mentre altre si lasciano troppo attrarre dal futuro. E’ raro che venga raggiunto uno scambio efficace fra i due tipi di approcci, che cioè venga raggiunto un adeguato equilibrio fra la gestione delle attività correnti e la
  • 24. 179 pianificazione del futuro. E questo perché gestire con strategie duali impone profondi cambiamenti, non soltanto nella pianificazione, ma anche nella struttura organizzativa e nei controlli di gestione. Sarà necessario che ciascuna componente sviluppi sempre il dominio del presente, la esigen- za di condurre un’azione coordinata e collettiva basata sulla visione di come gestire oggi, indivi- duando le opportunità vincenti e prestando la dovuta attenzione alle diverse attrattive. In questo senso è importante distinguere fra rapporti orizzontali, che definiscono e mettono in evidenza le strategie interne, e rapporti verticali, necessari a sintonizzarsi con le mutevoli realtà esterne. In secondo luogo sarà sempre necessaria la programmazione del futuro nel cui scenario l’in- gresso può esser consentito ed anche accelerato soprattutto dal contributo che ciascuno di noi deve portare per cambiare una cultura che ancor vede nel cambiamento una minaccia anziché una opportunità. E’, infatti, chiaro che le opportunità non si conquistano opponendo ostacoli al cambiamento e difendendo un passato che non abbia futuro; le opportunità si conquistano solo se ciascuno, nel proprio ambito di responsabilità, è capace di cogliere correttamente il significato e la portata delle nuove sfide e di affrontare con coraggio i costi e i rischi del cambiamento.
  • 25. 180 Note 1 Si può scegliere tra due grandi famiglie di fornitori: quella rivolta alle aziende e quella rivolta ai privati. I primi hanno un costo variabile tra le 200mila lire e i 2 milioni al’ anno, a seconda dei servizi richiesti. I secondi forniscono abbonamenti ai servizi telematici italiani in contatto con Internet a un canone annuo variabile dalle 60 alle 200 mila lire. 2 Ed in parte si sta già attuando, ad esempio: Conferenza Onu sulla donna, Pechino 1995. 3 Nicholas Negroponte, Media Lab. di Boston, U.S.A. 4 Gli indicatori sulle dotazioni tecniche nelle scuole superiori (indagine a campione) rivelano che: a) Il numero di studenti per ogni macchina fotocopiatrice è di: 237,25 nei Licei e nei Magistrali; 197,17 nel Liceo artistico; 206,29 negli Istituti professionali; 245,12 negli Istituti tecnici; per una media complessiva di 231,52; b) il numero di studenti per ogni computer destinato ad attività didattica è di: 37,95 nei Licei e nei Magistrali; 45,58 nel Liceo artistico; 15,12 negli Istituti professionali; 17,4 negli Istituti tecnici; per una media comples- siva di 24,14. Fonte: indagine Censis-Cnel, anno scolastico 1993-94 (i dati si riferiscono ai primi 570 questionari elaborati sui 1600 pervenuti dalle scuole). 5 Giuliano Beretta, direttore commerciale Eutelstat 6 Servizi per i quali i telespettatori sono disposti a pagare un supplemento (dati percentuali; fonte: Inteco): Film senza alcuna pubblicità: Gran Bretagna 39, Italia 57, Francia 70, Germania 49; Ampia possibilità di scelta dei programmi multimediali interattivi: Gran Bretagna 60; Italia 47; Francia 82; Germania 45; Possibilità di decidere l’ora di inizio del programma scelto: Gran Bretagna 28; Italia 25; Francia 69; Germa- nia 30; Possibilità di vedere le anteprime dei film: Gran Bretagna 40; Italia 43; Francia 80; Germania 41. 7 Percentuale di persone “molto interessate” alla Tv interattiva (Vod): Gran Bretagna 19; Italia 101; Francia 19; Germania 12; U.S.A. 43; Percentuale di proprietari di videoregistratori che noleggiano almeno un film al mese: Gran Bretagna 37; Italia 39; Francia 29; Germania 35; U.S.A. 75; Percentuale di telespettatori che programmano il videoregistratore parecchie volte la settimana: Gran Bretagna 60; Italia 28; Francia 40; Germania 32; U.S.A. 26. Fonte: Inteco 8 Consumi giornalieri di Tv nel 194, espressi in minuti pro capite, in alcuni Paesi europei (Fonte: Carat-Tv Minibook 1994): Gran Bretagna 230,6; Spagna 198,2; Italia 197,3 Germania 193,3; Francia 185,2; Media europea 185,4. 9 Dati di utilizzo in percentuale di satellite e cavo rispetto alla diffusione degli apparecchi televisivi (Fonte: elaborazioni del Sole-24 Ore su dati Frost and Sullivan, Dataquest, Datamonitor, Alcatel): Satellite 1994: Germania 25, Gran Bretagna 20, U.S.A. 10, Francia 8, Olanda 4, Italia 1; 1997(previsioni): Gran Bretagna 35,Germania 34,U.S.A. 10, Italia 1O,Francia 9, Olanda 6 Cavo 1994: Olanda 82, U.S.A. 65, Germania 45, Francia 15, Gran Bretagna 15, Italia 0; 1997 (previsioni): Olanda 85, USA 70, Germania 48, Gran Bretagna 30, Francia 23, Italia 8. 10 Mercato del cavo in Europa occidentale dal 1993 al 2003 (Fonte: Cit Research): Famiglie con Tv (in milioni): 155 nel 1993, 161 nel 1995, 166 nel 1997, 175 nel 2001, 179 nel 2003; Famiglie con Tv cavo (in milioni): 32 nel 1993, 38 nel 1995, 43 nel 1997,52 nel 2001, 55 nel 2003; Renetrazione Tv cavo (in % su case con Tv): 21 nel 1993, 23 nel 1995, 26 nel 1997, 30 nel 2001, 31 nel 2003; Penetrazione Pay-Tv (in % su case con Tv): 7 nel 1993, 9 nel 1995, 12 nel 1997,16 nel 2001, 18 nel 2003. 11 Ricerca Inteco. 12 Sartori. 13 B.Miccio, Consigliere RAI. 14 Giulio Carminati, Responsabile Studi e Ricerche RAI. 15 Investimenti in informatica delle industrie italiane espressi in miliardi di lire (Fonte Teknibank per Osserva- torio Smau 1995): 4199 nel 1993,4173 nel 1994 e 4882 nel ’95. Gli investimenti delle aziende fino a 99 addetti hanno registrato un incremento dello 1,8% nel 1994 rispetto al 1993 e del 40% nel 1995 rispetto al
  • 26. 181 1994. Gli investimenti delle aziende da 100 a 499 addetti hanno registrato un decremento dell’0,8% nel 1994/93 ed un incremento dell’1,4% nel 1995/94. Gli investimenti delle aziende con 500 ed oltre addetti hanno registrato una flessione del 3,1% nel 1994/93 ed un incremento dell’1,9% nel 1995/94. Complessivamente gli investimenti dei tre comparti hanno regi- strato una flessione del 10,6% nel 1994/93 ed un incremento del 2,7% nel 1995/94. 16 Giovanna Scarpitti, sociologa, Società Italiana Telelavoro. 17 Carlo De Benedetti, presidente Olivetti. 18 Ettore Pietrabissa, direttore centrali ABI. Nona conferenza di IPACRI su “I nuovi orizzonti nelle relazioni banche-clienti” (Barcellona, 1995). 19 Ricerca dell’ABI, Associazione Bancaria Italiana, illustrata da Fernando Fabiano, responsabile del Servizio automazione interbancaria dell’ABI, al Convegno su “ L’informatica nelle banche: stato dell’arte e prospet- tive” (Roma, 1995). 20 Fonte: Nomos Ricerca. 21 Fonte: Andersen Consulting. 22 Andrea Corbella, Vice direttore generale Banca Popolare di Milano. 23 Alberto Crippa, Vice direttore generale CARIPLO. 24 Fabio Chiusa, Direttore generale IPACRI. 25 Anna Maria Llopis, Open Bank. 26 Costantino Lauria, dirigente Servizio Antiriciclaggio Ministero del Tesoro - Convegno Assofiduciaria su aggiornamento delle istruzioni per la lotta al riciclaggio (Roma,1995). 27 Carlo Pisanti, funzionario Settore Normativo Ufficio Vigilanza Banca d’Italia. 28 Fonte: Commerce dept., Killen and Associates-Business Week. 29 Pierfrancesco Gaggi, coordinatore del gruppo di lavoro dell’ABI. 30 Tommaso Padoa Schioppa . 31 Ettore Pietrabissa, direttore centrale ABI. 32 Elserino Piol, Presidente Olivetti-Telemedia. 33 Libro mutante, Ipertesto: si comincia il primo breve capitolo, poi si sceglie subito, a un bivio elettronico, se proseguire all’antica con pagina 2, oppure soffermarsi su una delle parole del testo, schiacciare un tasto quando il cursore del computer la incontra sullo schermo e di li balzare a una pagina collegata, seguendo una storia nella storia, un sentiero che si biforca cento volte. Per tornare poi alla storia principale, oppure lasciar- la in cambio di altre. 34 Il Sole-24 Ore è attivo anche su Audiotel con informazioni di Borsa e di tipo normativo. 35 Fonte: Informatica pubblica. 36 Giancarlo Scatassa, dirigente generale Ministero Funzione Pubblica. 37 Guido Rey, Presidente A.I.P.A. 38 Fonte: Ministero Pubblica Istruzione. 39 Fulvio Berghella, vice direttore generale ISTINFORM (Istituto Consulenza Bancaria) e responsabile Security Net, che collega oltre 300 aziende fornendo servizi per la prevenzione contro il computer crime. 40 Dati Security Net. 41 Il gruppo di specialisti in materia costituito dall’Associazione italiana per il calcolo automatico (Aica) inten- de proporsi, per l’appunto, come osservatorio sull’impiego dei sistemi di sicurezza e diventare al tempo stesso un punto d’incontro e discussione su questi temi fra utenti, costruttori e ricercatori. 42 Sicurforum Italia-F.T.I.: Giornate di studio “La sicurezza informatica: il progetto intersettoriale A.I.P.A.11, Roma 1995. 43 Vedasi appendice legislativa. 44 Giusella Finocchiaro. 45 Guido Rey, Presidente A.I.P.A., Convegno Technimedia su “Comportamenti e norme nella società vulnera- bile” nell’ambito del Forum multimediale “La società dell’informazione” (Libera Università Studi Sociali “Guido Carli” - 1995). 46 Martino Pompilj, dirigente Confindustria. 47 Angelo Mancusi, presidente Infocamere. 48 Dossier pubblico ANASIN sull’eccesso di privacy. 49 Herschel Fink, U.S.A. 50 Electronic Frontier Foundation. 51 Giuseppe Verrini, presidente Task force antipirateria di BSA Italia. 52 Giuseppe Pirillo, presidente Gruppo Informatici Tecnico-Giuridici. 53 Mario Monti, Commissario al Mercato Interno U.E.
  • 27. 182 54 Esempio: in Italia accordo Telecom (agosto 1995). 55 Jacques Santer, Presidente Commissione Europea: relazione di apertura G7 (Bruxelles, 24.2.1995). 56 Fonte: Commissione Europea. 57 Fabio Cammarano, Amministratore delegato Saritel. 58 Fonte: Pat McGovern, presidente e amministratore delegato di Ide, che ha aperto i lavori dell’European It Forum organizzato nel 1995 a Parigi. 59 Fonte: elaborazioni e stime Nomos Ricerca su fonti varie. 60 Fonte: Eito, Dataquest, Ide - 60/B. Fonte: Nomos Ricerca-Assinform. 61 Fonte: Eito ’95. 62 Fonte: Eito 1995. 63 Fonte: Dataquest. 64 Fonte: Direzione generale Intel, 1995. 65 Fonte: Osservatorio Smau. 66 Fonte: Assinform-Nomos Ricerca. 67 Fonte: Assinform-Nomos Ricerca. 68 Fonte: Assinform-Nomos Ricerca. 69 Fonte: Ide Italia. 70 Fonte: Ed. Zander, Amministratore delegato Sun Microsystem (Madrid, 1995). 71 Fonte: Eito ’95. 72 Fonte: Gartner Group 73 Stime Teknibank, società di analisi e consulenza italiana nel settore delle Tlc. 74 Fonte: OVUM. 75 Fonte: Associazione Italiana Internet Providers. 76 Elaborata da Charles Sanders Peirce. 77 Paolo Parrini - “Conoscenza e realtà. Saggio di filosofia positiva” - Laterza, Bari 1995 . 78 ABS. e/o Rif. “Evangelium Vitae” 21+24, Enciclica S. S. Giovanni Paolo II (1995). 79 ABS e/o Rif. “Criteri di collaborazione ecumenica ed interreligiosa nel campo delle comunicazioni sociali”, 15+17, 21+23 Pontificio Consiglio delle Comunicazioni sociali (1989). 80 ABS e/o Rif. “Le università cattoliche” 5,7,17,18, Costituzione apostolica S.S.Giovanni Paolo II (1990).
  • 28. 183 Bibliografia R. VACCA, Un computer per amico - 2000 giorni al 2000, N. 4/94. G. DE VARDA-P. PAGELLA, “Telematica e territorio: telematica e agricoltura” “Turismatica” - Quader- ni Italtel N.77 NOV/84. S. REBOSTI, Il Giornale 1986. E. DE PASCALE, Stet, la sfida parte dalla cablatura - Sole 24 Ore 30/6/95. C. SOTTOCORONA, Il futuro vi attende in autostrada - Panorama 23/7/94. L. DE BIASE, Come funziona il collegamento globale dei P.C. - Panorama 23/7/94. J. LELYVELD, Avanti a tutte news - Panorama 10/3/95. S. PENDE, Intervista a Nicola Grauso: “Modem forza otto” - Panorama 28/4/95. L. DE BIASE, Intervista a Franco Tatò: “Meglio fare che annunciare” - Panorama 7/4/95. L. DE BIASE, Che cento canali fioriscano - Panorama 24/3/95. L. DE BIASE, Al di là dell’Internet - Panorama 24/3/95. B. GATES, Cliccando s’impara - Panorama 24/3/95. D. LIOTTO, ATM, arriva la super rete - Il Mattino 10/3/95. F. VERGNANO, Italia fanalino di coda nella TV interattiva - Sole 24 Ore 14/6/95. M. MORINO, La pubblicità punta sul video multimediale - Sole 24 Ore 14/6/95. C. BASTASIN, Hopp risposta tedesca a Gates - Sole 05/7/95. M. MELE, Stream lancia la sfida dei servizi interattivi - Sole 31/5/95. F. VERGNANO, Il telefono corteggia Hollywood ma è guerra sulle regole - Sole 31/5/95. M. MELE, Il vecchio mercato è saturo. Arrivano le reti specializzate - Sole 31/5/95. F. VERGNANO, Clinton moltiplica i canali delle televisioni - Sole 31/5/95. M. NIADA, Londra, le nuove tecnologie svuotano il “tetto” - Sole 31/5/95. L. OLIVA, Info 2000 al debutto - Il Sole, luglio 95. L. DE BIASE, Il fine giustifica i media - Panorama 9/6/95. N. NEGROPONTE, Essere digitali - Sperling e Kupfer 1985. G. BECHELLONI, Lunga vita alla TV via etere - Sole 23/6/95. A. PILATI, La libertà appesa a un bit - Sole 23/6/95. G. CAVALLO, Computer scaccia video: sarà il nuovo focolare - Il Mattino 21/4/95. TG UNO - RAI, 27/2/95. M. HACK, Il futuro va piano e va lontano - Il Mattino 07/3/95. B. GATES, Come ti divento bimillionario - Sesto potere - Panorama 13/1/95. P. FOGLIANI, Venite con me nel futuro: è meraviglioso - Intervista a R. VACCA - CLASS sett. 94. M. L. FELICI, Finsiel in crescita guarda all’estero - Sole 16/6/95. M. R. ZINGONE, La famiglia scopre il personal - Sole 07/07/95. A. BINI - C. PAPETTI, Il territorio è gestito dal computer - Sole 30/6/95. G. CASERZA, La democrazia elettrodomestica. Intervista a U. Volli - Il Mattino 9/12/94. D. L. M., Gli alberghi sono online - Sole 2/6/95. E. T. U., Nelle scuole italiane arriva il software Doc - Sole 30/6/95. L. DE BIASE, Eurochips coi baffi - Intervista a P. Pistorio - Panorama 13/1/95. A. MASERA, Pronto... Qui Internet - Panorama 28/10/94. L. DE BIASE, Sesto potere - Panorama 28/10/94. M. DE MARTINO, Alzati e lavora - Panorama 7/5/94. E. SILVA, USA, in viaggio con Internet - Sole 16/6/95. E. VACIAGO, Nella galleria Ricci Oddi attraverso la rete Internet - Sole 28/7/95. A. GALLIPPI, Medicina sempre più hi-tech - Sole 2/8/95. M. R. ZINCONE, Pronto al decollo il mercato della formazione a distanza - Sole 14/7/95. F. RO, Sul video città senza segreti - Sole 24/7/95. F. FERRO, Lavoro a distanza - Telecom fa scuola - Sole 15/8/95. C. PIGA, Telelavoro - RAI - TG UNO Economia 27/6/95. A. D. F., Telelavoro: firmato un accordo “test” alla DBK - Sole 6/7/95.
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