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Educare alla “comune cultura politica”
Spinella Dell’Avanzato
Articolo pubblicato su Magellano. Rivista per l’orientamento Anno V febbraio 2004 n. 19 pp. 31-
38.


   Le questioni sollevate dalla globalizzazione e dal multiculturalismo riguardano la modificazione
dei confini dello Stato, le crescenti disuguaglianze strutturali e sociali e le difficoltà da parte delle
istituzioni politiche a gestire la convivenza civile tra diversi; inoltre, realtà ormai implose hanno
lasciato vuoti istituzionali e culturali, altre si sono frammentate manifestando ambiguità e carenze:
esistono molte realtà nuove da capire perché ancora nascoste e poco visibili.
La tolleranza, il problema dell’apertura e dell’inclusione, il bi-sogno di staccarsi da un falso
relativismo culturale, ma ancora di più il bisogno di trovare qualcosa di comune sono aspetti di una
situazione vissuta quotidianamente, laddove la globalizzazione determina frammentazione e
disgregazione di certezze e stabilità. La crisi che pervade la politica, l’economia e la cultura può
essere fronteggiata nel progetto formativo ad una “comune cultura politica”. Nella tradizione
sociologica esiste una serie di concetti come religione civile, etica civile e capitale sociale che
tentano di comprendere le esigenze dell’individuo, soffermandosi su una tendenza all’incontro e
allo scambio tra culture. Questi concetti, tuttavia, non permettono di dare un senso rilevante alle
nuove forme di interazione e di comunicazione; sono concetti legati ancora a qualcosa di comune in
termini di cultura o di storia vissuta insieme, agli aspetti sostanziali della cultura politica e non a
quelli procedurali.

Tra questi concetti quello di “comune cultura politica” sembra non solo spiegare, ma anche
risolvere alcuni problemi legati alla convivenza civile tra diversi. Come la religione civile, anche la
“comune cultura politica” non “rinuncia” al patrimonio culturale dei mondi di vita né alla prassi di
autodeterminazione dei cittadini, tuttavia esprime un processo procedurale di comunicazione,
svincolandosi da ogni legame particolare. La “comune cultura politica” è quindi in tensione tra gli
elementi idealizzanti di una religione civile e gli elementi descrittivi della cultura politica, da
“rivedere” costantemente, in un nuovo possibile equilibrio tra valori e procedure.

La “comune cultura politica” in Habermas

La riflessione sul concetto di “comune cultura politica” può avvenire attraverso un’analisi della
complessa teoria di Jürgen Habermas, dalla quale emergono alcuni aspetti fondamentali. La comune
cultura di stampo politico, così come viene intesa da Habermas, sembra avere la pretesa di rendere i
cittadini, democraticamente riuniti, capaci di modellare il loro ambiente sociale e politico; è
“strumento” capace di includere tutte le forme di vita particolari e di ricondurle al denominatore
comune dei diritti universali dell’uomo, appellandosi alle regole discorsive di “un agire
comunicativo mirato all’intesa”1. La “comune cultura politica” rappresenta quell’insieme di
condizioni e procedure di una pratica comunicativa quotidiana e di un processo di formazione
discorsiva delle norme, capace di portare gli individui ad una condivisione forte. Il senso
procedurale della “comune cultura politica”, lontano da ogni idea di sostanzialità, significa che si
definiscono solo le modalità di realizzazione di una convivenza pacifica delineandone le procedure
di costruzione e i punti cardine (cfr. Habermas, 1996), quali il riconoscimento tollerante di pari
dignità e pari rispetto di ogni forma di vita e l’osservanza delle pratiche democratiche di
consultazione e deliberazione. Gli aspetti sostanziali sono lasciati agli esiti contestuali
dell’interazione tra le diverse persone e gli elementi condivisi saranno eventualmente il risultato
della discussione. L’aggettivo “comune” significa, quindi, che il consenso raggiunto da un insieme
di persone libere e uguali – consenso che ogni volta deve essere messo in causa e riconquistato –
poggia soltanto sull’unità di una procedura approvata da tutti. Attraverso questa procedura,
democraticamente, si individua la decisione da prendere. Ciò che è comune nasce dalla parziale
sovrapposizione di diverse forme di vita, ma deve essere costruito continuamente; la “comune
cultura politica” elabora anche eventualmente un sentimento condiviso, ma comune è quella
procedura che ha permesso di raggiungere un’intesa – e quindi potrà anche istituzionalizzarsi – non
la soluzione finale, sempre legata al contesto in cui nasce. Il concetto stesso di “cultura” si
trasforma da contenitore di sedimentazioni ad insieme di elementi costruiti intenzionalmente.

La riarticolazione del concetto di “comune cultura politica”

Sulla base di quanto analizzato in Habermas intendo articolare e definire ulteriormente il concetto
di “comune cultura politica” in due livelli. Un primo livello di comune cultura politica rappresenta
un processo di “trasmissione” di competenze e procedure e si limita, quindi, a definire alcune
condizioni, competenze e procedure che gli individui apprendono, necessarie perché possano
mettersi d’accordo, come cittadini, su quali siano i loro problemi e su come vadano risolti. Per
primo livello intendo una socializzazione politica procedurale che riguarda strumenti attraverso i
quali le singole comunità, e poi la totalità, raggiungerà un’intesa. Tale livello è quindi caratterizzato
da un minimo iniziale da far acquisire come un possibile “set di strumenti comunicativi”. Un
secondo livello di comune cultura politica riguarda più propriamente il “comune” che scaturisce da
interazioni comunicative allo scopo di risolvere problemi importanti, come il rispetto della persona
e i suoi diritti di piena cittadinanza. A questo secondo livello gli elementi comuni saranno
“costruiti” dagli stessi individui che si sono abituati ad una comunicazione razionale e dialogica.
Parlare di “comune cultura politica” significa, quindi, individuare quei requisiti minimi che sono
condizioni della partecipazione attiva. Considerando la natura procedurale della “comune cultura
politica”, scaturiscono alcuni interrogativi: sono rintracciabili procedure e competenze – esistenti
già nella società civile e nella cultura politica – di possibile “stimolo” alla costruzione della
“comune cultura politica”? È possibile educare i cittadini a nuove competenze, riducendo la
spontaneità di un processo (per cui a volte avvengono comunicazioni che portano alla costruzione
di una nuova base comune), senza che tale educazione risulti “impositiva”? Per rispondere in modo
esauriente occorre analizzare il rapporto tra la “comune cultura politica” e la religione civile,
rintracciando elementi legati alla comunità ed elementi religiosi che possano tuttavia essere
integrati in una “comune cultura politica”, in quanto espressione di un processo di “revisione”;
occorre, inoltre, rintracciare nella cultura politica dei cittadini una base che contenga un
orientamento alla relazione reciproca e allo sviluppo del capitale sociale.

Oggi la “comune cultura politica” deve essere vista e formulata tenendo conto del passato e del
presente: esiste un rapporto vitale costante tra cultura tradizionale, cultura di base, senso comune e
diversità culturale. Occorre, inoltre, assumere una concezione “processuale”: la “comune cultura
politica” esiste ed è continuamente in costruzione. A partire dalla realtà occorre evidenziare quelle
tendenze e mutamenti che portano gli individui verso un tipo di comunicazione pubblica e
condivisa; è quindi il tentativo di sottolineare processi ed elementi che, controfattualmente,
favoriscono lo scambio e il dialogo. La “comune cultura politica” si attua attraverso un processo di
ritematizzazione inteso come concreto impegno di revisione nei confronti della propria dimensione
culturale, un costante rimettere in discussione i propri punti di riferimento tradizionali per affrontare
un confronto dialogico che potrà anche aiutare a prendere una maggiore coscienza della propria
specificità, specificità che si evidenzia proprio nel contatto con il diverso. Dalla relazione tra la
cultura di base, la cultura politica, la religione civile è possibile rintracciare elementi e orientamenti
da ritematizzare, che possono rappresentare un nucleo minimale e procedurale garante di un
possibile processo di ridefinizione continua della cultura civica di un Paese e di una capacità da
parte dei cittadini di comunicare e costruire insieme. Occorre partire dalle singole dimensioni etiche
e valoriali degli individui e portarle fino ad un dibattito nella società civile affinché un incontro tra
“diversi” determini la costruzione di una nuova base comune che rispecchia la neutralità.
Educare ad un primo livello di “comune cultura politica”

La “comune cultura politica” è un nuovo “strumento” efficace per facilitare un processo di scambio
e apertura; a sua volta, la “comune cultura politica” educherà a nuove competenze e a nuove
soluzioni che, di volta in volta, gli stessi cittadini individueranno. Se la “comune cultura politica”,
come insieme di competenze e procedure, è supportata a sua volta da un’educazione alla
cittadinanza democratica, sarà un processo per costruire forme di integrazione e di società.
Educando infatti i cittadini alla cittadinanza attiva, a procedure di scambio nella comunicazione, di
contatto dialogico con l’altro e abituandoli ad un processo di ritematizzazione della cultura di base,
nonché della cultura politica, è possibile che delle conseguenze inattese, prima concepibili solo
come controfattuali, si determinino poi normalmente. Attraverso un processo di educazione
“diffusa” i cittadini si approprieranno di competenze comunicative, producendo successivamente
nuovi valori e nuovi contenuti della cultura politica. L’obiettivo educativo riguarda, quindi, il
promuovere nel modo più diffuso le procedure e le competenze necessarie per partecipare a un
processo di costruzione della “comune cultura politica”. Educare significa, in questo contesto, far
acquisire competenze comunicative per analizzare un problema comune e per avere delle procedure
riguardanti il rapporto con gli altri in nome di un nuovo significato di solidarietà civica e di
cittadinanza democratica.

La “comune cultura politica” ha una valenza orientante in quanto è sia un’istanza tecnica che etica:
è sia “orizzonte di opportunità”, perché fornisce procedure e regole per realizzare una base comune,
sia “orizzonte della progettualità”, in quanto fornisce competenze e orientamenti che consentono
all’uomo di scegliere di aprirsi o chiudersi all’altro, attuando una revisione2. L’educazione alla
“comune cultura politica” è, quindi, un esempio forte in cui didattica e orientamento possono
incrociarsi, in quanto sono in grado di sviluppare negli individui quelle capacità e quelle
competenze necessarie per scegliere il proprio futuro e per partecipare attivamente negli ambiti di
studio, di lavoro e della società civile, esercitando una piena cittadinanza. L’orientamento, come
lungo processo formativo, strettamente intrecciato alle attività di insegnamento e apprendimento,
fornisce “occasioni” e “strumenti” necessari a prefigurare possibili alternative future, a rielaborare
personalmente le conoscenze e ad “incrementare” un tipo di comunicazione che, come tendenza di
fondo, gli individui “utilizzano”, specie quando temi importanti emergono dalla società civile.
Occorre stimolare un processo spontaneo di incontro e una volontà di raggiungere un’intesa per
“innescare” un gioco di scambi tra chi percepisce i bisogni, li traduce e orienta e chi, una volta
orientato, costruisce a sua volta delle intese. Si può, quindi, educare alla “comune cultura politica”
se questa nasce dall’incontro di diversi mondi vitali, tenendo conto dei bisogni di ognuno; solo così
potrà essere costruita continuamente da cittadini sempre più consapevoli.

Ritengo che sia fondamentale sviluppare, attraverso un orientamento multidisciplinare, il senso di
un’educazione continua per permettere agli individui di elaborare un nuovo “bagaglio” culturale
valido per quel momento e nel contesto in cui è stato costruito: questo tipo di educazione attiva un
processo che poi, autonomamente, sarà circolare. Un’educazione di questo tipo si riferisce meglio
ad una situazione multiculturale e risponde direttamente al bisogno e alla volontà di avviare un
dialogo tra le culture, per rendere le persone consapevoli del fatto che la conoscenza dell’altro
amplia la capacità di comprensione di se stessi e del mondo, costituendo un contributo reale ed
insostituibile per la crescita personale e sociale. E, se il quadro comune è ancora da costruire,
possono contribuire le molte diversità che si intrecciano, senza esclusioni.
I possibili luoghi di un’educazione alla “comune cultura politica”

La società è collegata come un network in cui se un cambiamento, anche leggero, avviene in una
sfera, questa modifica di riflesso anche le altre. Ovviamente non sempre agire in questa direzione,
cioè verso l’educazione alla cittadinanza, porta a dei cambiamenti effettivi, ma ritengo sia in atto
una trasformazione, sebbene lenta: basta coglierne le caratteristiche e agire per “stimolare” la
società. Occorre quindi lavorare sia sul piano delle riforme delle strutture dello Stato, al fine di
garantire loro una maggiore efficienza ed equità, sia sul piano più strettamente culturale, restituendo
dignità ad istituzioni come la scuola, rivitalizzando l’opinione pubblica e favorendo nei cittadini la
partecipazione e la libera iniziativa. Il tutto nell’intento di recuperare un senso del bene comune che
sappia valorizzare a pieno una visione pluralista e multidimensionale della società che non è
indifferente, da un punto di vista normativo, rispetto a ciò che nella società accade. La condizione
fondamentale per un’educazione alla “comune cultura politica” è che la società civile assuma nuova
rilevanza, attraverso la costituzione di arene deliberative decentrate e particolarmente qualificate
per ripensare il rapporto tra gruppi sociali, Stato e attività economiche.

Un ampliamento delle arene deliberative crea quelle condizioni strutturali favorevoli a processi
collettivi di apprendimento stimolando, tramite la stessa esperienza pratica della partecipazione,
l’interesse ai problemi pubblici. Si opta, quindi, per un modello deliberativo di società civile come
realtà sociale non ridotta ad una dimensione puramente privata, ma anzi caratterizzata da “un’ampia
articolazione di strutture associative che costituiscono le condizioni per processi pubblici di
formazione discorsiva della volontà politica” (Privitera, 2001, pag. 188). La democratizzazione
della società civile/sfera pubblica consentirebbe la formazione di uno spazio della comunicazione
liberamente accessibile e aperto all’attività riflessiva, capace di trasformare i problemi e le questioni
che nascono nel privato in discorsi pubblici. In questo modo si avrebbe, in primo luogo, l’effetto di
moltiplicare le agende dei problemi, le quali a loro volta contribuirebbero a creare una maggiore
competenza specialistica nel settore pubblico: ciò non significa incomunicabilità, ma scambio
continuo. Più complesso è il discorso sulle istituzioni democratiche; queste non sono solo arene in
cui gli attori si confrontano sulla base di preferenze, ma sono anche agenti di socializzazione, capaci
di creare o modificare valori che cementano il senso della comunità e quindi alimentano la
dotazione di capitale sociale.

Si rivela quindi cruciale lo sviluppo di istituzioni politiche in grado di sostenere il pluralismo
sociale e culturale, promuovendo allo stesso tempo la solidarietà tra i cittadini. Se gli individui
trovano fiducia e riconoscimento nelle strutture di interazione e nelle istituzioni culturali disponibili
nella sfera pubblica, le norme morali e le istituzioni“educanti” penetreranno nella dimensione etica
della vita personale. La struttura della sfera etica viene così ristrutturata, facendo ricorso a risorse
che provengono dalla società civile, e quest’ultima, a sua volta, viene trasformata in modo ancora
più universale, divenendo più sensibile alle questioni collettive. Se vogliamo difendere e migliorare
la nostra vita democratica occorre creare istituzioni che sostengano l’impegno dei cittadini in un
dibattito pubblico mirante a individuare soluzioni condivise. L’obiettivo dell’educazione politica
resta quello di aiutare questi processi di acquisizioni di competenze e di formare cittadini informati,
capaci di costruirsi un’opinione e di prendere consapevolmente posizione sulle scelte politiche
fondamentali. Di conseguenza, una volta che gli individui si abituano ad esercitare l’indipendenza
di giudizio e ad esprimere liberamente le proprie idee, essi tenderanno ad utilizzare queste
competenze anche nella sfera politica. In questo contesto si inserisce l’importanza delle reti di
condivisione e di un’azione politica per favorirle. Una rete di condivisione nasce quando più
persone si attrezzano per rendere agevole l’interazione comunicativa e lo scambio di conoscenze tra
di loro.
La rete è “un’istituzione” che si affianca al mercato come modo di coordinare le attività e, in
particolare, di gestire le conoscenze; per le sue caratteristiche riesce a gestire scambi cognitivi più
ricchi di quelli propri del mercato. Un modello ottimale di rapporti a rete si ha quando la
conoscenza scambiata è ricca e complessa e implica processi di interazione coinvolgenti le parti.
Quello che è importante sottolineare è che l’interesse a condividere le conoscenze è un formidabile
collante per mantenere “addensata” la società, anche in presenza di contrasti e divergenze. La rete
cognitiva è una condizione di scambio e di reciprocità che deve essere costruita in presenza di
problemi collettivi; ciò che conta è il processo evolutivo di formazione delle reti attraverso
l’esperienza di interazione e comunicazione che sedimenta convincimenti, linguaggi e regole
comuni. Un ruolo importante per educare ad un primo livello di comune cultura politica spetta in
proposito alla scuola. La necessità di rivedere il compito formativo della scuola non è solo
rappresentata dal peso che quotidianamente questa istituzione rappresenta per i futuri cittadini, ma
anche dalla sua capacità di sviluppare “curricula nascosti”, attualmente caratterizzati soprattutto da
disvalori (cfr. Cavalli, 1999, pagg. 87-103). Di fronte a questa situazione, che forma una
cittadinanza “distorta”, l’orientamento scolastico non può certo trasmettere norme e valori dati.
Deve, invece, insegnare che cosa significa essere e diventare cittadini di una città, di una regione, di
una nazione, dell’Europa e del mondo, come si possono condividere, già entro ogni città e ogni
nazione, i diritti e i doveri di persone che talora sono o appaiono portatrici di valori tra loro in
contraddizione o addirittura in conflitto e che ogni persona ha delle responsabilità nei confronti
degli altri esseri umani. Una istruzione adeguata alla società contemporanea dovrebbe formare a
delle competenze per una piena cittadinanza e preparare gli studenti a diventare interpreti informati
e sensibili delle varie problematiche presenti nella società. Ovviamente non basta rinnovare i
contenuti, ma occorre un enorme lavoro per “riorientare” il sapere e costruire le motivazioni ad
apprendere.

Sebbene molte ricerche empiriche abbiano dimostrato alcune tendenze verso una partecipazione
politica più attiva e verso un senso più consapevole della democrazia deliberativa, la proposta di
una comune cultura politica in due livelli necessita di ulteriori ricerche per verificare se forme di
“comune cultura politica” esistano e se siano efficaci per risolvere le questioni indicate che restano
aperte. Tuttavia, evidenziare una situazione complessa, una realtà mutevole è già un inizio capace di
far emergere aspetti e possibili “strumenti”, forse non ancora così evidenti, ma che, se sviluppati
adeguatamente, possono risolvere problemi che ostacolano la convivenza civile e pacifica tra
diversi. Sembra plausibile la possibilità di analizzare nuove realtà sulla base del concetto di
“comune cultura politica”, evidenziando forme di comunicazione mirata alla costruzione di
elementi culturali nuovi e comuni. Affrontare l’educazione alla cittadinanza, la “comune cultura
politica”, la ritematizzazione e il dialogo permette di individuare interazioni comunicative nuove,
come alternative ai sistemi di comunicazione tradizionali. Comunicare diviene una necessità,
imparare a comunicare diviene la cosa essenziale in democrazia per ridefinire e creare i rapporti
sociali e le forme di integrazione sociale e sistemica.

L’orientamento rappresenta, oggi, il principale luogo di educazione alla “comune cultura politica”.
Tale educazione ha il significato di una formazione che motivi, attivi e tuteli; non siamo nella
condizione di dover “dare” dei contenuti, ma possibili strumenti e informazioni su come costruire
con la discussione e il discorso razionale, su come comunicare.

Note

1 Cfr. Habermas, 1998, pagg. 63-110: “L’integrazione dei cittadini produce lealismo nei confronti
di una comune cultura politica. Questa cultura si radica in una certa interpretazione dei principi
costituzionali: interpretazione che ogni nazione elabora a partire dalla prospettiva specifica delle
sue esperienze storiche e che quindi non sarà mai eticamente neutrale” (pag. 94); Habermas, 1992,
pagg. 105-138: “Una democratica cittadinanza politica non ha bisogno di radicarsi dentro l’identità
nazionale di un popolo; tuttavia, a prescindere dalla molteplicità di differenti ‘forme di vita’
culturali, essa richiede che tutti i cittadini vengano socializzati in una comune cultura politica” (pag.
117); Habermas, 1999: “Il processo democratico garantisce legittimità già in virtù delle sue
caratteristiche procedurali. Perciò esso può entrare in funzione quando occorre riempire i vuoti
dell’integrazione sociale oppure, di fronte a una modificata composizione culturale della
popolazione, produrre una cultura politica comune” (pag. 49).

2 Cfr. Orsi (1998), che parla di “orizzonte della progettualità” e “orizzonte di opportunità”,
riferendosi a Lunati (1997), in particolar modo per quanto riguarda il termine “orizzonte della
progettualità”. Orsi parla di istanza etica che fornisce orientamenti e valori e che porta all’orizzonte
della progettualità, poiché consente all’uomo di scegliere, di essere libero, di inventare il futuro
tramite la messa in gioco della nascita. L’istanza tecnica è una potenza connessa all’agire, fornita
dalla strumentazione che l’uomo stesso ha inventato e costruito e che porta all’orizzonte di
opportunità. L’istanza tecnica mette a disposizione i mezzi per realizzare i fini e “va intesa come
libertà da” (pag. 25).

Bibliografia

Cavalli, A. (1999). Educare la società civile. In C. Leccardi (a cura di), Limiti della modernità.
Carocci Editore, Roma.

Cavalli, A. e Deiana, G. (a cura di) (1999). Educare alla cittadinanza democratica. Etica civile e
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Habermas, J. (1986). Teoria dell’agire comunicativo. Il Mulino, Bologna (ed. or.: 1981).

Habermas, J. (1992). Cittadinanza politica e identità nazionale. In J. Habermas, Morale diritto
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Habermas, J. (1992). Morale diritto politica. Einaudi, Torino (ed. or.: 1989).

Habermas, J. (1996). Fatti e norme. Contributi ad una teoria discorsiva del diritto e della
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Lunati, G. (1997). Dall’utopia alla progettualità. Laterza, Roma-Bari.

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Petrillo, A. (a cura di) (1997). Senza scudo. Cultura, valori e comunicazione nelle società
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Privitera, W. (2001). Società civile, cultura politica e democratizzazione: un approccio di filosofia
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Sighinolfi, M. (a cura di) (1998). Sapere minimo sull’orientamento. Franco Angeli, Milano.

Telmon, V. e Borghi, L. (1995). Valori formativi e culture diverse. Armando Editore, Roma

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Educare alla comune cultura politica

  • 1. Educare alla “comune cultura politica” Spinella Dell’Avanzato Articolo pubblicato su Magellano. Rivista per l’orientamento Anno V febbraio 2004 n. 19 pp. 31- 38. Le questioni sollevate dalla globalizzazione e dal multiculturalismo riguardano la modificazione dei confini dello Stato, le crescenti disuguaglianze strutturali e sociali e le difficoltà da parte delle istituzioni politiche a gestire la convivenza civile tra diversi; inoltre, realtà ormai implose hanno lasciato vuoti istituzionali e culturali, altre si sono frammentate manifestando ambiguità e carenze: esistono molte realtà nuove da capire perché ancora nascoste e poco visibili. La tolleranza, il problema dell’apertura e dell’inclusione, il bi-sogno di staccarsi da un falso relativismo culturale, ma ancora di più il bisogno di trovare qualcosa di comune sono aspetti di una situazione vissuta quotidianamente, laddove la globalizzazione determina frammentazione e disgregazione di certezze e stabilità. La crisi che pervade la politica, l’economia e la cultura può essere fronteggiata nel progetto formativo ad una “comune cultura politica”. Nella tradizione sociologica esiste una serie di concetti come religione civile, etica civile e capitale sociale che tentano di comprendere le esigenze dell’individuo, soffermandosi su una tendenza all’incontro e allo scambio tra culture. Questi concetti, tuttavia, non permettono di dare un senso rilevante alle nuove forme di interazione e di comunicazione; sono concetti legati ancora a qualcosa di comune in termini di cultura o di storia vissuta insieme, agli aspetti sostanziali della cultura politica e non a quelli procedurali. Tra questi concetti quello di “comune cultura politica” sembra non solo spiegare, ma anche risolvere alcuni problemi legati alla convivenza civile tra diversi. Come la religione civile, anche la “comune cultura politica” non “rinuncia” al patrimonio culturale dei mondi di vita né alla prassi di autodeterminazione dei cittadini, tuttavia esprime un processo procedurale di comunicazione, svincolandosi da ogni legame particolare. La “comune cultura politica” è quindi in tensione tra gli elementi idealizzanti di una religione civile e gli elementi descrittivi della cultura politica, da “rivedere” costantemente, in un nuovo possibile equilibrio tra valori e procedure. La “comune cultura politica” in Habermas La riflessione sul concetto di “comune cultura politica” può avvenire attraverso un’analisi della complessa teoria di Jürgen Habermas, dalla quale emergono alcuni aspetti fondamentali. La comune cultura di stampo politico, così come viene intesa da Habermas, sembra avere la pretesa di rendere i cittadini, democraticamente riuniti, capaci di modellare il loro ambiente sociale e politico; è “strumento” capace di includere tutte le forme di vita particolari e di ricondurle al denominatore comune dei diritti universali dell’uomo, appellandosi alle regole discorsive di “un agire comunicativo mirato all’intesa”1. La “comune cultura politica” rappresenta quell’insieme di condizioni e procedure di una pratica comunicativa quotidiana e di un processo di formazione discorsiva delle norme, capace di portare gli individui ad una condivisione forte. Il senso procedurale della “comune cultura politica”, lontano da ogni idea di sostanzialità, significa che si definiscono solo le modalità di realizzazione di una convivenza pacifica delineandone le procedure di costruzione e i punti cardine (cfr. Habermas, 1996), quali il riconoscimento tollerante di pari dignità e pari rispetto di ogni forma di vita e l’osservanza delle pratiche democratiche di consultazione e deliberazione. Gli aspetti sostanziali sono lasciati agli esiti contestuali dell’interazione tra le diverse persone e gli elementi condivisi saranno eventualmente il risultato della discussione. L’aggettivo “comune” significa, quindi, che il consenso raggiunto da un insieme di persone libere e uguali – consenso che ogni volta deve essere messo in causa e riconquistato – poggia soltanto sull’unità di una procedura approvata da tutti. Attraverso questa procedura,
  • 2. democraticamente, si individua la decisione da prendere. Ciò che è comune nasce dalla parziale sovrapposizione di diverse forme di vita, ma deve essere costruito continuamente; la “comune cultura politica” elabora anche eventualmente un sentimento condiviso, ma comune è quella procedura che ha permesso di raggiungere un’intesa – e quindi potrà anche istituzionalizzarsi – non la soluzione finale, sempre legata al contesto in cui nasce. Il concetto stesso di “cultura” si trasforma da contenitore di sedimentazioni ad insieme di elementi costruiti intenzionalmente. La riarticolazione del concetto di “comune cultura politica” Sulla base di quanto analizzato in Habermas intendo articolare e definire ulteriormente il concetto di “comune cultura politica” in due livelli. Un primo livello di comune cultura politica rappresenta un processo di “trasmissione” di competenze e procedure e si limita, quindi, a definire alcune condizioni, competenze e procedure che gli individui apprendono, necessarie perché possano mettersi d’accordo, come cittadini, su quali siano i loro problemi e su come vadano risolti. Per primo livello intendo una socializzazione politica procedurale che riguarda strumenti attraverso i quali le singole comunità, e poi la totalità, raggiungerà un’intesa. Tale livello è quindi caratterizzato da un minimo iniziale da far acquisire come un possibile “set di strumenti comunicativi”. Un secondo livello di comune cultura politica riguarda più propriamente il “comune” che scaturisce da interazioni comunicative allo scopo di risolvere problemi importanti, come il rispetto della persona e i suoi diritti di piena cittadinanza. A questo secondo livello gli elementi comuni saranno “costruiti” dagli stessi individui che si sono abituati ad una comunicazione razionale e dialogica. Parlare di “comune cultura politica” significa, quindi, individuare quei requisiti minimi che sono condizioni della partecipazione attiva. Considerando la natura procedurale della “comune cultura politica”, scaturiscono alcuni interrogativi: sono rintracciabili procedure e competenze – esistenti già nella società civile e nella cultura politica – di possibile “stimolo” alla costruzione della “comune cultura politica”? È possibile educare i cittadini a nuove competenze, riducendo la spontaneità di un processo (per cui a volte avvengono comunicazioni che portano alla costruzione di una nuova base comune), senza che tale educazione risulti “impositiva”? Per rispondere in modo esauriente occorre analizzare il rapporto tra la “comune cultura politica” e la religione civile, rintracciando elementi legati alla comunità ed elementi religiosi che possano tuttavia essere integrati in una “comune cultura politica”, in quanto espressione di un processo di “revisione”; occorre, inoltre, rintracciare nella cultura politica dei cittadini una base che contenga un orientamento alla relazione reciproca e allo sviluppo del capitale sociale. Oggi la “comune cultura politica” deve essere vista e formulata tenendo conto del passato e del presente: esiste un rapporto vitale costante tra cultura tradizionale, cultura di base, senso comune e diversità culturale. Occorre, inoltre, assumere una concezione “processuale”: la “comune cultura politica” esiste ed è continuamente in costruzione. A partire dalla realtà occorre evidenziare quelle tendenze e mutamenti che portano gli individui verso un tipo di comunicazione pubblica e condivisa; è quindi il tentativo di sottolineare processi ed elementi che, controfattualmente, favoriscono lo scambio e il dialogo. La “comune cultura politica” si attua attraverso un processo di ritematizzazione inteso come concreto impegno di revisione nei confronti della propria dimensione culturale, un costante rimettere in discussione i propri punti di riferimento tradizionali per affrontare un confronto dialogico che potrà anche aiutare a prendere una maggiore coscienza della propria specificità, specificità che si evidenzia proprio nel contatto con il diverso. Dalla relazione tra la cultura di base, la cultura politica, la religione civile è possibile rintracciare elementi e orientamenti da ritematizzare, che possono rappresentare un nucleo minimale e procedurale garante di un possibile processo di ridefinizione continua della cultura civica di un Paese e di una capacità da parte dei cittadini di comunicare e costruire insieme. Occorre partire dalle singole dimensioni etiche e valoriali degli individui e portarle fino ad un dibattito nella società civile affinché un incontro tra “diversi” determini la costruzione di una nuova base comune che rispecchia la neutralità.
  • 3. Educare ad un primo livello di “comune cultura politica” La “comune cultura politica” è un nuovo “strumento” efficace per facilitare un processo di scambio e apertura; a sua volta, la “comune cultura politica” educherà a nuove competenze e a nuove soluzioni che, di volta in volta, gli stessi cittadini individueranno. Se la “comune cultura politica”, come insieme di competenze e procedure, è supportata a sua volta da un’educazione alla cittadinanza democratica, sarà un processo per costruire forme di integrazione e di società. Educando infatti i cittadini alla cittadinanza attiva, a procedure di scambio nella comunicazione, di contatto dialogico con l’altro e abituandoli ad un processo di ritematizzazione della cultura di base, nonché della cultura politica, è possibile che delle conseguenze inattese, prima concepibili solo come controfattuali, si determinino poi normalmente. Attraverso un processo di educazione “diffusa” i cittadini si approprieranno di competenze comunicative, producendo successivamente nuovi valori e nuovi contenuti della cultura politica. L’obiettivo educativo riguarda, quindi, il promuovere nel modo più diffuso le procedure e le competenze necessarie per partecipare a un processo di costruzione della “comune cultura politica”. Educare significa, in questo contesto, far acquisire competenze comunicative per analizzare un problema comune e per avere delle procedure riguardanti il rapporto con gli altri in nome di un nuovo significato di solidarietà civica e di cittadinanza democratica. La “comune cultura politica” ha una valenza orientante in quanto è sia un’istanza tecnica che etica: è sia “orizzonte di opportunità”, perché fornisce procedure e regole per realizzare una base comune, sia “orizzonte della progettualità”, in quanto fornisce competenze e orientamenti che consentono all’uomo di scegliere di aprirsi o chiudersi all’altro, attuando una revisione2. L’educazione alla “comune cultura politica” è, quindi, un esempio forte in cui didattica e orientamento possono incrociarsi, in quanto sono in grado di sviluppare negli individui quelle capacità e quelle competenze necessarie per scegliere il proprio futuro e per partecipare attivamente negli ambiti di studio, di lavoro e della società civile, esercitando una piena cittadinanza. L’orientamento, come lungo processo formativo, strettamente intrecciato alle attività di insegnamento e apprendimento, fornisce “occasioni” e “strumenti” necessari a prefigurare possibili alternative future, a rielaborare personalmente le conoscenze e ad “incrementare” un tipo di comunicazione che, come tendenza di fondo, gli individui “utilizzano”, specie quando temi importanti emergono dalla società civile. Occorre stimolare un processo spontaneo di incontro e una volontà di raggiungere un’intesa per “innescare” un gioco di scambi tra chi percepisce i bisogni, li traduce e orienta e chi, una volta orientato, costruisce a sua volta delle intese. Si può, quindi, educare alla “comune cultura politica” se questa nasce dall’incontro di diversi mondi vitali, tenendo conto dei bisogni di ognuno; solo così potrà essere costruita continuamente da cittadini sempre più consapevoli. Ritengo che sia fondamentale sviluppare, attraverso un orientamento multidisciplinare, il senso di un’educazione continua per permettere agli individui di elaborare un nuovo “bagaglio” culturale valido per quel momento e nel contesto in cui è stato costruito: questo tipo di educazione attiva un processo che poi, autonomamente, sarà circolare. Un’educazione di questo tipo si riferisce meglio ad una situazione multiculturale e risponde direttamente al bisogno e alla volontà di avviare un dialogo tra le culture, per rendere le persone consapevoli del fatto che la conoscenza dell’altro amplia la capacità di comprensione di se stessi e del mondo, costituendo un contributo reale ed insostituibile per la crescita personale e sociale. E, se il quadro comune è ancora da costruire, possono contribuire le molte diversità che si intrecciano, senza esclusioni.
  • 4. I possibili luoghi di un’educazione alla “comune cultura politica” La società è collegata come un network in cui se un cambiamento, anche leggero, avviene in una sfera, questa modifica di riflesso anche le altre. Ovviamente non sempre agire in questa direzione, cioè verso l’educazione alla cittadinanza, porta a dei cambiamenti effettivi, ma ritengo sia in atto una trasformazione, sebbene lenta: basta coglierne le caratteristiche e agire per “stimolare” la società. Occorre quindi lavorare sia sul piano delle riforme delle strutture dello Stato, al fine di garantire loro una maggiore efficienza ed equità, sia sul piano più strettamente culturale, restituendo dignità ad istituzioni come la scuola, rivitalizzando l’opinione pubblica e favorendo nei cittadini la partecipazione e la libera iniziativa. Il tutto nell’intento di recuperare un senso del bene comune che sappia valorizzare a pieno una visione pluralista e multidimensionale della società che non è indifferente, da un punto di vista normativo, rispetto a ciò che nella società accade. La condizione fondamentale per un’educazione alla “comune cultura politica” è che la società civile assuma nuova rilevanza, attraverso la costituzione di arene deliberative decentrate e particolarmente qualificate per ripensare il rapporto tra gruppi sociali, Stato e attività economiche. Un ampliamento delle arene deliberative crea quelle condizioni strutturali favorevoli a processi collettivi di apprendimento stimolando, tramite la stessa esperienza pratica della partecipazione, l’interesse ai problemi pubblici. Si opta, quindi, per un modello deliberativo di società civile come realtà sociale non ridotta ad una dimensione puramente privata, ma anzi caratterizzata da “un’ampia articolazione di strutture associative che costituiscono le condizioni per processi pubblici di formazione discorsiva della volontà politica” (Privitera, 2001, pag. 188). La democratizzazione della società civile/sfera pubblica consentirebbe la formazione di uno spazio della comunicazione liberamente accessibile e aperto all’attività riflessiva, capace di trasformare i problemi e le questioni che nascono nel privato in discorsi pubblici. In questo modo si avrebbe, in primo luogo, l’effetto di moltiplicare le agende dei problemi, le quali a loro volta contribuirebbero a creare una maggiore competenza specialistica nel settore pubblico: ciò non significa incomunicabilità, ma scambio continuo. Più complesso è il discorso sulle istituzioni democratiche; queste non sono solo arene in cui gli attori si confrontano sulla base di preferenze, ma sono anche agenti di socializzazione, capaci di creare o modificare valori che cementano il senso della comunità e quindi alimentano la dotazione di capitale sociale. Si rivela quindi cruciale lo sviluppo di istituzioni politiche in grado di sostenere il pluralismo sociale e culturale, promuovendo allo stesso tempo la solidarietà tra i cittadini. Se gli individui trovano fiducia e riconoscimento nelle strutture di interazione e nelle istituzioni culturali disponibili nella sfera pubblica, le norme morali e le istituzioni“educanti” penetreranno nella dimensione etica della vita personale. La struttura della sfera etica viene così ristrutturata, facendo ricorso a risorse che provengono dalla società civile, e quest’ultima, a sua volta, viene trasformata in modo ancora più universale, divenendo più sensibile alle questioni collettive. Se vogliamo difendere e migliorare la nostra vita democratica occorre creare istituzioni che sostengano l’impegno dei cittadini in un dibattito pubblico mirante a individuare soluzioni condivise. L’obiettivo dell’educazione politica resta quello di aiutare questi processi di acquisizioni di competenze e di formare cittadini informati, capaci di costruirsi un’opinione e di prendere consapevolmente posizione sulle scelte politiche fondamentali. Di conseguenza, una volta che gli individui si abituano ad esercitare l’indipendenza di giudizio e ad esprimere liberamente le proprie idee, essi tenderanno ad utilizzare queste competenze anche nella sfera politica. In questo contesto si inserisce l’importanza delle reti di condivisione e di un’azione politica per favorirle. Una rete di condivisione nasce quando più persone si attrezzano per rendere agevole l’interazione comunicativa e lo scambio di conoscenze tra di loro.
  • 5. La rete è “un’istituzione” che si affianca al mercato come modo di coordinare le attività e, in particolare, di gestire le conoscenze; per le sue caratteristiche riesce a gestire scambi cognitivi più ricchi di quelli propri del mercato. Un modello ottimale di rapporti a rete si ha quando la conoscenza scambiata è ricca e complessa e implica processi di interazione coinvolgenti le parti. Quello che è importante sottolineare è che l’interesse a condividere le conoscenze è un formidabile collante per mantenere “addensata” la società, anche in presenza di contrasti e divergenze. La rete cognitiva è una condizione di scambio e di reciprocità che deve essere costruita in presenza di problemi collettivi; ciò che conta è il processo evolutivo di formazione delle reti attraverso l’esperienza di interazione e comunicazione che sedimenta convincimenti, linguaggi e regole comuni. Un ruolo importante per educare ad un primo livello di comune cultura politica spetta in proposito alla scuola. La necessità di rivedere il compito formativo della scuola non è solo rappresentata dal peso che quotidianamente questa istituzione rappresenta per i futuri cittadini, ma anche dalla sua capacità di sviluppare “curricula nascosti”, attualmente caratterizzati soprattutto da disvalori (cfr. Cavalli, 1999, pagg. 87-103). Di fronte a questa situazione, che forma una cittadinanza “distorta”, l’orientamento scolastico non può certo trasmettere norme e valori dati. Deve, invece, insegnare che cosa significa essere e diventare cittadini di una città, di una regione, di una nazione, dell’Europa e del mondo, come si possono condividere, già entro ogni città e ogni nazione, i diritti e i doveri di persone che talora sono o appaiono portatrici di valori tra loro in contraddizione o addirittura in conflitto e che ogni persona ha delle responsabilità nei confronti degli altri esseri umani. Una istruzione adeguata alla società contemporanea dovrebbe formare a delle competenze per una piena cittadinanza e preparare gli studenti a diventare interpreti informati e sensibili delle varie problematiche presenti nella società. Ovviamente non basta rinnovare i contenuti, ma occorre un enorme lavoro per “riorientare” il sapere e costruire le motivazioni ad apprendere. Sebbene molte ricerche empiriche abbiano dimostrato alcune tendenze verso una partecipazione politica più attiva e verso un senso più consapevole della democrazia deliberativa, la proposta di una comune cultura politica in due livelli necessita di ulteriori ricerche per verificare se forme di “comune cultura politica” esistano e se siano efficaci per risolvere le questioni indicate che restano aperte. Tuttavia, evidenziare una situazione complessa, una realtà mutevole è già un inizio capace di far emergere aspetti e possibili “strumenti”, forse non ancora così evidenti, ma che, se sviluppati adeguatamente, possono risolvere problemi che ostacolano la convivenza civile e pacifica tra diversi. Sembra plausibile la possibilità di analizzare nuove realtà sulla base del concetto di “comune cultura politica”, evidenziando forme di comunicazione mirata alla costruzione di elementi culturali nuovi e comuni. Affrontare l’educazione alla cittadinanza, la “comune cultura politica”, la ritematizzazione e il dialogo permette di individuare interazioni comunicative nuove, come alternative ai sistemi di comunicazione tradizionali. Comunicare diviene una necessità, imparare a comunicare diviene la cosa essenziale in democrazia per ridefinire e creare i rapporti sociali e le forme di integrazione sociale e sistemica. L’orientamento rappresenta, oggi, il principale luogo di educazione alla “comune cultura politica”. Tale educazione ha il significato di una formazione che motivi, attivi e tuteli; non siamo nella condizione di dover “dare” dei contenuti, ma possibili strumenti e informazioni su come costruire con la discussione e il discorso razionale, su come comunicare. Note 1 Cfr. Habermas, 1998, pagg. 63-110: “L’integrazione dei cittadini produce lealismo nei confronti di una comune cultura politica. Questa cultura si radica in una certa interpretazione dei principi costituzionali: interpretazione che ogni nazione elabora a partire dalla prospettiva specifica delle sue esperienze storiche e che quindi non sarà mai eticamente neutrale” (pag. 94); Habermas, 1992,
  • 6. pagg. 105-138: “Una democratica cittadinanza politica non ha bisogno di radicarsi dentro l’identità nazionale di un popolo; tuttavia, a prescindere dalla molteplicità di differenti ‘forme di vita’ culturali, essa richiede che tutti i cittadini vengano socializzati in una comune cultura politica” (pag. 117); Habermas, 1999: “Il processo democratico garantisce legittimità già in virtù delle sue caratteristiche procedurali. Perciò esso può entrare in funzione quando occorre riempire i vuoti dell’integrazione sociale oppure, di fronte a una modificata composizione culturale della popolazione, produrre una cultura politica comune” (pag. 49). 2 Cfr. Orsi (1998), che parla di “orizzonte della progettualità” e “orizzonte di opportunità”, riferendosi a Lunati (1997), in particolar modo per quanto riguarda il termine “orizzonte della progettualità”. Orsi parla di istanza etica che fornisce orientamenti e valori e che porta all’orizzonte della progettualità, poiché consente all’uomo di scegliere, di essere libero, di inventare il futuro tramite la messa in gioco della nascita. L’istanza tecnica è una potenza connessa all’agire, fornita dalla strumentazione che l’uomo stesso ha inventato e costruito e che porta all’orizzonte di opportunità. L’istanza tecnica mette a disposizione i mezzi per realizzare i fini e “va intesa come libertà da” (pag. 25). Bibliografia Cavalli, A. (1999). Educare la società civile. In C. Leccardi (a cura di), Limiti della modernità. Carocci Editore, Roma. Cavalli, A. e Deiana, G. (a cura di) (1999). Educare alla cittadinanza democratica. Etica civile e giovani nella scuola dell’autonomia. Carocci Editore, Roma. Danese, A. (1992). Cittadini responsabili. Edizioni Devoniane, Roma. Habermas, J. (1986). Teoria dell’agire comunicativo. Il Mulino, Bologna (ed. or.: 1981). Habermas, J. (1992). Cittadinanza politica e identità nazionale. In J. Habermas, Morale diritto politica. Einaudi, Torino. Habermas, J. (1992). Morale diritto politica. Einaudi, Torino (ed. or.: 1989). Habermas, J. (1996). Fatti e norme. Contributi ad una teoria discorsiva del diritto e della democrazia. Guerini e Associati, Milano (ed. or.: 1992). Habermas, J. (1998). Lotta di riconoscimento nello stato democratico di diritto. In J. Habermas e C. Taylor, Multiculturalismo. Lotte per il riconoscimento. Feltrinelli, Milano. Habermas, J. (1999). La costellazione postnazionale. Feltrinelli, Milano (ed. or.: 1998). Habermas, J. e Taylor, C. (1998). Multiculturalismo. Lotte per il riconoscimento. Feltrinelli, Milano. Lunati, G. (1997). Dall’utopia alla progettualità. Laterza, Roma-Bari. Messeri, A. (2000). Unità nella diversità: per una teoria dell’inclusione sociale. In A. Messeri e F. Ruggeri (a cura di), Quale cittadinanza? Esclusione ed inclusione nella sfera pubblica moderna. Franco Angeli, Milano.
  • 7. Orsi, M. (1998). Educare ad una cittadinanza responsabile. EMI, Bologna. Petrillo, A. (a cura di) (1997). Senza scudo. Cultura, valori e comunicazione nelle società contemporanee. La città del sole, Napoli. Privitera, W. (2001). Società civile, cultura politica e democratizzazione: un approccio di filosofia sociale. In M. Calloni, A. Ferrara e S. Petrucciani (a cura di), Pensare la società. Carocci Editore, Roma. Rusconi, G.E. (1999). Possiamo fare a meno di una religione civile? Laterza, Roma-Bari. Sasso, A. e Toselli, S. (a cura di) (1997). Apprendere a scuola nella società complessa. Nuovi saperi, tecnologie, formazione, comunicazione, cittadinanza. Paravia, Torino. Sighinolfi, M. (a cura di) (1998). Sapere minimo sull’orientamento. Franco Angeli, Milano. Telmon, V. e Borghi, L. (1995). Valori formativi e culture diverse. Armando Editore, Roma