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INNOVARE PER CRESCERE, CRESCERE PER INNOVARE
Roberto Siagri, Presidente e Amministratore delegato , Eurotech Spa
Ho preparato una presentazione che delinea prima quali siano le sfide delle imprese con
funzione di introduzione e inquadramento della storia aziendale per poi passare alla storia di
Eurotech. Vorrei però fare una premessa: è più facile tracciare un percorso dopo che lo si è
fatto per cui da questo punto di vista non so se tutto quello che è stato fatto dall'inizio ad oggi
abbia avuto una razionalità alle spalle. E’ più facile razionalizzarlo adesso, e sicuramente, se
guardo indietro molte cose sono state fatte sull'onda dell'intuito o dell'entusiasmo.
Le sfide di una impresa
È vero, fare impresa è una impresa difficile, è rischioso trasformare un idea in un business.
Se andiamo a vedere la vita media delle imprese troviamo che la vita media di un impresa in
Italia come in Giappone è di circa 12,25 anni; se si tratta invece di una impresa
multinazionale la sua vita media si sposta a 45 anni. Questo già vi dà un'idea di come
andando ad espandere l'impresa fuori da un territorio nazionale, oggi si potrebbe dire
globalizzandosi si estende la vita media dell'impresa. Cosa altrettanto poco incoraggiante il
75% dei prodotti lanciati da una imprese, anche molto affermate, di solito non ha successo.
Se poi andiamo a vedere quante imprese sono in grado di sostenere la crescita a lungo
termine queste sono solo il 10%. Sul lato investimenti l'80% di quelli effettuati dai venture
capital non ha ritorni. La sfida dunque sta nel trovare un modello di sviluppo che consenta ad
un'azienda di mantenere un tasso di crescita nel medio e lungo periodo
Un altro problema poi è l'attitudine dell’imprenditore. Sono pienamente d'accordo nel dire che
non c'è nessuna necessità che le imprese diventino per forza grandi. Bisogna creare però un
ecosistema favorevole che mantenga piccole e grandi e che permetta anche alle piccole che
vogliono crescere di poterlo fare.
Un esempio di un sistema che permette la convivenza di piccole e grandi e per molti versi
quello degli Stati Uniti. Li si trova una simbiosi tra le grandi e le piccole, anzi le grandi hanno
bisogno delle piccole. La pipeline dei nuovi prodotti di molte multinazionali ad esempio la
Johnson & Johnson è fatta per larga maggioranza da prodotti realizzati da piccole e medie
imprese.
Tornando allo sviluppo dell’impresa, essa si sviluppa in un ambiente non facile perché, come
evidenziato sul libro del prof. De Toni, “prede o Ragni”, gli uomini e le organizzazioni si
trovano prafrasando Dante in una specie di selva oscura e questa selva oscura è la
complessità del reale; d'altra parte la complessità del reale è proprio la fonte delle opportunità.
Nessuno conosce già il territorio del futuro e nessuno ha ancora tutta la mappa a disposizione,
il futuro va immaginato, e se serve inventato, si possiamo anche costruirci la mappa.
Ecco che a tale proposito potremmo prendere una frase di Bernard Shaw che mi sembra
molto pertinente e che dice “ le persone sono in cerca delle circostanze che vogliono e se
non le trovano le creano”; questa frase si presta bene anche per definire la figura di un
imprenditore. Se torniamo all’ambiente su cui ci si trova ad operare e lo analizziamo in
prospettiva storica, oggi siamo in un periodo di cosiddetta “business transformation”. Il
modello di business può cambiare molto velocemente, dalla sera alla mattina , ed ecco che la
lunga durate (perpetuazione) del business model adottare viene meno. Il business model
aziendale oggi non dovrebbe essere visto come un qualche cosa di statico ma in continua
evoluzione. Le cose che rimangono più fisse, a medio e lungo termine, la visione e i valori
dell’impresa.
Per crescere bisogna molto spesso cambiare, e per un impresa cambiare significa cambiare il
modello di business.. Dal mio punto di vista vedo la crescita come un contino movimento
lungo la catena di valore. Si può ovviamente rimanere fermi nella catena del valore, ma
allora come diceva prima il prof. Brunetti, se resti in mezzo alla catena di valore tra monte e
valle, li non ci sono altre vie che crescere in maniera vertiginosa se non si vuole essere
schiacciato. Io preferisco cambiare business model e cercare di spostarsi più a valle della
catena di valore, ad esempio l’investimento sul brand, permette di spostarsi verso valle e
che mi costringe non necessariamente a diventare grande. Ci sono molte aziende come la
Foppa Pedretti che hanno un brand molto forte e fattura meno di 100 milioni di euro se ci
avessero chiesto di rispondere d’istinto alla domanda quanto fattura credo che la maggior
parte di noi avrebbe dato per risposta un numero maggiore di 100 milioni. Questo è la
dimostrazione che il brand fa vedere un'impresa in modo diverso dalla realtà e ne amplifica
ad esempio la dimensione o la qualità o la sicurezza ecc.. Poi possiamo riflettere sul perché
aziende con brand forti non vogliono o non riescono a diventare più grande ma questo
credo sia secondario rispetto alla funzione del brand. Se analizziamo il semilavorato la forza
del brand è molto più bassa e sono pochi i casi in cui si riesce a far valere il brand. In questi
casi tutto è legato a fattori di produzione, e innovazioni che possono portare giù i costi.
Come si è visto non si deve necessariamente credere che si deve avere un'azienda enorme
per avere una brand forte. Nel mondo di oggi, in cui non c'è più la supremazia dell'atomo ma
c'è la supremazia dell'informazione e della comunicazione, è molto più facile fare emergere
le imprese inoltre è anche più facile fare impresa perché non dobbiamo più detenere i mezzi
di produzione che si possono trovare in outsourcing, l'importante è detenere le idee.
I primi due punti che erano stati enunciati dal prof Rullani durante il suo intervento erano
proprio le idee e la capacità di intraprendere. I capitali vengono un po' dopo perché mentre
all'inizio del ' 900 senza capitali non cominciavi a fare niente, oggi si può anche, almeno
inizialmente, intraprendere con capitali modesti e solo dopo fare ricorso a capital esterni.
Quest’ultima è un po' la anche la storia di Eurotech che vedremo fra poco.
Un altro elemento che vorrei mettere in evidenza è l'atteggiamento rispetto alla
globalizzazione. Essere globali oggi non è più una scelta ma una necessità. Grazie
soprattutto alle tecnologie digitali, tutto si sta muovendo molto velocemente, per cui oggi è
più importante essere globali che essere grandi, si ritorna ancora al punto che le dimensioni
vengono dopo. In un mondo che è sempre più piatto, come dice Friedman nel suo libro “The
world is flat”, le grandi imprese debbono comportarsi come le piccole e le piccole come
grandi.
Andiamo a vedere come sono fatte le curve di vita dei prodotti e delle imprese. In figura 3 e
disegnata una curva che è detta anche curva logistica o sigmoide o anche semplicemente
curva a s visto che è la prima parte quella importante, e che rappresenta lo sviluppo di
sistemi biologici (per esempio la vita degli umani) e che adatta bene anche alle aziende.
Nella figura nella fase iniziale si possono notare un certo numero di tratti di curva che poi non
continuano, questa è la moralità infantile che nelle imprese come si è visto è molto alta
(selezione delle idee). Le imprese che riescono a superare la prima fase godono di uno
sviluppo esponenziale che però ad un certo punto ha fine ovvero al raggiungimento della
maturità, se non si vuole andare incontro al declino le imprese devono innovare ancora come
fecero nella fase di start-up tenendo in considerazione che anche qui c’è una forte selezione
e solo le idee migliori sopravvivono per cui sarà meglio dotarsi di un portafoglio di innovazioni
al fine di massimizzare le probabilità di poter ripartire, con un’altra curva ad s e evitare il
declino e la successiva morte. Le imprese a differenza degli umani possono vincere la morte
e perpetuarsi.
I due disegni figura 4 ci fanno vedere che non bisogna sbagliare il tempo dell’innovare e
l’accelerazione delle tecnologie ed i suoi effetti di contrazione temporale ed amplificazione
degli effetti. Ci si chiederà ma c’è ancora qualche cosa da inventare? Come dicevo c’è la
tendenza di sottovalutare l'impatto dello sviluppo tecnologico nel lungo termine, la cosa deriva
dal fatto che noi umani siamo vittime di una visione lineare. Per capire questo concetto farò
un esempio : se vi chiedessi di immaginare di avere a disposizione un grande foglio di carta e
di piegarlo su se stesso una volta, poi il foglio doppio così ottenuto di piegarlo ancora su se
stesso un’altra volta e così via per cinquanta volte; se vi chiedessi di immaginare che
spessore ha il foglio piegato su se stesso cinquanta volte e vi chiedessi una risposta istintiva
nell’ordine di grandezza della soluzione, quale sarebbe la vostra risposta ? Dubito che alla
maggioranza verrebbe da dire più di qualche metro. In realtà se si potesse piegare 50 volte
su se stesso ne verrebbe uno spessore di 2^50 (circa 10^15) volte lo spessore della carta. Un
spessore che grossolanamente corrisponde alla distanza Terra Sole E’ proprio questa
difficoltà di vedere la crescita in maniera esponenziale che impedisci visioni su lungo periodo.
Se gli attuali trend di crescita dovessero essere confermati, come è molto probabile che sia,
vivremo in un secolo che corrisponderà a 20.000 anni di progresso se paragonato al
progresso raggiunto nello scorso secolo. Siamo entrati in un secolo che non ha paragoni con
nessuna altro periodo della storia dal punto di vista delle opportunità di sviluppo e di
business.
La curva ad “S” di cui si è parlato presenta varie fasi che potremo anche chiamare insidie. In
accordo con la posizione sulla curva cambia anche l’atteggiamento dell’impresa e
dell’imprenditore. Nella fase di partenza c’è un inventore, un entusiasta che comincia a
metterti a fare delle cose e non ha idea delle potenzialità le fa perché sente il bisogno di farle;
si passa poi alla fase di sviluppo commerciale del prodotto e qui ci sono i primi pericoli
perché cambia sia l’attitudine dell’impresa che dell’imprenditore ecco che ogni fase
rappresenta una sfida raffigurata nella figura 5 con delle discontinuità, questi fenomeni di
discontinuità si possono trovare nel libro Crossing the Casm di G. Moore.
Questa è la curva di vita di un impresa, ricca di insidie e sta nella bravura di tutti quegli uomini
e donne che ogni giorno sfidano l’incertezza per perpetuare le impresa. In questo difficile
compito entra giocoforza l’innovazione.
L’innovazione come strumento per la sostenibilità a medio/lungo periodo dell’impresa .
E’ necessario dotarsi di un processo di innovazione continuo ed indipendentemente dalla
posizione dell’impresa sulla curva logistica, posizione peraltro difficilmente individuabile a
priori e questo perché qualunque prodotto anche se è molto innovativo ha sempre un tempo
di introduzione sul mercato che è più lungo di quello che si tende a immaginare. La tendenza
di noi umani è quella di sopravvalutare a breve l'introduzione e sottovalutare a lungo invece
l'impatto, ritorneremo in seguito su questo tema.
Abbiamo visto che le curve di vita presentano una partenza molto lenta e poi un tratto di forte
crescita esponenziale, la domanda è come si fa a trasformare questa curva a esse in una
curva a J cioè una curva che rappresenta una crescita nel lungo periodo (figura 4). Per prima
cosa, e che sta sotto gli occhi di tutti è che mentre la curva di vita di un prodotto 20 anni fa
era di 10 o più anni oggi queste curve di vita si stanno sempre più accorciando sulla spinta
del progresso tecnologico e della globalizzazione. Però se il tempo di vita si accorcia i risultati
in termine di ritorno anche se a breve sono gli stessi se non maggiori del passato. Il
problema che si pone è solo si fa per dire della innovazione continua al fine di mantenere una
posizione di competitività a lungo termine.
Detta in altre parole la questione dell’innovazione di può riassumere con Tom Peters o distinti
(camaleonte) o estinti (dinosauro)
La crescita dimensionale delle imprese
Dalle considerazione finora fatte ne segue che le piccole imprese possono sicuramente
essere più innovative perché hanno una flessibilità maggiore: ed ecco che le operazioni di
acquisizione da parte delle grandi imprese di piccole o medie imprese possono aiutare a
rendere nuovamente flessibile anche la grande impresa stessa. Quello che tutti sappiamo è
che mentre l’impresa diventa grande perde inevitabilmente in flessibilità. Una maniera, per
esempio, per riguadagnare flessibilità, senza fare grossi sconvolgimenti all'interno, è quella di
acquisire delle aziende che possono portare nell’organizzazione elementi di flessibilità e che
potrebbero addirittura diventare il corpo principale in un prossimo futuro.
I driver della crescita e dell’aumento di valore dell’impresa non è che sono tanti. Da una parte
c'è la leva dell'innovazione e dall'altra la leva dell’M&A ( ovvero fusione o acquisizione).
Bisogna agire sulle due leve, perché abbiamo visto che i tempi di introduzione e di impiego di
una nuova tecnologia o prodotto hanno una certa inerzia nella fase di introduzione e un
tempo di impiego sempre più stretto. L’impresa deve far fronte a due problemi: mitigare la
mancanza di risultati per l’inerzia di introduzione con altro fatturato e dall’altra avere un
mercato di riferimento sufficientemente grande per veicolare in maniera sufficiente da
conquistare una posizione di leadership così da tenere lontana la concorrenza.
Per Eurotech infatti le acquisizioni sono state finora giudicate per il posizionamento
geografico che garantivano e per la lista dei clienti ovvero la rete di relazioni.
L’idea sottostante è che allargare la base geografica e la base clienti dovrebbe garantire una
migliore introduzione sul mercato di prodotti innovativi. L’M&A in generale se fatto con criteri
industriali è una fonte di opportunità per tutti, in cui tutti hanno da guadagnare è una
soluzione come si direbbe del tipo win-win. Se ci ricordiamo del ciclo di vita delle imprese,
quello che Eurotech ha fatto fino adesso è stato di identificare imprese che avessero una
storia significativa alle spalle (decennale o ventennale) e che fossero in una fase stabile,
dove l'imprenditore non ha degli strumenti per farla crescere ulteriormente e piuttosto che
vada in declino, ha tutto l'interesse a venderla. L’importante è poi sapere come fare ripartire il
tutto, e cioè principalmente tramite il cross selling e se serve tramite il cambio del modello di
business e che può coinvolgere l’utilizzo di capitali. Molte volte infatti non si riesce a far
crescere l'impresa perché non si ha accesso ai capitali, per essendo in possesso del resto
degli elementi. Un modello evoluto di capitalismo dovrebbe prevedere la circolazioni dei
capitali e delle imprese. In un ecosistema evoluto come quello americano l'imprenditore che
incassa i soldi già il giorno dopo apre una nuova impresa. Ecco che si rigenera la piccola che
poi l'impresa media compra e così via. Questo modello mantiene viva l’innovazione mentre un
modello che porta alla vendita forzata per cambiamento generazionale ha un po’ più di
difficoltà a mantenere viva l’innovazione perché difficilmente i capitali verranno reimpiegati..
Se prendiamo ad esempio l’acquisizione di Parvus (società Americana con sede a SLC)
troviamo proprio questo caso dopo l’acquisizione l’imprenditore ha aperto una nuova attività
sulla quale abbiamo investito anche noi. Se questa realtà diventerà grande è molto probabile
che l’imprenditore si ritroverà a valutare la vendita e magari mentre vende avrà già in mente
una nuova avventura. Da questo esempio si capisce chiaramente che ci sono persone adatte
agli start-up altri più adatti nelle fasi di crescita altri per le ristrutturazioni. Non è facile trovare
l’uomo per tutte le stagioni.
La storia di Eurotech
Ritorniamo ora alla storia di Eurotech. L’impresa nasce nel 92, il nome Eurotech deriva dal
fatto che come fondatori volevamo darci una connotazione di un'impresa che usciva fuori dai
confini nazionali (Euro) e che si basava sulle tecnologie (Tech). Noi allora sapevamo
maneggiare circuiti digitali e avevamo solo le nostre idee, ci mancavo completamente i
capitali. Le tecnologie digitali sono state il fondamento su cui poggiare l'impresa con l'idea
che dovevamo imporci fuori dall’ambito nazionale. Parte così un modello, come dico spesso,
di fabbrica delle idee senza la fabbrica delle macchine. In realtà utilizzando la regola a
spanne del 80/20, chiamerei un azienda fabless se produce in outsourcing l'80% e
internamente il 20%. Un azienda dunque aperta al mondo e alle nuove tecnologie e
sfruttando gli standard di mercato per realizzare i prodotti. Ci eravamo fatti l’idea che ne le
barriere doganali ne i prodotti con specifiche proprietarie ci avrebbero potuto garantire un
vantaggio competitivo nel medio-lungo termine. L’aderire agli standard, ci permetteva di
combattere con i nostri concorrenti ad armi pari, sullo stesso tipo di terreno. Il vantaggio
competitivo deve essere dato dalla capacità di innovare dentro gli standard, facendo cose
migliori dei concorrenti e garantendo un maggior vantaggio competitivo ai nostri clienti.
Del resto se andiamo ad analizzare che cosa è che pilota la crescita del pil e la
globalizzazione e la standardizzazione o/e delle parti e/o delle funzioni
L’inizio è stato piuttosto duro, dal 92 al 95 si è andati avanti, come si usa dire in questi casi, “a
pane e acqua “ed è venuta tante volte la tentazione di svendere o di mollare. Più di una volta
ci siamo chiesti : ma chi c’è l'ha fatto fare? Cosa ci è venuto in mente di licenziarci?.
Eravamo infatti tutti o dirigenti o impiegati ben pagati e senza troppe preoccupazioni.
Ma a partire dal 2006, la storia comincia a cambiare, lentamente e inesorabilmente
cominciamo a guadagnare clienti e con i clienti aumenta anche il fatturato. Non avevamo
ancora soldi per fare acquisizioni anzi la cosa non ci passava neanche per la testa, ma i primi
soldi guadagnati dell’impresa vennero subito reinvestiti (messi in attività di ricerca). Nasce
così nel ’98 Neuricam che è uno spin-off dell’IRST di Trento. Da quella esperienza nascono
le collaborazioni con l'istituto di fisica nucleare INFN in ambito di supercalcolo. L’azienda va
sempre meglio. Attorno al 2000 passiamo da quello che io definisco un laboratorio a una
piccola industria. Eccoci arrivati a quella che definisco la fase due ovvero ad un altro punto di
svolta.
La domanda che ci facemmo è stata: siamo riusciti a costruire l'impresa, riusciamo a pagarci
di stipendi! Ci siamo generati un nuovo posto di lavoro! Ma è questo quello che vogliamo? .
Già riuscire a pagarci gli stipend,i era una cosa incredibile. Eravamo riusciti anche a generare
del denaro a partire dalle nostre idee. Erano sufficienti questi risultati? Si o No? Per me no!.
Avevamo solo due possibili soluzioni alla risposte No!: o si vendeva o si trovavano i soldi per
andare avanti. Avremmo potuto anche fermarci a quel livello di fatturato poteva anche andare
bene così; ma non era quello che volevamo noi.
In quegli anni stavano avvenendo cose che avrebbero cambiando il mondo dei calcolatori..Il
computer non era più una macchina centralizzata e collegamenti a stella con gli utenti Si
diffondono le reti di comunicazione e queste cominciavano a generare applicazioni prima
impensabili. Vedevamo la reale possibilità di cogliere nuove opportunità per la nostra crescita
e per questa ragione, anziché vendere, siamo andati a trovarci dei capitali a servizio della
crescita. Nella primavera del 2001, tramite un operazione di private-equity, abbiamo fatto
entrare due fondi chiusi che hanno apportato 3, 7 milioni di euro in dotazione. Avevamo così
a disposizione un po’ di munizioni per cominciare a muoverci in giro per il mondo e
cominciare una campagna di acquisizioni.
Le ragioni per cui ci si avventura lungo la strada delle acquisizioni sono molteplici, la nostra
ragione principale era vincere le barriere culturali che separavano l’Italia del resto del mondo.
L’Italia non era (e non lo e oggi) percepita come una nazione ad alta tecnologia e questo ci
penalizzava nella fase di vendita, nonostante, in quegli anni, ci fosse una lira molto debole:
negli USA un differenziale nel prezzo del 30% non era sufficiente per vendere i nostri prodotti.
Qualcuno potrebbe obiettare sostenendo che c’è una alternativa alla acquisizione, cioè nel far
partire l'impresa da zero nel paese nel quale si decide di sbarcare. In realtà avevamo preso in
considerazione anche questa idea salvo il fatto che se non si fanno i conti solo con carta e
penna e si mettono in conto i rischi commerciali, ci si accorge che questa strada può
trasformarsi in un bagno di sangue. Almeno così è stata la nostra valutazione. Ci conveniva
comprare un'impresa così da poter contare almeno su clienti di questa.
La prima acquisizione l’abbiamo fatta in Italia a fine 2002, anche per sperimentare in casa il
meccanismo. Dopo, nell’estate 2003, è venuto il turno di una società americana (Parvus a
Salt Lake City), poi nell’autunno 2004 di una società in Francia e per finire il ciclo iniziato con
il private-equity abbiamo acquisito, uno start_up in Finlandia. Con i 3,7 milioni di euro
abbiamo acquisito più di 5 milioni di Euro di fatturato.
Una nota di colore sull’operazione di private equità e che da un idea anche del pensiero
imprenditoriale allora corrente (e che in parte sussiste), alcuni imprenditori locali ci dissero:
“vedrete vi costringeranno a vendere o ad andare a quotarvi”, convinti di dirci chissà quale
celata e terribile verità. La mia risposta era “Certo! È quello che vogliamo”, volevamo uno
stimolo per fare di più!. Eravamo tutti coscienti che era una sfida ed era altrettanto evidente
che se qualch’uno ti presta dei soldi prima o poi li vorrà anche indietro. La vendita poi non ci
spaventava, se non fossimo stati capaci di far crescere l’azienda ci sembrava normale che
questa potesse passare di mano.
Arriviamo così al 2005, guardandoci all’indietro potevano osservare che dal 1993 al 2005 la
nostra crescita aggregata media annuale (CAGR) era del 50%. Il gruppo contava 160
persone di cui il 40% impegnato in attività di ricerca e con un investimento in tali attività pari al
12% di fatturato. Siamo così giunti alla fase odierna. Ogni nostra fase vede anche
l’esplorazione di nuovi modo di utilizzare i calcolatori e che deriva dalla loro attuale
pervasività. I calcolatori interconnessi su grande e piccola scala, ci permettono, di amplificare
(o aumentare) i nostri sensi e la realtà e non solo visualizzare o virtualizzare la realtà. La
possibilità oggi fornitaci dai calcolatori di generare situazioni a realtà aumentata ci pone nelle
condizioni di guardare alle cose in una prospettiva totalmente diversa. Percorrere nuove
strade può anche significare dover adottare nuovi modelli di business e richiede di sicuro
ulteriori investimenti. Quotarsi in borsa significava per noi raccogliere capitale per finanziare
un ulteriore fase di crescita e aumentare la visibilità del nostro brand. L’ aumento di visibilità
del brand ci avrebbe permesso di cambiare più facilmente il modello di business qualora
richiesto. Un brand forte a sua volta avrebbe permesso di incrementare la forza del gruppo,
attirare risorse umane.
Se nel 2001 avevamo raccolto 3,7 milioni di euro, con l’IPO abbiamo invece raccolto 25
milioni, e con un ulteriore aumento di capitale concluso nell’estate 2006 abbiamo raccolto
ulteriori 109 milioni di euro. Dopo queste due operazioni di aumento di capitale e della
diluizione conseguente dei soci fondatori, Eurotech è diventata una public company con circa
il 77% delle azioni sul mercato: i fondatori e alcuni manager possiedono soltanto il rimanente
23 % . Allo stato dei fatti non abbiamo più il controllo dell'impresa ma ne abbiamo pur sempre
il presidio. Passare dal controllo al presidio è un po’ come passare dalla proprietà al valore.
A settembre 2007 il gruppo Eurotech conta un totale di circa 380 persone di cui circa il 40%
impiegato in ricerca e sviluppo, tre impianti in America, una presenza in Cina tramite l’ufficio
commerciale di Pechino e un centro di R&D a ChengDu. In Europa oltre alla presenza in
Italia siamo anche presenti in Francia in Inghilterra e in Finlandia.
Perché stiamo accelerando per via esterna la crescita? La risposta è nella ricerca della
massa critica (tipping point) e nel tempo a disposizione per far avvenire le cose. Se si
prospetta una visione a lungo termine si può anche crescere tra il 10% ed il 15% all’anno e
continuando con tasso di crescita medio del 13% per 115 si può arrivare alle dimensioni di
General Elettric. Supponiamo per esempio che ci sia qualcuno di voi si ponesse un orizzonte
temporale di un quarto di secolo (25 anni) per arrivare a costruire un impresa che raggiunga
i 500 Milioni di euro di fatturato; ebbene bisognerebbe crescere con un tasso di circa il 37%
annuo. Eurotech è cresciuta di circa il 50% anno su anno ed è’ chiaro che per fare queste
crescite servono dei fattori accelerativi, se volete degli ormoni della crescita. Gli ormoni della
crescita sono le risorse finanziarie perché non basta avere solo delle grandi idee.
Volevo anche farvi osservare che non facciamo sono investimenti per acquisire il controllo e
consolidare i risultati. Facciamo anche investimenti in partecipazioni di minoranza. Queste
partecipazioni di minoranza ci servono per esplorare opportunità future. Potete vedere alcune
di queste operazioni come operazioni piccole operazioni che si collocano tra il business angel
ed il venture capital. Al nostro interno preferiamo considerarle come acquisizione di opzioni
di innovazione o opzioni su mercati futuri.
Un esempio abbiamo acquisito circa il 20% di Kairos Autonomi. Questa società è stata
fondata dall'ex proprietario di Parvus (la prima nostra società acquisita negli USA). La
missione di Kairos Autonomi è di realizzare dei kit ( composti da computer, software e parti
elettromeccaniche) che una volta installati in un autoveicolo lo rendono autonomo nella guida
(non serve più il pilota). Non c’è ancora un mercato ben definito ma certo le potenzialità sono
enormi e ci potrebbero essere grandi sinergie di prodotto e mercato.
Innovazione, crescita e modelli organizzativi
Vorrei tornare ancora sull’innovazione. In realtà se si va a fondo si vede che tutti parlano di
innovazione ma poi si scopre che nessuno la vuole farla. L’innovazione è innaturale, le
imprese non vogliono fare innovazione perché al di la dell’innovazione fatta nell'atto creativo
iniziale, poi vogliano solo conservare.
L’innovazione serve alla crescita e la crescita non è solo un problema tecnologico o un
problema di finanza, è principalmente un problema di uomini e cultura. Nell'analisi che fa C.
Christensen in “Innovator’s dilemma” dello sviluppo delle imprese, egli riconduce i problemi
alla difficoltà dell’innovare. Dalla mia esperienza questo è un problema di uomini e cultura
perché per innovare ci deve essere la volontà di cambiare. La vera innovazione è
disgregante, rompe insomma lo status quo.
Ma guardiamo un attimo quali sono i paradigmi di base dell’innovazione.
L’innovazione coinvolge quattro grandezze fisiche: materia, energia, spazio, tempo è da dopo
la nascita dei calcolatori se ne è aggiunta una quinta : l'informazione.
Oggi così come in passato, la generazione di valore è legata a fattori di compressione di
materia, energia, spazio, tempo e oggi alla compressione delle prime quattro grandezze si è
aggiunto il contestuale aumento della quinta: l’informazione.
La storia dell'evoluzione del calcolatore è tutta raccontata da compressione delle prime
quattro ed espansione della quinta: prendete un calcolatore lo rimpicciolite sempre di più e
contestualmente mettere al suo interno sempre più informazioni. Portando il confronto sul
lato economico (anche se non è sempre vero! Ci sono tantissimi casi in cui la sola riduzione
di dimensione senza incremento di informazione ha un grande valore o vicervers): non c'è
nessuna ragione apparente per cui io debba comprare meno atomi (materia) e pagarli di più a
patto che non ci sia più contenuto informativo.
La figura 6 riportata è significativa: l’oro costa circa 15 mila euro al chilo, una utilitaria costa
circa 15euro al chilo, per una berlina pagate circa 30 euro al chilo, per una macchina sportiva
potete arrivare anche a 120 Euro al chilo. Se prendiamo i computer e i loro affini vediamo
che un notebook di fascia alta costa 1000 euro al chilo, un PDA può arrivare anche 3500
euro al chilo, mentre un telefono di nuova generazione può costare fino a 4.500 euro. C’è
anche un altro tipo di innovazione che è basta sul design e qui potremmo parlare di contenuto
informativo “emotivo”: un vestito di uno stilita può superare i 5.000 euro al chilo. Nel campo
delle macchine, tra le più costose se non la più costosa, è il nuovo aereo da caccia
americano, qui si arriva a circa 6500 euro al chilo. Non parliamo poi dei semiconduttori di
nuova generazione, questi possono raggiungere anche i 65.000 euro al chilo. Come potrete
constatare si va verso un PIL sempre più leggero o per dirla in un altro modo si può fare
sempre di più con sempre di meno.
Non c'è comunque bisogno di fare sempre innovazione di tipo disgregante nell'impresa, in
realtà l'impresa ha più momenti di stabilità (dove trarre vantaggio dallo sfruttamento di un
prodotto innovativo) che momenti di repentino cambiamento anche sei bisogna trovare un
modello di gestione che permetta anche questi rapidi cambiamenti.
L’M&A molte volte può favorire questi rapidi cambiamenti. Non a caso tutte le grandi
imprese dell’High-Tech ( IBM, Microsoft , Google per citarne solo tre) fanno acquisizioni e
non su base saltuaria ma a ritmo mensile. Il presupposto è che nessuno sa dove sarà il futuro
è non c'è nessuna certezza che un’azienda grande possa continuare a rimanere grande.
In figura 7, ho cercato di unire la gestione di più modelli di business: innovazione
incrementale, innovazione disgregante e reti di conoscenza. Oggi i processi produttivi o di
conoscenza sono diventati troppo complessi e non si può fare più tutto da soli. Le imprese di
oggi piccole o grandi hanno tutte bisogno di reti di conoscenza oltre che di reti di clienti.
Da questo macro modello bisogna poi passare ad un modello organizzativo che ruoti attorno
all’innovazione. Per capire l’innovazione disgregante credo possa andare bene una frase di
Morita fondatore della Sony sull’innovazione:
“If you ask the public what they think they will need, you will always be behind in this
world. You will never catch up unless you think one to ten years in advance and create a
market for the items you think the public will accept at that time.”
Insomma non si può sperare di fare innovazione “disruptive” chiedendo ai clienti. Non si può
escludere a priori di trovare nella filiera l'innovazione, ma questo evento è raro. Bisogna avere
una persona o un piccolo team che pensi avanti, proiettato nel futuro.
Come Eurotech abbiamo messo in piedi un modello organizzativo in cui abbiamo sganciato la
ricerca dallo sviluppo. Lo sviluppo ( origine dell’innovazione incrementale) è pilotato dai clienti
e dal marketing ovvero dal mercato : market-pull. La ricerca, (che qui si intende come
applicata e finalizzata a prodotti non ancora richiesti dal mercato) è pilotata dallo sviluppo
delle tecnologie e dalle loro cadute sugli umani cioè da luogo a prodotti technology-push.
Abbiamo cercato di limitare le risorse richieste dall’area ricerca sfruttando molto le reti di
collaborazione con università e centri di ricerca. Del 40% delle risorse umane in ricerca e
sviluppo che il gruppo ha, l’90% sono impiegate in attività di sviluppo, e il 10% in attività di
ricerca. Bisogna sfruttare al massimo le reti esterne di conoscenza perché la ricerca è
rischiosa e non c'è nessuna garanzia che i nuovi prodotti individuati arrivino sul mercato.
E’ importante dunque ai fini dell’individuazione di prodotti molto innovativi, capire bene quali
sono i trend in atto e quelli che plasmeranno il futuro, come diceva Morita bisogna guardare
10 anni avanti. Ma non è finita qui, c’è anche un'altra insidia, bisogna anche fare i conti con le
sovrastime a breve. La figura 9 rappresenta una curva ideata da Gartner Group, l’hipe curve,
e che ci dà l'idea di quello che dicevamo poco sopra: abbiamo come individui la tendenza a
sovrastimare a breve il successo di un prodotto/tecnologia e sottostimare gli effetti nel medio
lungo periodo. Questo tipo di comportamento è anche quello che da poi origine alle bolle
speculative sui mercati.
Da questa curva si potrebbero anche trarre dei modi di comportamento per quanto riguarda
l’allocazione delle attività di ricerca e sviluppo: cioè quali fare all’interno e quali fare all’esterno.
Usando la regola dell’80/20 e considerando le tecnologie che cadono all’inizio della curva
come tecnologie per la ricerca e quelle a destra per lo sviluppo un criterio potrebbe essere
quello di demandare l'80% della ricerca all’esterno (università e centri di ricerca
convenzionati) mentre demandare al team interno il rimanente l 20%. Un discorso speculare
si potrebbe fare per lo sviluppo e cioè demandando alla struttura interna l'80% delle attività e
portando in outsourcing il rimananete 20%.
Conclusioni.
Eurotech nasce nel ’92 come SRL e con 50 milioni di lire di capitale. Ha avuto un avvio lento
ma sostenuto da una continua accelerazione della crescita; nel 2001 si chiude la fase di
incubazione durata 8 anni ed inizia la fase supportata dal private equità e che durata 5 anni
terminando con la quotazione in alla Borsa valori di Milano nel segmento TechStar. Da dopo
la quotazione abbiamo continuato con le acquisizione e come avrete notato i tempi tra una
acquisizione ed un'altra si sono compressi. Ci mettevamo un anno per fare un operazione
straordinaria prima ora ci mettiamo circa 6 mesi. Abbiamo tramite la globalizzazzione
dell’impresa cercato di vincere l'effetto paese, perché c'è un altro aspetto del brand; il brand
paese. Perché è difficile vendersi all’estero come azienda italiana di tecnologia. A nessuno
viene in mente che l’italia sia associabile a tecnologia. Questa l'immagine del paese
penalizza le imprese italiane nel fare affari all’estero.
Quando si parla di ecosistema favorevole alla crescita delle imprese si includono anche le
tipologie di mercati regolamentati. Eurotech ha avuto la fortuna di trovarsi, quando pensava
alla quotazione, con il segmento TechStar appena costituito se avessimo dovuto quotarci un
anno prima avremmo avuto delle difficoltà nella scelta del segmento e forse avremmo dovuto
quotarci all’estero e di sicuro la nostra storia sarebbe stata diversa. Oggi le imprese
dispongono di un mercato dei capitali tra Pravite-equity e segmenti borsa, molto favorevole
rispetto a soli due anni fa. L’Italia ha il numero di imprese quotate più basso d'Europa e poi
se volete quel grafico che ci ha presentato il prof. Rullani delle imprese che non crescono è
esattamente la fotocopia di questa situazione. Passi la Francia, ma non si capisce perché la
Spagna abbia molte ma molte più aziende quotate dell'Italia.
Vorrei per cui incoraggiare gli imprenditori a guardare ai mercati di capitale con rinnovato
interesse in funzione delle nuove sfide poste dalla globalizzazione e dallo sviluppo delle
tecnologie.
Vorrei chiudere con una citazione di Hoffer che sottintende anche l’approccio mentale che
credo sia necessario per affrontare il futuro nella maniera migliore .
"In un tempo di cambiamenti, chi impara eredita il futuro. Chi già conosce si trova ben
equipaggiato per vivere in un mondo che non esiste più.“

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Innovare per crescere

  • 1. INNOVARE PER CRESCERE, CRESCERE PER INNOVARE Roberto Siagri, Presidente e Amministratore delegato , Eurotech Spa Ho preparato una presentazione che delinea prima quali siano le sfide delle imprese con funzione di introduzione e inquadramento della storia aziendale per poi passare alla storia di Eurotech. Vorrei però fare una premessa: è più facile tracciare un percorso dopo che lo si è fatto per cui da questo punto di vista non so se tutto quello che è stato fatto dall'inizio ad oggi abbia avuto una razionalità alle spalle. E’ più facile razionalizzarlo adesso, e sicuramente, se guardo indietro molte cose sono state fatte sull'onda dell'intuito o dell'entusiasmo. Le sfide di una impresa È vero, fare impresa è una impresa difficile, è rischioso trasformare un idea in un business. Se andiamo a vedere la vita media delle imprese troviamo che la vita media di un impresa in Italia come in Giappone è di circa 12,25 anni; se si tratta invece di una impresa multinazionale la sua vita media si sposta a 45 anni. Questo già vi dà un'idea di come andando ad espandere l'impresa fuori da un territorio nazionale, oggi si potrebbe dire globalizzandosi si estende la vita media dell'impresa. Cosa altrettanto poco incoraggiante il 75% dei prodotti lanciati da una imprese, anche molto affermate, di solito non ha successo. Se poi andiamo a vedere quante imprese sono in grado di sostenere la crescita a lungo termine queste sono solo il 10%. Sul lato investimenti l'80% di quelli effettuati dai venture capital non ha ritorni. La sfida dunque sta nel trovare un modello di sviluppo che consenta ad un'azienda di mantenere un tasso di crescita nel medio e lungo periodo Un altro problema poi è l'attitudine dell’imprenditore. Sono pienamente d'accordo nel dire che non c'è nessuna necessità che le imprese diventino per forza grandi. Bisogna creare però un ecosistema favorevole che mantenga piccole e grandi e che permetta anche alle piccole che vogliono crescere di poterlo fare. Un esempio di un sistema che permette la convivenza di piccole e grandi e per molti versi quello degli Stati Uniti. Li si trova una simbiosi tra le grandi e le piccole, anzi le grandi hanno bisogno delle piccole. La pipeline dei nuovi prodotti di molte multinazionali ad esempio la Johnson & Johnson è fatta per larga maggioranza da prodotti realizzati da piccole e medie imprese. Tornando allo sviluppo dell’impresa, essa si sviluppa in un ambiente non facile perché, come evidenziato sul libro del prof. De Toni, “prede o Ragni”, gli uomini e le organizzazioni si trovano prafrasando Dante in una specie di selva oscura e questa selva oscura è la complessità del reale; d'altra parte la complessità del reale è proprio la fonte delle opportunità. Nessuno conosce già il territorio del futuro e nessuno ha ancora tutta la mappa a disposizione, il futuro va immaginato, e se serve inventato, si possiamo anche costruirci la mappa. Ecco che a tale proposito potremmo prendere una frase di Bernard Shaw che mi sembra molto pertinente e che dice “ le persone sono in cerca delle circostanze che vogliono e se non le trovano le creano”; questa frase si presta bene anche per definire la figura di un imprenditore. Se torniamo all’ambiente su cui ci si trova ad operare e lo analizziamo in prospettiva storica, oggi siamo in un periodo di cosiddetta “business transformation”. Il
  • 2. modello di business può cambiare molto velocemente, dalla sera alla mattina , ed ecco che la lunga durate (perpetuazione) del business model adottare viene meno. Il business model aziendale oggi non dovrebbe essere visto come un qualche cosa di statico ma in continua evoluzione. Le cose che rimangono più fisse, a medio e lungo termine, la visione e i valori dell’impresa. Per crescere bisogna molto spesso cambiare, e per un impresa cambiare significa cambiare il modello di business.. Dal mio punto di vista vedo la crescita come un contino movimento lungo la catena di valore. Si può ovviamente rimanere fermi nella catena del valore, ma allora come diceva prima il prof. Brunetti, se resti in mezzo alla catena di valore tra monte e valle, li non ci sono altre vie che crescere in maniera vertiginosa se non si vuole essere schiacciato. Io preferisco cambiare business model e cercare di spostarsi più a valle della catena di valore, ad esempio l’investimento sul brand, permette di spostarsi verso valle e che mi costringe non necessariamente a diventare grande. Ci sono molte aziende come la Foppa Pedretti che hanno un brand molto forte e fattura meno di 100 milioni di euro se ci avessero chiesto di rispondere d’istinto alla domanda quanto fattura credo che la maggior parte di noi avrebbe dato per risposta un numero maggiore di 100 milioni. Questo è la dimostrazione che il brand fa vedere un'impresa in modo diverso dalla realtà e ne amplifica ad esempio la dimensione o la qualità o la sicurezza ecc.. Poi possiamo riflettere sul perché aziende con brand forti non vogliono o non riescono a diventare più grande ma questo credo sia secondario rispetto alla funzione del brand. Se analizziamo il semilavorato la forza del brand è molto più bassa e sono pochi i casi in cui si riesce a far valere il brand. In questi casi tutto è legato a fattori di produzione, e innovazioni che possono portare giù i costi. Come si è visto non si deve necessariamente credere che si deve avere un'azienda enorme per avere una brand forte. Nel mondo di oggi, in cui non c'è più la supremazia dell'atomo ma c'è la supremazia dell'informazione e della comunicazione, è molto più facile fare emergere le imprese inoltre è anche più facile fare impresa perché non dobbiamo più detenere i mezzi di produzione che si possono trovare in outsourcing, l'importante è detenere le idee. I primi due punti che erano stati enunciati dal prof Rullani durante il suo intervento erano proprio le idee e la capacità di intraprendere. I capitali vengono un po' dopo perché mentre all'inizio del ' 900 senza capitali non cominciavi a fare niente, oggi si può anche, almeno inizialmente, intraprendere con capitali modesti e solo dopo fare ricorso a capital esterni. Quest’ultima è un po' la anche la storia di Eurotech che vedremo fra poco. Un altro elemento che vorrei mettere in evidenza è l'atteggiamento rispetto alla globalizzazione. Essere globali oggi non è più una scelta ma una necessità. Grazie soprattutto alle tecnologie digitali, tutto si sta muovendo molto velocemente, per cui oggi è più importante essere globali che essere grandi, si ritorna ancora al punto che le dimensioni vengono dopo. In un mondo che è sempre più piatto, come dice Friedman nel suo libro “The world is flat”, le grandi imprese debbono comportarsi come le piccole e le piccole come grandi.
  • 3. Andiamo a vedere come sono fatte le curve di vita dei prodotti e delle imprese. In figura 3 e disegnata una curva che è detta anche curva logistica o sigmoide o anche semplicemente curva a s visto che è la prima parte quella importante, e che rappresenta lo sviluppo di sistemi biologici (per esempio la vita degli umani) e che adatta bene anche alle aziende. Nella figura nella fase iniziale si possono notare un certo numero di tratti di curva che poi non continuano, questa è la moralità infantile che nelle imprese come si è visto è molto alta (selezione delle idee). Le imprese che riescono a superare la prima fase godono di uno sviluppo esponenziale che però ad un certo punto ha fine ovvero al raggiungimento della maturità, se non si vuole andare incontro al declino le imprese devono innovare ancora come fecero nella fase di start-up tenendo in considerazione che anche qui c’è una forte selezione e solo le idee migliori sopravvivono per cui sarà meglio dotarsi di un portafoglio di innovazioni al fine di massimizzare le probabilità di poter ripartire, con un’altra curva ad s e evitare il declino e la successiva morte. Le imprese a differenza degli umani possono vincere la morte e perpetuarsi.
  • 4. I due disegni figura 4 ci fanno vedere che non bisogna sbagliare il tempo dell’innovare e l’accelerazione delle tecnologie ed i suoi effetti di contrazione temporale ed amplificazione degli effetti. Ci si chiederà ma c’è ancora qualche cosa da inventare? Come dicevo c’è la tendenza di sottovalutare l'impatto dello sviluppo tecnologico nel lungo termine, la cosa deriva dal fatto che noi umani siamo vittime di una visione lineare. Per capire questo concetto farò un esempio : se vi chiedessi di immaginare di avere a disposizione un grande foglio di carta e di piegarlo su se stesso una volta, poi il foglio doppio così ottenuto di piegarlo ancora su se stesso un’altra volta e così via per cinquanta volte; se vi chiedessi di immaginare che spessore ha il foglio piegato su se stesso cinquanta volte e vi chiedessi una risposta istintiva nell’ordine di grandezza della soluzione, quale sarebbe la vostra risposta ? Dubito che alla maggioranza verrebbe da dire più di qualche metro. In realtà se si potesse piegare 50 volte su se stesso ne verrebbe uno spessore di 2^50 (circa 10^15) volte lo spessore della carta. Un spessore che grossolanamente corrisponde alla distanza Terra Sole E’ proprio questa difficoltà di vedere la crescita in maniera esponenziale che impedisci visioni su lungo periodo. Se gli attuali trend di crescita dovessero essere confermati, come è molto probabile che sia, vivremo in un secolo che corrisponderà a 20.000 anni di progresso se paragonato al progresso raggiunto nello scorso secolo. Siamo entrati in un secolo che non ha paragoni con nessuna altro periodo della storia dal punto di vista delle opportunità di sviluppo e di business. La curva ad “S” di cui si è parlato presenta varie fasi che potremo anche chiamare insidie. In accordo con la posizione sulla curva cambia anche l’atteggiamento dell’impresa e dell’imprenditore. Nella fase di partenza c’è un inventore, un entusiasta che comincia a metterti a fare delle cose e non ha idea delle potenzialità le fa perché sente il bisogno di farle; si passa poi alla fase di sviluppo commerciale del prodotto e qui ci sono i primi pericoli
  • 5. perché cambia sia l’attitudine dell’impresa che dell’imprenditore ecco che ogni fase rappresenta una sfida raffigurata nella figura 5 con delle discontinuità, questi fenomeni di discontinuità si possono trovare nel libro Crossing the Casm di G. Moore. Questa è la curva di vita di un impresa, ricca di insidie e sta nella bravura di tutti quegli uomini e donne che ogni giorno sfidano l’incertezza per perpetuare le impresa. In questo difficile compito entra giocoforza l’innovazione. L’innovazione come strumento per la sostenibilità a medio/lungo periodo dell’impresa . E’ necessario dotarsi di un processo di innovazione continuo ed indipendentemente dalla posizione dell’impresa sulla curva logistica, posizione peraltro difficilmente individuabile a priori e questo perché qualunque prodotto anche se è molto innovativo ha sempre un tempo di introduzione sul mercato che è più lungo di quello che si tende a immaginare. La tendenza di noi umani è quella di sopravvalutare a breve l'introduzione e sottovalutare a lungo invece l'impatto, ritorneremo in seguito su questo tema. Abbiamo visto che le curve di vita presentano una partenza molto lenta e poi un tratto di forte crescita esponenziale, la domanda è come si fa a trasformare questa curva a esse in una curva a J cioè una curva che rappresenta una crescita nel lungo periodo (figura 4). Per prima cosa, e che sta sotto gli occhi di tutti è che mentre la curva di vita di un prodotto 20 anni fa era di 10 o più anni oggi queste curve di vita si stanno sempre più accorciando sulla spinta del progresso tecnologico e della globalizzazione. Però se il tempo di vita si accorcia i risultati in termine di ritorno anche se a breve sono gli stessi se non maggiori del passato. Il problema che si pone è solo si fa per dire della innovazione continua al fine di mantenere una posizione di competitività a lungo termine. Detta in altre parole la questione dell’innovazione di può riassumere con Tom Peters o distinti (camaleonte) o estinti (dinosauro)
  • 6. La crescita dimensionale delle imprese Dalle considerazione finora fatte ne segue che le piccole imprese possono sicuramente essere più innovative perché hanno una flessibilità maggiore: ed ecco che le operazioni di acquisizione da parte delle grandi imprese di piccole o medie imprese possono aiutare a rendere nuovamente flessibile anche la grande impresa stessa. Quello che tutti sappiamo è che mentre l’impresa diventa grande perde inevitabilmente in flessibilità. Una maniera, per esempio, per riguadagnare flessibilità, senza fare grossi sconvolgimenti all'interno, è quella di acquisire delle aziende che possono portare nell’organizzazione elementi di flessibilità e che potrebbero addirittura diventare il corpo principale in un prossimo futuro. I driver della crescita e dell’aumento di valore dell’impresa non è che sono tanti. Da una parte c'è la leva dell'innovazione e dall'altra la leva dell’M&A ( ovvero fusione o acquisizione). Bisogna agire sulle due leve, perché abbiamo visto che i tempi di introduzione e di impiego di una nuova tecnologia o prodotto hanno una certa inerzia nella fase di introduzione e un tempo di impiego sempre più stretto. L’impresa deve far fronte a due problemi: mitigare la mancanza di risultati per l’inerzia di introduzione con altro fatturato e dall’altra avere un mercato di riferimento sufficientemente grande per veicolare in maniera sufficiente da conquistare una posizione di leadership così da tenere lontana la concorrenza. Per Eurotech infatti le acquisizioni sono state finora giudicate per il posizionamento geografico che garantivano e per la lista dei clienti ovvero la rete di relazioni. L’idea sottostante è che allargare la base geografica e la base clienti dovrebbe garantire una migliore introduzione sul mercato di prodotti innovativi. L’M&A in generale se fatto con criteri industriali è una fonte di opportunità per tutti, in cui tutti hanno da guadagnare è una soluzione come si direbbe del tipo win-win. Se ci ricordiamo del ciclo di vita delle imprese, quello che Eurotech ha fatto fino adesso è stato di identificare imprese che avessero una storia significativa alle spalle (decennale o ventennale) e che fossero in una fase stabile, dove l'imprenditore non ha degli strumenti per farla crescere ulteriormente e piuttosto che vada in declino, ha tutto l'interesse a venderla. L’importante è poi sapere come fare ripartire il tutto, e cioè principalmente tramite il cross selling e se serve tramite il cambio del modello di business e che può coinvolgere l’utilizzo di capitali. Molte volte infatti non si riesce a far crescere l'impresa perché non si ha accesso ai capitali, per essendo in possesso del resto degli elementi. Un modello evoluto di capitalismo dovrebbe prevedere la circolazioni dei capitali e delle imprese. In un ecosistema evoluto come quello americano l'imprenditore che incassa i soldi già il giorno dopo apre una nuova impresa. Ecco che si rigenera la piccola che poi l'impresa media compra e così via. Questo modello mantiene viva l’innovazione mentre un modello che porta alla vendita forzata per cambiamento generazionale ha un po’ più di difficoltà a mantenere viva l’innovazione perché difficilmente i capitali verranno reimpiegati.. Se prendiamo ad esempio l’acquisizione di Parvus (società Americana con sede a SLC) troviamo proprio questo caso dopo l’acquisizione l’imprenditore ha aperto una nuova attività sulla quale abbiamo investito anche noi. Se questa realtà diventerà grande è molto probabile che l’imprenditore si ritroverà a valutare la vendita e magari mentre vende avrà già in mente una nuova avventura. Da questo esempio si capisce chiaramente che ci sono persone adatte agli start-up altri più adatti nelle fasi di crescita altri per le ristrutturazioni. Non è facile trovare l’uomo per tutte le stagioni.
  • 7. La storia di Eurotech Ritorniamo ora alla storia di Eurotech. L’impresa nasce nel 92, il nome Eurotech deriva dal fatto che come fondatori volevamo darci una connotazione di un'impresa che usciva fuori dai confini nazionali (Euro) e che si basava sulle tecnologie (Tech). Noi allora sapevamo maneggiare circuiti digitali e avevamo solo le nostre idee, ci mancavo completamente i capitali. Le tecnologie digitali sono state il fondamento su cui poggiare l'impresa con l'idea che dovevamo imporci fuori dall’ambito nazionale. Parte così un modello, come dico spesso, di fabbrica delle idee senza la fabbrica delle macchine. In realtà utilizzando la regola a spanne del 80/20, chiamerei un azienda fabless se produce in outsourcing l'80% e internamente il 20%. Un azienda dunque aperta al mondo e alle nuove tecnologie e sfruttando gli standard di mercato per realizzare i prodotti. Ci eravamo fatti l’idea che ne le barriere doganali ne i prodotti con specifiche proprietarie ci avrebbero potuto garantire un vantaggio competitivo nel medio-lungo termine. L’aderire agli standard, ci permetteva di combattere con i nostri concorrenti ad armi pari, sullo stesso tipo di terreno. Il vantaggio competitivo deve essere dato dalla capacità di innovare dentro gli standard, facendo cose migliori dei concorrenti e garantendo un maggior vantaggio competitivo ai nostri clienti. Del resto se andiamo ad analizzare che cosa è che pilota la crescita del pil e la globalizzazione e la standardizzazione o/e delle parti e/o delle funzioni L’inizio è stato piuttosto duro, dal 92 al 95 si è andati avanti, come si usa dire in questi casi, “a pane e acqua “ed è venuta tante volte la tentazione di svendere o di mollare. Più di una volta ci siamo chiesti : ma chi c’è l'ha fatto fare? Cosa ci è venuto in mente di licenziarci?. Eravamo infatti tutti o dirigenti o impiegati ben pagati e senza troppe preoccupazioni. Ma a partire dal 2006, la storia comincia a cambiare, lentamente e inesorabilmente cominciamo a guadagnare clienti e con i clienti aumenta anche il fatturato. Non avevamo ancora soldi per fare acquisizioni anzi la cosa non ci passava neanche per la testa, ma i primi soldi guadagnati dell’impresa vennero subito reinvestiti (messi in attività di ricerca). Nasce così nel ’98 Neuricam che è uno spin-off dell’IRST di Trento. Da quella esperienza nascono le collaborazioni con l'istituto di fisica nucleare INFN in ambito di supercalcolo. L’azienda va sempre meglio. Attorno al 2000 passiamo da quello che io definisco un laboratorio a una piccola industria. Eccoci arrivati a quella che definisco la fase due ovvero ad un altro punto di svolta. La domanda che ci facemmo è stata: siamo riusciti a costruire l'impresa, riusciamo a pagarci di stipendi! Ci siamo generati un nuovo posto di lavoro! Ma è questo quello che vogliamo? . Già riuscire a pagarci gli stipend,i era una cosa incredibile. Eravamo riusciti anche a generare del denaro a partire dalle nostre idee. Erano sufficienti questi risultati? Si o No? Per me no!. Avevamo solo due possibili soluzioni alla risposte No!: o si vendeva o si trovavano i soldi per andare avanti. Avremmo potuto anche fermarci a quel livello di fatturato poteva anche andare bene così; ma non era quello che volevamo noi. In quegli anni stavano avvenendo cose che avrebbero cambiando il mondo dei calcolatori..Il computer non era più una macchina centralizzata e collegamenti a stella con gli utenti Si diffondono le reti di comunicazione e queste cominciavano a generare applicazioni prima impensabili. Vedevamo la reale possibilità di cogliere nuove opportunità per la nostra crescita e per questa ragione, anziché vendere, siamo andati a trovarci dei capitali a servizio della crescita. Nella primavera del 2001, tramite un operazione di private-equity, abbiamo fatto entrare due fondi chiusi che hanno apportato 3, 7 milioni di euro in dotazione. Avevamo così a disposizione un po’ di munizioni per cominciare a muoverci in giro per il mondo e cominciare una campagna di acquisizioni.
  • 8. Le ragioni per cui ci si avventura lungo la strada delle acquisizioni sono molteplici, la nostra ragione principale era vincere le barriere culturali che separavano l’Italia del resto del mondo. L’Italia non era (e non lo e oggi) percepita come una nazione ad alta tecnologia e questo ci penalizzava nella fase di vendita, nonostante, in quegli anni, ci fosse una lira molto debole: negli USA un differenziale nel prezzo del 30% non era sufficiente per vendere i nostri prodotti. Qualcuno potrebbe obiettare sostenendo che c’è una alternativa alla acquisizione, cioè nel far partire l'impresa da zero nel paese nel quale si decide di sbarcare. In realtà avevamo preso in considerazione anche questa idea salvo il fatto che se non si fanno i conti solo con carta e penna e si mettono in conto i rischi commerciali, ci si accorge che questa strada può trasformarsi in un bagno di sangue. Almeno così è stata la nostra valutazione. Ci conveniva comprare un'impresa così da poter contare almeno su clienti di questa. La prima acquisizione l’abbiamo fatta in Italia a fine 2002, anche per sperimentare in casa il meccanismo. Dopo, nell’estate 2003, è venuto il turno di una società americana (Parvus a Salt Lake City), poi nell’autunno 2004 di una società in Francia e per finire il ciclo iniziato con il private-equity abbiamo acquisito, uno start_up in Finlandia. Con i 3,7 milioni di euro abbiamo acquisito più di 5 milioni di Euro di fatturato. Una nota di colore sull’operazione di private equità e che da un idea anche del pensiero imprenditoriale allora corrente (e che in parte sussiste), alcuni imprenditori locali ci dissero: “vedrete vi costringeranno a vendere o ad andare a quotarvi”, convinti di dirci chissà quale celata e terribile verità. La mia risposta era “Certo! È quello che vogliamo”, volevamo uno stimolo per fare di più!. Eravamo tutti coscienti che era una sfida ed era altrettanto evidente che se qualch’uno ti presta dei soldi prima o poi li vorrà anche indietro. La vendita poi non ci spaventava, se non fossimo stati capaci di far crescere l’azienda ci sembrava normale che questa potesse passare di mano. Arriviamo così al 2005, guardandoci all’indietro potevano osservare che dal 1993 al 2005 la nostra crescita aggregata media annuale (CAGR) era del 50%. Il gruppo contava 160 persone di cui il 40% impegnato in attività di ricerca e con un investimento in tali attività pari al 12% di fatturato. Siamo così giunti alla fase odierna. Ogni nostra fase vede anche l’esplorazione di nuovi modo di utilizzare i calcolatori e che deriva dalla loro attuale pervasività. I calcolatori interconnessi su grande e piccola scala, ci permettono, di amplificare (o aumentare) i nostri sensi e la realtà e non solo visualizzare o virtualizzare la realtà. La possibilità oggi fornitaci dai calcolatori di generare situazioni a realtà aumentata ci pone nelle condizioni di guardare alle cose in una prospettiva totalmente diversa. Percorrere nuove strade può anche significare dover adottare nuovi modelli di business e richiede di sicuro ulteriori investimenti. Quotarsi in borsa significava per noi raccogliere capitale per finanziare un ulteriore fase di crescita e aumentare la visibilità del nostro brand. L’ aumento di visibilità del brand ci avrebbe permesso di cambiare più facilmente il modello di business qualora richiesto. Un brand forte a sua volta avrebbe permesso di incrementare la forza del gruppo, attirare risorse umane. Se nel 2001 avevamo raccolto 3,7 milioni di euro, con l’IPO abbiamo invece raccolto 25 milioni, e con un ulteriore aumento di capitale concluso nell’estate 2006 abbiamo raccolto ulteriori 109 milioni di euro. Dopo queste due operazioni di aumento di capitale e della diluizione conseguente dei soci fondatori, Eurotech è diventata una public company con circa il 77% delle azioni sul mercato: i fondatori e alcuni manager possiedono soltanto il rimanente 23 % . Allo stato dei fatti non abbiamo più il controllo dell'impresa ma ne abbiamo pur sempre il presidio. Passare dal controllo al presidio è un po’ come passare dalla proprietà al valore. A settembre 2007 il gruppo Eurotech conta un totale di circa 380 persone di cui circa il 40% impiegato in ricerca e sviluppo, tre impianti in America, una presenza in Cina tramite l’ufficio
  • 9. commerciale di Pechino e un centro di R&D a ChengDu. In Europa oltre alla presenza in Italia siamo anche presenti in Francia in Inghilterra e in Finlandia. Perché stiamo accelerando per via esterna la crescita? La risposta è nella ricerca della massa critica (tipping point) e nel tempo a disposizione per far avvenire le cose. Se si prospetta una visione a lungo termine si può anche crescere tra il 10% ed il 15% all’anno e continuando con tasso di crescita medio del 13% per 115 si può arrivare alle dimensioni di General Elettric. Supponiamo per esempio che ci sia qualcuno di voi si ponesse un orizzonte temporale di un quarto di secolo (25 anni) per arrivare a costruire un impresa che raggiunga i 500 Milioni di euro di fatturato; ebbene bisognerebbe crescere con un tasso di circa il 37% annuo. Eurotech è cresciuta di circa il 50% anno su anno ed è’ chiaro che per fare queste crescite servono dei fattori accelerativi, se volete degli ormoni della crescita. Gli ormoni della crescita sono le risorse finanziarie perché non basta avere solo delle grandi idee. Volevo anche farvi osservare che non facciamo sono investimenti per acquisire il controllo e consolidare i risultati. Facciamo anche investimenti in partecipazioni di minoranza. Queste partecipazioni di minoranza ci servono per esplorare opportunità future. Potete vedere alcune di queste operazioni come operazioni piccole operazioni che si collocano tra il business angel ed il venture capital. Al nostro interno preferiamo considerarle come acquisizione di opzioni di innovazione o opzioni su mercati futuri. Un esempio abbiamo acquisito circa il 20% di Kairos Autonomi. Questa società è stata fondata dall'ex proprietario di Parvus (la prima nostra società acquisita negli USA). La missione di Kairos Autonomi è di realizzare dei kit ( composti da computer, software e parti elettromeccaniche) che una volta installati in un autoveicolo lo rendono autonomo nella guida (non serve più il pilota). Non c’è ancora un mercato ben definito ma certo le potenzialità sono enormi e ci potrebbero essere grandi sinergie di prodotto e mercato. Innovazione, crescita e modelli organizzativi Vorrei tornare ancora sull’innovazione. In realtà se si va a fondo si vede che tutti parlano di innovazione ma poi si scopre che nessuno la vuole farla. L’innovazione è innaturale, le imprese non vogliono fare innovazione perché al di la dell’innovazione fatta nell'atto creativo iniziale, poi vogliano solo conservare. L’innovazione serve alla crescita e la crescita non è solo un problema tecnologico o un problema di finanza, è principalmente un problema di uomini e cultura. Nell'analisi che fa C. Christensen in “Innovator’s dilemma” dello sviluppo delle imprese, egli riconduce i problemi alla difficoltà dell’innovare. Dalla mia esperienza questo è un problema di uomini e cultura perché per innovare ci deve essere la volontà di cambiare. La vera innovazione è disgregante, rompe insomma lo status quo. Ma guardiamo un attimo quali sono i paradigmi di base dell’innovazione. L’innovazione coinvolge quattro grandezze fisiche: materia, energia, spazio, tempo è da dopo la nascita dei calcolatori se ne è aggiunta una quinta : l'informazione. Oggi così come in passato, la generazione di valore è legata a fattori di compressione di materia, energia, spazio, tempo e oggi alla compressione delle prime quattro grandezze si è aggiunto il contestuale aumento della quinta: l’informazione. La storia dell'evoluzione del calcolatore è tutta raccontata da compressione delle prime quattro ed espansione della quinta: prendete un calcolatore lo rimpicciolite sempre di più e contestualmente mettere al suo interno sempre più informazioni. Portando il confronto sul lato economico (anche se non è sempre vero! Ci sono tantissimi casi in cui la sola riduzione
  • 10. di dimensione senza incremento di informazione ha un grande valore o vicervers): non c'è nessuna ragione apparente per cui io debba comprare meno atomi (materia) e pagarli di più a patto che non ci sia più contenuto informativo. La figura 6 riportata è significativa: l’oro costa circa 15 mila euro al chilo, una utilitaria costa circa 15euro al chilo, per una berlina pagate circa 30 euro al chilo, per una macchina sportiva potete arrivare anche a 120 Euro al chilo. Se prendiamo i computer e i loro affini vediamo che un notebook di fascia alta costa 1000 euro al chilo, un PDA può arrivare anche 3500 euro al chilo, mentre un telefono di nuova generazione può costare fino a 4.500 euro. C’è anche un altro tipo di innovazione che è basta sul design e qui potremmo parlare di contenuto informativo “emotivo”: un vestito di uno stilita può superare i 5.000 euro al chilo. Nel campo delle macchine, tra le più costose se non la più costosa, è il nuovo aereo da caccia americano, qui si arriva a circa 6500 euro al chilo. Non parliamo poi dei semiconduttori di nuova generazione, questi possono raggiungere anche i 65.000 euro al chilo. Come potrete constatare si va verso un PIL sempre più leggero o per dirla in un altro modo si può fare sempre di più con sempre di meno. Non c'è comunque bisogno di fare sempre innovazione di tipo disgregante nell'impresa, in realtà l'impresa ha più momenti di stabilità (dove trarre vantaggio dallo sfruttamento di un prodotto innovativo) che momenti di repentino cambiamento anche sei bisogna trovare un modello di gestione che permetta anche questi rapidi cambiamenti. L’M&A molte volte può favorire questi rapidi cambiamenti. Non a caso tutte le grandi imprese dell’High-Tech ( IBM, Microsoft , Google per citarne solo tre) fanno acquisizioni e non su base saltuaria ma a ritmo mensile. Il presupposto è che nessuno sa dove sarà il futuro è non c'è nessuna certezza che un’azienda grande possa continuare a rimanere grande.
  • 11. In figura 7, ho cercato di unire la gestione di più modelli di business: innovazione incrementale, innovazione disgregante e reti di conoscenza. Oggi i processi produttivi o di conoscenza sono diventati troppo complessi e non si può fare più tutto da soli. Le imprese di oggi piccole o grandi hanno tutte bisogno di reti di conoscenza oltre che di reti di clienti. Da questo macro modello bisogna poi passare ad un modello organizzativo che ruoti attorno all’innovazione. Per capire l’innovazione disgregante credo possa andare bene una frase di Morita fondatore della Sony sull’innovazione: “If you ask the public what they think they will need, you will always be behind in this world. You will never catch up unless you think one to ten years in advance and create a market for the items you think the public will accept at that time.” Insomma non si può sperare di fare innovazione “disruptive” chiedendo ai clienti. Non si può escludere a priori di trovare nella filiera l'innovazione, ma questo evento è raro. Bisogna avere una persona o un piccolo team che pensi avanti, proiettato nel futuro. Come Eurotech abbiamo messo in piedi un modello organizzativo in cui abbiamo sganciato la ricerca dallo sviluppo. Lo sviluppo ( origine dell’innovazione incrementale) è pilotato dai clienti e dal marketing ovvero dal mercato : market-pull. La ricerca, (che qui si intende come applicata e finalizzata a prodotti non ancora richiesti dal mercato) è pilotata dallo sviluppo delle tecnologie e dalle loro cadute sugli umani cioè da luogo a prodotti technology-push. Abbiamo cercato di limitare le risorse richieste dall’area ricerca sfruttando molto le reti di collaborazione con università e centri di ricerca. Del 40% delle risorse umane in ricerca e sviluppo che il gruppo ha, l’90% sono impiegate in attività di sviluppo, e il 10% in attività di ricerca. Bisogna sfruttare al massimo le reti esterne di conoscenza perché la ricerca è rischiosa e non c'è nessuna garanzia che i nuovi prodotti individuati arrivino sul mercato.
  • 12. E’ importante dunque ai fini dell’individuazione di prodotti molto innovativi, capire bene quali sono i trend in atto e quelli che plasmeranno il futuro, come diceva Morita bisogna guardare 10 anni avanti. Ma non è finita qui, c’è anche un'altra insidia, bisogna anche fare i conti con le sovrastime a breve. La figura 9 rappresenta una curva ideata da Gartner Group, l’hipe curve, e che ci dà l'idea di quello che dicevamo poco sopra: abbiamo come individui la tendenza a sovrastimare a breve il successo di un prodotto/tecnologia e sottostimare gli effetti nel medio lungo periodo. Questo tipo di comportamento è anche quello che da poi origine alle bolle speculative sui mercati. Da questa curva si potrebbero anche trarre dei modi di comportamento per quanto riguarda l’allocazione delle attività di ricerca e sviluppo: cioè quali fare all’interno e quali fare all’esterno. Usando la regola dell’80/20 e considerando le tecnologie che cadono all’inizio della curva come tecnologie per la ricerca e quelle a destra per lo sviluppo un criterio potrebbe essere quello di demandare l'80% della ricerca all’esterno (università e centri di ricerca convenzionati) mentre demandare al team interno il rimanente l 20%. Un discorso speculare si potrebbe fare per lo sviluppo e cioè demandando alla struttura interna l'80% delle attività e portando in outsourcing il rimananete 20%.
  • 13. Conclusioni. Eurotech nasce nel ’92 come SRL e con 50 milioni di lire di capitale. Ha avuto un avvio lento ma sostenuto da una continua accelerazione della crescita; nel 2001 si chiude la fase di incubazione durata 8 anni ed inizia la fase supportata dal private equità e che durata 5 anni terminando con la quotazione in alla Borsa valori di Milano nel segmento TechStar. Da dopo la quotazione abbiamo continuato con le acquisizione e come avrete notato i tempi tra una acquisizione ed un'altra si sono compressi. Ci mettevamo un anno per fare un operazione straordinaria prima ora ci mettiamo circa 6 mesi. Abbiamo tramite la globalizzazzione dell’impresa cercato di vincere l'effetto paese, perché c'è un altro aspetto del brand; il brand paese. Perché è difficile vendersi all’estero come azienda italiana di tecnologia. A nessuno viene in mente che l’italia sia associabile a tecnologia. Questa l'immagine del paese penalizza le imprese italiane nel fare affari all’estero. Quando si parla di ecosistema favorevole alla crescita delle imprese si includono anche le tipologie di mercati regolamentati. Eurotech ha avuto la fortuna di trovarsi, quando pensava alla quotazione, con il segmento TechStar appena costituito se avessimo dovuto quotarci un anno prima avremmo avuto delle difficoltà nella scelta del segmento e forse avremmo dovuto quotarci all’estero e di sicuro la nostra storia sarebbe stata diversa. Oggi le imprese dispongono di un mercato dei capitali tra Pravite-equity e segmenti borsa, molto favorevole rispetto a soli due anni fa. L’Italia ha il numero di imprese quotate più basso d'Europa e poi se volete quel grafico che ci ha presentato il prof. Rullani delle imprese che non crescono è esattamente la fotocopia di questa situazione. Passi la Francia, ma non si capisce perché la Spagna abbia molte ma molte più aziende quotate dell'Italia. Vorrei per cui incoraggiare gli imprenditori a guardare ai mercati di capitale con rinnovato interesse in funzione delle nuove sfide poste dalla globalizzazione e dallo sviluppo delle tecnologie.
  • 14. Vorrei chiudere con una citazione di Hoffer che sottintende anche l’approccio mentale che credo sia necessario per affrontare il futuro nella maniera migliore . "In un tempo di cambiamenti, chi impara eredita il futuro. Chi già conosce si trova ben equipaggiato per vivere in un mondo che non esiste più.“