Analisi e confronto di "The Mask", fumetto edito da Dark Horse Comics 1989, e "The Mask - From Zero to Hero", film diretto da Chuck Russell nel 1994, con Jim Carrey e Cameron Diaz.
1. The Mask
Stefano Resciniti – Accademia di Belle Arti Santa Giulia, Teoria e Analisi dell'Audiovisivo
La genesi
Correva l'anno 1987 quando Mike Richardson
(soggetto) e Mark Badger (sceneggiatura e
disegni), crearono i presupposti per la nascita
della maschera verde che oramai tutti cono-
sciamo, e che nel 1994 catapultò Jim Carrey
nell'Olimpo della commedia americana.
Al tempo però “The Mask” si chiamava “The
Masque”, e si trattava di una storia a fumetti
pubblicata sulla neonata Dark Horse Comics, di
proprietà dello stesso Richardson.
Il fumetto raggiunse però la sua forma definitiva
solo nel 1989, quando Richardson decise di
rifare tutto da capo, affidando la realizzazione
del definitivo “The Mask” a John Arcudi (testi) e
Doug Mahnke (disegni).
Un personaggio semplicemente complesso
L'idea da cui nasce il personaggio de La Ma-
schera (Big Head nel fumetto) è tanto semplice
nella sua rappresentazione, quanto complessa
nei presupposti letterari e filosofici e nelle mec-
caniche psicologiche che ne derivano.
Nel fumetto come nella trasposizione cinemato-
grafica infatti, la storia si muove attorno al
ritrovamento di una maschera misteriosa proveniente da un'epoca lontana, presumibilmente
appartenuta al Dio Loki, ovvero colui che padroneggia l'astuzia e governa il caos nella mito-
logia norrena. Una maschera che dona a chiunque la indossi invulnerabilità fisica, oltre alla
capacità di annullare qualsiasi legge della fisica, ma che porta alla luce le diverse personalità
represse dell'individuo, inibendo il proprio senso del limite e riducendo l'etica e la morale a
pochi, brevi attimi di lucidità mentale.
Risulta così immediato il collegamento ai grandi classici che prima d'allora hanno trattato il
tema della maschera (R. L. Stevenson “Lo strano caso del dottor Jekyll e mister Hyde”, Oscar
Wilde “Il ritratto di Dorian Gray”, Luigi Pirandello “Uno, nessuno e centomila” etc.), così come non
si può non fare riferimento alla suddivisione dell'Io alla base della psicologia freudiana, o al
concetto di Oltreuomo e al paradosso di Bene e Male espressi da Nietzsche nella seconda
metà dell'800.
Un'opera tragicomica
Stilisticamente parlando “The Mask” appare subito un giusto mix tra l'estetica noir più classica
e abusata e il gusto naif, a tratti ingenuo, che possiamo trovare nelle opere di Tex Avery.
Atmosfere quasi sempre cupe e ambientazioni sub-urbane abbracciano situazioni al limite del
tragicomico, dove gli abiti sgargianti e i modi di fare da cartone animato di Big Head cataliz-
zano l'attenzione del lettore, addolcendo una pillola che altrimenti risulterebbe nient'altro che
un surrogato di Ultraviolenza come non se ne vedeva dai tempi di Alex DeLarge.
2. Sfogliando il fumetto troviamo allora oggetti
magici che sembrano arrivare direttamente dai
mondi Looney Tunes, ma che in mano a un
pazzo psicotico con un Super-Io ridotto a
brandelli diventano armi vere e proprie.
Il nostro anti-eroe allora ci appare come un
personaggio di Avery catapultato in un mondo
tutto noir che non gli appartiene affatto, abi-
tato da personaggi loschi che si muovono
nella notte. Un Bugs Bunny alle prese con rivali
nuovi, umani, che a differenza di Taddeo muo-
iono davvero.
The Mask – From Zero to Hero
“From Zero to Hero” è la trasposizione cinema-
tografica del fumetto prodotta dalla New Line
Cinema, diretta da Chuck Russel e che vede
brillare nel suo cast Jim Carrey (alla sua defini-
tiva consacrazione quale attore “faccia di
gomma” dopo Ace Ventura) e una giovanissima
Cameron Diaz.
Fin dal titolo possiamo intuire come il regista
abbia voluto svuotare la storia della tragicità
che aveva caratterizzato l'opera a fumetti,
ridimensionandone anche il forte fattore
psicologico.
Se sulla carta stampata Big Head appariva
come un folle omicida senza più il senso del
limite, consumato dal dramma di un uomo che
vive a metà tra il Bene e il Male, nella pellicola
di Russel il nostro Stanley Ipkiss (Jim Carrey)
diventa eroe.
Non è più la sete di vendetta a guidare il pro-
tagonista, bensì l'aspirazione a diventare latin
lover di prima categoria (memorabile la scena
del ballo al Coco Bongo Club), oltre alla
necessità di uscire dalle vesti dell'insignificante
impiegato di banca in favore di un Ipkiss ricco
e di successo.
Ecco allora che i connotati dell'opera cambia-
no radicalmente, adattando storia e perso-
naggi al formato famiglia.
Le sparatorie restano così come restano alcuni
oggetti magici (la scena dei palloncini è ripre-
sa pari pari dal fumetto), ma il sangue, i cada-
veri, l'Ultraviolenza tipici del fumetto Dark Horse
Comics evaporano cedendo interamente la
scena alla comicità, che faceva si parte della
personalità di Big Head, ma solo come vestito
di un anti-eroe psicotico e rabbioso.
3. Del gusto noir che caratterizzava “The Mask” restano solo le atmosfere, buie e soffuse, mentre le
scene di violenza gratuita si colmano dell'anima comica dell'opera, portando alla luce il lato
cartoon (ora esteso anche ai personaggi secondari) del protagonista e degli abiti che indos-
sa.
Il film evita di imitare troppo il fumetto non
solo nei contenuti ma anche nello stile.
A differenza di altre pellicole tratte da
opere a fumetti (es. Sin City), “The Mask –
From Zero to Hero” si comporta come un
film nato per essere film.
Scompare quindi il narratore esterno,
tipico delle storie a fumetti, così come i
riferimenti temporali. I dialoghi diventano
decisamente cinematografici, e dell'imme-
diatezza letteraria fumettistica resta
giusto qualche traccia negli sketch di un
Jim Carrey in splendida forma.
Sketch che palesano all'inverosimile l'intenzione di valorizzare il lato comico della vicenda e i
suoi riferimenti ai cartoni in stile Tex Avery, con continue e ostentate (ma comunque esilaranti)
citazioni a film e cartoni animati storici.
Red Hot Riding Hood, Bugs Bunny, Taz, Duffy Duck e altri personaggi Looney diventano la memo-
ria da cui Stanley Ipkiss attinge gli elementi fondamentali della propria personalità mascherata,
lasciandosi andare anche a citazioni spudorate a film culto come “Via col Vento” (“Di' a Rossel-
la che francamente me ne infischio”) o “Dirty Harry” (“Ora devi fare una domanda a te stesso:
Mi sento fortunato?”).
“From Zero to Hero” non vuole dunque essere un remake audiovisivo fedele all'originale, nei con-
tenuti come nelle forme, ma anzi appare come un tentativo di reinterpretazione di un soggetto
fortemente malleabile, che si presta facilmente a rielaborazioni diverse e contrastanti.