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Capitolo 1
                 il diritto ecclesiastico italiano
1. Definizione, contenuto e oggetto del diritto ecclesiastico italiano.

Il diritto ecclesiastico è quel settore dell'ordinamento giuridico che concerne il fattore religioso e va distinto
dal diritto canonico che concerne l'ordinamento giuridico della Chiesa cattolica. Il diritto ecclesiastico non è
un corpo organico ma le sue norme si trovano in tutti i settori dell'ordinamento giuridico: dalla costituzione
alle leggi ordinarie, nel codice civile, codice penale, codice di procedura penale, codice di procedura civile,
diritto del lavoro, diritto commerciale, leggi amministrative e finanziarie, eccetera. Accanto a questa
legislazione c’è un'altra formata da atti bilaterali costituiti da concordati con la Chiesa cattolica oppure da
intese con le altre confessioni religiose. Le norme di questi atti non hanno efficacia nell'ordinamento
giuridico italiano fino a quando gli atti non vengono eseguiti attraverso leggi di esecuzione, nel caso di
concordato con la Chiesa cattolica e quindi con atti di diritto esterno, oppure attraverso leggi di
approvazione, o atti di diritto interno, attraverso cui si sostanzia l’ impegno dello Stato a rispettare
l'accordo. Ci si chiede in quali casi una norma può essere definita di diritto ecclesiastico ed in che cosa si
sostanzia il fattore religioso. Bisogna qualificare tali aggettivi. L'aggettivo ecclesiastico implica un
riferimento al sostantivo chiesa; l'aggettivo religioso, che caratterizza atteggiamenti prevalentemente
personali, implica un riferimento alla visione non eterna del mondo, così ribaltando uno dei fondamenti su
cui si fonda la norma giuridica, cioè la sua verifica sulla base dei principi generali della teoria del diritto che
non sono passeggeri e sono materialmente individuati. L'indeterminatezza del fenomeno religioso che
caratterizza le norme di diritto ecclesiastico, comporta come conseguenza che in tali norme sono essenziali
i principi generali che possono portare a qualsiasi conseguenza. Tali norme quindi rappresentano dei casi
limite all'interno del diritto fortemente strutturato. Ininfluente è la collocazione del diritto ecclesiastico
nell'ambito pubblicistico o privatistico, proprio perché le sue norme si ritrovano in tutti i settori. Tuttavia
può ritenersi che tale disciplina rientri nel diritto pubblico non perché le sue norme fondamentali hanno
rilevanza costituzionale, ma perché le sue norme, sebbene siano leggi ordinarie, hanno una rilevanza
fondamentale sul piano sociale per la loro natura e per il loro oggetto. Quindi la natura pubblicistica non
deriva dalla fonte da cui scaturiscono le norme, ma deriva dall'oggetto e dal contenuto delle norme di
diritto ecclesiastico. Ecclesiastico è tutto ciò che riguarda la vita e le attività delle chiese; religioso è tutto
ciò che riguarda gli interessi dei gruppi confessionali e dei loro individui, sia quando questi ultimi siano
fedeli del gruppo sia quando sono estranei ad esso. Lo Stato, proprio perché le norme di diritto
ecclesiastico riguardano la sfera personale degli individui, è l'unico referente sia dei gruppi confessionali e
dei singoli individui dal punto di vista di garantire tali norme. Ci si chiede quali siano i fattori che fanno sì
che il diritto ecclesiastico abbia connotazione pubblicistica. Innanzitutto il primo fattore riguarda il fatto che
tali norme per il loro oggetto e la loro natura debbono essere ricondotte nell'alveo del diritto pubblico. Il
secondo fattore riguarda il fatto che una legislazione avente spesso connotazione costituzionale o di livello
internazionale e spesso bilaterale, deve essere ricondotta nel diritto pubblico poiché la sua eventuale
collocazione nel diritto privato non garantirebbe ai contraenti la libertà concessa come nel diritto pubblico.
Il terzo fattore riguarda la politicizzazione dei rapporti tra Chiesa e Stato. Tuttavia la distinzione tra diritto
pubblico e diritto privato sta divenendo sempre meno importante(si pensi ai vincoli posti sulla proprietà
privata per motivi di pubblico interesse). Inoltre i soggetti, il patrimonio, il matrimonio, la proprietà nel
diritto ecclesiastico sono attinenti al diritto comune. Quindi limitare strettamente nel diritto pubblico il
diritto ecclesiastico, significherebbe alterare il soggetto e la sua tradizione.

2. Svolgimento legislativo dottrinale. Dalla legislazione unilaterale……

l'evoluzione del diritto ecclesiastico si distingue, per motivi pratici, in tre periodi. Il primo periodo è quello
della legislazione unilaterale dello Stato di stampo giurisdizionalistico la cui espressione principale sono le
leggi eversive e guarentigie. Il secondo periodo è caratterizzato dai patti lateranensi dove il rapporto tra la
Chiesa e lo Stato viene visto come rapporto tra ordinamenti giuridici primari. Il terzo periodo coincide con
l'avvento della costituzione repubblicana, che conferma i patti lateranensi, e con la modificazione dei patti
lateranensi del 1929 attraverso un accordo nel 1984 e con la stipulazione di intese da parte dello Stato con
confessioni diverse da quella cattolica. Subito dopo l'unificazione dell'Italia, la legislazione piemontese fu
estesa a tutto il regno. Ciò comportò due effetti: il primo è l'abolizione di tutte le legislazioni dei singoli Stati
vanificando così consuetudini e usi locali; il secondo effetto è l'affermazione della legislazione sardo
piemontese che di quel particolarismo è il risultato. Importante fu lo statuto Albertino approvato con legge
numero 647 del 1848. In tale statuto fu sancito all'articolo uno che la sola religione dello Stato è quella
cattolica apostolica romana. Il re si promuove protettore di essa e garantisce l'osservanza delle leggi nelle
materie che rientrano nella potestà di essa. La magistratura garantisce l'osservanza dell'accordo tra Stato e
Chiesa e a tal fine continuerà ad esercitare la sua autorità e giurisdizione. Gli altri culti sono tollerati
secondo i regolamenti e le consuetudini che li riguardano. Di poco antecedente allo statuto Albertino è la
lettera ai valdesi con cui si conferma che essi possono godere dei diritti civili e politici, essere ammessi alle
cariche militari e civili, frequentare scuole e università nel regno italiano ma nulla cambia riguardo
all'esercizio del loro culto. Un'altra importante disposizione dello statuto Albertino è l'articolo 18 che
sancisce che la potestà civile in materia beneficiaria e concernente tutte le provvisioni di qualsiasi natura è
esercitata dal re, salvo le eccezioni previste dalla legge. L'importante è anche l'articolo 24 dove si sancisce
che tutti cittadini del regno sono eguali dinanzi alla legge, godono di tutti i diritti civili e politici e possono
essere ammessi alle cariche civili e militari. Importante anche è l'articolo 28 dove si sancisce che la stampa
è libera ma una legge né reprimere gli abusi. Tuttavia le bibbie, le preghiere, i testi ecclesiastici, eccetera
possono essere venduti solo con l'autorizzazione del vescovo. Importante anche l'articolo 33 dove si
afferma che il re nomina dei senatori a vita, scelti tra diverse categorie tra cui quella dei vescovi, aventi
almeno quarant'anni e in numero non limitato. Con la legge sineo numero 735 del 1848 viene sancito in un
unico articolo che la differenza di culto non determina un'eccezione riguardo al godimento dei diritti politici
e civili o alla ammissione alle cariche civili e militari. Con le leggi siccardi viene stabilita l'abolizione del foro
ecclesiastico, dell'immunità ecclesiastica e del diritto d'asilo. Successivamente con un'altra legge viene
stabilito che gli stabilimenti e i corpi morali possono acquistare stabili solo previa autorizzazione dopo aver
sentito il parere del Consiglio di Stato. Il periodo liberale si completa con le leggi eversive e delle
guarentigie. Con le prime si provvede alla soppressione degli enti ecclesiastici e alla liquidazione del
patrimonio e dei beni ecclesiastici. Subito dopo l'unificazione dell'Italia, si impone la prima fase della
questione romana (la seconda fase infatti va dal 1870 fino al 1929 dove terminerà) caratterizzata
dall'abolizione del potere temporale del Papa che porrà il governo d'Italia in posizioni opposte rispetto a
quelle della Chiesa. Verrà meno l'attività concordataria nella seconda metà del 19º secolo dove questa
attività verrà considerata un'attività privilegiata. Prima dell'approvazione delle leggi guarentigie, ci sarà
l'approvazione di una serie di leggi che adesso elencherò. La legge che prevedeva l'abolizione dei contributi
ecclesiastici, dell'immunità ecclesiastica e delle decime. La legge che sancisce l'abolizione delle decime e la
corresponsione di un assegno alla chiesa. La legge per la concessione ad enfiteusi perpetua redimibile dei
bene fondi ecclesiastici in Sicilia. La legge che prevede l'affrancamento dai canoni enfiteutici e da qualsiasi
prestazione dovuta ad un corpo morale o ente ecclesiastico. La legge che prevede la soppressione di tutte
le corporazioni religiose, e cioè il regio decreto numero 3036 del 1866. Infine la legge che sancisce la
soppressione di tutti gli enti ecclesiastici e la liquidazione dell'asse ecclesiastico. Infine nel 241 del 1871 la
legislazione eversiva si completa con le leggi delle guarentigie emanate appunto con tale legge e con la
legge che estende alla provincia di Roma le leggi sulle corporazioni religiose e sulla conversione dei beni
immobili degli enti morali ecclesiastici. La legge delle guarentigie è distinta in due capitoli: il primo capitolo
riguarda le prerogative del pontefice e della Santa sede; il secondo capitolo riguarda le relazioni tra Stato e
Chiesa. All'articolo uno del primo capitolo si sancisce che il pontefice è persona sacra ed inviolabile.
Qualsiasi attentato nei suoi confronti o la provocazione ad esso è punita con le stesse modalità e con le
stesse pene previste nel caso di attentato al re. La discussione religiosa è ammessa liberamente. Il governo
riconosce gli onori sovrani e le preminente al pontefice. È garantita la corresponsione di L. 3.225.000 come
rendita annua dovuta alla Santa sede. Le ville e i palazzi, villa castel gandolfo e annessi come biblioteche,
musei ,librerie sono inalienabili. Non è ammessa l'ingerenza della pubblica autorità. È garantita la piena
libertà durante le vacanze del pontefice, le adunanze del conclave, e dei concili ecumenici. È garantita la
libertà di partecipazione del pontefice e degli ecclesiastici nel momento di emanazione degli atti ministeriali
della Santa sede. È concesso il diritto di legazione attivo e passivo. È concessa la facoltà di corrispondere
liberamente con tutto il mondo cattolico. È vietata l'ingerenza della autorità scolastica nelle scuole,
accademie, collegi e altri istituti ecclesiastici che dipendono dalla Santa sede. Il secondo capitolo riguarda i
rapporti tra Stato e Chiesa. In tale capitolo si sancisce l'abolizione di ogni restrizione alla riunione dei
membri ecclesiastici. Si aboliscono i vecchi privilegi giurisdizionalistico come gli iura maiestatica
sacra,exequatur e placet regio, e si abolisce anche l'obbligo di giuramento al re da parte dei vescovi.
Tuttavia il pontefice non accetterà mai le leggi delle guarentigie e romperà ogni rapporto con il governo
italiano dichiarandosi prigioniero nei suoi palazzi. Le ragioni delle leggi guarentigie erano quelle di porre un
freno alle pretese confessionali della Chiesa cattolica. Da questo momento il diritto ecclesiastico si
caratterizzerà soprattutto per la sua laicità. Oggi notevoli settori hanno subito dei cambiamenti nel diritto
ecclesiastico. Si pensi al settore matrimoniale dove è chiara la distinzione tra matrimonio religioso e
matrimonio civile. Importante anche è la legge Crispi ancora in vigore anche se la corte costituzionale ha
cancellato l'articolo uno sulle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza. Tale legge concerne le
confraternite e le fabbricerie. I liberali distingueranno bene tra la posizione di cittadini e fedeli, dove primi
obbedivano alle leggi del foro esterno mentre nulla cambiava per le credenze religiose nel foro interno.

3….. a quella Pattizia……

La Chiesa cattolica, dopo un primo periodo, tenta di riallacciare i rapporti con il governo al fine di ottenere
la soluzione della questione romana e riottenere il territorio corrispondente alla cosiddetta città leonina. In
questo tentativo la Chiesa allaccia rapporti con il fascismo ritenuto più affidabile rispetto ad altri partiti.
Sebbene sul piano ideologico il fascismo non era concorde con la Chiesa, al regime fascista sarebbe stato
utile ottenere il risultato di riportare la pace religiosa e dimostrare che Mussolini era riuscito a fare ciò che
Cavour e i liberali non erano riusciti a compiere. La Chiesa, dall'altro lato, avrebbe ricevuto in cambio una
personalità internazionale ed un proprio territorio su cui esercitare la propria giurisdizione e sovranità. Per
questo furono stipulati l'11 febbraio del 1929 i patti lateranensi, costituiti da un trattato tra la Santa sede e
lo Stato italiano + 4 allegati. Il primo allegato determinava il territorio della città del Vaticano; il secondo
riconosceva gli immobili con privilegio di extraterritorialità e con esenzioni da espropriazioni e tributi; il
terzo allegato riconosceva solo gli immobili con esenzioni da espropriazioni e tributi; il quarto allegato
riguardava la convenzione finanziaria tra Stato e Chiesa cattolica con cui il primo si obbligava al versamento
di 750 milioni di lire all'atto della ratifica e si obbligava a versare il 5% di 1 miliardo delle vecchie lire.
Successivamente furono approvate le leggi numero 847 e 848 del 1929 che riguardavano rispettivamente la
prima la parte relativa al matrimonio del trattato; e la seconda le disposizioni concernenti gli enti
ecclesiastici e l'amministrazione civile dei patrimoni destinati a fini di culto. I patti lateranensi
reintroducono lo strumento concordatario che sarà riconosciuto con la costituzione repubblicana del 48. Il
fascismo ne ebbe notevoli vantaggi sul piano internazionale. Tuttavia si trattava di un accordo con
reciproche strumentalizzazioni. Infatti PIO 11º criticò Mussolini affermando che i patti lateranensi erano
intangibili ,e che se non fossero stati rispettate tutte le condizioni, il patto sarebbe stato sciolto.
Successivamente il fascismo fu criticato nel 31 e nel 38 da azione cattolica riguardo alle leggi razziali e
successivamente anche riguardo all'entrata in guerra. Dei patti lateranensi rimase in vita solo il trattato e
non il concordato. Il trattato riprendeva alcune disposizioni dello statuto Albertino: si pensi alla disposizione
che sanciva che la religione cattolica, apostolica e romana è l'unica religione dello Stato italiano. altre
disposizioni che coincidevano con quelle dello statuto Albertino erano l'articolo 11 che sanciva la non
ingerenza della pubblica autorità italiana nelle questioni degli enti ecclesiastici; con l'articolo 22 ci si
impegnava a punire delitti commessi nella città del Vaticano in Italia, a meno che il soggetto non si fosse
rifugiato ed in quest'ultimo caso si applicano le leggi italiane; l'articolo 23 sanciva l'esecuzione nel regno
d'Italia delle sentenze emesse dai tribunali vaticani circa persone ecclesiastiche o concernenti materie
disciplinari o spirituali. Il trattato all'articolo due riconosceva la sovranità della Santa sede; all'articolo tre si
creava riconosceva la città del Vaticano e si assicurava che la forza pubblica non sarebbe intervenuta nella
basilica e nella piazza di San Pietro a meno che non sia espressamente invitata; all'articolo quattro si
sancisce la sovranità e la giurisdizione della Santa sede nel proprio territorio; all'articolo sei si stabilisce che
l'Italia provvede alla fornitura alla Santa sede di tutti i servizi pubblici(acqua, ferrovie, eccetera.); all'articolo
sette si fa divieto agli aeromobili di sorvolare la città del Vaticano. L'articolo otto riconosce il Papa come
persona sacra e inviolabile; l'articolo nove stabilisce che ha la residenza vaticana chi risiede stabilmente
nella città del Vaticano; l'articolo 10 sancisce che i dignitari della Chiesa e del personale della corte
pontificia sono esenti dal servizio militare, dalla giuria e da qualsiasi altra prestazione nei confronti dello
Stato italiano; all'articolo 12 si riconosce il diritto di legazione attiva e passiva alla Santa sede e si
riconoscono le immunità diplomatiche agli agenti diplomatici inviati presso la Santa sede e a quelli facenti
parte della Santa sede. All'articolo 20 si riconosce la possibilità agli agenti diplomatici inviati o della Santa
sede stessa di transitare sul territorio italiano. L'articolo 17 ci dice che le retribuzioni dovute alla Santa sede
o da qualche altro ente ecclesiastico centrale ai dignitari della Chiesa, impiegati o salariati è esente da
qualsiasi tributo verso lo Stato italiano èd qualsiasi altro ente. L'articolo 21 riconosce che i cardinali sono
accolti con gli onori dovuti ai principi di sangue. L'articolo 24 stabilisce la neutralità della città del Vaticano
riguardo ai conflitti temporali tra i vari Stati a meno che non si voglia accogliere la missione di pace
proposta dalla Santa sede. L'articolo 25 riconferma la convenzione finanziaria e l'articolo 26 determina la
eliminazione della questione romana e il riconoscimento dello Stato italiano governato dai Savoia e con
Roma capitale. Il concordato mutava anche il contenuto del diritto ecclesiastico italiano introducendo
alcune disposizioni politiche come quella ad esempio dell'articolo cinque dove si vietava ai sacerdoti che
avevano subito la censura di ottenere un pubblico impiego o di insegnare. Dopo aver stabilito norme in
tema di status giuridico di persone fisiche ecclesiastiche, all'articolo nove si stabilisce nel concordato degli
edifici di culto sono di regola esenti da requisizioni e perquisizioni. Si garantisce l'assistenza spirituale alle
forze armate all'articolo 13-15; si riconoscono le festività voluta dalla Chiesa nello Stato italiano all'articolo
10; si riducono le circoscrizioni delle diocesi e delle parrocchie; la nomina degli arcivescovi e dei vescovi
deve essere comunicata allo Stato italiano preventivamente; viene meno invece l'obbligo di giuramento del
vescovo al re. Vengono aboliti gli assegni di congrua e sulla provvista dei benefici ecclesiastici, viene abolito
l'exequatur et placet regio e si stabilisce che il regime giuridico degli istituti, santuari e basiliche spetta alle
autorità ecclesiastiche. L'articolo 28 sancisce la condonazione per tutti coloro, che a seguito delle leggi
eversive, si fossero trovati in possesso di beni ecclesiastici. In cambio lo Stato italiano si sarebbe impegnato
ad adeguare la legislazione ecclesiastica alle direttive del concordato e del trattato. Infatti si stabilisce il
regime tributario dei beni ecclesiastici è equiparato, a fini tributari, al regime di beneficenza e quindi esente
da ogni tributo. Si riconosce la personalità giuridica e gli enti ecclesiastici e delle associazioni religiose e si
riconosce il regime giuridico delle confraternite e delle fondazioni di culto. I controlli sulla gestione
ordinaria straordinaria dei beni ecclesiastici spetta all'autorità ecclesiastica. Per quanto riguarda l'erezione
ad associazioni religiose questa spetta al diritto canonico, mentre il riconoscimento di tali associazioni o
enti ecclesiastici avverrà secondo le leggi civili da parte dello Stato. Dopo una breve discussione sulle
catacombe all'articolo 33, l'articolo 34 sancisce che la giurisdizione matrimoniale spetta ai tribunali
ecclesiastici così come si stabilisce che il matrimonio sacramentale produce anch'esso effetti civili, in deroga
al principio del doppio binario che separava il matrimonio civile da quello religioso. Successivamente si
riconoscono norme per garantire l'istruzione paritaria, l'insegnamento della religione nelle scuole, norme
che stabiliscono che la nomina dei professori dell'Università cattolica è subordinata al nullaosta della Santa
sede, norme che sanciscono il regime giuridico delle università e dei seminari è dipendente dall'autorità
della Santa sede; le lauree in teologia e diplomi in paleografia, archivistica e diplomatica; si riconoscono le
onoreficenze e i titoli nobiliari. All'articolo 43 si fa riferimento ai componenti di azione cattolica che non
possono iscriversi a partiti politici. L'articolo 44 e 45 si fa riferimento alle leggi numero 847 e 848 del 1929
relative all'esecuzione del concordato sulla parte matrimoniale e sulla parte degli enti ecclesiastici. Il fatto
che sia stata approvata la legge sugli enti e non quella matrimoniale è ingiustificato, poiché il legislatore è
costretto a far riferimento ad una norma che dovrebbe essere abrogata( articolo 34 )perché il trattato non
è più in vigore. Abrogata è anche la legge 1159 del 1929 che concerneva le disposizioni riguardanti
l'esercizio dei culti ammessi nello Stato e il matrimonio celebrato davanti ai ministri di tali culti. Questa
disposizione però è abrogata solo per le confessioni che abbiano stipulato un'intesa con lo Stato mentre
non lo è per quelle che non abbiano stipulato una tale intesa. All'articolo uno tale legge stabilisce che
l'esercizio dei culti è liberamente ammesso. All'articolo quattro si riconferma quanto detto nella legge sineo
secondo cui la differenza di culto non comporta l'eccezione riguardo al godimento dei diritti politici e civili
né riguardo all'ammissione alle cariche civili e militari. All'articolo cinque si stabilisce che la discussione
religiosa è ammessa liberamente. Importante anche la disposizione che estende le leggi civili agli istituti a
cattolici e che subordina alla nomina governativa i ministri di culto. L'ufficiale di stato civile, dopo aver
accertato che sono state adempiute tutte le formalità e che si può procedere secondo le leggi civili, nomina
il ministro di culto innanzi al quale deve svolgersi il matrimonio e la data da cui questa nomina a effetto. Per
il resto, cioè celebrazione e trascrizione, si applicano le disposizioni previste per il matrimonio
sacramentale. Si diffonde in questo periodo una cultura cattolica che intacca il principio della laicità dello
Stato che aveva caratterizzato sino a quel momento il diritto ecclesiastico.

4……. Alla contrattazione bilaterale

L’avvento della costituzione nel 48 comporta delle modifiche al diritto ecclesiastico essenziali. Importante è
ricordare che il fattore religioso viene preso in considerazione singolarmente e in forma associata; i patti
lateranensi vengono confermati nell'articolo sette comma uno della costituzione; i principi su cui si basa il
diritto ecclesiastico sono quelli di eguaglianza e libertà; si ammette a livello costituzionale una
contrattazione bilaterale sia con le confessioni cattoliche e con quelle acattoliche, le prime attraverso atti di
diritto esterno da rendere esecutivi nel nostro ordinamento e le seconde con intese, cioè atti di diritto
interno, presupposto della legge successiva di approvazione. Viene meno l'articolo uno stabilito nel codice
Albertino secondo cui l'unica religione dello Stato e quella cattolica, apostolica romana ma manca anche
una norma che sancisca la laicità dello Stato, anche se questa la si deduce da una serie di norme. Si pone in
rilievo il problema di rendere le norme pattizie del diritto ecclesiastico compatibili con il sistema
costituzionale vigente. A tal proposito nel 1968 venne costituita una commissione composta dal professor
ago e jemolo e presieduta dall'onorevole gonella. Tale commissione aveva il limite di essere composta solo
da rappresentanti dello Stato e infatti venne sostituita in seguito da una commissione mista composta da
componenti del Vaticano e dello Stato. Il problema principale in questo iter venne rilievo era quello
dell'abrogazione o revisione dello strumento concordatario. Gli abrogazionisti ritenevano che si doveva
utilizzare oramai un mezzo differente per apportare la Chiesa lo Stato. I revisionisti ritenevano invece che
tale strumento non avesse apportato numerosi danni e che le res mixtae dovevano essere regolamentate;
inoltre essi ritenevano che l'attività concordataria era incrementata ed infine che il ritorno al diritto
comune non sarebbe stato possibile in base alle disposizioni costituzionali dell'articolo sette ed otto della
costituzione. Secondo il revisionisti bisognava revisionare il concordato e non tutti patti lateranensi. Ancora
più conservatrice è la posizione del professor jemolo che sancisce che andavano abrogate solo le norme
che contrastavano con la costituzione e bisognava conservare il concordato. In realtà abrogare totalmente
lo strumento concordatario, significava rinunciare ad uno strumento importante per relazionare la Chiesa
con gli altri Stati. Il concordato quindi viene riconosciuto come strumento di contrattazione bilaterale con
cui la Chiesa scambiava rapporti,privilegi e favori con gli altri Stati dove le parti si impegnavano ad
ottemperare agli obblighi assunti e tale concordato doveva essere eseguito sia all'interno dell'ordinamento
statuale che all'interno di quello canonico. Alla fine non prevalse né la posizione abrogazionista né quella
conservatrice di jemolo ma tutto ciò si tradusse nelle modificazioni stabilite con l'accordo del 18 febbraio
del 1984. In questo accordo le norme concordatarie del trattato rimasero in vigore insieme agli altri patti
lateranensi. Furono stipulate anche intese con confessioni diverse da quella cattolica(si pensi a quelle con
l'unione delle comunità ebraiche italiane, con i buddisti, con i testimoni di Geova, con la Chiesa evangelica
battista e con la Chiesa evangelica luterana). Prima tali confessioni, per non legittimare lo strumento
concordatario e per non rinunciare al diritto comune, tendevano a non stipulare tali intese. Bisogna dire
che la legge sull'esercizio del culto libero numero 1159 del 1929 rimane in vigore solamente per quelle
confessioni che non abbiano stipulato un'intesa con lo Stato oppure non vogliano una tale intesa.
Importanti modificazioni al diritto ecclesiastico verranno con la legge numero 151 del 1975, cioè la riforma
del diritto di famiglia, con la legge numero 898 del 1970(legge sul divorzio) ed infine con lo sviluppo della
successiva legislazione del diritto comune.

5. Autonomia didattica e scientifica del diritto ecclesiastico.

Una volta determinata l'autonomia didattica del diritto ecclesiastico rispetto al diritto canonico, avvenuto a
fine ottocento, si pone il problema dell'autonomia scientifica del diritto ecclesiastico, cioè se il diritto
ecclesiastico può fondarsi solo su principi propri e non rapportarsi ad altre discipline giuridiche. Prima di
tutto bisogna affermare il principio secondo cui la scienza giuridica è una ed il problema è relativo solo ad
una ripartizione delle competenze(cioè ciò di cui si occupa il diritto ecclesiastico e che non fa parte di altre
discipline giuridiche). Ci si chiede in particolare se al diritto ecclesiastico si applicano i criteri interpretativi
comuni a tutte le discipline giuridiche oppure la specialità delle norme di tale materia comporti che esse
siano poste su un piano particolare. In realtà il diritto ecclesiastico non si è sviluppato autonomamente ma
è frutto del contributo di diverse discipline giuridiche e di conseguenza ad esso si applicano i principi
generali e i criteri interpretativi del diritto comune a tutte le discipline giuridiche. Particolari problemi
possono sorgere quando si tratta di fattispecie tipiche ed esclusive del diritto ecclesiastico che hanno una
caratterizzazione storica oppure si tratta di norme non provenienti dallo Stato ma di derivazione
confessionale a cui bisogna rinviare. In tali casi, non essendo possibile applicare rigidamente i criteri
interpretativi statalistici, si applicano e vengono in rilievo i criteri interpretativi storico-evolutivi.
L'autonomia scientifica deve essere intesa come specialità delle competenze di tale disciplina ma non nel
senso che il diritto ecclesiastico possa fondarsi solo su principi propri senza rapportarsi ad altre discipline
giuridiche. Anche se è vero che la scienza giuridica ecclesiastica è unica e la ripartizione delle competenze è
effettuata solo a fini sistematici, dall'altro lato bisogna dire che solo il confronto con le diverse discipline
giuridiche può determinare un miglioramento per il diritto ecclesiastico. Inoltre quest'ultima è una scienza
statuale laica che va distinta dalle altre scienze sacre o confessionali e di conseguenza è necessario che
questa scienza si riferisca all'ambito statuale e non ad altri ambiti. Inoltre bisogna tener conto
dell'evoluzione dottrinale e giurisprudenziale del diritto ecclesiastico e quindi di conseguenza non è
possibile prescindere da elementi sociologici, storici e politologici che hanno apportato notevoli contributi a
tale scienza. Si pensi alla riforma del diritto di famiglia, la legge sul divorzio, alla revisione del concordato,
ad interventi della corte costituzionale che provano come sia impossibile che il diritto ecclesiastico si
riferisca solo a presupposti propri senza guardare e rapportarsi ad altre discipline giuridiche. Mentre lo
studioso del diritto ecclesiastico non può prescindere dal conoscere altre discipline giuridiche, non accade
in caso contrario: infatti la giurisprudenza civile si trova in notevole difficoltà quando deve trattare e
affrontare temi come il mutamento religioso di uno dei due coniugi, l'educazione religiosa dei figli, la
legislazione sull'affidamento minorile, eccetera. In definitiva l'autonomia scientifica non garantisce una
migliore qualità del diritto ecclesiastico ma tale qualità migliora solo se ci si rapporta alle altre discipline
giuridiche in modo da formare un ciclo legislativo unico.

6. Il diritto ecclesiastico e le scienze affini.

Il diritto ecclesiastico si distingue da quello canonico, quest'ultimo riguarda l'ordinamento interno della
Chiesa cattolica, anche se il primo è stato nel corso degli anni notevolmente influenzato dal secondo poiché
il diritto canonico a un'evoluzione legislativa e dottrinale molto più lunga rispetto al diritto ecclesiastico che
è una scienza relativamente recente. L’ utrumque ius riguardava sìa il diritto civile che il diritto canonico e
di conseguenza anche fattispecie del diritto ecclesiastico potevano dedursi non solo dal diritto canonico ma
anche dal diritto civile. I rapporti tra norme di diritto canonico e norme di diritto civile hanno influenzato
non singole fattispecie ma interi settori della scienza giuridica, ponendo problemi metodologici. È
necessario quindi esaminare l'evoluzione del diritto canonico per comprendere la nascita e l'evoluzione del
diritto ecclesiastico. Ovviamente il diritto canonico non coincide con quello ecclesiastico ne coincidono le
sue materie affini. Il diritto canonico fa riferimento alla vita giuridica della Chiesa cattolica partendo a
ritroso dal codice di diritto canonico del 1917. Questa storia comprende circa 2000 anni dove si sono
susseguiti testi come le decretali di Gregorio nono, le clementine, il liber extra, il decreto di Graziano,
eccetera; un ambito vastissimo in cui sono ricomprese le norme di diritto ecclesiastico, che dopo la riforma
protestante che aveva sancito la separazione tra diritto canonico e diritto ecclesiastico, sono state intese
come quelle norme relative ai rapporti tra Stati. La relazione sistematica tra Stato e Chiesa può essere
improntata ad una logica di unione o separatista. Nel primo caso, se prevalgono le posizioni ecclesiastiche,
siamo in uno Stato teocratico; se prevalgono le posizioni dello Stato, siamo in uno stato giurisdizionale. Nel
secondo caso chiesa e stato solo in un rapporto di reciproca esclusione, cioè ciascuno opera in un ambito
che è separato dall'ambito dell'altro. Tuttavia una separazione assoluta è impossibile e di conseguenza le
res mixtae vengono regolate attraverso dei concordati. Tuttavia queste classificazioni non sono idonee a
ricomprendere tutte le relazioni tra podestà civile e podestà ecclesiastica per la varietà situazioni che si
vengono a verificare nella realtà. Si pensi ad esempio ai concordati in stati separatisti oppure si pensi al
gallicanesimo francese o al giuseppinismo austriaco, sistemi entrambi giurisdizionalisti, che avevano più
differenze che ha analogie. Ci si chiede oggi se il sistema di coordinazione attuale sia di unione o di
separazione. Per rispondere a questa domanda bisogna andare oltre le categorie giuridiche e far
riferimento, più che al rapporto tra Stato e Chiesa, al rapporto tra politica e religione, categorie che mal si
prestano ad essere definite giuridiche e necessarie per comprendere i presupposti o alcuni fenomeni del
diritto ecclesiastico. Più ampia è la storia delle istituzioni religiose: si pensi ancora alla teoria di santi
Romano essenziale nel diritto ecclesiastico per qualificare rapporti tra Stato e Chiesa come rapporti tra
ordinamenti giuridici primari. Di conseguenza i movimenti religiosi, gli ordini religiosi sono fondamentali e
necessari per comprendere l'evoluzione del diritto ecclesiastico e come attraverso essi sia stato influenzato
il diritto comune. Importante anche l'aspetto comparatistico, poiché i movimenti religiosi operano a
carattere multinazionale, cioè a livello di più ordinamenti. È importante quindi capire attraverso la
comparazione come una realtà sia vista in modo diverso.

7. Il diritto ecclesiastico nell'ambito delle scienze giuridiche.

Come abbiamo detto prima, il diritto ecclesiastico subisce le influenze delle altre discipline
dell'ordinamento giuridico. Esso è una scienza laica distinta dal diritto canonico e dalle altre scienze sacre o
confessionali. Quasi tutte le riforme legislative attuate hanno influenzato il diritto ecclesiastico, mutandone
il contenuto. Il diritto ecclesiastico si inserisce in un circolo legislativo comune a tutte le discipline
giuridiche, anche se ci sono state resistenze dovute a pressioni ideologiche e al fatto della specialità dello
strumento concordatario e delle intese stipulate con confessioni religiose diverse da quella cattolica.
Affermare che il diritto ecclesiastico non riguarda i problemi generali ma comuni solamente ad un
determinato settore, significa fare un passo indietro tenendo anche conto che lo strumento di
contrattazione bilaterale è riconosciuto a livello costituzionale. Bisogna porre il diritto ecclesiastico su un
piano paritetico a tutte le altre discipline giuridiche. Per fare ciò sarebbe più opportuno una legislazione
unilaterale avendo lo Stato come unico punto di riferimento invece di avere una contrattazione bilaterale
che fa venir meno quella visione unitaria di questa disciplina. L'evoluzione legislativa, dottrinale
giurisprudenziale ha influenzato notevolmente il diritto ecclesiastico sia sotto l'aspetto costituzionalistico(si
pensi agli interventi della corte costituzionale in materia matrimoniale o di libertà religiosa); sia sotto
l'aspetto del diritto internazionale(si pensi al riconoscimento della capacità o soggettività giuridica o al
riconoscimento della dinamicità giuridica dei concordati); sia sotto l'aspetto delle strutture amministrative
alle quali sono devolute la gestione degli enti ecclesiastici; sia sotto l'aspetto del diritto canonico e anche
sotto l'aspetto civilistico. Per quanto riguarda quest'ultimo un particolare riferimento va fatto riguarda la
trascrizione, che è un vero e proprio momento di collegamento tra diritto civile e diritto canonico. Il diritto
civile viene in rilievo anche in altri casi: si pensi ad esempio all'educazione religiosa dei propri figli o al
mutamento di religione di uno dei due coniugi(diritto di famiglia); si pensi all'applicazione dei principi del
diritto del lavoro per i religiosi che lavorano nelle organizzazioni di tendenza; all'applicazione del diritto
penale per i reati riguardanti il sentimento religioso o i religiosi; all'applicazione del diritto commerciale per
quanto riguarda l'ente ecclesiastico imprenditore. Si vede quindi come l'evoluzione legislativa, dottrinale
giurisprudenziale di diverse discipline giuridiche abbia influito sul contenuto del diritto ecclesiastico che
idoneo non solo a verificare principi generali del diritto ma costituisce un osservatorio privilegiato per
valutare l'evoluzione legislativa, dottrinale e giurisprudenziale della scienza giuridica nel suo complesso.

8. Problemi metodologici.

La differenziazione tra scienze umane e scienze naturali ha comportato come conseguenza un'inopportuna
differenziazione metodologica tra gli aspetti storici e gli aspetti dogmatici, che invece convivono nel diritto
ecclesiastico insieme poiché c'è un'analogia nel metodo interpretativo. Il diritto ecclesiastico è quel settore
della scienza giuridica che meno si rivolge al formalismo o dogmatismo giuridico e pone sullo stesso piano il
dato formalistico giuridico o normativistico e il dato storico politico. Comprendere la metodologia del
diritto ecclesiastico è essenziale per capire il suo contenuto e il suo oggetto non solo nella prospettiva
attuale ma anche nella prospettiva futura. Il fatto che il diritto ecclesiastico si riferisca a problemi di
coscienza, si caratterizza per l'immaterialità di alcune questioni, fa riferimento a questioni religiose o
fideistiche determina la particolarità del metodo per tale scienza giuridica in virtù dei suoi fini e dei suoi
presupposti. Per quanto riguarda questi ultimi, il riferimento alle scienze sacre e teologiche è naturale;
mentre per quanto riguarda i fini, i mezzi per conseguire e tutelare un interesse economico sono
ovviamente diversi dai mezzi per conseguire tutelare un interesse religioso. Si è sostenuto spesso che non
esiste una metodologia generale avulsa da contenuti concreti e che bisognava partire dal diritto positivo
come necessaria base di partenza senza la possibilità di porre problemi generali. In realtà ciò non avviene
per il diritto ecclesiastico. questo perché la posizione di mezzo tra le scienze giuridiche del diritto
ecclesiastico, i suoi presupposti storico politici, i suoi fini religiosi, sui contenuti spirituali rendono centrale il
problema metodologico sia al fine di determinarne il contenuto e l'oggetto sia al fine di determinarne le
diverse metodologie nel suo ambito. Un ventaglio di riferimenti così ampio non consente l'elaborazione di
un unico metodo. Sarebbe più comodo riferirsi ad un corpo di norme positive che fanno capo a leggi e
principi ben determinati, come avviene ad esempio nel diritto processuale. Ma ciò non è possibile nel
diritto ecclesiastico. Ne consegue il continuo riferimento a principi generali elaborati in altre discipline
giuridiche ma difficilmente accade il contrario. Si pensi ad esempio ai civilisti che difficilmente si sono
avvalsi dell'elaborazioni dottrinali degli ecclesiastici al fine di risolvere, ad esempio, problemi relativi al
diritto di famiglia oppure di internazionalisti difficilmente hanno tenuto in considerazione il problema della
dinamica concordataria. La prospettiva è quella di elaborare un diritto ecclesiastico europeo ma ci sono
alcuni problemi come il diverso sviluppo legislativo in materia religiosa dei vari paesi europei e la presenza
anche in Europa i paesi musulmani. Di conseguenze più preferibile attestarsi su posizioni di laica neutralità
che riferirsi alle radici cristiane del vecchio continente.


                                         Capitolo due
    profili internazionalistici e pubblicistici
1. Profili internazionalistici. Dinamica giuridica dei concordati.

L’evoluzione legislativa del diritto ecclesiastico è caratterizzata dal continuo ricorso ai principi di diritto
internazionale per risolvere una serie di questioni pratiche. Nel 1870 con la presa di Porta Pia, con cui viene
estinto lo Stato Pontificio, la Santa sede(organo di governo della Chiesa cattolica) viene a trovarsi senza una
personalità giuridica di diritto internazionale poiché era venuto meno un requisito, quello territoriale,
essenziale per la qualificazione dello Stato vaticano come appunto uno stato, dato che solo agli Stati era
riconosciuta in quel tempo la personalità di diritto internazionale. Il problema poteva essere risolto
attraverso il ricorso al principio di effettività oppure attraverso l'allargamento della personalità di diritto
internazionale ad enti diversi dagli Stati ma la concezione formalistica in quel tempo del diritto
internazionale impediva tutto ciò. Si formarono diverse teorie monistiche, dualiste e miste riguardo alla
personalità internazionale della Santa sede. La prima teoria riteneva che la città del Vaticano fosse uno
Stato fine, cioè uno stato oggetto della sovranità di un altro Stato che è la Santa sede. Quest'ultima è l'unica
ad avere personalità giuridica internazionale secondo questa teoria. Secondo invece la teoria dualistica sia
la Santa sede che la città del Vaticano avevano personalità giuridica internazionale. Secondo la teoria mista
la Chiesa cattolica aveva una sovranità spirituale illimitata e non aveva bisogno di un confine territoriale. In
definitiva si può dire che solo la Santa sede, organo di governo della Chiesa cattolica, ha personalità
giuridica internazionale mentre la città del Vaticano è anch'essa rilevante sul piano internazionale anche se
è un ente diverso. Mentre il diritto internazionale faceva riferimento indistintamente alla Chiesa cattolica,
alla Santa sede e alla città del Vaticano, gli ecclesiastici distinguevano queste tre figure. La Chiesa cattolica
era una mera confessione religiosa derivante dall'alveo del cristianesimo. La Santa sede era l'organo di
governo della Chiesa cattolica mentre la città del Vaticano era un'entità territoriale. Era la Santa sede
l'unica con personalità giuridica internazionale e ad essa sono imputate una serie di attività internazionali.
La Santa sede ha dei membri permanenti presso l'osservatorio dell'Onu anche se non può farne parte
poiché essa costituisce un micro Stato con di conseguenza particolari peculiarità. Ciò che spinse alla
stipulazione nel 1929 dei patti lateranensi fu la soluzione della questione romana nella prima fase volta
all'abbattimento del potere temporale mentre nella seconda volta al ripristino di una parvenza di Stato.
Questo trattato determinò la nascita dello Stato della città del Vaticano. Si tratta di uno Stato enclave, uno
Stato c'è circondato completamente da un altro(quello italiano) che si impegna a fornire l'acqua, le
comunicazioni ferroviarie, telegrafiche, telefoniche, postali eccetera; si impegna a garantire collegamenti
terrestri ed aerei; ad impedire nelle zone adiacenti nuove costruzioni. è riconosciuta la cittadinanza
vaticana a tutti coloro che hanno una residenza stabile nella città del Vaticano, ai dignitari della Chiesa, ai
cardinali residenti a Roma, ai funzionari dichiarati indispensabili dalla Santa sede. Si riconosce l'esenzione
dai tributi ed all'espropriazione agli immobili della Santa sede e ad alcuni di questi si riconosce anche il
privilegio di extraterritorialità. Si stabilisce la neutralità della città del Vaticano e si riconosce la sovranità
del pontefice nella Santa sede. Nel 1954 viene stipulata una convenzione diretta a stabilire l'immunità e la
protezione dei beni culturali appartenenti alla città del Vaticano. Lo Stato vaticano è formato da una serie di
enti a cui sono attribuite diverse funzioni. Il 7 giugno del 1929 viene approvata la legge fondamentale dello
Stato vaticano che si affianca ad altre cinque relative alle fonti del diritto, alla cittadinanza e al soggiorno,
all'ordinamento amministrativo, all'ordinamento commerciale e infine alle leggi di pubblica sicurezza. Il 1
maggio del 1949 viene approvato l'ordinamento giudiziario e il codice di procedura civile. Nel 1967 viene
modificata la legislazione penale e del processo penale. Il 26 novembre del 2000 viene approvata la nuova
legge fondamentale dello Stato vaticano che riconosce al Papa la sovranità e riunisce nelle mani del
pontefice l'esercizio del potere legislativo, esecutivo e giudiziario. Il potere legislativo è esercitato da
pontefice coadiuvato da una commissione che lo aiuta anche nell'esercizio del potere esecutivo. Il
presidente della commissione può farsi coadiuvare da un segretario generale e da un vice segretario i quali
depositano anche i bilanci. Per quanto riguarda l'esercizio del potere giudiziario questo è devoluto dal
pontefice ad appositi organi, anche per quanto riguarda le controversie di lavoro e amministrative. Per
quanto riguarda la riproposizione dello strumento concordatario, bisogna esaminare le questioni di
dinamicità che i concordati comportano. Inizialmente il concordato era visto come un atto che attribuiva
privilegi ed immunità alla Santa sede mentre successivamente viene visto come un atto con cui si regolano
le res mixtae, dove Stato e Santa sede possono non convergere su alcune posizioni e quindi bisogna
rinvenirne i punti in comune. Sono vigenti per i concordati i principi rebus sic stantibus estare pactis e cioè i
soggetti che hanno stipulato tale concordato sono tenuti a rispettare gli impegni che sono stati assunti e a
non approvare leggi contrarie a tali impegni. Tali accordi possono essere denunziati senza la necessità di un
nuovo concordato, o possono essere modificati o si può procedere ad accordi di natura minore senza porre
in discussione l'accordo principale. I concordati fanno riferimento a principi comuni di diritto internazionale
ed è per questo che la questione di abrogare o revisionare tali strumenti poco c'entra in questo momento
con la dinamica concordataria. Piuttosto bisogna assicurare una copertura costituzionale a tali concordati in
virtù del diretto riferimento fatto ai patti lateranensi dall'articolo sette della costituzione.

2. Profili pubblicistici. L'evoluzione costituzionale.

Il passaggio dalla costituzione flessibile dello statuto Albertino a quella attuale e l'individuazione di norme
che riguardano il fattore religioso sia in forma individuale che in forma associata hanno determinato
un'evoluzione legislativa del diritto ecclesiastico. Tuttavia queste norme costituzionali non ne esauriscono
l'intero contenuto del diritto ecclesiastico ma bisogna partire dalla loro esegesi per capire lo stato attuale
della previsione legislativa a livello costituzionale. Ovviamente tali norme non sono esenti da critiche. Si
pensi all'articolo due della costituzione dove la Repubblica riconosce i diritti inviolabili dell'uomo sia in
forma individuale che in forma associata. Di conseguenza l'inserimento di tale norma fra quelle che
riguardano il fattore religioso è improprio poiché nell'articolo due si fa riferimento al singolo per tutelare i
suoi diritti inviolabili(anche in forma associata) e non alle formazioni sociali in generale. Un'altra critica
riguarda l'articolo tre della costituzione laddove esso fa riferimento a tutti cittadini e non estende il
principio d'eguaglianza anche alle persone giuridiche, anche se molta parte della dottrina e della
giurisprudenza sono per questa interpretazione estensiva. Nel caso fosse ammessa tale estensione, ciò
sarebbe molto importante per il diritto ecclesiastico poiché si riconoscerebbe l'eguaglianza, e non l'eguale
libertà come nell'articolo otto comma uno della costituzione, di tutte le confessioni religiose. Resta in piedi
ed è fondamentale la norma che esclude il fattore religioso come motivo di discriminazione tra i cittadini.
Un'altra disposizione che contiene una connotazione religiosa è l'articolo 52 comma due della costituzione.
esso sancisce che la difesa della patria è sacra ed inviolabile, unico articolo ad utilizzare tale aggettivo. Si
ritiene invece sia pleonastica la disposizione dell'articolo sette comma uno della costituzione sui patti
lateranensi. Tale disposizione sancisce che lo Stato e la Chiesa cattolica sono ciascuno nel proprio ordine
sovrani ed indipendenti. Si tratta di una disposizione inutile poiché l'indipendenza è un connotato della
sovranità ed anche perché il termine ordine si riferisce, non all'ordinamento giuridico, ma ad una diversità
di attribuzione e competenze che appare evidente in due Stati indipendenti. Questa disposizione sembra
essere utile solo per indicare una posizione paritetica tra le due parti. Maggiormente suscettibile di critica
del secondo comma dell'articolo sette in particolare laddove si sancisce che la modifica dei patti
lateranensi, accettata da entrambe le parti, non necessita di un procedimento di revisione costituzionale.
Da questa norma si è dedotto che i patti lateranensi non possono essere modificati con un procedimento
unilaterale e di conseguenza essi hanno assunto un rilievo costituzionale notevole perché trattasi di norme
speciali costituzionali superiori, secondo questa interpretazione, alle norme costituzionali stesse.
Ovviamente si tratta di un'interpretazione forzata a cui il costituente all'epoca non voleva si arrivasse.
Successivamente si avuto un'altra interpretazione avallata poi dalla corte costituzionale nel 1971. In base a
questa nuova interpretazione, lo Stato si impegna a costituzionalizzare il principio pattizio, cioè si impegna
ad rispettare gli impegni assunti e a non legiferare contrariamente nelle materie di comune interesse.
Ovviamente ciò non significa che lo Stato non possa legiferare in maniera diversa rispetto a quanto previsto
nei patti, ma la disposizione si riferisce esclusivamente alla materia concordataria. Ci si chiede se gli articoli
sette ed otto contengano riferimenti in comune tali da equiparare su un piano eguale tutte le confessioni
religiose. Il fatto che le disposizioni riguardanti la Chiesa cattolica e le altre confessioni religiose siano
diverse non è di poco rilievo, così come non è di poco rilievo il fatto che lo strumento concordatario sia uno
strumento di diritto internazionale mentre le intese siano un atto di diritto interno. In base all'articolo otto
primo comma della costituzione tutte le confessioni religiose sono egualmente libere dinanzi alla legge,
compresa quella cattolica. Quindi ne dovrebbe conseguire una sostanziale eguaglianza tra le diverse
confessioni. Al secondo comma dello stesso articolo però si sancisce che le confessioni religiose diverse da
quella cattolica si organizzano secondo statuti propri che non contrastino con l'ordinamento giuridico. Ne
consegue che mentre la Chiesa cattolica viene considerato un ordinamento giuridico primario, le altre
confessioni religiose sono considerate ordinamenti giuridici derivati, termine improprio perché una
confessione religiosa non deriva dallo stato ma deriva dalla volontà dei suoi componenti e di conseguenza
dovrebbe essere trattata alla stregua di un'associazione di diritto interno a cui l'ordinamento attribuisce
particolari diritti. Tuttavia ancora oggi non c'è una sostanziale eguaglianza tra la confessione cattolica e le
altre confessioni religiose sul piano giuridico. A ciò va aggiunto il fatto che fino all'accordo del 18 febbraio
del 1984 modificativo del concordato, le altre confessioni religiose non hanno voluto sottoscrivere intese
per non legittimare lo strumento concordatario e perché si sentivano più libere nel diritto comune. Oggi
con la moltiplicazione della sottoscrizione delle intese va riformato l'articolo otto ,poiché si pongono
problemi che prima non sussistevano. Si pensi ad esempio ad una nuova definizione di confessione
religiosa, quale è la fonte della legge di esecuzione delle intese, se va abrogata la legge 1159 del 29 sui culti
ammessi, eccetera. L'articolo 19 della costituzione è importante poiché riconosce la libertà di religione che
si manifesta attraverso la sua professione, propaganda e l'esercizio del culto nel pubblico e nel privato.
Tuttavia tale norma non è in grado di comprendere tutte le forme di manifestazione religiosa. Un unico
limite è dato dalla non contrarietà delle forme di manifestazione religiosa al buon costume. Il diritto
affermato dall'articolo 19 è un diritto pubblico di natura soggettiva e come tale tutelato da parte dello
Stato. Ma bisogna ricordare che la tutela della libertà religiosa avviene soprattutto in forma individuale,
essendo possibile il singolo sia coartato anche dal suo stesso gruppo religioso. Quindi sarebbe utile
rinvenire una nuova definizione del principio di libertà religiosa. L'articolo 20 della costituzione sancisce che
il carattere ecclesiastico o il fine religioso o di culto non possono essere causa di limitazioni legislative, ne
causa di imposizioni fiscali per la loro costituzione , attività o capacità giuridica. Questa norma tende ad
impedire che si realizzi nuovamente una legislazione anche ecclesiastica o al contrario si realizzi una
legislazione favoritiva, quest'ultimo pericolo evitato grazie al riconoscimento degli enti ecclesiastici da parte
del diritto comune.

3. Il regime giuridico delle confessioni religiose diverse dalla cattolica.

La tradizione legislativa in materia di confessioni religiose diverse da quella cattolica era limitata, all'epoca
della legge 1159 del 1929, alla confessione valdese, israelita e ortodossa. A differenza della Spagna, l'Italia
non aveva un registro con un elenco delle confessioni religiose ma quest'ultime si deducevano da una serie
di elementi sanciti dall'articolo otto della costituzione tra cui uno statuto, un'organizzazione interna, dei
rappresentanti esterni con cui rapportarsi e da altri elementi come l'immedesimazione nella tradizione
legislativa e culturale italiana ed una struttura tipica di un ordinamento giuridico derivato che non contrasti
con i valori dell'ordinamento giuridico italiano. è sempre lo Stato a determinare se esiste una confessione
religiosa, se ci sono i presupposti di legge per instaurare un rapporto giuridico con tale confessione, se si
tratta di una confessione o di un semplice movimento religioso, eccetera. Tutto ciò implica una valutazione
anche dal punto di vista del contenuto ideologico della confessione poiché è necessario che tali contenuti
non contrastino con i valori dell'ordinamento giuridico italiano. Le confessioni devono vivere in un
ordinamento giuridico che le qualifica e gli riconosce l'attività normativa, cioè i diritti confessionali. Non
tutti gruppi religiosi che hanno i requisiti richiesti dalla legge, sono qualificati come confessioni religiose
dallo Stato e non con tutti i quest'ultimo stipula delle intese. Oggi sarebbe opportuno passare dalla legge
1159 del 1929 ad una nuova legge che guarda ad un panorama religioso in maniera aggiornata ed uniforme,
dato che l'ordinamento italiano ha rifiutato la stipulazione di molteplici imprese. Sarebbe opportuno quindi
passare da una legislazione bilaterale a quella unilaterale. Ovviamente non si può comprendere le diverse
confessioni religiose se non si parte da un breve excursus sulle confessioni religiose più importanti in Italia,
cioè quelle valdesi, israelite e ortodossa e se non si esamina la legge del 1929 e le 12 intese stipulate con le
confessioni religiose diverse da quella cattolica. La prima intesa di durata nel 1984 con il valdesi. All'articolo
uno la Repubblica riconosce autonomia e indipendenza all’ ordinamento dei valdesi e si riconosce
all'articolo due la nomina dei ministri di culto, la giurisdizione e l'organizzazione ecclesiastica ed il diritto a
emettere provvedimenti in materia spirituale o disciplinare senza alcuna ingerenza da parte dello Stato. Si
estingue, su richiesta della tavola valdese, dal bilancio dello Stato italiano l'assegno di mantenimento
dovuto a tale ordine. All'articolo quattro si riconosce la tutela penale attraverso la protezione dei diritti e
delle libertà fondamentali garantiti dalla costituzione e non la tutela penale specifica del sentimento
religioso. È garantito il diritto di servizio militare ai valdesi e le forme di assistenza spirituale. Gli oneri
derivanti dall'assistenza spirituale sono a carico degli organi ecclesiastici competenti, compresa l'assistenza
negli ospedali, nelle case di cura e pensionati e negli istituti penitenziari. Singolare è la rinuncia dei valdesi
all'insegnamento di pratiche di culto, catechesi e dottrine religiose nelle scuole pubbliche statali, a meno
che gli studenti, le loro famiglie ne facciano specifica richiesta. È concesso il diritto di rinunziare alle lezioni
dell'insegnamento di religione cattolica nella scuola pubblica. Si riconoscono effetti civili ai matrimoni
stipulati dagli organi ecclesiastici valdesi, a condizione che l'atto sia iscritto nel registro dello Stato civile e
previa pubblicazione presso la casa comunale. È riconosciuta la personalità giuridica degli enti ecclesiastici
che operano a fini di beneficenza, di culto e di istruzione su richiesta della tavola valdese che rilascia la
delibera sinodale motivata per il riconoscimento e l'erezione dell'ente ecclesiastico in istituto autonomo. Si
riconoscono le lauree e diplomi in teologia, la facoltà di rinvio del servizio militare per il valdesi ed un
principio di collaborazione per la valorizzazione e la tutela dei beni culturali. Si consente la deduzione di 2
milioni di lire ai fini Irpef per il contributo volontario all'ordine dei valdesi, ripartendo l'8 * 1000. Un lungo
preambolo precede anche l'intesa con l’ unione delle chiese avventiste italiane. In tale intesa sono sanciti i
principi della costituzione,convenzione europea diritti umani,dichiarazione universale dei diritti dell’uomo.
nel preambolo si riconosce il diritto di rinunzia all’ insegnamento nelle scuole pubbliche statali. si riconosce
il diritto degli avventisti a svolgere,su loro richiesta,il servizio civile in luogo di quello militare. disposizioni
simile a quelle dei valdesi riguardano l’assistenza spirituale negli ospedali,penitenziari e case di cura;il
diritto di non avvalersi degli insegnamenti delle altre confessioni religiose;di istituire scuole paritarie. gli
edifici di culto non possono essere espropriati,demoliti e requisiti se non per ragioni gravi e con l’accordo
della chiesa avventista. è riconosciuto il diritto di festa il sabato nelle scuole e di non sostenere prove di
esame quel giorno. è riconosciuta la deduzione di 2 milioni ai fini irpef e la ripartizione dell’ 8 *1000.si
riconosce il diritto di concedere lauree e diplomi in teologia e cultura biblica da parte dell’istituto avventista
di cultura biblica. Di analogo contenuto all'intesa e al preambolo dell'unione delle chiese avventiste, è
l'intesa con le assemblee di Dio fatta eccezione per il riconoscimento degli enti aventi fini di culto i cui
statuti devono essere depositati presso il Ministero dell'Interno e che debbono iscriversi agli effetti civili nel
registro delle persone giuridiche entro 12 mesi dall'entrata in vigore della presente legge numero 517 del
1988. Per quanto riguarda l'intesa con l'unione delle comunità ebraiche italiane, viene garantita la libertà
sancita nelle disposizioni costituzionali; viene garantita la tutela penale del sentimento religioso; vengono
riconosciute le festività ebraiche, il diritto alla macellazione, il diritto di giuramento a capo scoperto, il
riposo sabbatico. si riconoscono le forme di assistenza spirituale alle forze armate, negli ospedali, nelle case
di cura e nei penitenziari. Si riconosce il diritto a non avvalersi dell'insegnamento delle altre religioni e il
diritto ad istituire scuole di ogni ordine e grado ed il diritto a concedere lauree e diplomi in cultura ebraica.
Gli edifici di culto ebraici non possono essere requisiti, espropriati e demoliti se non previa accordo con la
comunità ebraica. La forza pubblica non può fare irruzione in tali edifici a meno che non ricorrano gravi
ragioni e vi sia l'accordo con la comunità ebraica. Si tutela il patrimonio ecclesiastico di tale comunità. Si
determinano le funzioni, la possibilità di costituire nuove comunità ebraiche. Si riconosce la personalità
giuridica agli enti ecclesiastici ebraici che debbono iscriversi nel registro delle persone giuridiche entro due
anni dall'entrata in vigore della legge numero 101 del 1989. c'è l’ equiparazione a fini tributari tra fine
religioso e di culto con il fine di beneficenza o assistenza. Gli ebrei possono dedurre dal loro contributo al
mantenimento e sostentamento dell'unione delle comunità ebraiche fino al 10% del loro reddito e fino ad
un massimo di 7 milioni e mezzo di lire. Quest'accordo è stato riveduto 10 anni dopo. Importante anche
l'intesa con la Chiesa evangelica battista e la Chiesa evangelica luterana il 29 marzo e il 20 aprile del 1993. I
battisti hanno come principi cardine: il battesimo dei credenti è la loro parità nella responsabilità dinanzi a
Dio; il valore autonomo della Chiesa evangelica; la non ingerenza tra Stato e Chiesa. Altri principi sono
quelli del sostentamento mediante contributi volontari della Chiesa evangelica battista e la non necessità
della tutela penale di questo sentimento religioso. Per il resto l'intesa ricalca la stessa stipulata con la
Chiesa evangelica luterana.
4. La laicità dello Stato.

Il problema della qualificazione religiosa dello Stato ha notevole rilevanza poichè dalla scelta della opzione
religiosa dipendono una serie di conseguenze legislative. La nostra costituzione, pur non facendo espresso
riferimento al principio di laicità, può ritenersi una costituzione laica, laicità sancita dalla sentenza della
corte costituzionale numero 203 del 1989. Ciò anche in virtù del fatto che l'articolo uno dello statuto
Albertino, che riconosceva la religione cattolica apostolica romana come unica religione di Stato, è stato
abrogato ed inoltre l'articolo uno del protocollo aggiuntivo al concordato modificato nell'accordo del 1984
non ha ribadito tale preminenza della religione cattolica. A questo punto il problema della laicità
sembrerebbe risolto sia livello giurisprudenziale, sia a livello legislativo che a livello di coscienza comune.
Ma i continui attacchi alla laicità dello Stato ci fanno pensare che non è così. Ci si chiede perché il principio
della laicità non è oggi ancora totalmente affermato. Innanzitutto bisogna dire che il principio di laicità
deriva dall'illuminismo che combatteva all'antico regime il quale affidava alla Chiesa un ruolo rilevante dal
punto di vista politico perché la Chiesa era funzionale alla legittimazione dell'antico regime che si fondava
sul diritto divino. Ovviamente stiamo parlando dello stato assoluto. Il principio di laicità si è affermato nello
Stato hegeliano dove tutti i consociati dello Stato dovevano essere rappresentati e lo Stato stesso non
poteva rappresentare solo una parte di loro per motivi religiosi. Lo Stato laico per eccellenza è lo Stato
liberale, caratterizzato da una legislazione anticlericale e di stampo unilaterale. Lo Stato laico rifiuta lo
strumento concordatario e la differenziazione di tutela delle diverse confessioni religiose. È questo un altro
motivo per cui il nostro Stato non è ancora totalmente laico che può essere garantito solo se lo Stato si
pone su una posizione di imparzialità. Si pensi ad esempio al fatto che l'autorità ecclesiastiche cattoliche
sono considerate autorità di Stato e della Chiesa cattolica, il fatto che parroci siano considerati nel
matrimonio canonico ufficiali di stato civile, il fatto che lo strumento concordatario stato riconfermato, il
fatto che ci siano nei tribunali e nelle scuole segni religiosi riconducibili alla Chiesa cattolica, eccetera. Il
principio di laicità quindi è un principio di tipo convenzionale e utile ma ancora non totalmente affermato. Il
diritto ecclesiastico, scienza laica, deve trarre la sua massima forza espansiva proprio dal principio di laicità,
in modo che una confessione religiosa non possa prevalere sulle altre.

5. Fattore religioso e tutela degli interessi religiosi dei cittadini.

Vi è un ambito dei rapporti in cui lo Stato tutela l'interesse religioso dei suoi consociati e tale ambito
riguarda non solo i singoli ma anche le organizzazioni di tendenza, in particolare enti di beneficenza e
assistenza dove i singoli fanno valere le loro istanze religiose che necessitano di una tutela. Bisogna
chiedersi che cosa si intende per interesse religioso, cioè se si riferisca ad un semplice interesse oppure ad
un diritto soggettivo oppure ad un diritto potestativo, cioè un diritto che incide sulla potestà altrui. Il diritto
serve non solo a tutelare gli interessi ma anche a dirimere i conflitti tra gli stessi stabilendo il limite di un
interesse rispetto all'altro e la loro strumentalità rispetto all'interesse superiore della comunità statale. Per
fare questo lo Stato deve riferirsi ai principi generali costituzionali, tra cui quelli riguardanti il fattore
religioso che non è univoco ma va contemperato con gli altri principi. Gli interessi vanno tutelati nell'ambito
della libertà religiosa e non in contrasto con questa. L'aggettivo religioso, unito al sostantivo interesse,
delinea dati metafisici e metagiuridici che a volte esulano dal campo giuridico. Di conseguenza lo Stato può
tutelare una parte degli interessi religiosi, cioè quelli che si rapportano alla vita degli altri, ma non tutti gli
interessi. Tali interessi sono tutelati sul piano individuale e sul piano degli interessi diffusi, cioè di interessi
appartenenti ad una determinata pluralità di soggetti più o meno determinata. Ad esempio viene tutelato il
diritto a costituirsi parte civile del singolo fedele che contesta la rimozione da parte di un vescovo di un
parroco senza alcuna motivazione dalla sua chiesa. Accanto agli interessi dei singoli fedeli quindi sono
tutelati anche interessi del gruppo confessionale anche perché non è detto che tali interessi coincidano, ad
esempio può verificarsi che il soggetto sia discriminato all'interno del suo gruppo confessionale. La funzione
del diritto ecclesiastico quindi riguarda tutto il fattore religioso. La religiosità concerne anche i rapporti
interpersonali. Essa è una concezione non immanente della vita.

6. La libertà religiosa.

La libertà religiosa viene intesa da JELLINEK E KELSEN come un diritto soggettivo pubblico che lo Stato deve
tutelare e garantire ed tale diritto è limitato dalle libertà altrui. La libertà giuridica, secondo JELLINEK, si
manifesta attraverso la volontà di essere d'accordo o meno con una norma etica senza subirne le
conseguenze giuridiche. La libertà giuridica è senza vincoli. La tutela dei diritti di libertà non è unitaria,
altrimenti il diritto soggettivo verrebbe ad identificarsi con tutto ciò che è lecito. Mentre il diritto di libertà
è qualcosa in più di un comportamento lecito, precisamente è il potere di protezione di un interesse.
Tuttavia tale diritto di libertà trova un limite nelle libertà altrui, cioè viene contemperato con la libertà
altrui e di conseguenza non è un diritto assoluto ma relativo. Queste considerazioni inducono a ritenere la
libertà religiosa in valore etico politico, storico, religioso e relativo. Anche che kelsen riteneva che la libertà
non fosse un concetto giuridico. Quindi, in definitiva, la libertà religiosa costituisce un diritto autonomo e
non unitario, relativo e non assoluto, pubblico ma anche privato, positivo e non negativo. Tuttavia tale
concezione non teneva conto delle manifestazioni religiose interne, cioè ignorava la libertà religiosa intesa
come valore, come principio. Quindi successivamente la libertà religiosa è stata ritenuta come un diritto
autonomo e non unitario, poiché la libertà è una sola ma sono autonomi i singoli diritti; è un diritto positivo
e non negativo, cioè lo Stato non si astiene solo da interventi nella sfera religiosa del soggetto ma provvede
ad attuare positivamente quella libertà religiosa; la libertà religiosa è un diritto relativo e non assoluto
perché va contemperato con le altre libertà ed infine è un diritto non per forza pubblico ma può essere
anche privato poiché la tutela del bene stesso non avviene per forza da parte dello Stato ma può avvenire
anche da parte di altri consociati e il bene stesso da tutelare può essere un bene non pubblico. Ci si chiede
oggi se questo diritto di libertà religiosa è stato attuato. Oggi ci sono differenti previsioni normative in capo
alle singole legislazioni. Le differenti previsioni normative hanno portato ad un mutamento dell'oggetto
della libertà religiosa. Si lega la libertà religiosa al principio di doverosità e legge morale e se ne sottolinea la
dimensione privata, attribuendo alcune facoltà all’individuo che sono riconosciute dalla costituzione. Si è
fatto riferimento ai contributi derivanti dalle diverse confessioni religiose, alla tutela della libertà religiosa
non nei singoli paesi ma per macro aree del mondo e si è cercato di capire in quale direzione va la libertà.
Ad esempio questione più di libertà religiosa e di laicità quella attinente all'uso del velo nei paesi non
islamici oppure alla presenza di simboli come crocifissi nelle aule scolastiche pubbliche e nei tribunali. Il
progetto di legge della libertà religiosa, giacente da ben 11 anni in Parlamento, non porterebbe ad alcun
contributo ad una diversa configurazione della libertà religiosa.


                                         Capitolo tre
               Le fonti del diritto ecclesiastico
1. Principi generali.

Per esaminare le fonti del diritto ecclesiastico, bisogna necessariamente far riferimento allo sviluppo
legislativo unilaterale, bilaterale e concordatario ed alle disposizioni costituzionali già precedentemente
richiamate. Il richiamo alle fonti si ha nell’articolo uno delle disposizioni generali sulle preleggi del codice
civile. Secondo D’ AVACK e secondo noi, è da condividere l'opinione secondo cui le norme di diritto
ecclesiastico seguono la stessa sorte delle altre norme di legge dell'ordinamento giuridico italiano e da
condividere è anche l'assunto secondo cui lo Stato costituisce esclusivamente l'unica fonte materiale di
tutti poteri, compreso quello legislativo. Con quest'ultimo assunto si è evitata una polemica riguardante la
vigenza delle norme preconcordatarie. Infatti si è ritenuto che tali norme del diritto ecclesiastico stipulate
prima del concordato del 29 rimangano vigenti dopo l'entrata in vigore del concordato stesso a meno che
non siano state esplicitamente o implicitamente abrogate, oppure contengano disposizioni contrastanti con
il concordato stesso oppure regolano una materia già interamente regolata ex novo dai patti lateranensi o
dal concordato. Altrimenti le norme preconcordatarie di diritto ecclesiastico continuano ad essere vigenti
ancora oggi. In questo modo si separa il diritto ecclesiastico dal diritto concordatario, quest'ultimo
essenzialmente bilaterale, e non si mortifica la legislazione unilaterale dello Stato. È da condividere
l'opinione di D’AVACK secondo cui le disposizioni sulle fonti contenute nelle preleggi del codice civile mal si
adeguano ad una costituzione rigida e sarebbe meglio ricomprendere le fonti nell'ambito costituzionale. Se
gli ecclesiastici distinguono tra fonti unilaterali, sia confessionali che pattizie, e fonti bilaterali, bisogna
distinguere le fonti anche in base alle loro gerarchie e competenze. Le gerarchie possono essere: strutturali,
se un potere normativo trae la propria fonte da un altro; formali, se le relazioni istitutive tra le fonti sono
stabilite dalle fonti stesse; logiche, se non sono istituite dal diritto ma si basano sulla struttura del
linguaggio delle fonti; ed infine assiologiche, se le relazioni tra le fonti si basano su valutazioni
interpretative. Le gerarchie delle fonti logiche e assiologiche non comportano però uno stravolgimento dei
principi su cui si basa il nostro ordinamento giuridico. In particolare si conferma che le fonti sono
gerarchicamente ordinate, cioè le leggi prevalgono sui regolamenti e le leggi e i regolamenti prevalgono
sugli usi. Che è solo lo Stato ad attribuire rilevanza alle fonti esterne tramite il rinvio materiale o formale o
mediante l'esecuzione di impegni assunti sul piano del diritto esterno. Infine si conferma che è solo lo Stato
ad attribuire agli atti o fatti aventi forza di legge il grado gerarchico nelle fonti. Non si stravolgono principi
come quello secondo cui il nostro ordinamento non è un ordinamento consuetudinario o giurisprudenziale.
La rilevanza delle fonti esterne è possibile solo se vengono rispettate queste tre condizioni o meglio criteri
di collegamento:1. Le norme non devono contenere principi contrari all'ordinamento giuridico italiano;2. Le
norme devono avere contenuto specifico;3. L'ordinamento statale non abbia già previsto specifiche
disposizioni in materia. i criteri di collegamento sono del tutto pacifici nel diritto internazionale, dove vige il
principio di affettività, c'è il principio di collegamento tra la norma e la realtà. Ciò ovviamente non significa
che quando una norma non viene ottemperata, perché magari non aderente alla realtà oppure perché
contrasta con disposizioni nuove, ciò non vuol dire che la norma sia stata abrogata ma è un suggerimento al
legislatore affinché provveda ad una sua modifica. Nell'ambito del diritto interno, il principio di effettività
ha una minore rilevanza. Questo perché le norme sulle fonti sono soggette alla disciplina da esse stabilita e
quindi la gerarchia è meramente strumentale. Per quanto riguarda le sentenze di accoglimento della corte
costituzionale, bisogna dire che queste sono semplicemente sentenze che indicano che una determinata
norma non va applicata perché incompatibile con le altre norme dell'ordinamento. Quindi alla corte
costituzionale si attribuisce una funzione solamente negativa mentre una parte della dottrina attribuisce
alle sentenze di accoglimento della corte una funzione positiva, cioè una vera e propria funzione di fonte
del diritto con efficacia erga omnes capace di introdurre nuove norme dell'ordinamento giuridico. In realtà
sappiamo che non è così poiché al massimo le sentenze della corte possono essere chiarificatrici di come
interpretare una norma ma non possono introdurre nuove norme nell'ordinamento giuridico. Questo
perché la funzione legislativa ed esecutiva è un compito rimesso esclusivamente al Parlamento e al governo
e non alla corte costituzionale. A maggior ragione lo stesso discorso vale per le sentenze di rigetto o di
inammissibilità perché non introducono nessuna modifica ad una legge. La dottrina dovrebbe rifarsi ai
principi e alle leggi generali dell'ordinamento assumendo una funzione di controllo e non seguire
semplicemente l'andamento giurisprudenziale, altrimenti abdicherebbe al suo compito. Le sentenze della
corte costituiscono il frutto di una politica giurisprudenziale fondata sulla regola dello stare decisis ma non
costituiscono fonti del diritto in senso tecnico. Se così fosse, bisognerebbe rivoluzionare l'opinione
tradizionale secondo cui la giurisprudenza ha solo una funzione negativa dal punto di vista delle fonti del
diritto. La regola dello stare decisis, c'è la regola del precedente vincolante, vale solo negli ordinamenti di
Common law mentre negli ordinamenti di civil law, come quello italiano, tutt'al più una sentenza può avere
efficacia persuasiva.

2. Le fonti del diritto interno.

Le fonti del diritto ecclesiastico interno sono le leggi costituzionali, le norme costituzionali riguardanti il
fattore religioso, le leggi ordinarie, regolamenti e gli usi. La legge numero 810 del 1929 riguardante patti
lateranensi è stata ritenuta una legge ordinaria che può essere modificata da una legge ordinaria successiva
solo se c'è accordo tra essere stato e può essere modificata in via unilaterale solo se si attua il
procedimento di revisione costituzionale previsto dall'articolo 138 della costituzione. Questa
interpretazione è stata ritenuta conforme alla sentenza numero 30 del 1971 della corte costituzionale
secondo cui le norme concordatarie dei patti lateranensi possono essere sottoposte al giudizio di
compatibilità costituzionale con i principi supremi. L'articolo sette della costituzione non riguarderebbe solo
il concordato ma tutto regime pattizio tra Stato e Chiesa. Tale articolo impone un obbligo negativo, cioè
quello di non emanare norme contrarie ai patti lateranensi, è un obbligo positivo c'è quello di eseguire tali
patti. Quando la corte costituzionale con la sentenza numero 30 del 1971 ha sancito che le norme
concordatarie sono leggi rinforzate, cioè leggi che non possono essere abrogate o modificate da leggi
ordinarie ma che sono sottoposte a giudizio di costituzionalità in caso di contrasto con i principi
fondamentali della costituzione, la dottrina si è posto il problema di stabilire quali sono questi principi.
Ovviamente tra quelli fondamentali ricordiamo il principio di eguaglianza, di tutela giurisdizionale, di ordine
pubblico ma anche i diritti fondamentali e i diritti di libertà. L'articolo sette della costituzione ci dice che
non è possibile emanare una legge ordinaria contraria ai patti lateranensi senza l'accordo con la chiesa. Tale
articolo copre sostanzialmente il principio di bilateralità su cui si fonda il sistema pattizio. anche l'articolo
otto comma tre della costituzione sancisce che la legge del Parlamento stipulata sulla base di intese è una
legge rinforzata. Tuttavia si sono posti alcuni problemi relativi al dubbio sul fatto che lo Stato risultasse
vincolato all'impegno pattizio senza poter modificare la legislazione ecclesiastica e ulteriori dubbi sono
scaturiti dal fatto che le intese sono emanate con decreto del presidente della Repubblica, contribuendo a
confondere il sistema delle fonti del diritto ecclesiastico. Le intese costituiscono accordi di secondo grado,
al pari delle norme concordatarie, cioè accordi self-executing. Ciò a riprova dell'inadeguatezza oggi delle
norme concordatarie.

3. Le fonti di diritto esterno.

L'adesione dell'Italia alla comunità europea economica ha comportato una diversa relazione tra le fonti di
diritto interno e le fonti di diritto esterno. Tutto questo attraverso l'esaltazione del ruolo della
giurisprudenza e il trascurare il ruolo della dottrina. Alla domanda se i regolamenti comunitari sono
prevalenti rispetto alle norme costituzionali, la corte costituzionale ha sancito che l'adesione alla comunità
europea non comporta la prevalenza totale delle norme comunitarie che devono rispettare diritti
fondamentali e principi fondamentali della carta costituzionale, rispetto ai quali la legge di esecuzione del
trattato è sottoposta a sindacabilità costituzionale. A questo punto chi sostiene che lo Stato sia l'unica fonte
dovrebbe conciliare la sua posizione con chi sostiene, come la corte di giustizia europea, un pluralismo delle
fonti. Tale corte di giustizia europea ha sancito che le norme comunitarie sono prevalenti rispetto alle
norme di diritto interno, comprese quelle costituzionali; è l'obbligo del giudice di disapplicare le norme
interne in contrasto con la normativa comunitaria. La corte di giustizia europea ha dimenticato che la
sovranità spetta al popolo e non alla comunità europea; ha dimenticato che ci sono alcuni principi
fondamentali della costituzione intangibili e immodificabili; che l'atto comunitario non può fungere da
parametro ne può sostituire una legge interna; che le fonti di diritto sono disciplinate da parte dello Stato.
Ne deriva la conseguenza che le norme comunitarie hanno efficacia nello Stato se compatibili con i diritti
fondamentali, i diritti di libertà, i diritti inviolabili dell'uomo e i principi fondamentali delle carte
costituzionali di ciascun ordinamento. Chi sostiene il pluralismo delle fonti vuole codeterminazione di
quest'ultime e di conseguenza una attenuazione del principio di attribuzione esclusiva allo stato delle fonti.
Ovviamente tale codeterminazione non deriva dall'articolo sette comma uno della costituzione che sancisce
l'autolimitazione della sovranità dello Stato. In realtà non viene limitata alcuna sovranità dello Stato ma si
afferma semplicemente che Chiesa e Stato sono due ordini indipendenti e sovrani. Né tanto meno la laicità
dello Stato si sostanzia nell’autolimitazione di sovranità. Infatti uno Stato è laico perché non è influenzato
dalle confessioni religiose e si mantiene in una posizione di asetticità e imparzialità. È da condividere
l'opinione secondo cui l'autonomia confessionale è garantita dalla costituzione e il riconoscimento
dell'autonomia spetta non solo alla Chiesa cattolica ma ciò non significa che le norme che fanno riferimento
a tale autonomia o che costituiscono manifestazione di tale autonomia non sono sottoposte alle leggi
ordinarie. Gli ordinamenti confessionali sono ordinamenti giuridici derivati perché sono interni allo stato e
sono esterni a quest'ultimo solo nei rapporti tra Stati. Tuttavia ci sono anche ordinamenti confessionali,
come quello della Chiesa cattolica, che non sono derivati ma originari perché indipendenti e sovrani e
proprio per questo non c'è in questo caso una codeterminazione delle fonti. Se vogliamo ragionare dal
punto di vista realistico, l'ampliamento delle fonti non può derivare da interpretazioni giurisprudenziali o da
forzature esterne ma si può procedere a tale ampliamento solo attraverso la via legislativa, ciò vale
soprattutto nell'ambito del diritto ecclesiastico. L'articolo 117 della costituzione, dopo la riforma del titolo
quinto della costituzione, sancisce la legislazione esclusiva dello Stato nei rapporti tra esso e le confessioni
religiose. Le regioni hanno potestà legislativa esclusiva o concorrente in determinate questioni
ecclesiastiche, come ad esempio la valorizzazione e l'istituzione di beni culturali e ambientali. Bisogna dire
che le leggi regionali garantiscono la rimozione di ogni ostacolo alla parità tra uomo e donna nella vita
sociale, culturale economica.

4. Sistematica delle fonti. Possibili prospettive

La dottrina costituzionalistica sembra aver fatto venir meno il principio di tassatività delle fonti costruito su
un sistema lineare basato sulla fonte legislativa. La negazione di un'unica fonte legislativa e l'introduzione di
nuove fonti diverse dalla legge ordinaria, come ad esempio le leggi di delegificazione, ha comportato una
risistemazione dell'ordine delle fonti che deve riferirsi non più alla legge ma all'atto normativo nella sua
molteplicità di forme procedurali in cui può esplicarsi. Viene messa In crisi quindi l'idea del Crisafulli
secondo cui la gerarchia delle norme dipende dalla gerarchia delle fonti così come stabilita
dall'ordinamento, con la conseguenza che nessuna legge può modificarne un'altra e questa idea
determinava un venir meno dell'efficacia generale o forza tipica della fonte legislativa. Ne è una prova
l'approvazione delle leggi di esecuzione delle intese con confessioni religiose a cattoliche che hanno una
qualificazione diversa dalla legge ordinaria. Infatti nei rapporti tra legge sui culti ammessi e intese, il criterio
gerarchico non ha impedito l'applicazione del criterio cronologico. Si afferma l'idea secondo cui la gerarchia
delle fonti è foggiata dalla gerarchia dei significati normativi. Quindi ne scaturisce la conseguenza,
preceduta da una serie di premesse quali la non vincolatività delle intese dell'articolo otto della
costituzione, il rispetto del principio pacta sunt servanda, la mancanza di una soggettività internazionale
delle confessioni a cattoliche, che le intese servono ad attuare la libertà religiosa. Esaminando l'accordo del
1984 sul concordato, bisogna dire che questo è un accordo internazionale in forma semplificata e non un
accordo interno che richiama a moduli convenzionali dell'attività amministrativa. Si tratta di un accordo di
secondo grado, perché proveniente da due fonti distinte, perché dà luogo a due atti distinti anche se
collegati tra di loro e perché corrisponde a due distinte volontà dello Stato. Si tratta di un accordo
internazionale in forma semplificata dove le parti hanno rinviato a future intese o accordi volontariamente
per inserire o completare quelle clausole non ha avuto esecutive dello stesso accordo. Quindi si tratta di un
accordo in forma semplificata(perché non richiede una ratifica) e di secondo grado poiché l'obbligo
giuridico di rispettare l'accordo non deriva dall'incontro della volontà delle due parti ma dall'obbligo
stipulato precedentemente con l'accordo.


                                      Parte speciale
                                             I soggetti
                                        capitolo uno
                                 le persone fisiche
1. Soggettività, personalità e capacità.

Il concetto di soggettività, centro di imputazione di diritti e doveri a cui si ricollegano effetti giuridici, deriva
da un evento fenomenologico che è la nascita da cui deriva la capacità giuridica, cioè l'attitudine ad essere
titolari di diritti e doveri giuridici. La soggettività non coincide con la personalità giuridica che è attribuita
non solo alle persone fisiche ma anche alle persone giuridiche. La personalità giuridica individua l'ambito o
la sfera entro la quale si muove la capacità giuridica. Bisogna dire che diritti individuali non sono subito stati
riconosciuti dagli ordinamenti come diritti naturali ma c'è voluto molto tempo e una dura lotta tra
l'individuo e le autorità. I soggetti si rapportano non solo con altre persone ma anche con gli ordinamenti e
non è sempre detto che l'ordinamento tutela i diritti individuali del soggetto ma talvolta quest'ultimo si
deve difendere dagli attacchi dell'ordinamento stesso. Ciò è provato dalle molteplici definizioni di diritto
soggettivo nelle diverse epoche storiche. Nel diritto ecclesiastico la distinzione tra ecclesiastici, cui è
attribuita la pienezza dei diritti, e fedeli laici posti su un piano minore, ha comportato un ulteriore
complicazione del problema. Eccetto chi ha la residenza vaticana(Papa, cardinali residenti in Roma e altre
poche eccezioni), gli ecclesiastici che risiedono nel territorio italiano hanno la cittadinanza italiana e sono
soggetti alle leggi e all'ordinamento dello Stato italiano. Lo status di ecclesiastico è uno status particolare
ma non privilegiato che è attribuito dall'ordinamento confessionale e recepito dall'ordinamento statale
italiano. L'ecclesiastico quindi è sottoposto ad entrambi gli ordinamenti: l'uno coattivo e l'altro volontario.
Comunque sia il fedele laico che l'ecclesiastico non possono vedersi degradare i loro diritti soggettivi. In
questo capitolo facciamo riferimento ai diritti della persona. Tali diritti sono imprescrittibili, inalienabili,
assoluti, intrasmissibili e irrinunciabili e sono garantiti dalla costituzione, la quale si fa carico anche di
promuovere lo sviluppo di tali diritti della persona. A questi diritti si accompagnano i doveri della persona,
come ad esempio il dovere di prestazione patrimoniale o di difendere la patria. Sarebbe necessario che
tutte queste garanzie fossero attuate non solo sul piano formale ma anche sul piano pratico.
2. La condizione giuridica degli ecclesiastici.

L'appartenenza ad una confessione religiosa non è irrilevante per l'ordinamento italiano, poiché
quest'ultimo deve conoscere l'opzione religiosa dei propri cittadini fedeli che coattivamente appartengono
all'ordinamento statale e volontariamente all'ordinamento confessionale. Ad esempio per la Chiesa
cattolica, il popolo di Dio è costituito dai battezzati. Tuttavia è sempre l'ordinamento ad attribuire la
personalità e ciò è riconosciuto anche dal diritto canonico secondo cui, nel momento del battesimo, il
battezzato fa parte della società ecclesiastica ma non riceve una nuova personalità ma bensì la completa.
Infatti il diritto canonico riconosce diritti e doveri anche ai cosiddetti infedeli. Con l'accordo del 1984, a
differenza del concordato del 29, non si è sancita l'esclusione degli ecclesiastici dagli uffici di giurato, non si
è sancito l'obbligo di comunicare allo stato la nomina dei vescovi e non si è sancito il divieto di
appartenenza a partiti politici. L'unica norma che riguarda la condizione giuridica degli ecclesiastici
nell’accordo del 1984 riguarda l'articolo quattro. Tale articolo sancisce la facoltà degli ecclesiastici di essere
esonerati dal servizio militare e richiedere l'assegnazione al servizio civile. Inoltre è sancita la possibilità di
non comunicare ai magistrati informazioni di reato acquisite mediante l'esercizio del proprio ufficio o
professione. Si tratta in questo caso di facoltà e non di obblighi come previsto dal concordato del 29. Inoltre
si dà la possibilità agli studenti di teologia e ai novizi degli istituti di vita consacrata di usufruire dei rinvii del
servizio militare cui usufruiscono gli studenti universitari italiani. È prevista la possibilità, che in caso di
mobilitazione generale, gli ecclesiastici possano, nel caso in cui non siano assegnati alle cure d'anime,
esercitare il loro ministero religioso nelle truppe o nel servizio sanitario. Non è sancito nell'accordo
dell'ottantaquattro l’esenzione degli ecclesiastici dagli uffici di giudice popolare. Gli ecclesiastici, negli
edifici di culto, possono effettuare collette al loro interno. Nel caso di calamità pubbliche, di malattie
contagiose, i ministri di culto possono ricevere testamento in presenza almeno di due persone con l'età di
16 anni. L'illecito religioso commesso da un religioso con il consenso dei suoi superiori comporta che anche
i superiori stessi e l'ente committente rispondano di tale illecito. I ministri di culto possono essere soggetti
attivi o passivi di un reato. L'aver commesso il fatto con abuso di potere o la violazione del proprio dovere
d'ufficio costituisce un'aggravante e la pena è aumentata di un terzo. Così come costituisce un'aggravante
d'aver commesso il reato contro un ministro di culto o contro un culto ammesso nello stato. L'articolo 406
del codice penale, poi dichiarato incostituzionale, diminuiva la pena nel caso di commissione dei reati di
vilipendio al culto religioso nei confronti di persone o cose o del reato di turbamento delle funzioni religiose
durante un culto(articoli 403,404 e 405 c.p.) se il culto era ammesso nello stato. abolito sostanzialmente
l'articolo 402 che prevedeva il reato di vilipendio contro la religione di Stato( abolito perché non c'è +1
religione di Stato), l'articolo 403 e 404 del codice penale prevedono che il reato di vilipendio possa essere
commesso contro persone fisiche o mediante danneggiamento di cose. L'articolo 404 primo comma del
codice penale è stato abrogato nella parte in cui prevedeva la reclusione da uno a tre anni e non la
diminuzione della pena prevista dall'articolo 403 al primo al secondo comma per la disparità di trattamento
tra confessione cattolica e le altre confessioni. La legge numero ottantacinque del 2006 ha abrogato
l'articolo 406 del codice penale e ha modificato l'articolo 403 e 404 del codice penale che riguardano i reati
di vilipendio contro le persone fisiche o mediante danneggiamento di cose. L'articolo 405 del codice
sancisce il reato di turbamento delle funzioni religiose che si concretizza mediante il disturbo durante
pratiche religiose o cerimonie che si compiono con l'assistenza di un ministro di culto in un luogo destinato
al culto o in un luogo pubblico o privato. Per quanto riguarda l'articolo due del protocollo modificativo
dell'accordo del 1984 sancisce della Repubblica italiana comunica alle autorità ecclesiastiche competenti
per territorio i procedimenti penali iniziati nei confronti di persone ecclesiastiche. Per quanto riguarda i
delitti contro la pietà dei defunti, è punita con la reclusione da uno a cinque anni la violazione del Santo
sepolcro. È punita con la reclusione da sei mesi a tre anni il vilipendio di tombe o cose di culto destinate ai
defunti. Il turbamento di un servizio funebre o funerale è punito con la reclusione fino ad un anno. La
distruzione, l'uso illegittimo, l'occultamento di cadavere è punito in vari modi. La bestemmia è punita con
una contravvenzione dall'articolo 724 del codice penale ed è intesa come un'offesa ai simboli, alle divinità e
alle persone venerate di quel culto religioso. Importanti sono anche le disposizioni del trattato lateranense.
Tra queste ricordiamo l'articolo otto che, in base all'articolo uno del trattato che considera il pontefice
persona sacra ed inviolabile, sancisce che l'attentato o la provocazione a commetterlo contro il pontefice è
punito con le stesse pene previste per l'attentato o la provocazione a commetterlo contro il presidente
della Repubblica. lo stesso vale per le offese e le ingiurie. Articolo 22 del trattato prevede che lo Stato
italiano provveda alla punizione di quei delitti commessi nella città del Vaticano, meno che il soggetto
imputato non dichiari di voler rifugiarsi nello Stato italiano e quindi sarà sottoposto inevitabilmente alle
leggi italiane. Tale articolo prevede anche che la Santa sede consegna allo Stato italiano coloro che hanno
commesso delitti che violano le leggi di entrambi gli Stati o abbiano commesso delitti nel territorio italiano
o negli immobili immuni da violazioni, a meno che i preposti agli immobili non dichiarino di ammettere gli
agenti italiani per l'arresto dell'imputato. Importante è anche l'articolo nove che sancisce la sottoposizione
alla sovranità della Santa sede di tutti i residenti nella città del Vaticano. L'articolo 23 del trattato
lateranense sancisce invece i provvedimenti dell'autorità ecclesiastica concernenti gli ecclesiastici o i
religiosi o riguardanti materie spirituali o disciplinari obbligano il giudice civile a dare efficacia a tali
provvedimenti. Il giudice civile non dichiarare il difetto di giurisdizione, poiché ciò sarebbe in contrasto con
l'articolo 24 della costituzione. L'ecclesiastico potrà rivolgersi al giudice civile solo se è stata violata una
norma procedimentale o se è stato violato un suo diritto di libertà fondamentale.

3. L'assistenza spirituale.

Gli ecclesiastici devono garantire l'assistenza spirituale ai loro fedeli, tra cui le forze armate, i detenuti e
coloro che sono in strutture ospedaliere. Il concordato del 29 garantiva all'assistenza spirituale solo alle
forze armate e non anche ai detenuti negli istituti penitenziari e nelle strutture sanitarie. Ciò è avvenuto
con l’articolo 11 dell'accordo modificativo del concordato nel 1984 con il quale si è sancita l'estensione,
oltre alle forze armate, anche alle categorie sopra indicate. La nuova norma, articolo 11, coniuga l'esercizio
della libertà religiosa all'assistenza spirituale e tale assistenza è garantita dagli ecclesiastici nominati dall’
autorità civile su designazione dell'autorità ecclesiastica secondo le modalità e l'organico previsto. Con il
decreto legislativo 1022 del 1915 si sono istituiti i cappellani militari in numero non determinato ai quali era
preposto un vescovo; con la legge numero 417 del 1926 si è sancito il ruolo stabile dei cappellani militari;
con la legge numero 77 del 1936 è stato istituito il servizio nazionale di assistenza spirituale; con la legge
numero 522 del 1961 è stato sancito che i cappellani militari dipendono da autorità civili e ecclesiastiche. La
nomina dei sacerdoti a cappellani militari presuppone il godimento dei diritti civili e politici, instaurando
con lo stato un vero e proprio rapporto di pubblico impiego. Per quanto riguarda l'assistenza spirituale negli
istituti penitenziari, il regio decreto numero 260 del 1891 sanciva che la religione era tutto di recupero e di
conseguenza si arrivò al punto di negare la libertà religiosa, cioè coloro che non volevano seguire il culto
non potevano farlo. Ciò per quanto riguarda i cattolici mentre per coloro che appartenevano a confessioni a
cattoliche erano più liberi di non seguire il loro culto. Successivamente con la legge numero 354 del 1975,
sono venute meno tutte le disposizioni più impositive e viene sancita la totale libertà religiosa. Solo che
mentre per i cattolici vi era un servizio regolare e stabile per esercitare il loro culto, per coloro che
professavano le religioni non cattoliche l'esercizio del culto era garantito su richiesta e l'autorità doveva
provvedere a chiamare i ministri di culto di quella religione. Per quanto riguarda l'assistenza spirituale al
personale della polizia di Stato, la legge numero 92 del 1991 sanciva che i cappellani erano nominati con
decreto del ministro dell'interno, d'accordo con il presidente della conferenza episcopale italiana, su
designazione del vescovo. Non era però instaurato un rapporto di pubblico impiego. Successivamente con
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  • 1. Capitolo 1 il diritto ecclesiastico italiano 1. Definizione, contenuto e oggetto del diritto ecclesiastico italiano. Il diritto ecclesiastico è quel settore dell'ordinamento giuridico che concerne il fattore religioso e va distinto dal diritto canonico che concerne l'ordinamento giuridico della Chiesa cattolica. Il diritto ecclesiastico non è un corpo organico ma le sue norme si trovano in tutti i settori dell'ordinamento giuridico: dalla costituzione alle leggi ordinarie, nel codice civile, codice penale, codice di procedura penale, codice di procedura civile, diritto del lavoro, diritto commerciale, leggi amministrative e finanziarie, eccetera. Accanto a questa legislazione c’è un'altra formata da atti bilaterali costituiti da concordati con la Chiesa cattolica oppure da intese con le altre confessioni religiose. Le norme di questi atti non hanno efficacia nell'ordinamento giuridico italiano fino a quando gli atti non vengono eseguiti attraverso leggi di esecuzione, nel caso di concordato con la Chiesa cattolica e quindi con atti di diritto esterno, oppure attraverso leggi di approvazione, o atti di diritto interno, attraverso cui si sostanzia l’ impegno dello Stato a rispettare l'accordo. Ci si chiede in quali casi una norma può essere definita di diritto ecclesiastico ed in che cosa si sostanzia il fattore religioso. Bisogna qualificare tali aggettivi. L'aggettivo ecclesiastico implica un riferimento al sostantivo chiesa; l'aggettivo religioso, che caratterizza atteggiamenti prevalentemente personali, implica un riferimento alla visione non eterna del mondo, così ribaltando uno dei fondamenti su cui si fonda la norma giuridica, cioè la sua verifica sulla base dei principi generali della teoria del diritto che non sono passeggeri e sono materialmente individuati. L'indeterminatezza del fenomeno religioso che caratterizza le norme di diritto ecclesiastico, comporta come conseguenza che in tali norme sono essenziali i principi generali che possono portare a qualsiasi conseguenza. Tali norme quindi rappresentano dei casi limite all'interno del diritto fortemente strutturato. Ininfluente è la collocazione del diritto ecclesiastico nell'ambito pubblicistico o privatistico, proprio perché le sue norme si ritrovano in tutti i settori. Tuttavia può ritenersi che tale disciplina rientri nel diritto pubblico non perché le sue norme fondamentali hanno rilevanza costituzionale, ma perché le sue norme, sebbene siano leggi ordinarie, hanno una rilevanza fondamentale sul piano sociale per la loro natura e per il loro oggetto. Quindi la natura pubblicistica non deriva dalla fonte da cui scaturiscono le norme, ma deriva dall'oggetto e dal contenuto delle norme di diritto ecclesiastico. Ecclesiastico è tutto ciò che riguarda la vita e le attività delle chiese; religioso è tutto ciò che riguarda gli interessi dei gruppi confessionali e dei loro individui, sia quando questi ultimi siano fedeli del gruppo sia quando sono estranei ad esso. Lo Stato, proprio perché le norme di diritto ecclesiastico riguardano la sfera personale degli individui, è l'unico referente sia dei gruppi confessionali e dei singoli individui dal punto di vista di garantire tali norme. Ci si chiede quali siano i fattori che fanno sì che il diritto ecclesiastico abbia connotazione pubblicistica. Innanzitutto il primo fattore riguarda il fatto che tali norme per il loro oggetto e la loro natura debbono essere ricondotte nell'alveo del diritto pubblico. Il secondo fattore riguarda il fatto che una legislazione avente spesso connotazione costituzionale o di livello internazionale e spesso bilaterale, deve essere ricondotta nel diritto pubblico poiché la sua eventuale collocazione nel diritto privato non garantirebbe ai contraenti la libertà concessa come nel diritto pubblico. Il terzo fattore riguarda la politicizzazione dei rapporti tra Chiesa e Stato. Tuttavia la distinzione tra diritto pubblico e diritto privato sta divenendo sempre meno importante(si pensi ai vincoli posti sulla proprietà privata per motivi di pubblico interesse). Inoltre i soggetti, il patrimonio, il matrimonio, la proprietà nel
  • 2. diritto ecclesiastico sono attinenti al diritto comune. Quindi limitare strettamente nel diritto pubblico il diritto ecclesiastico, significherebbe alterare il soggetto e la sua tradizione. 2. Svolgimento legislativo dottrinale. Dalla legislazione unilaterale…… l'evoluzione del diritto ecclesiastico si distingue, per motivi pratici, in tre periodi. Il primo periodo è quello della legislazione unilaterale dello Stato di stampo giurisdizionalistico la cui espressione principale sono le leggi eversive e guarentigie. Il secondo periodo è caratterizzato dai patti lateranensi dove il rapporto tra la Chiesa e lo Stato viene visto come rapporto tra ordinamenti giuridici primari. Il terzo periodo coincide con l'avvento della costituzione repubblicana, che conferma i patti lateranensi, e con la modificazione dei patti lateranensi del 1929 attraverso un accordo nel 1984 e con la stipulazione di intese da parte dello Stato con confessioni diverse da quella cattolica. Subito dopo l'unificazione dell'Italia, la legislazione piemontese fu estesa a tutto il regno. Ciò comportò due effetti: il primo è l'abolizione di tutte le legislazioni dei singoli Stati vanificando così consuetudini e usi locali; il secondo effetto è l'affermazione della legislazione sardo piemontese che di quel particolarismo è il risultato. Importante fu lo statuto Albertino approvato con legge numero 647 del 1848. In tale statuto fu sancito all'articolo uno che la sola religione dello Stato è quella cattolica apostolica romana. Il re si promuove protettore di essa e garantisce l'osservanza delle leggi nelle materie che rientrano nella potestà di essa. La magistratura garantisce l'osservanza dell'accordo tra Stato e Chiesa e a tal fine continuerà ad esercitare la sua autorità e giurisdizione. Gli altri culti sono tollerati secondo i regolamenti e le consuetudini che li riguardano. Di poco antecedente allo statuto Albertino è la lettera ai valdesi con cui si conferma che essi possono godere dei diritti civili e politici, essere ammessi alle cariche militari e civili, frequentare scuole e università nel regno italiano ma nulla cambia riguardo all'esercizio del loro culto. Un'altra importante disposizione dello statuto Albertino è l'articolo 18 che sancisce che la potestà civile in materia beneficiaria e concernente tutte le provvisioni di qualsiasi natura è esercitata dal re, salvo le eccezioni previste dalla legge. L'importante è anche l'articolo 24 dove si sancisce che tutti cittadini del regno sono eguali dinanzi alla legge, godono di tutti i diritti civili e politici e possono essere ammessi alle cariche civili e militari. Importante anche è l'articolo 28 dove si sancisce che la stampa è libera ma una legge né reprimere gli abusi. Tuttavia le bibbie, le preghiere, i testi ecclesiastici, eccetera possono essere venduti solo con l'autorizzazione del vescovo. Importante anche l'articolo 33 dove si afferma che il re nomina dei senatori a vita, scelti tra diverse categorie tra cui quella dei vescovi, aventi almeno quarant'anni e in numero non limitato. Con la legge sineo numero 735 del 1848 viene sancito in un unico articolo che la differenza di culto non determina un'eccezione riguardo al godimento dei diritti politici e civili o alla ammissione alle cariche civili e militari. Con le leggi siccardi viene stabilita l'abolizione del foro ecclesiastico, dell'immunità ecclesiastica e del diritto d'asilo. Successivamente con un'altra legge viene stabilito che gli stabilimenti e i corpi morali possono acquistare stabili solo previa autorizzazione dopo aver sentito il parere del Consiglio di Stato. Il periodo liberale si completa con le leggi eversive e delle guarentigie. Con le prime si provvede alla soppressione degli enti ecclesiastici e alla liquidazione del patrimonio e dei beni ecclesiastici. Subito dopo l'unificazione dell'Italia, si impone la prima fase della questione romana (la seconda fase infatti va dal 1870 fino al 1929 dove terminerà) caratterizzata dall'abolizione del potere temporale del Papa che porrà il governo d'Italia in posizioni opposte rispetto a quelle della Chiesa. Verrà meno l'attività concordataria nella seconda metà del 19º secolo dove questa attività verrà considerata un'attività privilegiata. Prima dell'approvazione delle leggi guarentigie, ci sarà l'approvazione di una serie di leggi che adesso elencherò. La legge che prevedeva l'abolizione dei contributi ecclesiastici, dell'immunità ecclesiastica e delle decime. La legge che sancisce l'abolizione delle decime e la corresponsione di un assegno alla chiesa. La legge per la concessione ad enfiteusi perpetua redimibile dei bene fondi ecclesiastici in Sicilia. La legge che prevede l'affrancamento dai canoni enfiteutici e da qualsiasi prestazione dovuta ad un corpo morale o ente ecclesiastico. La legge che prevede la soppressione di tutte
  • 3. le corporazioni religiose, e cioè il regio decreto numero 3036 del 1866. Infine la legge che sancisce la soppressione di tutti gli enti ecclesiastici e la liquidazione dell'asse ecclesiastico. Infine nel 241 del 1871 la legislazione eversiva si completa con le leggi delle guarentigie emanate appunto con tale legge e con la legge che estende alla provincia di Roma le leggi sulle corporazioni religiose e sulla conversione dei beni immobili degli enti morali ecclesiastici. La legge delle guarentigie è distinta in due capitoli: il primo capitolo riguarda le prerogative del pontefice e della Santa sede; il secondo capitolo riguarda le relazioni tra Stato e Chiesa. All'articolo uno del primo capitolo si sancisce che il pontefice è persona sacra ed inviolabile. Qualsiasi attentato nei suoi confronti o la provocazione ad esso è punita con le stesse modalità e con le stesse pene previste nel caso di attentato al re. La discussione religiosa è ammessa liberamente. Il governo riconosce gli onori sovrani e le preminente al pontefice. È garantita la corresponsione di L. 3.225.000 come rendita annua dovuta alla Santa sede. Le ville e i palazzi, villa castel gandolfo e annessi come biblioteche, musei ,librerie sono inalienabili. Non è ammessa l'ingerenza della pubblica autorità. È garantita la piena libertà durante le vacanze del pontefice, le adunanze del conclave, e dei concili ecumenici. È garantita la libertà di partecipazione del pontefice e degli ecclesiastici nel momento di emanazione degli atti ministeriali della Santa sede. È concesso il diritto di legazione attivo e passivo. È concessa la facoltà di corrispondere liberamente con tutto il mondo cattolico. È vietata l'ingerenza della autorità scolastica nelle scuole, accademie, collegi e altri istituti ecclesiastici che dipendono dalla Santa sede. Il secondo capitolo riguarda i rapporti tra Stato e Chiesa. In tale capitolo si sancisce l'abolizione di ogni restrizione alla riunione dei membri ecclesiastici. Si aboliscono i vecchi privilegi giurisdizionalistico come gli iura maiestatica sacra,exequatur e placet regio, e si abolisce anche l'obbligo di giuramento al re da parte dei vescovi. Tuttavia il pontefice non accetterà mai le leggi delle guarentigie e romperà ogni rapporto con il governo italiano dichiarandosi prigioniero nei suoi palazzi. Le ragioni delle leggi guarentigie erano quelle di porre un freno alle pretese confessionali della Chiesa cattolica. Da questo momento il diritto ecclesiastico si caratterizzerà soprattutto per la sua laicità. Oggi notevoli settori hanno subito dei cambiamenti nel diritto ecclesiastico. Si pensi al settore matrimoniale dove è chiara la distinzione tra matrimonio religioso e matrimonio civile. Importante anche è la legge Crispi ancora in vigore anche se la corte costituzionale ha cancellato l'articolo uno sulle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza. Tale legge concerne le confraternite e le fabbricerie. I liberali distingueranno bene tra la posizione di cittadini e fedeli, dove primi obbedivano alle leggi del foro esterno mentre nulla cambiava per le credenze religiose nel foro interno. 3….. a quella Pattizia…… La Chiesa cattolica, dopo un primo periodo, tenta di riallacciare i rapporti con il governo al fine di ottenere la soluzione della questione romana e riottenere il territorio corrispondente alla cosiddetta città leonina. In questo tentativo la Chiesa allaccia rapporti con il fascismo ritenuto più affidabile rispetto ad altri partiti. Sebbene sul piano ideologico il fascismo non era concorde con la Chiesa, al regime fascista sarebbe stato utile ottenere il risultato di riportare la pace religiosa e dimostrare che Mussolini era riuscito a fare ciò che Cavour e i liberali non erano riusciti a compiere. La Chiesa, dall'altro lato, avrebbe ricevuto in cambio una personalità internazionale ed un proprio territorio su cui esercitare la propria giurisdizione e sovranità. Per questo furono stipulati l'11 febbraio del 1929 i patti lateranensi, costituiti da un trattato tra la Santa sede e lo Stato italiano + 4 allegati. Il primo allegato determinava il territorio della città del Vaticano; il secondo riconosceva gli immobili con privilegio di extraterritorialità e con esenzioni da espropriazioni e tributi; il terzo allegato riconosceva solo gli immobili con esenzioni da espropriazioni e tributi; il quarto allegato riguardava la convenzione finanziaria tra Stato e Chiesa cattolica con cui il primo si obbligava al versamento di 750 milioni di lire all'atto della ratifica e si obbligava a versare il 5% di 1 miliardo delle vecchie lire. Successivamente furono approvate le leggi numero 847 e 848 del 1929 che riguardavano rispettivamente la prima la parte relativa al matrimonio del trattato; e la seconda le disposizioni concernenti gli enti
  • 4. ecclesiastici e l'amministrazione civile dei patrimoni destinati a fini di culto. I patti lateranensi reintroducono lo strumento concordatario che sarà riconosciuto con la costituzione repubblicana del 48. Il fascismo ne ebbe notevoli vantaggi sul piano internazionale. Tuttavia si trattava di un accordo con reciproche strumentalizzazioni. Infatti PIO 11º criticò Mussolini affermando che i patti lateranensi erano intangibili ,e che se non fossero stati rispettate tutte le condizioni, il patto sarebbe stato sciolto. Successivamente il fascismo fu criticato nel 31 e nel 38 da azione cattolica riguardo alle leggi razziali e successivamente anche riguardo all'entrata in guerra. Dei patti lateranensi rimase in vita solo il trattato e non il concordato. Il trattato riprendeva alcune disposizioni dello statuto Albertino: si pensi alla disposizione che sanciva che la religione cattolica, apostolica e romana è l'unica religione dello Stato italiano. altre disposizioni che coincidevano con quelle dello statuto Albertino erano l'articolo 11 che sanciva la non ingerenza della pubblica autorità italiana nelle questioni degli enti ecclesiastici; con l'articolo 22 ci si impegnava a punire delitti commessi nella città del Vaticano in Italia, a meno che il soggetto non si fosse rifugiato ed in quest'ultimo caso si applicano le leggi italiane; l'articolo 23 sanciva l'esecuzione nel regno d'Italia delle sentenze emesse dai tribunali vaticani circa persone ecclesiastiche o concernenti materie disciplinari o spirituali. Il trattato all'articolo due riconosceva la sovranità della Santa sede; all'articolo tre si creava riconosceva la città del Vaticano e si assicurava che la forza pubblica non sarebbe intervenuta nella basilica e nella piazza di San Pietro a meno che non sia espressamente invitata; all'articolo quattro si sancisce la sovranità e la giurisdizione della Santa sede nel proprio territorio; all'articolo sei si stabilisce che l'Italia provvede alla fornitura alla Santa sede di tutti i servizi pubblici(acqua, ferrovie, eccetera.); all'articolo sette si fa divieto agli aeromobili di sorvolare la città del Vaticano. L'articolo otto riconosce il Papa come persona sacra e inviolabile; l'articolo nove stabilisce che ha la residenza vaticana chi risiede stabilmente nella città del Vaticano; l'articolo 10 sancisce che i dignitari della Chiesa e del personale della corte pontificia sono esenti dal servizio militare, dalla giuria e da qualsiasi altra prestazione nei confronti dello Stato italiano; all'articolo 12 si riconosce il diritto di legazione attiva e passiva alla Santa sede e si riconoscono le immunità diplomatiche agli agenti diplomatici inviati presso la Santa sede e a quelli facenti parte della Santa sede. All'articolo 20 si riconosce la possibilità agli agenti diplomatici inviati o della Santa sede stessa di transitare sul territorio italiano. L'articolo 17 ci dice che le retribuzioni dovute alla Santa sede o da qualche altro ente ecclesiastico centrale ai dignitari della Chiesa, impiegati o salariati è esente da qualsiasi tributo verso lo Stato italiano èd qualsiasi altro ente. L'articolo 21 riconosce che i cardinali sono accolti con gli onori dovuti ai principi di sangue. L'articolo 24 stabilisce la neutralità della città del Vaticano riguardo ai conflitti temporali tra i vari Stati a meno che non si voglia accogliere la missione di pace proposta dalla Santa sede. L'articolo 25 riconferma la convenzione finanziaria e l'articolo 26 determina la eliminazione della questione romana e il riconoscimento dello Stato italiano governato dai Savoia e con Roma capitale. Il concordato mutava anche il contenuto del diritto ecclesiastico italiano introducendo alcune disposizioni politiche come quella ad esempio dell'articolo cinque dove si vietava ai sacerdoti che avevano subito la censura di ottenere un pubblico impiego o di insegnare. Dopo aver stabilito norme in tema di status giuridico di persone fisiche ecclesiastiche, all'articolo nove si stabilisce nel concordato degli edifici di culto sono di regola esenti da requisizioni e perquisizioni. Si garantisce l'assistenza spirituale alle forze armate all'articolo 13-15; si riconoscono le festività voluta dalla Chiesa nello Stato italiano all'articolo 10; si riducono le circoscrizioni delle diocesi e delle parrocchie; la nomina degli arcivescovi e dei vescovi deve essere comunicata allo Stato italiano preventivamente; viene meno invece l'obbligo di giuramento del vescovo al re. Vengono aboliti gli assegni di congrua e sulla provvista dei benefici ecclesiastici, viene abolito l'exequatur et placet regio e si stabilisce che il regime giuridico degli istituti, santuari e basiliche spetta alle autorità ecclesiastiche. L'articolo 28 sancisce la condonazione per tutti coloro, che a seguito delle leggi eversive, si fossero trovati in possesso di beni ecclesiastici. In cambio lo Stato italiano si sarebbe impegnato ad adeguare la legislazione ecclesiastica alle direttive del concordato e del trattato. Infatti si stabilisce il
  • 5. regime tributario dei beni ecclesiastici è equiparato, a fini tributari, al regime di beneficenza e quindi esente da ogni tributo. Si riconosce la personalità giuridica e gli enti ecclesiastici e delle associazioni religiose e si riconosce il regime giuridico delle confraternite e delle fondazioni di culto. I controlli sulla gestione ordinaria straordinaria dei beni ecclesiastici spetta all'autorità ecclesiastica. Per quanto riguarda l'erezione ad associazioni religiose questa spetta al diritto canonico, mentre il riconoscimento di tali associazioni o enti ecclesiastici avverrà secondo le leggi civili da parte dello Stato. Dopo una breve discussione sulle catacombe all'articolo 33, l'articolo 34 sancisce che la giurisdizione matrimoniale spetta ai tribunali ecclesiastici così come si stabilisce che il matrimonio sacramentale produce anch'esso effetti civili, in deroga al principio del doppio binario che separava il matrimonio civile da quello religioso. Successivamente si riconoscono norme per garantire l'istruzione paritaria, l'insegnamento della religione nelle scuole, norme che stabiliscono che la nomina dei professori dell'Università cattolica è subordinata al nullaosta della Santa sede, norme che sanciscono il regime giuridico delle università e dei seminari è dipendente dall'autorità della Santa sede; le lauree in teologia e diplomi in paleografia, archivistica e diplomatica; si riconoscono le onoreficenze e i titoli nobiliari. All'articolo 43 si fa riferimento ai componenti di azione cattolica che non possono iscriversi a partiti politici. L'articolo 44 e 45 si fa riferimento alle leggi numero 847 e 848 del 1929 relative all'esecuzione del concordato sulla parte matrimoniale e sulla parte degli enti ecclesiastici. Il fatto che sia stata approvata la legge sugli enti e non quella matrimoniale è ingiustificato, poiché il legislatore è costretto a far riferimento ad una norma che dovrebbe essere abrogata( articolo 34 )perché il trattato non è più in vigore. Abrogata è anche la legge 1159 del 1929 che concerneva le disposizioni riguardanti l'esercizio dei culti ammessi nello Stato e il matrimonio celebrato davanti ai ministri di tali culti. Questa disposizione però è abrogata solo per le confessioni che abbiano stipulato un'intesa con lo Stato mentre non lo è per quelle che non abbiano stipulato una tale intesa. All'articolo uno tale legge stabilisce che l'esercizio dei culti è liberamente ammesso. All'articolo quattro si riconferma quanto detto nella legge sineo secondo cui la differenza di culto non comporta l'eccezione riguardo al godimento dei diritti politici e civili né riguardo all'ammissione alle cariche civili e militari. All'articolo cinque si stabilisce che la discussione religiosa è ammessa liberamente. Importante anche la disposizione che estende le leggi civili agli istituti a cattolici e che subordina alla nomina governativa i ministri di culto. L'ufficiale di stato civile, dopo aver accertato che sono state adempiute tutte le formalità e che si può procedere secondo le leggi civili, nomina il ministro di culto innanzi al quale deve svolgersi il matrimonio e la data da cui questa nomina a effetto. Per il resto, cioè celebrazione e trascrizione, si applicano le disposizioni previste per il matrimonio sacramentale. Si diffonde in questo periodo una cultura cattolica che intacca il principio della laicità dello Stato che aveva caratterizzato sino a quel momento il diritto ecclesiastico. 4……. Alla contrattazione bilaterale L’avvento della costituzione nel 48 comporta delle modifiche al diritto ecclesiastico essenziali. Importante è ricordare che il fattore religioso viene preso in considerazione singolarmente e in forma associata; i patti lateranensi vengono confermati nell'articolo sette comma uno della costituzione; i principi su cui si basa il diritto ecclesiastico sono quelli di eguaglianza e libertà; si ammette a livello costituzionale una contrattazione bilaterale sia con le confessioni cattoliche e con quelle acattoliche, le prime attraverso atti di diritto esterno da rendere esecutivi nel nostro ordinamento e le seconde con intese, cioè atti di diritto interno, presupposto della legge successiva di approvazione. Viene meno l'articolo uno stabilito nel codice Albertino secondo cui l'unica religione dello Stato e quella cattolica, apostolica romana ma manca anche una norma che sancisca la laicità dello Stato, anche se questa la si deduce da una serie di norme. Si pone in rilievo il problema di rendere le norme pattizie del diritto ecclesiastico compatibili con il sistema costituzionale vigente. A tal proposito nel 1968 venne costituita una commissione composta dal professor ago e jemolo e presieduta dall'onorevole gonella. Tale commissione aveva il limite di essere composta solo
  • 6. da rappresentanti dello Stato e infatti venne sostituita in seguito da una commissione mista composta da componenti del Vaticano e dello Stato. Il problema principale in questo iter venne rilievo era quello dell'abrogazione o revisione dello strumento concordatario. Gli abrogazionisti ritenevano che si doveva utilizzare oramai un mezzo differente per apportare la Chiesa lo Stato. I revisionisti ritenevano invece che tale strumento non avesse apportato numerosi danni e che le res mixtae dovevano essere regolamentate; inoltre essi ritenevano che l'attività concordataria era incrementata ed infine che il ritorno al diritto comune non sarebbe stato possibile in base alle disposizioni costituzionali dell'articolo sette ed otto della costituzione. Secondo il revisionisti bisognava revisionare il concordato e non tutti patti lateranensi. Ancora più conservatrice è la posizione del professor jemolo che sancisce che andavano abrogate solo le norme che contrastavano con la costituzione e bisognava conservare il concordato. In realtà abrogare totalmente lo strumento concordatario, significava rinunciare ad uno strumento importante per relazionare la Chiesa con gli altri Stati. Il concordato quindi viene riconosciuto come strumento di contrattazione bilaterale con cui la Chiesa scambiava rapporti,privilegi e favori con gli altri Stati dove le parti si impegnavano ad ottemperare agli obblighi assunti e tale concordato doveva essere eseguito sia all'interno dell'ordinamento statuale che all'interno di quello canonico. Alla fine non prevalse né la posizione abrogazionista né quella conservatrice di jemolo ma tutto ciò si tradusse nelle modificazioni stabilite con l'accordo del 18 febbraio del 1984. In questo accordo le norme concordatarie del trattato rimasero in vigore insieme agli altri patti lateranensi. Furono stipulate anche intese con confessioni diverse da quella cattolica(si pensi a quelle con l'unione delle comunità ebraiche italiane, con i buddisti, con i testimoni di Geova, con la Chiesa evangelica battista e con la Chiesa evangelica luterana). Prima tali confessioni, per non legittimare lo strumento concordatario e per non rinunciare al diritto comune, tendevano a non stipulare tali intese. Bisogna dire che la legge sull'esercizio del culto libero numero 1159 del 1929 rimane in vigore solamente per quelle confessioni che non abbiano stipulato un'intesa con lo Stato oppure non vogliano una tale intesa. Importanti modificazioni al diritto ecclesiastico verranno con la legge numero 151 del 1975, cioè la riforma del diritto di famiglia, con la legge numero 898 del 1970(legge sul divorzio) ed infine con lo sviluppo della successiva legislazione del diritto comune. 5. Autonomia didattica e scientifica del diritto ecclesiastico. Una volta determinata l'autonomia didattica del diritto ecclesiastico rispetto al diritto canonico, avvenuto a fine ottocento, si pone il problema dell'autonomia scientifica del diritto ecclesiastico, cioè se il diritto ecclesiastico può fondarsi solo su principi propri e non rapportarsi ad altre discipline giuridiche. Prima di tutto bisogna affermare il principio secondo cui la scienza giuridica è una ed il problema è relativo solo ad una ripartizione delle competenze(cioè ciò di cui si occupa il diritto ecclesiastico e che non fa parte di altre discipline giuridiche). Ci si chiede in particolare se al diritto ecclesiastico si applicano i criteri interpretativi comuni a tutte le discipline giuridiche oppure la specialità delle norme di tale materia comporti che esse siano poste su un piano particolare. In realtà il diritto ecclesiastico non si è sviluppato autonomamente ma è frutto del contributo di diverse discipline giuridiche e di conseguenza ad esso si applicano i principi generali e i criteri interpretativi del diritto comune a tutte le discipline giuridiche. Particolari problemi possono sorgere quando si tratta di fattispecie tipiche ed esclusive del diritto ecclesiastico che hanno una caratterizzazione storica oppure si tratta di norme non provenienti dallo Stato ma di derivazione confessionale a cui bisogna rinviare. In tali casi, non essendo possibile applicare rigidamente i criteri interpretativi statalistici, si applicano e vengono in rilievo i criteri interpretativi storico-evolutivi. L'autonomia scientifica deve essere intesa come specialità delle competenze di tale disciplina ma non nel senso che il diritto ecclesiastico possa fondarsi solo su principi propri senza rapportarsi ad altre discipline giuridiche. Anche se è vero che la scienza giuridica ecclesiastica è unica e la ripartizione delle competenze è effettuata solo a fini sistematici, dall'altro lato bisogna dire che solo il confronto con le diverse discipline
  • 7. giuridiche può determinare un miglioramento per il diritto ecclesiastico. Inoltre quest'ultima è una scienza statuale laica che va distinta dalle altre scienze sacre o confessionali e di conseguenza è necessario che questa scienza si riferisca all'ambito statuale e non ad altri ambiti. Inoltre bisogna tener conto dell'evoluzione dottrinale e giurisprudenziale del diritto ecclesiastico e quindi di conseguenza non è possibile prescindere da elementi sociologici, storici e politologici che hanno apportato notevoli contributi a tale scienza. Si pensi alla riforma del diritto di famiglia, la legge sul divorzio, alla revisione del concordato, ad interventi della corte costituzionale che provano come sia impossibile che il diritto ecclesiastico si riferisca solo a presupposti propri senza guardare e rapportarsi ad altre discipline giuridiche. Mentre lo studioso del diritto ecclesiastico non può prescindere dal conoscere altre discipline giuridiche, non accade in caso contrario: infatti la giurisprudenza civile si trova in notevole difficoltà quando deve trattare e affrontare temi come il mutamento religioso di uno dei due coniugi, l'educazione religiosa dei figli, la legislazione sull'affidamento minorile, eccetera. In definitiva l'autonomia scientifica non garantisce una migliore qualità del diritto ecclesiastico ma tale qualità migliora solo se ci si rapporta alle altre discipline giuridiche in modo da formare un ciclo legislativo unico. 6. Il diritto ecclesiastico e le scienze affini. Il diritto ecclesiastico si distingue da quello canonico, quest'ultimo riguarda l'ordinamento interno della Chiesa cattolica, anche se il primo è stato nel corso degli anni notevolmente influenzato dal secondo poiché il diritto canonico a un'evoluzione legislativa e dottrinale molto più lunga rispetto al diritto ecclesiastico che è una scienza relativamente recente. L’ utrumque ius riguardava sìa il diritto civile che il diritto canonico e di conseguenza anche fattispecie del diritto ecclesiastico potevano dedursi non solo dal diritto canonico ma anche dal diritto civile. I rapporti tra norme di diritto canonico e norme di diritto civile hanno influenzato non singole fattispecie ma interi settori della scienza giuridica, ponendo problemi metodologici. È necessario quindi esaminare l'evoluzione del diritto canonico per comprendere la nascita e l'evoluzione del diritto ecclesiastico. Ovviamente il diritto canonico non coincide con quello ecclesiastico ne coincidono le sue materie affini. Il diritto canonico fa riferimento alla vita giuridica della Chiesa cattolica partendo a ritroso dal codice di diritto canonico del 1917. Questa storia comprende circa 2000 anni dove si sono susseguiti testi come le decretali di Gregorio nono, le clementine, il liber extra, il decreto di Graziano, eccetera; un ambito vastissimo in cui sono ricomprese le norme di diritto ecclesiastico, che dopo la riforma protestante che aveva sancito la separazione tra diritto canonico e diritto ecclesiastico, sono state intese come quelle norme relative ai rapporti tra Stati. La relazione sistematica tra Stato e Chiesa può essere improntata ad una logica di unione o separatista. Nel primo caso, se prevalgono le posizioni ecclesiastiche, siamo in uno Stato teocratico; se prevalgono le posizioni dello Stato, siamo in uno stato giurisdizionale. Nel secondo caso chiesa e stato solo in un rapporto di reciproca esclusione, cioè ciascuno opera in un ambito che è separato dall'ambito dell'altro. Tuttavia una separazione assoluta è impossibile e di conseguenza le res mixtae vengono regolate attraverso dei concordati. Tuttavia queste classificazioni non sono idonee a ricomprendere tutte le relazioni tra podestà civile e podestà ecclesiastica per la varietà situazioni che si vengono a verificare nella realtà. Si pensi ad esempio ai concordati in stati separatisti oppure si pensi al gallicanesimo francese o al giuseppinismo austriaco, sistemi entrambi giurisdizionalisti, che avevano più differenze che ha analogie. Ci si chiede oggi se il sistema di coordinazione attuale sia di unione o di separazione. Per rispondere a questa domanda bisogna andare oltre le categorie giuridiche e far riferimento, più che al rapporto tra Stato e Chiesa, al rapporto tra politica e religione, categorie che mal si prestano ad essere definite giuridiche e necessarie per comprendere i presupposti o alcuni fenomeni del diritto ecclesiastico. Più ampia è la storia delle istituzioni religiose: si pensi ancora alla teoria di santi Romano essenziale nel diritto ecclesiastico per qualificare rapporti tra Stato e Chiesa come rapporti tra ordinamenti giuridici primari. Di conseguenza i movimenti religiosi, gli ordini religiosi sono fondamentali e
  • 8. necessari per comprendere l'evoluzione del diritto ecclesiastico e come attraverso essi sia stato influenzato il diritto comune. Importante anche l'aspetto comparatistico, poiché i movimenti religiosi operano a carattere multinazionale, cioè a livello di più ordinamenti. È importante quindi capire attraverso la comparazione come una realtà sia vista in modo diverso. 7. Il diritto ecclesiastico nell'ambito delle scienze giuridiche. Come abbiamo detto prima, il diritto ecclesiastico subisce le influenze delle altre discipline dell'ordinamento giuridico. Esso è una scienza laica distinta dal diritto canonico e dalle altre scienze sacre o confessionali. Quasi tutte le riforme legislative attuate hanno influenzato il diritto ecclesiastico, mutandone il contenuto. Il diritto ecclesiastico si inserisce in un circolo legislativo comune a tutte le discipline giuridiche, anche se ci sono state resistenze dovute a pressioni ideologiche e al fatto della specialità dello strumento concordatario e delle intese stipulate con confessioni religiose diverse da quella cattolica. Affermare che il diritto ecclesiastico non riguarda i problemi generali ma comuni solamente ad un determinato settore, significa fare un passo indietro tenendo anche conto che lo strumento di contrattazione bilaterale è riconosciuto a livello costituzionale. Bisogna porre il diritto ecclesiastico su un piano paritetico a tutte le altre discipline giuridiche. Per fare ciò sarebbe più opportuno una legislazione unilaterale avendo lo Stato come unico punto di riferimento invece di avere una contrattazione bilaterale che fa venir meno quella visione unitaria di questa disciplina. L'evoluzione legislativa, dottrinale giurisprudenziale ha influenzato notevolmente il diritto ecclesiastico sia sotto l'aspetto costituzionalistico(si pensi agli interventi della corte costituzionale in materia matrimoniale o di libertà religiosa); sia sotto l'aspetto del diritto internazionale(si pensi al riconoscimento della capacità o soggettività giuridica o al riconoscimento della dinamicità giuridica dei concordati); sia sotto l'aspetto delle strutture amministrative alle quali sono devolute la gestione degli enti ecclesiastici; sia sotto l'aspetto del diritto canonico e anche sotto l'aspetto civilistico. Per quanto riguarda quest'ultimo un particolare riferimento va fatto riguarda la trascrizione, che è un vero e proprio momento di collegamento tra diritto civile e diritto canonico. Il diritto civile viene in rilievo anche in altri casi: si pensi ad esempio all'educazione religiosa dei propri figli o al mutamento di religione di uno dei due coniugi(diritto di famiglia); si pensi all'applicazione dei principi del diritto del lavoro per i religiosi che lavorano nelle organizzazioni di tendenza; all'applicazione del diritto penale per i reati riguardanti il sentimento religioso o i religiosi; all'applicazione del diritto commerciale per quanto riguarda l'ente ecclesiastico imprenditore. Si vede quindi come l'evoluzione legislativa, dottrinale giurisprudenziale di diverse discipline giuridiche abbia influito sul contenuto del diritto ecclesiastico che idoneo non solo a verificare principi generali del diritto ma costituisce un osservatorio privilegiato per valutare l'evoluzione legislativa, dottrinale e giurisprudenziale della scienza giuridica nel suo complesso. 8. Problemi metodologici. La differenziazione tra scienze umane e scienze naturali ha comportato come conseguenza un'inopportuna differenziazione metodologica tra gli aspetti storici e gli aspetti dogmatici, che invece convivono nel diritto ecclesiastico insieme poiché c'è un'analogia nel metodo interpretativo. Il diritto ecclesiastico è quel settore della scienza giuridica che meno si rivolge al formalismo o dogmatismo giuridico e pone sullo stesso piano il dato formalistico giuridico o normativistico e il dato storico politico. Comprendere la metodologia del diritto ecclesiastico è essenziale per capire il suo contenuto e il suo oggetto non solo nella prospettiva attuale ma anche nella prospettiva futura. Il fatto che il diritto ecclesiastico si riferisca a problemi di coscienza, si caratterizza per l'immaterialità di alcune questioni, fa riferimento a questioni religiose o fideistiche determina la particolarità del metodo per tale scienza giuridica in virtù dei suoi fini e dei suoi presupposti. Per quanto riguarda questi ultimi, il riferimento alle scienze sacre e teologiche è naturale;
  • 9. mentre per quanto riguarda i fini, i mezzi per conseguire e tutelare un interesse economico sono ovviamente diversi dai mezzi per conseguire tutelare un interesse religioso. Si è sostenuto spesso che non esiste una metodologia generale avulsa da contenuti concreti e che bisognava partire dal diritto positivo come necessaria base di partenza senza la possibilità di porre problemi generali. In realtà ciò non avviene per il diritto ecclesiastico. questo perché la posizione di mezzo tra le scienze giuridiche del diritto ecclesiastico, i suoi presupposti storico politici, i suoi fini religiosi, sui contenuti spirituali rendono centrale il problema metodologico sia al fine di determinarne il contenuto e l'oggetto sia al fine di determinarne le diverse metodologie nel suo ambito. Un ventaglio di riferimenti così ampio non consente l'elaborazione di un unico metodo. Sarebbe più comodo riferirsi ad un corpo di norme positive che fanno capo a leggi e principi ben determinati, come avviene ad esempio nel diritto processuale. Ma ciò non è possibile nel diritto ecclesiastico. Ne consegue il continuo riferimento a principi generali elaborati in altre discipline giuridiche ma difficilmente accade il contrario. Si pensi ad esempio ai civilisti che difficilmente si sono avvalsi dell'elaborazioni dottrinali degli ecclesiastici al fine di risolvere, ad esempio, problemi relativi al diritto di famiglia oppure di internazionalisti difficilmente hanno tenuto in considerazione il problema della dinamica concordataria. La prospettiva è quella di elaborare un diritto ecclesiastico europeo ma ci sono alcuni problemi come il diverso sviluppo legislativo in materia religiosa dei vari paesi europei e la presenza anche in Europa i paesi musulmani. Di conseguenze più preferibile attestarsi su posizioni di laica neutralità che riferirsi alle radici cristiane del vecchio continente. Capitolo due profili internazionalistici e pubblicistici 1. Profili internazionalistici. Dinamica giuridica dei concordati. L’evoluzione legislativa del diritto ecclesiastico è caratterizzata dal continuo ricorso ai principi di diritto internazionale per risolvere una serie di questioni pratiche. Nel 1870 con la presa di Porta Pia, con cui viene estinto lo Stato Pontificio, la Santa sede(organo di governo della Chiesa cattolica) viene a trovarsi senza una personalità giuridica di diritto internazionale poiché era venuto meno un requisito, quello territoriale, essenziale per la qualificazione dello Stato vaticano come appunto uno stato, dato che solo agli Stati era riconosciuta in quel tempo la personalità di diritto internazionale. Il problema poteva essere risolto attraverso il ricorso al principio di effettività oppure attraverso l'allargamento della personalità di diritto internazionale ad enti diversi dagli Stati ma la concezione formalistica in quel tempo del diritto internazionale impediva tutto ciò. Si formarono diverse teorie monistiche, dualiste e miste riguardo alla personalità internazionale della Santa sede. La prima teoria riteneva che la città del Vaticano fosse uno Stato fine, cioè uno stato oggetto della sovranità di un altro Stato che è la Santa sede. Quest'ultima è l'unica ad avere personalità giuridica internazionale secondo questa teoria. Secondo invece la teoria dualistica sia la Santa sede che la città del Vaticano avevano personalità giuridica internazionale. Secondo la teoria mista la Chiesa cattolica aveva una sovranità spirituale illimitata e non aveva bisogno di un confine territoriale. In definitiva si può dire che solo la Santa sede, organo di governo della Chiesa cattolica, ha personalità giuridica internazionale mentre la città del Vaticano è anch'essa rilevante sul piano internazionale anche se è un ente diverso. Mentre il diritto internazionale faceva riferimento indistintamente alla Chiesa cattolica, alla Santa sede e alla città del Vaticano, gli ecclesiastici distinguevano queste tre figure. La Chiesa cattolica era una mera confessione religiosa derivante dall'alveo del cristianesimo. La Santa sede era l'organo di
  • 10. governo della Chiesa cattolica mentre la città del Vaticano era un'entità territoriale. Era la Santa sede l'unica con personalità giuridica internazionale e ad essa sono imputate una serie di attività internazionali. La Santa sede ha dei membri permanenti presso l'osservatorio dell'Onu anche se non può farne parte poiché essa costituisce un micro Stato con di conseguenza particolari peculiarità. Ciò che spinse alla stipulazione nel 1929 dei patti lateranensi fu la soluzione della questione romana nella prima fase volta all'abbattimento del potere temporale mentre nella seconda volta al ripristino di una parvenza di Stato. Questo trattato determinò la nascita dello Stato della città del Vaticano. Si tratta di uno Stato enclave, uno Stato c'è circondato completamente da un altro(quello italiano) che si impegna a fornire l'acqua, le comunicazioni ferroviarie, telegrafiche, telefoniche, postali eccetera; si impegna a garantire collegamenti terrestri ed aerei; ad impedire nelle zone adiacenti nuove costruzioni. è riconosciuta la cittadinanza vaticana a tutti coloro che hanno una residenza stabile nella città del Vaticano, ai dignitari della Chiesa, ai cardinali residenti a Roma, ai funzionari dichiarati indispensabili dalla Santa sede. Si riconosce l'esenzione dai tributi ed all'espropriazione agli immobili della Santa sede e ad alcuni di questi si riconosce anche il privilegio di extraterritorialità. Si stabilisce la neutralità della città del Vaticano e si riconosce la sovranità del pontefice nella Santa sede. Nel 1954 viene stipulata una convenzione diretta a stabilire l'immunità e la protezione dei beni culturali appartenenti alla città del Vaticano. Lo Stato vaticano è formato da una serie di enti a cui sono attribuite diverse funzioni. Il 7 giugno del 1929 viene approvata la legge fondamentale dello Stato vaticano che si affianca ad altre cinque relative alle fonti del diritto, alla cittadinanza e al soggiorno, all'ordinamento amministrativo, all'ordinamento commerciale e infine alle leggi di pubblica sicurezza. Il 1 maggio del 1949 viene approvato l'ordinamento giudiziario e il codice di procedura civile. Nel 1967 viene modificata la legislazione penale e del processo penale. Il 26 novembre del 2000 viene approvata la nuova legge fondamentale dello Stato vaticano che riconosce al Papa la sovranità e riunisce nelle mani del pontefice l'esercizio del potere legislativo, esecutivo e giudiziario. Il potere legislativo è esercitato da pontefice coadiuvato da una commissione che lo aiuta anche nell'esercizio del potere esecutivo. Il presidente della commissione può farsi coadiuvare da un segretario generale e da un vice segretario i quali depositano anche i bilanci. Per quanto riguarda l'esercizio del potere giudiziario questo è devoluto dal pontefice ad appositi organi, anche per quanto riguarda le controversie di lavoro e amministrative. Per quanto riguarda la riproposizione dello strumento concordatario, bisogna esaminare le questioni di dinamicità che i concordati comportano. Inizialmente il concordato era visto come un atto che attribuiva privilegi ed immunità alla Santa sede mentre successivamente viene visto come un atto con cui si regolano le res mixtae, dove Stato e Santa sede possono non convergere su alcune posizioni e quindi bisogna rinvenirne i punti in comune. Sono vigenti per i concordati i principi rebus sic stantibus estare pactis e cioè i soggetti che hanno stipulato tale concordato sono tenuti a rispettare gli impegni che sono stati assunti e a non approvare leggi contrarie a tali impegni. Tali accordi possono essere denunziati senza la necessità di un nuovo concordato, o possono essere modificati o si può procedere ad accordi di natura minore senza porre in discussione l'accordo principale. I concordati fanno riferimento a principi comuni di diritto internazionale ed è per questo che la questione di abrogare o revisionare tali strumenti poco c'entra in questo momento con la dinamica concordataria. Piuttosto bisogna assicurare una copertura costituzionale a tali concordati in virtù del diretto riferimento fatto ai patti lateranensi dall'articolo sette della costituzione. 2. Profili pubblicistici. L'evoluzione costituzionale. Il passaggio dalla costituzione flessibile dello statuto Albertino a quella attuale e l'individuazione di norme che riguardano il fattore religioso sia in forma individuale che in forma associata hanno determinato un'evoluzione legislativa del diritto ecclesiastico. Tuttavia queste norme costituzionali non ne esauriscono l'intero contenuto del diritto ecclesiastico ma bisogna partire dalla loro esegesi per capire lo stato attuale della previsione legislativa a livello costituzionale. Ovviamente tali norme non sono esenti da critiche. Si
  • 11. pensi all'articolo due della costituzione dove la Repubblica riconosce i diritti inviolabili dell'uomo sia in forma individuale che in forma associata. Di conseguenza l'inserimento di tale norma fra quelle che riguardano il fattore religioso è improprio poiché nell'articolo due si fa riferimento al singolo per tutelare i suoi diritti inviolabili(anche in forma associata) e non alle formazioni sociali in generale. Un'altra critica riguarda l'articolo tre della costituzione laddove esso fa riferimento a tutti cittadini e non estende il principio d'eguaglianza anche alle persone giuridiche, anche se molta parte della dottrina e della giurisprudenza sono per questa interpretazione estensiva. Nel caso fosse ammessa tale estensione, ciò sarebbe molto importante per il diritto ecclesiastico poiché si riconoscerebbe l'eguaglianza, e non l'eguale libertà come nell'articolo otto comma uno della costituzione, di tutte le confessioni religiose. Resta in piedi ed è fondamentale la norma che esclude il fattore religioso come motivo di discriminazione tra i cittadini. Un'altra disposizione che contiene una connotazione religiosa è l'articolo 52 comma due della costituzione. esso sancisce che la difesa della patria è sacra ed inviolabile, unico articolo ad utilizzare tale aggettivo. Si ritiene invece sia pleonastica la disposizione dell'articolo sette comma uno della costituzione sui patti lateranensi. Tale disposizione sancisce che lo Stato e la Chiesa cattolica sono ciascuno nel proprio ordine sovrani ed indipendenti. Si tratta di una disposizione inutile poiché l'indipendenza è un connotato della sovranità ed anche perché il termine ordine si riferisce, non all'ordinamento giuridico, ma ad una diversità di attribuzione e competenze che appare evidente in due Stati indipendenti. Questa disposizione sembra essere utile solo per indicare una posizione paritetica tra le due parti. Maggiormente suscettibile di critica del secondo comma dell'articolo sette in particolare laddove si sancisce che la modifica dei patti lateranensi, accettata da entrambe le parti, non necessita di un procedimento di revisione costituzionale. Da questa norma si è dedotto che i patti lateranensi non possono essere modificati con un procedimento unilaterale e di conseguenza essi hanno assunto un rilievo costituzionale notevole perché trattasi di norme speciali costituzionali superiori, secondo questa interpretazione, alle norme costituzionali stesse. Ovviamente si tratta di un'interpretazione forzata a cui il costituente all'epoca non voleva si arrivasse. Successivamente si avuto un'altra interpretazione avallata poi dalla corte costituzionale nel 1971. In base a questa nuova interpretazione, lo Stato si impegna a costituzionalizzare il principio pattizio, cioè si impegna ad rispettare gli impegni assunti e a non legiferare contrariamente nelle materie di comune interesse. Ovviamente ciò non significa che lo Stato non possa legiferare in maniera diversa rispetto a quanto previsto nei patti, ma la disposizione si riferisce esclusivamente alla materia concordataria. Ci si chiede se gli articoli sette ed otto contengano riferimenti in comune tali da equiparare su un piano eguale tutte le confessioni religiose. Il fatto che le disposizioni riguardanti la Chiesa cattolica e le altre confessioni religiose siano diverse non è di poco rilievo, così come non è di poco rilievo il fatto che lo strumento concordatario sia uno strumento di diritto internazionale mentre le intese siano un atto di diritto interno. In base all'articolo otto primo comma della costituzione tutte le confessioni religiose sono egualmente libere dinanzi alla legge, compresa quella cattolica. Quindi ne dovrebbe conseguire una sostanziale eguaglianza tra le diverse confessioni. Al secondo comma dello stesso articolo però si sancisce che le confessioni religiose diverse da quella cattolica si organizzano secondo statuti propri che non contrastino con l'ordinamento giuridico. Ne consegue che mentre la Chiesa cattolica viene considerato un ordinamento giuridico primario, le altre confessioni religiose sono considerate ordinamenti giuridici derivati, termine improprio perché una confessione religiosa non deriva dallo stato ma deriva dalla volontà dei suoi componenti e di conseguenza dovrebbe essere trattata alla stregua di un'associazione di diritto interno a cui l'ordinamento attribuisce particolari diritti. Tuttavia ancora oggi non c'è una sostanziale eguaglianza tra la confessione cattolica e le altre confessioni religiose sul piano giuridico. A ciò va aggiunto il fatto che fino all'accordo del 18 febbraio del 1984 modificativo del concordato, le altre confessioni religiose non hanno voluto sottoscrivere intese per non legittimare lo strumento concordatario e perché si sentivano più libere nel diritto comune. Oggi con la moltiplicazione della sottoscrizione delle intese va riformato l'articolo otto ,poiché si pongono
  • 12. problemi che prima non sussistevano. Si pensi ad esempio ad una nuova definizione di confessione religiosa, quale è la fonte della legge di esecuzione delle intese, se va abrogata la legge 1159 del 29 sui culti ammessi, eccetera. L'articolo 19 della costituzione è importante poiché riconosce la libertà di religione che si manifesta attraverso la sua professione, propaganda e l'esercizio del culto nel pubblico e nel privato. Tuttavia tale norma non è in grado di comprendere tutte le forme di manifestazione religiosa. Un unico limite è dato dalla non contrarietà delle forme di manifestazione religiosa al buon costume. Il diritto affermato dall'articolo 19 è un diritto pubblico di natura soggettiva e come tale tutelato da parte dello Stato. Ma bisogna ricordare che la tutela della libertà religiosa avviene soprattutto in forma individuale, essendo possibile il singolo sia coartato anche dal suo stesso gruppo religioso. Quindi sarebbe utile rinvenire una nuova definizione del principio di libertà religiosa. L'articolo 20 della costituzione sancisce che il carattere ecclesiastico o il fine religioso o di culto non possono essere causa di limitazioni legislative, ne causa di imposizioni fiscali per la loro costituzione , attività o capacità giuridica. Questa norma tende ad impedire che si realizzi nuovamente una legislazione anche ecclesiastica o al contrario si realizzi una legislazione favoritiva, quest'ultimo pericolo evitato grazie al riconoscimento degli enti ecclesiastici da parte del diritto comune. 3. Il regime giuridico delle confessioni religiose diverse dalla cattolica. La tradizione legislativa in materia di confessioni religiose diverse da quella cattolica era limitata, all'epoca della legge 1159 del 1929, alla confessione valdese, israelita e ortodossa. A differenza della Spagna, l'Italia non aveva un registro con un elenco delle confessioni religiose ma quest'ultime si deducevano da una serie di elementi sanciti dall'articolo otto della costituzione tra cui uno statuto, un'organizzazione interna, dei rappresentanti esterni con cui rapportarsi e da altri elementi come l'immedesimazione nella tradizione legislativa e culturale italiana ed una struttura tipica di un ordinamento giuridico derivato che non contrasti con i valori dell'ordinamento giuridico italiano. è sempre lo Stato a determinare se esiste una confessione religiosa, se ci sono i presupposti di legge per instaurare un rapporto giuridico con tale confessione, se si tratta di una confessione o di un semplice movimento religioso, eccetera. Tutto ciò implica una valutazione anche dal punto di vista del contenuto ideologico della confessione poiché è necessario che tali contenuti non contrastino con i valori dell'ordinamento giuridico italiano. Le confessioni devono vivere in un ordinamento giuridico che le qualifica e gli riconosce l'attività normativa, cioè i diritti confessionali. Non tutti gruppi religiosi che hanno i requisiti richiesti dalla legge, sono qualificati come confessioni religiose dallo Stato e non con tutti i quest'ultimo stipula delle intese. Oggi sarebbe opportuno passare dalla legge 1159 del 1929 ad una nuova legge che guarda ad un panorama religioso in maniera aggiornata ed uniforme, dato che l'ordinamento italiano ha rifiutato la stipulazione di molteplici imprese. Sarebbe opportuno quindi passare da una legislazione bilaterale a quella unilaterale. Ovviamente non si può comprendere le diverse confessioni religiose se non si parte da un breve excursus sulle confessioni religiose più importanti in Italia, cioè quelle valdesi, israelite e ortodossa e se non si esamina la legge del 1929 e le 12 intese stipulate con le confessioni religiose diverse da quella cattolica. La prima intesa di durata nel 1984 con il valdesi. All'articolo uno la Repubblica riconosce autonomia e indipendenza all’ ordinamento dei valdesi e si riconosce all'articolo due la nomina dei ministri di culto, la giurisdizione e l'organizzazione ecclesiastica ed il diritto a emettere provvedimenti in materia spirituale o disciplinare senza alcuna ingerenza da parte dello Stato. Si estingue, su richiesta della tavola valdese, dal bilancio dello Stato italiano l'assegno di mantenimento dovuto a tale ordine. All'articolo quattro si riconosce la tutela penale attraverso la protezione dei diritti e delle libertà fondamentali garantiti dalla costituzione e non la tutela penale specifica del sentimento religioso. È garantito il diritto di servizio militare ai valdesi e le forme di assistenza spirituale. Gli oneri derivanti dall'assistenza spirituale sono a carico degli organi ecclesiastici competenti, compresa l'assistenza negli ospedali, nelle case di cura e pensionati e negli istituti penitenziari. Singolare è la rinuncia dei valdesi
  • 13. all'insegnamento di pratiche di culto, catechesi e dottrine religiose nelle scuole pubbliche statali, a meno che gli studenti, le loro famiglie ne facciano specifica richiesta. È concesso il diritto di rinunziare alle lezioni dell'insegnamento di religione cattolica nella scuola pubblica. Si riconoscono effetti civili ai matrimoni stipulati dagli organi ecclesiastici valdesi, a condizione che l'atto sia iscritto nel registro dello Stato civile e previa pubblicazione presso la casa comunale. È riconosciuta la personalità giuridica degli enti ecclesiastici che operano a fini di beneficenza, di culto e di istruzione su richiesta della tavola valdese che rilascia la delibera sinodale motivata per il riconoscimento e l'erezione dell'ente ecclesiastico in istituto autonomo. Si riconoscono le lauree e diplomi in teologia, la facoltà di rinvio del servizio militare per il valdesi ed un principio di collaborazione per la valorizzazione e la tutela dei beni culturali. Si consente la deduzione di 2 milioni di lire ai fini Irpef per il contributo volontario all'ordine dei valdesi, ripartendo l'8 * 1000. Un lungo preambolo precede anche l'intesa con l’ unione delle chiese avventiste italiane. In tale intesa sono sanciti i principi della costituzione,convenzione europea diritti umani,dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. nel preambolo si riconosce il diritto di rinunzia all’ insegnamento nelle scuole pubbliche statali. si riconosce il diritto degli avventisti a svolgere,su loro richiesta,il servizio civile in luogo di quello militare. disposizioni simile a quelle dei valdesi riguardano l’assistenza spirituale negli ospedali,penitenziari e case di cura;il diritto di non avvalersi degli insegnamenti delle altre confessioni religiose;di istituire scuole paritarie. gli edifici di culto non possono essere espropriati,demoliti e requisiti se non per ragioni gravi e con l’accordo della chiesa avventista. è riconosciuto il diritto di festa il sabato nelle scuole e di non sostenere prove di esame quel giorno. è riconosciuta la deduzione di 2 milioni ai fini irpef e la ripartizione dell’ 8 *1000.si riconosce il diritto di concedere lauree e diplomi in teologia e cultura biblica da parte dell’istituto avventista di cultura biblica. Di analogo contenuto all'intesa e al preambolo dell'unione delle chiese avventiste, è l'intesa con le assemblee di Dio fatta eccezione per il riconoscimento degli enti aventi fini di culto i cui statuti devono essere depositati presso il Ministero dell'Interno e che debbono iscriversi agli effetti civili nel registro delle persone giuridiche entro 12 mesi dall'entrata in vigore della presente legge numero 517 del 1988. Per quanto riguarda l'intesa con l'unione delle comunità ebraiche italiane, viene garantita la libertà sancita nelle disposizioni costituzionali; viene garantita la tutela penale del sentimento religioso; vengono riconosciute le festività ebraiche, il diritto alla macellazione, il diritto di giuramento a capo scoperto, il riposo sabbatico. si riconoscono le forme di assistenza spirituale alle forze armate, negli ospedali, nelle case di cura e nei penitenziari. Si riconosce il diritto a non avvalersi dell'insegnamento delle altre religioni e il diritto ad istituire scuole di ogni ordine e grado ed il diritto a concedere lauree e diplomi in cultura ebraica. Gli edifici di culto ebraici non possono essere requisiti, espropriati e demoliti se non previa accordo con la comunità ebraica. La forza pubblica non può fare irruzione in tali edifici a meno che non ricorrano gravi ragioni e vi sia l'accordo con la comunità ebraica. Si tutela il patrimonio ecclesiastico di tale comunità. Si determinano le funzioni, la possibilità di costituire nuove comunità ebraiche. Si riconosce la personalità giuridica agli enti ecclesiastici ebraici che debbono iscriversi nel registro delle persone giuridiche entro due anni dall'entrata in vigore della legge numero 101 del 1989. c'è l’ equiparazione a fini tributari tra fine religioso e di culto con il fine di beneficenza o assistenza. Gli ebrei possono dedurre dal loro contributo al mantenimento e sostentamento dell'unione delle comunità ebraiche fino al 10% del loro reddito e fino ad un massimo di 7 milioni e mezzo di lire. Quest'accordo è stato riveduto 10 anni dopo. Importante anche l'intesa con la Chiesa evangelica battista e la Chiesa evangelica luterana il 29 marzo e il 20 aprile del 1993. I battisti hanno come principi cardine: il battesimo dei credenti è la loro parità nella responsabilità dinanzi a Dio; il valore autonomo della Chiesa evangelica; la non ingerenza tra Stato e Chiesa. Altri principi sono quelli del sostentamento mediante contributi volontari della Chiesa evangelica battista e la non necessità della tutela penale di questo sentimento religioso. Per il resto l'intesa ricalca la stessa stipulata con la Chiesa evangelica luterana.
  • 14. 4. La laicità dello Stato. Il problema della qualificazione religiosa dello Stato ha notevole rilevanza poichè dalla scelta della opzione religiosa dipendono una serie di conseguenze legislative. La nostra costituzione, pur non facendo espresso riferimento al principio di laicità, può ritenersi una costituzione laica, laicità sancita dalla sentenza della corte costituzionale numero 203 del 1989. Ciò anche in virtù del fatto che l'articolo uno dello statuto Albertino, che riconosceva la religione cattolica apostolica romana come unica religione di Stato, è stato abrogato ed inoltre l'articolo uno del protocollo aggiuntivo al concordato modificato nell'accordo del 1984 non ha ribadito tale preminenza della religione cattolica. A questo punto il problema della laicità sembrerebbe risolto sia livello giurisprudenziale, sia a livello legislativo che a livello di coscienza comune. Ma i continui attacchi alla laicità dello Stato ci fanno pensare che non è così. Ci si chiede perché il principio della laicità non è oggi ancora totalmente affermato. Innanzitutto bisogna dire che il principio di laicità deriva dall'illuminismo che combatteva all'antico regime il quale affidava alla Chiesa un ruolo rilevante dal punto di vista politico perché la Chiesa era funzionale alla legittimazione dell'antico regime che si fondava sul diritto divino. Ovviamente stiamo parlando dello stato assoluto. Il principio di laicità si è affermato nello Stato hegeliano dove tutti i consociati dello Stato dovevano essere rappresentati e lo Stato stesso non poteva rappresentare solo una parte di loro per motivi religiosi. Lo Stato laico per eccellenza è lo Stato liberale, caratterizzato da una legislazione anticlericale e di stampo unilaterale. Lo Stato laico rifiuta lo strumento concordatario e la differenziazione di tutela delle diverse confessioni religiose. È questo un altro motivo per cui il nostro Stato non è ancora totalmente laico che può essere garantito solo se lo Stato si pone su una posizione di imparzialità. Si pensi ad esempio al fatto che l'autorità ecclesiastiche cattoliche sono considerate autorità di Stato e della Chiesa cattolica, il fatto che parroci siano considerati nel matrimonio canonico ufficiali di stato civile, il fatto che lo strumento concordatario stato riconfermato, il fatto che ci siano nei tribunali e nelle scuole segni religiosi riconducibili alla Chiesa cattolica, eccetera. Il principio di laicità quindi è un principio di tipo convenzionale e utile ma ancora non totalmente affermato. Il diritto ecclesiastico, scienza laica, deve trarre la sua massima forza espansiva proprio dal principio di laicità, in modo che una confessione religiosa non possa prevalere sulle altre. 5. Fattore religioso e tutela degli interessi religiosi dei cittadini. Vi è un ambito dei rapporti in cui lo Stato tutela l'interesse religioso dei suoi consociati e tale ambito riguarda non solo i singoli ma anche le organizzazioni di tendenza, in particolare enti di beneficenza e assistenza dove i singoli fanno valere le loro istanze religiose che necessitano di una tutela. Bisogna chiedersi che cosa si intende per interesse religioso, cioè se si riferisca ad un semplice interesse oppure ad un diritto soggettivo oppure ad un diritto potestativo, cioè un diritto che incide sulla potestà altrui. Il diritto serve non solo a tutelare gli interessi ma anche a dirimere i conflitti tra gli stessi stabilendo il limite di un interesse rispetto all'altro e la loro strumentalità rispetto all'interesse superiore della comunità statale. Per fare questo lo Stato deve riferirsi ai principi generali costituzionali, tra cui quelli riguardanti il fattore religioso che non è univoco ma va contemperato con gli altri principi. Gli interessi vanno tutelati nell'ambito della libertà religiosa e non in contrasto con questa. L'aggettivo religioso, unito al sostantivo interesse, delinea dati metafisici e metagiuridici che a volte esulano dal campo giuridico. Di conseguenza lo Stato può tutelare una parte degli interessi religiosi, cioè quelli che si rapportano alla vita degli altri, ma non tutti gli interessi. Tali interessi sono tutelati sul piano individuale e sul piano degli interessi diffusi, cioè di interessi appartenenti ad una determinata pluralità di soggetti più o meno determinata. Ad esempio viene tutelato il diritto a costituirsi parte civile del singolo fedele che contesta la rimozione da parte di un vescovo di un parroco senza alcuna motivazione dalla sua chiesa. Accanto agli interessi dei singoli fedeli quindi sono tutelati anche interessi del gruppo confessionale anche perché non è detto che tali interessi coincidano, ad
  • 15. esempio può verificarsi che il soggetto sia discriminato all'interno del suo gruppo confessionale. La funzione del diritto ecclesiastico quindi riguarda tutto il fattore religioso. La religiosità concerne anche i rapporti interpersonali. Essa è una concezione non immanente della vita. 6. La libertà religiosa. La libertà religiosa viene intesa da JELLINEK E KELSEN come un diritto soggettivo pubblico che lo Stato deve tutelare e garantire ed tale diritto è limitato dalle libertà altrui. La libertà giuridica, secondo JELLINEK, si manifesta attraverso la volontà di essere d'accordo o meno con una norma etica senza subirne le conseguenze giuridiche. La libertà giuridica è senza vincoli. La tutela dei diritti di libertà non è unitaria, altrimenti il diritto soggettivo verrebbe ad identificarsi con tutto ciò che è lecito. Mentre il diritto di libertà è qualcosa in più di un comportamento lecito, precisamente è il potere di protezione di un interesse. Tuttavia tale diritto di libertà trova un limite nelle libertà altrui, cioè viene contemperato con la libertà altrui e di conseguenza non è un diritto assoluto ma relativo. Queste considerazioni inducono a ritenere la libertà religiosa in valore etico politico, storico, religioso e relativo. Anche che kelsen riteneva che la libertà non fosse un concetto giuridico. Quindi, in definitiva, la libertà religiosa costituisce un diritto autonomo e non unitario, relativo e non assoluto, pubblico ma anche privato, positivo e non negativo. Tuttavia tale concezione non teneva conto delle manifestazioni religiose interne, cioè ignorava la libertà religiosa intesa come valore, come principio. Quindi successivamente la libertà religiosa è stata ritenuta come un diritto autonomo e non unitario, poiché la libertà è una sola ma sono autonomi i singoli diritti; è un diritto positivo e non negativo, cioè lo Stato non si astiene solo da interventi nella sfera religiosa del soggetto ma provvede ad attuare positivamente quella libertà religiosa; la libertà religiosa è un diritto relativo e non assoluto perché va contemperato con le altre libertà ed infine è un diritto non per forza pubblico ma può essere anche privato poiché la tutela del bene stesso non avviene per forza da parte dello Stato ma può avvenire anche da parte di altri consociati e il bene stesso da tutelare può essere un bene non pubblico. Ci si chiede oggi se questo diritto di libertà religiosa è stato attuato. Oggi ci sono differenti previsioni normative in capo alle singole legislazioni. Le differenti previsioni normative hanno portato ad un mutamento dell'oggetto della libertà religiosa. Si lega la libertà religiosa al principio di doverosità e legge morale e se ne sottolinea la dimensione privata, attribuendo alcune facoltà all’individuo che sono riconosciute dalla costituzione. Si è fatto riferimento ai contributi derivanti dalle diverse confessioni religiose, alla tutela della libertà religiosa non nei singoli paesi ma per macro aree del mondo e si è cercato di capire in quale direzione va la libertà. Ad esempio questione più di libertà religiosa e di laicità quella attinente all'uso del velo nei paesi non islamici oppure alla presenza di simboli come crocifissi nelle aule scolastiche pubbliche e nei tribunali. Il progetto di legge della libertà religiosa, giacente da ben 11 anni in Parlamento, non porterebbe ad alcun contributo ad una diversa configurazione della libertà religiosa. Capitolo tre Le fonti del diritto ecclesiastico 1. Principi generali. Per esaminare le fonti del diritto ecclesiastico, bisogna necessariamente far riferimento allo sviluppo legislativo unilaterale, bilaterale e concordatario ed alle disposizioni costituzionali già precedentemente richiamate. Il richiamo alle fonti si ha nell’articolo uno delle disposizioni generali sulle preleggi del codice
  • 16. civile. Secondo D’ AVACK e secondo noi, è da condividere l'opinione secondo cui le norme di diritto ecclesiastico seguono la stessa sorte delle altre norme di legge dell'ordinamento giuridico italiano e da condividere è anche l'assunto secondo cui lo Stato costituisce esclusivamente l'unica fonte materiale di tutti poteri, compreso quello legislativo. Con quest'ultimo assunto si è evitata una polemica riguardante la vigenza delle norme preconcordatarie. Infatti si è ritenuto che tali norme del diritto ecclesiastico stipulate prima del concordato del 29 rimangano vigenti dopo l'entrata in vigore del concordato stesso a meno che non siano state esplicitamente o implicitamente abrogate, oppure contengano disposizioni contrastanti con il concordato stesso oppure regolano una materia già interamente regolata ex novo dai patti lateranensi o dal concordato. Altrimenti le norme preconcordatarie di diritto ecclesiastico continuano ad essere vigenti ancora oggi. In questo modo si separa il diritto ecclesiastico dal diritto concordatario, quest'ultimo essenzialmente bilaterale, e non si mortifica la legislazione unilaterale dello Stato. È da condividere l'opinione di D’AVACK secondo cui le disposizioni sulle fonti contenute nelle preleggi del codice civile mal si adeguano ad una costituzione rigida e sarebbe meglio ricomprendere le fonti nell'ambito costituzionale. Se gli ecclesiastici distinguono tra fonti unilaterali, sia confessionali che pattizie, e fonti bilaterali, bisogna distinguere le fonti anche in base alle loro gerarchie e competenze. Le gerarchie possono essere: strutturali, se un potere normativo trae la propria fonte da un altro; formali, se le relazioni istitutive tra le fonti sono stabilite dalle fonti stesse; logiche, se non sono istituite dal diritto ma si basano sulla struttura del linguaggio delle fonti; ed infine assiologiche, se le relazioni tra le fonti si basano su valutazioni interpretative. Le gerarchie delle fonti logiche e assiologiche non comportano però uno stravolgimento dei principi su cui si basa il nostro ordinamento giuridico. In particolare si conferma che le fonti sono gerarchicamente ordinate, cioè le leggi prevalgono sui regolamenti e le leggi e i regolamenti prevalgono sugli usi. Che è solo lo Stato ad attribuire rilevanza alle fonti esterne tramite il rinvio materiale o formale o mediante l'esecuzione di impegni assunti sul piano del diritto esterno. Infine si conferma che è solo lo Stato ad attribuire agli atti o fatti aventi forza di legge il grado gerarchico nelle fonti. Non si stravolgono principi come quello secondo cui il nostro ordinamento non è un ordinamento consuetudinario o giurisprudenziale. La rilevanza delle fonti esterne è possibile solo se vengono rispettate queste tre condizioni o meglio criteri di collegamento:1. Le norme non devono contenere principi contrari all'ordinamento giuridico italiano;2. Le norme devono avere contenuto specifico;3. L'ordinamento statale non abbia già previsto specifiche disposizioni in materia. i criteri di collegamento sono del tutto pacifici nel diritto internazionale, dove vige il principio di affettività, c'è il principio di collegamento tra la norma e la realtà. Ciò ovviamente non significa che quando una norma non viene ottemperata, perché magari non aderente alla realtà oppure perché contrasta con disposizioni nuove, ciò non vuol dire che la norma sia stata abrogata ma è un suggerimento al legislatore affinché provveda ad una sua modifica. Nell'ambito del diritto interno, il principio di effettività ha una minore rilevanza. Questo perché le norme sulle fonti sono soggette alla disciplina da esse stabilita e quindi la gerarchia è meramente strumentale. Per quanto riguarda le sentenze di accoglimento della corte costituzionale, bisogna dire che queste sono semplicemente sentenze che indicano che una determinata norma non va applicata perché incompatibile con le altre norme dell'ordinamento. Quindi alla corte costituzionale si attribuisce una funzione solamente negativa mentre una parte della dottrina attribuisce alle sentenze di accoglimento della corte una funzione positiva, cioè una vera e propria funzione di fonte del diritto con efficacia erga omnes capace di introdurre nuove norme dell'ordinamento giuridico. In realtà sappiamo che non è così poiché al massimo le sentenze della corte possono essere chiarificatrici di come interpretare una norma ma non possono introdurre nuove norme nell'ordinamento giuridico. Questo perché la funzione legislativa ed esecutiva è un compito rimesso esclusivamente al Parlamento e al governo e non alla corte costituzionale. A maggior ragione lo stesso discorso vale per le sentenze di rigetto o di inammissibilità perché non introducono nessuna modifica ad una legge. La dottrina dovrebbe rifarsi ai principi e alle leggi generali dell'ordinamento assumendo una funzione di controllo e non seguire
  • 17. semplicemente l'andamento giurisprudenziale, altrimenti abdicherebbe al suo compito. Le sentenze della corte costituiscono il frutto di una politica giurisprudenziale fondata sulla regola dello stare decisis ma non costituiscono fonti del diritto in senso tecnico. Se così fosse, bisognerebbe rivoluzionare l'opinione tradizionale secondo cui la giurisprudenza ha solo una funzione negativa dal punto di vista delle fonti del diritto. La regola dello stare decisis, c'è la regola del precedente vincolante, vale solo negli ordinamenti di Common law mentre negli ordinamenti di civil law, come quello italiano, tutt'al più una sentenza può avere efficacia persuasiva. 2. Le fonti del diritto interno. Le fonti del diritto ecclesiastico interno sono le leggi costituzionali, le norme costituzionali riguardanti il fattore religioso, le leggi ordinarie, regolamenti e gli usi. La legge numero 810 del 1929 riguardante patti lateranensi è stata ritenuta una legge ordinaria che può essere modificata da una legge ordinaria successiva solo se c'è accordo tra essere stato e può essere modificata in via unilaterale solo se si attua il procedimento di revisione costituzionale previsto dall'articolo 138 della costituzione. Questa interpretazione è stata ritenuta conforme alla sentenza numero 30 del 1971 della corte costituzionale secondo cui le norme concordatarie dei patti lateranensi possono essere sottoposte al giudizio di compatibilità costituzionale con i principi supremi. L'articolo sette della costituzione non riguarderebbe solo il concordato ma tutto regime pattizio tra Stato e Chiesa. Tale articolo impone un obbligo negativo, cioè quello di non emanare norme contrarie ai patti lateranensi, è un obbligo positivo c'è quello di eseguire tali patti. Quando la corte costituzionale con la sentenza numero 30 del 1971 ha sancito che le norme concordatarie sono leggi rinforzate, cioè leggi che non possono essere abrogate o modificate da leggi ordinarie ma che sono sottoposte a giudizio di costituzionalità in caso di contrasto con i principi fondamentali della costituzione, la dottrina si è posto il problema di stabilire quali sono questi principi. Ovviamente tra quelli fondamentali ricordiamo il principio di eguaglianza, di tutela giurisdizionale, di ordine pubblico ma anche i diritti fondamentali e i diritti di libertà. L'articolo sette della costituzione ci dice che non è possibile emanare una legge ordinaria contraria ai patti lateranensi senza l'accordo con la chiesa. Tale articolo copre sostanzialmente il principio di bilateralità su cui si fonda il sistema pattizio. anche l'articolo otto comma tre della costituzione sancisce che la legge del Parlamento stipulata sulla base di intese è una legge rinforzata. Tuttavia si sono posti alcuni problemi relativi al dubbio sul fatto che lo Stato risultasse vincolato all'impegno pattizio senza poter modificare la legislazione ecclesiastica e ulteriori dubbi sono scaturiti dal fatto che le intese sono emanate con decreto del presidente della Repubblica, contribuendo a confondere il sistema delle fonti del diritto ecclesiastico. Le intese costituiscono accordi di secondo grado, al pari delle norme concordatarie, cioè accordi self-executing. Ciò a riprova dell'inadeguatezza oggi delle norme concordatarie. 3. Le fonti di diritto esterno. L'adesione dell'Italia alla comunità europea economica ha comportato una diversa relazione tra le fonti di diritto interno e le fonti di diritto esterno. Tutto questo attraverso l'esaltazione del ruolo della giurisprudenza e il trascurare il ruolo della dottrina. Alla domanda se i regolamenti comunitari sono prevalenti rispetto alle norme costituzionali, la corte costituzionale ha sancito che l'adesione alla comunità europea non comporta la prevalenza totale delle norme comunitarie che devono rispettare diritti fondamentali e principi fondamentali della carta costituzionale, rispetto ai quali la legge di esecuzione del trattato è sottoposta a sindacabilità costituzionale. A questo punto chi sostiene che lo Stato sia l'unica fonte dovrebbe conciliare la sua posizione con chi sostiene, come la corte di giustizia europea, un pluralismo delle fonti. Tale corte di giustizia europea ha sancito che le norme comunitarie sono prevalenti rispetto alle
  • 18. norme di diritto interno, comprese quelle costituzionali; è l'obbligo del giudice di disapplicare le norme interne in contrasto con la normativa comunitaria. La corte di giustizia europea ha dimenticato che la sovranità spetta al popolo e non alla comunità europea; ha dimenticato che ci sono alcuni principi fondamentali della costituzione intangibili e immodificabili; che l'atto comunitario non può fungere da parametro ne può sostituire una legge interna; che le fonti di diritto sono disciplinate da parte dello Stato. Ne deriva la conseguenza che le norme comunitarie hanno efficacia nello Stato se compatibili con i diritti fondamentali, i diritti di libertà, i diritti inviolabili dell'uomo e i principi fondamentali delle carte costituzionali di ciascun ordinamento. Chi sostiene il pluralismo delle fonti vuole codeterminazione di quest'ultime e di conseguenza una attenuazione del principio di attribuzione esclusiva allo stato delle fonti. Ovviamente tale codeterminazione non deriva dall'articolo sette comma uno della costituzione che sancisce l'autolimitazione della sovranità dello Stato. In realtà non viene limitata alcuna sovranità dello Stato ma si afferma semplicemente che Chiesa e Stato sono due ordini indipendenti e sovrani. Né tanto meno la laicità dello Stato si sostanzia nell’autolimitazione di sovranità. Infatti uno Stato è laico perché non è influenzato dalle confessioni religiose e si mantiene in una posizione di asetticità e imparzialità. È da condividere l'opinione secondo cui l'autonomia confessionale è garantita dalla costituzione e il riconoscimento dell'autonomia spetta non solo alla Chiesa cattolica ma ciò non significa che le norme che fanno riferimento a tale autonomia o che costituiscono manifestazione di tale autonomia non sono sottoposte alle leggi ordinarie. Gli ordinamenti confessionali sono ordinamenti giuridici derivati perché sono interni allo stato e sono esterni a quest'ultimo solo nei rapporti tra Stati. Tuttavia ci sono anche ordinamenti confessionali, come quello della Chiesa cattolica, che non sono derivati ma originari perché indipendenti e sovrani e proprio per questo non c'è in questo caso una codeterminazione delle fonti. Se vogliamo ragionare dal punto di vista realistico, l'ampliamento delle fonti non può derivare da interpretazioni giurisprudenziali o da forzature esterne ma si può procedere a tale ampliamento solo attraverso la via legislativa, ciò vale soprattutto nell'ambito del diritto ecclesiastico. L'articolo 117 della costituzione, dopo la riforma del titolo quinto della costituzione, sancisce la legislazione esclusiva dello Stato nei rapporti tra esso e le confessioni religiose. Le regioni hanno potestà legislativa esclusiva o concorrente in determinate questioni ecclesiastiche, come ad esempio la valorizzazione e l'istituzione di beni culturali e ambientali. Bisogna dire che le leggi regionali garantiscono la rimozione di ogni ostacolo alla parità tra uomo e donna nella vita sociale, culturale economica. 4. Sistematica delle fonti. Possibili prospettive La dottrina costituzionalistica sembra aver fatto venir meno il principio di tassatività delle fonti costruito su un sistema lineare basato sulla fonte legislativa. La negazione di un'unica fonte legislativa e l'introduzione di nuove fonti diverse dalla legge ordinaria, come ad esempio le leggi di delegificazione, ha comportato una risistemazione dell'ordine delle fonti che deve riferirsi non più alla legge ma all'atto normativo nella sua molteplicità di forme procedurali in cui può esplicarsi. Viene messa In crisi quindi l'idea del Crisafulli secondo cui la gerarchia delle norme dipende dalla gerarchia delle fonti così come stabilita dall'ordinamento, con la conseguenza che nessuna legge può modificarne un'altra e questa idea determinava un venir meno dell'efficacia generale o forza tipica della fonte legislativa. Ne è una prova l'approvazione delle leggi di esecuzione delle intese con confessioni religiose a cattoliche che hanno una qualificazione diversa dalla legge ordinaria. Infatti nei rapporti tra legge sui culti ammessi e intese, il criterio gerarchico non ha impedito l'applicazione del criterio cronologico. Si afferma l'idea secondo cui la gerarchia delle fonti è foggiata dalla gerarchia dei significati normativi. Quindi ne scaturisce la conseguenza, preceduta da una serie di premesse quali la non vincolatività delle intese dell'articolo otto della costituzione, il rispetto del principio pacta sunt servanda, la mancanza di una soggettività internazionale delle confessioni a cattoliche, che le intese servono ad attuare la libertà religiosa. Esaminando l'accordo del
  • 19. 1984 sul concordato, bisogna dire che questo è un accordo internazionale in forma semplificata e non un accordo interno che richiama a moduli convenzionali dell'attività amministrativa. Si tratta di un accordo di secondo grado, perché proveniente da due fonti distinte, perché dà luogo a due atti distinti anche se collegati tra di loro e perché corrisponde a due distinte volontà dello Stato. Si tratta di un accordo internazionale in forma semplificata dove le parti hanno rinviato a future intese o accordi volontariamente per inserire o completare quelle clausole non ha avuto esecutive dello stesso accordo. Quindi si tratta di un accordo in forma semplificata(perché non richiede una ratifica) e di secondo grado poiché l'obbligo giuridico di rispettare l'accordo non deriva dall'incontro della volontà delle due parti ma dall'obbligo stipulato precedentemente con l'accordo. Parte speciale I soggetti capitolo uno le persone fisiche 1. Soggettività, personalità e capacità. Il concetto di soggettività, centro di imputazione di diritti e doveri a cui si ricollegano effetti giuridici, deriva da un evento fenomenologico che è la nascita da cui deriva la capacità giuridica, cioè l'attitudine ad essere titolari di diritti e doveri giuridici. La soggettività non coincide con la personalità giuridica che è attribuita non solo alle persone fisiche ma anche alle persone giuridiche. La personalità giuridica individua l'ambito o la sfera entro la quale si muove la capacità giuridica. Bisogna dire che diritti individuali non sono subito stati riconosciuti dagli ordinamenti come diritti naturali ma c'è voluto molto tempo e una dura lotta tra l'individuo e le autorità. I soggetti si rapportano non solo con altre persone ma anche con gli ordinamenti e non è sempre detto che l'ordinamento tutela i diritti individuali del soggetto ma talvolta quest'ultimo si deve difendere dagli attacchi dell'ordinamento stesso. Ciò è provato dalle molteplici definizioni di diritto soggettivo nelle diverse epoche storiche. Nel diritto ecclesiastico la distinzione tra ecclesiastici, cui è attribuita la pienezza dei diritti, e fedeli laici posti su un piano minore, ha comportato un ulteriore complicazione del problema. Eccetto chi ha la residenza vaticana(Papa, cardinali residenti in Roma e altre poche eccezioni), gli ecclesiastici che risiedono nel territorio italiano hanno la cittadinanza italiana e sono soggetti alle leggi e all'ordinamento dello Stato italiano. Lo status di ecclesiastico è uno status particolare ma non privilegiato che è attribuito dall'ordinamento confessionale e recepito dall'ordinamento statale italiano. L'ecclesiastico quindi è sottoposto ad entrambi gli ordinamenti: l'uno coattivo e l'altro volontario. Comunque sia il fedele laico che l'ecclesiastico non possono vedersi degradare i loro diritti soggettivi. In questo capitolo facciamo riferimento ai diritti della persona. Tali diritti sono imprescrittibili, inalienabili, assoluti, intrasmissibili e irrinunciabili e sono garantiti dalla costituzione, la quale si fa carico anche di promuovere lo sviluppo di tali diritti della persona. A questi diritti si accompagnano i doveri della persona, come ad esempio il dovere di prestazione patrimoniale o di difendere la patria. Sarebbe necessario che tutte queste garanzie fossero attuate non solo sul piano formale ma anche sul piano pratico.
  • 20. 2. La condizione giuridica degli ecclesiastici. L'appartenenza ad una confessione religiosa non è irrilevante per l'ordinamento italiano, poiché quest'ultimo deve conoscere l'opzione religiosa dei propri cittadini fedeli che coattivamente appartengono all'ordinamento statale e volontariamente all'ordinamento confessionale. Ad esempio per la Chiesa cattolica, il popolo di Dio è costituito dai battezzati. Tuttavia è sempre l'ordinamento ad attribuire la personalità e ciò è riconosciuto anche dal diritto canonico secondo cui, nel momento del battesimo, il battezzato fa parte della società ecclesiastica ma non riceve una nuova personalità ma bensì la completa. Infatti il diritto canonico riconosce diritti e doveri anche ai cosiddetti infedeli. Con l'accordo del 1984, a differenza del concordato del 29, non si è sancita l'esclusione degli ecclesiastici dagli uffici di giurato, non si è sancito l'obbligo di comunicare allo stato la nomina dei vescovi e non si è sancito il divieto di appartenenza a partiti politici. L'unica norma che riguarda la condizione giuridica degli ecclesiastici nell’accordo del 1984 riguarda l'articolo quattro. Tale articolo sancisce la facoltà degli ecclesiastici di essere esonerati dal servizio militare e richiedere l'assegnazione al servizio civile. Inoltre è sancita la possibilità di non comunicare ai magistrati informazioni di reato acquisite mediante l'esercizio del proprio ufficio o professione. Si tratta in questo caso di facoltà e non di obblighi come previsto dal concordato del 29. Inoltre si dà la possibilità agli studenti di teologia e ai novizi degli istituti di vita consacrata di usufruire dei rinvii del servizio militare cui usufruiscono gli studenti universitari italiani. È prevista la possibilità, che in caso di mobilitazione generale, gli ecclesiastici possano, nel caso in cui non siano assegnati alle cure d'anime, esercitare il loro ministero religioso nelle truppe o nel servizio sanitario. Non è sancito nell'accordo dell'ottantaquattro l’esenzione degli ecclesiastici dagli uffici di giudice popolare. Gli ecclesiastici, negli edifici di culto, possono effettuare collette al loro interno. Nel caso di calamità pubbliche, di malattie contagiose, i ministri di culto possono ricevere testamento in presenza almeno di due persone con l'età di 16 anni. L'illecito religioso commesso da un religioso con il consenso dei suoi superiori comporta che anche i superiori stessi e l'ente committente rispondano di tale illecito. I ministri di culto possono essere soggetti attivi o passivi di un reato. L'aver commesso il fatto con abuso di potere o la violazione del proprio dovere d'ufficio costituisce un'aggravante e la pena è aumentata di un terzo. Così come costituisce un'aggravante d'aver commesso il reato contro un ministro di culto o contro un culto ammesso nello stato. L'articolo 406 del codice penale, poi dichiarato incostituzionale, diminuiva la pena nel caso di commissione dei reati di vilipendio al culto religioso nei confronti di persone o cose o del reato di turbamento delle funzioni religiose durante un culto(articoli 403,404 e 405 c.p.) se il culto era ammesso nello stato. abolito sostanzialmente l'articolo 402 che prevedeva il reato di vilipendio contro la religione di Stato( abolito perché non c'è +1 religione di Stato), l'articolo 403 e 404 del codice penale prevedono che il reato di vilipendio possa essere commesso contro persone fisiche o mediante danneggiamento di cose. L'articolo 404 primo comma del codice penale è stato abrogato nella parte in cui prevedeva la reclusione da uno a tre anni e non la diminuzione della pena prevista dall'articolo 403 al primo al secondo comma per la disparità di trattamento tra confessione cattolica e le altre confessioni. La legge numero ottantacinque del 2006 ha abrogato l'articolo 406 del codice penale e ha modificato l'articolo 403 e 404 del codice penale che riguardano i reati di vilipendio contro le persone fisiche o mediante danneggiamento di cose. L'articolo 405 del codice sancisce il reato di turbamento delle funzioni religiose che si concretizza mediante il disturbo durante pratiche religiose o cerimonie che si compiono con l'assistenza di un ministro di culto in un luogo destinato al culto o in un luogo pubblico o privato. Per quanto riguarda l'articolo due del protocollo modificativo dell'accordo del 1984 sancisce della Repubblica italiana comunica alle autorità ecclesiastiche competenti per territorio i procedimenti penali iniziati nei confronti di persone ecclesiastiche. Per quanto riguarda i delitti contro la pietà dei defunti, è punita con la reclusione da uno a cinque anni la violazione del Santo sepolcro. È punita con la reclusione da sei mesi a tre anni il vilipendio di tombe o cose di culto destinate ai
  • 21. defunti. Il turbamento di un servizio funebre o funerale è punito con la reclusione fino ad un anno. La distruzione, l'uso illegittimo, l'occultamento di cadavere è punito in vari modi. La bestemmia è punita con una contravvenzione dall'articolo 724 del codice penale ed è intesa come un'offesa ai simboli, alle divinità e alle persone venerate di quel culto religioso. Importanti sono anche le disposizioni del trattato lateranense. Tra queste ricordiamo l'articolo otto che, in base all'articolo uno del trattato che considera il pontefice persona sacra ed inviolabile, sancisce che l'attentato o la provocazione a commetterlo contro il pontefice è punito con le stesse pene previste per l'attentato o la provocazione a commetterlo contro il presidente della Repubblica. lo stesso vale per le offese e le ingiurie. Articolo 22 del trattato prevede che lo Stato italiano provveda alla punizione di quei delitti commessi nella città del Vaticano, meno che il soggetto imputato non dichiari di voler rifugiarsi nello Stato italiano e quindi sarà sottoposto inevitabilmente alle leggi italiane. Tale articolo prevede anche che la Santa sede consegna allo Stato italiano coloro che hanno commesso delitti che violano le leggi di entrambi gli Stati o abbiano commesso delitti nel territorio italiano o negli immobili immuni da violazioni, a meno che i preposti agli immobili non dichiarino di ammettere gli agenti italiani per l'arresto dell'imputato. Importante è anche l'articolo nove che sancisce la sottoposizione alla sovranità della Santa sede di tutti i residenti nella città del Vaticano. L'articolo 23 del trattato lateranense sancisce invece i provvedimenti dell'autorità ecclesiastica concernenti gli ecclesiastici o i religiosi o riguardanti materie spirituali o disciplinari obbligano il giudice civile a dare efficacia a tali provvedimenti. Il giudice civile non dichiarare il difetto di giurisdizione, poiché ciò sarebbe in contrasto con l'articolo 24 della costituzione. L'ecclesiastico potrà rivolgersi al giudice civile solo se è stata violata una norma procedimentale o se è stato violato un suo diritto di libertà fondamentale. 3. L'assistenza spirituale. Gli ecclesiastici devono garantire l'assistenza spirituale ai loro fedeli, tra cui le forze armate, i detenuti e coloro che sono in strutture ospedaliere. Il concordato del 29 garantiva all'assistenza spirituale solo alle forze armate e non anche ai detenuti negli istituti penitenziari e nelle strutture sanitarie. Ciò è avvenuto con l’articolo 11 dell'accordo modificativo del concordato nel 1984 con il quale si è sancita l'estensione, oltre alle forze armate, anche alle categorie sopra indicate. La nuova norma, articolo 11, coniuga l'esercizio della libertà religiosa all'assistenza spirituale e tale assistenza è garantita dagli ecclesiastici nominati dall’ autorità civile su designazione dell'autorità ecclesiastica secondo le modalità e l'organico previsto. Con il decreto legislativo 1022 del 1915 si sono istituiti i cappellani militari in numero non determinato ai quali era preposto un vescovo; con la legge numero 417 del 1926 si è sancito il ruolo stabile dei cappellani militari; con la legge numero 77 del 1936 è stato istituito il servizio nazionale di assistenza spirituale; con la legge numero 522 del 1961 è stato sancito che i cappellani militari dipendono da autorità civili e ecclesiastiche. La nomina dei sacerdoti a cappellani militari presuppone il godimento dei diritti civili e politici, instaurando con lo stato un vero e proprio rapporto di pubblico impiego. Per quanto riguarda l'assistenza spirituale negli istituti penitenziari, il regio decreto numero 260 del 1891 sanciva che la religione era tutto di recupero e di conseguenza si arrivò al punto di negare la libertà religiosa, cioè coloro che non volevano seguire il culto non potevano farlo. Ciò per quanto riguarda i cattolici mentre per coloro che appartenevano a confessioni a cattoliche erano più liberi di non seguire il loro culto. Successivamente con la legge numero 354 del 1975, sono venute meno tutte le disposizioni più impositive e viene sancita la totale libertà religiosa. Solo che mentre per i cattolici vi era un servizio regolare e stabile per esercitare il loro culto, per coloro che professavano le religioni non cattoliche l'esercizio del culto era garantito su richiesta e l'autorità doveva provvedere a chiamare i ministri di culto di quella religione. Per quanto riguarda l'assistenza spirituale al personale della polizia di Stato, la legge numero 92 del 1991 sanciva che i cappellani erano nominati con decreto del ministro dell'interno, d'accordo con il presidente della conferenza episcopale italiana, su designazione del vescovo. Non era però instaurato un rapporto di pubblico impiego. Successivamente con