3. I CAMPI DI CONCENTRAMENTO LA CAMPAGNA DI RUSSIA
I PARTIGIANI
4. I CAMPI DI
CONCENTRAMENTO
I campi di concentramento
Lo sterminio ebreo
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5. I CAMPI DI
CONCENTRAMENTO
Cosa sono
Auschwitz
Il bambino col pigiama a righe
Anna Frank
Foto
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6. COSA SONO
I principi razzisti che erano alla base del pensiero politico di Hitler cominciarono a trovare
applicazione a partire dei primi anni trenta. L‟idea “dell‟uomo nuovo”, dell‟ariano da difendere contro
tutti i “nemici dello stato” produsse i primi campi di concentramento (1933): vi finirono 500 prigionieri
politici per essere “rieducati”. Hitler decise di avviare una campagna contro gli ebrei
colpevoli, secondo lui, di aver protestato contro la politica ormai autoritaria del cancelliere. Gli ebrei
furono così immediatamente esclusi dagli impieghi pubblici, furono impediti matrimoni misti tra ebrei
e non, per mantenere la “purezza della razza”, e molti di questi furono costretti all‟esilio. Le prime
uccisioni si ebbero il 9 novembre 1938 con la notte dei cristalli, dove tutti i negozi gestiti da ebrei
vennero distrutti.
Nella conferenza di Wannsee (1942) si discusse la pianificazione del genocidio. Si trattava di
programmare l‟evacuazione degli ebrei all‟est, il loro sfruttamento in campi da lavoro fino
all‟annientamento fisico, ed un trattamento speciale per inabili, donne, anziani e bambini. I ghetti
furono svuotati e cominciò il rastrellamento nelle comunità ebraiche di tutta Europa.
L‟Italia inizialmente non partecipò alla prima evacuazione, le cose cambiarono nel 1943 quando
Mussolini accettò di entrare a far parte del progetto del genocidio pianificato. L‟unico campo di
concentramento esistente in Italia fu quello di Trieste: la risiera si San Sabba. A questo punto la
chiesa non potè fare molto, essendo Roma occupata dai tedeschi, anche se molti sacerdoti cercarono
di aiutare le famiglie ebraiche a scappare dalla deportazione.
Il primo campo di concentramento nacque a Chelmmo, in Polonia. Successivamente se ne costruirono
molti altri ma il più letale fu quello di Auschwitz-Birkenau , gia usato in precedenza come campo di
concentramento per soldati russi.
Quando il comandante delle SS Himmler diede l‟ordine di distruggere gli impianti e bruciare tutti i
documenti relativi al campo gli ebrei morti in quel solo luogo erano circa un milione.
Il 27 gennaio 1945 i russi scoprirono la “città della morte”.
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7. AUSHWITZ
Il campo di Auschwitz si trova a Blumenthal, piccolo villaggio della Polonia, che oggi fa parte di Brema.
Auschwitz fu fondato nel 1940 e fu comandato inizialmente da Rudolf Hoss. Nel giugno dello stesso
anno la Gestapo condusse i primi prigionieri nel campo. La quantità media oscillava tra i 13000 e i
16000 detenuti, i quali “alloggiavano” nei blocchi; parimenti all‟aumento di detenuti, il campo si
ampliava trasformandosi via via in un vero e proprio campo di sterminio. In sale che potevano
contenere al massimo quaranta, cinquanta persone, dormivano più di duecento persone. Al di fuori del
recinto del campo è visibile ancora oggi il crematorio. Davanti alla sua entrata si può ora vedere la
forca con il quale fu eseguita la condanna a morte di Rudolf Hoss.
All‟arrivo i detenuti venivano privati di tutti gli affetti personali, compresi i vestiti, venivano loro
rasati icapelli, e condotti alla disinfezione ed al bagno. Successivamente veniva loro “tatuato” sul
braccio un numero, il loro nuovo ed unico nome. Inizialmente venivano usati per l‟ampliamento del
campo di concentramento, ma successivamente vennero usati come manodopera a basso costo per
l‟industria del Terzo Reich. Ad Auschwitz venivano deportati anche bambini, obbligati, per la maggior
parte, sin dal loro arrivo a fare “la doccia”, via diretta verso la morte: infatti, entrati in queste piccole
stanze, venivano soffocati con il Zyclon B, ovvero acido cianidrico. Peculiarità sulle punizioni applicate
dalle SS: i detenuti potevano essere puniti sulla base di qualsivoglia genere di colpa: per aver raccolto
una mela, per essersi tolto un dente chiaramente d‟oro per ricevere in cambio un pezzo di
pane, oppure perché si riteneva che lavorasse “troppo lentamente”.
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8. IL BAMBINO COL PIGIAMA
A RIGHE
Protagonista del romanzo è Bruno, un bambino di nove anni: vive a Berlino, in una grande casa con
mamma, papà e sorella maggiore. D‟improvviso la famiglia deve trasferirsi. Siamo in Germania nel 1942.
La nuova casa è triste e isolata: una villetta in mezzo alla campagna in vicinanza di una interminabile
recinzione di rete metallica, all‟interno della quale si vedono costruzioni in mattoni rossi fra i quali
svetta un altissimo camino.
Il papà di Bruno è comandante di un campo di sterminio, ma il bambino non sa di cosa si tratta, non
capisce perché deve vivere in un posto che non gli piace, non accetta di non avere amici. Un
giorno, dietro la recinzione, trova un bambino, Shmuel (Samuel in polacco), molto magro, vestito con un
pigiama a righe: è l‟unico essere vivente della sua stessa età e riesce a fare amicizia con lui, sempre
diviso dalle maglie della rete.
Il romanzo risente di una costruzione narrativa spesso molto costruita. I due bambini hanno nove anni:
possibile che Shmuel non spieghi all‟amico cosa accade nel campo di sterminio e che Bruno continui a
credere che si tratti di una comunità umana non diversa da quelle normali dei paesi e delle città? Le
vicende risentono di una forzatura non sempre accettabile.
Probabilmente un giovane lettore non si accorge di certe contraddizioni nello sviluppo della vicenda ed
è corretto e doveroso che l‟adulto glielo faccia notare. Se l‟ambientazione del libro è quella dei campi
di sterminio nazisti, tre temi risultano: l‟amicizia fra i due bambini che, pur con le contraddizioni sopra
accennate, assume un forte significato emotivo; l‟obbedienza del protagonista e della famiglia al
padre, per la quale non viene mai messa in discussione la sua terribile attività e le conseguenze che
moglie e figli devono sopportare; il modo sbagliato del metodo educativo di genitori che pensano
soltanto a se stessi.
Nel libro, il campo di sterminio viene chiamato Auscit anziché Auschwitz perché Bruno non sa
pronunciare un nome tanto difficile. Sulla vita e le vicende del padre alto ufficiale, incombe la figura
del Grande Capo chiamato “il Furio” invece che il Fürher, come invece è il suo vero nome.
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9. ANNA FRANK
Frank, Anne (Francoforte 1929 - Bergen Belsen 1945), giovane ebrea di origine tedesca, vittima della
Shoah. Trasferitasi ad Amsterdam con la famiglia nel 1933, a partire dal luglio del 1942 si nascose
con altri ebrei in un alloggio segreto, per sfuggire all'arresto e alle persecuzioni naziste. Nell'agosto
del 1944, quando Anne aveva appena 15 anni, l'intera famiglia venne scoperta e deportata. Anne e la
sorella morirono nel campo di concentramento tedesco di Bergen-Belsen meno di un anno dopo: di tutti
gli ospiti dell'appartamento segreto si salvò solo suo padre. Nel nascondiglio olandese venne ritrovato
il diario di Anne, che narra con spirito vivace e grande tenerezza le traversie vissute da tutto il
gruppo nei due anni di reclusione. Pubblicato per la prima volta nel 1947 con il titolo Het Achterhuis
(Il retrobottega), apparve in Italia nel 1954 con il titolo Il diario di Anna Frank. Il libro riscosse
enorme e duraturo successo ed ebbe diversi adattamenti teatrali e cinematografici.
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13. LO STERMINIO EBREO
In Germania i nazisti, non appena si insediarono al potere, il 30 gennaio 1933, istituirono i
Konzentrazionslager, dove la polizia politica, la Gestapo, rinchiuse oppositori politici-
comunisti, socialisti, "dissidenti religiosi", testimoni di Geova, protestanti dissidenti ed ebrei. Inoltre
la polizia criminale, operò arresti preventivi di persone con precedenti penali, di
zingari, omosessuali, disabili, prostitute e di tutti coloro che a vario titolo vennero considerati
"associali". I campi furono gestiti dalle SS (Schutzstaffen o unità di protezione) con una brutale
severissima disciplina militare. (cartina) Nella seconda metà degli anni Trenta campi di
concentramento furono insediati a Dachau, Auschwitz-
BIRKENAU, Sachsenhausen, Buchenwald, Flossembürg, Mauthausen e Ravensbrück, che fu un campo
esclusivamente femminile. Nel 1939 gli internati erano 25.000. Durante la seconda guerra mondiale
vennero costruiti molti altri campi, alcuni dei quali anche in Polonia e in Serbia dove finirono
ebrei, prigionieri di guerra sovietici e partigiani. A partire dal 1942 furono instituiti i campi di
sterminio, nei quali venivano rinchiusi ebrei vittime di deportazioni sistematiche, eseguite per attuare
"la soluzione finale", che ebbe come scopo l'annientamento delle razze inferiori. Gli internati erano
costretti ai lavori forzati e coloro che non resistevano venivano uccisi. Alcuni vennero addirittura
impiegati come cavie in sperimentazione scientifiche e mediche. Perirono con i gas oppure per fame e
malattie circa 11 milioni di persone, di cui più di 6 milioni di ebrei.
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15. STORIA
L„ invasione della Russia da parte di Hitler mutò radicalmente tutte le prospettive della
guerra, segnando il primo fallimento del piano hitleriano di impadronirsi dei giacimenti pertroliferi
utili a garantire l‟approvigionamento energetico all‟esercito tedesco impeganto nella conquista del
mondo. Al contingente italiano iniziale si aggiungono gli alpini che partono ammassati sui carri
bestiame, convogli che ansimano nella steppa sconfinata diretti verso l‟ignoto. Uomini sostenuti dallo
spirito eroico voluto dall‟indottrinamento fascista che impiegano un mese per arrivare, un viaggio
interminabile, in una grandissima terra sconosciuta, per giungere in capo al mondo, fino alla linea del
fronte, dove si scavano buche per salvarsi dal fuoco nemico, chilometri e chilometri di camminamenti
solcano la steppa, i soldati vivono sottoterra come talpe.
L‟avanzata tedesca procede ma qualcosa sta per accadere. Hitler si intestardisce e punta sulla città
che porta il nome del suo nemico: Stalingrado. Due tiranni a confronto che inseguendo folli obiettivi
firmano la morte di molti uomini. Un esercito, quello germanico, la cui potenza era stata portata ad un
grado altissimo in funzione degli ambiziosi propositi del suo governante, per combattere contro un
esercito altrettanto potente, quello sovietico, animato dal convincimento di battersi per una causa
giusta, quella cioè di difendere il proprio Paese. Da questo momento inizia la lenta ma inesorabile
disfatta degli eserciti invasori, incalzati dagli assalti inaspettati della disperata resistenza di
siberiani, cosacchi e mongoli, assediati dal terribile inverno e completamente disorientati di fronte
alle aperte e sterminate pianure sovietiche. I tedeschi stringono d‟assedio la città, ma si trovano
accerchiati dalla controffensiva sovietica, il fuoco è continuo, si combatte ovunque, corpo a corpo, una
situazione difficilissima dove gli uomini divengono bersagli umani che si assottiglaino giorno dopo
giorno. Il nemico resiste e combatte, Stalingrado è un cumulo di macerie ma non cede. L‟inverno è alle
porte, le strade impraticabili, il gelo terribile, si aggiunga la disperata condizione fisica in cui
versavano i soldati italiani, che non avevano un equipaggiamento adatto a quel clima. I russi
invece hanno felpe, giubbotti, colbacchi, fisici temprati a quelle temperature e vodka a volontà.
I tedeschi chiedono a Hitler di ritirarsi, permesso negato. L‟intera armata germanica è condannata a
morte. I russi sferrano l‟ultimo attacco. Inizia qui la ritirata. L‘inferno bianco prende il via:
fame, freddo, pidocchi, senza scarpe, senza munizioni, senza coperte e tende, marce interminabili a -
40 gradi. Disorientati nel bianco paesaggio, intere divisioni si muovono allo sbando, tallonati dai russi.
Il caos è generale. I feriti vengono abbandonati sul campo senza assitenza, gli attacchi russi sono
inesorabili e i nostri alpini combattono, ancora, con armi prive di munizioni e il vento copre con la neve
i cadaveri di tutti i soldati che nella bianca terra diventano uguali. Una massa di disperati, nel gelo
polare, prosegue il cammino per cercare la salvezza fuori dalla sacca in cui il nemico li ha rinchiusi, nel
gelido paesaggio, affondando nel proprio sepolcro. I tedeschi si arrendono e si avviano ai gulag. Delle
due armate partire alimentate dai folli disegni di Hitler rimangono dei fagotti umani che cadono nella
neve per fame e cancrena. Di molti non si sa nulla, tanti i dispersi rimasti nel manto nevoso sovietico.
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16. INTERVISTA
Ho intervistato mio nonno Renato, autiere dello C.S.I.R e reduce
della Campagna di Russia.
Il fronte del Don
Aneddoti
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17. IL FRONTE DEL DON
Durante la Campagna in Russia, il fronte italiano sulle sponde del fiume Don (l‟ Ottava Armata italiana)
era diviso in tre principali settori:
-l‟Armata Alpina, formata da Tridentina, Julia(Vicenza) e Cuneense ;
-il Secondo Corpo d‟ Armata ,formato da Cosseria, Ravenna e Sforzesca
-il Trentacinquesimo Corpo d‟ Armata, formato da Pasubio, Torino e Celere.
Queste ultime tre componevano lo C.S.I.R (Corpo di Spedizione Italiano in Russia).
Oltre all‟ Ottava Armata erano presenti anche due battaglioni di camicie nere.
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19. LE ARMI
L‟ Italia non disponeva di un‟ equipaggiamento avanzato.
Le uniche armi che si avevano a disposizione erano quelle dei padri che avevano combattuto la prima
guerra mondiale, e si combatteva nella steppa invernale con scarpe di cartone.
La Russia, invece, disponeva di un vasto arsenale molto avanzato, come il Parabellum (mitraglia a 72
colpi al secondo) e la Katiushia (mortaio da 36 colpi al secondo).
Inoltre, la Russia utilizzava in guerra i devastanti carri armati T34, dalla particolare forma a guscio
d‟ uovo, che permetteva ai proiettili nemici di scivolarci sopra.
«L‟unico modo per abbatterli era sparare nei cingoli» dice mio nonno « ma quando lo capimmo, forse
era troppo tardi per molti».
Ma l‟arma più letale era il Generale Inverno, che aveva ucciso la maggior parte dell‟ esercito italiano.
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20. LA RITIRATA
Un giorno, ci fu uno spostamento. Al ritorno, ero a metà della colonna, quando notai che il tenente proseguì
dritto invece di girare a sinistra.
Così, sorpassai il resto della colonna, andai in testa alla fila e la fermai.
Il tenente mi chiese cosa volevo, e io gli spiegai che avevamo sbagliato direzione.
“Zimaglia,”mi disse “và e guida tu la colonna”.
Così raggiungemmo il campo e il tenente mi ringraziò: sbagliando direzione saremmo finiti nelle mani del nemico.
Il 20 dicembre iniziammo la ritirata. Viaggiammo fino al 25 febbraio.
Nei primi di Gennaio, dei superiori non ven'era più l'ombra. Erano tutti scappati via,e il pullman dello Stato
Maggiore non era più in testa alla colonna. Ci avevano lasciati nella steppa russa senza guida né viveri, e non
sapevamo dove andare. L' esercito russo ci inseguiva con i RATA(i caccia) e i T34.
Ci salvammo soltanto grazie all' aiuto delle donne russe che ci accolsero nelle isbe e ci indicarono la strada per
il ritorno.
La loro ospitalità era un ringraziamento per ciò che facemmo alcuni anni prima.
Era luglio e stavamo avanzando. In realtà, la Russia non si stava ritraendo, ma ci aveva teso una trappola
nell'ansa del Don.
Passando per i villaggi, vedevamo la feci di animali ancora calde, ma non vi era anima viva in giro.
Dopo qualche giorno, cominciarono a mostrare il naso dalle finestre.
Così noi tirammo fuori un pezzo di pagnotta e loro uscirono dalle abitazioni.
Ci raccontarono che la propaganda russa aveva detto loro che eravamo cannibali, e per questo motivo non
dovevano avere contatti con noi.
Dopo avergli dato del cibo, gli abitanti capirono che eravamo brave persone e cominciarono a chiamarci
Italianski Karoshi (italiani buoni)
Tutti i giorni le babushke venivano da noi e ci dicevano “2,3,4 bambini ma niente da mangiare”.
Così gli demmo ogni giorno un po' del nostro cibo e da ciò nacque un' amicizia.
Quando, alcuni tempi dopo, passammo di lì, si ricordarono del nostro gesto e ci ospitarono nelle loro abitazioni.
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21. I TEDESCHI
Zurich! Questa parola l‟ ho imparata con la pistola puntata alla tempia.
Era la pistola di un tedesco. Non ci siamo mai piaciuti, noi Italiani e loro.
Ho visto un tedesco sparare nel petto di un uomo per un paio di scarpe che erano nel magazzino. Ma di
scarpe cene erano a centinaia. Ho visto ammazzare un fratello, ma sono stato fermo e zitto, insieme ai
compagni, per scampare la fine del morto. Eravamo alleati e nemici allo stesso tempo. Le esperienze
peggiori le ho passate proprio con loro, con i tedeschi. Neanche il mio comandante li sopportava. Lui
era un‟ antifascista, era un brav‟ uomo. Era un romano, si chiamava Carbone. E a lui, i tedeschi, non
piacevano affatto.
Zurich
22. LA LEGNA
Quel giorno, un soldato venne da me, dicendomi che il Senior(il capo) mi voleva nel suo
ufficio per parlarmi, così mi presentai al mio superiore.
Mi disse che era terminata la legna al campo, e che se fossi andato a procurarne, mi
avrebbe dato 5 pacchetti di sigarette.
Gli risposi che lo facevo, non per le sigarette, ma perchè sapevo di fargli un favore.
Così salii sul cammion e mi avviai.
Passando accanto al Don, i Russi sentirono il rumore del cammion e iniziarono a sparare.
Riuscii ad arrivare dal Generale di Cavallermaggiore presente al fronte
“Generale, ho paura” gli dissi.
“Noi siamo qui ogni giorno, Zimaglia”.
Dopodichè mi fece andare nel rifugio.Quando il rumore assordante degli spari
cessò, cricammo la legna sul cammion e mi diressi al mio campo base.
Arrivato dal Senior, mi consegnòi 5 pacchetti di sigarette. Erano sì 5, ma pacchetti
rumeni e da sei sigarette ciascuno.
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23. I PARTIGIANI
Chi sono
I partigiani nelle nostre zone
Il partigiano Johnny
24. IL PARTIGIANO JOHNNY
Il protagonista del romanzo, un ragazzo sui vent'anni, Johnny è un intellettuale borghese alla ricerca
di se stesso, insoddisfatto della propria condizione esistenziale. Dopo l'otto settembre del 1943 si
rifugia fra le colline nei pressi della città di Alba. È questo un periodo di profonda crisi: l'inattività lo
sta logorando. Decide quindi di unirsi alla lotta partigiana e si unisce dapprima ai partigiani Rossi, di
ideologia comunista, e, in seguito, ai partigiani Azzurri, badogliani. Questa proiezione improvvisa in una
realtà completamente diversa da quella borghese provoca in Johnny un sentimento di totale
smarrimento: non rinnega la sua origine, ma tenta allo stesso tempo di immettersi in un ideale
proletario: Johnny si unisce ai partigiani Rossi per puro caso. La scelta della lotta partigiana è per lui
esistenziale e morale: è una lotta contro un nemico assoluto, incarnazione del male metafisico. La
guerra non è il fine della narrazione, ma il mezzo: un punto di passaggio obbligatorio lungo il percorso
di ricerca della propria dimensione. La guerra è scontro dell'uomo con la violenza, con la sofferenza e
con la morte; la guerra toglie ogni dignità umana all'individuo. La narrazione è ambientata nella zona
delle Langhe (Monferrato, Piemonte). La natura di quest'area geografica viene umanizzata da
Fenoglio: durante una tragica operazione di guerriglia partigiana, in cui si salva solo Johnny, la
vegetazione circostante, le piante, gli alberi che assistono alla scena diventano
cupi, scuri, rispecchiando lo stato d'animo dei protagonisti umani. È una natura che riflette i
sentimenti di Johnny (elemento inconcepibile per il neorealismo). Così mentre Johnny marcisce
nell'inattività iniziale, il paesaggio, le colline circostanti, il "mood around him", lo nausea. Le stelle che
osserva durante la notte insonne, dal suo possedimento sulla collina, sono le stesse che osserva
mentre è costretto a fuggire dai rastrellamenti fascisti dopo la disfatta di Alba, quando tutti i suoi
compagni sono morti o spacciati. Johnny non si integra con i vari gruppi di partigiani, tuttavia la
condivisione di esperienze, come il continuo faccia a faccia con la morte, lo portano a legare con alcuni
suoi compagni come Pierre ed Ettore. In ogni caso l'amicizia non è il filone portante dell'opera: in
questo suo iter Johnny è solo. Il ruolo del dualismo casa/famiglia è fondamentale: Johnny si allontana
a grandi passi dall'ambiente familiare, distaccandosene inevitabilmente. Quando ha la possibilità di
rientrare, per un breve periodo, in famiglia, quasi non riesce più a sopportare le accoglienti coperte
del suo comodo letto: preferisce i giacigli delle foglie dei boschi dove ha combattuto. Il distacco
talmente profondo che sfocia nell'intolleranza: quando entra in contatto con una famiglia borghese
che lo ospita è nauseato da quell'ambiente così vuoto, privo ormai di significato.
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25. CHI SONO
La figura del partigiano compare nella storia fin dall'antichità. Possiamo identificare in Spartaco e nel suo esercito irregolare una prima
forma di partigianeria, una lotta irregolare contro un potere ufficialmente costituito. In epoca moderna per la prima volta compare la
figura del partigiano in Michele Pezza che, riunito un esercito volontario, nel 1799 liberò Napoli dalle truppe di occupazione francesi.
Movimenti partigiani comparvero anche nella guerra partigiana spagnola, che scoppiò in seguito alla sconfitta dell'esercito spagnolo ad
opera di Napoleone nel 1808. Si trattò di oltre 200 battaglie combattute non coordinatamente.
La guerriglia partigiana si propagò anche nel centro Europa, e si manifestò nel 1809 in Austria e Tirolo, dove però fu presto soffocata
nel sangue.
Fondamentale, per la figura del partigiano, sono gli anni 1812 e 1813 in Prussia. Nel 1812 lo Stato Maggiore prussiano emanò una nota in
cui, rifacendosi alla guerra civile spagnola, incitava i germanici alla resistenza partigiana. Questo non fu altro che l'anticipazione
dell'Editto prussiano sulla milizia territoriale della primavera del 1813, firmato dal re in persona, che esortava i cittadini alla
resistenza, ad opporsi alle forze napoleoniche con ogni tipo di mezzo, a non collaborare con l'invasore e a compiere atti terroristici.
Solo pochi mesi dopo, il 17 luglio, l'Editto fu modificato, con lo scopo di reincanalare le forze popolari negli schemi tradizionali della
guerra.
La Berlino degli anni tra il 1808 e il 1813 offre perciò la teorizzazione e la legittimazione filosofica del partigiano, sebbene la figura del
partigiano verrà cancellata per quasi un secolo dallo jus publicum europaeum. I tedeschi in particolare si ricorderanno della sua
esistenza in maniera ufficiale solo alla fine del secondo conflitto mondiale, costituendo due corpi destinati al combattimento contro gli
irregolari.
Episodi di lotta partigiana avvennero in Italia a partire dal 1860 (fenomeno d'insurrezione denominato "brigantaggio"); secondo una
corrente storiografica questi furono causati dall'opposizione al processo di unificazione nazionale guidato dal Regno di Sardegna
secondo altre correnti storiografiche, come nell'interpretazione risorgimentale gramsciana questi episodi sono principalmente
riconducibili a lotte popolare provocate da motivi economici. Bande armate di ex soldati borbonici, finanziate dal sovrano borbonico in
esilio a Roma, legittimisti o semplici contadini (i cosiddetti briganti), fronteggiavano le truppe regolari del Regno d'Italia, riuscendo
talvolta a prendere il controllo di territori. In particolare in alcune province del regno di Napoli la guerriglia a sfondo politico durò fino
al 1865, causando un numero imprecisato di vittime, rimanendo infine presente come fenomeno di criminalità organizzata.
Nel frattempo il partigiano trova un suo spazio specifico in Russia e in Cina. In Russia, dopo la sua comparsa nella campagna napoleonica
del 1812 e in Guerra e pace, Lenin ne farà uno strumento del Partito. In Cina, Mao guiderà la lotta partigiana contro il Giappone e contro
Chiang Kai-Shek, costruendo attorno ad esse il Partito Comunista, che poneva al centro la figura del partigiano. Lenin ne fece uno
strumento del Partito (con una propensione verso l'esterno), Mao partì da esso per costruire il Partito (connotazione maggiormente
tellurica).
Durante la seconda guerra mondiale, parallelamente alla Resistenza italiana vi sono state analoghe forma di lotta nel mondo ed in
Europa, come ad esempio l'Armata Popolare di Liberazione della Jugoslavia, la Resistenza sovietica svoltasi al di là delle linee tedesche,
la Resistenza tedesca (la Rosa Bianca e la Rote Kapelle) e la Resistenza francese, detta Maquis.
In Italia, nel secondo dopoguerra, il termine "partigiano" fu genericamente utilizzato per definire tutti i combattenti della Resistenza,
ma nel corso del conflitto venivano indicati con tale termine coloro che avevano scelto di darsi alla macchia unendosi a formazioni
armate, mentre coloro che operavano clandestinamente nelle città venivano chiamati "patrioti".
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26. I PARTIGIANI NELLE
NOSTRE ZONE
LA REPUBBLICA PARLAMENTARE DI ALBA.
La Repubblica partigiana di Alba fu un'entità politicamente autonoma che ebbe esistenza breve (dal 10
ottobre al 2 novembre 1944) ad Alba, nell'Italia settentrionale e che si inserisce nelle cosiddette
repubbliche partigiane, di cui la prima fu la Repubblica del Corniolo.
La Repubblica fu chiamata così per ricordare quella istituita da Napoleone dal 1796 al 1801 in
Piemonte.
Sorta come presidio di resistenza locale contro il fascismo durante la seconda guerra mondiale, il 10
ottobre 1944 il 1º Gruppo Divisioni Alpine comandato da Enrico Martini "Mauri", occupa la città in
pratica senza combattere. Le Brigate Garibaldi e le Brigate Giustizia e Libertà, si aggregano
successivamente e nel momento del contrattacco delle forze nazifasciste partecipano alla battaglia
per la difesa, che risultò inutile.
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