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Il Fiscal Compact - Parte 1

  1. Il Fiscal Compact La storia delle misure di austerity Parte 1: dalTrattato di Maastricht alla crisi economica del 2008
  2. Un punto fondamentale: cos’è il Fiscal Compact? Negli ultimi due anni – e soprattutto negli ultimi mesi – si sente parlare sempre più spesso del Fiscal Compact. Ma cos’è esattamente questo Fiscal Compact? Apparentemente nessuno ne ha un’idea precisa, nemmeno molti dei nostri politici. Volendolo spiegare in modo semplice, è un accordo intergovernativo esterno alle dinamiche istituzionali dell’Unione Europea in senso stretto, ma non ne è totalmente avulso – anzi, in vari punti si richiama al rispetto ed alla applicazione delle norme comunitarie. La sua sottoscrizione è stata funzionale alla creazione del Meccanismo Europeo di Stabilità (MES), un ente finanziario di diritto internazionale sullo stile del Fondo Monetario Internazionale, il cui scopo sia quello di sostenere gli Stati sottoscrittori in caso di crisi economica – imponendo però condizioni stringenti sui bilanci nazionali, che sono state accorpate sotto la comune denominazione di misure di austerity. Prima di giungere alla firma di questo trattato si sono attraversati vari passaggi istituzionali e accordi, con una forte accelerazione nel periodo successivo al diffondersi della crisi economica del 2008. Associazione Europa2020 – www.associazioneeuropa2020.eu
  3. La sequenza delle misure intraprese Associazione Europa2020 – www.associazioneeuropa2020.eu Patto stabilità e crescita (PSC) 1997 Fondo europeo di stabilità finanziaria (EFSF) – o Fondo Salvastati 2010 Meccanismo Europeo di Stabilizzazione Finanziaria (EFSM) 2010 Patto Euro Plus 2011 Six Pack 2011 Riforma articolo 136 TFUE 2011 Trattato di stabilità, coordinamento e governance (Fiscal Compact) 2013 Meccanismo Europeo di Stabilità (MES)
  4. Le origini: da Maastricht al Patto di Stabilità e Crescita La creazione di un sistema economico e, soprattutto, monetario come quello europeo è un’operazione mastodontica sotto molti punti di vista. La sola operazione di armonizzazione dei sistemi economici e monetari – tra loro più o meno profondamente diversi – rappresenta il problema che in modo più evidente emerge nel considerare la storia dell’integrazione europea recente; al fine di risolvere le innumerevoli problematiche che di volta in volta si sono poste è stato necessario sviluppare un ampio corpus di regolamentazioni e politiche comunitarie il cui scopo era il conseguimento dell’equilibrio macroeconomico, in particolare nei settori finanziario e monetario, fondamentali per la creazione di un sistema monetario unico – l’Eurozona. In origine questi criteri sono stati stabiliti con il Trattato di Maastricht (1992), che impose la «famigerata» soglia del deficit al 3% annuo, da affiancare al rientro del debito pubblico entro il tetto massimo del 60% del PIL. Il perché questa così stringente disciplina di bilancio per gli Stati membri è da ricercarsi nelle politiche economiche praticate in quegli anni dai principali Paesi Europei: nonostante ci si avvicinasse alla creazione della Moneta Unica, molti Paesi europei continuavano ad espandere il proprio debito pubblico, pensando di poter continuare a ricorrere a politiche monetarie «flessibili» - come la possibilità di stampare moneta (e creare quindi inflazione) per ripagare il debito pubblico. Associazione Europa2020 – www.associazioneeuropa2020.eu
  5. Il Patto di Stabilità e Crescita Il rischio – concreto – che simili politiche nazionali potessero aumentare l’instabilità del sistema economico europeo, soprattutto in previsione dell’adozione della Moneta Unica, hanno spinto i Paesi membri dell’allora Comunità Europea a sottoscrivere un accordo con cui si impegnavano a migliorare la loro stabilità finanziaria ed economica attraverso il raggiungimento dei livelli definiti nel Trattato di Maastricht: fu così sottoscritto nel giugno del 1997 il Patto di Stabilità e Crescita, con cui gli Stati membri si impegnavano in modo vincolante al rispetto dei parametri di Maastricht in previsione dell’introduzione dell’Euro. Il Patto non ebbe però un seguito molto concreto nell’ambito delle politiche nazionali, ed anzi vi furono anche varie critiche durante le crisi economiche asiatica e durante lo scoppio della bolla della new-economy. A causa della rigidità dei parametri, soprattutto durante i periodi di congiuntura negativa, molti Paesi iniziarono a contestarne l’effettiva funzionalità e a lamentare l’effetto compressivo di un simile sistema. Tra quelli che maggiormente si sono battuti per la riforma del Patto di Stabilità e Crescita, ottenuta nel 2005 con una serie di modifiche che lo hanno reso di fatto inutile se non come sistema di controllo sulla disciplina fiscale furono la Francia e – soprattutto – la Germania, che lamentava l’eccessivo rigore del sistema. Associazione Europa2020 – www.associazioneeuropa2020.eu
  6. Deficit pubblico e debito pubblico Associazione Europa2020 – www.associazioneeuropa2020.eu Al fine di comprendere in modo corretto i parametri imposti dal Trattato di Maastricht, rafforzati poi dai successivi accordi a livello comunitario e internazionale, è necessario in primo luogo definire l’esatta differenza che intercorre tra deficit e debito. Deficit Il deficit (di bilancio) consiste nella differenza tra entrate ed uscite alla chiusura del bilancio annuale. Se le uscite superano le entrate, si parla di deficit. Debito Il debito consiste nell’insieme dei prestiti e dei finanziamenti che un ente sottoscrive per coprire la propria attività in caso di entrate insufficienti.
  7. Il bilancio di uno Stato conta su un numero relativamente ristretto di fonti d’entrate, divisibili principalmente in entrate tributarie (la tassazione) ed extra- tributarie (le spese sostenute dai cittadini per l’acquisto di beni e servizi offerti dallo Stato attraverso la Pubblica Amministrazione), a cui si sommano eventuali entrate occasionali, derivanti da operazioni «uniche» come una privatizzazione. Assai più complesso è il quadro delle uscite, che include molteplici voci di spesa, tra cui si annoverano anche le spese di copertura del debito. La riduzione del rapporto debito/PIL al 60% mira proprio al contenimento di quest’ultimo: se infatti il debito supera determinate soglie c’è il rischio che il costo degli interessi – che lo Stato è tenuto a pagare per la sua copertura – sia tale da creare ulteriore debito, innescando una spirale viziosa di indebitamento e ingessando in modo irreversibile il bilancio statale. A questo proposito è importante considerare anche un altro elemento, ossia il differenziale tra i tassi di interesse che uno Stato deve offrire per «piazzare» il proprio debito – lo spread. Per quanto riguarda i mercati europei, questo si calcola in riferimento ai rendimenti (tassi di interesse annuali) dei buoni del Tesoro tedeschi, che vengono generalmente presi come riferimento (benchmark). Associazione Europa2020 – www.associazioneeuropa2020.eu
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