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24
1 Luglio
2013
Direttore responsabile:
Giovanni Ajassa
tel. 0647028414
giovanni.ajassa@bnlmail.com
Banca Nazionale del Lavoro
Gruppo BNP Paribas
Via Vittorio Veneto 119
00187 Roma
Autorizzazione del Tribunale
di Roma n. 159/2002
del 9/4/2002
Le opinioni espresse
non impegnano la
responsabilità
della banca.
La pressione fiscale in Italia ha raggiunto il 44% del Pil; escludendo dal calcolo
l’economia sommersa si sale a quasi il 60%. Il nostro sistema fiscale si caratterizza
per la centralità della tassazione sul lavoro, a fronte di un basso peso delle tasse sui
consumi e un livello adeguato di imposizione sulle proprietà immobiliari. Il regime
delle agevolazioni fiscali rende il sistema complesso, poco efficace e poco orientato
alla crescita. Un sostegno alla competitività del Paese potrebbe giungere da una
“svalutazione fiscale”, realizzando uno spostamento della tassazione dal lavoro ai
consumi. Per un sistema equo, che sostenga la crescita, è necessario un forte
abbassamento dell’evasione: se l’economia sommersa si riducesse al livello medio
dell’area euro, emergerebbero oltre 100 miliardi di base imponibile, con un gettito
aggiuntivo stimabile in più di 45 miliardi, un importo pari al deficit delle
Amministrazioni pubbliche nel 2012.
Aliquota fiscale implicita sul lavoro
(valori %)
38,8
37,1
40,5
38,6
37,8
42,3
36
37
38
39
40
41
42
43
44
1995
1996
1997
1998
1999
2000
2001
2002
2003
2004
2005
2006
2007
2008
2009
2010
2011
Germania Francia Italia
Fonte: elaborazione Servizio Studi Bnl su dati Eurostat
2
1 luglio 2013
Per l’Italia: un nuovo sistema fiscale che guardi alla
crescita
P. Ciocca  06-47028431 – paolo.ciocca@bnlmail.com
La pressione fiscale e contributiva in Italia ha raggiunto il 44% del Pil, un dato
elevato nel confronto internazionale. Nel valutare il livello della pressione fiscale
è, però, opportuno inserire nell’analisi il peso dell’economia sommersa, che in
Italia è stimata al 21,6% del Pil, oltre 6 punti percentuali in più dell’area euro.
Escludendo l’economia sommersa, la pressione fiscale si avvicina al 60%.
Nel nostro Paese l’elevato debito pubblico lascia poco spazio per politiche
espansive. Diviene opportuna una rivisitazione dell’intero sistema impositivo,
che guardi alla crescita dell’economia. Il confronto con le altre economie
europee consente di individuare i caratteri fondamentali del nostro sistema
fiscale: molte tasse sul lavoro, poche tasse sui consumi, un livello adeguato di
imposizione sulle proprietà immobiliari, un regime delle agevolazioni fiscali che
rende il sistema complesso, poco efficace e poco orientato alla crescita.
In Italia, l’aliquota fiscale implicita sul lavoro, calcolata come rapporto tra le
entrate ottenute dalla tassazione sul lavoro e una stima della relativa base
imponibile, è pari al 42,3%. Nell’area euro, solo il Belgio presenta un valore più
elevato, mentre in Francia si scende al 38,6% e in Germania al 37,1%. Viceversa,
l’aliquota fiscale implicita sui consumi è pari al 17,4% in Italia, contro il 19,9%
della Francia e il 20,1% della Germania.
Il sistema italiano prevede, inoltre, l’applicazione di oltre 700 agevolazioni fiscali,
destinate alle famiglie, alle imprese e ai consumi, anche attraverso l’applicazione
delle aliquote IVA ridotte. Questo sistema determina una perdita di gettito
superiore ai 250 miliardi di euro.
In un mondo nel quale le imprese italiane non possono più beneficiare delle
svalutazioni del cambio, ma al contrario subiscono gli effetti negativi di quelle
poste in essere da altri paesi, un sostegno alla competitività del sistema
produttivo potrebbe giungere da una “svalutazione fiscale”: uno spostamento
della tassazione dal lavoro ai consumi, realizzato mantenendo invariato il gettito
complessivo, favorirebbe le esportazioni, sostenendo la crescita.
Un’ultima considerazione: una qualsiasi riorganizzazione del sistema fiscale
avrà, però, un impatto limitato sulle capacità del Paese di generare ricchezza fino
a quando non si realizzerà un forte abbassamento del grado di evasione. Se in
Italia l’economia sommersa si riducesse al livello medio dell’area euro,
emergerebbero oltre 100 miliardi di euro di base imponibile, con un gettito
aggiuntivo stimabile in più di 45 miliardi, un importo pari al deficit complessivo
delle Amministrazioni pubbliche italiane nel 2012.
Cresce la pressione fiscale effettiva sull’economia italiana
Il rientro del rapporto deficit/Pil al di sotto del limite del 3%, che ha consentito all’Italia
di uscire dalla procedura per deficit eccessivo, è il risultato di una profonda azione sui
conti, che ha interessato tutto il triennio 2010-12. Durante lo scorso anno, la correzione
del bilancio pubblico, misurata dal saldo delle Amministrazioni al netto degli interessi, è
risultata pari a 1,3 punti percentuali di Pil, un miglioramento prossimo ai 20 miliardi di
euro. Gli interventi si sono concentrati sulle entrate, mentre gli effetti delle azioni sulle
uscite hanno fino ad ora avuto un impatto marginale, determinando un brusco
3
1 luglio 2013
innalzamento della pressione fiscale e contributiva, che ha raggiunto il 44% del Pil, un
valore mai toccato negli ultimi venti anni.
Nel valutare il livello della pressione fiscale è, però, opportuno inserire nell’analisi il
peso dell’economia sommersa. La pressione fiscale e contributiva è, infatti, misurata
come rapporto tra le entrate fiscali e contributive registrate da un paese in un anno e il
suo Pil. Ma, mentre nelle statistiche sul Pil si tiene conto di una stima dell’economia
sommersa, il valore delle entrate è riferito solo agli importi effettivamente incassati. Ne
deriva che, nel caso di una diffusa evasione la pressione fiscale ufficiale risulti
sottostimata.
L’economia sommersa
(% del Pil; anno 2012)
La pressione fiscale al netto
dell’economia sommersa
(% del Pil; anno 2012)
0
5
10
15
20
25
30
Austria
Lussemburgo
PaesiBassi
Francia
Irlanda
Germania
Finlandia
Areaeuro
Slovacchia
Belgio
Spagna
Portogallo
Italia
Slovenia
Grecia
Malta
Cipro
Estonia
20
25
30
35
40
45
50
55
60
Irlanda
Slovacchia
Spagna
Lussemburgo
Portogallo
PaesiBassi
Estonia
Cipro
Germania
Malta
Austria
Grecia
Areaeuro
Slovenia
Finlandia
Francia
Italia
Belgio
Fonte: Commissione europea (su dati Schneider F.) Fonte: elaborazione Servizio Studi BNL su dati
Commissione europea (Schneider F.) e Eurostat
Le stime sull’economia sommersa per l’area euro segnalano una profonda
eterogeneità tra i diversi paesi. Si va da valori inferiori al 10% del Pil in Austria e in
Lussemburgo ad oltre il 25% in Estonia. Nel confronto internazionale, l’Italia si
caratterizza per un’ampia diffusione dell’economia sommersa, con un valore per il 2012
stimato in oltre il 20%: si tratta di una somma superiore ai 300 miliardi di euro.
Andando a questo punto ad escludere dalla statistica sulla pressione fiscale e
contributiva il valore relativo all’economia sommersa emerge una rappresentazione più
veritiera del carico fiscale sui fattori produttivi di ciascun paese. La posizione dell’Italia
risulta particolarmente complessa: escludendo l’economia sommersa dal valore del Pil,
si passa dal 44% delle statistiche ufficiali ad una pressione fiscale e contributiva reale
prossima al 60%. Tra i 17 paesi che compongono l’area euro, solo il Belgio si trova su
un valore leggermente superiore a quello italiano. In Francia, nonostante il rapporto tra
le entrate fiscali e contributive e il Pil risulti più alto di quello dell’Italia, la pressione
fiscale reale è più bassa di 3 punti percentuali, grazie ad un peso dell’economia
sommersa stimato intorno al 10%, la metà di quello italiano. Stesso discorso per la
Germania, paese con un valore delle entrate fiscali e contributive sul Pil al netto
dell’economia sommersa quasi 10 punti più basso di quello italiano.
Le previsioni della Commisione europea segnalano per i prossimi anni un ulteriore
miglioramento dei saldi delle Amministrazioni Pubbliche in Italia. Per il nostro Paese, il
principale problema nell’immediato non è, dunque, porre in essere ulteriori misure di
correzione, quanto piuttosto individuare le politiche necessarie per il sostegno alla
crescita. Di tali politiche ne trarrebbe giovamento lo stesso equilibrio dei conti.
4
1 luglio 2013
L’elevato livello del debito pubblico lascia, però, poco spazio alla realizzazione di
politiche espansive, che mirino ad un abbassamento della pressione fiscale
complessiva. Non potendo ridurre le entrate, diviene opportuna una profonda
rivisitazione dell’intero sistema impositivo, che guardi all’equilibrio dei conti fornendo
nel contempo sostegno alla crescita. Utili spunti di riflessione possono essere tratti da
un’analisi del sistema fiscale e contributivo a livello europeo.
In Italia, un’alta tassazione sul lavoro si combina con…
Nel 2011, in Italia le tasse sul lavoro, comprensive dei contributi sociali, sono state pari
a 344 miliardi di euro, il 21,8% del Pil, un punto percentuale in più della media dell’area
euro. Su valori più elevati troviamo la Francia (22,9%) e il Belgio (24%). In Germania, il
peso della tassazione sul lavoro è solo leggermente più basso di quello italiano
(21,6%). Oltre al livello è, però, importante analizzare quanto accaduto nel corso degli
ultimi quindici anni. In Italia, tra il 1995 e il 2011, l’incidenza sul Pil è cresciuta di quasi
4 punti percentuali. Si tratta dell’aumento più ampio tra i 17 paesi europei. Opposta la
storia tedesca: il peso della tassazione sul lavoro è passato dal 24% del 1995 al 21,6%
del 2011, mentre in Francia l’incidenza sul Pil è rimasta sostanzialmente stabile su
livelli elevati.
La tassazione sul lavoro
(% del Pil; anno 2011)
La tassazione sul lavoro
(% del Pil; variazione 2011/1995)
6,7
10,7
12,9
12,3
8,4
8,3
2,6 2,6
1,7
0
5
10
15
20
25
30
Malta
Grecia
Irlanda
Slovacchia
Cipro
Portogallo
Lussemburgo
Estonia
Spagna
Slovania
Germania
PaesiBassi
Italia
Finlandia
Francia
Austria
Belgio
Lavoro dipendente - datore di lavoro Lavoro dipendente - lavoratore Lavoro non dipendente
-4
-3
-2
-1
0
1
2
3
4
5
Estonia
Slovacchia
Slovania
Finlandia
Germania
Irlanda
PaesiBassi
Belgio
Austria
Francia
Spagna
Lussemburgo
Malta
Grecia
Cipro
Portogallo
Italia
Fonte: elaborazioni Servizio Studi BNL su dati
Eurostat
Fonte: elaborazioni Servizio Studi BNL su dati
Eurostat
In Italia, le tasse sul lavoro sono arrivate a rappresentare oltre la metà del totale del
gettito fiscale e contributivo. Non si tratta del valore più elevato: in Germania si sale al
55,9%, in Austria al 56,7%. Anche in questo caso la particolarità dell’Italia è, però,
l’evoluzione registrata negli ultimi anni: l’incidenza sul totale delle entrate è aumentata
di quasi 6 punti percentuali tra il 1995 e il 2011, mentre si è ridotta di 4,5 punti in
Germania e di 0,8 in Francia.
Guardando le singole componenti della tassazione sul lavoro, l’aumento registrato
negli ultimi quindici anni in Italia ha interessato prevalentemente la parte relativa al
lavoro dipendente per la quota di contributi a carico del datore di lavoro, passata
dall’8,6% del 1995 al 10,7%. Tra i 17 paesi dell’area euro, solo in Francia (12,9%) e in
Estonia (11,2%) si registrano valori più elevati. La Germania ha, invece, ridotto il peso
di questa voce del costo del lavoro, dal 7,5% al 6,7% del 2011. Nel confronto tra l’Italia
e la Germania appaiono evidenti le differenze tra i due paesi nella distribuzione della
tassazione sul lavoro tra le diverse componenti. In Germania, il carico maggiore grava
5
1 luglio 2013
sui lavoratori dipendenti (12,3% del Pil), mentre il peso per i datori di lavoro risulta pari
a circa la metà (6,7%). Opposta la situazione in Italia: i lavoratori dipendenti
contribuiscono per l’8,4% del Pil, mentre i datori di lavoro per il 10,7%. Situazione
simile a quella italiana in Francia, paese nel quale la maggiore tassazione sul lavoro è
il risultato del peso che grava sui datori di lavoro (12,9% del Pil), il più alto all’interno
dell’area euro.
Aliquota fiscale implicita sul lavoro
(valori %; anno 2011)
Aliquota fiscale implicita sul lavoro
(valori %)
20
25
30
35
40
45
Malta
Portogallo
Cipro
Irlanda
Grecia
Slovacchia
Lussemburgo
Spagna
Slovenia
Estonia
Germania
PaesiBassi
Francia
Finlandia
Austria
Italia
Belgio
38,8
37,1
40,5
38,6
37,8
42,3
36
37
38
39
40
41
42
43
44
1995
1996
1997
1998
1999
2000
2001
2002
2003
2004
2005
2006
2007
2008
2009
2010
2011
Germania Francia Italia
Fonte: elaborazione Servizio Studi BNL su dati
Eurostat
Fonte: elaborazione Servizio Studi BNL su dati
Eurostat
La tassazione sul lavoro in Italia risulta, dunque, elevata nel confronto internazionale.
L’aliquota fiscale implicita sul lavoro, calcolata come rapporto tra le entrate ottenute
dalla tassazione sul lavoro e una stima della relativa base imponibile, è pari al 42,3%.
All’interno dell’area euro, solo il Belgio presenta un valore leggermente più alto
(42,8%). In Francia si scende al 38,6%, in Germania al 37,1%. Guardando agli ultimi
quindici anni, appare evidente la perdita di competitività, in termini di maggior carico
fiscale e contributivo, subita dal mercato del lavoro italiano. Alla metà degli anni
Novanta la situazione appariva, infatti, diversa: l’aliquota fiscale implicita sul lavoro era
pari al 37,8% in Italia, 1 punto percentuale in meno della Germania, quasi 3 in meno
della Francia. Dal 1995 al 2011, l’aliquota fiscale implicita sul lavoro è aumentata in
Italia di 4,5 punti percentuali, mentre si è ridotta di quasi 2 punti sia in Francia sia in
Germania: in quindici anni il nostro Paese ha accumulato una perdita rispetto a questi
due paesi in termini relativi superiore a 6 punti percentuali di maggiore tassazione sul
lavoro.
…una bassa imposizione sui consumi
A fronte di un’elevata tassazione sul lavoro, il nostro Paese si caratterizza per una
contenuta imposizione sui consumi: nel 2011, le tasse sui consumi sono state pari a
circa 170 miliardi di euro. In termini di incidenza sul totale dell’economia, la situazione
italiana non appare molto differente da quella riscontrabile negli altri paesi europei. Nel
2011, le tasse sul consumo sono state pari al 10,8% del Pil, peso sostanzialmente
uguale sia a quello medio dell’area euro sia a quello della Germania. Diversa la
rappresentazione che emerge andando a considerare la composizione dell’intera
imposizione fiscale e contributiva. L’Italia ottiene un quarto del gettito totale dai
consumi, un valore uguale a quello della Francia, ma 2,1 punti percentuali in meno
della media dell’area euro e quasi 3 punti in meno della Germania.
6
1 luglio 2013
Guardando le singole componenti della tassazione sui consumi, appare con chiarezza
il peso contenuto dell’Imposta sul Valore Aggiunto. In Italia, il gettito dell’IVA è inferiore
ai 100 miliardi di euro e rappresenta il 15% del totale delle entrate fiscali e contributive,
il valore più basso tra i 17 paesi dell’area euro. 2,7 punti percentuali separano l’Italia
dalla media dell’area, mentre oltre 4 punti è la distanza dal valore tedesco. Una limitata
importanza nel finanziamento complessivo delle Amministrazioni Pubbliche italiane è
assegnata anche alle accise. Questa voce rappresenta solo il 5% del totale
dell’imposizione, a fronte del 6,1% dell’area euro e del 6,7% della Germania.
Il peso dell’IVA sul totale della
tassazione
(% del totale; anno 2011)
Aliquota fiscale implicita sui consumi
(valori %; anno 2011)
10
15
20
25
30
Italia
Belgio
Francia
Lussemburgo
Spagna
PaesiBassi
Austria
Germania
Finlandia
Irlanda
Grecia
Slovenia
Malta
Slovacchia
Cipro
Portogallo
Estonia
10
15
20
25
30
Spagna
Grecia
Italia
Cipro
Portogallo
Slovacchia
Malta
Francia
Germania
Belgio
Austria
Irlanda
Slovenia
Estonia
PaesiBassi
Finlandia
Lussemburgo
Fonte: elaborazione Servizio Studi BNL su dati
Eurostat
Fonte: elaborazione Servizio Studi BNL su dati
Eurostat
Parlando del limitato peso della tassazione sui consumi in Italia, ed in particolare del
basso livello relativo degli introiti IVA, è opportuno analizzare le problematiche derivanti
dalle differenti aliquote applicate. In Italia, sono previste tre aliquote: quella standard al
21% e due ridotte (10% e 4%). Il 4% si applica ad alcuni generi alimentari, ad alcuni
apparecchi medicali, ad alcuni libri e giornali e ad alcuni servizi sociali. Quella del 10%
è, invece, applicata ad alcuni prodotti alimentari, ad alcuni prodotti farmaceutici, ai
servizi culturali, ai ristoranti e ai servizi alberghieri. L’aliquota standard interessa, infine,
alcuni prodotti farmaceutici, alcuni libri, le televisioni a pagamento e le attività sportive.
Negli altri paesi, l’aliquota standard va dal 15% del Lussemburgo al 24% della
Finlandia. La maggior parte dei paesi si colloca tra il 19 e il 21%. L’aliquota ridotta va
dal 5 al 14%, mentre quella super ridotta è prevista solo in cinque paesi. La
distribuzione dei singoli beni e servizi tra le diverse aliquote varia da paese a paese. La
scelta di estendere l’area di applicazione delle aliquote ridotte determina, ovviamente,
un calo del gettito. Il rapporto tra il gettivo IVA effettivamente riscosso e quello che
sarebbe stato teoricamente ottenuto se a tutta la base imponibile fosse stata applicata
l’aliquota ordinaria viene considerato come una misura dell’efficacia dell’IVA. Questo
rapporto in Italia è pari al 41,3%, ciò significa che su 100 euro potenziali di gettito IVA
le politiche di agevolazione portano a rinunciare a 58,7 euro. Tra i 17 paesi dell’area
euro solo Grecia (37%) e Spagna (40,6%) presentano un valore più basso. In Francia
si sale al 47,8% e in Germania al 55,6%.
Il contenuto peso della tassazione sui consumi si accompagna, ovviamente, ad una
bassa aliquota fiscale implicita, calcolata anche in questo caso come rapporto tra le
entrate ottenute dalla tassazione sui consumi e una stima della relativa base
7
1 luglio 2013
imponibile, pari al 17,4%. Solo in Grecia (16,3%) e in Spagna (14%) si trovano valori
più bassi di quello italiano. In Francia si sale al 19,9% e in Germania al 20,1%.
Le aliquote IVA nei paesi dell’area
euro
(situazione a gennaio 2013)
Gettito IVA effettivo
(% del gettito teorico all’aliquota normale)
Grecia
Spagna
Italia
Portogallo
Francia
Belgio
Irlanda
Germania
Standard 23 21 21 23 19,6 21 23 19
Ridotta 6,5/13 10 10 6/13 5,5/7 6/12 9/13,5 7
Super ridotta 4 4 2,1 4,8
Finlandia
PaesiBassi
Slovacchia
Malta
Austria
Slovenia
Estonia
Cipro
Standard 24 21 20 18 20 20 20 18
Ridotta 10/14 6 10 5/7 10 8,5 9 5/8
Super ridotta
0
10
20
30
40
50
60
70
80
Grecia
Spagna
Italia
Portogallo
Francia
Belgio
Irlanda
Slovacchia
Finlandia
PaesiBassi
Germania
Malta
Austria
Slovenia
Estonia
Cipro
Fonte: elaborazione Servizio Studi BNL su dati
Eurostat
Fonte: elaborazione Servizio Studi BNL su dati
Eurostat
Persone fisiche e imprese: molte tasse, troppe agevolazioni
Una componente importante della tassazione sul lavoro è rappresentata dalle imposte
sui redditi delle persone fisiche. Nel 2011, il gettito delle entrate tributarie sui redditi
personali, grandezza che comprende in piccola parte anche i proventi derivanti dalla
tassazione su forme di reddito diverse dal lavoro, è risultato in Italia pari a circa 180
miliardi di euro, l’11,5% del Pil. Tra i 17 paesi dell’area euro valori più elevati si
riscontrano solo in Finlandia (12,8%) e in Belgio (12,4%), mentre in Germania si
scende all’8,4% e in Francia al 7,9%. Dai redditi delle persone fisiche si ottiene in Italia
il 27% del gettito fiscale e contributivo complessivo, oltre 5 punti in più della Germania
e quasi 10 in più della Francia.
Tassazione sui redditi delle persone
fisiche
(% del Pil; anno 2011)
Agevolazioni fiscali e reddito delle
persone fisiche e delle imprese
(miliardi di euro; anno 2011)
0
2
4
6
8
10
12
14
Slovacchia
Cipro
Grecia
Estonia
Slovenia
Portogallo
Malta
Spagna
Francia
PaesiBassi
Lussemburgo
Germania
Irlanda
Austria
Italia
Belgio
Finlandia
0
20
40
60
80
100
120
140
160
180
200
Irpef Agevolazioni
persone fisiche
IRAP+IRES Agevolazioni
imprese
Fonte: elaborazione Servizio Studi BNL su dati
Eurostat
Fonte: elaborazione Servizio Studi BNL su dati
Eurostat, Istat e Corte dei Conti
8
1 luglio 2013
Nonostante la tassazione sul reddito delle persone fisiche nel nostro Paese risulti
elevata nel confronto internazionale, il gettito è influenzato profondamente, e in misura
più intensa di quanto registrato nelle altre economie, dal sistema delle agevolazioni
fiscali. Secondo i dati contenuti nel Rapporto 2013 sul cordinamento della finanza
pubblica della Corte dei Conti, sono oltre 170 le agevolazioni fiscali previste dal
sistema italiano a favore delle persone fisiche. La perdita di gettito supera i 100 miliardi
di euro. Confrontando il valore delle agevolazioni con quello del gettito effettivamente
incassato (180 miliardi), appare evidente l’importanza che lo strumento delle deduzioni
e delle detrazioni assume in Italia nel disegnare le caratterisitiche del sistema
impositivo sui redditi delle persone fisiche. Su oltre 100 miliardi di minore gettito, 9
provengono dal comparto casa, 21 dal segmento famiglia e quasi 60 sono, invece,
collegabili al lavoro e alle pensioni.
Ovviamente nel sistema fiscale italiano le agevolazioni non interessano solo le
famiglie, ma riguardano anche le imprese. In questo caso sono previste quasi 80
agevolazioni, con una perdita complessiva di gettito superiore ai 30 miliardi di euro, dei
quali 24 per imposte dirette e quasi 7 per l’IRAP. Anche nel caso delle imprese, dato
un gettito da IRES e IRAP compreso tra i 60 e i 70 miliardi di euro, appare evidente il
ruolo delle agevolazioni nel disegnare le caratteristiche del sistema fiscale italiano.
Andando a considerare anche le altre agevolazioni, che non interessano direttamente
le famiglie e le imprese, come ad esempio quelle derivanti dall’applicazione delle
aliquote IVA ridotte, il numero complessivo è superiore a 700. A fronte di un gettito
fiscale e contributivo realmente incassato di oltre 650 miliardi di euro, le agevolazioni
generano minori entrate per più di 250 miliardi, si tratta di una perdita pari a oltre un
quarto del gettito complessivo potenzialmente ottenibile.
Tassazione immobiliare: con le riforme in linea con l’Europa
Le tasse sulla proprietà, immobiliare e non, in Italia nel 2011 sono state pari a poco più
di 33 miliardi di euro, il 2,1% del Pil, 0,3 punti percentuali in più della media dell’area
euro, ma un valore in linea con l’intera Unione europea. Tra i 17 paesi dell’area euro,
valori più alti si registrano solo in Francia e in Belgio, entrambi al 3,2%. La Germania si
posiziona, invece, su un livello inferiore alla metà di quello italiano (0,9%).
Le tasse sulla proprietà comprendono le imposte ricorrenti sugli immobili; si tratta dei
prelievi effettuati annualmente, come imposte sul reddito o patrimoniali ordinarie, che si
contrappongono ai prelievi ordinari effettuati all’atto del trasferimento e ai prelievi
straordinari. Con l’esclusione di Malta, tutti i paesi dell’Unione europea prevedono una
tassazione ricorrente sugli immobili, estesa anche all’abitazione principale. Le
metodologie di applicazione variano da paese a paese. In alcuni casi il soggetto
passivo d’imposta è solo il proprietario, in altri interessato al pagamento è anche
l’inquilino.
Nel 2011, in Italia l’imposizione ricorrente sulle proprietà immobiliari generava un
reddito pari a poco più di 10 miliardi di euro, lo 0,7% del Pil. L’Italia si collocava su un
valore leggermente inferiore a quello medio dell’area euro (0,9%), e pari a poco più
della metà di quello riferito all’Unione europea (1,3%). Su livelli più elevati si
posizionavano la Francia (1,9%), il Belgio (1,3%) e la Grecia, paese nel quale la
tassazione ricorrente sugli immobili era passata dal pesare lo 0,3% del Pil nel 2010
all’1,1% del 2011.
Con l’introduzione dell’IMU la situazione in Italia è radicalmente cambiata. Il gettito è
passato dai 9,2 miliardi di euro incassati con l’ICI nel 2011 a 22,6 miliardi. L’incidenza
sul Pil è più che raddoppiata. Rispetto all’anno precedente sono stati, infatti aggiunti
9
1 luglio 2013
oltre 13 miliardi di nuova imposizione ricorrente sugli immobili, un importo pari a circa
lo 0,9% del Pil. Con il passaggio all’IMU il livello della tassazione italiana si è avvicinato
a quello francese, superando leggermente quello medio europeo.
Alcune riflessioni conclusive
L’analisi dei dati sulle principali economie europee, confrontando la media degli ultimi
quindici anni della pressione fiscale e contributiva con il tasso di crescita medio annuo
conseguito da ciascun paese, mostra con chiarezza come non sia possibile individuare
una relazione stretta e ben determinata tra livello della pressione fiscale e crescita
economica. Emerge, ad esempio, come la Svezia con una pressione prossima al 50%
del Pil abbia registrato nel periodo 1996-2012 una crescita media annua del 2,6%, 0,4
punti percentuali in più di quella del Regno Unito, paese con una pressione fiscale
circa 13 punti percentuali più bassa di quella svedese. L’Italia, con una pressione
media pari al 41,7% ha registrato, tra i paesi considerati, la peggiore performance in
termini di crescita, fermandosi ad un incremento medio annuo del Pil dello 0,7%, un
valore pari a circa un terzo di quello dell’Austria, che ha una pressione fiscale
comparabile a quella italiana. Dall’altro lato, l’Irlanda, con un fisco tra i meno pesanti
(30,5% del Pil) ha registrato la crescita media annua più alta tra tutti i paesi considerati,
quasi il 5% tra il 1996 e il 2012. La stessa performance non è stata, però, conseguita
dal Portogallo, che si caratterizza per una pressione fiscale in linea con quella
irlandese.
Crescita economica e pressione fiscale
nelle principali economie europee
(pressione fiscale e contributiva in % del Pil – media
1995-2011; crescita Pil reale – media 1996-2012)
La composizione della pressione fiscale
e contributiva in Italia
(% del Pil)
25
30
35
40
45
50
0 1 2 3 4 5
P
r
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Crescita economica
Belgio
Regno Unito
Paesi BassiGermania
Italia
Austria
Francia
Danimarca
Svezia
Finlandia
Irlanda
Portogallo
Grecia Spagna
11,2 10,4 10,8
19,8 20,8 21,8
10,4 11,5 10,0
0
5
10
15
20
25
30
35
40
45
2000 2007 2011
Tassesui consumi Tassesul lavoro Tassesul capitale
Fonte: elaborazione Servizio Studi BNL su dati
Eurostat
Fonte: elaborazione Servizio Studi BNL su dati
Eurostat
Se il livello della pressione fiscale non spiega i diversi ritmi di crescita economica, la
composizione del prelievo assume, però, rilevanza, influenzando le scelte degli
operatori in termini di investimenti e domanda di lavoro.
Il confronto con le altre economie europee consente di individuare i caratteri
fondamentali del nostro sistema impositivo: molte tasse sul lavoro, poche tasse sui
consumi, un livello adeguato di imposizione sulle proprietà immobiliari, un regime delle
agevolazioni fiscali che rende il sistema complesso, poco efficace e poco orientato alla
crescita economica.
10
1 luglio 2013
Una prima considerazione sulla complessità: un sistema fiscale caratterizzato da oltre
700 agevolazioni, che portano ad una riduzione del gettito potenziale superiore a un
quarto, pone le basi per una difficile applicazione delle regole, favorendo
comportamenti elusivi ed evasivi. Come visto in precedenza, l’Italia si caratterizza, ad
esempio, per una bassa efficacia dell’imposizione sui consumi, con una perdita di
gettito, risultato delle aliquote IVA ridotte, stimata in quasi il 60%. Una revisione delle
agevolazioni, che si accompagni ad una riarticolazione delle aliquote e all’utilizzo di
forme dirette di redistribuzione, renderebbe il sistema più semplice ed efficiente.
Oltre alla complessità, i dati mostrano come sia opportuno un riequilibrio tra le diverse
forme di imposizione. Uno spostamento significativo della tassazione dai fattori
produttivi verso il consumo renderebbe il sistema fiscale maggiormente orientato alla
crescita economica. In un mondo nel quale le imprese italiane non possono più
beneficiare delle svalutazioni del cambio, ma al contrario subiscono gli effetti negativi di
quelle poste in essere da altri paesi, un sostegno alla competitività del sistema
produttivo potrebbe giungere da una “svalutazione fiscale”: uno spostamento della
tassazione dal lavoro ai consumi, realizzato mantenendo invariato il gettito
complessivo, favorirebbe le esportazioni, sostenendo la crescita.
Il confronto con la Germania può aiutare a capire, fornendo una parte della
spiegazione della differente performance economica dei due paesi durante la crisi. Tra
il 2000 e il 2007, mentre la Germania riduceva la pressione fiscale sul lavoro, portando
il peso delle tasse dal 24% del Pil al 21,2% e riducendo l’aliquota implicita dal 39,1% al
37,9%, l’Italia realizzava un aumento della pressione fiscale complessiva, abbassando
il peso delle tasse sui consumi, dall’11,2% del Pil al 10,4%, ed aumentando quello sul
lavoro, dal 19,8% al 20,8%. Nella prima parte degli anni Duemila, in Germania, una
riduzione delle tasse sul lavoro è stata affiancata ad una profonda riforma del mercato
del lavoro, salvaguardando la competitività del sistema produttivo tedesco in un
contesto mondiale caratterizzato dalla forte concorrenza di paesi con un basso costo
del lavoro. In Italia, non è accaduto lo stesso.
Un’ultima considerazione: una qualsiasi riorganizzazione del sistema fiscale avrà, però,
un impatto limitato sulle capacità del Paese di generare ricchezza fino a quando non si
realizzerà un forte abbassamento del grado di evasione fiscale. Per capire la reale
dimensione del fenomeno è sufficiente provare ad immaginare cosa accadrebbe se
l’Italia avesse un tasso di evasione in linea con quello medio dell’area euro. Se
l’economia sommersa passasse dal 21,6% del Pil stimato per l’Italia al 15% dell’area
euro, emergerebbero oltre 100 miliardi di euro di base imponibile. Applicando a questo
numero la pressione fiscale e contributiva del 2012, si otterrebbe un gettito aggiuntivo
stimabile in oltre 45 miliardi di euro. Per dare una dimensione al fenomeno: 45 miliardi
di euro è un importo perfettamente uguale al deficit complessivo registrato dalle
Amministrazioni pubbliche italiane nel 2012. Riducendo l’evasione fiscale e contributiva
ad un livello europeo, si passerebbe da un disavanzo del 3% ad un bilancio in
pareggio. Altrimenti, il maggior gettito potrebbe essere utilizzato per una riduzione
dell’imposizione fiscale. Anche in questo caso, per dare una dimensione al fenomeno:
45 miliardi di euro equivalgono al doppio del gettito dell’IMU, alla metà di quello
dell’IVA, a due terzi della tassazione sulle imprese (IRES più IRAP) e a un quarto di
quella sulle persone fisiche.
11
1 luglio 2013
Un cruscotto della congiuntura: alcuni indicatori
Indice Itraxx Eu Financial Indice Vix
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mag-13IndexItraxx EU Financial Sector
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Fonte: Thomson Reuters Fonte: Thomson Reuters
I premi al rischio rimangono sotto quota 170
pb.
L’indice Vix nell’ultima settimana scende da
19 a 17.
Cambio euro/dollaro e quotazioni Brent
(Usd per barile)
Prezzo dell’oro
(Usd l’oncia)
1,15
1,2
1,25
1,3
1,35
1,4
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1,5
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130
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Brentscala sin.(in Usd)
Cambio euro/dollaro sc.ds.
1.200
1.300
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Fonte: Thomson Reuters Fonte: Thomson Reuters
Il tasso di cambio €/$ a 1,31. Il petrolio di qualità
Brent quota $102 al barile.
Il prezzo dell’oro scende a 1.215 dollari
l’oncia dai 1.289 della scorsa settimana.
12
1 luglio 2013
Borsa italiana: indice Ftse Mib Tassi dei benchmark decennali:
differenziale con la Germania
(punti base)
12.000
14.000
16.000
18.000
20.000
22.000
24.000
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Italia Spagna Irlanda Portogallo
Fonte: Thomson Reuters Fonte: elab. Servizio Studi BNL su dati Thomson
Reuters
Il Ftse Mib si muove intorno a 15.300. I differenziali con il Bund sono pari a 471 pb
per il Portogallo, 232 pb per l’Irlanda, 302 pb
per la Spagna e 282 pb per l’Italia.
Indice Baltic Dry Euribor 3 mesi
(val. %)
0
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Fonte: Thomson Reuters Fonte: Thomson Reuters
L’indice, su valori minimi, nell’ultima
settimana sale oltre quota 1.100.
L’euribor 3m si muove intorno a 0,20%.
Il presente documento è stato preparato nell’ambito della propria attività di ricerca economica da BNL-
Gruppo Bnp Paribas. Le stime e le opinioni espresse sono riferibili al Servizio Studi di BNL-Gruppo BNP
Paribas e possono essere soggette a cambiamenti senza preavviso. Le informazioni e le opinioni riportate in
questo documento si basano su fonti ritenute affidabili ed in buona fede. Il presente documento è stato
divulgato unicamente per fini informativi. Esso non costituisce parte e non può in nessun modo essere
considerato come una sollecitazione alla vendita o alla sottoscrizione di strumenti finanziari ovvero come
un’offerta di acquisto o di scambio di strumenti finanziari.

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BNL Focus #24

  • 1. 24 1 Luglio 2013 Direttore responsabile: Giovanni Ajassa tel. 0647028414 giovanni.ajassa@bnlmail.com Banca Nazionale del Lavoro Gruppo BNP Paribas Via Vittorio Veneto 119 00187 Roma Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 159/2002 del 9/4/2002 Le opinioni espresse non impegnano la responsabilità della banca. La pressione fiscale in Italia ha raggiunto il 44% del Pil; escludendo dal calcolo l’economia sommersa si sale a quasi il 60%. Il nostro sistema fiscale si caratterizza per la centralità della tassazione sul lavoro, a fronte di un basso peso delle tasse sui consumi e un livello adeguato di imposizione sulle proprietà immobiliari. Il regime delle agevolazioni fiscali rende il sistema complesso, poco efficace e poco orientato alla crescita. Un sostegno alla competitività del Paese potrebbe giungere da una “svalutazione fiscale”, realizzando uno spostamento della tassazione dal lavoro ai consumi. Per un sistema equo, che sostenga la crescita, è necessario un forte abbassamento dell’evasione: se l’economia sommersa si riducesse al livello medio dell’area euro, emergerebbero oltre 100 miliardi di base imponibile, con un gettito aggiuntivo stimabile in più di 45 miliardi, un importo pari al deficit delle Amministrazioni pubbliche nel 2012. Aliquota fiscale implicita sul lavoro (valori %) 38,8 37,1 40,5 38,6 37,8 42,3 36 37 38 39 40 41 42 43 44 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 Germania Francia Italia Fonte: elaborazione Servizio Studi Bnl su dati Eurostat
  • 2. 2 1 luglio 2013 Per l’Italia: un nuovo sistema fiscale che guardi alla crescita P. Ciocca  06-47028431 – paolo.ciocca@bnlmail.com La pressione fiscale e contributiva in Italia ha raggiunto il 44% del Pil, un dato elevato nel confronto internazionale. Nel valutare il livello della pressione fiscale è, però, opportuno inserire nell’analisi il peso dell’economia sommersa, che in Italia è stimata al 21,6% del Pil, oltre 6 punti percentuali in più dell’area euro. Escludendo l’economia sommersa, la pressione fiscale si avvicina al 60%. Nel nostro Paese l’elevato debito pubblico lascia poco spazio per politiche espansive. Diviene opportuna una rivisitazione dell’intero sistema impositivo, che guardi alla crescita dell’economia. Il confronto con le altre economie europee consente di individuare i caratteri fondamentali del nostro sistema fiscale: molte tasse sul lavoro, poche tasse sui consumi, un livello adeguato di imposizione sulle proprietà immobiliari, un regime delle agevolazioni fiscali che rende il sistema complesso, poco efficace e poco orientato alla crescita. In Italia, l’aliquota fiscale implicita sul lavoro, calcolata come rapporto tra le entrate ottenute dalla tassazione sul lavoro e una stima della relativa base imponibile, è pari al 42,3%. Nell’area euro, solo il Belgio presenta un valore più elevato, mentre in Francia si scende al 38,6% e in Germania al 37,1%. Viceversa, l’aliquota fiscale implicita sui consumi è pari al 17,4% in Italia, contro il 19,9% della Francia e il 20,1% della Germania. Il sistema italiano prevede, inoltre, l’applicazione di oltre 700 agevolazioni fiscali, destinate alle famiglie, alle imprese e ai consumi, anche attraverso l’applicazione delle aliquote IVA ridotte. Questo sistema determina una perdita di gettito superiore ai 250 miliardi di euro. In un mondo nel quale le imprese italiane non possono più beneficiare delle svalutazioni del cambio, ma al contrario subiscono gli effetti negativi di quelle poste in essere da altri paesi, un sostegno alla competitività del sistema produttivo potrebbe giungere da una “svalutazione fiscale”: uno spostamento della tassazione dal lavoro ai consumi, realizzato mantenendo invariato il gettito complessivo, favorirebbe le esportazioni, sostenendo la crescita. Un’ultima considerazione: una qualsiasi riorganizzazione del sistema fiscale avrà, però, un impatto limitato sulle capacità del Paese di generare ricchezza fino a quando non si realizzerà un forte abbassamento del grado di evasione. Se in Italia l’economia sommersa si riducesse al livello medio dell’area euro, emergerebbero oltre 100 miliardi di euro di base imponibile, con un gettito aggiuntivo stimabile in più di 45 miliardi, un importo pari al deficit complessivo delle Amministrazioni pubbliche italiane nel 2012. Cresce la pressione fiscale effettiva sull’economia italiana Il rientro del rapporto deficit/Pil al di sotto del limite del 3%, che ha consentito all’Italia di uscire dalla procedura per deficit eccessivo, è il risultato di una profonda azione sui conti, che ha interessato tutto il triennio 2010-12. Durante lo scorso anno, la correzione del bilancio pubblico, misurata dal saldo delle Amministrazioni al netto degli interessi, è risultata pari a 1,3 punti percentuali di Pil, un miglioramento prossimo ai 20 miliardi di euro. Gli interventi si sono concentrati sulle entrate, mentre gli effetti delle azioni sulle uscite hanno fino ad ora avuto un impatto marginale, determinando un brusco
  • 3. 3 1 luglio 2013 innalzamento della pressione fiscale e contributiva, che ha raggiunto il 44% del Pil, un valore mai toccato negli ultimi venti anni. Nel valutare il livello della pressione fiscale è, però, opportuno inserire nell’analisi il peso dell’economia sommersa. La pressione fiscale e contributiva è, infatti, misurata come rapporto tra le entrate fiscali e contributive registrate da un paese in un anno e il suo Pil. Ma, mentre nelle statistiche sul Pil si tiene conto di una stima dell’economia sommersa, il valore delle entrate è riferito solo agli importi effettivamente incassati. Ne deriva che, nel caso di una diffusa evasione la pressione fiscale ufficiale risulti sottostimata. L’economia sommersa (% del Pil; anno 2012) La pressione fiscale al netto dell’economia sommersa (% del Pil; anno 2012) 0 5 10 15 20 25 30 Austria Lussemburgo PaesiBassi Francia Irlanda Germania Finlandia Areaeuro Slovacchia Belgio Spagna Portogallo Italia Slovenia Grecia Malta Cipro Estonia 20 25 30 35 40 45 50 55 60 Irlanda Slovacchia Spagna Lussemburgo Portogallo PaesiBassi Estonia Cipro Germania Malta Austria Grecia Areaeuro Slovenia Finlandia Francia Italia Belgio Fonte: Commissione europea (su dati Schneider F.) Fonte: elaborazione Servizio Studi BNL su dati Commissione europea (Schneider F.) e Eurostat Le stime sull’economia sommersa per l’area euro segnalano una profonda eterogeneità tra i diversi paesi. Si va da valori inferiori al 10% del Pil in Austria e in Lussemburgo ad oltre il 25% in Estonia. Nel confronto internazionale, l’Italia si caratterizza per un’ampia diffusione dell’economia sommersa, con un valore per il 2012 stimato in oltre il 20%: si tratta di una somma superiore ai 300 miliardi di euro. Andando a questo punto ad escludere dalla statistica sulla pressione fiscale e contributiva il valore relativo all’economia sommersa emerge una rappresentazione più veritiera del carico fiscale sui fattori produttivi di ciascun paese. La posizione dell’Italia risulta particolarmente complessa: escludendo l’economia sommersa dal valore del Pil, si passa dal 44% delle statistiche ufficiali ad una pressione fiscale e contributiva reale prossima al 60%. Tra i 17 paesi che compongono l’area euro, solo il Belgio si trova su un valore leggermente superiore a quello italiano. In Francia, nonostante il rapporto tra le entrate fiscali e contributive e il Pil risulti più alto di quello dell’Italia, la pressione fiscale reale è più bassa di 3 punti percentuali, grazie ad un peso dell’economia sommersa stimato intorno al 10%, la metà di quello italiano. Stesso discorso per la Germania, paese con un valore delle entrate fiscali e contributive sul Pil al netto dell’economia sommersa quasi 10 punti più basso di quello italiano. Le previsioni della Commisione europea segnalano per i prossimi anni un ulteriore miglioramento dei saldi delle Amministrazioni Pubbliche in Italia. Per il nostro Paese, il principale problema nell’immediato non è, dunque, porre in essere ulteriori misure di correzione, quanto piuttosto individuare le politiche necessarie per il sostegno alla crescita. Di tali politiche ne trarrebbe giovamento lo stesso equilibrio dei conti.
  • 4. 4 1 luglio 2013 L’elevato livello del debito pubblico lascia, però, poco spazio alla realizzazione di politiche espansive, che mirino ad un abbassamento della pressione fiscale complessiva. Non potendo ridurre le entrate, diviene opportuna una profonda rivisitazione dell’intero sistema impositivo, che guardi all’equilibrio dei conti fornendo nel contempo sostegno alla crescita. Utili spunti di riflessione possono essere tratti da un’analisi del sistema fiscale e contributivo a livello europeo. In Italia, un’alta tassazione sul lavoro si combina con… Nel 2011, in Italia le tasse sul lavoro, comprensive dei contributi sociali, sono state pari a 344 miliardi di euro, il 21,8% del Pil, un punto percentuale in più della media dell’area euro. Su valori più elevati troviamo la Francia (22,9%) e il Belgio (24%). In Germania, il peso della tassazione sul lavoro è solo leggermente più basso di quello italiano (21,6%). Oltre al livello è, però, importante analizzare quanto accaduto nel corso degli ultimi quindici anni. In Italia, tra il 1995 e il 2011, l’incidenza sul Pil è cresciuta di quasi 4 punti percentuali. Si tratta dell’aumento più ampio tra i 17 paesi europei. Opposta la storia tedesca: il peso della tassazione sul lavoro è passato dal 24% del 1995 al 21,6% del 2011, mentre in Francia l’incidenza sul Pil è rimasta sostanzialmente stabile su livelli elevati. La tassazione sul lavoro (% del Pil; anno 2011) La tassazione sul lavoro (% del Pil; variazione 2011/1995) 6,7 10,7 12,9 12,3 8,4 8,3 2,6 2,6 1,7 0 5 10 15 20 25 30 Malta Grecia Irlanda Slovacchia Cipro Portogallo Lussemburgo Estonia Spagna Slovania Germania PaesiBassi Italia Finlandia Francia Austria Belgio Lavoro dipendente - datore di lavoro Lavoro dipendente - lavoratore Lavoro non dipendente -4 -3 -2 -1 0 1 2 3 4 5 Estonia Slovacchia Slovania Finlandia Germania Irlanda PaesiBassi Belgio Austria Francia Spagna Lussemburgo Malta Grecia Cipro Portogallo Italia Fonte: elaborazioni Servizio Studi BNL su dati Eurostat Fonte: elaborazioni Servizio Studi BNL su dati Eurostat In Italia, le tasse sul lavoro sono arrivate a rappresentare oltre la metà del totale del gettito fiscale e contributivo. Non si tratta del valore più elevato: in Germania si sale al 55,9%, in Austria al 56,7%. Anche in questo caso la particolarità dell’Italia è, però, l’evoluzione registrata negli ultimi anni: l’incidenza sul totale delle entrate è aumentata di quasi 6 punti percentuali tra il 1995 e il 2011, mentre si è ridotta di 4,5 punti in Germania e di 0,8 in Francia. Guardando le singole componenti della tassazione sul lavoro, l’aumento registrato negli ultimi quindici anni in Italia ha interessato prevalentemente la parte relativa al lavoro dipendente per la quota di contributi a carico del datore di lavoro, passata dall’8,6% del 1995 al 10,7%. Tra i 17 paesi dell’area euro, solo in Francia (12,9%) e in Estonia (11,2%) si registrano valori più elevati. La Germania ha, invece, ridotto il peso di questa voce del costo del lavoro, dal 7,5% al 6,7% del 2011. Nel confronto tra l’Italia e la Germania appaiono evidenti le differenze tra i due paesi nella distribuzione della tassazione sul lavoro tra le diverse componenti. In Germania, il carico maggiore grava
  • 5. 5 1 luglio 2013 sui lavoratori dipendenti (12,3% del Pil), mentre il peso per i datori di lavoro risulta pari a circa la metà (6,7%). Opposta la situazione in Italia: i lavoratori dipendenti contribuiscono per l’8,4% del Pil, mentre i datori di lavoro per il 10,7%. Situazione simile a quella italiana in Francia, paese nel quale la maggiore tassazione sul lavoro è il risultato del peso che grava sui datori di lavoro (12,9% del Pil), il più alto all’interno dell’area euro. Aliquota fiscale implicita sul lavoro (valori %; anno 2011) Aliquota fiscale implicita sul lavoro (valori %) 20 25 30 35 40 45 Malta Portogallo Cipro Irlanda Grecia Slovacchia Lussemburgo Spagna Slovenia Estonia Germania PaesiBassi Francia Finlandia Austria Italia Belgio 38,8 37,1 40,5 38,6 37,8 42,3 36 37 38 39 40 41 42 43 44 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 Germania Francia Italia Fonte: elaborazione Servizio Studi BNL su dati Eurostat Fonte: elaborazione Servizio Studi BNL su dati Eurostat La tassazione sul lavoro in Italia risulta, dunque, elevata nel confronto internazionale. L’aliquota fiscale implicita sul lavoro, calcolata come rapporto tra le entrate ottenute dalla tassazione sul lavoro e una stima della relativa base imponibile, è pari al 42,3%. All’interno dell’area euro, solo il Belgio presenta un valore leggermente più alto (42,8%). In Francia si scende al 38,6%, in Germania al 37,1%. Guardando agli ultimi quindici anni, appare evidente la perdita di competitività, in termini di maggior carico fiscale e contributivo, subita dal mercato del lavoro italiano. Alla metà degli anni Novanta la situazione appariva, infatti, diversa: l’aliquota fiscale implicita sul lavoro era pari al 37,8% in Italia, 1 punto percentuale in meno della Germania, quasi 3 in meno della Francia. Dal 1995 al 2011, l’aliquota fiscale implicita sul lavoro è aumentata in Italia di 4,5 punti percentuali, mentre si è ridotta di quasi 2 punti sia in Francia sia in Germania: in quindici anni il nostro Paese ha accumulato una perdita rispetto a questi due paesi in termini relativi superiore a 6 punti percentuali di maggiore tassazione sul lavoro. …una bassa imposizione sui consumi A fronte di un’elevata tassazione sul lavoro, il nostro Paese si caratterizza per una contenuta imposizione sui consumi: nel 2011, le tasse sui consumi sono state pari a circa 170 miliardi di euro. In termini di incidenza sul totale dell’economia, la situazione italiana non appare molto differente da quella riscontrabile negli altri paesi europei. Nel 2011, le tasse sul consumo sono state pari al 10,8% del Pil, peso sostanzialmente uguale sia a quello medio dell’area euro sia a quello della Germania. Diversa la rappresentazione che emerge andando a considerare la composizione dell’intera imposizione fiscale e contributiva. L’Italia ottiene un quarto del gettito totale dai consumi, un valore uguale a quello della Francia, ma 2,1 punti percentuali in meno della media dell’area euro e quasi 3 punti in meno della Germania.
  • 6. 6 1 luglio 2013 Guardando le singole componenti della tassazione sui consumi, appare con chiarezza il peso contenuto dell’Imposta sul Valore Aggiunto. In Italia, il gettito dell’IVA è inferiore ai 100 miliardi di euro e rappresenta il 15% del totale delle entrate fiscali e contributive, il valore più basso tra i 17 paesi dell’area euro. 2,7 punti percentuali separano l’Italia dalla media dell’area, mentre oltre 4 punti è la distanza dal valore tedesco. Una limitata importanza nel finanziamento complessivo delle Amministrazioni Pubbliche italiane è assegnata anche alle accise. Questa voce rappresenta solo il 5% del totale dell’imposizione, a fronte del 6,1% dell’area euro e del 6,7% della Germania. Il peso dell’IVA sul totale della tassazione (% del totale; anno 2011) Aliquota fiscale implicita sui consumi (valori %; anno 2011) 10 15 20 25 30 Italia Belgio Francia Lussemburgo Spagna PaesiBassi Austria Germania Finlandia Irlanda Grecia Slovenia Malta Slovacchia Cipro Portogallo Estonia 10 15 20 25 30 Spagna Grecia Italia Cipro Portogallo Slovacchia Malta Francia Germania Belgio Austria Irlanda Slovenia Estonia PaesiBassi Finlandia Lussemburgo Fonte: elaborazione Servizio Studi BNL su dati Eurostat Fonte: elaborazione Servizio Studi BNL su dati Eurostat Parlando del limitato peso della tassazione sui consumi in Italia, ed in particolare del basso livello relativo degli introiti IVA, è opportuno analizzare le problematiche derivanti dalle differenti aliquote applicate. In Italia, sono previste tre aliquote: quella standard al 21% e due ridotte (10% e 4%). Il 4% si applica ad alcuni generi alimentari, ad alcuni apparecchi medicali, ad alcuni libri e giornali e ad alcuni servizi sociali. Quella del 10% è, invece, applicata ad alcuni prodotti alimentari, ad alcuni prodotti farmaceutici, ai servizi culturali, ai ristoranti e ai servizi alberghieri. L’aliquota standard interessa, infine, alcuni prodotti farmaceutici, alcuni libri, le televisioni a pagamento e le attività sportive. Negli altri paesi, l’aliquota standard va dal 15% del Lussemburgo al 24% della Finlandia. La maggior parte dei paesi si colloca tra il 19 e il 21%. L’aliquota ridotta va dal 5 al 14%, mentre quella super ridotta è prevista solo in cinque paesi. La distribuzione dei singoli beni e servizi tra le diverse aliquote varia da paese a paese. La scelta di estendere l’area di applicazione delle aliquote ridotte determina, ovviamente, un calo del gettito. Il rapporto tra il gettivo IVA effettivamente riscosso e quello che sarebbe stato teoricamente ottenuto se a tutta la base imponibile fosse stata applicata l’aliquota ordinaria viene considerato come una misura dell’efficacia dell’IVA. Questo rapporto in Italia è pari al 41,3%, ciò significa che su 100 euro potenziali di gettito IVA le politiche di agevolazione portano a rinunciare a 58,7 euro. Tra i 17 paesi dell’area euro solo Grecia (37%) e Spagna (40,6%) presentano un valore più basso. In Francia si sale al 47,8% e in Germania al 55,6%. Il contenuto peso della tassazione sui consumi si accompagna, ovviamente, ad una bassa aliquota fiscale implicita, calcolata anche in questo caso come rapporto tra le entrate ottenute dalla tassazione sui consumi e una stima della relativa base
  • 7. 7 1 luglio 2013 imponibile, pari al 17,4%. Solo in Grecia (16,3%) e in Spagna (14%) si trovano valori più bassi di quello italiano. In Francia si sale al 19,9% e in Germania al 20,1%. Le aliquote IVA nei paesi dell’area euro (situazione a gennaio 2013) Gettito IVA effettivo (% del gettito teorico all’aliquota normale) Grecia Spagna Italia Portogallo Francia Belgio Irlanda Germania Standard 23 21 21 23 19,6 21 23 19 Ridotta 6,5/13 10 10 6/13 5,5/7 6/12 9/13,5 7 Super ridotta 4 4 2,1 4,8 Finlandia PaesiBassi Slovacchia Malta Austria Slovenia Estonia Cipro Standard 24 21 20 18 20 20 20 18 Ridotta 10/14 6 10 5/7 10 8,5 9 5/8 Super ridotta 0 10 20 30 40 50 60 70 80 Grecia Spagna Italia Portogallo Francia Belgio Irlanda Slovacchia Finlandia PaesiBassi Germania Malta Austria Slovenia Estonia Cipro Fonte: elaborazione Servizio Studi BNL su dati Eurostat Fonte: elaborazione Servizio Studi BNL su dati Eurostat Persone fisiche e imprese: molte tasse, troppe agevolazioni Una componente importante della tassazione sul lavoro è rappresentata dalle imposte sui redditi delle persone fisiche. Nel 2011, il gettito delle entrate tributarie sui redditi personali, grandezza che comprende in piccola parte anche i proventi derivanti dalla tassazione su forme di reddito diverse dal lavoro, è risultato in Italia pari a circa 180 miliardi di euro, l’11,5% del Pil. Tra i 17 paesi dell’area euro valori più elevati si riscontrano solo in Finlandia (12,8%) e in Belgio (12,4%), mentre in Germania si scende all’8,4% e in Francia al 7,9%. Dai redditi delle persone fisiche si ottiene in Italia il 27% del gettito fiscale e contributivo complessivo, oltre 5 punti in più della Germania e quasi 10 in più della Francia. Tassazione sui redditi delle persone fisiche (% del Pil; anno 2011) Agevolazioni fiscali e reddito delle persone fisiche e delle imprese (miliardi di euro; anno 2011) 0 2 4 6 8 10 12 14 Slovacchia Cipro Grecia Estonia Slovenia Portogallo Malta Spagna Francia PaesiBassi Lussemburgo Germania Irlanda Austria Italia Belgio Finlandia 0 20 40 60 80 100 120 140 160 180 200 Irpef Agevolazioni persone fisiche IRAP+IRES Agevolazioni imprese Fonte: elaborazione Servizio Studi BNL su dati Eurostat Fonte: elaborazione Servizio Studi BNL su dati Eurostat, Istat e Corte dei Conti
  • 8. 8 1 luglio 2013 Nonostante la tassazione sul reddito delle persone fisiche nel nostro Paese risulti elevata nel confronto internazionale, il gettito è influenzato profondamente, e in misura più intensa di quanto registrato nelle altre economie, dal sistema delle agevolazioni fiscali. Secondo i dati contenuti nel Rapporto 2013 sul cordinamento della finanza pubblica della Corte dei Conti, sono oltre 170 le agevolazioni fiscali previste dal sistema italiano a favore delle persone fisiche. La perdita di gettito supera i 100 miliardi di euro. Confrontando il valore delle agevolazioni con quello del gettito effettivamente incassato (180 miliardi), appare evidente l’importanza che lo strumento delle deduzioni e delle detrazioni assume in Italia nel disegnare le caratterisitiche del sistema impositivo sui redditi delle persone fisiche. Su oltre 100 miliardi di minore gettito, 9 provengono dal comparto casa, 21 dal segmento famiglia e quasi 60 sono, invece, collegabili al lavoro e alle pensioni. Ovviamente nel sistema fiscale italiano le agevolazioni non interessano solo le famiglie, ma riguardano anche le imprese. In questo caso sono previste quasi 80 agevolazioni, con una perdita complessiva di gettito superiore ai 30 miliardi di euro, dei quali 24 per imposte dirette e quasi 7 per l’IRAP. Anche nel caso delle imprese, dato un gettito da IRES e IRAP compreso tra i 60 e i 70 miliardi di euro, appare evidente il ruolo delle agevolazioni nel disegnare le caratteristiche del sistema fiscale italiano. Andando a considerare anche le altre agevolazioni, che non interessano direttamente le famiglie e le imprese, come ad esempio quelle derivanti dall’applicazione delle aliquote IVA ridotte, il numero complessivo è superiore a 700. A fronte di un gettito fiscale e contributivo realmente incassato di oltre 650 miliardi di euro, le agevolazioni generano minori entrate per più di 250 miliardi, si tratta di una perdita pari a oltre un quarto del gettito complessivo potenzialmente ottenibile. Tassazione immobiliare: con le riforme in linea con l’Europa Le tasse sulla proprietà, immobiliare e non, in Italia nel 2011 sono state pari a poco più di 33 miliardi di euro, il 2,1% del Pil, 0,3 punti percentuali in più della media dell’area euro, ma un valore in linea con l’intera Unione europea. Tra i 17 paesi dell’area euro, valori più alti si registrano solo in Francia e in Belgio, entrambi al 3,2%. La Germania si posiziona, invece, su un livello inferiore alla metà di quello italiano (0,9%). Le tasse sulla proprietà comprendono le imposte ricorrenti sugli immobili; si tratta dei prelievi effettuati annualmente, come imposte sul reddito o patrimoniali ordinarie, che si contrappongono ai prelievi ordinari effettuati all’atto del trasferimento e ai prelievi straordinari. Con l’esclusione di Malta, tutti i paesi dell’Unione europea prevedono una tassazione ricorrente sugli immobili, estesa anche all’abitazione principale. Le metodologie di applicazione variano da paese a paese. In alcuni casi il soggetto passivo d’imposta è solo il proprietario, in altri interessato al pagamento è anche l’inquilino. Nel 2011, in Italia l’imposizione ricorrente sulle proprietà immobiliari generava un reddito pari a poco più di 10 miliardi di euro, lo 0,7% del Pil. L’Italia si collocava su un valore leggermente inferiore a quello medio dell’area euro (0,9%), e pari a poco più della metà di quello riferito all’Unione europea (1,3%). Su livelli più elevati si posizionavano la Francia (1,9%), il Belgio (1,3%) e la Grecia, paese nel quale la tassazione ricorrente sugli immobili era passata dal pesare lo 0,3% del Pil nel 2010 all’1,1% del 2011. Con l’introduzione dell’IMU la situazione in Italia è radicalmente cambiata. Il gettito è passato dai 9,2 miliardi di euro incassati con l’ICI nel 2011 a 22,6 miliardi. L’incidenza sul Pil è più che raddoppiata. Rispetto all’anno precedente sono stati, infatti aggiunti
  • 9. 9 1 luglio 2013 oltre 13 miliardi di nuova imposizione ricorrente sugli immobili, un importo pari a circa lo 0,9% del Pil. Con il passaggio all’IMU il livello della tassazione italiana si è avvicinato a quello francese, superando leggermente quello medio europeo. Alcune riflessioni conclusive L’analisi dei dati sulle principali economie europee, confrontando la media degli ultimi quindici anni della pressione fiscale e contributiva con il tasso di crescita medio annuo conseguito da ciascun paese, mostra con chiarezza come non sia possibile individuare una relazione stretta e ben determinata tra livello della pressione fiscale e crescita economica. Emerge, ad esempio, come la Svezia con una pressione prossima al 50% del Pil abbia registrato nel periodo 1996-2012 una crescita media annua del 2,6%, 0,4 punti percentuali in più di quella del Regno Unito, paese con una pressione fiscale circa 13 punti percentuali più bassa di quella svedese. L’Italia, con una pressione media pari al 41,7% ha registrato, tra i paesi considerati, la peggiore performance in termini di crescita, fermandosi ad un incremento medio annuo del Pil dello 0,7%, un valore pari a circa un terzo di quello dell’Austria, che ha una pressione fiscale comparabile a quella italiana. Dall’altro lato, l’Irlanda, con un fisco tra i meno pesanti (30,5% del Pil) ha registrato la crescita media annua più alta tra tutti i paesi considerati, quasi il 5% tra il 1996 e il 2012. La stessa performance non è stata, però, conseguita dal Portogallo, che si caratterizza per una pressione fiscale in linea con quella irlandese. Crescita economica e pressione fiscale nelle principali economie europee (pressione fiscale e contributiva in % del Pil – media 1995-2011; crescita Pil reale – media 1996-2012) La composizione della pressione fiscale e contributiva in Italia (% del Pil) 25 30 35 40 45 50 0 1 2 3 4 5 P r e s s i o n e f i s c a l e Crescita economica Belgio Regno Unito Paesi BassiGermania Italia Austria Francia Danimarca Svezia Finlandia Irlanda Portogallo Grecia Spagna 11,2 10,4 10,8 19,8 20,8 21,8 10,4 11,5 10,0 0 5 10 15 20 25 30 35 40 45 2000 2007 2011 Tassesui consumi Tassesul lavoro Tassesul capitale Fonte: elaborazione Servizio Studi BNL su dati Eurostat Fonte: elaborazione Servizio Studi BNL su dati Eurostat Se il livello della pressione fiscale non spiega i diversi ritmi di crescita economica, la composizione del prelievo assume, però, rilevanza, influenzando le scelte degli operatori in termini di investimenti e domanda di lavoro. Il confronto con le altre economie europee consente di individuare i caratteri fondamentali del nostro sistema impositivo: molte tasse sul lavoro, poche tasse sui consumi, un livello adeguato di imposizione sulle proprietà immobiliari, un regime delle agevolazioni fiscali che rende il sistema complesso, poco efficace e poco orientato alla crescita economica.
  • 10. 10 1 luglio 2013 Una prima considerazione sulla complessità: un sistema fiscale caratterizzato da oltre 700 agevolazioni, che portano ad una riduzione del gettito potenziale superiore a un quarto, pone le basi per una difficile applicazione delle regole, favorendo comportamenti elusivi ed evasivi. Come visto in precedenza, l’Italia si caratterizza, ad esempio, per una bassa efficacia dell’imposizione sui consumi, con una perdita di gettito, risultato delle aliquote IVA ridotte, stimata in quasi il 60%. Una revisione delle agevolazioni, che si accompagni ad una riarticolazione delle aliquote e all’utilizzo di forme dirette di redistribuzione, renderebbe il sistema più semplice ed efficiente. Oltre alla complessità, i dati mostrano come sia opportuno un riequilibrio tra le diverse forme di imposizione. Uno spostamento significativo della tassazione dai fattori produttivi verso il consumo renderebbe il sistema fiscale maggiormente orientato alla crescita economica. In un mondo nel quale le imprese italiane non possono più beneficiare delle svalutazioni del cambio, ma al contrario subiscono gli effetti negativi di quelle poste in essere da altri paesi, un sostegno alla competitività del sistema produttivo potrebbe giungere da una “svalutazione fiscale”: uno spostamento della tassazione dal lavoro ai consumi, realizzato mantenendo invariato il gettito complessivo, favorirebbe le esportazioni, sostenendo la crescita. Il confronto con la Germania può aiutare a capire, fornendo una parte della spiegazione della differente performance economica dei due paesi durante la crisi. Tra il 2000 e il 2007, mentre la Germania riduceva la pressione fiscale sul lavoro, portando il peso delle tasse dal 24% del Pil al 21,2% e riducendo l’aliquota implicita dal 39,1% al 37,9%, l’Italia realizzava un aumento della pressione fiscale complessiva, abbassando il peso delle tasse sui consumi, dall’11,2% del Pil al 10,4%, ed aumentando quello sul lavoro, dal 19,8% al 20,8%. Nella prima parte degli anni Duemila, in Germania, una riduzione delle tasse sul lavoro è stata affiancata ad una profonda riforma del mercato del lavoro, salvaguardando la competitività del sistema produttivo tedesco in un contesto mondiale caratterizzato dalla forte concorrenza di paesi con un basso costo del lavoro. In Italia, non è accaduto lo stesso. Un’ultima considerazione: una qualsiasi riorganizzazione del sistema fiscale avrà, però, un impatto limitato sulle capacità del Paese di generare ricchezza fino a quando non si realizzerà un forte abbassamento del grado di evasione fiscale. Per capire la reale dimensione del fenomeno è sufficiente provare ad immaginare cosa accadrebbe se l’Italia avesse un tasso di evasione in linea con quello medio dell’area euro. Se l’economia sommersa passasse dal 21,6% del Pil stimato per l’Italia al 15% dell’area euro, emergerebbero oltre 100 miliardi di euro di base imponibile. Applicando a questo numero la pressione fiscale e contributiva del 2012, si otterrebbe un gettito aggiuntivo stimabile in oltre 45 miliardi di euro. Per dare una dimensione al fenomeno: 45 miliardi di euro è un importo perfettamente uguale al deficit complessivo registrato dalle Amministrazioni pubbliche italiane nel 2012. Riducendo l’evasione fiscale e contributiva ad un livello europeo, si passerebbe da un disavanzo del 3% ad un bilancio in pareggio. Altrimenti, il maggior gettito potrebbe essere utilizzato per una riduzione dell’imposizione fiscale. Anche in questo caso, per dare una dimensione al fenomeno: 45 miliardi di euro equivalgono al doppio del gettito dell’IMU, alla metà di quello dell’IVA, a due terzi della tassazione sulle imprese (IRES più IRAP) e a un quarto di quella sulle persone fisiche.
  • 11. 11 1 luglio 2013 Un cruscotto della congiuntura: alcuni indicatori Indice Itraxx Eu Financial Indice Vix 0 50 100 150 200 250 300 350 400 gen-11 mar-11 mag-11 lug-11 set-11 nov-11 gen-12 mar-12 mag-12 lug-12 set-12 nov-12 gen-13 mar-13 mag-13IndexItraxx EU Financial Sector 0 10 20 30 40 50 60 gen-11 mar-11 mag-11 lug-11 set-11 nov-11 gen-12 mar-12 mag-12 lug-12 set-12 nov-12 gen-13 mar-13 mag-13 Fonte: Thomson Reuters Fonte: Thomson Reuters I premi al rischio rimangono sotto quota 170 pb. L’indice Vix nell’ultima settimana scende da 19 a 17. Cambio euro/dollaro e quotazioni Brent (Usd per barile) Prezzo dell’oro (Usd l’oncia) 1,15 1,2 1,25 1,3 1,35 1,4 1,45 1,5 90 95 100 105 110 115 120 125 130 gen-11 mag-11 set-11 gen-12 mag-12 set-12 gen-13 mag-13 Brentscala sin.(in Usd) Cambio euro/dollaro sc.ds. 1.200 1.300 1.400 1.500 1.600 1.700 1.800 1.900 2.000 gen-11 mar-11 mag-11 lug-11 set-11 nov-11 gen-12 mar-12 mag-12 lug-12 set-12 nov-12 gen-13 mar-13 mag-13 Fonte: Thomson Reuters Fonte: Thomson Reuters Il tasso di cambio €/$ a 1,31. Il petrolio di qualità Brent quota $102 al barile. Il prezzo dell’oro scende a 1.215 dollari l’oncia dai 1.289 della scorsa settimana.
  • 12. 12 1 luglio 2013 Borsa italiana: indice Ftse Mib Tassi dei benchmark decennali: differenziale con la Germania (punti base) 12.000 14.000 16.000 18.000 20.000 22.000 24.000 gen-11 apr-11 lug-11 ott-11 gen-12 apr-12 lug-12 ott-12 gen-13 apr-13 0 200 400 600 800 1.000 1.200 1.400 gen-11 feb-11 mar-11 apr-11 mag-11 giu-11 lug-11 ago-11 set-11 ott-11 nov-11 dic-11 gen-12 feb-12 mar-12 apr-12 mag-12 giu-12 lug-12 ago-12 set-12 ott-12 nov-12 dic-12 gen-13 feb-13 mar-13 apr-13 mag-13 giu-13 Italia Spagna Irlanda Portogallo Fonte: Thomson Reuters Fonte: elab. Servizio Studi BNL su dati Thomson Reuters Il Ftse Mib si muove intorno a 15.300. I differenziali con il Bund sono pari a 471 pb per il Portogallo, 232 pb per l’Irlanda, 302 pb per la Spagna e 282 pb per l’Italia. Indice Baltic Dry Euribor 3 mesi (val. %) 0 2.000 4.000 6.000 8.000 10.000 12.000 gen-08 apr-08 lug-08 ott-08 gen-09 apr-09 lug-09 ott-09 gen-10 apr-10 lug-10 ott-10 gen-11 apr-11 lug-11 ott-11 gen-12 apr-12 lug-12 ott-12 gen-13 apr-13 0 1 2 3 4 5 6 set-06 gen-07 mag-07 set-07 gen-08 mag-08 set-08 gen-09 mag-09 set-09 gen-10 mag-10 set-10 gen-11 mag-11 set-11 gen-12 mag-12 set-12 gen-13 mag-13 Fonte: Thomson Reuters Fonte: Thomson Reuters L’indice, su valori minimi, nell’ultima settimana sale oltre quota 1.100. L’euribor 3m si muove intorno a 0,20%. Il presente documento è stato preparato nell’ambito della propria attività di ricerca economica da BNL- Gruppo Bnp Paribas. Le stime e le opinioni espresse sono riferibili al Servizio Studi di BNL-Gruppo BNP Paribas e possono essere soggette a cambiamenti senza preavviso. Le informazioni e le opinioni riportate in questo documento si basano su fonti ritenute affidabili ed in buona fede. Il presente documento è stato divulgato unicamente per fini informativi. Esso non costituisce parte e non può in nessun modo essere considerato come una sollecitazione alla vendita o alla sottoscrizione di strumenti finanziari ovvero come un’offerta di acquisto o di scambio di strumenti finanziari.