1. Banca Nazionale del Lavoro
Gruppo BNP Paribas
Via Vittorio Veneto 119
00187 Roma
Autorizzazione del Tribunale
di Roma n. 159/2002
del 9/4/2002
Le opinioni espresse
non impegnano la
responsabilità
della banca.
La crescita del Pil e dei consumi in Italia
(valori concatenati; 1990=100; 2013: stima)
130
125
120
115
110
105
100
2013*
2012
2011
2010
2009
2008
2007
2006
2005
2004
2003
2002
Pil
2001
2000
1999
1998
1997
1996
1995
1994
1993
1992
1991
1990
95
Consumi
Fonte: elaborazione Servizio Studi BNL su dati Istat
07
25 febbraio
2014
Direttore responsabile:
Giovanni Ajassa
tel. 0647028414
giovanni.ajassa@bnlmail.com
In Italia, circa 900 dei 1.500 miliardi di euro di beni e servizi prodotti ogni anno sono
assorbiti dalla spesa delle famiglie, che spiegano gran parte dell’evoluzione
dell’economia. Negli ultimi venti anni la crescita dei consumi ha rispecchiato, però, più
i cambiamenti nelle abitudini di spesa degli italiani che l’aumento del potere
d’acquisto. La riduzione del risparmio e il maggior ricorso all’indebitamento spiegano
la gran parte della crescita dei consumi.
Sei anni di crisi hanno, però, riportato le famiglie verso modelli di consumo del
passato, con più risparmio e meno debito, influenzando le prospettive per l’economia
italiana: secondo le previsioni di consenso, la ripresa nel nostro Paese dovrebbe
risultare moderata, come effetto proprio della deludente dinamica dei consumi.
2. 25 febbraio 2014
Solo con più consumi, l’Italia può tornare a crescere
P. Ciocca 06-47028431 – paolo.ciocca@bnlmail.com
In Italia, circa 900 dei 1.500 miliardi di euro di beni e servizi prodotti ogni anno
sono assorbiti dai consumi, che spiegano, dunque, gran parte dell’evoluzione
dell’economia. Questo è apparso chiaro durante la recessione, ma era ancora più
evidente negli anni precedenti la crisi: tra il 1990 e il 2007, la spesa delle famiglie
ha contributo per oltre la metà alla crescita complessiva dell’economia italiana.
Nei periodi di sviluppo, che hanno preceduto la crisi, l’aumento dei consumi è,
però, stato guidato più da cambiamenti nelle abitudini di spesa dei consumatori,
che da un aumento del reddito. Dal 1990 al 2007, ciascun italiano ha accresciuto
le quantità consumate di beni e servizi di oltre un quinto, mentre il potere
d’acquisto è salito solo dell’8%. La quadratura tra un reddito stagnante e
consumi in crescita è stata trovata nel minore accumulo di risparmio e nel
maggiore ricorso all’indebitamento.
Il protarsi della crisi sembra, però, aver iniziato a condurre gradualmente gli
italiani verso modi di spendere forse più coerenti con le tradizioni del nostro
Paese. Nel 2013, la propensione al risparmio è tornata a crescere, mentre
l’indebitamento, per una pluralità di ragioni, ha proseguito a ridursi. Più
risparmio e meno debito: un ritorno al passato che influenza le attese sulla
ripresa dell’economia. Secondo le previsioni di consenso, alla fine del prossimo
anno, l’Italia avrebbe recuperato solo una piccola parte di quanto perso durante
la recessione. Al graduale recupero degli investimenti e delle esportazioni si
accompagnerebbe, infatti, una crescita deludente dei consumi. Un’azione sui
redditi, che dia sostegno alla spesa delle famiglie, è oggi tanto necessaria,
quanto più opportuna di qualsiasi altra forma di intervento.
Da una lunga recessione ad una debole ripresa
Dopo nove trimestri consecutivi di calo, alla fine dello scorso anno, l’Italia è
ufficialmente uscita dalla recessione. Nel complesso del 2013, nonostante il
miglioramento degli ultimi tre mesi, la flessione del Pil si è, però, avvicinata ai 2 punti
percentuali in termini reali. Durante lo scorso anno, la contrazione dell’economia è
risultata prevalentemente il frutto della debolezza della domanda interna, manifestatasi
con la brusca flessione sia dei consumi delle famiglie sia degli investimenti delle
imprese. Le esportazioni hanno sostanzialmente smesso di crescere, ma, grazie al
calo delle importazioni, il contributo della domanda estera netta è risultato positivo.
Dall’inizio della crisi, l’economia italiana ha perso circa 9 punti percentuali di prodotto.
Nel confronto tra il 2013 e il 2007, il contributo delle esportazioni nette è risultato
positivo, grazie esclusivamente alla brusca flessione delle importazioni. In sei anni, gli
investimenti delle imprese spiegano oltre 5,5 punti del calo complessivo, mentre il
contributo negativo dei consumi delle famiglie si è avvicinato ai 4,5 punti.
Superata la recessione, i principali indicatori qualitativi segnalano il proseguimento
della crescita nei prossimi mesi, grazie sia all’accelerazione delle esportazioni sia ad
una graduale ripresa degli investimenti.
Sul fronte della domanda estera, i dati della bilancia commerciale hanno mostrato
durante lo scorso anno una stagnazione del valore delle esportazioni. Questo
andamento, oltre ad essere il risultato del rallentamento della domanda proveniente in
particolare da alcune economie al di fuori della Ue, è anche il frutto di fattori
straordinari, come il brusco calo delle vendite nel settore dei metalli, comparto che
2
3. 25 febbraio 2014
pesa per oltre il 10% del totale. Il 2013 si è, però, chiuso con un segnale di
miglioramento, che lascia ben sperare per un positivo andamento nei prossimi mesi.
La crescita del Pil in Italia
L’andamento delle esportazioni in Italia
(valori concatenati; 2007=100; 2014 e 2015:
previsioni)
(valori correnti; var. % t/t)
102
5
4
100
3
98
2
96
1
94
92,9
93,4
92
-1
IV 2013
III 2013
Fonte: elaborazione Servizio Studi BNL su dati Istat
II 2013
2015
I 2013
2014
IV 2012
2013
III 2012
2012
II 2012
2011
I 2012
2010
IV 2011
2009
III 2011
2008
II 2011
2007
I 2011
-2
91,3
90
0
Fonte: elaborazione Servizio Studi BNL su dati Istat
Dal lato delle imprese, gli ultimi anni hanno visto una brusca flessione degli
investimenti. Dopo sei anni di crisi, il capitale investito risulta invecchiato, e meno
produttivo. Già nel corso del 2012, per la prima volta negli ultimi venti anni, i nuovi
investimenti in macchinari non erano stati sufficienti a compensare l’ammortamento del
capitale esistente, determinando una flessione dello stock di capitale netto. Le imprese
italiane potrebbero, dunque, essere arrivate ad un punto in cui è divenuto quasi
obbligatorio procedere alla realizzazione di nuovi investimenti, anche in presenza di
livelli produttivi più bassi di quelli raggiunti negli anni precedenti la crisi.
Le attese sull’economia italiana si concentrano, però, su tassi di sviluppo solo
moderati. Secondo le previsioni di consenso, quest’anno la crescita si fermerebbe poco
sopra il mezzo punto percentuale, per posizionarsi intorno all’1% nel corso del 2015.
Alla fine del prossimo anno, l’economia italiana avrebbe in questo modo recuperato
solo una piccola parte di quanto perso durante la recessione. Il Pil in termini reali
risulterebbe ancora circa 7 punti percentuali inferiore al livello del 2007. Alla ripresa
degli investimenti e delle esportazioni si accompagnerebbe, infatti, una crescita
deludente dei consumi.
Un’economia guidata dai consumi
In Italia, circa 900 dei 1.500 miliardi di euro di beni e servizi prodotti ogni anno sono
assorbiti dai consumi. L’andamento della spesa delle famiglie spiega, dunque, gran
parte dell’evoluzione dell’economia. Questo è apparso chiaro durante la recessione,
ma era ancora più evidente negli anni precedenti la crisi. Quando l’Italia cresceva,
sebbene più lentamente di quanto accadesse negli altri principali paesi europei, il
traino allo sviluppo veniva proprio dalla spesa delle famiglie.
Negli anni Novanta, mentre il Pil nel suo complesso cresceva ad un ritmo medio annuo
dell’1,4%, i consumi aumentavano in termini reali dell’1,6%. La crescita delle
esportazioni, sebbene molto più robusta, si accompagnava ad un rapido sviluppo delle
importazioni, che ne attenuava in maniera significativa il contributo alla crescita. Tra il
1990 e il 1999, i 13 punti percentuali complessivi di aumento del Pil venivano spiegati
3
4. 25 febbraio 2014
per poco più di 9 punti dai consumi, mentre gli investimenti e le esportazioni nette
contribuivano entrambi per circa 1,5 punti.
Il contributo delle singole componenti
alla crescita del Pil in Italia
La crescita del Pil e dei consumi in Italia
(valori concatenati; 1990=100; 2013: stima)
(valori concatenati; var. cumulata; punti percentuali;
2013: stima)
15
130
125
10
120
5
115
0
110
-5
105
-10
100
2013*
2012
2011
2010
2009
2008
2007
2006
2005
2004
2003
2002
Pil
2001
2000
1999
1998
1997
Fonte: elaborazione Servizio Studi BNL su dati Istat
1996
Scorte
1995
Export nette
1994
Investimenti
1993
Spesa pubblica
2013*/2007
1992
Consumi
2007/1999
1991
95
1999/1990
1990
-15
Consumi
Fonte: elaborazione Servizio Studi BNL su dati Istat
Situazione simile negli anni Duemila. Tra il 1999 e il 2007, il Pil italiano era cresciuto
complessivamente di poco più di 13 punti percentuali. Di questi, oltre 5 venivano dai
consumi, 4 dagli investimenti e quasi 3,5 dalla spesa pubblica, mentre il contributo
delle esportazioni nette risultava leggermente negativo.
Guardando l’insieme dei 17 anni di sviluppo che hanno preceduto la crisi, i consumi
delle famiglie spiegano oltre la metà della crescita complessiva dell’economia italiana.
Negli ultimi sei anni la situazione è radicalmente cambiata. La condizione economica
delle famiglie è deteriorata gradualmente, ma in maniera significativa. Nella prima parte
della crisi, l’impatto del calo dei consumi sulla crescita appariva moderato. L’economia
soffriva prevalentemente la brusca flessione delle esportazioni, come pure quella degli
investimenti. Negli ultimi tre anni, la contrazione della spesa privata è divenuta
particolarmente severa. Tra il 2011 e il 2013, il Pil è sceso di 4,4 punti percentuali. I
consumi spiegano quasi 4 punti della flessione complessiva, gli investimenti 2,5,
mentre le esportazioni nette hanno frenato il calo del Pil con un contributo positivo
superiore ai 3 punti, risultato, però, prevalentemente della brusca flessione delle
importazioni.
Un difficile equilibrio tra consumi, risparmio e debito
I dati degli ultimi venti anni confermano l’importanza dei consumi nel guidare
l’evoluzione dell’economia italiana. Questo è quanto emerge anche dalle previsioni per
i prossimi trimestri. Il +0,6% e +1% atteso per il Pil nell’anno in corso e nel 2015 sono,
infatti, il risultato di un’evoluzione molto lenta della spesa delle famiglie, che
registrerebbe tassi di sviluppo pari a poco più della metà della crescita media rilevata
negli anni precedenti la recessione.
A questo punto, capire quali siano stati gli elementi che hanno favorito la crescita dei
consumi negli anni di sviluppo precedenti la crisi diviene necessario per cercare di
immaginare cosa attendersi per il futuro, ma, soprattutto, per comprendere dove agire,
per ridare slancio alla ripresa.
4
5. 25 febbraio 2014
La dinamica dei consumi e dei redditi in
Italia
I consumi e il potere d’acquisto degli
italiani
(valori correnti; var. % cumulata; 2013: stima)
(valori concatenati pro-capite; 1990=100; 2013:
stima)
130
80
70
68,6
125
60
50
120
48,7
40
122,5
115,2
115
34,2
110
34,0
30
105
20
107,9
110,5
100
10
0,0
1999/1990
2007/1999
Consumi
2013*/2007
Redditi
Fonte: elaborazione Servizio Studi BNL su dati Istat
90
94,1
2013*
2012
2011
2010
2009
2008
2007
2006
2005
2004
2003
2002
2001
2000
1999
1998
1997
1996
1995
1994
1993
1992
1991
1990
-10
95
3,4
0
101,6
Consumi
Potere d'acquisto
Fonte: elaborazione Servizio Studi BNL su dati Istat
Nel 1990, ciascun italiano aveva in media a disposizione un reddito leggermente
superiore ai 9mila euro, e ne destinava ai consumi poco più di 7mila. Dopo nove anni,
nel 1999, i consumi pro-capite erano aumentati di quasi il 70%, avvicinandosi ai 12mila
euro, mentre la crescita del reddito si era fermata a meno del 50%. Questa differente
evoluzione tra consumi e reddito, appare ancora più evidente considerando i valori al
netto della variazione dei prezzi. Dal 1990 al 1999, ogni italiano aumentò di oltre il 15%
la quantità di beni e servizi consumata. Solo una piccola parte di questa maggiore
spesa risultava, però, essere stata finanziata da un aumento del potere d’acquisto,
che, misurato dal reddito disponibile pro-capite in termini reali, era aumentato in nove
anni di meno del 2%.
Nel periodo immediatamente precedente la crisi, tra il 1999 e il 2007, la dinamica dei
consumi è apparsa simile a quella dei redditi. Guardando l’insieme dei 17 anni che
hanno preceduto la crisi, si vede, però, come, dal 1990 al 2007, ciascun italiano abbia
aumentato le quantità consumate di beni e servizi di oltre un quinto, mentre il potere
d’acquisto è cresciuto solo dell’8%.
La quadratura tra un potere d’acquisto stagnante e consumi in crescita deve essere
cercata nella graduale, ma significativa, riduzione della propensione al risparmio, come
pure nell’accresciuto ricorso all’indebitamento da parte delle famiglie italiane. I
cambiamenti nelle abitudini di spesa, manifestatesi nel corso degli ultimi 20 anni,
spiegano, dunque, l’andamento dei consumi più di quanto non lo faccia la dinamica del
reddito.
Partendo dal risparmio, all’inizio degli anni Novanta, ciascun italiano destinava il 77%
del proprio reddito all’acquisto di beni e servizi. Nel 1999, la quota dei consumi era
aumentata di circa 10 punti percentuali, per poi stabilizzarsi nella prima parte degli anni
Duemila su valori non lontani dal 90%. Nel 1990, si considerava corretto, ed opportuno,
accantonare quasi un quarto del proprio reddito nel risparmio. All’inizio della
recessione si era scesi al 12%. Questa tendenza è proseguita anche nel periodo della
crisi. Negli anni della recessione, gli italiani hanno fronteggiato il calo del reddito
riducendo ulteriormente il risparmio, cercando in questo modo di attenuare l’impatto
della crisi sul proprio tenore di vita. Dal 2007 al 2012, a fronte di una riduzione del
potere d’acquisto superiore al 10%, ciascun italiano ha ridotto le quantità consumate di
5
6. 25 febbraio 2014
solo il 7%. La propensione al risparmio è scesa a poco più dell’8%, circa un terzo del
valore dell’inizio degli anni Novanta. Venti anni fa per ogni 100 euro di reddito a nostra
disposizione ne mettevamo da parte quasi 25; nel 2012, per scelta o per necessità, ne
abbiamo risparmiati solo 8.
La propensione al risparmio degli
italiani
I debiti degli italiani
(valori correnti pro-capite; euro)
(% del reddito disponibile; 2013: stima)
10.000
25,0
9.000
23,6
8.000
20,0
7.000
15,0
10,0
6.000
13,4
5.000
12,6
4.000
8,2
5,0
3.000
2.000
1.000
2013
2012
2011
2010
2009
2008
2007
2006
2005
2004
2003
Fonte: elaborazione Servizio Studi BNL su dati Istat
0
2002
2013*
2012
2011
2010
2009
2008
2007
2006
2005
2004
2003
2002
2001
2000
1999
1998
1997
1996
1995
1994
1993
1992
1991
1990
0,0
Fonte: elaborazione Servizio Studi BNL su dati
Banca d’Italia
Passando ai debiti, emerge con chiarezza come nel corso degli anni gli italiani abbiano
cambiato in maniera radicale il proprio orientamento verso l’indebitamento, con una
crescita che ha interessato ininterrottamente tutti gli anni precedenti la crisi,
sostenendo lo sviluppo dell’economia italiana. Il debito totale delle famiglie è passato
da circa 140 miliardi di euro del 1998 a oltre 410 miliardi del 2007. In soli 10 anni, il
valore del debito è quasi triplicato. La crescita è proseguita anche per tutta la prima
parte della crisi, per poi, però, mostrare un significativo cambio di direzione negli ultimi
due anni. Nel 2011, il debito totale delle famiglie aveva raggiunto i 560 miliardi di euro.
Nel 1998, ogni italiano aveva in media più di 2.200 euro di debiti. Nel 2011, sono stati
superati i 9.400 euro, che ricomprendono il credito al consumo, gli scoperti di conto
corrente come pure i prestiti per l’acquisto dell’abitazione. Questi ultimi ovviamente
rappresentano la gran parte dell’indebitamento delle famiglie, ma, anche limitando
l’attenzione al solo credito al consumo, le conclusioni alle quali si giunge rimangono le
stesse. Dal 2002 al 2011, il credito al consumo è passato da 46 a 111 miliardi di euro,
con un’incidenza sul totale dei consumi raddoppiata in soli nove anni, dal 6% al 12%.
Un’ulteriore considerazione merita di essere fatta, per completare il quadro che ci
descrive il cambiamento che ha interessato i comportamenti di spesa delle famiglie. Gli
italiani nel corso degli anni oltre ad aver ampliato le fonti per il reperimento delle risorse
necessarie per finanziare i propri acquisti, aggiungendo al reddito il risparmio e il
debito, hanno anche modificato la composizione dei propri consumi. Alcuni
cambiamenti devono essere sottolineati. Confrontando il periodo immediatamente
precedente la crisi con l’inizio degli anni Novanta, emerge un minore peso degli
alimentari sul totale dei consumi, considerati al netto dei fitti, siano essi imputati o
effettivi, a fronte di una maggiore spesa per ristoranti, alberghi, sanità, ma anche per il
comparto delle comunicazioni. Nel 2007, gli italiani sono arrivati a spendere per le
comunicazioni, che comprendono sia i servizi sia gli apparecchi telefonici, oltre 20
miliardi di euro, un importo sostanzialmente uguale a quello destinato all’acquisto di
6
7. 25 febbraio 2014
pane e cereali, mentre 17 anni prima, il pane e i cereali assorbivano un importo pari a
quasi il doppio di quello delle comunicazioni.
Il necessario sostegno ai consumi per tornare a crescere
I dati degli ultimi venti anni mostrano, dunque, come l’aumento dei consumi, nei periodi
di crescita, sia stato guidato più da cambiamenti nelle abitudini di spesa degli italiani,
manifestatesi con una maggiore propensione al consumo e con un più forte ricorso
all’indebitamento, che da un aumento del potere d’acquisto. Uno sguardo alla
composizione dei consumi per tipologia di bene e servizio ci dice anche che il risparmio
e il capitale preso a prestito negli anni della crescita siano stati spesso utilizzati, non
tanto per l’acquisto di beni di primaria necessità, quanto soprattutto per poter disporre
di beni voluttuari.
È difficile quantificare l’impatto del minore risparmio e del maggior debito sui consumi.
Si può, però, cercare di approssimare questo effetto, andando ad immaginare cosa
sarebbe accaduto se i consumi avessero seguito un andamento uguale a quello del
reddito, basandosi sul principio: aumento la mia spesa solo a condizione di avere un
maggior reddito a disposizione.
Dal 1990 al 2007, i consumi a prezzi correnti sono aumentati del 126%, il reddito del
99%. Se i consumi fossero cresciuti quanto il reddito, nel 2007 avremmo avuto oltre
100 miliardi di euro di spesa privata in meno. Passando dai consumi al Pil, ed
eliminando l’effetto dei prezzi, otteniamo che se le famiglie italiane avessero mantenuto
invariato il proprio modo di spendere avremmo perso quasi mezzo punto percentuale di
crescita media annua del Pil, passando dal già deludente +1,5% registrato tra il 1990 e
il 2007 ad un ancora più modesto +1,1%. Nei 17 anni considerati, la crescita cumulata
del Pil sarebbe risultata circa 9 punti percentuali più bassa di quella effettivamente
conseguita. Ovviamente, estendendo il ragionamento al periodo della crisi, l’effetto
appare ancora più rilevante. La recessione sarebbe risultata più ampia: con consumi
guidati solo dal reddito, si può stimare che la perdita complessiva in termini di Pil
avrebbe superato i 10 punti percentuali nel confronto tra il 2013 e il 2007.
Tutto questo ci deve portare a riflettere con attenzione su quanto sta già accadendo. Il
protarsi della crisi sembra avere iniziato a riportare gradualmente gli italiani verso modi
di spendere forse più coerenti con le tradizioni del nostro Paese. Nel 2013, la
propensione al risparmio è tornata a crescere, mentre l’indebitamento, per una pluralità
di ragioni, ha iniziato a ridursi. Alla fine dello scorso anno, ciascun italiano aveva in
media circa 9.200 euro di debito, un taglio di 200 euro rispetto a due anni prima. Anche
la composizione del portafoglio di beni e servizi acquistati ha cominciato a modificarsi,
sebbene i dati si fermino al 2012. Il peso degli alimentari è rimasto invariato, mentre si
assiste ad una moderata tendenza verso una minore importanza della spesa per le
comunicazioni.
Più risparmio e meno debito: un ritorno al passato sembra riportare le famiglie a
spendere guardando sia il reddito di oggi sia le prospettive di crescita futura, prestando
maggiore attenzione alla reale necessità dei beni e servizi acquistati. Questa
considerazione porta ovviamente a ritenere che, senza cambiamenti alla situazione
attuale, i consumi siano destinati a crescere solo lentamente, seguendo la debole
dinamica attesa per i redditi. Senza il sostegno dei consumi è, però, difficile che
l’economia possa tornare a crescere con tassi di sviluppo robusti. La domanda estera
non può essere considerata sufficiente. Su oltre 4 milioni di imprese, sono solo poco
più di 200mila quelle esportatrici. L’attenzione deve, dunque, essere concentrata su
quella parte dell’economia fortemente legata alla domanda interna. Nel settore
7
8. 25 febbraio 2014
manifatturiero le vendite all’estero assorbono quasi il 40% del totale della produzione,
mentre nel comparto dei servizi ci si ferma al 4%, ricordando che quest’ultimo settore
nel nostro Paese contribuisce per oltre il 70% alla produzione del valore aggiunto.
Ogni anno, gli italiani pagano 180 miliardi di euro per le imposte sui redditi.
Contemporaneamente, oltre 170 agevolazioni, concesse alle famiglie come deduzioni
e detrazioni, riducono il gettito delle imposte sui redditi di 100 miliardi di euro. Ogni
anno, le Amministrazioni Pubbliche spendono oltre 700 miliardi di euro, al netto degli
interessi sul debito. Ogni anno, quasi 150 miliardi di euro di imposte svaniscono,
nascoste dall’evasione. Numeri rilevanti, all’interno dei quali potrebbe risultare più
semplice di quanto si pensi trovare le risorse per dare sostegno ai redditi degli italiani.
Manovre che appaiono oggi tanto necessarie, quanto più opportune di qualsiasi altra
forma di intervento. Solo restituendo potere d’acquisto alle famiglie l’economia potrà
crescere più di quanto oggi ci si attenda. È difficile immaginare che lo stimolo possa
venire da un aumento dei redditi nominali. Un aiuto può giungere solo dalla politica
fiscale.
8
9. 25 febbraio 2014
Un cruscotto della congiuntura: alcuni indicatori
Indice Itraxx Eu Financial
Indice Vix
400
60
350
300
50
250
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set-11
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lug-11
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10
mar-11
0
Fonte: Thomson Reuters
Fonte: Thomson Reuters
I premi al rischio passano da 87 a 89 pb.
L’indice Vix nell’ultima settimana resta
stabile a quota 14.
Cambio euro/dollaro e quotazioni Brent
Prezzo dell’oro
(Usd per barile)
(Usd l’oncia)
2.000
130
1,5
1.900
125
1,45
1.800
1,4
1.700
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mar-13
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gen-13
feb-13
set-12
set-12
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mar-12
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1,15
1.300
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giu-11
1,2
Cambio euro/dollaro sc.ds.
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Brent scala sin.(in Usd)
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115
gen-11
120
Fonte: Thomson Reuters
Fonte: Thomson Reuters
Il tasso di cambio €/$ a 1,37. Il petrolio di qualità
Brent quota $111 al barile.
Il prezzo dell’oro raggiunge i 1.300 dollari
l’oncia.
9
10. 25 febbraio 2014
Borsa italiana: indice Ftse Mib
Tassi dei benchmark decennali:
differenziale con la Germania
(punti base)
24.000
1.400
22.000
1.200
1.000
20.000
800
18.000
600
400
16.000
giu-11
nov-11
apr-12
set-12
feb-13
lug-13
Italia
dic-13
Spagna
Irlanda
ott-13
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lug-11
12.000
gen-11
0
apr-11
14.000
gen-11
200
Portogallo
Fonte: Thomson Reuters
Fonte: elaborazioni Servizio Studi BNL su dati
Thomson Reuters
Il Ftse Mib continua a salire oltre quota
20.000.
I differenziali con il Bund sono pari a 321 pb
per il Portogallo, 148 pb per l’Irlanda, 188 pb
per la Spagna e 194 pb per l’Italia.
Indice Baltic Dry
Euribor 3 mesi
(val. %)
12.000
6
10.000
5
8.000
4
Fonte: Thomson Reuters
Fonte: Thomson Reuters
L’indice Baltic Dry nell’ultima settimana
continua a scendere sotto quota 2.000.
set-13
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0
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0
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1
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2
2.000
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3
4.000
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6.000
L’euribor 3m resta stabile a 0,30%.
Il presente documento è stato preparato nell’ambito della propria attività di ricerca economica da BNLGruppo Bnp Paribas. Le stime e le opinioni espresse sono riferibili al Servizio Studi di BNL-Gruppo BNP
Paribas e possono essere soggette a cambiamenti senza preavviso. Le informazioni e le opinioni riportate in
questo documento si basano su fonti ritenute affidabili ed in buona fede. Il presente documento è stato
divulgato unicamente per fini informativi. Esso non costituisce parte e non può in nessun modo essere
considerato come una sollecitazione alla vendita o alla sottoscrizione di strumenti finanziari ovvero come
un’offerta di acquisto o di scambio di strumenti finanziari.
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