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Platone
Anima e Corpo
Il concetto di anima e corpo è alla base della teoria del sapere come reminiscenza. Secondo questa
teoria, una persona non è solo un corpo, ma anche un'anima, che contempla direttamente le idee prima
di incarnarsi nel corpo e le apprende ricordando. Tuttavia, il legame tra anima e corpo può complicare il
processo dell'apprendimento. Per Platone, l'anima deve purificarsi dall'influenza del corpo per
accedere al mondo intelligibile, alla realtà vera.
Nel Fedone, Platone racconta le ultime ore di Socrate e il suo commiato dagli amici, nella cella del
carcere, poco prima della morte. Socrate dichiara di non temere la morte, proprio perché questa
consiste nella separazione dell'anima dal corpo che la imprigiona ostacolandola nella ricerca del
sapere.
Dalla caratterizzazione del corpo come prigione dell'anima sembra seguire la conclusione per cui
l'anima dovrebbe distaccarsi il prima possibile dal corpo. Tuttavia, Platone non sostiene che la morte
debba essere perseguita volontariamente. Socrate afferma che il comportamento virtuoso per un
prigioniero non è cercare di evadere dalla prigione in cui si trova, ma considerare la propria
permanenza in quella prigione come un'opportunità per saldare il proprio debito con la giustizia e
diventare una persona migliore.
Analogamente, l'anima deve considerare la propria prigionia nel corpo come un'occasione per
purificarsi e progredire nella conoscenza, rendendosi infine degna di quel mondo intelligibile che
costituisce la sua unica meta. L'anima è immortale e la morte costituisce soltanto un passaggio da una
fase all'altra della sua esistenza.
Immortalità e reincarnazione: il mito di Er
In "Fedone", Platone sostiene l'idea dell'immortalità dell'anima attraverso tre argomentazioni. La prima
si basa sul fatto che l'anima ha la stessa natura delle idee, che sono incorruttibili, e quindi l'anima deve
essere immortale. La seconda, l’anima ha come principio di riferimento l’idea di Vita. La terza
argomentazione si basa sull'intuizione che le cose si generano dal loro contrario, come la vita dalla
morte, e suggerisce che dopo la morte, l'anima inizia una nuova vita della stessa natura di quella
precedente, in linea con la dottrina della reincarnazione.
La riflessione sull'immortalità è strettamente connessa alla riflessione sul destino e sulla responsabilità
dell'uomo, che Platone affronta nel mito di Er nella conclusione della "Repubblica". Er racconta ai suoi
compagni ciò che ha visto nell'aldilà, dove ha appreso che non sono gli dèi a scegliere la vita successiva
dell'anima, ma l'anima stessa è libera di scegliere il suo destino. Il tipo di vita che una persona si ritrova
a vivere non è frutto del caso o della decisione divina, ma dell'esito di una scelta che l'anima ha
compiuto prima dell'incarnazione.
Le anime, prima di iniziare la propria esistenza terrena, scelgono il tipo di vita che desiderano vivere
consultando un vasto repertorio di modelli. Dopo aver scelto, le anime bevono l'acqua del fiume Lete,
che fa loro dimenticare la cerimonia cui hanno partecipato prima di iniziare la loro esistenza terrena.
Solo Er viene impedito di bere, e quindi, ricorda ciò che è accaduto e lo racconta ai suoi compagni. Il
mito dimostra che la vita che una persona vive non è casuale, ma l'esito di una scelta deliberata
dell'anima stessa prima dell'incarnazione.
Com’è fatta l’anima?
L'anima non è un blocco unitario, ma è formata da tre parti in tensione l'una con l'altra: l'impeto (o
"parte irascibile", in greco "thymos"), l'istinto (o "parte concupiscibile", in greco "epithymia") e la
ragione (o "parte razionale", in greco "logos").
1. L'impeto è la sfera delle emozioni e delle passioni basate su nobili ideali: l'ambizione di compiere
azioni ammirevoli, l'orgoglio per esserci riusciti, la vergogna per aver fallito, e poi anche
l'intransigenza, l'indignazione e il disprezzo per la meschinità altrui. In linea di principio, l'impeto
ha una funzione positiva, perché spinge l'anima a compiere grandi azioni in nome di grandi ideali,
sospingendola verso il regno delle idee. Tuttavia, è una componente essenzialmente emotiva e
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pertanto, affinché il suo effetto sull'anima sia benefico, occorre che sia governato dalla forza
della ragione.
2. L'istinto, invece, è la sfera delle pulsioni e degli appetiti finalizzati al benessere del corpo, come
la fame, la sete, la sonnolenza, il languore e il desiderio sessuale. In linea di principio, anche
l'istinto ha una funzione positiva, perché rende possibile la sopravvivenza e la procreazione.
Tuttavia, nel suo totale focalizzarsi sul mondo sensibile, distrae l'anima dalla sua missione
primaria, che è il ritorno al mondo intelligibile e la contemplazione delle idee. È dunque compito
della ragione governare l'istinto affinché non distolga l'anima dal suo obiettivo.
3. La ragione, infine, ha la funzione di guidare e indirizzare le altre due componenti dell'anima,
evitando che la loro impetuosità o impulsività finisca per nuocere al benessere dell'anima nel
suo complesso.
Il mito della Biga alata
In questo dialogo tra Socrate e Fedro, Socrate utilizza un'immagine di una biga alata, un carro trainato
da due cavalli alati, per illustrare la suddivisione dell'anima in tre parti. Il cavallo bianco rappresenta
l'impeto, mentre il cavallo nero rappresenta l'istinto. L'auriga, che simboleggia la ragione, ha il compito
di guidare la biga cercando di favorire il movimento del cavallo bianco, che spinge l'anima verso il
mondo intelligibile, ma tenendo conto anche dei movimenti del cavallo nero. Il conflitto che era stato
presentato nel dialogo precedente tra l'anima e il corpo si rivela essere in realtà un conflitto interno
all'anima. Anche se l'obiettivo prioritario dell'anima è accedere al mondo intelligibile, la soluzione non
può consistere nel sopprimere il cavallo nero, cioè l'istinto, che tende a trascinare l'anima verso le cose
concrete del mondo sensibile. Il cavallo nero è una componente essenziale dell'anima tanto quanto lo è
il cavallo bianco. La sfida per l'auriga, ovvero la ragione, è quella di trovare un equilibrio tra l'impeto e
l'istinto nell'interesse dell'anima nel suo complesso.
Amore e bellezza
Il tema dell'amore e della bellezza nella filosofia di Platone, evidenziano come questi due concetti siano
strettamente legati alla mediazione razionale tra impeto e istinto. Nel dialogo del Fedro, Platone spiega
che l'amore è come una biga alata, con un auriga e due cavalli, uno bianco e uno nero. Il cavallo nero
rappresenta l'istinto, che spinge verso il piacere sensibile, mentre il cavallo bianco rappresenta
l'impulso a cercare la bellezza ideale. L'auriga deve cercare di guidare entrambi i cavalli, in modo che
l'istinto non prenda il sopravvento sulla ragione. L'amore può essere visto come un'esperienza che
inizia con la bellezza fisica di una persona, ma che può poi portare alla ricerca di una bellezza più
profonda e ideale, che si trova nel mondo delle idee. In questo modo, l'amore può essere visto come
una forza che ci spinge a cercare la verità e la bellezza, e a innalzarci verso il mondo delle idee, anziché
restare schiavi dei nostri istinti. Inoltre, rispetto al Fedone, in cui il corpo era visto come una prigione
per l'anima, nel Fedro diventa un'opportunità per innalzarsi al mondo delle idee.
I miti dell’androgino e della nascita di Eros
Il Simposio è un dialogo in cui vari personaggi pronunciano discorsi in onore di Eros, il dio dell'amore.
Mentre alcuni esaltano le qualità del dio, altri, come Aristofane e Socrate, utilizzano il mito per
esplorare il significato dell'amore. Aristofane racconta la storia degli androgini, creature che erano
composte da parti maschili e femminili e che vennero divise in due individui dopo aver tentato di
scalare l'Olimpo. Da allora, le due metà separate cercano costantemente di ricongiungersi per colmare
la loro mancanza essenziale. Aristofane suggerisce che l'essere umano è simile a queste creature, in
quanto cerca costantemente qualcosa per colmare la propria mancanza. L'amore è quindi sia la
sensazione della perdita che il desiderio di colmarla.
Socrate racconta il mito della nascita di Eros, il quale è figlio di Poro, il dio dell'ingegno, e di Penia, la
personificazione della povertà. L'amore, quindi, è destinato a colmare un vuoto e, grazie alla scaltrezza
del padre, sa come farlo. Eros è stato concepito nel giorno della nascita di Afrodite, la dea dell'amore e
della bellezza, e quindi l'amore è intimamente connesso all'idea di bellezza. Secondo Diotima, la
bellezza ha diversi livelli, cui si accede gradualmente. L'amore inizia come un'attrazione fisica, ma deve
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evolversi per riconoscere la bellezza in una molteplicità di individui, fino a raggiungere la conoscenza
del Bello in sé. In questo modo, l'innamorato intraprende un processo di ascesa spirituale che lo porta a
riconoscere forme sempre più pure di bellezza.
L'autore afferma che l'amore deve tendere verso l'idea di Bellezza, e non solo verso la bellezza fisica di
una persona. Anche se la particolare bellezza di una persona può essere un esempio della Bellezza
ideale, l'amore sensuale ispirato da essa rappresenta solo un modo imperfetto per entrare in contatto
con l'idea di Bellezza. Tuttavia, questo amore sensuale può avviare un processo di elevazione spirituale
che può portare l'anima dalla bellezza sensibile alla contemplazione del "Bello in sé", ovvero della
Bellezza come pura idea.