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KIA TREND
Project work “KiA – Knowledge in Action”
Comunità professionali (network
formali e non formali) dei
professionisti HR
Master in Risorse umane e organizzazione 2018-2019
A cura di:
Fratta Federica
Grasso Carmen
Koura Abdoul Razak
Oliva Antonio
Rappazzo Francesco
Succi Caterina
Comunità professionali (network formali e non formali) dei professionisti HR
Master in Risorse umane e organizzazione 2018-2019
ABSTRACT
Il presente report si pone come obiettivo la descrizione e l’analisi delle comunità professionali HR.
Essendo una tematica di origine recente, la redazione di una bibliografia di riferimento è ancora in
corso, dunque, piuttosto ridotta; pertanto, ci si è avvalsi di interviste somministrate telefonicamente
ad un campione di manager e presidenti di comunità HR.
Si è scelto di adottare un approccio analitico cronologico, che analizzi il passato, il presente e le
possibili evoluzioni future delle comunità stesse.
Il primo capitolo offre una veduta d’insieme di queste comunità partendo dalla loro nascita, per
giungere fino all’istituzione delle ultime.
Nel secondo capitolo verranno descritte le principali comunità HR e le relative funzioni cruciali: in
particolare, si analizzerà la questione delle certificazioni e il cambiamento delle attività interne
dovuto all’emergere dei nuovi social network.
Nel terzo ed ultimo capitolo, infine, attraverso l’osservazione dei rischi posti dalle nuove tecnologie,
così come di quelli insiti nella formalizzazione delle comunità, si tenterà di delinearne i possibili
scenari futuri.
Fin dalle loro origini, comune denominatore tra esse è l’ambizione di colmare la necessità di
riconoscimento della professione ma, soprattutto, di creare un luogo d’incontro, fertile terreno di
confronto e cooperazione tra professionisti.
È tramite lo scambio, di opinioni e di esperienze in merito a realtà e problematiche condivise, che
ogni membro può costruire il proprio percorso di apprendimento e di crescita professionale.
Conseguentemente, questa dinamica dà vita ad una rete strutturata sui princìpi di legittimazione e
riconoscimento della credibilità del professionista, o di gruppi di professionisti, con cui ci si
confronta allo stesso livello.
Come detto in precedenza, una delle motivazioni principali che ha condotto alla strutturazione delle
comunità professionali HR è quella di sopperire alla mancanza di un albo. Questa stessa necessità
sta anche alla base della maggior parte delle attività promosse dalle stesse; tra queste, di
particolare interesse, risulta l’erogazione, in molti paesi, di certificazioni a favore non solo dei
professionisti ma anche dei consumatori. Infatti, l’esistenza di attestati che accertino la validità
della professionalità dei membri aumenta la fiducia nella professione stessa. Il rischio risiede, nel
momento in cui ci sono diverse certificazioni, nell’ acquisto di maggiore importanza di alcune a
scapito delle altre basandosi esclusivamente sulla popolarità della certificazione erogata, e quindi
della comunità che la elargisce.
L’esigenza di sentirsi adeguatamente rappresentati e, dunque, visibili, ha favorito la nascita di
comunità sia formali che informali, la cui distinzione risulta di difficile individuazione, come
confermano i dati raccolti tramite le interviste; precisamente, è emerso che formalizzare una
comunità sarebbe paragonabile ad un ossimoro.
Comunità professionali (network formali e non formali) dei professionisti HR
Master in Risorse umane e organizzazione 2018-2019
Se le comunità si fondano sull’incontro e sullo scambio fra pari, grazie ai quali tessere relazioni di
fiducia, la formalizzazione dei network, riqualificandoli come organizzazioni strutturate e, di
conseguenza, meno spontanee, non risponderebbe più alle motivazioni che hanno portato alla
nascita di tali comunità.
Ciononostante, con il passare del tempo, allo scopo di acquisire e mantenere credibilità e
dimensioni sempre maggiori in termini di adesione e visibilità, le realtà informali si sono sempre più
formalizzate strutturandosi intorno ai propri assi identitari che differenziano una comunità dall’altra.
Altro elemento su cui ci si è soffermati è l’ampia diffusione dei social network all’interno
dell’odierno contesto sociale. Infatti, essa non si è limitata a rivoluzionare la dimensione
tecnologica delle comunità, ma anche quelle comunicativa e organizzativa; ciò ha inevitabilmente
avuto delle conseguenze sulla tipologia di legami che si instaurano tra i membri di tali network.
Nell’ambito delle comunità HR, l’aumento dell’utilizzo dei social ha indubbiamente favorito le
dimensioni delle comunità, abbattendo le barriere nazionali ed internazionali, permettendo così la
contaminazione di conoscenze e competenze tra le diverse realtà, così come di partecipare a
eventi e conferenze in modo virtuale.
Allo stesso tempo, però, molte piattaforme on line hanno sostituito gran parte delle funzioni di
interconnessione tra i membri delle comunità stesse e questo ha comportato il rischio di affievolire
lo spirito di aggregazione e coesione che la condivisione di uno spazio fisico garantisce.
Poiché nel corso della loro storia le comunità HR si sono modificate per adattarsi ai cambiamenti
sociali e del mondo del lavoro, anche la loro sopravvivenza in futuro dipenderà dalla capacità di far
propri gli elementi più moderni, inglobandoli all’interno della propria identità e restituendo ai propri
membri realtà associative sempre più interessanti ed indispensabili.
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INTRODUZIONE
Nel presente lavoro di testo la tematica centrale che viene analizzata è la descrizione delle
comunità professionali HR.
Essendo un tema di origine recente, la bibliografia di riferimento è risultata ristretta e, per tale
ragione, si è ricorso all’utilizzo di interviste somministrate telefonicamente ad un campione di
manager e presidenti di varie comunità HR.
In particolare coloro che maggiormente hanno contribuito alla stesura del report sono stati Paolo
Citterio, presidente di GIDP, Paolo Iacci, presidente vicepresidente di AIDP e Luca Quaratino,
esperto in tematiche HR.
La community è come un ecosistema, quindi attraversa diverse fasi di sviluppo, entro le quali i
membri affrontano le problematiche in maniera sempre distinta.
Si è scelto di procedere inizialmente nella descrizione di tale realtà seguendo una logica
temporale, partendo cioè dalla nascita delle prime comunità proseguendo fino al momento
dell’istituzione delle ultime.
Nel secondo capitolo verranno descritte le principali comunità HR con le relative funzioni: in
particolare si analizzerà la questione delle certificazioni e il cambiamento delle attività interne
dovuto all’emergere dei nuovi social network.
Nel terzo ed ultimo capitolo, infine, si affronteranno i possibili scenari futuri delle comunità
attraverso l’analisi critica dei rischi tecnologici e della formalizzazione delle comunità stesse.
Ma che cos’è una comunità di pratica?
Nell’andare ad analizzare le comunità professionali HR non è possibile tralasciare la descrizione,
seppur in maniera sommaria, di cosa siano le comunità di pratica e con quali esigenze siano nate.
Si tratta, infatti, di un concetto introdotto negli anni Ottanta circa da John Seely Brown, ricercatore
del Centro di Studi della Xerox a Palo Alto.
Brown definisce la comunità di pratica come: “un insieme di persone, congiunte da vincoli di
relazione informali, che condividono una certa pratica comune”.
Il maggiore esponente delle teorie dell’apprendimento applicate al settore delle comunità di pratica
è Étienne Wenger che, nello scritto “Communities of practice: Learning, Meaning, and Identity”1
,
definisce le comunità di pratica come un sistema auto-organizzato che si sviluppa in tre
dimensioni: campi tematici, la comunità e la pratica2
.
1
Wenger É. “Comunità di pratica: Apprendimento, Significato, e Identità”, traduttore R. Merlini, Cortina Raffaello,2006.
2
Lave e Wenger descrivono una comunità di pratica come “un insieme di relazioni tra persone, attività e mondo, oltre il
tempo e in relazione con altre comunità di pratica tangenziali o sovrapposte”. L’apprendimento è quindi inteso come la
partecipazione attiva nella pratica di una comunità sociale e nella costruzione di una propria identità in relazione a tale
comunità.
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Più recentemente, su queste stessi concetti, Nonaka e Takeuchi , nel testo “The Knowledge
Creating Company”3
, hanno analizzato nello specifico i processi di conoscenza tacita, approfondita
maggiormente nel campo delle discipline che studiano l’antropologia tecnica4
.
Inoltre, il termine comunità si riferisce non solo ad un insieme di persone fisiche e all’insieme di
conoscenze che condividono, ma anche agli artefatti di cui dispongono come attrezzature, supporti
informatici, norme comportamentali o policies, il cui valore è definito dal riconoscimento che i
membri stessi della comunità conferiscono a tali artefatti.
A tal proposito, riprendendo la definizione di Law5
sui network eterogenei, in cui si evidenzia lo
stretto rapporto tra soggetti e oggetti materiali e immateriali, umani e non umani, Latour descrive in
“Dove sono le masse mancanti”,6
come questi ultimi partecipino, interagendo tra di loro, ai
processi di costruzione del nuovo sapere in una dinamica di co-costruzione.
Il fine delle comunità di pratica, e quindi la ragione grazie alla quale prendono vita, è il
miglioramento collettivo dato dalla condivisione delle conoscenze, abbattendo gli spazi individuali e
privati. Si tratta di un metodo costruttivista che tende all’eccellenza per mezzo dello scambio
reciproco e che rivoluziona l’attitudine al lavoro. La conoscenza diventa così mezzo di
accrescimento dell’apprendimento, che acquista nuove caratteristiche e accezioni. Infatti,
all’interno delle comunità di pratica, si valorizza l’apprendimento esperienziale, creatore di
significato ma, anche e soprattutto, i partecipanti sviluppano un senso di identità e di appartenenza
che valorizza la comunità stessa nel suo senso stretto di network professionale. Dalla formulazione
del concetto di comunità di pratica prende forma un vero e proprio fenomeno sociale aggregativo il
cui risultato è la nascita di gruppi sociali, insiemi di individui, che interagiscono in maniera ordinata,
sulla base di aspettative condivise, organizzandosi sia per il miglioramento collettivo che per uno
sviluppo costante dell’apprendimento, partendo dalle singole conoscenze degli individui che li
compongono. In questa dimensione organizzativa, prende vita il concetto di famiglia professionale,
i cui membri sono legati dal possesso di determinate competenze tecniche e comportamentali,
come una famiglia, entro la quale la missione comune fa da collante.
3
Nonaka, Takeuchi, “The Knowledge Creating Company”, a cura di Umberto Frigelli e Kazuo Inumaru, Guerini e
associati, 2005.
4
Partendo dalle considerazioni sull’importanza della conoscenza come risorsa competitiva per le organizzazioni, gli
autori ne descrivono la composizione e soprattutto come può essere generata. Viene evidenziata l’importanza della
conoscenza “tacita” al pari di quella esplicita, affrontando il delicato tema del passaggio tra di esse. Gli autori danno una
loro interpretazione su come riuscire a creare conoscenza all’interno dell’organizzazione, attraverso l’interazione di
conoscenza tacita e esplicita, nonché di quella individuale e quella a livello organizzativo, generando così una “spirale
della conoscenza”.
5
Law J.(16/05/1946) è attualmente professore presso la facoltà di scienze sociali alla Open University e colui che ha
ideato l’Actor Network Theory. L’ANT è un approccio delle scienze sociali che descrive e spiega le strutture sociali,
organizzative, scientifiche e tecnologiche, i processi e gli eventi.
6
Latour B., “Science in action”, Harvard University, 1987
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1. Le origini dell’HR community
1.1 COME NASCE LA FIGURA PROFESSIONALE HR
Nella definizione della job description del manager HR risulta fondamentale analizzare il contesto
lavorativo entro il quale si inserisce e quello storico dal quale trae origine.
Che cosa si intende per Risorse umane?
Il concetto, teorizzato da Raymond Myles, trae origine dal progressivo cambiamento
dell’organizzazione scientifica del lavoro tayloristica, con il tentativo di superarne le lacune
psicosociologiche fondate sull’esclusiva esaltazione delle competenze tecniche.
Vi è dunque una progressiva rivalutazione dell’importanza dei lavoratori: l’organizzazione investe
su di essi, i quali diventano parte integrante delle risorse aziendali, poiché portatori di valore
economico e contributo alla crescita aziendale.
Più precisamente, considerando l’evoluzione della figura professionale dell’HR manager dagli anni
del taylorismo ad oggi, si delinea un progressivo cambiamento di caratteristiche e peculiarità
identificative di tale figura, coerenti alle esigenze del tempo.
Negli anni ’50 vi è un primo tentativo di cambio del paradigma tayloristico, dove il direttore del
personale pone l’accento sui bisogni primari dell’individuo, attuando un “approccio
prevalentemente di tipo amministrativo-normativo”7
entro il quale le normative, le regole e la
disciplina erano gli elementi distintivi della funzione.
Successivamente, negli anni del “boom economico” italiano, si insediano nuovi modelli
organizzativi provenienti dalla cultura angloamericana, in cui la centralità dell’uomo diventa
determinante. Vi è lo sviluppo di un nuovo approccio metodologico, in un cui il focus “umano”
dell’impresa crea le basi per le nuove tecniche di gestione del personale.
Ma è agli albori degli anni ’70, sfondo di numerosi cambiamenti radicali, da turbamenti sindacali in
un contesto socioeconomico assai instabile, che si afferma una nuova cultura organizzativa. Il
direttore risorse umane si tramuta nel detentore dell’equilibrio relazionale e sociale all’interno delle
nuove strutture, diventa dunque sviluppatore di capacità manageriali, come quelle motivazionali, e
capace di orientare i collaboratori verso i comuni obiettivi aziendali.
Gli anni ’80 delineano una figura di direzione che assume forti caratteristiche di leadership, entro le
quali il capitale umano ed intellettuale di ogni membro del team di lavoro viene enfatizzato
esaltandone l’empowering. Il ruolo dell’HR manager diventa, dunque, il collante necessario tra
l’organizzazione e i singoli membri che ne fanno parte, capace di trovare soluzioni alle
problematiche dell’impresa facendo una grande attenzione al clima organizzativo. Le competenze
7
http://www.itctosi.va.it/orientagiovani/Capitolo%201.2.htm
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trasversali, la capacità di lavorare in team e l’attenzione alle prestazioni sono i nuovi punti di
attenzione verso i quali il coordinatore deve porre il focus, poiché determinanti nella comune
mission aziendale.
Oggi, in un contesto sociale e lavorativo in continua evoluzione, dove emerge la centralità del
cambiamento, alla gestione delle risorse umane è affidata la responsabilità di orientare gli individui
ad avere una visione aperta e flessibile caratterizzata da una complessità di valori. Dunque, in
questo contesto, tutti si muovono nella stessa direzione, e il manager HR aiuta a sviluppare
meccanismi di autocontrollo al fine di renderli performanti. La direzione delle risorse umane si
mette a disposizione dell’organizzazione: ascolta, riformula, gestisce le tensioni, sostiene e
supporta il capitale umano, confrontandosi con quelle di altre organizzazioni, aventi dinamiche
simili.
1.2 Quando e come nascono le HR communities
Secondo la definizione aristotelica, l’uomo è per sua natura “un animale politico”8
, poiché per
vivere ha bisogno di creare relazioni, stringere amicizie e formare delle comunità. Le stesse
necessità stanno anche alla base della nascita delle HR communities, con la differenza che, in
quanto comunità professionali, raccolgono esperti del settore che vogliono condividere esperienze,
aggiornarsi continuamente, confrontarsi sugli sviluppi della professione con chi condivide gli stessi
interessi e valori9
.
Sin dagli albori, le comunità di professionisti delle risorse umane si sono poste l’obiettivo di
valorizzare il ruolo che queste figure ricoprono all’interno delle organizzazioni e, nel tempo, hanno
cercato di evolversi in modo coerente con le trasformazioni culturali, sociali ed economiche che
hanno accompagnato lo sviluppo della professione. I membri di tali comunità individuano nella
condivisione e nel confronto reciproco la possibilità di una crescita professionale, individuale e
collettiva.
Le prime HR communities compaiono negli Stati Uniti, dove, nel 1906, nasce l’International Public
Management Association for Human Resources (IPMA-HR); questa viene formalizzata un anno
dopo da una costituzione adottata dalla National Assembly che definisce come obiettivi
dell’associazione la promozione della cooperazione tra tutti gli incaricati dell'amministrazione delle
leggi del servizio civile al fine di confrontarsi e scambiarsi opinioni per meglio assolvere la propria
funzione10
.
Successivamente, nel 1915, assistiamo alla nascita di quella che oggi è nota come Human
Resources Management Association of Chicago (HRMAC), che nacque come gruppo indipendente
di appartenenza aziendale non affiliato a nessun altro stato o organizzazione nazionale.
Quest’associazione prende vita grazie ad un ristretto gruppo di uomini d’azienda che si
8
Politica I, 2, 1253°, Aristotele.
9
Community manager: dietro le reti ci sono le persone, O.Danzi, G.Re, Franco Angeli, 2018.
10
https://ipmahrsouthern.org/history.pdf
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incontrarono in modo informale per confrontarsi su temi quali: il corretto posizionamento e
adeguamento di coloro che entrano in un’industria, la collaborazione tra scuole e industrie e altre
problematiche relative alla gestione delle risorse. Questo primo incontro condusse alla formazione
dell’Employers’ Advisory Group of Chicago, che successivamente attraversò diversi cambi di nome
fino a giungere all’odierno HRMAC. Fu una delle prime organizzazioni del paese a concentrarsi
sulla formazione aziendale e sulle questioni relative al personale e a promuovere sessioni
informative per i membri convocando commissioni speciali su argomenti di interesse condiviso.
Un’altra longeva associazione, nonché la più importante del Regno Unito, è il Chartered Institute of
Personnel and Development (CIPD).
L'organizzazione è stata fondata nel 1913, come Welfare Workers Association (WWA) con lo
scopo di “organizzare e gestire il lavoro a vantaggio delle imprese e creare valore economico, ma
anche di promuovere modi per migliorare le vite lavorative individuali al fine di contribuire alla
creazione di una società più equa e prospera11
.
Il WWA nasce dalla preoccupazione circa le condizioni lavorative nelle fabbriche del Regno Unito,
con particolare attenzione alla condizione femminile. Nel lungo corso della sua storia cercherà di
adattarsi ai mutamenti di contesto socioeconomico che influiranno sulla sua funzione; per questa
ragione subirà diversi cambi di nome prima di giungere all’odierno CIPD.
In un contesto di crescita in tempo di guerra, tra il 1917 e il 1924, la diffusione di agenti del welfare
nelle fabbriche aumentò considerevolmente in tutto il paese fino a trasformarsi, negli anni 20, in un
movimento di gestione del lavoro i cui membri, “Ufficiali del lavoro”, erano sempre più richiesti dai
datori di lavoro per assistere nella gestione del reclutamento, della disciplina, del licenziamento e
delle relazioni industriali. Successivamente, nel 1937, si diffuse anche in Irlanda e, negli anni a
seguire, continuò a riflettere l’attenzione dei suoi membri nei confronti delle relazioni industriali e
della formazione industriale. Più tardi, nel 1955, si mosse verso la limitazione dell'ingresso a pieno
titolo tramite esame e introdusse un programma educativo che poteva essere eseguito
esternamente dai college in preparazione all'esame nazionale. In tempi più recenti, CIDP ottenne
la Royal Charter (2000) e con essa lo statuto di ente caritatevole, un'aspirazione che era stata a
lungo oggetto di discussione all'interno della comunità; qualche anno dopo le fu conferita anche
l’autorità di assegnare lo status di Chartered individuale ai professionisti delle risorse umane12
.
Di più recente formazione, 1948, è la SHRM, Society for Human Resource Management, con il
nome di American Society for Personnel Administration (ASPA). L’organizzazione, che ha operato
su base volontaria fino al 1964, si è posizionata dodicesima nella classifica delle più grandi
associazioni negli USA (2015)13
. Nonostante si tratti di una comunità moderna, il trasferimento del
proprio head quarter, da Berea (Ohio) ad Alexandria (Virginia), così come il cambio di nome,
riflettono la sua attitudine a plasmare la propria struttura e attività sui cambiamenti del contesto
socioeconomico.
Poco più tardi, anche nell’Europa continentale nascono alcune importanti comunità. Ad esempio,
nel 1952, un circolo si riunisce intorno al futuro presidente federale Walter Scheel e fonda
l’organizzazione predecessore della DGFP (Deutsche Gesellschaft für Personalführung).
11
https://www.cipd.co.uk/about/who-we-are/history
12
https://www.cipd.co.uk/
13
"Associations Ranked by Revenue". Washington Business Journal. Retrieved 19 August 2016.
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L’obiettivo con cui questa viene fondata è quello di stabilire forme progressive di gestione
aziendale e, in particolare, di promuovere la partecipazione dei dipendenti nelle imprese; in questa
prospettiva lo scambio di esperienze ha assunto fin da subito un ruolo preponderante. Nel 1955, il
primo gruppo si incontrò per confrontarsi sugli attuali argomenti relativi al personale in
un’atmosfera fiduciosa. Ad oggi, ci sono più di 100 gruppi che si incontrano regolarmente in tutta la
Germania per aree tematiche diverse. Se DGFP, oggi, è la più grande rete di competenza e
carriera delle risorse umane in Germania, è anche grazie a questo continuo scambio di esperienze
tra aziende. Un altro aspetto interessante di questa associazione, almeno dalla metà degli anni
’60, è stato il focus sulla formazione e l’aggiornamento delle risorse umane. Con la fondazione
dell’Academy for Personnel Management nel 1969, sono stati stabiliti gli standard, così come i
congressi professionali che si sono tenuti dal 1985.
Inoltre, il DGFP è stato coinvolto fin dall’inizio nella gestione delle risorse umane europee e
internazionali. È stato uno dei membri fondatori dell’Associazione Europea per la Gestione delle
Persone (EAPM) nel 1962 ed è, dal 1976, anche membro della Federazione Mondiale delle
Associazioni di People Management (WFPMA). L’orientamento della DGFP è sempre stato
espressione di un forte interesse per lo sviluppo della gestione del personale e della sua
importanza nelle aziende.
Ciò si applicava alle nuove specializzazioni delle risorse umane, ad esempio nel settore dello
sviluppo del personale, del diritto del lavoro o del reclutamento, ma anche agli sconvolgimenti
sociali.
La DGFP si considera una comunità che dà voce alle politiche di gestione del personale sia in
ambito pubblico che privato. Un ufficio municipale con sede a Berlino coordina temi politici molto
rilevanti, rafforzando la posizione della gestione delle risorse umane all’interno del dibattito
pubblico. Dal 2009 all’interno dell’associazione è stata dedicata una sezione definita Young
Professional Network (YPN) focalizzata sui giovani professionisti.
Nel 2018, la DGFP ha celebrato il suo 66° anniversario con oltre 2.500 aziende e membri
riproponendosi di contribuire a dare forma ai mondi lavorativi di oggi e di domani mettendo al
centro la gestione delle risorse umane14
.
Passando al contesto italiano, spicca l’AIDP, Associazione Italiana per la Direzione del Personale.
Questa si è costituita nel 1960, ma un primo incontro di dimensione nazionale si tenne nel biennio
1959-60 a cui presero parte capi e direttori del personale, non a caso l’associazione nazionale
prese il nome “associazione dei capi e dei direttori del personale”.
Negli anni successivi, fino al 1979, ci fu il cosiddetto “miracolo economico”, che portò alla
definizione di salario come variabile indipendente. Inoltre, nel rapporto tra i lavoratori e l’impresa
iniziò ad essere presente il supporto professionale delle direzioni del personale15
.
Procedendo nel panorama italiano incontriamo il Gruppo Intersettoriale Direttori del Personale,
GIDP che è stato fondato dal Dott. Paolo Citterio nel 1977, ma vede la propria costituzione
giuridica in Associazione di GIDP solamente il 5 novembre del 200216
.
14
https://www.dgfp.de/
15
https://www.aidp.it/
16
http://www.gidp.it/it/
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Sempre nel contesto europeo, nel 1989 è stata creata l’AGRH (Associazione Francofona di
Gestione dell’HR), associazione che raggruppa più di 1.200 insegnanti – ricercatori francofoni – nel
campo della gestione dell’HR17
.
L’EAPM (European Association for People Management) è stata fondata nel 1962 da associazioni
nazionali e istituzioni professionali di gestione del personale di Francia, Germania, Svezia,
Svizzera e Regno Unito e registrata presso le autorità fiscali in Svizzera e, in quanto tale, è
un’associazione di diritto svizzero. Sin dalle sue origini, l’EAPM ha costituito un organismo
indipendente europeo di organizzazioni nazionali delle risorse umane con l’obiettivo principale di
facilitare lo scambio di esperienze tra i suoi membri. Nel corso degli anni, questa associazione è
cresciuta in modo significativo; infatti, nel 1989, ha riunito 16 organizzazioni membri,
principalmente dai Paesi dell’Europa occidentale: Austria, Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia,
Germania, Grecia, Italia, Paesi Bassi, Norvegia, Portogallo, Spagna, Svezia, Svizzera, Turchia e
Regno Unito. Inoltre, dopo la caduta del muro di Berlino, l’EAPM ha esteso le sue attività
all’Europa orientale. Nel 2016, l’EAPM ha intrapreso uno sforzo importante per rivedere i suoi
statuti con l’obiettivo di adeguare questa organizzazione ai tempi moderni e trasformarla in
un’organizzazione più efficiente, partecipativa e trasparente in linea con le esigenze dei suoi
membri18
.
In seguito all’ampia diffusione delle HR community, nasce anche la WFPMA (World
Federation of People Management Association), fondata nel 1976 da associazioni HR continentali,
tra le quali la European Association for People Management (EAPM), la Interamerican Federation
of Personnel Administration (FIDAP) e la attuale SHRM.
1.3 Differenza tra comunità formali e non formali
Considerando che le comunità HR rispondono a delle precise esigenze di comunicazione,
condivisione diretta con chi quotidianamente affronta le stesse dinamiche lavorative, si instaura tra
i membri un vero e proprio confronto alla pari, poiché ci si riconosce tutti facenti parti di un unico
gruppo.
Analizzando più precisamente la natura delle stesse, si delinea una distinzione basata su comunità
formali e non formali.
Infatti, in quelle formali gli scopi sono chiari a tutti i membri, i quali condividono interessi e obiettivi
comuni, con la finalità di creare un cambiamento culturale innovativo con la contaminazione attiva
all’interno di un network e la creazione di molteplici eventi fisici.
Per quanto riguarda quelle informali, invece, nascono dall’esigenza di tracciare interconnessioni tra
membri molto diversi e lontani fra loro, che grazie all’utilizzo di piattaforme digitali, quali networks,
condividono informazioni e interagiscono tra loro.
17
https://www.agrh.fr/
18
https://www.eapm.org/
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2. LE COMUNITÀ HR OGGI
2.1 PRINCIPALI ATTIVITÀ DELLE COMUNITÀ
Le comunità professionali HR nascono con l’obiettivo principale di analizzare, promuovere,
sviluppare la gestione professionale delle persone e, per raggiungere questo obiettivo, forniscono
determinati servizi ai propri membri. Alcuni di questi possono essere: la formazione, le consulenze,
le conferenze, i congressi, le ricerche e pubblicazioni, le riviste, gli eventi, i progetti, i certificati ecc.
Il contesto ambientale, storico e socioculturale, poiché variabile e distintivo, fa sì che ci siano delle
peculiarità anche riferenti alla tipologia ed erogazione dei servizi, mantenendo comunque una
somiglianza di base.
In particolare, l’AIDP (Associazione Italiana per la Direzione del Personale) non si occupa degli
stessi e identici servizi o delle stesse attività dell’ANDRH (Associazione Nazionale dei Direttori
delle Risorse Umane in Francia). Infatti, mentre la prima cerca di promuovere il successo delle
organizzazioni e la crescita delle persone che vi lavorano, attraverso formazione, certificazione,
eventi, progetti, ricerche e pubblicazioni sul mondo del lavoro e il futuro della direzione HR, la
seconda invece mette a disposizione dei suoi membri l’ANDRH ACADEMY, il cui obiettivo è quello
di accompagnare e di professionalizzare gli aderenti, offrendo un particolare servizio di ascolto,
“Ascolto HR”. Esso fornisce assistenza psicologica, confidenziale e gratuita via telefono, in
anonimato, accessibile h 24 e 7/7.
Inoltre, “AIDP giovani” promuove, verso coloro che stanno muovendo i primi passi nel mondo
HR, iniziative di orientamento, formazione e benchmark su temi salienti, momenti di networking
anche con soci senior e collaborazioni con Università e Business School. Con la sezione “Master e
formazione”, si dedicano all'accreditamento AIDP per Master universitari e corsi di
specializzazione in ambito HR. Infine, l’associazione organizza oltre 250 eventi all’anno su tutto il
territorio italiano e annualmente organizza il Congresso Nazionale, appuntamento italiano
fondamentale per l'aggiornamento e l'analisi strategica sull'HR management
Per quanto riguarda l’ANDRH in Francia, entrare a far parte di essa significa anche entrare a far
parte di uno degli 80 sottogruppi locali sparsi su tutto il territorio francese. Ogni sottogruppo
organizza frequentemente delle riunioni conviviali tra i membri per scambiare delle idee, e, tramite
il “Carriere RH” aiutano i loro membri a costruire la loro strategia di carriera, informandoli e
accompagnandoli lungo tutto il percorso professionale. Infine, vi è il “Club jeunes rh”, aperto a tutti i
professionisti HR giovani appartenenti all’associazione, con lo scopo di creare dei momenti di
scambio non solo tra i membri giovani, ma anche con i soci senior. Di rilevante importanza è la
rivista personale dell’ANDRH, disponibile sul loro sito, accessibile a tutti ed è determinante, in
quanto anticipa temi salienti e comuni per poi analizzarli in maniera più specifica tramite incontri ed
eventi. Importante, infine, è sottolineare come il servizio di certificazione venga offerto solamente
in Italia e non nel territorio francese.
Analizzando il sud est asiatico, si osserva come l’obiettivo finale di tutte le comunità sia circa
uguale, ma i servizi e le attività offerte sono proprie di quello stato. In Malesia per esempio, la
MIHRM (Malaysian Institute of Human Resource Management) offre servizi di consulenza
professionale ai suoi membri, grazie alla creazione di un gruppo di esperti HR, organizza anche
Comunità professionali (network formali e non formali) dei professionisti HR
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degli eventi e dei “Tea Talks” su argomenti di interesse per i suoi membri, aperti anche ai non
aderenti.
Di particolare rilievo è anche la JHRL (The Japan HR Link Network). Essa garantisce la
formazione e fornisce certificazioni ai suoi membri grazie ai suoi programmi “JHRS academy” e
“HR certification”. Gli altri programmi della JHRL come “HR agenda”, “ask HR”, “HR on the go”
sono, invece, finalizzati a fornire un know how maggiore per far fronte alle crescenti sfide nella
gestione delle risorse umane.
Nel contesto statunitense, entro il quale le comunità professionali HR sono molto evolute, l’IPMA-
HR (Associazione Internazionale per la Gestione Pubblica delle Risorse Umane) riveste un ruolo
fondamentale, in quanto si tratta di una delle comunità HR più longeve al mondo e principale
organizzazione di risorse umane del settore pubblico a livello globale. Fondata nel 1906, si pone
come obiettivo l’allocazione delle risorse richieste ed il supporto professionale ai dipartimenti HR
pubblici. Si compone di quattro regioni degli USA e più di 42 chapters, ai quali essa fornisce
informazioni e assistenza, con lo scopo di aiutare i professionisti ad aumentare le loro prestazioni
lavorative e la loro funzione complessiva, tramite il Chapter Hand Book, utile alla risoluzione di
problemi di programmazione, governance e questioni legali. In aggiunta, vengono erogati certificati
di riconoscimento ai funzionari dei chapters offrendo loro anche l’opportunità di essere coperti
dall’assicurazione di responsabilità civile senza alcun costo.
Infine sul fronte europeo, in particolare in Germania, un’altra comunità importante è la DGFP
(Associazione Tedesca per la Gestione del Personale), che svolge attività educative e formative
interessanti e accessibili anche ai non membri, sostenendoli attraverso l'informazione e la raccolta
di materiali nello sviluppo delle moderne politiche umane e sociali. Numerosi studi hanno
sottolineato la posizione della DGFP come primo punto di contatto per tutte le questioni relative
alla gestione delle risorse umane. Inoltre, fuori dal confine tedesco, la DGFP offre supporto allo
sviluppo delle risorse umane ai paesi che non hanno una forte cultura riguardante i contesti
organizzativi, fornendo loro le informazioni e la formazione necessarie per affrontare al meglio le
questioni relative alla professione.
2.2 LE CERTIFICAZIONI
In risposta all’assenza di un albo HR, esiste la legge 4/2013 proprio sulla regolamentazione delle
professioni non regolamentate. Essa prevede la possibilità di creare una Prassi/Norma che
regolamenti abilità, capacità e competenze delle diverse professioni. UNI, l'ente di normazione
italiano, ha già emanato alcune norme su diverse professioni, che seguono un’impostazione molto
diversa rispetto al sistema dei crediti delle professioni con albo, in quanto il credito viene dato
solamente per la partecipazione a eventi o seminari di aggiornamento, e non sull'effettiva
valutazione dell'apprendimento. In questo modo chi decide di assumere un HR avrà la certezza
stabilita da un ente terzo di portare in azienda capacità e competenze verificate.
Per queste ragioni, uno dei servizi erogati da alcune communities che si occupano di risorse
umane, consiste nel rilascio di certificazioni.
Nel contesto italiano, una delle comunità informali che nasce con l’obiettivo principale di sviluppare
un progetto sulla Certificazione della Professione HR, è “HR People”. Si tratta di un’associazione
Comunità professionali (network formali e non formali) dei professionisti HR
Master in Risorse umane e organizzazione 2018-2019
atipica rispetto a quelle presenti sul territorio che, infatti, non organizza eventi di relazione tra HR o
con aziende, se non piccoli round table su temi specifici e su richiesta di singoli HR. L’attività
principale consiste nella creazione di una prassi che sta diventando Norma proprio sulla
professione HR, gestendo direttamente il tavolo tecnico/scientifico in UNI, il cui obiettivo è di fornire
al mercato di HR e aziende, un riferimento chiaro sulle competenze di questa funzione, che valga
a livello internazionale e che quindi sia riconosciuto ovunque si voglia andare a lavorare.
Un altro esempio è rappresentato da AIDP, che a partire dal 2016 ha introdotto la certificazione
delle competenze HR, al fine di garantire oggettività, autonomia e indipendenza di valutazione.
Essa si avvale di un soggetto terzo, RINA Services, diffuso in maniera capillare sul territorio
nazionale con esperienza in materia di certificazione, il cui scopo è quello di promuovere e tutelare
la professionalità di coloro che si occupano di gestire, sviluppare e valorizzare il rapporto persona-
lavoro. Ai fini della certificazione, le figure professionali vengono classificate in due categorie:
generalisti (HR manager o HR executive) e specialisti (HR specialist o Senior HR specialist) e, per
il conseguimento del titolo, è “conditio sine qua non” il superamento di quattro fasi: analisi dei
prerequisiti, due prove scritte e una prova finale orale. La certificazione ha validità triennale, è
rinnovabile previa verifica del mantenimento dei requisiti professionali, e rappresenta un plus, un
elemento distintivo, ma di rilevanza relativa. Poiché, infatti, parliamo di una professione non
regolamentata in organi o collegi, non avente un albo proprio, può fungere da collante, un mezzo
attraverso il quale ci si può sentir parte di una comunità e si manifesta, quindi, il senso di
appartenenza ad essa. Al contrario, la certificazione, in altri ordinamenti, ha rilevanza sostanziale,
ad esempio quello inglese, il cui l’ente di riferimento è il Chartered Institute for Personnel &
Development (CIPD), che conta 140 mila iscritti. Le certificazioni CIPD sono distinte in tre livelli:
level 3 foundations, Level 5 intermediate, level 7 advanced, riconosciuti a livello internazionale e
risultano essere un prerequisito necessario per l’accesso al mondo del lavoro, indipendentemente
dall’aver conseguito un titolo universitario negli anni precedenti. Inoltre, essendo richiesta dalle
aziende stesse, garantisce mobilità lavorativa, con consiste progressioni di carriera e salari più
elevati.
2.3 L’EMERGERE DEI NUOVI SOCIAL NETWORK
Oggi giorno è ricorrente il concetto di “social organization” con il quale si indica la
creazione, all’interno dell’organizzazione, del vantaggio competitivo mediante l’uso di social media.
Questo cambio di prospettiva incide anche nel settore HR dal momento che la direzione delle
risorse umane, oggi, oltre ad attuare dei mutamenti nel suo modo di operare, svolge un ruolo
chiave nella trasformazione in “social organization”. Essa infatti, dovendo adempiere alla specifica
funzione di “educazione al cambiamento”, attua delle politiche di change management volte alla
formazione e al re-indirizzamento verso nuovi valori organizzativi del lavoro. A tal fine, una
gestione efficace del cambiamento comprende l’implementazione di strategie volte allo sviluppo di
una visione condivisa dello stesso, in cui tutte le risorse aziendali siano coinvolte attivamente. Solo
così è possibile riallineare le azioni degli individui con i nuovi obiettivi dell’impresa, mantenendo
alto il livello di motivazione e di senso di appartenenza; l’interiorizzazione, da parte delle persone
appartenenti alla struttura aziendale, del cambiamento e delle ragioni che lo hanno portato, è alla
base del successo delle politiche di change management.
Comunità professionali (network formali e non formali) dei professionisti HR
Master in Risorse umane e organizzazione 2018-2019
Si tratta di un cambiamento che incide anche sulle comunità HR in quanto le loro attività sono
diventate sempre più digitali e rientrano in quello che oggi si tende a chiamare “Social HR”.
I social media vengono utilizzati, ad esempio, dalle community per svolgere sia attività come
employee engagement, employer branding, social recruiting e social learning19
, sia come luogo di
incontro virtuale tramite webinar, videoconferenze e altri eventi fruibili virtualmente. In
quest’ambito, un esempio di comunità molto attiva è HRC, che nasce con l’obiettivo di creare un
cambiamento culturale all’interno delle organizzazioni favorendo la contaminazione attiva
all’interno di un network virtuale di aziende che si confrontano su temi in ambito hr su una social
platform, “MyHRGoal.com”, grazie alla quale è possibile proporre tematiche di interesse comune e
aprire discussioni in merito, ricevendo risposta tramite conference call o web conference.
19
Employee Engagement: Descrive il coinvolgimento (commitment) emotivo ed intellettuale dei dipendenti
nei confronti della loro organizzazione e nei suoi successi.
Employer Branding: È la disciplina che si occupa di definire, gestire e promuovere l’immagine di un’azienda
come luogo di lavoro.
Social Recruiting: È l’attività di ricerca di lavoro attraverso i canali social da parte dei candidati; concetto che
si è esteso anche alle aziende che a loro volta ricercano i candidati attraverso i canali social.
Social Learning: Teoria secondo cui la formazione è un processo cognitivo che ha luogo in un contesto
sociale e può avvenire esclusivamente attraverso l’osservazione o l’istruzione diretta, anche in assenza di un
rinforzo diretto. (Albert Bandura)
Comunità professionali (network formali e non formali) dei professionisti HR
Master in Risorse umane e organizzazione 2018-2019
3. PROSPETTIVE FUTURE
3.1 NUOVA SPINTA VERSO L’INNOVAZIONE
Dalle diverse interviste effettuate è emerso in maniera preponderante il rischio dovuto all’avvento
dei social networks.
Non a caso, si è scelto di utilizzare la parola rischio piuttosto che pericolo in quanto, nell’accezione
più tecnica, il rischio prevede una sfumatura di significato probabilistico dovuto alla presenza di un
pericolo e alla possibilità che esso stesso si trasformi in un danno per le comunità stesse.
La diffusione a macchia d’olio dei social networks all’interno dell’odierno contesto sociale, ha
rivoluzionato, non solo la dimensione tecnologica, ma anche quella comunicativa, organizzativa e
la tipologia di legami che si instaurano tra gli individui stessi. Basti pensare ai cambiamenti radicali
di tipo organizzativo che le aziende hanno implementato negli ultimi anni per rimanere al passo
con le innovazioni tecnologiche, figlie di una rivoluzione industriale tutt’ora in atto.
Tra i vari network di riferimento, l’attenzione si focalizza in particolare su LinkedIn e su tutte quelle
piattaforme lavorative come Accademia.com o ancora, BeBee e Opportunity.
Quelle menzionate sono solo alcuni esempi dei numerosi “luoghi” di incontro virtuale, che nascono
con l’obiettivo di riunire professionisti per macroaree specialistiche utili alla condivisione di
conoscenze settoriali e allo scambio di opinioni e consigli in ambito lavorativo.
La notevole diffusione delle piattaforme digitali, già prima menzionate, ha determinato, però,
conseguenze positive e negative riguardanti la digitalizzazione dei network. Se, come abbiamo
ribadito più volte, le comunità HR sono nate con l’obiettivo di conglomerare conoscenze, è
inevitabile riflettere sulla grande possibilità di interconnessione mondiale tra professionisti
provenienti da culture, organizzazioni e aziende molto diverse tra loro, offerta dai supporti
tecnologici.
In questo senso, l’aumento dell’utilizzo dei social ha indubbiamente aiutato l’aggregazione e la
coesione delle comunità abbattendo le barriere nazionali ed internazionali, permettendo così la
contaminazione di conoscenze e competenze; allo stesso tempo, però, molte piattaforme on line
hanno sostituito gran parte delle funzioni di interconnessione tra i membri delle comunità stesse.
La domanda che ci si pone è: se uno degli scopi principali delle comunità HR era quello della
condivisione tramite eventi fisici, quanto saranno utili queste ‘nuove’ comunità in un futuro dove
non si ha più la necessità di un luogo fisico in cui incontrarsi, grazie allo strumento delle
piattaforme?
Non è tuttora chiaro come si evolveranno in futuro ma sicuramente, per sopravvivere e
assecondare le esigenze dei membri, sarà necessaria una riorganizzazione.
Non solo. Tra le attività svolte dalle comunità, in linea con l’obiettivo di incontro, vi è
l’organizzazione di eventi, riunioni e convegni e assemblee che risultano essere economicamente
esose ma anche sempre più difficilmente realizzabili a causa del radicale cambiamento delle forme
lavorative.
Comunità professionali (network formali e non formali) dei professionisti HR
Master in Risorse umane e organizzazione 2018-2019
Negli ultimi anni le figure professionali, soprattutto quelle manageriali, risultano essere
profondamente cambiate nella loro mobilità e questo rende sempre più difficilmente realizzabile la
presenza agli eventi.
Inoltre, rispetto alla vastità di professionisti reperibili in piattaforma, la platea all’interno delle
comunità risulta essere restrittiva.
Possiamo dire che l’utilizzo dei network sta portando ad una sorta di disumanizzazione,
aumentando le possibilità di confronto ma destrutturando il concetto di incontro che, dalla
valorizzazione della dimensione conoscitiva face to face, va sempre più verso l’evidenziazione
della sola interconnessione finalizzata allo scambio.
Da queste riflessioni nasce l’esigenza di adattamento alla realtà attuale per rendere possibile la
sopravvivenza futura delle comunità. Il rischio è quello che, con il tempo, i social network possano
sopraffare le comunità ricoprendone la maggior parte delle funzioni essenziali e rendendole, in
questo modo, accessorie.
Come possono, allora, modellarsi alla realtà?
La creazione di piattaforme “own made” potrebbe sicuramente sopperire alla questione delle
occasioni di scambio aumentandole e tenendo anche continuamente aggiornato il numero di
iscritti, di soci e di individui online, e quindi disponibili, per facilitare la condivisione. Ad oggi le
maggiori comunità HR sono presenti nelle più importanti piattaforme e possiedono un sito internet
che, però, consente esclusivamente la conoscenza della struttura della comunità e la
pubblicizzazione degli eventi.
3.2 LA FORMALIZZAZIONE DELLE COMUNITÀ A COSA PORTERÀ?
Come analizzato nel secondo capitolo, una delle attività principali delle comunità HR è quella di
disporre di certificazioni che sopperiscano all’assenza di un albo professionale al quale iscriversi.
A tal proposito la legge italiana 4/201320
è il provvedimento che disciplina le professioni non
regolamentate, dette anche “non protette”, che si affiancano a quelle ordinistiche. Data la legge,
entrata in vigore il 26 gennaio 2013, i professionisti possono costituire associazioni professionali,
finalizzate alla valorizzazione delle competenze degli associati, garantendo il rispetto di regole
internamente stabilite. Tali associazioni hanno natura privatistica e si fondano su base volontaria
promuovendo la formazione permanente dei propri iscritti. Si occupano inoltre di adottare un
codice di condotta, vigilando sul comportamento professionale degli associati, definendo le
sanzioni disciplinari e promuovendo, infine, forme di garanzia a tutela dell'utente, tra cui
l'attivazione di uno sportello di riferimento per il cittadino consumatore.
Vi sono due rischi in particolare in questo passaggio; il primo nella formalizzazione stessa delle
comunità e il secondo nell’erogazione delle certificazioni.
Per quanto concerne il primo rischio menzionato si tratta dell’andare incontro ad un ossimoro. Se
partiamo, infatti, dalla concezione delle comunità come spontanee forme di aggregazione, in una
prima fase informali, la riflessione si dirige inevitabilmente sulla necessità di formalizzare tali
20
Parlamento italiano, http://leg16.camera.it/561?appro=600
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Master in Risorse umane e organizzazione 2018-2019
scambi. Da un lato il riconoscimento delle comunità è necessario perché garantisce maggiore
visibilità e influenza e quindi un network più grande di associati ma, allo stesso tempo, queste
comunità nascono proprio dalla necessità di sopperire alla mancanza di un albo e di una serie di
tutele. Nel momento in cui la comunità raggiunge il riconoscimento formale viene meno la
condizione iniziale di spontaneità e cambia la struttura.
La domanda che sorge allora è: se l’istituzionalizzazione si rende necessaria alla sopravvivenza,
non si rischia al tempo stesso di perdere di vista le motivazioni profonde e umane che hanno
portato alla loro fondazione?
Il secondo rischio riguarda l’erogazione delle certificazioni.
Esse nascono dall’assenza dell’albo ma anche, in realtà, a tutela dei consumatori. Avere infatti
degli attestati che accertino la validità della professione aumenta la fiducia nel lavoro stesso. Il
rischio risiede, nel momento in cui ci sono diversi livelli di certificazione, nell’ acquisto di maggiore
importanza di alcuni a scapito degli altri basandosi esclusivamente sulla popolarità della
certificazione erogata, e quindi della comunità che la elargisce.
Altra criticità, scaturita dalle certificazioni, sorge nel momento in cui le comunità vengono intese
esclusivamente come fornitrici di servizi. La tendenza, in questo caso, è quella di perdere di vista il
senso più profondo dell’adesione alle attività delle comunità che risiede nel contatto con
professioni simili e che è finalizzato al miglioramento del know how, tramite un confronto
immediato, proficuo e che valorizzi la dimensione esperienziale.
Comunità professionali (network formali e non formali) dei professionisti HR
Master in Risorse umane e organizzazione 2018-2019
RIFLESSIONI
L’obiettivo del lavoro, come descritto nell’introduzione, era quello di analizzare le realtà delle
comunità professionali HR evidenziando non solo lo sviluppo storico, ma anche i punti critici e
rischi per il futuro, al fine di disegnare un’immagine delle comunità dell’avvenire.
Il quadro di riferimento delle comunità HR spesso considera maggiormente le grandi imprese,
ponendo meno attenzione su quelle di medio-piccole dimensioni che costituiscono il tessuto
economico nazionale e che rischiano di non trovare un mercato di riferimento che dia loro spazio e
rilievo. La nuova tendenza strategica è quella di potenziare l’investimento nella valorizzazione del
personale, anche a favore di queste realtà in cui ancora non vi è un’alta specializzazione della
professione. A tal proposito “HR people” è una associazione atipica che si colloca in questa
direzione.
Tra le riflessioni emerse ci siamo soffermati sull’evoluzione delle comunità HR e, in particolare,
sulla tipologia e la forma che assumeranno.
Nel terzo capitolo abbiamo parlato dei rischi che stanno correndo le community a causa
dell’avvento dei social. Da questo è nato lo spunto per immaginare un futuro proliferare di piccole
aggregazioni di professionisti, spontanee e che nascono direttamente dalle piattaforme. Come
abbiamo descritto in precedenza, il senso di appartenenza nasce anche, e soprattutto, dal rapporto
di fiducia che si sviluppa dal confronto stesso tra membri. I professionisti contattano e si rivolgono
ai colleghi che ritengono “meritevoli” di attenzioni e dai quali reputano di potere acquisire
conoscenze e risposte alle proprie questioni. Si creano così network di piccole dimensioni che si
affidano non più al valore delle comunità HR, bensì alla credibilità dei profili proposti sui network
maggiormente utilizzati. Ragionando in senso più ampio, possiamo affermare che qualsiasi realtà
di incontro può far crescere network professionali. Non è un caso che nelle università, come anche
nelle business school, si creino tuttora strutture poco formalizzate con obiettivi solitamente a breve
termine ma che organizzano incontri di confronto in maniera assidua. Allo stesso modo, la stessa
Fondazione ISTUD potrà essere un ponte tra futuri professionisti HR che saranno impegnati in
differenti realtà aziendali, entro le quali, confrontandosi e analizzando tematiche comuni,
instaureranno interconnessioni.
Riguardo l’ampiezza delle comunità, partendo, infatti, dal presupposto che continuerà a persistere
la necessità di imparare tra pari, il senso di appartenenza a gruppi professionali è, e sarà, il
collante relazionale. Con l’utilizzo sempre maggiore delle piattaforme on line vi è la tendenza, però,
a perdere l’interesse dell’incontro all’interno della vasta rete di professionisti, potenzialmente
incontrabili. La rivoluzione digitale ha portato, infatti, a profondi cambiamenti socioculturali,
costituendo una nuova percezione della realtà; tali mutamenti rendono la relazione con la realtà
virtuale sempre più intensa e vicaria delle esperienze reali. All’interno di questa rete intricata, in cui
gli snodi sono rappresentati dalle identità virtuali, il singolo si muove con pochi punti di riferimento,
creando reticoli di relazioni di intensità minore dal punto di vista personale ed empatico, puntando
comunque, ad una conoscenza contenutistica e ad una logica di puro scambio nel qui ed ora.
Comunità professionali (network formali e non formali) dei professionisti HR
Master in Risorse umane e organizzazione 2018-2019
BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA
• Aristotele, “Politica I”, 2, 1253°
• AGRH Francia, https://www.agrh.fr/
• AIDP Italia, https://www.aidp.it/
• ANDRH Francia, https://www.andrh.fr/
• Brizio Tommasi L., Caramia M., Project management e risorse umane. Organizzazione e
metodologie produttive per la gestione delle risorse umane nella dinamica dei progetti di
servizio, Franco Angeli, 2009.
• CIPD Regno Unito, https://www.cipd.co.uk/about/who-we-are/history
• Danzi O., Re G., “Community manager: dietro le reti ci sono le persone”, Franco Angeli,
2018
• DGFP Germania, https://www.dgfp.de/
• Fondazione ISTUD, “Forme organizzative emergenti. Dalle comunità di pratica ai network
informali”. Lupetti Editore, Sett. 2011,
• GIDP Italia, http://www.gidp.it/it/
• http://www.itctosi.va.it/orientagiovani/Capitolo%201.2.htm
• IPMA Stati Uniti, https://ipmahrsouthern.org/history.pdf
• Latour B., “Science in action”, Harvard University, 1987
• Law J., “Notes on the Theory of the Actor-Network: Ordering, Strategy and Heterogeneity,
Systems Practice”.
• Parlamento italiano, http://leg16.camera.it/561?appro=600
• MIHRM, http://mihrm.com/
• Parlamento italiano, http://leg16.camera.it/561?appro=600
• Saladino E. M., “Social network e community management”, EPC Editore.
• SHRM Malaisia, http://www.jhrs.org/
• Washington Business Journal, "Associations Ranked by Revenue". Washington Business
Journal. Retrieved

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Comunità professionali (network formali e non formali) dei professionisti HR

  • 1. KIA TREND Project work “KiA – Knowledge in Action” Comunità professionali (network formali e non formali) dei professionisti HR Master in Risorse umane e organizzazione 2018-2019 A cura di: Fratta Federica Grasso Carmen Koura Abdoul Razak Oliva Antonio Rappazzo Francesco Succi Caterina
  • 2. Comunità professionali (network formali e non formali) dei professionisti HR Master in Risorse umane e organizzazione 2018-2019 ABSTRACT Il presente report si pone come obiettivo la descrizione e l’analisi delle comunità professionali HR. Essendo una tematica di origine recente, la redazione di una bibliografia di riferimento è ancora in corso, dunque, piuttosto ridotta; pertanto, ci si è avvalsi di interviste somministrate telefonicamente ad un campione di manager e presidenti di comunità HR. Si è scelto di adottare un approccio analitico cronologico, che analizzi il passato, il presente e le possibili evoluzioni future delle comunità stesse. Il primo capitolo offre una veduta d’insieme di queste comunità partendo dalla loro nascita, per giungere fino all’istituzione delle ultime. Nel secondo capitolo verranno descritte le principali comunità HR e le relative funzioni cruciali: in particolare, si analizzerà la questione delle certificazioni e il cambiamento delle attività interne dovuto all’emergere dei nuovi social network. Nel terzo ed ultimo capitolo, infine, attraverso l’osservazione dei rischi posti dalle nuove tecnologie, così come di quelli insiti nella formalizzazione delle comunità, si tenterà di delinearne i possibili scenari futuri. Fin dalle loro origini, comune denominatore tra esse è l’ambizione di colmare la necessità di riconoscimento della professione ma, soprattutto, di creare un luogo d’incontro, fertile terreno di confronto e cooperazione tra professionisti. È tramite lo scambio, di opinioni e di esperienze in merito a realtà e problematiche condivise, che ogni membro può costruire il proprio percorso di apprendimento e di crescita professionale. Conseguentemente, questa dinamica dà vita ad una rete strutturata sui princìpi di legittimazione e riconoscimento della credibilità del professionista, o di gruppi di professionisti, con cui ci si confronta allo stesso livello. Come detto in precedenza, una delle motivazioni principali che ha condotto alla strutturazione delle comunità professionali HR è quella di sopperire alla mancanza di un albo. Questa stessa necessità sta anche alla base della maggior parte delle attività promosse dalle stesse; tra queste, di particolare interesse, risulta l’erogazione, in molti paesi, di certificazioni a favore non solo dei professionisti ma anche dei consumatori. Infatti, l’esistenza di attestati che accertino la validità della professionalità dei membri aumenta la fiducia nella professione stessa. Il rischio risiede, nel momento in cui ci sono diverse certificazioni, nell’ acquisto di maggiore importanza di alcune a scapito delle altre basandosi esclusivamente sulla popolarità della certificazione erogata, e quindi della comunità che la elargisce. L’esigenza di sentirsi adeguatamente rappresentati e, dunque, visibili, ha favorito la nascita di comunità sia formali che informali, la cui distinzione risulta di difficile individuazione, come confermano i dati raccolti tramite le interviste; precisamente, è emerso che formalizzare una comunità sarebbe paragonabile ad un ossimoro.
  • 3. Comunità professionali (network formali e non formali) dei professionisti HR Master in Risorse umane e organizzazione 2018-2019 Se le comunità si fondano sull’incontro e sullo scambio fra pari, grazie ai quali tessere relazioni di fiducia, la formalizzazione dei network, riqualificandoli come organizzazioni strutturate e, di conseguenza, meno spontanee, non risponderebbe più alle motivazioni che hanno portato alla nascita di tali comunità. Ciononostante, con il passare del tempo, allo scopo di acquisire e mantenere credibilità e dimensioni sempre maggiori in termini di adesione e visibilità, le realtà informali si sono sempre più formalizzate strutturandosi intorno ai propri assi identitari che differenziano una comunità dall’altra. Altro elemento su cui ci si è soffermati è l’ampia diffusione dei social network all’interno dell’odierno contesto sociale. Infatti, essa non si è limitata a rivoluzionare la dimensione tecnologica delle comunità, ma anche quelle comunicativa e organizzativa; ciò ha inevitabilmente avuto delle conseguenze sulla tipologia di legami che si instaurano tra i membri di tali network. Nell’ambito delle comunità HR, l’aumento dell’utilizzo dei social ha indubbiamente favorito le dimensioni delle comunità, abbattendo le barriere nazionali ed internazionali, permettendo così la contaminazione di conoscenze e competenze tra le diverse realtà, così come di partecipare a eventi e conferenze in modo virtuale. Allo stesso tempo, però, molte piattaforme on line hanno sostituito gran parte delle funzioni di interconnessione tra i membri delle comunità stesse e questo ha comportato il rischio di affievolire lo spirito di aggregazione e coesione che la condivisione di uno spazio fisico garantisce. Poiché nel corso della loro storia le comunità HR si sono modificate per adattarsi ai cambiamenti sociali e del mondo del lavoro, anche la loro sopravvivenza in futuro dipenderà dalla capacità di far propri gli elementi più moderni, inglobandoli all’interno della propria identità e restituendo ai propri membri realtà associative sempre più interessanti ed indispensabili.
  • 4. Comunità professionali (network formali e non formali) dei professionisti HR Master in Risorse umane e organizzazione 2018-2019 INTRODUZIONE Nel presente lavoro di testo la tematica centrale che viene analizzata è la descrizione delle comunità professionali HR. Essendo un tema di origine recente, la bibliografia di riferimento è risultata ristretta e, per tale ragione, si è ricorso all’utilizzo di interviste somministrate telefonicamente ad un campione di manager e presidenti di varie comunità HR. In particolare coloro che maggiormente hanno contribuito alla stesura del report sono stati Paolo Citterio, presidente di GIDP, Paolo Iacci, presidente vicepresidente di AIDP e Luca Quaratino, esperto in tematiche HR. La community è come un ecosistema, quindi attraversa diverse fasi di sviluppo, entro le quali i membri affrontano le problematiche in maniera sempre distinta. Si è scelto di procedere inizialmente nella descrizione di tale realtà seguendo una logica temporale, partendo cioè dalla nascita delle prime comunità proseguendo fino al momento dell’istituzione delle ultime. Nel secondo capitolo verranno descritte le principali comunità HR con le relative funzioni: in particolare si analizzerà la questione delle certificazioni e il cambiamento delle attività interne dovuto all’emergere dei nuovi social network. Nel terzo ed ultimo capitolo, infine, si affronteranno i possibili scenari futuri delle comunità attraverso l’analisi critica dei rischi tecnologici e della formalizzazione delle comunità stesse. Ma che cos’è una comunità di pratica? Nell’andare ad analizzare le comunità professionali HR non è possibile tralasciare la descrizione, seppur in maniera sommaria, di cosa siano le comunità di pratica e con quali esigenze siano nate. Si tratta, infatti, di un concetto introdotto negli anni Ottanta circa da John Seely Brown, ricercatore del Centro di Studi della Xerox a Palo Alto. Brown definisce la comunità di pratica come: “un insieme di persone, congiunte da vincoli di relazione informali, che condividono una certa pratica comune”. Il maggiore esponente delle teorie dell’apprendimento applicate al settore delle comunità di pratica è Étienne Wenger che, nello scritto “Communities of practice: Learning, Meaning, and Identity”1 , definisce le comunità di pratica come un sistema auto-organizzato che si sviluppa in tre dimensioni: campi tematici, la comunità e la pratica2 . 1 Wenger É. “Comunità di pratica: Apprendimento, Significato, e Identità”, traduttore R. Merlini, Cortina Raffaello,2006. 2 Lave e Wenger descrivono una comunità di pratica come “un insieme di relazioni tra persone, attività e mondo, oltre il tempo e in relazione con altre comunità di pratica tangenziali o sovrapposte”. L’apprendimento è quindi inteso come la partecipazione attiva nella pratica di una comunità sociale e nella costruzione di una propria identità in relazione a tale comunità.
  • 5. Comunità professionali (network formali e non formali) dei professionisti HR Master in Risorse umane e organizzazione 2018-2019 Più recentemente, su queste stessi concetti, Nonaka e Takeuchi , nel testo “The Knowledge Creating Company”3 , hanno analizzato nello specifico i processi di conoscenza tacita, approfondita maggiormente nel campo delle discipline che studiano l’antropologia tecnica4 . Inoltre, il termine comunità si riferisce non solo ad un insieme di persone fisiche e all’insieme di conoscenze che condividono, ma anche agli artefatti di cui dispongono come attrezzature, supporti informatici, norme comportamentali o policies, il cui valore è definito dal riconoscimento che i membri stessi della comunità conferiscono a tali artefatti. A tal proposito, riprendendo la definizione di Law5 sui network eterogenei, in cui si evidenzia lo stretto rapporto tra soggetti e oggetti materiali e immateriali, umani e non umani, Latour descrive in “Dove sono le masse mancanti”,6 come questi ultimi partecipino, interagendo tra di loro, ai processi di costruzione del nuovo sapere in una dinamica di co-costruzione. Il fine delle comunità di pratica, e quindi la ragione grazie alla quale prendono vita, è il miglioramento collettivo dato dalla condivisione delle conoscenze, abbattendo gli spazi individuali e privati. Si tratta di un metodo costruttivista che tende all’eccellenza per mezzo dello scambio reciproco e che rivoluziona l’attitudine al lavoro. La conoscenza diventa così mezzo di accrescimento dell’apprendimento, che acquista nuove caratteristiche e accezioni. Infatti, all’interno delle comunità di pratica, si valorizza l’apprendimento esperienziale, creatore di significato ma, anche e soprattutto, i partecipanti sviluppano un senso di identità e di appartenenza che valorizza la comunità stessa nel suo senso stretto di network professionale. Dalla formulazione del concetto di comunità di pratica prende forma un vero e proprio fenomeno sociale aggregativo il cui risultato è la nascita di gruppi sociali, insiemi di individui, che interagiscono in maniera ordinata, sulla base di aspettative condivise, organizzandosi sia per il miglioramento collettivo che per uno sviluppo costante dell’apprendimento, partendo dalle singole conoscenze degli individui che li compongono. In questa dimensione organizzativa, prende vita il concetto di famiglia professionale, i cui membri sono legati dal possesso di determinate competenze tecniche e comportamentali, come una famiglia, entro la quale la missione comune fa da collante. 3 Nonaka, Takeuchi, “The Knowledge Creating Company”, a cura di Umberto Frigelli e Kazuo Inumaru, Guerini e associati, 2005. 4 Partendo dalle considerazioni sull’importanza della conoscenza come risorsa competitiva per le organizzazioni, gli autori ne descrivono la composizione e soprattutto come può essere generata. Viene evidenziata l’importanza della conoscenza “tacita” al pari di quella esplicita, affrontando il delicato tema del passaggio tra di esse. Gli autori danno una loro interpretazione su come riuscire a creare conoscenza all’interno dell’organizzazione, attraverso l’interazione di conoscenza tacita e esplicita, nonché di quella individuale e quella a livello organizzativo, generando così una “spirale della conoscenza”. 5 Law J.(16/05/1946) è attualmente professore presso la facoltà di scienze sociali alla Open University e colui che ha ideato l’Actor Network Theory. L’ANT è un approccio delle scienze sociali che descrive e spiega le strutture sociali, organizzative, scientifiche e tecnologiche, i processi e gli eventi. 6 Latour B., “Science in action”, Harvard University, 1987
  • 6. Comunità professionali (network formali e non formali) dei professionisti HR Master in Risorse umane e organizzazione 2018-2019 1. Le origini dell’HR community 1.1 COME NASCE LA FIGURA PROFESSIONALE HR Nella definizione della job description del manager HR risulta fondamentale analizzare il contesto lavorativo entro il quale si inserisce e quello storico dal quale trae origine. Che cosa si intende per Risorse umane? Il concetto, teorizzato da Raymond Myles, trae origine dal progressivo cambiamento dell’organizzazione scientifica del lavoro tayloristica, con il tentativo di superarne le lacune psicosociologiche fondate sull’esclusiva esaltazione delle competenze tecniche. Vi è dunque una progressiva rivalutazione dell’importanza dei lavoratori: l’organizzazione investe su di essi, i quali diventano parte integrante delle risorse aziendali, poiché portatori di valore economico e contributo alla crescita aziendale. Più precisamente, considerando l’evoluzione della figura professionale dell’HR manager dagli anni del taylorismo ad oggi, si delinea un progressivo cambiamento di caratteristiche e peculiarità identificative di tale figura, coerenti alle esigenze del tempo. Negli anni ’50 vi è un primo tentativo di cambio del paradigma tayloristico, dove il direttore del personale pone l’accento sui bisogni primari dell’individuo, attuando un “approccio prevalentemente di tipo amministrativo-normativo”7 entro il quale le normative, le regole e la disciplina erano gli elementi distintivi della funzione. Successivamente, negli anni del “boom economico” italiano, si insediano nuovi modelli organizzativi provenienti dalla cultura angloamericana, in cui la centralità dell’uomo diventa determinante. Vi è lo sviluppo di un nuovo approccio metodologico, in un cui il focus “umano” dell’impresa crea le basi per le nuove tecniche di gestione del personale. Ma è agli albori degli anni ’70, sfondo di numerosi cambiamenti radicali, da turbamenti sindacali in un contesto socioeconomico assai instabile, che si afferma una nuova cultura organizzativa. Il direttore risorse umane si tramuta nel detentore dell’equilibrio relazionale e sociale all’interno delle nuove strutture, diventa dunque sviluppatore di capacità manageriali, come quelle motivazionali, e capace di orientare i collaboratori verso i comuni obiettivi aziendali. Gli anni ’80 delineano una figura di direzione che assume forti caratteristiche di leadership, entro le quali il capitale umano ed intellettuale di ogni membro del team di lavoro viene enfatizzato esaltandone l’empowering. Il ruolo dell’HR manager diventa, dunque, il collante necessario tra l’organizzazione e i singoli membri che ne fanno parte, capace di trovare soluzioni alle problematiche dell’impresa facendo una grande attenzione al clima organizzativo. Le competenze 7 http://www.itctosi.va.it/orientagiovani/Capitolo%201.2.htm
  • 7. Comunità professionali (network formali e non formali) dei professionisti HR Master in Risorse umane e organizzazione 2018-2019 trasversali, la capacità di lavorare in team e l’attenzione alle prestazioni sono i nuovi punti di attenzione verso i quali il coordinatore deve porre il focus, poiché determinanti nella comune mission aziendale. Oggi, in un contesto sociale e lavorativo in continua evoluzione, dove emerge la centralità del cambiamento, alla gestione delle risorse umane è affidata la responsabilità di orientare gli individui ad avere una visione aperta e flessibile caratterizzata da una complessità di valori. Dunque, in questo contesto, tutti si muovono nella stessa direzione, e il manager HR aiuta a sviluppare meccanismi di autocontrollo al fine di renderli performanti. La direzione delle risorse umane si mette a disposizione dell’organizzazione: ascolta, riformula, gestisce le tensioni, sostiene e supporta il capitale umano, confrontandosi con quelle di altre organizzazioni, aventi dinamiche simili. 1.2 Quando e come nascono le HR communities Secondo la definizione aristotelica, l’uomo è per sua natura “un animale politico”8 , poiché per vivere ha bisogno di creare relazioni, stringere amicizie e formare delle comunità. Le stesse necessità stanno anche alla base della nascita delle HR communities, con la differenza che, in quanto comunità professionali, raccolgono esperti del settore che vogliono condividere esperienze, aggiornarsi continuamente, confrontarsi sugli sviluppi della professione con chi condivide gli stessi interessi e valori9 . Sin dagli albori, le comunità di professionisti delle risorse umane si sono poste l’obiettivo di valorizzare il ruolo che queste figure ricoprono all’interno delle organizzazioni e, nel tempo, hanno cercato di evolversi in modo coerente con le trasformazioni culturali, sociali ed economiche che hanno accompagnato lo sviluppo della professione. I membri di tali comunità individuano nella condivisione e nel confronto reciproco la possibilità di una crescita professionale, individuale e collettiva. Le prime HR communities compaiono negli Stati Uniti, dove, nel 1906, nasce l’International Public Management Association for Human Resources (IPMA-HR); questa viene formalizzata un anno dopo da una costituzione adottata dalla National Assembly che definisce come obiettivi dell’associazione la promozione della cooperazione tra tutti gli incaricati dell'amministrazione delle leggi del servizio civile al fine di confrontarsi e scambiarsi opinioni per meglio assolvere la propria funzione10 . Successivamente, nel 1915, assistiamo alla nascita di quella che oggi è nota come Human Resources Management Association of Chicago (HRMAC), che nacque come gruppo indipendente di appartenenza aziendale non affiliato a nessun altro stato o organizzazione nazionale. Quest’associazione prende vita grazie ad un ristretto gruppo di uomini d’azienda che si 8 Politica I, 2, 1253°, Aristotele. 9 Community manager: dietro le reti ci sono le persone, O.Danzi, G.Re, Franco Angeli, 2018. 10 https://ipmahrsouthern.org/history.pdf
  • 8. Comunità professionali (network formali e non formali) dei professionisti HR Master in Risorse umane e organizzazione 2018-2019 incontrarono in modo informale per confrontarsi su temi quali: il corretto posizionamento e adeguamento di coloro che entrano in un’industria, la collaborazione tra scuole e industrie e altre problematiche relative alla gestione delle risorse. Questo primo incontro condusse alla formazione dell’Employers’ Advisory Group of Chicago, che successivamente attraversò diversi cambi di nome fino a giungere all’odierno HRMAC. Fu una delle prime organizzazioni del paese a concentrarsi sulla formazione aziendale e sulle questioni relative al personale e a promuovere sessioni informative per i membri convocando commissioni speciali su argomenti di interesse condiviso. Un’altra longeva associazione, nonché la più importante del Regno Unito, è il Chartered Institute of Personnel and Development (CIPD). L'organizzazione è stata fondata nel 1913, come Welfare Workers Association (WWA) con lo scopo di “organizzare e gestire il lavoro a vantaggio delle imprese e creare valore economico, ma anche di promuovere modi per migliorare le vite lavorative individuali al fine di contribuire alla creazione di una società più equa e prospera11 . Il WWA nasce dalla preoccupazione circa le condizioni lavorative nelle fabbriche del Regno Unito, con particolare attenzione alla condizione femminile. Nel lungo corso della sua storia cercherà di adattarsi ai mutamenti di contesto socioeconomico che influiranno sulla sua funzione; per questa ragione subirà diversi cambi di nome prima di giungere all’odierno CIPD. In un contesto di crescita in tempo di guerra, tra il 1917 e il 1924, la diffusione di agenti del welfare nelle fabbriche aumentò considerevolmente in tutto il paese fino a trasformarsi, negli anni 20, in un movimento di gestione del lavoro i cui membri, “Ufficiali del lavoro”, erano sempre più richiesti dai datori di lavoro per assistere nella gestione del reclutamento, della disciplina, del licenziamento e delle relazioni industriali. Successivamente, nel 1937, si diffuse anche in Irlanda e, negli anni a seguire, continuò a riflettere l’attenzione dei suoi membri nei confronti delle relazioni industriali e della formazione industriale. Più tardi, nel 1955, si mosse verso la limitazione dell'ingresso a pieno titolo tramite esame e introdusse un programma educativo che poteva essere eseguito esternamente dai college in preparazione all'esame nazionale. In tempi più recenti, CIDP ottenne la Royal Charter (2000) e con essa lo statuto di ente caritatevole, un'aspirazione che era stata a lungo oggetto di discussione all'interno della comunità; qualche anno dopo le fu conferita anche l’autorità di assegnare lo status di Chartered individuale ai professionisti delle risorse umane12 . Di più recente formazione, 1948, è la SHRM, Society for Human Resource Management, con il nome di American Society for Personnel Administration (ASPA). L’organizzazione, che ha operato su base volontaria fino al 1964, si è posizionata dodicesima nella classifica delle più grandi associazioni negli USA (2015)13 . Nonostante si tratti di una comunità moderna, il trasferimento del proprio head quarter, da Berea (Ohio) ad Alexandria (Virginia), così come il cambio di nome, riflettono la sua attitudine a plasmare la propria struttura e attività sui cambiamenti del contesto socioeconomico. Poco più tardi, anche nell’Europa continentale nascono alcune importanti comunità. Ad esempio, nel 1952, un circolo si riunisce intorno al futuro presidente federale Walter Scheel e fonda l’organizzazione predecessore della DGFP (Deutsche Gesellschaft für Personalführung). 11 https://www.cipd.co.uk/about/who-we-are/history 12 https://www.cipd.co.uk/ 13 "Associations Ranked by Revenue". Washington Business Journal. Retrieved 19 August 2016.
  • 9. Comunità professionali (network formali e non formali) dei professionisti HR Master in Risorse umane e organizzazione 2018-2019 L’obiettivo con cui questa viene fondata è quello di stabilire forme progressive di gestione aziendale e, in particolare, di promuovere la partecipazione dei dipendenti nelle imprese; in questa prospettiva lo scambio di esperienze ha assunto fin da subito un ruolo preponderante. Nel 1955, il primo gruppo si incontrò per confrontarsi sugli attuali argomenti relativi al personale in un’atmosfera fiduciosa. Ad oggi, ci sono più di 100 gruppi che si incontrano regolarmente in tutta la Germania per aree tematiche diverse. Se DGFP, oggi, è la più grande rete di competenza e carriera delle risorse umane in Germania, è anche grazie a questo continuo scambio di esperienze tra aziende. Un altro aspetto interessante di questa associazione, almeno dalla metà degli anni ’60, è stato il focus sulla formazione e l’aggiornamento delle risorse umane. Con la fondazione dell’Academy for Personnel Management nel 1969, sono stati stabiliti gli standard, così come i congressi professionali che si sono tenuti dal 1985. Inoltre, il DGFP è stato coinvolto fin dall’inizio nella gestione delle risorse umane europee e internazionali. È stato uno dei membri fondatori dell’Associazione Europea per la Gestione delle Persone (EAPM) nel 1962 ed è, dal 1976, anche membro della Federazione Mondiale delle Associazioni di People Management (WFPMA). L’orientamento della DGFP è sempre stato espressione di un forte interesse per lo sviluppo della gestione del personale e della sua importanza nelle aziende. Ciò si applicava alle nuove specializzazioni delle risorse umane, ad esempio nel settore dello sviluppo del personale, del diritto del lavoro o del reclutamento, ma anche agli sconvolgimenti sociali. La DGFP si considera una comunità che dà voce alle politiche di gestione del personale sia in ambito pubblico che privato. Un ufficio municipale con sede a Berlino coordina temi politici molto rilevanti, rafforzando la posizione della gestione delle risorse umane all’interno del dibattito pubblico. Dal 2009 all’interno dell’associazione è stata dedicata una sezione definita Young Professional Network (YPN) focalizzata sui giovani professionisti. Nel 2018, la DGFP ha celebrato il suo 66° anniversario con oltre 2.500 aziende e membri riproponendosi di contribuire a dare forma ai mondi lavorativi di oggi e di domani mettendo al centro la gestione delle risorse umane14 . Passando al contesto italiano, spicca l’AIDP, Associazione Italiana per la Direzione del Personale. Questa si è costituita nel 1960, ma un primo incontro di dimensione nazionale si tenne nel biennio 1959-60 a cui presero parte capi e direttori del personale, non a caso l’associazione nazionale prese il nome “associazione dei capi e dei direttori del personale”. Negli anni successivi, fino al 1979, ci fu il cosiddetto “miracolo economico”, che portò alla definizione di salario come variabile indipendente. Inoltre, nel rapporto tra i lavoratori e l’impresa iniziò ad essere presente il supporto professionale delle direzioni del personale15 . Procedendo nel panorama italiano incontriamo il Gruppo Intersettoriale Direttori del Personale, GIDP che è stato fondato dal Dott. Paolo Citterio nel 1977, ma vede la propria costituzione giuridica in Associazione di GIDP solamente il 5 novembre del 200216 . 14 https://www.dgfp.de/ 15 https://www.aidp.it/ 16 http://www.gidp.it/it/
  • 10. Comunità professionali (network formali e non formali) dei professionisti HR Master in Risorse umane e organizzazione 2018-2019 Sempre nel contesto europeo, nel 1989 è stata creata l’AGRH (Associazione Francofona di Gestione dell’HR), associazione che raggruppa più di 1.200 insegnanti – ricercatori francofoni – nel campo della gestione dell’HR17 . L’EAPM (European Association for People Management) è stata fondata nel 1962 da associazioni nazionali e istituzioni professionali di gestione del personale di Francia, Germania, Svezia, Svizzera e Regno Unito e registrata presso le autorità fiscali in Svizzera e, in quanto tale, è un’associazione di diritto svizzero. Sin dalle sue origini, l’EAPM ha costituito un organismo indipendente europeo di organizzazioni nazionali delle risorse umane con l’obiettivo principale di facilitare lo scambio di esperienze tra i suoi membri. Nel corso degli anni, questa associazione è cresciuta in modo significativo; infatti, nel 1989, ha riunito 16 organizzazioni membri, principalmente dai Paesi dell’Europa occidentale: Austria, Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Italia, Paesi Bassi, Norvegia, Portogallo, Spagna, Svezia, Svizzera, Turchia e Regno Unito. Inoltre, dopo la caduta del muro di Berlino, l’EAPM ha esteso le sue attività all’Europa orientale. Nel 2016, l’EAPM ha intrapreso uno sforzo importante per rivedere i suoi statuti con l’obiettivo di adeguare questa organizzazione ai tempi moderni e trasformarla in un’organizzazione più efficiente, partecipativa e trasparente in linea con le esigenze dei suoi membri18 . In seguito all’ampia diffusione delle HR community, nasce anche la WFPMA (World Federation of People Management Association), fondata nel 1976 da associazioni HR continentali, tra le quali la European Association for People Management (EAPM), la Interamerican Federation of Personnel Administration (FIDAP) e la attuale SHRM. 1.3 Differenza tra comunità formali e non formali Considerando che le comunità HR rispondono a delle precise esigenze di comunicazione, condivisione diretta con chi quotidianamente affronta le stesse dinamiche lavorative, si instaura tra i membri un vero e proprio confronto alla pari, poiché ci si riconosce tutti facenti parti di un unico gruppo. Analizzando più precisamente la natura delle stesse, si delinea una distinzione basata su comunità formali e non formali. Infatti, in quelle formali gli scopi sono chiari a tutti i membri, i quali condividono interessi e obiettivi comuni, con la finalità di creare un cambiamento culturale innovativo con la contaminazione attiva all’interno di un network e la creazione di molteplici eventi fisici. Per quanto riguarda quelle informali, invece, nascono dall’esigenza di tracciare interconnessioni tra membri molto diversi e lontani fra loro, che grazie all’utilizzo di piattaforme digitali, quali networks, condividono informazioni e interagiscono tra loro. 17 https://www.agrh.fr/ 18 https://www.eapm.org/
  • 11. Comunità professionali (network formali e non formali) dei professionisti HR Master in Risorse umane e organizzazione 2018-2019 2. LE COMUNITÀ HR OGGI 2.1 PRINCIPALI ATTIVITÀ DELLE COMUNITÀ Le comunità professionali HR nascono con l’obiettivo principale di analizzare, promuovere, sviluppare la gestione professionale delle persone e, per raggiungere questo obiettivo, forniscono determinati servizi ai propri membri. Alcuni di questi possono essere: la formazione, le consulenze, le conferenze, i congressi, le ricerche e pubblicazioni, le riviste, gli eventi, i progetti, i certificati ecc. Il contesto ambientale, storico e socioculturale, poiché variabile e distintivo, fa sì che ci siano delle peculiarità anche riferenti alla tipologia ed erogazione dei servizi, mantenendo comunque una somiglianza di base. In particolare, l’AIDP (Associazione Italiana per la Direzione del Personale) non si occupa degli stessi e identici servizi o delle stesse attività dell’ANDRH (Associazione Nazionale dei Direttori delle Risorse Umane in Francia). Infatti, mentre la prima cerca di promuovere il successo delle organizzazioni e la crescita delle persone che vi lavorano, attraverso formazione, certificazione, eventi, progetti, ricerche e pubblicazioni sul mondo del lavoro e il futuro della direzione HR, la seconda invece mette a disposizione dei suoi membri l’ANDRH ACADEMY, il cui obiettivo è quello di accompagnare e di professionalizzare gli aderenti, offrendo un particolare servizio di ascolto, “Ascolto HR”. Esso fornisce assistenza psicologica, confidenziale e gratuita via telefono, in anonimato, accessibile h 24 e 7/7. Inoltre, “AIDP giovani” promuove, verso coloro che stanno muovendo i primi passi nel mondo HR, iniziative di orientamento, formazione e benchmark su temi salienti, momenti di networking anche con soci senior e collaborazioni con Università e Business School. Con la sezione “Master e formazione”, si dedicano all'accreditamento AIDP per Master universitari e corsi di specializzazione in ambito HR. Infine, l’associazione organizza oltre 250 eventi all’anno su tutto il territorio italiano e annualmente organizza il Congresso Nazionale, appuntamento italiano fondamentale per l'aggiornamento e l'analisi strategica sull'HR management Per quanto riguarda l’ANDRH in Francia, entrare a far parte di essa significa anche entrare a far parte di uno degli 80 sottogruppi locali sparsi su tutto il territorio francese. Ogni sottogruppo organizza frequentemente delle riunioni conviviali tra i membri per scambiare delle idee, e, tramite il “Carriere RH” aiutano i loro membri a costruire la loro strategia di carriera, informandoli e accompagnandoli lungo tutto il percorso professionale. Infine, vi è il “Club jeunes rh”, aperto a tutti i professionisti HR giovani appartenenti all’associazione, con lo scopo di creare dei momenti di scambio non solo tra i membri giovani, ma anche con i soci senior. Di rilevante importanza è la rivista personale dell’ANDRH, disponibile sul loro sito, accessibile a tutti ed è determinante, in quanto anticipa temi salienti e comuni per poi analizzarli in maniera più specifica tramite incontri ed eventi. Importante, infine, è sottolineare come il servizio di certificazione venga offerto solamente in Italia e non nel territorio francese. Analizzando il sud est asiatico, si osserva come l’obiettivo finale di tutte le comunità sia circa uguale, ma i servizi e le attività offerte sono proprie di quello stato. In Malesia per esempio, la MIHRM (Malaysian Institute of Human Resource Management) offre servizi di consulenza professionale ai suoi membri, grazie alla creazione di un gruppo di esperti HR, organizza anche
  • 12. Comunità professionali (network formali e non formali) dei professionisti HR Master in Risorse umane e organizzazione 2018-2019 degli eventi e dei “Tea Talks” su argomenti di interesse per i suoi membri, aperti anche ai non aderenti. Di particolare rilievo è anche la JHRL (The Japan HR Link Network). Essa garantisce la formazione e fornisce certificazioni ai suoi membri grazie ai suoi programmi “JHRS academy” e “HR certification”. Gli altri programmi della JHRL come “HR agenda”, “ask HR”, “HR on the go” sono, invece, finalizzati a fornire un know how maggiore per far fronte alle crescenti sfide nella gestione delle risorse umane. Nel contesto statunitense, entro il quale le comunità professionali HR sono molto evolute, l’IPMA- HR (Associazione Internazionale per la Gestione Pubblica delle Risorse Umane) riveste un ruolo fondamentale, in quanto si tratta di una delle comunità HR più longeve al mondo e principale organizzazione di risorse umane del settore pubblico a livello globale. Fondata nel 1906, si pone come obiettivo l’allocazione delle risorse richieste ed il supporto professionale ai dipartimenti HR pubblici. Si compone di quattro regioni degli USA e più di 42 chapters, ai quali essa fornisce informazioni e assistenza, con lo scopo di aiutare i professionisti ad aumentare le loro prestazioni lavorative e la loro funzione complessiva, tramite il Chapter Hand Book, utile alla risoluzione di problemi di programmazione, governance e questioni legali. In aggiunta, vengono erogati certificati di riconoscimento ai funzionari dei chapters offrendo loro anche l’opportunità di essere coperti dall’assicurazione di responsabilità civile senza alcun costo. Infine sul fronte europeo, in particolare in Germania, un’altra comunità importante è la DGFP (Associazione Tedesca per la Gestione del Personale), che svolge attività educative e formative interessanti e accessibili anche ai non membri, sostenendoli attraverso l'informazione e la raccolta di materiali nello sviluppo delle moderne politiche umane e sociali. Numerosi studi hanno sottolineato la posizione della DGFP come primo punto di contatto per tutte le questioni relative alla gestione delle risorse umane. Inoltre, fuori dal confine tedesco, la DGFP offre supporto allo sviluppo delle risorse umane ai paesi che non hanno una forte cultura riguardante i contesti organizzativi, fornendo loro le informazioni e la formazione necessarie per affrontare al meglio le questioni relative alla professione. 2.2 LE CERTIFICAZIONI In risposta all’assenza di un albo HR, esiste la legge 4/2013 proprio sulla regolamentazione delle professioni non regolamentate. Essa prevede la possibilità di creare una Prassi/Norma che regolamenti abilità, capacità e competenze delle diverse professioni. UNI, l'ente di normazione italiano, ha già emanato alcune norme su diverse professioni, che seguono un’impostazione molto diversa rispetto al sistema dei crediti delle professioni con albo, in quanto il credito viene dato solamente per la partecipazione a eventi o seminari di aggiornamento, e non sull'effettiva valutazione dell'apprendimento. In questo modo chi decide di assumere un HR avrà la certezza stabilita da un ente terzo di portare in azienda capacità e competenze verificate. Per queste ragioni, uno dei servizi erogati da alcune communities che si occupano di risorse umane, consiste nel rilascio di certificazioni. Nel contesto italiano, una delle comunità informali che nasce con l’obiettivo principale di sviluppare un progetto sulla Certificazione della Professione HR, è “HR People”. Si tratta di un’associazione
  • 13. Comunità professionali (network formali e non formali) dei professionisti HR Master in Risorse umane e organizzazione 2018-2019 atipica rispetto a quelle presenti sul territorio che, infatti, non organizza eventi di relazione tra HR o con aziende, se non piccoli round table su temi specifici e su richiesta di singoli HR. L’attività principale consiste nella creazione di una prassi che sta diventando Norma proprio sulla professione HR, gestendo direttamente il tavolo tecnico/scientifico in UNI, il cui obiettivo è di fornire al mercato di HR e aziende, un riferimento chiaro sulle competenze di questa funzione, che valga a livello internazionale e che quindi sia riconosciuto ovunque si voglia andare a lavorare. Un altro esempio è rappresentato da AIDP, che a partire dal 2016 ha introdotto la certificazione delle competenze HR, al fine di garantire oggettività, autonomia e indipendenza di valutazione. Essa si avvale di un soggetto terzo, RINA Services, diffuso in maniera capillare sul territorio nazionale con esperienza in materia di certificazione, il cui scopo è quello di promuovere e tutelare la professionalità di coloro che si occupano di gestire, sviluppare e valorizzare il rapporto persona- lavoro. Ai fini della certificazione, le figure professionali vengono classificate in due categorie: generalisti (HR manager o HR executive) e specialisti (HR specialist o Senior HR specialist) e, per il conseguimento del titolo, è “conditio sine qua non” il superamento di quattro fasi: analisi dei prerequisiti, due prove scritte e una prova finale orale. La certificazione ha validità triennale, è rinnovabile previa verifica del mantenimento dei requisiti professionali, e rappresenta un plus, un elemento distintivo, ma di rilevanza relativa. Poiché, infatti, parliamo di una professione non regolamentata in organi o collegi, non avente un albo proprio, può fungere da collante, un mezzo attraverso il quale ci si può sentir parte di una comunità e si manifesta, quindi, il senso di appartenenza ad essa. Al contrario, la certificazione, in altri ordinamenti, ha rilevanza sostanziale, ad esempio quello inglese, il cui l’ente di riferimento è il Chartered Institute for Personnel & Development (CIPD), che conta 140 mila iscritti. Le certificazioni CIPD sono distinte in tre livelli: level 3 foundations, Level 5 intermediate, level 7 advanced, riconosciuti a livello internazionale e risultano essere un prerequisito necessario per l’accesso al mondo del lavoro, indipendentemente dall’aver conseguito un titolo universitario negli anni precedenti. Inoltre, essendo richiesta dalle aziende stesse, garantisce mobilità lavorativa, con consiste progressioni di carriera e salari più elevati. 2.3 L’EMERGERE DEI NUOVI SOCIAL NETWORK Oggi giorno è ricorrente il concetto di “social organization” con il quale si indica la creazione, all’interno dell’organizzazione, del vantaggio competitivo mediante l’uso di social media. Questo cambio di prospettiva incide anche nel settore HR dal momento che la direzione delle risorse umane, oggi, oltre ad attuare dei mutamenti nel suo modo di operare, svolge un ruolo chiave nella trasformazione in “social organization”. Essa infatti, dovendo adempiere alla specifica funzione di “educazione al cambiamento”, attua delle politiche di change management volte alla formazione e al re-indirizzamento verso nuovi valori organizzativi del lavoro. A tal fine, una gestione efficace del cambiamento comprende l’implementazione di strategie volte allo sviluppo di una visione condivisa dello stesso, in cui tutte le risorse aziendali siano coinvolte attivamente. Solo così è possibile riallineare le azioni degli individui con i nuovi obiettivi dell’impresa, mantenendo alto il livello di motivazione e di senso di appartenenza; l’interiorizzazione, da parte delle persone appartenenti alla struttura aziendale, del cambiamento e delle ragioni che lo hanno portato, è alla base del successo delle politiche di change management.
  • 14. Comunità professionali (network formali e non formali) dei professionisti HR Master in Risorse umane e organizzazione 2018-2019 Si tratta di un cambiamento che incide anche sulle comunità HR in quanto le loro attività sono diventate sempre più digitali e rientrano in quello che oggi si tende a chiamare “Social HR”. I social media vengono utilizzati, ad esempio, dalle community per svolgere sia attività come employee engagement, employer branding, social recruiting e social learning19 , sia come luogo di incontro virtuale tramite webinar, videoconferenze e altri eventi fruibili virtualmente. In quest’ambito, un esempio di comunità molto attiva è HRC, che nasce con l’obiettivo di creare un cambiamento culturale all’interno delle organizzazioni favorendo la contaminazione attiva all’interno di un network virtuale di aziende che si confrontano su temi in ambito hr su una social platform, “MyHRGoal.com”, grazie alla quale è possibile proporre tematiche di interesse comune e aprire discussioni in merito, ricevendo risposta tramite conference call o web conference. 19 Employee Engagement: Descrive il coinvolgimento (commitment) emotivo ed intellettuale dei dipendenti nei confronti della loro organizzazione e nei suoi successi. Employer Branding: È la disciplina che si occupa di definire, gestire e promuovere l’immagine di un’azienda come luogo di lavoro. Social Recruiting: È l’attività di ricerca di lavoro attraverso i canali social da parte dei candidati; concetto che si è esteso anche alle aziende che a loro volta ricercano i candidati attraverso i canali social. Social Learning: Teoria secondo cui la formazione è un processo cognitivo che ha luogo in un contesto sociale e può avvenire esclusivamente attraverso l’osservazione o l’istruzione diretta, anche in assenza di un rinforzo diretto. (Albert Bandura)
  • 15. Comunità professionali (network formali e non formali) dei professionisti HR Master in Risorse umane e organizzazione 2018-2019 3. PROSPETTIVE FUTURE 3.1 NUOVA SPINTA VERSO L’INNOVAZIONE Dalle diverse interviste effettuate è emerso in maniera preponderante il rischio dovuto all’avvento dei social networks. Non a caso, si è scelto di utilizzare la parola rischio piuttosto che pericolo in quanto, nell’accezione più tecnica, il rischio prevede una sfumatura di significato probabilistico dovuto alla presenza di un pericolo e alla possibilità che esso stesso si trasformi in un danno per le comunità stesse. La diffusione a macchia d’olio dei social networks all’interno dell’odierno contesto sociale, ha rivoluzionato, non solo la dimensione tecnologica, ma anche quella comunicativa, organizzativa e la tipologia di legami che si instaurano tra gli individui stessi. Basti pensare ai cambiamenti radicali di tipo organizzativo che le aziende hanno implementato negli ultimi anni per rimanere al passo con le innovazioni tecnologiche, figlie di una rivoluzione industriale tutt’ora in atto. Tra i vari network di riferimento, l’attenzione si focalizza in particolare su LinkedIn e su tutte quelle piattaforme lavorative come Accademia.com o ancora, BeBee e Opportunity. Quelle menzionate sono solo alcuni esempi dei numerosi “luoghi” di incontro virtuale, che nascono con l’obiettivo di riunire professionisti per macroaree specialistiche utili alla condivisione di conoscenze settoriali e allo scambio di opinioni e consigli in ambito lavorativo. La notevole diffusione delle piattaforme digitali, già prima menzionate, ha determinato, però, conseguenze positive e negative riguardanti la digitalizzazione dei network. Se, come abbiamo ribadito più volte, le comunità HR sono nate con l’obiettivo di conglomerare conoscenze, è inevitabile riflettere sulla grande possibilità di interconnessione mondiale tra professionisti provenienti da culture, organizzazioni e aziende molto diverse tra loro, offerta dai supporti tecnologici. In questo senso, l’aumento dell’utilizzo dei social ha indubbiamente aiutato l’aggregazione e la coesione delle comunità abbattendo le barriere nazionali ed internazionali, permettendo così la contaminazione di conoscenze e competenze; allo stesso tempo, però, molte piattaforme on line hanno sostituito gran parte delle funzioni di interconnessione tra i membri delle comunità stesse. La domanda che ci si pone è: se uno degli scopi principali delle comunità HR era quello della condivisione tramite eventi fisici, quanto saranno utili queste ‘nuove’ comunità in un futuro dove non si ha più la necessità di un luogo fisico in cui incontrarsi, grazie allo strumento delle piattaforme? Non è tuttora chiaro come si evolveranno in futuro ma sicuramente, per sopravvivere e assecondare le esigenze dei membri, sarà necessaria una riorganizzazione. Non solo. Tra le attività svolte dalle comunità, in linea con l’obiettivo di incontro, vi è l’organizzazione di eventi, riunioni e convegni e assemblee che risultano essere economicamente esose ma anche sempre più difficilmente realizzabili a causa del radicale cambiamento delle forme lavorative.
  • 16. Comunità professionali (network formali e non formali) dei professionisti HR Master in Risorse umane e organizzazione 2018-2019 Negli ultimi anni le figure professionali, soprattutto quelle manageriali, risultano essere profondamente cambiate nella loro mobilità e questo rende sempre più difficilmente realizzabile la presenza agli eventi. Inoltre, rispetto alla vastità di professionisti reperibili in piattaforma, la platea all’interno delle comunità risulta essere restrittiva. Possiamo dire che l’utilizzo dei network sta portando ad una sorta di disumanizzazione, aumentando le possibilità di confronto ma destrutturando il concetto di incontro che, dalla valorizzazione della dimensione conoscitiva face to face, va sempre più verso l’evidenziazione della sola interconnessione finalizzata allo scambio. Da queste riflessioni nasce l’esigenza di adattamento alla realtà attuale per rendere possibile la sopravvivenza futura delle comunità. Il rischio è quello che, con il tempo, i social network possano sopraffare le comunità ricoprendone la maggior parte delle funzioni essenziali e rendendole, in questo modo, accessorie. Come possono, allora, modellarsi alla realtà? La creazione di piattaforme “own made” potrebbe sicuramente sopperire alla questione delle occasioni di scambio aumentandole e tenendo anche continuamente aggiornato il numero di iscritti, di soci e di individui online, e quindi disponibili, per facilitare la condivisione. Ad oggi le maggiori comunità HR sono presenti nelle più importanti piattaforme e possiedono un sito internet che, però, consente esclusivamente la conoscenza della struttura della comunità e la pubblicizzazione degli eventi. 3.2 LA FORMALIZZAZIONE DELLE COMUNITÀ A COSA PORTERÀ? Come analizzato nel secondo capitolo, una delle attività principali delle comunità HR è quella di disporre di certificazioni che sopperiscano all’assenza di un albo professionale al quale iscriversi. A tal proposito la legge italiana 4/201320 è il provvedimento che disciplina le professioni non regolamentate, dette anche “non protette”, che si affiancano a quelle ordinistiche. Data la legge, entrata in vigore il 26 gennaio 2013, i professionisti possono costituire associazioni professionali, finalizzate alla valorizzazione delle competenze degli associati, garantendo il rispetto di regole internamente stabilite. Tali associazioni hanno natura privatistica e si fondano su base volontaria promuovendo la formazione permanente dei propri iscritti. Si occupano inoltre di adottare un codice di condotta, vigilando sul comportamento professionale degli associati, definendo le sanzioni disciplinari e promuovendo, infine, forme di garanzia a tutela dell'utente, tra cui l'attivazione di uno sportello di riferimento per il cittadino consumatore. Vi sono due rischi in particolare in questo passaggio; il primo nella formalizzazione stessa delle comunità e il secondo nell’erogazione delle certificazioni. Per quanto concerne il primo rischio menzionato si tratta dell’andare incontro ad un ossimoro. Se partiamo, infatti, dalla concezione delle comunità come spontanee forme di aggregazione, in una prima fase informali, la riflessione si dirige inevitabilmente sulla necessità di formalizzare tali 20 Parlamento italiano, http://leg16.camera.it/561?appro=600
  • 17. Comunità professionali (network formali e non formali) dei professionisti HR Master in Risorse umane e organizzazione 2018-2019 scambi. Da un lato il riconoscimento delle comunità è necessario perché garantisce maggiore visibilità e influenza e quindi un network più grande di associati ma, allo stesso tempo, queste comunità nascono proprio dalla necessità di sopperire alla mancanza di un albo e di una serie di tutele. Nel momento in cui la comunità raggiunge il riconoscimento formale viene meno la condizione iniziale di spontaneità e cambia la struttura. La domanda che sorge allora è: se l’istituzionalizzazione si rende necessaria alla sopravvivenza, non si rischia al tempo stesso di perdere di vista le motivazioni profonde e umane che hanno portato alla loro fondazione? Il secondo rischio riguarda l’erogazione delle certificazioni. Esse nascono dall’assenza dell’albo ma anche, in realtà, a tutela dei consumatori. Avere infatti degli attestati che accertino la validità della professione aumenta la fiducia nel lavoro stesso. Il rischio risiede, nel momento in cui ci sono diversi livelli di certificazione, nell’ acquisto di maggiore importanza di alcuni a scapito degli altri basandosi esclusivamente sulla popolarità della certificazione erogata, e quindi della comunità che la elargisce. Altra criticità, scaturita dalle certificazioni, sorge nel momento in cui le comunità vengono intese esclusivamente come fornitrici di servizi. La tendenza, in questo caso, è quella di perdere di vista il senso più profondo dell’adesione alle attività delle comunità che risiede nel contatto con professioni simili e che è finalizzato al miglioramento del know how, tramite un confronto immediato, proficuo e che valorizzi la dimensione esperienziale.
  • 18. Comunità professionali (network formali e non formali) dei professionisti HR Master in Risorse umane e organizzazione 2018-2019 RIFLESSIONI L’obiettivo del lavoro, come descritto nell’introduzione, era quello di analizzare le realtà delle comunità professionali HR evidenziando non solo lo sviluppo storico, ma anche i punti critici e rischi per il futuro, al fine di disegnare un’immagine delle comunità dell’avvenire. Il quadro di riferimento delle comunità HR spesso considera maggiormente le grandi imprese, ponendo meno attenzione su quelle di medio-piccole dimensioni che costituiscono il tessuto economico nazionale e che rischiano di non trovare un mercato di riferimento che dia loro spazio e rilievo. La nuova tendenza strategica è quella di potenziare l’investimento nella valorizzazione del personale, anche a favore di queste realtà in cui ancora non vi è un’alta specializzazione della professione. A tal proposito “HR people” è una associazione atipica che si colloca in questa direzione. Tra le riflessioni emerse ci siamo soffermati sull’evoluzione delle comunità HR e, in particolare, sulla tipologia e la forma che assumeranno. Nel terzo capitolo abbiamo parlato dei rischi che stanno correndo le community a causa dell’avvento dei social. Da questo è nato lo spunto per immaginare un futuro proliferare di piccole aggregazioni di professionisti, spontanee e che nascono direttamente dalle piattaforme. Come abbiamo descritto in precedenza, il senso di appartenenza nasce anche, e soprattutto, dal rapporto di fiducia che si sviluppa dal confronto stesso tra membri. I professionisti contattano e si rivolgono ai colleghi che ritengono “meritevoli” di attenzioni e dai quali reputano di potere acquisire conoscenze e risposte alle proprie questioni. Si creano così network di piccole dimensioni che si affidano non più al valore delle comunità HR, bensì alla credibilità dei profili proposti sui network maggiormente utilizzati. Ragionando in senso più ampio, possiamo affermare che qualsiasi realtà di incontro può far crescere network professionali. Non è un caso che nelle università, come anche nelle business school, si creino tuttora strutture poco formalizzate con obiettivi solitamente a breve termine ma che organizzano incontri di confronto in maniera assidua. Allo stesso modo, la stessa Fondazione ISTUD potrà essere un ponte tra futuri professionisti HR che saranno impegnati in differenti realtà aziendali, entro le quali, confrontandosi e analizzando tematiche comuni, instaureranno interconnessioni. Riguardo l’ampiezza delle comunità, partendo, infatti, dal presupposto che continuerà a persistere la necessità di imparare tra pari, il senso di appartenenza a gruppi professionali è, e sarà, il collante relazionale. Con l’utilizzo sempre maggiore delle piattaforme on line vi è la tendenza, però, a perdere l’interesse dell’incontro all’interno della vasta rete di professionisti, potenzialmente incontrabili. La rivoluzione digitale ha portato, infatti, a profondi cambiamenti socioculturali, costituendo una nuova percezione della realtà; tali mutamenti rendono la relazione con la realtà virtuale sempre più intensa e vicaria delle esperienze reali. All’interno di questa rete intricata, in cui gli snodi sono rappresentati dalle identità virtuali, il singolo si muove con pochi punti di riferimento, creando reticoli di relazioni di intensità minore dal punto di vista personale ed empatico, puntando comunque, ad una conoscenza contenutistica e ad una logica di puro scambio nel qui ed ora.
  • 19. Comunità professionali (network formali e non formali) dei professionisti HR Master in Risorse umane e organizzazione 2018-2019 BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA • Aristotele, “Politica I”, 2, 1253° • AGRH Francia, https://www.agrh.fr/ • AIDP Italia, https://www.aidp.it/ • ANDRH Francia, https://www.andrh.fr/ • Brizio Tommasi L., Caramia M., Project management e risorse umane. Organizzazione e metodologie produttive per la gestione delle risorse umane nella dinamica dei progetti di servizio, Franco Angeli, 2009. • CIPD Regno Unito, https://www.cipd.co.uk/about/who-we-are/history • Danzi O., Re G., “Community manager: dietro le reti ci sono le persone”, Franco Angeli, 2018 • DGFP Germania, https://www.dgfp.de/ • Fondazione ISTUD, “Forme organizzative emergenti. Dalle comunità di pratica ai network informali”. Lupetti Editore, Sett. 2011, • GIDP Italia, http://www.gidp.it/it/ • http://www.itctosi.va.it/orientagiovani/Capitolo%201.2.htm • IPMA Stati Uniti, https://ipmahrsouthern.org/history.pdf • Latour B., “Science in action”, Harvard University, 1987 • Law J., “Notes on the Theory of the Actor-Network: Ordering, Strategy and Heterogeneity, Systems Practice”. • Parlamento italiano, http://leg16.camera.it/561?appro=600 • MIHRM, http://mihrm.com/ • Parlamento italiano, http://leg16.camera.it/561?appro=600 • Saladino E. M., “Social network e community management”, EPC Editore. • SHRM Malaisia, http://www.jhrs.org/ • Washington Business Journal, "Associations Ranked by Revenue". Washington Business Journal. Retrieved